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2012 Voltana On Line www.voltanaonline.it
re impedire il default del Paese.
Ma… Ma questo non deve diven-
tare un alibi o un ricatto per rinun-
ciare ad altre considerazioni.
Non siamo dei fanatici! È venuto il
momento dei sacrifici, ma verifi-
chiamo come questi sono ripartiti.
Poi occorre individuare un
“qualcuno” a cui affidare la scelta
della cura da seguire, così ché
l’economia torni a diventare sana e
prospera. Ma dobbiamo essere
accorti nella scelta. Chi, poi, ci ha
condotti nel baratro dovrà essere
giudicato e, soprattutto, non potrà
ricevere una ulteriore investitura,
tentando - astutamente - ora di ve-
stire i panni del salvatore.
Qualche considerazione.
Se esiste un debito, esiste anche
un credito. O, con altre parole:
l’esistenza di tanti
debitori e relativi de-
biti è strettamente
correlata alle scelte
dei creditori.
La “responsabilità
del debito” è certa-
mente del debitore,
ma - nella società dei
consumi - il debito è
agevolato, incentiva-
to. Anche i creditori
sono responsabili di
questo ... favoreggia-
mento e quindi accet-
tarne rischi e conse-
guenze. Una moneta
ha sempre due facce!
Similmente lo stesso
tratto di strada può
essere visto sia come
il principio di una
salita oppure come la
fine di una discesa;
dipende dalle circo-
stanze.
Il debito è una stra-
da. Chi lo ha contratto
è giusto che faccia
dei sacrifici per resti-
tuire il dovuto. Ma il creditore non
può pensare di ricavarne una rendi-
ta perpetua, rendendo l’onere della
restituzione eccessivo e la salita
impervia!
Il Mercato: “chi” o “che cosa” è?
Lo Stato: “chi” o “che cosa” è?
Semplicemente: è o sono “una” o
“un insieme di più persone”! Sba-
glia chi non si cura di come è speso
il pubblico denaro, perché prima o
poi dovrà pagare anche lui e ri-
spondere di quei debiti. Lo Stato
siamo tutti. Sbaglia chi non si accor-
ge che “il Mercato” altro non è che
delle “persone” le quali pensano,
analizzano, scelgono, “speculano”.
Persone che sperano di indovinare
gli eventi e le tendenze future, di
lucrare dalle azioni compiute oggi,
forti dei loro studi e delle loro con-
vinzioni su quello che accadrà do-
mani. Il mercato e la speculazione
non sono entità astratte e non sono
neppure intrinsecamente perfide.
È possibile osservare tanti atteg-
giamenti superficiali e scomposti.
Così come è necessario in diverso
atteggiamento verso lo Stato e, si-
milmente, verso i Mercati.
Se permane la scelta della non
responsabilità per il bene comune e
per la cosa pubblica, alla fine avre-
mo Stati indebitati che vesseranno i
cittadini, come fossero sudditi.
Se continueremo a considerare gli
speculatori come avvoltoi o sciacalli
perderemo il nostro tempo, poiché
comunque l’economia ha delle re-
gole. Gli speculatori hanno una fun-
zione che si palesa meglio quando
l’economia non è sana ed hanno
perfino un ruolo quando la politica
non svolge le sue funzioni
Accettiamo di fare dei sacrifici, ma
non rinunciamo a domandarci: “per
che cosa?” e “ne vale realmente la
pena?”. Solo così potremo sperare
che qualche cosa possa cambiare.
Diversamente avrà fondamento il
dubbio che, tra qualche tempo, la
crisi torni e la situazione si ripeta.
Muoversi? Camminare? Azioni che
non hanno bisogno di alcuna spie-
gazione. È tutto noto. È tutto ovvio.
Ma… Ma se camminassimo guar-
dando sempre indietro, prima o poi
incontreremmo il classico palo.
E se camminassimo guardando
sempre il cielo, prima o poi calpe-
steremmo una … buccia di banana.
Se, poi, camminassimo guardando
sempre la punta dei piedi, prima o
poi ci accorgeremmo di trovarci
sulle strisce pedonali, senza aver
prima guardato il semaforo.
Dunque anche le cose ovvie, che
non hanno bisogno di parole o spie-
gazioni, vanno gestite e dosate.
Ora siamo tutti d’accordo che c’è
una crisi economica e che sia molto
grave.
E siamo tutti d’accordo che occor-
“Ce lo chiede l’Imperatore, anzi l’Europa. Banzai!” di Mario Paganini
prendendo coscienza e si rimbocca-
no le maniche. Persone che non a-
spettano che qualcuno, di animo
generoso e nobile “per e
nell’interesse del popolo” decida di
scendere in campo. Scendono in
campo di loro iniziativa, sono sem-
plici cittadini con altri cittadini.
Non tutto il vecchio è da buttare.
Daremo, quindi, conto e spazio
anche di quanto sta evolvendo.
Non resta che guardarsi intorno e
segnalare le iniziative (locali e non)
che sembrano destinate ad avere
una prospettiva.
Partiti esistenti, si pone neanche
lontanamente questi obiettivi. Noi
vogliamo che si realizzino.
Per questo motivo auspichiamo
la creazione di una nuova forza
politica – completamente diversa dalle esistenti – che induca un rin-
novamento nei contenuti, nelle per-
sone e nel modo di fare politica.
Cittadini, associazioni, corpi inter-
medi, rappresentanze del lavoro e
dell’impresa esprimono disagio e
chiedono cambiamento, ma non tro-
vano interlocutori. Ci rivolgiamo a
loro per avviare un processo di ag-
gregazione politica libero da perso-
nalismi e senza pregiudiziali ideolo-
giche, mirato a fare dell’Italia un
Paese che prospera e cresce. Invi-
tiamo a un confronto aperto le per-
sone e le organizzazioni interessate,
per costruire quel soggetto politico
che 151 anni di storia unitaria ci
hanno sinora negato e di cui abbia-
mo urgente bisogno.
dal sito http://fermareildeclino.it/
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mons o non coperto da copyright.
La classe politica emersa dalla
crisi del 1992-94 - tranne poche
eccezioni individuali - ha fallito:
deve essere sostituita perché è
parte e causa di quel declino so-
ciale che vogliamo fermare.
L’Italia può e vuole crescere nuo-
vamente.
Per farlo deve generare mobilità
sociale e competizione, rimettendo
al centro lavoro, professionalità,
libera iniziativa e merito individua-
le. Affinché l’interesse di chi lavora
– o cerca di farlo, come i giovani e
tante donne – diventi priorità biso-
gna smantellare la rete di monopoli
e privilegi che paralizzano il Paese.
I problemi odierni sono gli stessi di
vent'anni fa, solo incancreniti:
l’inefficienza dell’apparato pubbli-
co e il peso delle tasse che lo finan-
ziano stanno stremando l’Italia. Per-
dendo lavoro e aziende, migliaia di
persone non sono più in grado di
produrre e milioni di giovani non lo
saranno mai.
Tagliare e rendere più efficiente
la spesa, ridurre le tasse su chi pro-
duce, abbattere il debito anche
attraverso la vendita di proprietà
pubbliche, premiare il merito tra i
dipendenti pubblici, promuovere
liberalizzazioni e concorrenza an-
che nei servizi e nel sistema forma-
tivo, eliminare i conflitti di interes-
se, liberare e liberalizzare
l’informazione, dare prospettive e
fiducia agli esclusi attraverso un
mercato del lavoro più flessibile ed
equo. Sono queste le discriminanti
che separano chi vuole conservare
l’esistente da chi vuole cambiarlo
per far sì che il Paese goda i bene-
fici dell’integrazione economica
europea e mondiale. Nessuno, fra i
Dobbiamo fermare il declino italiano, di cui
Monti, quello che doveva fare l’ha fatto...
info: [email protected]
A Mieres, piccolo paese
delle Asturie (Spagna), c'è
stata una protesta un po' sin-
golare.
Sotto uno striscione con la
scritta «a forza di tanto ta-
gliare, ci hanno lasciato nu-
di», otto pompieri hanno po-
sato davanti alle telecamere
dei media, con i fondoschie-
na rivolti verso gli obiettivi.
Dal sito www.ilmessaggero.it
Si fa presto a dire che lo sciopero
è uno strumento di lotta superato, o che deve essere consentito solo ad
alcuni settori. Oppure che la società
moderna, evoluta e civile dei nostri
giorni non può consentire ad alcuno
di scioperare, pertanto debbono es-
sere adottate forme di lotta alternati-
ve. Se tra quei glutei ci fossero quelli di tuo padre, tuo marito o tuo
figlio, di sicuro troveresti che lo scio-
pero tradizionale è molto meglio!
la crisi finanziaria è solo un’aggravante.
“Monti ha fatto quello che pote-
va” “Nella zona Euro le economie di alcuni Paesi sono più disastrate,
quindi: tanto meglio! Perché così
noi vedrai che non ci potranno far
fallire!” Siamo troppo grandi per
fallire”. Queste le considerazioni.
Non saranno ragionamenti da sta-
tista o da fine politico. Ma l’aria che
tira è quella di elezioni anticipate.
Accanto ai soliti, a vita guardiani e
custodi dell’italica democrazia bloc-
cata, nella società civile qualche
cosa si muove. Verrebbe da dire
che sono molte le persone stanno
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Caffè letterario di Lugo
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Info: 0545 - 22388 e su Facebook
ro anziché tutelare il posto di lavoro
esistente o le imprese inefficienti.
Tutti i lavoratori, indipendentemen-
te dalla dimensione dell'impresa in
cui lavoravano, devono godere di
un sussidio di disoccupazione e di
strumenti di formazione che per-
mettano e incentivino la ricerca di
un nuovo posto di lavoro quando
necessario, scoraggiando altresì la
cultura della dipendenza dallo Sta-
to. Il pubblico impiego deve essere
governato dalle stesse norme che
sovrintendono al lavoro privato in-
troducendo maggiore flessibilità sia
del rapporto di lavoro che in co-
stanza del rapporto di lavoro.
6) Adottare immediatamente una
legislazione organica sui conflitti
d'interesse. Imporre effettiva traspa-
renza e pubblica verificabilità dei
redditi, patrimoni e interessi econo-
mici di tutti i funzionari pubblici e di
tutte le cariche elettive. Instaurare
meccanismi premianti per chi de-
nuncia reati di corruzione. Vanno
allontanati dalla gestione di Enti
Pubblici e di imprese quotate gli
amministratori che hanno subito
condanne penali per reati economi-
ci o corruttivi.
7) Far funzionare la giustizia. Rifor-
mare il codice di procedura e la
carriera dei magistrati, con netta
distinzione dei percorsi e avanza-
mento basato sulla performance; no
agli avanzamenti di carriera dovuti
alla sola anzianità. Introdurre e svi-
luppare forme di specializzazione
che siano in grado di far crescere
l'efficienza e la prevedibilità delle
decisioni. Difendere l'indipendenza
di tutta la magistratura, sia inquiren-
te che giudicante. Assicurare la ter-
zietà dei procedimenti disciplinari a
carico dei magistrati. Gestione pro-
fessionale dei tribunali generaliz-
zando i modelli adottati in alcuni di
essi. Assicurare la certezza della
pena da scontare in un sistema car-
cerario umanizzato.
8) Liberare le potenzialità di cresci-
ta, lavoro e creatività dei giovani e
delle donne, oggi in gran parte e-
sclusi dal mercato del lavoro e dagli
10 interventi per la crescita di Michele Boldrin 1) Ridurre l'ammontare del debito
pubblico. è possibile scendere ra-
pidamente sotto la soglia simbolica
del 100% del PIL anche attraverso
alienazioni del patrimonio pubbli-
co, composto sia da immobili non
vincolati sia da imprese o quote di
esse.
2) Ridurre la spesa pubblica di
almeno 6 punti percentuali del PIL
nell'arco di 5 anni. La spending re-
view deve costituire il primo passo
di un ripensamento complessivo
della spesa, a partire dai costi della
casta politico-burocratica e dai sus-
sidi alle imprese (inclusi gli organi
di informazione). Ripensare in mo-
do organico le grandi voci di spesa,
quali Sanità e Istruzione, introdu-
cendo meccanismi competitivi
all’interno di quei settori. Riformare
il sistema pensionistico per garanti-
re vera equità inter - e intra -
generazionale.
3) Ridurre la pressione fiscale
complessiva di almeno 5 punti in 5
anni, dando la priorità alla riduzio-
ne delle imposte sul reddito da la-
voro e d'impresa. Semplificare il
sistema tributario e combattere l'e-
vasione fiscale destinando il gettito
alla riduzione delle imposte.
4) Liberalizzare rapidamente i set-
tori ancora non pienamente concor-
renziali quali, a titolo di esempio:
trasporti, energia, poste, telecomu-
nicazioni, servizi professionali e
banche (inclusi gli assetti proprie-
tari). Privatizzare le imprese pub-
bliche con modalità e obiettivi pro-
concorrenziali nei rispettivi settori.
Inserire nella Costituzione il princi-
pio della concorrenza come meto-
do di funzionamento del sistema
economico, contro privilegi e mo-
nopoli d'ogni sorta. Privatizzare la
RAI, abolire canone e tetto pubbli-
citario, eliminare il duopolio imper-
fetto su cui il settore si regge favo-
rendo la concorrenza. Affidare i
servizi pubblici, incluso quello ra-
diotelevisivo, tramite gara fra im-
prese concorrenti.
5) Sostenere i livelli di reddito di
chi momentaneamente perde il lavo-
Un calendario, aggiornato, degli
eventi pubblici a Voltana ?
Lo trovi nel sito facendo click in
AGENDA !
ambiti più rilevanti del potere eco-
nomico e politico. Non esiste una
singola misura in grado di farci rag-
giungere questo obiettivo; occorre
agire per eliminare il dualismo oc-
cupazionale, scoraggiare la discri-
minazione di età e sesso nel mondo
del lavoro, offrire strumenti di assi-
curazione contro la disoccupazione,
facilitare la creazione di nuove im-
prese, permettere effettiva mobilità
meritocratica in ogni settore
dell’economia e della società e,
finalmente, rifondare il sistema e-
ducativo.
9) Ridare alla Scuola e all'Universi-
tà il ruolo, perso da tempo, di volani
d e l l ' e m a n c i p a z i o n e s o c i o -
economica delle nuove generazioni.
Non si tratta di spendere di meno,
occorre anzi trovare le risorse per
spendere di più in educazione e
ricerca. Però, prima di aggiungere
benzina nel motore di una macchi-
na che non funziona, occorre farla
funzionare bene. Questo significa
spendere meglio e più efficace-
mente le risorse già disponibili.
Vanno pertanto introdotti cambia-
menti sistemici: la concorrenza fra
istituzioni scolastiche e la selezione
meritocratica di docenti e studenti
devono trasformarsi nelle linee gui-
da di un rinnovato sistema educati-
vo. Va abolito il valore legale del
titolo di studio.
10) Introdurre il vero federalismo
con l'attribuzione di ruoli chiari e
coerenti ai diversi livelli di governo.
Un federalismo che assicuri ampia
autonomia sia di spesa che di entra-
ta agli Enti Locali rilevanti, ma che,
al tempo stesso, punisca in modo
severo gli amministratori di quegli
enti che non mantengono il pareg-
gio di bilancio rendendoli respon-
sabili, di fronte ai propri elettori,
delle scelte compiute. Totale tra-
sparenza dei bilanci delle Pubbli-
che Amministrazioni e delle società
partecipate da Enti Pubblici con
l'obbligo della loro pubblicazione
sui rispettivi siti Internet. La stessa
"questione meridionale" va affron-
tata in questo contesto, abbando-
nando la dannosa e fallimentare
politica di sussidi seguita nell'ulti-
mo mezzo secolo.
dal sito
http://fermareildeclino.it/10proposte
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Sono le armi. Ma tutti sappiamo che non sono proprio le armi.
film e dei videogiochi violenti. Ulti-
mamente ho controllato: i film e i
videogiochi in Giappone sono mol-
to più violenti dei nostri – eppure di solito meno di venti persone l’anno
vengono uccise con armi da fuoco –
nel 2006 addirittura solo due!
Altri diranno che la colpa è delle
separazioni e dei divorzi nelle fami-
glie. Mi spiace dover sfatare
quest’argomento ma nel Regno Uni-
to c’è lo stesso numero di famiglie
separate o divorziate – eppure nel
Regno Unito ci sono meno di 40 uc-
cisioni con arma da fuoco l’anno.
[…] in Germania, una nazione di
80 milioni di persone, ci sono solo
circa 200 omicidi con arma da fuoco
l’anno.
[…] Ma c’è anche un altro proble-
ma. Ci sono tantissime armi da fuo-
co in Canada (soprattutto fucili da
caccia) – eppure in Canada muoio-
no per armi da fuoco non più di 200
persone l’anno. Per vicinanza geo-
grafica, la cultura canadese è molto
simile a quella nostra - i bambini
giocano con gli stessi videogiochi e
guardano gli stessi programmi in
televisione, eppure non crescono
con la voglia di spararsi addosso. La
Svizzera è al terzo posto nella classi-
fica mondiale di numero di armi pro
-capite, ma ha un bassissimo tasso
di uccisioni con armi da fuoco. Allo-
ra: perché noi?
[…] 1.Noi Americani siamo dei
killer incredibilmente abili. Noi crediamo che l’uccidere fa parte dei
nostri compiti. Tre quarti dei nostri
stati applica la pena di morte, anche
se gli stati con il minor numero di
omicidi sono quelli in cui non si ap-
plicano pene capitali.
Le nostre uccisioni non sono solo
storiche (il massacro degli indiani e
degli schiavi e i massacri generali
durante la guerra “civile”). Sono il
modo attuale in cui risolviamo i pro-
blemi quando abbiamo paura.
[…] 2. Siamo un popolo che si
spaventa facilmente ed è facile
manipolarci con la paura. Di cosa abbiamo così paura da farci tenere
300 milioni di armi nelle nostre ca-
se?
Cosa può farci del male?
Perché la maggior parte di queste
armi sono nelle case delle periferie
urbane e delle zone agricole?
Forse dovremmo sistemare i no-
stri problemi razziali e di povertà
(noi, primo paese industrializzato)
e poi forse riusciremo a sentirci
meno frustrati, spaventati, arrab-
biati al punto da aprire il cassetto
ed estrarre la pistola. Forse riusci-
remmo a prenderci cura l’uno
dell’altro.
Sintesi dell’articolo di Michael Moore.
Ai giorni nostri, quasi ogni nazio-
ne ha il suo psicopatico o due che
commettono uccisioni di massa, a
prescindere dalla severità o meno
delle diverse leggi sulla detenzione
d’armi: l’anno scorso in Norvegia il
maniaco sulla supremazia dei bian-
chi, la scorsa domenica, lo stermi-
natore di scolari a Dunblane, Sco-
zia, il killer al Politecnico di Mon-
treal, l’eccidio a Erfurt, in Germa-
nia...l’elenco appare infinito.
[…] Ci sono sempre stati i folli e
sempre ci saranno.
Ma ecco qual è la differenza tra il
resto del mondo e noi: noi abbia-
mo due Aurora che avvengono
ogni singolo giorno di ogni singo-
lo anno! Almeno 24 americani al giorno (8-9,000 l’anno) sono uccisi
da persone armate – senza contare
quelli uccisi accidentalmente da
armi da fuoco o quelli che si tolgo-
no la vita con un’arma da fuoco. Se
consideriamo anche questi rag-
giungiamo la cifra di oltre 25,000
persone.
Questo significa che gli Stati Uniti
sono responsabili di oltre l’80% di
tutte le morti con arma da fuoco
nei 23 paesi più ricchi messi in-
sieme. Considerando che gli abi-tanti di questi paesi, in quanto esse-
ri umani, non sono né migliori e né
peggiori d noi, allora. . . perché
noi?
[…] La destra crede che i Padri
Fondatori, per un qualche mandato
divino, gli abbiano garantito l’ as-
soluto diritto di possedere tutte le
armi da fuoco che vogliono. Sono lì
a ricordarci incessantemente che
non è la pistola che spara da sola:
“Le pistole non uccidono la gente,
è la gente che uccide la gente”.
Ovviamente, sanno di essere in-
tellettualmente disonesti (se mi è
concesso il termine) quando parla-
no così riguardo al Secondo emen-
damento, poiché sanno che chi ha
scritto la Costituzione voleva solo
fare in modo che si potesse orga-
nizzarsi velocemente un “esercito”
raccogliendo agricoltori e commer-
cianti, in caso i Britannici avessero
deciso di tornare indietro e fare
danni.
[…] Diranno che la colpa è dei
L’informazione manipolata serve
a garantire il controllo sociale.
Una volta chi non sapeva, taceva.
Ora, invece, l’informazioni addome-
sticate dà l’illusione di sapere. Così
anche chi è totalmente estraneo ad un
fenomeno o ad un evento si sente di
dover partecipare, di dover dire la
sua, magari con passione o foga.
Il recente raddoppio delle tasse
Universitarie, per gli studenti fuori
corso, è un provvedimento classista.
L’informazione addomesticata non
ha spiegato che i corsi Universitari
sono attivati calcolando gli iscritti
di quell’anno e non i fuori corso.
Ad esempio: se gli iscritti per la pri-
ma volta al secondo anno sono 489
saranno attivati tre corsi di Analisi
Matematica. Poco importa se esistono
altri 46 studenti, ora fuori corso, che
non hanno ancora superato quell’esame. Dunque lo studente
universitario fuori corso non costa
di più. Anzi, ha già pagato un servi-
zio, senza trarne profitto.
Lo studente fuori corso chi è? Per-
ché alcuni studenti vanno fuori corso?
Ci sono studenti … predisposti o che
più facilmente di altri vanno fuori cor-
so? Sì, chi studia e lavora! Chi fre-
quenta da “pendolare”. Tutti studenti
che, per intuibili ragioni economiche,
non possono dedicarsi a tempo pieno
allo studio. Studenti che non possono
concentrarsi, ma che hanno testa e
muscoli per molte ore ad altre fac-
cende destinati. È difficile ottenere
una borsa di studio. E non tutti posso-
no confidare su una “paghetta” ade-
guate alla società dei consumi (senza
rischiare di apparire dei miserabili).
Non resta che lavorare e studiare. “E
se il costo degli studi aumenta?”
“Ragazzi, lavorate di più, oppure alla
carriola!” No, meglio protestare !
di MICHAEL MOORE dal sito www. commondreams.org. Traduzione nel sito www.comedonchisciotte.org.
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La scuola di
ballo latino
americano
SALSARRIBA
and
friends
in … Tournée.
Estate 2012
Il piacere di
ballare,
stare insieme
e
divertirsi !
Più risorse agli ospedali, meno soldi alle armi costi unitari per aereo siano rad-
doppiati dall'inizio della fase di svi-
luppo», ha affermato Francesco Vi-
gnarca, della Rete italiana per il di-
sarmo, uno dei tre grandi soggetti
che hanno promosso questa campa-
gna.
Giulio Marcon di Sbilanciamoci! ha
aggiunto: «Abbiamo un welfare che
sta scomparendo. Con una minima
parte dei soldi risparmiati si po-
trebbero salvare posti letto negli
ospedali, risolvere la questione
degli esodati, mettere in sicurez-
za oltre diecimila scuole, creare
migliaia di posti di lavoro». Men-tre Flavio Lotti della Tavola per la
pace ci tiene a chiarire che «opporsi
a queste armi non è un affare da pa-
cifisti, ma da gente responsabile.
Dobbiamo ridurre il debito pubbli-
co e anche la Difesa deve, finalmen-
te, dare un contributo significativo».
D'altronde, la spesa per questi
cacciabombardieri è inutile e indi-
fendibile. Molti Paesi si sono già
sfilati. Nei giorni scorsi, il Parlamen-
to olandese ha votato una risoluzio-
ne per uscire dal programma. L'Au-
stralia ha rimandato di due anni la
decisione di acquisto. In Canada e
Norvegia sono in corso roventi pole-
miche al riguardo. E anche in Italia
si comincia a reagire, come ricorda
ancora Flavio Lotti: «Dai problemi
tecnici evidenziati addirittura dal
Pentagono alle forti perplessità di
tutti gli altri Paesi partner e alle ine-
sistenti “penali” sulla cancellazione
dell'acquisto, anche l'opinione pub-
blica italiana ha avuto modo di ca-
pire meglio tutti i risvolti del pro-
getto F-35».
La politica, in cerca di consensi,
ha battuto un colpo. Con l'inedita
alleanza tra sinistra pacifista e parti
della destra. «Non capiamo per-
ché sotto la scure non siano cadu-
ti anche i miliardi da spendere
per gli aerei F-35», ha dichiarato
Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera del Pdl.
E Antonio Socci su Libero si chie-
de: «Siamo certi che questi infernali
aviogetti sputabombe siano più
importanti delle medicine e degli
ospedali?».
Attendiamo, con urgenza, una
risposta. Soprattutto dai cattolici in
politica.
Primo Piano, sul n. 30 di
Famiglia cristiana del 23 luglio 2012
Coraggiosi, inflessibili. Quasi
spietati con pensionati, lavoratori,
famiglie con figli e malati. Remissi-
vi, invece, e anche pusillanimi con
ammiragli, generali e vertici
dell'industria bellica. Così non va.
In tempi di crisi non ci sono zone
franche. O terreni minati dove evi-
tare di mettere piede. Se si guarda
fino al centesimo per le spese cor-
renti, si aprano gli occhi sui miliar-
di di euro per riempire gli arsenali.
Se siamo sull'orlo del baratro, per-
ché sperperare i soldi per compra-
re armi? «Svuotiamo gli arsenali e
riempiamo i granai», si sarebbe
detto un tempo. Oggi potremmo
dire: «Più lavoro e meno bombe».
È una questione di buonsenso. Di saggia amministrazione.
C'è un'Italia che non ne può più e
dice basta. Mentre sulla vita delle
persone cala pesantemente la scu-
re, sugli armamenti si dà una leg-
gera sforbiciata. Un po' di fumo per
l'opinione pubblica. Così, 75 mila
cittadini, più di 600 associazioni, 85
enti locali hanno firmato un appello
per cancellare l'acquisto dei cac-
ciabombardieri F-35: 90 velivoli al
costo complessivo di 12 miliardi di
euro. «Tutti i dati dimostrano come i
Francesca FerriFrancesca FerriFrancesca Ferri
al centroal centroal centro: Gilberto, Mila, Tiberio e Mascia: Gilberto, Mila, Tiberio e Mascia: Gilberto, Mila, Tiberio e Mascia
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“Ci pisciano in testa e ci dicono
che piove !”
Marco Travaglio
speculazione, costretti a tirare la
cinghia a colpi di tasse sui cittadini
e tagli sui conti pubblici, si va fa-
cendo sempre più conflittuale e
critico, con la gente per le strade
che inveisce e urla contro i propri
governati e contro quelli europei.
La cosa strana – o curiosa – è che
nulla del genere sta invece acca-
dendo in Italia, dove esiste molta rabbia diffusa, dove c’è un malcon-
tento latente, ma dove non si sono
ancora verificati episodi violenti o
scoppi d’ira collettivi. L’Italia sta
affrontando – ormai è chiaro – diffi-
coltà non minori rispetto alla Gre-
cia e alla Spagna, sta anch’essa sof-
frendo per scelte di politica econo-
mica che hanno impoverito i cittadi-
ni e messo in ginocchio il sistema
delle imprese, ma nonostante ciò
nella Penisola esiste come una stra-
na calma. La rassegnazione – o ma-
gari, si potrebbe dire, il senso di
responsabilità – sembra prevalere
sul senso di malessere e
sull’indignazione. Se così fosse, gli
italiani andrebbero considerati più
maturi degli spagnoli e dei greci,
che non vogliono arrendersi
all’evidenza di una crisi che deve
essere accettata con atteggiamento
stoico in attesa che i problemi ven-
gano risolti.
Si potrebbe anche dire che la pax
italiana, la relativa tranquillità che
ancora si respira nel Bel Paese, di-
pendono dall’esistenza di strutture
sociali intermedie (a partire dai
sindacati) che, per quanto
anch’esse in difficoltà o meno in-
fluenti rispetto al passato, sono an-
cora in grado di canalizzare la pro-
testa sociale verso forme non di-
struttive dell’ordine civile. Così
come si potrebbe buttarla
sull’antropologia e sulla storia per
La Spagna è sempre più sull’orlo
del baratro: lo hanno candidamente
ammesso i suoi governanti. Senza
l’aiuto immediato dell’Unione euro-
pea, si rischia il fallimento, prima
della banche, poi dell’intero siste-
ma economico. In previsione del
peggio, per evitare il collasso re-
pentino dei conti pubblici, sono
state adottate misure draconiane (a
partire dalla riduzione delle tredi-
cesime).
La risposta degli spagnoli al piano
“lacrime e sangue” predisposto dal
governo non si è fatta attendere:
sono immediatamente scesi in
piazza a protestare, in alcuni casi con virulenza, in altre in forme per-
sino bizzarre (come i pompieri che
si sono messi a nudo dinnanzi ai
fotografi). Nelle settimane scorse
c’era stato, come si ricorderà, lo
sciopero dei minatori, che avevano
attraversato in corteo il Paese sino
a Madrid, dove al loro arrivo din-
nanzi ai palazzi del governo sono
scoppiati tafferugli e scontri con la
polizia. E prima ancora era scop-
piato il movimento, pacifico ma non
troppo, degli “indignados”.
Il copione, purtroppo, è quello
che già abbiamo visto in Grecia, dove per mesi – dinnanzi all’acuirsi
d e l l a c r i s i e c o n o m i c a e
all’intensificarsi dei sacrifici impo-
sti dall’Europa in cambio degli aiuti
– è stato un susseguirsi di mani-
festazioni (spesso pacifiche, ma non di rado violente), di scioperi
selvaggi, di proteste solitarie e col-
lettive spesso nel segno della di-
sperazione (alcuni greci si sono
suicidati per strada, in preda allo
sconforto).
Insomma, prima in Grecia, adesso
in Spagna, il quadro sociale dei Pa-
esi sopraffatti dalla crisi e dalla
Per saperne di più visita il sito:
http://www.giampa.it/GCLugo/G
CLugo.asp
sostenere che gli italiani, rispetto
ad altri popoli, sono più conformisti
e inclini all’obbedienza, più abitua-
ti alle angherie e ai soprusi che
possano venire loro dallo Stato.
La mia chiave di spiegazione del
modo quasi eroico con cui gli italia-
ni stanno sopportando di tutto (a
partire da un livello di tassazione
che non ha pari al mondo) è invece
un’altra. È il senso di colpa che ci
rende così stranamente quieti, che
non ci porta a protestare contro un
governo che ci ha imposto – peral-
tro senza alcun risultato apparente
– una micidiale cura da cavallo che
non accenna a finire. Hanno tagliato
le pensioni e non abbiamo detto
nulla. Abbiamo disciplinatamente
pagato l’Imu. Abbiamo accettato
misure di controllo fiscale degne di
uno Stato di polizia. Viviamo nel
terrore di Equitalia, ma cerchiamo
di non darlo a vedere. Altrove in-
sultano banche e banchieri e non
diciamo una parola in pubblico, al
massimo ci lamentiamo in privato.
Ci taglieranno le festività e di sicu-
ro non diremo una parola. Poi forse
sarà la volta delle tredicesime e
accetteremo – c’è da giurarlo – an-
che quest’estremo sacrificio.
Perché? Appunto, per senso di
colpa, perché siamo intimamente
consapevoli del fatto che il disastro
al quale si sta cercando ora di ripa-
rare (senza frutti) l’abbiamo creato
noi stessi, ognuno di noi, gli italiani
presi singolarmente, spesso senza
nemmeno rendercene conto, anno
dopo anno, giorno dopo giorno.
Tutti abbiamo avuto e abbiamo una
quota di responsabilità per la situa-
zione di dissesto nelle finanze pub-
bliche. Abbiamo spolpato lo Stato,
ne abbiamo tratto tutti un qualche
indebito vantaggio, e adesso con
chi dovremmo prendercela se non
con noi stessi?
Siamo tutti colpevoli, quo quota
ovviamente. Quello che non ha mai
pagato le tasse e quello che se le è
ridotte, diciamo così, di sua iniziati-
va, tanto prima o poi ci sarebbe
stato un condono per qualunque
tipo di abuso. Quello che ha avuto
una consulenza pubblica che forse
non gli spettava o che forse non
meritava. Quello che al genitore
anziano ha fatto otte-
Perché gli italiani non scendono in piazza contro la crisi ? di Alessandro Campi
Coloro che chiudono gli occhi sulla
realtà non fanno che sollecitare la
propria distruzione. Chiunque insista
a rimanere in uno stato di innocenza,
quando l'innocenza è morta da tem-
po, si trasforma in un mostro.
James Baldwin
scrittore, saggista, critico sociale. ( Segue a pag. 7 )
Pagina 7 www.voltanaonline.it n. 18 - 2012
Perché gli italiani non scendono in piazza contro la crisi ? di Alessandro Campi
nere l’invalidità gra-
zie ad un amico medico compiacen-
te. Quello che – commerciante, ba-
rista, panettiere, calzolaio, cornicia-
io, idraulico – non ha mai emesso
uno scontrino o una fattura, o ne ha
emessi talmente pochi durante
l’anno da risultare al fisco quasi un
indigente. Quello che lavora alla
Asl, o che ha il cugino usciere al
Ministero, o la sorella impiegata
alla Comunità Montana, o il fratello
autista alla municipalizzata, o la co-
gnata cassiera in banca – e tutti so-
no stati assunti, non per merito o
titoli, ma perché un politico o un
sindacalista ha dato loro la classica
spintarella.
E poi c’è il professore d’università
che ha fatto vincere il concorso da
ricercatore al figlio o alla nipote,
quello che è andato in pensione
con 15 anni sei mesi e un giorno di
contributi e adesso fa il rappresen-
tante di commercio, come un altro
lavoro, rigorosamente in nero, fa
anche l’operaio finito da anni in
cassa integrazione. E poi ci sono il
medico e l’avvocato che pretendo-
no in nero metà del compenso dai
loro clienti, il commercialista che
vive di perizie grazie alle giuste
amicizie in tribunale, il geometra
che sa chi ungere all’ufficio edilizia
del Comune, ecc. ecc.
L’Italia è stata, per decenni, il cir-
co che abbiamo appena abbozzato.
Un paese nel quale tutti si sono fatti
gli affari proprio alle spalle del
prossimo, nella convinzione sog-
gettiva di essere furbi, di non star
facendo in fondo nulla di male, di
( Segue da pag. 6 ) fare quello che in fondo fanno tutti,
e via giustificando se stessi. Sino a
che il conto di tanto scialo con i sol-
di dello Stato (cioè nostri) ci è stato
presentato e lo abbiamo scoperto
non salato, ma salatissimo.
Ecco perché gli italiani non scen-
dono in piazza in massa a spaccare
le vetrine o a insultare il prossimo, a
darsi fuoco o ad assaltare gli edifici
pubblici. Se lo facessero, da un lato
si vergognerebbero come cani,
dall’altro gli verrebbe anche un po’
da ridere. Non è il senso di respon-
sabilità a trattenere la nostra rabbia,
ma quel che ci resta di senso della
decenza.
Articolo di Alessandro Campi
Pubblicato nel sito
http://www.istitutodipolitica.it/
Dove inizia la società nuova di Roberto Mancini Infine abbiamo gli attivisti, quelli che alla critica del capitalismo uni-
scono un impegno quotidiano per
umanizzare l’economia.
Pur con tutta la simpatia per questi
ultimi, bisogna dire che una vera
visione alternativa e una spiritualità
radicalmente purificata dai deliri
dell’homo oeconomicus sono rarissi-
mi, o devono ancora nascere. Dob-
biamo ammettere che quando ci è
chiesto quale sia un modo del tutto
differente di vivere economia e so-
cietà, balbettiamo.
A me sembra però che un luogo
dove andare, per cominciare a ve-
dere, ci sia. Il luogo, la soglia
d’accesso a un’autentica saggezza,
è lo sguardo delle bambine e dei
bambini, è la prospettiva delle nuo-
ve generazioni.
[…] Fraintendendo la vulnerabilità
dell’infanzia, che viene disprezzata
e rimossa, gli adulti non vedono la
forza del rinnovamento e l’impulso
alla vita vera che le nuove genera-
zioni ci comunicano. E non vedono
perché hanno spezzato, nella loro
storia interiore, il legame con il
bambino o la bambina che sono sta-
ti. Dopo di che è ovvio che non sap-
piano neppure immaginare le con-
dizioni concrete per passare dalla
società sotto il mercato alla società di
tutti.
Per capire che cosa potremmo
[…] il Mercato sta uccidendo la
società e la natura, le persone e
l’umanità intera. Gli atteggiamenti
prevalenti, in questo contesto, sono
diversi.
Anzitutto ci sono gli ignari, cioè tutti coloro che, semplicemente, o
non capiscono o non si pongono il
problema: prendono gli eventi eco-
nomici come se fossero un dato di
natura, come il temporale, la neve,
il terremoto.
Quindi ci sono i fanatici, i fonda-mentalisti del Mercato, che contro
ogni dato di realtà si aspettano pro-
gresso e salvezza da questo mecca-
nismo impazzito.
Più concreti di loto ci sono i pro-
fittatori, quelli che si arricchiscono sfruttando le iniquità della situazio-
ne esistente.
Poi ci sono i riformisti. Hanno l’aria di saperla lunga, raccoman-
dano di far funzionare bene il mer-
cato, di fidarsi della sua etica intrin-
seca, perché così tutto si risolverà.
Abbiamo, inoltre, i rassegnati. Essi si sono accorti del male indotto
dal capitalismo assoluto. Per narra-
re il loro sgomento ci vorrebbe
un’opera analoga a ‘La peste’ di
Albert Camus. E tuttavia, questo
sano sgomento sfocia poi nella ras-
segnazione, nella persuasione
dell’impossibilità di trovare una via
nuova per l’economia e la società.
imparare dallo sguardo di chi è pic-
colo, dobbiamo meditare sul fatto
che lo sguardo dei bambini trova
normale il bene, mentre quello
dell’adulto trova normale il male.
Restare in questo delirio di sog-
getti formalmente adulti, ma inte-
riormente spenti e disintegrati, si-
gnifica non saper tutelare più nessu-
no, né gli altri, né se stessi, né il fu-
turo.
Per vedere la via verso un’altra
economia dobbiamo ascoltare le
bambine e i bambini, re-imparare
dal loro cuore e dalla loro voce i
passaggi di quel realismo del bene
comune che ci è diventato estraneo,
poiché ogni logica deriva per noi
dalla follia del Mercato assoluto.
Allora, se avremo il coraggio di
specchiarci nel volto di chi è più
piccolo - non importa se fino a quel
momento eravamo ignari o fanatici,
profittatori o riformisti, rassegnati o
attivisti—, potremmo mandare al
diavolo le Borse, il Prodotto Interno
Lordo, lo spread, le agenzie di
rating, la flessibilità, la competitività
e tutte le trappole del Mercato omi-
cida. E credo che per prima cosa
scopriremo che abbiamo mani, ma-
ni per costruire tutta un’altra socie-
tà. E nel cuore un grande desiderio
di felicità da vivere insieme.
Sintesi dell’articolo di Roberto Mancini
pubblicato sul n. 140 di Altreconomia
Pagina 8 www.voltanaonline.it n. 18 - 2012
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