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AVVOCATOQUADERNI dell’ ASPIRANTEi 54A/7

Gruppo Editoriale Simone EIMONSEDIZIONI GIURIDICHE

MANUALE DI BASEPER LA PREPARAZIONE ALLA PROVA ORALE

DIRITTOPROCESSUALEPENALE

IN APPENDICE GLI ARGOMENTIOGGETTO DI DOMANDA D’ESAME

IV Edizione

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Vietata la riproduzione anche parziale

Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’operaappartengono alla SIMONE S.p.A. (art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)

Vol. E4 Codice di procedura penale - Esplicatopp. 1408 • e 38,00

Revisione del testo a cura della dott.ssa Mariarosaria Rumore

Finito di stampare nel mese di luglio 2012da «Pittogramma s.r.l.» - Via Santa Lucia, 34 - Napoli

per conto della SIMONE S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - Napoli

Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno

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PREMESSA

Già da prima che fossero istituiti i nuovi esami per procuratore, poi av-vocato, le Edizioni Simone hanno preso a cuore le esigenze degli aspiranti avvocati pubblicando una serie di fortunati testi di preparazione agli esami.

Si è posta attenzione ai volumi indirizzati alle prove orali in quanto, il candidato, all’atto della preparazione, già possiede le nozioni di base, e, quindi, necessita più che di testi istituzionali, di lavori sistematici e riassuntivi che gli consentano di «riorganizzare» le sue conoscenze in vista dell’esame.

Ciò soprattutto in considerazione dei tempi di studio, sempre più stretti, e dei potenziali interlocutori che fondano le loro conoscenze sulla pratica professionale più che su un sapere accademico, modificando così l’ottica di inquadramento dei singoli istituti.

Sulla base di tali convinzioni, e monitorando il sito e il forum di www.sarannoavvocati.it, i nostri autori hanno tenuto presente le indicazioni di quanti hanno superato con esito positivo le prove e, richiamandosi a Giusti-niano, hanno tagliato «il troppo e il vano».

Nasce così, dal ponderoso e già ben affermato volume collettaneo «L’esa-me di avvocato» (giunto alla XVIII edizione), un’ultima generazione di testi: i Quaderni per l’esame di avvocato.

Fra le novità disciplinari di cui si tiene conto nella presente edizione si segnala, in particolare, il D.L. 22-12-2011, n. 211 (conv. in L. 17-2-2012, n. 9) che ha introdotto norme destinate a ridurre il sovraffollamento carcerario ed ha previsto la chiusura, nel 2013 degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Il testo illustra, altresì, i più rilevanti contributi apportati dalla Corte co-stituzionale, soffermandosi con particolare attenzione sulle pronunce in tema di art. 275 c.p.p. in relazione a talune ipotesi di obbligatorietà della custodia in carcere (da ultimo sent. 3-5-2012, n. 110).

La novità dei Quaderni, rispetto ai manuali maggiori, è che la trattazione non si limita alla sola parte istituzionale, ma, seguendo un recente orienta-mento didattico riporta una corposa appendice che elenca gli argomenti dei quesiti potenzialmente oggetto di prova di esame.

Tali quesiti formulano l’argomento in termini di una risposta esaustiva e centrata operando anche collegamenti, paralleli e differenze con istituti affini.

Anche i Quaderni, dunque, si giovano della esperienza Simone per offrire il prodotto «giusto» al momento «giusto».

A proposito…anche il prezzo ci sembra «giusto» per la soddisfazione totale dei nostri lettori.

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Capitolo Primo

La giurisdizione penale e il processo penale (1)

1. LA giurisdizionE in gEnErALE: ConCEtto E CArAttEri

La giurisdizione è una delle tre tradizionali funzioni in cui si esplica la so-vranità dello Stato, unitamente alla funzione legislativa ed a quella esecutivo-amministrativa.

Essa può essere definita come la potestà pubblica affidata al potere giudizia-rio (cioè alla magistratura) e consiste nel dare concreta attuazione alla volontà della legge quando questa non sia stata pacificamente e spontaneamente osser-vata.

La giurisdizione presenta i seguenti caratteri:

a) strumentalità: la giurisdizione ha carattere strumentale in quanto, avendo come fine l’attuazione pratica delle regole del diritto, rappresenta lo stru-mento attraverso il quale viene imposta ai consociati l’obbedienza alla leg-ge;

b) indipendenza: l’attività ed il potere giurisdizionale sono indipendenti da ogni altra attività e potere dello Stato (v. infra);

c) imparzialità: il giudice deve essere estraneo agli interessi sui quali è chia-mato a pronunciarsi (nemo iudex in re sua). Tale principio è assicurato nel processo penale dagli istituti dell’astensione, della incompatibilità e della ricusazione (v. infra);

d) indeclinabilità: il giudice non può rifiutarsi di decidere. Nella materia pe-nale tale principio implica altresì che non può applicarsi la legge penale se non attraverso l’esercizio della giurisdizione penale da parte degli organi titolari del potere relativo (nulla poena sine iudicio);

e) identità: la giurisdizione, in sè considerata, è una funzione unica, qualun-que sia la natura della controversia da trattare; tuttavia in base agli organi giurisdizionali che la esercitano o in base all’oggetto si distingue tra:

— giurisdizione ordinaria: è quella esercitata, in via generale, per tutte le controversie che la legge non affidi ad altre giurisdizioni, dalla magi-stratura ordinaria, istituita e regolata dall’ordinamento giudiziario (R.D.

(1) Si consiglia la lettura parallela di questa parte con il Codice Esplicato di Procedura Penale, di questa stessa casa editrice.

Il volume riporta, per ciascun articolo, le principali definizioni relative ai termini specialistici, note espli-cative, collegamenti e rinvii, ed un breve commento alla ratio della disposizione per una consultazione siste-matica ed una più specifica familiarizzazione con le disposizioni codicistiche.

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Capitolo Primo66

30 gennaio 1941, n. 12). La giurisdizione ordinaria si distingue a sua volta in civile o penale;

— giurisdizioni speciali: sono quelle che si occupano di particolari contro-versie espressamente indicate dalla legge (es. controversie riguardanti il pubblico impiego). Sono esercitate da magistrati che non apparten-gono alla magistratura ordinaria, ma a speciali categorie (es. T.A.R., Consiglio di Stato, Corte dei Conti).

Il costituente ha manifestato sfavore verso le giurisdizioni speciali, vietandone l’istituzione di nuove e imponendo la revisione di quelle già esistenti.

2. LA giurisdizionE pEnALE in pArtiCoLArE

La giurisdizione penale è la funzione diretta ad applicare ai casi concreti la legge penale.

Essa pertanto presuppone una violazione effettiva o presunta della legge penale sostanziale (ossia la commissione di un reato), per cui il suo esercizio tende:

— ad accertare l’avvenuta violazione di una norma penale;— ad infliggere al trasgressore la conseguente sanzione penale.

L’art. 1 c.p.p. stabilisce che «la giurisdizione penale è esercitata dai giudici previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario», per cui sono i giudici ordinari deputati all’esercizio di tale funzione giurisdizionale; non mancano, tuttavia, casi di giurisdizione speciale, come quella esercitata dal Tribunale militare per i reati militari e dalla Corte Costituzionale per il giudizio sul Presidente della Repubblica messo in stato di accusa dal Parlamento.

Differenze

La giurisdizione penale si distingue dalla giurisdizione civile in considerazione della diver-sa natura degli interessi tutelati. In particolare:— la giurisdizione penale ha competenza in ordine alle violazioni delle norme penali, ossia

quelle disposizioni che tutelano beni ed interessi fondamentali dei singoli e della colletti-vità, cui consegue l’applicazione di una sanzione penale (reclusione, multa etc.) ovvero di una misura di sicurezza;

— la giurisdizione civile si occupa della tutela dei diritti soggettivi dei privati (e pertanto si svolge su iniziativa dei loro titolari) e mira ad accertare la fondatezza della pretesa di chi ha azionato il processo.

3. rApporti frA LE giurisdizioni

Allorché un caso pratico interessi contemporaneamente norme civili, penali o anche even-tualmente amministrative, questo sarà oggetto di ciascuna delle tre giurisdizioni e, quindi, ma-teria di giudizio plurimo.

Il vigente codice di rito ha abbandonato il principio, consacrato dal codice abrogato, della unicità della giurisdizione e della prevalenza della giurisdizione penale sulle altre, accogliendo quello della tendenziale autonomia dei giudizi. Avremo modo di verificare quale efficacia abbia il giudicato penale sugli altri diversi giudizi (civile, amministrativo o disciplinare) ed a quali con-dizioni il giudice penale possa decidere di attendere la soluzione della controversia in altro giu-dizio (civile o amministrativo) in qualche modo influente sulla decisione penale.

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La giurisdizione penale e il processo penale 7

4. i prinCipi fondAmEntALi dELLA giurisdizionE pEnALE

Costituiscono principi fondamentali della giurisdizione penale:

a) il principio «nulla poena sine iudicio», che corrisponde al principio di stru-mentalità del processo penale;

b) il principio «ne procedat iudex ex officio», in quanto il processo penale si instaura solo a seguito dell’iniziativa del Pubblico Ministero;

c) il principio «ne eat iudex ultra petitum et extra petitum», che corrisponde al principio della contestazione ed è garantito dagli artt. 516-522 c.p.p.;

d) il principio dell’improrogabilità della giurisdizione, che si sostanzia nell’im-possibilità di sostituzione di un giudice con un altro, ad arbitrio dei priva-ti;

e) il principio dell’indipendenza del giudice, che è consacrato nell’art. 101, com-ma 2, della Costituzione, secondo cui «i giudici sono soggetti soltanto alla legge».

5. gLi orgAni dELLA giurisdizionE pEnALE

Sono organi della giurisdizione penale:

a) il Tribunale ordinario;b) la Corte d’Assise;c) la Corte d’Appello;d) la Corte d’Assise d’Appello;e) il Tribunale per i Minorenni;f) il magistrato di sorveglianza;g) il Tribunale di sorveglianza;h) la Corte di Cassazione.

Il decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 ha introdotto nel nostro siste-ma processuale la competenza penale del Giudice di Pace.

6. iL proCEsso pEnALE: ConCEtto E funzioni

A) Concetto

Il processo è il mezzo attraverso il quale si attua la giurisdizione.

Letteralmente il termine processo deriva dal latino ed indica il susseguirsi di una serie di atti e di attività, compiuti in forme e termini prescritti dalla legge, diretti all’attuazione della giurisdi-zione.

A seconda che si tratti di esercizio di giurisdizione civile o penale o ammi-nistrativa, si avrà un processo civile, penale o amministrativo.

L’andamento del processo, cioè l’ordine degli atti, i termini, le forme da os-servare, gli organi ed i soggetti competenti, sono indicati e regolati dalle nor-me processuali, che, nel loro insieme, costituiscono il diritto processuale (civi-le, penale o amministrativo), detto anche diritto formale (che si contrappone al diritto sostanziale).

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Capitolo Primo88

B) funzione ed oggetto

Mentre la pretesa civile può essere oggetto di esecuzione spontanea, senza il ricorso alla giurisdizione (si pensi al pagamento spontaneo di un debito), quella penale richiede necessariamente una verifica giurisdizionale: infatti, non è consentito alle parti accordarsi sulla sussistenza dell’illecito penale e sulla pena applicabile. Ne risulta esaltato il carattere di strumentalità del pro-cesso per cui vige il principio «nulla poena sine iudicio», che è norma di civil-tà garantita dalla Costituzione (artt. 25 e 27).

Oggetto del processo penale è l’accertamento della commissione di un fat-to al fine di stabilire se una persona debba soggiacere o meno alla pena o alla misura di sicurezza prevista dal diritto sostanziale.

7. diVErsi tipi di proCEsso pEnALE

A) sistema inquisitorio e sistema accusatorio

I sistemi processuali che hanno caratterizzato il processo penale nelle di-verse epoche storiche si possono ricondurre a due modelli fondamentali: il cd. sistema accusatorio ed il cd. sistema inquisitorio.

Il processo di tipo inquisitorio è un processo essenzialmente scritto e segreto, in cui manca qualsiasi forma di contraddittorio con l’imputato: esso è dominato dalla figura del giudice, che presiede sia all’istruzione che al giudizio, cioè sia alla raccolta sia alla valutazione delle prove. La presenza del giudice conferisce netto privilegio all’accusa, che può raccogliere tutte le prove e ri-versarle nel dibattimento.

Il processo di tipo accusatorio è, invece, un processo di parti, dove accusa e difesa si fronteg-giano su posizioni contrapposte, ma di parità, ed in cui il giudice svolge la funzione di arbitro su-per partes, col compito di valutare gli elementi pro e contro l’imputato, decidendo sulla sua col-pevolezza. Questo tipo di processo è caratterizzato dalla oralità e pubblicità del giudizio, che non viene preceduto da una fase istruttoria, in quanto l’accusa e la difesa raccolgono, ciascuno per suo conto, gli elementi che poi produrranno in giudizio perché il giudice possa valutarli e, in base ad essi, decidere. Va avvertito, tuttavia, che nessun sistema è, nel concreto, totalmente inquisito-rio o accusatorio.

Differenze

La diversità dei caratteri e dei connotati tipici dei sistemi inquisitorio ed accusatorio com-porta che:— nel rito inquisitorio il giudice istruttore svolge personalmente le indagini più complesse e

a lui fanno capo la ricerca, l’acquisizione e la valutazione delle prove; nel rito accusatorio le indagini sono svolte dal P.M. e dalla P.G., spettando al giudice solo il compito di giudi-care;

— nel rito inquisitorio la P.G. ed il P.M. raccolgono le prove nel corso delle indagini senza contraddittorio tra le parti; nel rito accusatorio le prove si raccolgono nella dialettica del dibattimento e non sono utilizzabili le dichiarazioni e gli accertamenti (salvo eccezioni) raccolti nel corso delle investigazioni: ad es., se un teste ha dichiarato nelle indagini di ave-re riconosciuto il rapinatore e non ripete ciò in dibattimento, non si forma la prova per giungere alla condanna. In ciò consiste il principio della oralità;

— nel rito accusatorio la parità tra accusa e difesa è notevolmente accentuata, anche nella fase delle indagini, ove il difensore ha la possibilità di svolgere investigazioni difensive.

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La giurisdizione penale e il processo penale 9

f preminenza dell’accusa sulla difesa

f giudice inquisitore

f istruzione segreta e scritta

Caratteri del sistema inquisitorio f precostituzione della prova

f utilizzabilità delle prove in dibattimento

f presunzione di colpevolezza

Sistemi processuali

f parità accusa e difesa

f Giudice super partes

f distinzione giudice e P.M.

Caratteri del sistema accusatorio f metodo dialettico

f formazione della prova in di-battimento

f oralità e pubblicità

f presunzione di innocenza

B) Evoluzione del sistema processuale italiano

La necessità di adeguare la disciplina del processo penale alle mutate esi-genze culturali ed ideologiche è alla base della evoluzione del processo italia-no che, nel corso degli anni, è stato oggetto di rilevanti interventi legislativi.

Il codice di rito previgente, approvato con R.D. 19-10-1930, n. 1399, nel pe-riodo del regime dittatoriale fascista, era di impronta marcatamente inquisi-toria, con limitati spazi accusatori nella sua fase dibattimentale.

L’accusa ed il giudice erano formalmente distinti, ma la fase del dibatti-mento, orale e pubblica, era preceduta da una fase istruttoria, segreta e scrit-ta, che poteva essere svolta anche dallo stesso P.M., che aveva in tal modo la facoltà di raccogliere le prove da far valere poi in dibattimento.

La rigida impronta inquisitoria del cd. codice Rocco è stata progressiva-mente attenuata, dopo la conquista della democrazia, attraverso innumerevo-li novelle legislative ed una serie di sentenze della Corte Costituzionale che hanno innestato nella sua trama originaria importanti aspetti accusatori.

L’esigenza di una profonda modifica dell’ordinamento ed il lungo dibatti-to che ne è conseguito in ordine alla scelta del modello processuale da adot-tare hanno condotto all’emanazione della L. 16-2-1987, n. 81, che ha delega-to il Governo ad emanare il nuovo codice di procedura penale secondo un mo-dello di tipo accusatorio, pur mantenendo taluni elementi inquisitori.

L’art. 2 della citata legge delega, espressamente proclamando l’opzione per il sistema accusatorio, invitava il Governo, nella elaborazione del nuovo codi-ce, ad attuare i principi della Costituzione e ad adeguare le norme processua-li alle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona, secondo i principi direttivi indicati dal Parlamento.

L’accusa e la difesa oggi sono poste su un piano di tendenziale parità dia-lettica; il P.M. non può disporre della libertà personale del cittadino, ma deve

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Capitolo Primo1010

chiedere al giudice i provvedimenti ritenuti necessari; le prove vengono indi-cate dalle parti e sono raccolte in dibattimento alla presenza del giudice che dovrà poi apprezzarle e valutarle.

Il dibattimento è, dunque, la sede naturale della formazione della prova nel contraddittorio delle parti, in osservanza dei principi di oralità ed imme-diatezza.

I caratteri prevalentemente accusatori del nuovo rito, nei primi anni ’90, sono stati però attenuati dai numerosi decreti-legge che hanno inciso su di-verse norme, reintroducendo profili di carattere inquisitorio.

Ad esempio, il D.L. 8-6-92, n. 306 (conv. in L. 356/92), modificando gli artt. 500 e 503 del co-dice, avevano previsto l’utilizzabilità come prova in dibattimento (dopo le «contestazioni») delle dichiarazioni rese da testi o dall’indagato al P.M. o alla P.G. (senza contraddittorio tra le parti) nel corso delle indagini preliminari. In tal modo era stato tradito uno dei principi cardine del siste-ma accusatorio e cioè quello dell’assenza di prove pre-costituite al di fuori del dibattimento.

Ancora, sempre il D.L. 306/92 aveva ampliato la possibilità della lettura di atti in dibattimen-to (v. artt. 511 e ss.), così svilendo il principio accusatorio dell’oralità.

Ancora, ad esempio, il D.L. 9-9-91, n. 292 (conv. in L. 356/91), che modificando il terzo com-ma dell’art. 275 in tema di misure cautelari, ha previsto la reintroduzione (come nell’abrogato codice di rito) di ipotesi di «cattura obbligatoria», tanto da compromettere in modo evidente i principi di proporzionalità ed adeguatezza disciplinanti il regime delle misure cautelari.

Tali provvedimenti normativi hanno segnato la cd. epoca dell’emergenza, caratterizzata dall’esi-genza di una più incisiva lotta alla criminalità organizzata, che mal si conciliava con gli istituti processuali del rito accusatorio.

Un ritorno alla «normalità» accusatoria si è avuto con l’emanazione della L. 8-8-1995, n. 332, che ha introdotto numerose modifiche alle norme sulla custodia cautelare, valorizzando il dirit-to di difesa ed operando un riequilibrio tra le parti processuali (P.M., imputato e difensore); con la L. 7-8-1997, n. 267, che ha riformato in modo più garantista l’art. 513 c.p.p. riguardante l’uti-lizzabilità in dibattimento delle dichiarazioni, rese nelle indagini, dall’imputato di reato connesso, che non compaia in giudizio o rifiuti di rispondere. Notevole rilevanza ha la L. 20-2-2006, n. 46, che ha introdotto limiti alla appellabilità delle sentenze di proscioglimento.

Da segnalare, inoltre, il D.L. 23-5-2008, n. 92 (conv. in L. 125/2008), cd. «de-creto sicurezza»; l’ulteriore «pacchetto sicurezza» di cui alla L. 15-7-2009, n. 94; il D.L. 12-2-2010, n. 4 (conv. in L. 52/2010), che ha modificato la competenza della Corte di Assise; la L. 26-11-2010, n. 199, che ha introdotto disposizioni per la esecuzione presso il domicilio delle pene detentive brevi; successivamen-te modificato ed integrato dal D.L. 22-12-2011, n. 211 (conv. in L. 9/2012).

Una spinta rilevante alla valorizzazione dei principi accusatori del codice è stata attuata at-traverso la modifica dell’art. 111 della Costituzione da parte della legge cost. 23-11-1999, n. 2, che ha introdotto i canoni del cd. giusto processo.

La norma costituzionalizza i principi dell’imparzialità del giudice, di parità nel contraddittorio tra le parti, del diritto dell’imputato e del suo difensore di poter interrogare il proprio accusatore.

All’attuazione concreta dei principi del giusto processo nel codice ha provveduto la legge 1-3-2001, n. 63.

Un impatto incisivo sull’attuale sistema si è avuto, inoltre, con il D.Lgs. 19-2-1998, n. 51, isti-tutivo del giudice unico di primo grado, la cui efficacia è stata differita dapprima al 2-6-1999 e, successivamente, a seguito del D.L. 24-5-1999, n. 145 (conv. in L. 234/1999), al 2 gennaio 2000. È intervenuta definitivamente a dare attuazione alla istituzione del Giudice Unico di primo gra-do la L. 16-12-1999, n. 479, di riforma del processo penale.

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La giurisdizione penale e il processo penale 11

8. iL «giusto proCEsso»

La disciplina del cd. «giusto processo» è stata introdotta nel codice dalla legge 1-3-2001, n. 63 che ha dato attuazione ai principi contenuti nell’art. 111 della Costituzione, che era stato novellato dalla legge cost. 23-11-1999, n. 2.

La nuova disciplina, che ha modificato il codice di rito in numerose dispo-sizioni, ne ha accentuato il carattere accusatorio. Inoltre ha maggiormente ar-monizzato il nostro ordinamento con quello dei paesi europei più evoluti.

In particolare l’esigenza della celebrazione di un giusto processo è presen-te nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, stipulata nel 1950, in cui, dopo aver ripudiato mezzi come la tortura e tratta-menti sanzionatori inumani e degradanti, si impone che i processi siano ce-lebrati innanzi a tribunali imparziali, precostituiti per legge; che l’imputato sia informato del processo a suo carico nel più breve tempo possibile; che sia ga-rantito il diritto di difesa; che sia garantita la possibilità di far interrogare i te-stimoni a carico ed a discarico; che lo straniero sia assistito da un interprete; che sia garantita la presunzione di non colpevolezza.

Le norme della Costituzione, al fine di attuare il «giusto processo», preve-dono la garanzia del diritto di difesa per tutti i cittadini, anche i non abbienti (art. 24); la soggezione del giudice soltanto alla legge (e non ad altri poteri: art. 101); l’imparzialità del giudice (art. 111, c. 2); la garanzia del contraddittorio tra le parti, su un piano di parità (art. 111, c. 2); la ragionevole durata del pro-cesso (art. 111, c. 2); la garanzia di una veloce informazione all’imputato della pendenza del processo a suo carico; la possibilità di interrogare o far interroga-re le persone che l’accusano o che possono discolparlo; la garanzia del contrad-dittorio, anche nella formazione della prova, con conseguente impossibilità di condannare un imputato in base ad accuse formulate da un soggetto che per libera scelta si è sottratto all’interrogatorio; l’ausilio di un interprete per lo stra-niero.

Come vedremo più oltre, tali principi sono stati recepiti nel codice, con ri-forme che hanno ridisegnato molti istituti rispetto all’originaria formulazio-ne.

9. iL diritto E LA normA proCEssuALE pEnALE

Il diritto processuale penale «è costituito dal complesso delle norme giuridi-che che disciplinano l’applicazione della sanzione penale o della misura di sicu-rezza».

In particolare, le norme processuali sono dirette:

— all’accertamento del reato e all’inflizione della pena;— all’accertamento della pericolosità sociale e all’applicazione della misura di sicurezza;— all’accertamento delle responsabilità civili connesse al reato e all’applicazione delle conse-

guenti sanzioni;— all’esecuzione dei provvedimenti.

Capitolo Primo1212

Norma processuale penale è ogni norma giuridica che regoli lo svolgimen-to del procedimento penale.

Il carattere processuale di una norma si deduce dall’oggetto di essa, per cui è di diritto sostan-ziale ogni norma relativa alla pretesa punitiva dello Stato, anche se contenuta nel codice di pro-cedura penale, mentre è di diritto processuale quella che si riferisce all’accertamento giudiziale di una pretesa punitiva (VANNINI), anche se contenuta nel codice penale.

10. LE fonti dEL diritto proCEssuALE pEnALE

Fonti del diritto sono gli atti o i fatti di produzione normativa, idonei a for-nire gli elementi per la costruzione dell’ordinamento giuridico statale.

Sono fonti del diritto processuale penale:

a) le norme costituzionali che tutelano diritti e libertà fondamentali: ad esem-pio, l’art. 13 che sancisce l’inviolabilità della libertà personale, l’art. 15 che tutela la libertà e segretezza della corrispondenza, l’art. 25 che garantisce il giudice naturale precostituito per legge;

b) la legge in senso formale;c) i decreti legislativi (cioè le leggi delegate) ed i decreti legge (cioè i decreti di

urgenza): vedi gli artt. 76 e 77 Costituzione;d) i regolamenti;e) i bandi militari in tempo di guerra;f) atti e convenzioni internazionali: nei limiti richiamati dall’art. 696 per i rap-

porti con le Autorità straniere in caso di rogatorie, estradizioni, condanne pronunciate all’estero ed altri rapporti con le Autorità straniere;

g) la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liber-tà fondamentali firmata a Roma il 4-11-1950 e ratificata con L. 4-8-1955, n. 848.

Non sono invece vere fonti:

a) la consuetudine: essa non ha valore di fonte di diritto processuale penale, a meno che non venga espressamente richiamata dalla legge. Nel codice abrogato vi era un caso di richiamo espresso (art. 656) in quanto, accanto alle convenzioni internazionali, venivano riconosciuti anche gli «usi». Il nuovo legislatore, in una ricerca di perfezione terminologica, nella norma corrispondente a quella abrogata non ha ripetuto il riferimento (art. 696), richiamandosi alle «norme di diritto internazionale generale»: queste ultime, secondo la specificazione contenu-ta nella relazione ministeriale, includono anche le consuetudini;

b) la prassi giudiziaria, che viene eseguita normalmente nella esplicazione di determinate atti-vità processuali e dalla quale, però, si può liberamente deviare.

11. L’EffiCACiA dEL diritto proCEssuALE

Come ogni norma giuridica, anche la norma processuale penale incontra dei limiti di efficacia.

Tali limiti sono di tre specie:

— limiti di efficacia relativi ai soggetti;— limiti di efficacia nello spazio;— limiti di efficacia nel tempo.

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La giurisdizione penale e il processo penale 13

A) Limiti di efficacia relativi ai soggetti

La legge processuale penale non si applica nei riguardi di determinati sog-getti, in virtù della loro posizione:

a) Pontefice (in virtù del Trattato del Laterano dell’11-2-1929, modificato dall’ac-cordo del 18-2-1984);

b) Capi di Stati esteri;c) Capi di governo, ministri e altri rappresentanti di Stati stranieri e membri

stranieri dei tribunali arbitrali;d) agenti diplomatici esteri accreditati presso lo Stato italiano o presso la San-

ta Sede;e) militari appartenenti alle truppe N.A.T.O. a seguito della rinuncia alla prio-

rità nell’esercizio della giurisdizione del Ministro della giustizia (L. 30-11-1955, n. 1335).

Altre limitazioni riguardano:

— i membri del Parlamento italiano, che «non possono essere perseguiti per le opinioni espresse ed i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni» (art. 68 Cost.); analogamente avviene per i consiglieri regionali, nonché per i giudi-ci costituzionali ed i membri del Consiglio Superiore della Magistratura.

Ai sensi dei commi secondo e terzo dell’art. 68 Cost., inoltre, senza auto-rizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parla-mento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mante-nuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il qua-le è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento a intercettazioni, in qual-siasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispon-denza;

— il Presidente della Repubblica, che «non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per at-tentato alla Costituzione» (art. 90 Cost.), reati per i quali è competente a processarlo la Corte Costituzionale (nella sua composizione integrata), su iniziativa delle Camere a seguito del procedimento di «messa in stato di ac-cusa» (sull’argomento vedi amplius il vol. 2 Diritto Costituzionale della stes-sa Casa Editrice).

B) Limiti di efficacia nello spazio

L’efficacia della legge processuale penale nello spazio è limitata dalla rego-la della territorialità (locus regit actum), per cui essa, in quanto legge dello Sta-to italiano, e come tale espressione della sovranità dello stesso, si applica solo ed unicamente sul territorio dello Stato.

Le navi e gli aerei italiani, ovunque si trovino, sono considerati territorio italiano, salvo che, in base al diritto internazionale, siano soggetti ad una leg-ge straniera.

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Capitolo Primo1414

Pertanto:

— la legge processuale italiana si applica a tutti i processi penali che si svolgo-no sul territorio dello Stato italiano;

— a tali processi non può mai applicarsi una legge straniera (si noti che ciò non accade per i processi civili, per i quali il Giudice italiano può applicare, se-condo la normativa contenuta nella L. 218/1995 — Riforma del sistema ita-liano di diritto internazionale privato — una norma straniera).

C) Limiti di efficacia nel tempo

La legge processuale penale entra in vigore, a seguito della sua promulga-zione, nel termine fissato dalla legge (di solito, 15 giorni dopo la sua pubbli-cazione).

Essa resta in vigore:

— finché non venga abrogata, espressamente o tacitamente, da una legge suc-cessiva;

— finché non sia dichiarata incostituzionale con sentenza della Corte Costitu-zionale;

— finché non abbia esaurito la sua efficacia, in quei casi in cui essa abbia ad oggetto la regolazione di particolari situazioni limitate nel numero, nell’og-getto o nel tempo (cfr. art. 32 della L. 152/1975, le cui norme processuali hanno perso efficacia con l’entrata in vigore del nuovo codice).

È principio generale che la norma processuale penale non sia né possa es-sere retroattiva, neppure se più favorevole all’imputato, a differenza della nor-ma penale sostanziale.

Infatti, non è possibile estendere analogicamente il disposto dell’art. 2 c.p. perché risultereb-be derogato il principio tempus regit actum in esso consacrato.

Né è possibile far discendere la retroattività della norma processuale penale più favorevole dal disposto dell’art. 25, comma 2, Cost.: d’altra parte vi ostano i gravi inconvenienti pratici che ne deriverebbero, quale ad esempio, l’inutilizzabilità degli atti irripetibili.

12. Lo sChEmA dEL proCEdimEnto

Va preliminarmente chiarito il concetto di autorità giudiziaria (A.G.). La terminologia di autorità giudiziaria indica sia il soggetto giudice, sia il sogget-to pubblico ministero. Invero, la funzione giudiziaria ha una significazione più ampia di quella giurisdizionale; quest’ultima attiene solo all’attività del giudi-ce, che interpreta ed applica la legge (jus dicit da cui giurisdizione). L’attività giudiziaria è quella che si svolge nel giudizio, anche ad opera di soggetti non muniti di giurisdizione. Il termine autorità concerne i soggetti detentori di un pubblico potere. Ne consegue che autorità giudiziaria sono i soggetti che eser-citano un potere, giurisdizionale o non, nel giudizio, inteso in senso amplis-simo, come sinonimo di procedimento.

La presenza della A.G. è indefettibile in qualsiasi stato e grado del procedi-mento giacché qualsiasi atto è compiuto direttamente o in presenza del magistra-to, del P.M. o del giudice.

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La giurisdizione penale e il processo penale 15

È da premettere in proposito la nozione di stato e grado del procedimento. In particolare lo stato, indica, nella dimensione dinamica del procedimento, il momento nel quale esso è giunto. Ciò può essere rilevante in relazione al maturarsi di preclusioni processuali: ad es. il giudizio abbreviato può essere richiesto nell’udienza preliminare, non in uno stato successivo.

Per grado del procedimento deve, invece, intendersi il suo eventuale svilup-po verticale, che può articolarsi, dopo un primo grado, in uno successivo di con-trollo del precedente.

A tal proposito il rito penale è articolato, di regola, in tre gradi di giudizio: primo grado, ap-pello e ricorso per cassazione. È questa un’opzione del legislatore che va oltre la previsione co-stituzionale che indica sufficienti due gradi di giudizio (art. 111, c. 7, Cost.).

Nell’ambito di ogni grado, orizzontalmente, il procedimento si articola in sin-gole fasi: es. il primo grado è suddivisibile nella fase degli atti preliminari (artt. 465 e ss.), degli atti introduttivi (artt. 484 e ss.), dell’istruzione (artt. 496 e ss.), della decisione (artt. 525 e ss.).

In una visione sintetica, l’iter del procedimento può essere scandito in tre gradi di giudizio: primo grado, appello e ricorso per cassazione, avvertendo che l’appello può anche mancare o perché la sentenza è direttamente ricorribile per cassazione o perché la parte preferisce non avvalersene (ricorso «per saltum»).

La fase iniziale del procedimento delle indagini preliminari, di natura e rilevanza pre-processuale, è condotta dal P.M. e dalla polizia giudiziaria (P.G.) nei confronti di un soggetto (investigato o sottoposto alle indagini), che non è ancora imputato. Al termine della fase investigativa, il P.M. si determina in ordine all’esercizio o meno dell’azione penale; in caso negativo, chiede l’archi-viazione al giudice per le indagini preliminari (G.I.P.); in caso positivo, dà ini-zio al processo, formulando l’imputazione a carico dell’indagato che diventa così imputato.

Segue, di norma (2), l’udienza preliminare innanzi al giudice dell’udienza preliminare (G.U.P.), che esamina l’accusa, definendo il corso del processo con sentenza di non luogo a procedere ovvero facendolo proseguire innanzi al giudice dibattimentale, disponendo la celebrazione del giudizio. Si svolge, quindi, l’udienza pubblica dibattimentale (giudizio in senso stretto) innan-zi al giudice, monocratico ovvero collegiale.

Il giudizio contempla le formalità degli atti introduttivi, della costituzione delle parti (formazione del contraddittorio), delle questioni preliminari. Ini-zia poi l’istruzione dibattimentale, con l’esame incrociato delle parti e dei te-stimoni (cross examination); seguono la discussione e la deliberazione della sentenza.

La sequela dell’udienza preliminare e del giudizio dibattimentale, innanzi menzionata, è ricca di alternative, abbreviazioni o semplificazioni mediante l’adozione di uno dei procedimenti speciali: giudizio abbreviato e patteggia-mento della pena, che rendono inutile l’udienza dibattimentale; giudizio im-

(2) L’art. 550 elenca i casi in cui non si fa luogo all’udienza preliminare e l’imputato è rinviato direttamen-te a giudizio innanzi al giudice dibattimentale.

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Capitolo Primo1616

mediato e giudizio direttissimo, che evitano l’udienza preliminare; procedi-mento per decreto penale di condanna, che elude sia l’udienza preliminare che quella dibattimentale.

Il giudizio di secondo e quello di terzo grado, come già accennato, riguar-dano il grado dell’appello e del ricorso per cassazione, che costituiscono i mez-zi ordinari di gravame e che si risolvono, di norma, nella celebrazione di una udienza dibattimentale pubblica o in camera di consiglio (non pubblica).

Notiziadi reato

indaginipreliminari

delP.M.

Richiesteal GIP

dellaP.G.

intercettazioni

misure cautelari

altrerichieste

prorogaindagini

chiusuraindagini:

P.M.

chiedearchiviazione

chiedeil giudizio

chiederiti alternativi

SCHEMA SINTETICO DI SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO PENALE

difensive

incidenteprobatorio

dispone lacitazione diretta

a giudizio

G.I.P.

G.U.P.

Archivia

Ordinanuove indagini

sentenza non luogoa procedere

decreto di rinvioa giudizio

dibattimento

G.I.P. decreto penale

rito abbreviato

patteggiamento

Ordinadi formulareimputazione

opposizione

sentenza appello cassazione

sentenza cassazione

sent. assol.

sent. condanna

appello

ricorsoper

cassazione

giudizioimmediato

La giurisdizione penale e il processo penale 17

La revisione è un mezzo straordinario di gravame, eccezionalmente previ-sto avverso le sentenze già divenute irrevocabili.

In ultimo, vi è il procedimento di esecuzione penale, che presuppone un iter procedurale già concluso con la formazione del giudicato.

Notiziadi reato

indaginipreliminari

delP.M.

Richiesteal GIP

dellaP.G.

intercettazioni

misure cautelari

altrerichieste

prorogaindagini

chiusuraindagini:

P.M.

chiedearchiviazione

chiedeil giudizio

chiederiti alternativi

SCHEMA SINTETICO DI SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO PENALE

difensive

incidenteprobatorio

dispone lacitazione diretta

a giudizio

G.I.P.

G.U.P.

Archivia

Ordinanuove indagini

sentenza non luogoa procedere

decreto di rinvioa giudizio

dibattimento

G.I.P. decreto penale

rito abbreviato

patteggiamento

Ordinadi formulareimputazione

opposizione

sentenza appello cassazione

sentenza cassazione

sent. assol.

sent. condanna

appello

ricorsoper

cassazione

giudizioimmediato

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Capitolo Secondo

Principi fondamentali del processo penale italiano

1. gEnErALità

I principi generali sottesi al processo penale non promanano da precise norme, ma sono il risultato dell’elaborazione dottrinaria in ordine ai principi contenuti nella Costituzione nonché alle regole di procedura presenti nei co-dici.

2. iL prinCipio di EguAgLiAnzA (formALE E sostAnziALE)

È il principio fondamentale dell’ordinamento italiano e, come tale, condi-ziona necessariamente tutti i settori del diritto.

È sancito dall’art. 3 della Costituzione, secondo il quale «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni perso-nali e sociali» (comma 1).

Il principio di eguaglianza formale resterebbe mera enunciazione teorica se l’art. 3 Cost. non contemplasse un concreto impegno dello Stato finalizza-to a realizzare effettive condizioni di eguaglianza sostanziale tra i cittadini. In questa prospettiva, afferma l’art. 3, comma 2, Cost. che «è compito della Re-pubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazio-ne politica, economica e sociale del Paese».

3. prinCipi rELAtiVi ALLA giurisdizionE pEnALE

A) il diritto alla tutela giurisdizionale (artt. 24-113 Cost.)

L’art. 24 comma 1 Cost. afferma che «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi». In base all’art. 113 Cost. «contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizio-nale dei diritti e degli interessi legittimi».

B) il principio del doppio grado di giurisdizione

Il nostro ordinamento prevede tre gradi ordinari di giudizio (primo grado, appello, ricorso in Cassazione), tuttavia, solo il doppio grado di giudizio è as-sistito da garanzia costituzionale ed è soddisfatto dalla possibilità, indefetti-

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Principi fondamentali del processo penale italiano 19

bile, del ricorso in Cassazione (art. 111 Cost.). Ciò giustifica la mancanza del grado di appello per alcuni tipi di sentenza (art. 593, comma 3, c.p.p.).

C) L’amministrazione della giustizia in nome del popolo (art. 101 Cost.)

Tale principio sta ad indicare che l’amministrazione della giustizia è fun-zione esercitata in nome dello Stato-comunità. Talvolta, poi, il popolo è chia-mato direttamente ad esercitare la funzione giurisdizionale nella veste di giu-dice popolare (nei giudizi di competenza della Corte d’Assise) o di giudice ono-rario nei casi previsti dalla legge.

d) il giusto processo ex art. 111 Cost.

In Italia, l’elaborazione dottrinale del «giusto processo» si è tradotta, sul piano costituzionale, con la legge cost. 23-11-1999, n. 2, in vigore dal 7-1-2000, nella integrazione dell’art. 111 Cost. con cinque nuovi commi, diretti a raffor-zare l’opzione per il modello accusatorio operata dal vigente codice di rito.

Secondo il nuovo dettato costituzionale, è giusto il processo che si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale e che abbia una durata ragionevole.

I principi enucleabili dal nuovo art. 111 sono: riserva assoluta di legge per la materia processuale («giusto processo regolato dalla legge»); terzietà ed im-parzialità del giudice; formazione della prova nel contraddittorio delle parti; am-missibilità di deroghe al rito ordinario e, quindi, di riti speciali; parità tra il P.M. e la difesa dell’imputato; ragionevole durata del procedimento; diritto dell’inquisito ad una informativa sulla natura e sui motivi dell’accusa; concre-ta possibilità di difesa per l’inquisito; diritto dell’accusato alla confutazione dell’accusa e alla produzione di prove a discarico, anche mediante esame dei testi a difesa; limite al regime dei pentiti; diritto dell’accusato all’idioma a lui comprensibile.

Ai sensi dell’art. 1, comma 1, D.L. 7-1-2000, n. 2, conv. con L. 25-2-2000, n. 35, si era disposta l’applicazione, in via transitoria, di tali principi solo ai nuo-vi processi e, comunque, a quelli per i quali non fosse stato ancora dichiara-to aperto il dibattimento.

La disciplina del «giusto processo» ha conosciuto, poi, l’intervento della L. 1-3-2001, n. 63 con cui si è data attuazione a gran parte dei principi sanciti dal riformulato art. 111 Cost. e di cui si darà conto nel corso della trattazio-ne.

4. prinCipi rELAtiVi AgLi orgAni giurisdizionALi

A) La precostituzione del giudice naturale (art. 25 Cost.)

L’art. 25, comma 1, della Costituzione sancisce il fondamentale principio di precostituzione del giudice, stabilendo che «nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge» (v. Giudice naturale, in Appendice). Tale principio vieta che il giudice venga designato a posteriori in relazione ad una determinata controversia.

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Capitolo Secondo2020

Dal principio sancito all’art. 25 Cost. discendono i seguenti corollari:

a) gli uffici giudiziari sono organizzati con legge: è la legge che stabilisce le sedi di Tribunali, Corti d’Appello etc. Tali sedi non possono essere determinate o mutate dal potere esecutivo o da quello giudiziario (1);

b) nessuno può essere giudicato da un organo istituito successivamente al fat-to, o cui sia stata attribuita competenza successivamente al verificarsi del fat-to.

B) il divieto di istituzione di giudici straordinari o speciali (art. 102 Cost.)

Tale principio è la naturale conseguenza dei principi di uguaglianza e di precostituzione del giudice naturale.

L’art. 102, commi 1 e 2, Cost. afferma:

«La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e re-golati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura» (v. Giudice speciale, in Appendice).

Sono giudici speciali quelli diversi dai giudici ordinari, aventi giurisdizione su particolari ma-terie (es. giudice amministrativo; Tribunale militare).

Sono giudici straordinari, assolutamente vietati, quelli che vengono costituiti appositamente dopo la commissione di un fatto per giudicare quel fatto (se ne trovano esempi storici nel corso delle guerre civili).

C) L’indipendenza della magistratura (artt. 101 e 104 Cost.)

L’art. 101, comma 2, Cost. afferma: «I giudici sono soggetti soltanto alla legge».Questa norma garantisce l’indipendenza della magistratura da ogni altro po-

tere dello Stato, per quanto riguarda l’esercizio della funzione giurisdizionale.

Secondo l’interpretazione della Corte Costituzionale, tale garanzia di indipendenza può scin-dersi in tre aspetti:

a) una garanzia personale di indipendenza, concernente l’obiettività e l’imparzialità del giudice (cd. indipendenza personale);

b) una garanzia di indipendenza organica dei giudici, cioè di indipendenza all’interno degli stes-si uffici giudiziari (es. indipendenza fra le diverse sezioni di un Tribunale); perciò ciascuna sezione giudicante (monocratica o collegiale) è indipendente da influenze di altre sezioni o uffici analoghi;

c) una riserva di giurisdizione: infatti, gli atti posti in essere da altri poteri dello Stato non pos-sono in nessun modo vincolare il giudice nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali.

Mentre l’art. 101 Cost. ha la funzione di garantire tutta l’attività giurisdi-zionale da qualsiasi ingerenza «funzionale» da parte di altri organi e poteri dello Stato, altre norme costituzionali provvedono a stabilire specificamente la posizione di indipendenza soggettiva degli organi giudiziari da influenze di

(1) Tranne che per gli uffici del Giudice di Pace (la pianta organica dei relativi uffici è determinata con D.P.R. su proposta del Ministro della Giustizia) e per le sezioni di Corte d’Assise (istituite con D.P.R. su proposta del Ministro della Giustizia).

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Principi fondamentali del processo penale italiano 21

altri poteri od organi. In particolare: l’art. 104, comma 1, della Costituzione sancisce che «la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipenden-te da ogni altro potere»; l’effettiva indipendenza della magistratura è, poi, ga-rantita dalla istituzione di un apposito organo, il Consiglio Superiore della Ma-gistratura, che sovraintende alla carriera dei magistrati, con competenze in ordine alle assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni, nonché alla irrogazione delle sanzioni disciplinari nei riguardi dei magistrati (art. 105 Cost.).

Il libero esercizio della funzione giurisdizionale, non condizionato dal ti-more di possibili trasferimenti, è tutelato dal principio di inamovibilità dei giu-dici (art. 107 Cost.): questi ultimi possono veder mutate le loro funzioni o la loro sede soltanto su delibera del C.S.M. con il loro consenso o per i motivi e con le garanzie di difesa previsti dall’ordinamento giudiziario.

5. prinCipi rELAtiVi ALL’imputAto

A) diritto di difesa (art. 24 Cost.)

L’art. 24, comma 2, della Costituzione afferma che «la difesa è diritto invio-labile in ogni stato e grado del procedimento».

Tale diritto si sostanzia: nel diritto all’assistenza tecnico-professionale nel corso del giudizio (garantita anche ai «non abbienti» mediante l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato); nella necessità del contraddittorio.

B) presunzione di non colpevolezza (art. 27 Cost.)

Afferma l’art. 27, comma 2, della Costituzione che «l’imputato non è con-siderato colpevole sino alla condanna definitiva».

Il principio di presunzione di non colpevolezza importa dunque che si ha re-sponsabilità penale solo quando un giusto processo abbia riconosciuto con sentenza definitiva un soggetto colpevole della commissione di un reato.

Osserva PISAPIA che la presunzione di non colpevolezza può essere considerata sotto due di-versi profili:

— come regola di giudizio, collegata anche al principio dell’onere della prova;— come criterio generale relativo allo status dell’imputato ed al suo trattamento durante il pro-

cesso.

C) diritto alla libertà personale (art. 13 Cost.)

La libertà personale costituisce il presupposto logico e giuridico di tutte le libertà riconosciute all’individuo dalla Costituzione.

La norma fondamentale è l’art. 13, che afferma:

«La libertà personale è inviolabile.Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione per-

sonale, nè qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto mo-tivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

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Capitolo Secondo2222

In casi eccezionali di necessità e di urgenza, indicati tassativamente dalla leg-ge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro 48 ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano pri-vi di ogni effetto.

È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva».

Dall’art. 13 discendono perciò i seguenti principi:

a) la riserva assoluta di legge: le restrizioni della libertà personale sono am-messe solo nei casi previsti dalla legge (non da regolamento etc.);

b) la riserva all’autorità giudiziaria: di regola, solo il giudice può porre limita-zioni al diritto di libertà personale, sempre nei modi e con le garanzie pre-viste dalla legge;

c) l’obbligo della motivazione: tutti i provvedimenti restrittivi della libertà per-sonale devono essere motivati, per consentire un immediato e penetrante controllo;

d) l’eccezionalità dei casi in cui l’autorità di polizia può adottare provvedimen-ti restrittivi: poiché l’esigenza di repressione dei reati talora non consente di attendere l’intervento del giudice, l’autorità di polizia può, nei casi tas-sativamente previsti dalla legge, adottare provvedimenti coercitivi provvi-sori (arresto in flagranza, fermo di indiziati di reati), da comunicare entro 48 ore al giudice che deve provvedere alla loro convalida;

e) la previsione di termini massimi consentiti per la custodia cautelare.

6. prinCipi rELAtiVi AL proCEsso pEnALE

A) divieto per il giudice di procedere d’ufficio

Nel nostro ordinamento, l’iniziativa dell’azione penale tocca al solo pubbli-co ministero, il quale ha l’obbligo, sancito dalla Costituzione (art. 112), del suo esercizio (art. 50 c.p.p.). Il giudice non può iniziare d’ufficio un’indagine (sa-rebbero atti del tutto inesistenti e, comunque, colpiti da nullità), né può adot-tare provvedimenti senza una richiesta del P.M.

L’art. 231 disp. att. c.p.p. ha sancito il principio per il quale «sono abrogate le disposizioni di legge o decreti che prevedono l’esercizio dell’azione penale da parte di organi diversi dal pubblico mi-nistero» (es. l’art. 81 del D.L.Lgt. 7-1-1946, n. 1, il quale disponeva che «qualunque elettore può promuovere l’azione penale costituendosi parte civile» per taluni reati elettorali).

In conseguenza di tale principio:

— il giudice non può procedere per fatti diversi da quelli per i quali è stata esercitata l’azione penale (cfr. artt. 521 e 522 c.p.p.);

— il giudice non può procedere d’ufficio a contestare nuove circostanze ag-gravanti o reati concorrenti (cfr. artt. 516 e 517 c.p.p.).

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Principi fondamentali del processo penale italiano 23

B) principio della contestazione

In base ad esso nessuno può essere condannato per un fatto per il quale non sia stato posto in condizione di difendersi. Dispone l’art. 516 che se il fatto ri-sulta diverso da come descritto nel decreto di rinvio a giudizio, il Pubblico Mi-nistero modifica l’imputazione, procedendo alla relativa contestazione, in man-canza della quale la sentenza pronunciata sarebbe nulla.

C) principio del contraddittorio

Consiste nella partecipazione paritaria delle parti (P.M. e imputato) alle fasi del processo dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale (art. 111, comma 2, Cost.). Le attività svolte dalla singola parte nella fase precedente il processo non hanno, tendenzialmente, rilevanza processuale in quanto questa si acqui-sta solo davanti al giudice, arbitro del confronto, al quale il P.M. e l’imputato devono presentare gli elementi che a loro giudizio sostengono le rispettive tesi, in una verifica che viene fatta senza pregiudizi o privilegi di rango. Vedremo come tale principio opera in concreto nel processo.

d) principio della lealtà processuale

Consiste nel dovere di collaborare all’attuazione della volontà della legge, di modo che l’interesse individuale ad una sentenza favorevole rimanga subor-dinato all’interesse generale all’emanazione di una sentenza giusta (MASSA-RI). Un tale principio ha ricevuto due distinti riconoscimenti: l’art. 105, fra l’altro, sanziona la violazione da parte dei difensori del dovere di lealtà e pro-bità; l’art. 358 precisa che il P.M. deve svolgere «altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini». Il confronto, per es-sere espressione di civiltà, deve svilupparsi nel pieno rispetto delle regole pro-cessuali e deontologiche, e deve tendere unicamente all’accertamento della ve-rità.

E) principio del libero convincimento del giudice

Statuisce l’art. 192 che il giudice valuta la prova dando conto nella motiva-zione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati. Ciò significa che, purché vi sia una sufficiente illustrazione delle ragioni che hanno condotto ad una certa conclusione, il giudice è libero di apprezzare ogni elemento acquisito al proces-so, non vigendo più il principio delle «prove legali», come tali vincolanti in modo assoluto.

f) principio della motivazione

Tale principio trae origine dalla Costituzione, che all’art. 111 dispone che «tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati». Esso si fonda sul-la necessità di una verifica, in qualsiasi momento, dei processi logico-giuridi-ci seguiti nel pervenire ad una certa decisione. Solo attraverso la motivazione è possibile chiedere il riesame della prima decisione in appello o in Cassazio-ne.

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Capitolo Secondo2424

In particolare, la sentenza deve contenere «la concisa esposizione dei motivi di fatto e di dirit-to su cui la decisione è fondata, con l’indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie» (art. 546 c.p.p.).

g) principio dell’oralità e della concentrazione

Una caratteristica peculiare del processo accusatorio è quella di bandire la prova scritta e di esigere che la prova si formi in presenza del giudice, nel libe-ro confronto delle parti (art. 526).

Tuttavia non sempre è possibile un’applicazione rigorosa di tale principio. Anzitutto, per rispettare il principio della motivazione, il giudice è costretto a far ricorso non a tutto il materiale comunque comparso nel dibattimento, ma solo a quello che, acquisito in dibattimento, sia stato riversato nel verbale (che è atto scritto), onde consentire la successiva verifica in caso di impugnazione.

Inoltre la legge riconosce l’eventualità che per ragioni particolari (art. 392) si renda necessaria un’anticipata acquisizione probatoria, non potendo venir rinviata al dibattimento: in tal caso nel fascicolo dibattimentale (art. 431, lett. d) verrà inserito il verbale della prova raccolta, che quindi sarà un atto scrit-to. Vi sono ancora atti della P.G. o del P.M. che, per motivi diversi, sono su-scettibili di utilizzazione in dibattimento, come si evince dagli artt. 500 e 503, da ultimo modificati dalla legge 63/2001. Emerge, perciò, chiaramente che quello dell’oralità è un principio tendenziale, che deve contemperarsi con le concrete esigenze del processo.

La concentrazione del procedimento significa che una sola udienza proces-suale dovrebbe essere sufficiente a definire il giudizio, senza rinvio ulteriore ad altra data (cfr. art. 477). Tale concentrazione opera anche in sede di deli-berazione della sentenza e redazione della motivazione.

La decisione deve essere adottata subito dopo la chiusura della relativa di-scussione delle parti, in modo che l’oralità non si trasformi, a distanza di tem-po, nella lettura dei verbali scritti o nell’ascolto dei nastri registrati.

I motivi della decisione dovrebbero essere scritti in camera di consiglio contestualmente al dispositivo della pronuncia, in modo da darne contestua-le lettura (art. 544). Peraltro, quando sussistono particolari ragioni, è legitti-mo il differimento della motivazione, ma mai del dispositivo.

h) principio di pubblicità

Quella di pubblicità è nozione che si intende riferita generalmente allo svol-gimento dell’attività giudiziaria in presenza di consociati.

Tale principio subisce alcune deroghe, determinate da contingenti fattori. V i è, infatti, una fase procedimentale, preparatoria all’eventuale processo, affi-data interamente al P.M. e alla P.G., nella quale vige il principio della segretez-za (art. 329).

Solo in via eccezionale (compimento di atto garantito, per il quale sia ri-chiesto avviso ad un difensore) il P.M. è tenuto a comunicare alla persona in-dagata che si stanno svolgendo indagini sul suo conto (art. 369, informazione

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