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Francesca Salis email:[email protected] 1 Francesca Salis “Delle usanze maritali” nel Campidano di Cagliari Dal che voi vedete quanto degli antichissimi riti abbiano custodito i Sardi nella solennità de' maritaggi: riti che contengono la storia non solo della divina istituzione, ma degli esordi altresì della prima civiltà delle genti occidentali. Tradizioni importantissime, che i Sardi senza punto conoscerlo, ci conservarono inviolate. [Bresciani, Dei costumi dell’Isola di Sardegna] 1.1 Premessa L’area denominata Campidano di Cagliari corrisponde approssimativamente ai territori dell’area cagliaritana, cioè di quell’area che può essere identificata “nel territorio compreso nei limiti di una circonferenza che, con centro in Cagliari, si stenda per un raggio di una ventina di chilometri” [Alziator, 1984:15]. È un’estensione che si presta facilmente ad essere delimitata come unità di ricerca, in quanto relativamente omogenea dal punto di vista geografico, storico, linguistico, economico e delle tradizioni culturali. Fin dalle origini tale estensione è stata sottoposta alle medesime influenze culturali, derivanti dalla sudditanza a uno stesso centro politico e ecclesiastico e favorite dalla presenza di una vasta area pianeggiante che ha consentito scambi relativamente facili e frequenti tra i vari paesi della zona, come pure una medesima lingua, la variante campidanese della lingua sarda. Alziator propone alcuni esempi a dimostrazione di questa uniformità: il tipo della casa a pianta rettangolare che gravita sul cortile interno, il tipo del vestiario, sia maschile che femminile, i motivi dell‟oreficeria popolare, i motivi del patrimonio leggendario tradizionale, la diffusione e la persistenza della 0.1 Comuni del Campidano di Cagliari

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Analisi storico - antropologica delle tradizioni nuziali nell'area del Campidano di Cagliari, Sardegna.

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Francesca Salis email:[email protected] ▪ 1

Francesca Salis

“Delle usanze maritali” nel Campidano

di Cagliari

Dal che voi vedete quanto degli antichissimi riti abbiano custodito i Sardi nella

solennità de' maritaggi: riti che contengono la storia non solo della divina

istituzione, ma degli esordi altresì della prima civiltà delle genti occidentali.

Tradizioni importantissime, che i Sardi senza punto conoscerlo, ci

conservarono inviolate. [Bresciani, Dei costumi dell’Isola di Sardegna]

1.1 Premessa

L’area denominata

Campidano di Cagliari

corrisponde

approssimativamente

ai territori dell’area

cagliaritana, cioè di

quell’area che può

essere identificata “nel

territorio compreso nei

limiti di una

circonferenza che, con

centro in Cagliari, si stenda per un raggio di una ventina di chilometri” [Alziator,

1984:15].

È un’estensione che si presta facilmente ad essere delimitata come unità di ricerca, in

quanto relativamente omogenea dal punto di vista geografico, storico, linguistico,

economico e delle tradizioni culturali. Fin dalle origini tale estensione è stata sottoposta

alle medesime influenze culturali, derivanti dalla sudditanza a uno stesso centro

politico e ecclesiastico e favorite dalla presenza di una vasta area pianeggiante che ha

consentito scambi relativamente facili e frequenti tra i vari paesi della zona, come pure

una medesima lingua, la variante campidanese della lingua sarda. Alziator propone

alcuni esempi a dimostrazione di questa uniformità:

il tipo della casa a pianta rettangolare che gravita sul cortile interno, il tipo del

vestiario, sia maschile che femminile, i motivi dell‟oreficeria popolare, i motivi

del patrimonio leggendario tradizionale, la diffusione e la persistenza della

0.1 Comuni del Campidano di Cagliari

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launedda nella musica popolare, una sostanziale unità nella paremiologia, nella

religiosità popolare, nella gastronomia ed in non poche manifestazioni del ciclo

dell‟uomo e dell‟anno [Alziator, 1984:32]

Non esistono al momento studi che si occupino in modo specifico delle usanze

matrimoniali nell’isola. Affrontarne lo studio significa dunque fare i conti con una

documentazione scarsa e lacunosa, per di più prodotta con fini e metodologie

eterogenei. Inoltre, la scelta di circoscrivere l’ambito di approfondimento a una

specifica zona complica ulteriormente la ricerca. Gli studi concernenti l’area

campidanese sono senza dubbio pochi, specialmente se si prendono in considerazione

i lavori dedicati alla raccolta e all’analisi delle tradizioni popolari, fatto tra l’altro

costantemente evidenziato dagli autori presi in esame.

È opinione diffusa che la “vera” Sardegna sia altrove, la “sardità” viene presentata - nei

dépliant turistici, alla televisione, nei discorsi quotidiani - come una qualità localizzata

per lo più nel nuorese e specie tra i pastori (cfr. Satta 2003). Tendenza che coinvolge

anche gli studiosi; basterebbe una rapida occhiata nelle biblioteche sarde per

accorgersi della netta predilezione per lo studio delle zone più interne dell’isola, più

“tradizionali”1. Il Campidano appare, al confronto, un’area poco conservativa, da

sempre soggetta alle mode “continentali” del momento, per cui l’attenzione a esso

rivolta è di natura per lo più storica e sociologica, mentre l’elemento folklorico è

trascurato.

Nel tentare una ricostruzione il materiale utilizzabile è essenzialmente di tre tipi

differenti: i resoconti dei viaggiatori dell’Ottocento in Sardegna, il diritto ecclesiastico

locale, i saggi storici e antropologici pubblicati a partire dagli anni ’70.

Il primo tipo di fonti ha il vantaggio di fornire una testimonianza diretta, di prima mano,

su realtà culturali ormai scomparse, la cui descrizione è spesso molto dettagliata. Tale

materiale ha però tutti i limiti della tradizione della letteratura esotica e di viaggio a cui

appartiene di diritto: è costituito da resoconti di politici, uomini di chiesa, esploratori,

geografi, che non possiedono un’adeguata preparazione di tipo antropologico e non

sono guidati da un progetto scientifico esplicito e coerente. L’attenzione tende a

1 Angioni è stato uno dei primi antropologi a riequilibrare il quadro degli studi sulla Sardegna,

pubblicando diversi importanti lavori sul lavoro contadino, per di più su aree sarde sino a quel momento

poco studiate, tra cui ad esempio Rapporti di produzione e culture subalterne. Contadini in Sardegna,

Edes, Cagliari, 1974 e Sa Laurera. Il lavoro contadino in Sardegna, Edes, Cagliari, 1975.

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concentrarsi sulla diversità, sulla raccolta di curiosità folkloriche di tipo aneddotico,

espressione di una realtà selvaggia nei cui confronti l’atteggiamento varia dalla

condanna morale, alla spiegazione tramite pregiudizi, allo stupore divertito. La cautela

nell’utilizzo di questo materiale è quindi d’obbligo: si rischia di attribuire ai più il

comportamento di una minoranza, di estendere a tutte le classi sociali il

comportamento di una sola, a tutta un’area un’usanza di paese. Da questo punto di

vista tale letteratura offre un’immagine omogenea di cultura che non soddisfa la ricerca

di una verosimiglianza storica: è un’impresa riuscire a determinare l’estensione di

un’attività o di un’usanza in termini di spazio, di tempo, di classe sociale. Inoltre,

spesso le osservazioni contenute in questi lavori non derivano da osservazione diretta,

bensì dal plagio, dal riassunto spesso erroneo, e altrettanto spesso non dichiarato, di

passaggi di opere di viaggiatori precedenti2.

Una grande quantità di notizie sulle usanze relative al matrimonio si ricava in maniera

indiretta dalle fonti ecclesiastiche: documenti di diritto ecclesiastico locale, annotazioni

nei Quinque Libri3, atti matrimoniali, manuali di catechismo. I divieti, le prescrizioni e le

punizioni con cui la Chiesa tendeva a regolamentare la condotta dei fedeli svelano

quale fosse il reale comportamento delle persone registrando con estrema precisione

le circostanze dell’evento da sanzionare e i dati delle persone coinvolte. Sempre a

differenza dei resoconti di viaggio, l’analisi dei documenti della Chiesa richiede una

discreta preparazione, che consenta di attivare la giusta chiave di lettura del testo,

eliminare le considerazioni negative espresse da parte dei redattori, capire il significato

nascosto dietro le circonlocuzioni e le formule utilizzate. Da tale documentazione

possiamo ricavare ciò che si dovrebbe fare (e con quali modalità) e ciò che non si

dovrebbe fare ma si fa lo stesso (con quali sanzioni), ma ben poco possiamo

conoscere a proposito di quei comportamenti ritenuti talmente normali, ovvi, tali da non

aver bisogno di essere prescritti esplicitamente, o al contrario di essere vietati in

quanto accettati anche dalla Chiesa.

2 A questo riguardo si veda Delitala, 1981

3 Sono così chiamati i registri parrocchiali che in seguito alle normative emanate dal Concilio di Trento

ogni parroco era tenuto a compilare e aggiornare costantemente. I registri parrocchiali erano composti da

cinque libri (da cui il nome): il libro dei battesimi, delle cresime, dei matrimoni, dei defunti, dei confessati

e comunicati (il quale era suddiviso in stati d‟anime, elenchi nominativi, dichiarazioni generiche del

parroco). Fonte: Anatra, Puggioni, 1983

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È solo a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, che la ricerca storica e antropologica

si mostra più attenta nei confronti di questioni quali il matrimonio e la famiglia nella

Sardegna “tradizionale”. Rispetto ai lavori precedenti, di carattere prevalentemente

descrittivo e documentario, questi cercano di stabilire il senso delle regolarità

statistiche: le strategie matrimoniali, la struttura delle famiglie, il ruolo della parentela, in

contesti ben delimitati in termini di spazio e di tempo. Il più utile in questo caso è

sicuramente Famiglia e matrimonio nella società sarda tradizionale a cura di Anna

Oppo, raccolta di saggi scaturiti da un convegno dallo stesso titolo tenutosi a Cagliari

nel 1988. Purtroppo, però, per ovvie ragioni, le testimonianze degli informatori sono

limitate temporalmente al XX, o, al massimo, alla seconda metà del XIX secolo.

Per limitare i possibili errori di fraintendimento del testo, legati alla natura e

all’eterogeneità del materiale di ricerca, si è privilegiato un approccio di tipo selettivo

nella lettura dei documenti. Partendo dalle informazioni ricavate dal lavoro di ricerca sul

campo, su ciò che sanno o ricordano le generazioni viventi a proposito delle

consuetudini relative a nozze e fidanzamento, si è proceduto all’analisi della letteratura

di viaggio, dando la precedenza al materiale che facesse esplicito riferimento a paesi

del Campidano di Cagliari, ma utilizzando anche quanto riferito alla Sardegna in

generale, in cui fosse possibile riconoscere elementi della tradizione campidanese. Per

quanto riguarda il resto delle fonti, la cui contestualizzazione è stata meno

problematica, mi sono limitata a una selezione sulla base del criterio geografico.

Ciò premesso, si può ora passare ad esaminare il contenuto delle opere che si

occupano di fidanzamento e matrimonio in area cagliaritana.

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1.2 Su fastigiu - Il corteggiamento

Come è noto, la letteratura antropologica sul matrimonio è vastissima. A seconda della

prospettiva con la quale si è affrontato il tema, l’istituzione matrimoniale risulta essere

uno dei mezzi privilegiati per sanare conflitti diversamente non sanabili tra famiglie

rivali, un modo per spartirsi il potere con un accordo anziché con una lotta aperta, un

espediente per non frammentare il patrimonio economico familiare. La scelta del

coniuge non appare mai totalmente libera, in quanto ampiamente condizionata da

elementi quali la difesa di posizioni sociali, le norme morali vigenti, la salvaguardia del

patrimonio economico4. Nella Sardegna tradizionale la questione coinvolgeva

solitamente il parentado, impegnato al fine di conseguire il risultato più soddisfacente

dal punto di vista della posizione sociale e del vantaggio economico, ma coinvolgeva

anche la comunità che poteva stigmatizzare la scelta con più o meno pesanti sanzioni

sociali5. Lascerei dunque da parte le questioni relative al grado di libertà individuale

nella scelta dei pretendenti, poiché difficilmente le questioni relative al fidanzamento e

al matrimonio erano decise unicamente dai diretti interessati. Va comunque precisato

che vere e proprie forme di strategie matrimoniali erano per lo più limitate ai “ceti

proprietari”.

“Calidadi cun calidadi”6, come si sente ripetere ancora, ossia l’endogamia sociale prima

di tutto. Anche quando si diffonde la moda del corteggiamento - una pratica sociale che

si afferma in Sardegna, come nel resto d’Europa, a partire dal XVIII secolo - questo è

rigidamente sottoposto al rispetto della separazione tra le classi. Gli incontri tra i

giovani dei due sessi sono sottoposti a un severo controllo affinché avvengano

4 Per un approfondimento di queste tematiche si rimanda a Zonabend, 1988.

5 Un esempio concreto di come le questioni relative alla fondazione di una nuova famiglia non

riguardassero solo i diretti interessati e le loro famiglie, ma l‟intera comunità, deriva dalla disamina di

Gallini (1977, secondo capitolo) delle forme di charivari in Sardegna. L‟infrazione della norma che

prevedeva che la famiglia fosse monogamica oltre la stessa morte di uno dei partner e che la sessualità

fosse finalizzata alla procreazione legittima, era oggetto di una plateale disapprovazione pubblica che

prendeva il nome di sa coredda (o suo equivalente linguistico). Nei casi di seconde nozze di un vedovo o

una vedova, nozze di un anziano con una giovane, cambiamento di fidanzato di una ragazza, gravidanza

illegittima, cioè nei casi di famiglia “rotta” (per morte di uno dei due membri o per abbandono di uno dei

due fidanzati) ricomposta su altre alleanze, e nei casi di famiglia incompleta (perchè formata solo di

madre e di figlio), veniva organizzata una chiassata satirico-ingiuriosa davanti alla casa dei colpevoli di

infrazione delle norme morali, della durata di alcuni giorni. 6 Nel vocabolario del Canonico Giovani Spano il termine sardo calidadi è tradotto come “qualità, stato,

condizione”.

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nell’ambito di famiglie dello stesso ceto7. Pillai [1991:44] rileva forme di endogamia

tecnica, per cui i vignaioli sposano figlie di vignaioli, i muratori figlie di muratori, mentre

Alziator [1963:65], accenna a una forma di endogamia non di paese, ma di rione,

diffusa a Cagliari “a tal punto da stabilizzare, anche fisiognomicamente, il tipo di ogni

quartiere”.

Purché sia rispettata questa condizione, si può far posto anche all’amore romantico:

Già nel XVIII secolo, similmente a quanto accadeva in altre parti d‟Europa

“anche tra il popolo si diffonde il linguaggio dell‟amore-passione” e sempre più

spazio si riserva agli slanci del cuore, alle passioni travolgenti, il tutto unito alla

superstizione che i figli dell‟amore nascano più belli degli altri. [Pillai, 1991:46-

47]

La lunga dominazione spagnola in Sardegna ha fatto sì che soprattutto nell’area

cagliaritana l’amore sia stato concepito alla maniera del galanteo spagnolo. Il carattere

tipicamente spagnolo dell’amoreggiare in area cagliaritana sarebbe testimoniato da

molteplici termini e espressioni: primo fra tutti il termine fastigiu (da cui il verbo

fastigiai). Il sostantivo fastigiu deriva dallo spagnolo fasteig o dal catalano festej, che

indica il “far festa, rendere omaggio, fare la corte, galanteggiare” [Alziator, 1963:65;

Caredda, 1993:33].

Sino alla metà del secolo scorso, il termine fastigiu è servito a indicare le forme

attraverso cui poteva esprimersi il corteggiamento cagliaritano: solitamente tra strada e

balcone, poteva essere del tutto muto, fatto di soli sguardi, oppure per cenni e

attraverso il linguaggio dei gesti, i più intraprendenti si servivano di un rudimentale

telefono, costruito con dei barattoli uniti da spaghi tesi. Alziator sottolinea come la

distanza tra i due giovani sia una discriminante di classe: a classe più elevata

corrisponde una maggiore e più rigida distanza. Il fastigiu si esprime anche attraverso

le serenate che il giovane, accompagnato da chitarra, mandolino o mandola, dedica

alla sua bella. Alcune di queste serenate di corteggiamento sono giunte sino a noi,

raccolte da scrittori italiani e stranieri.

Saper gestire i propri spasimanti è una questione di abilità e intelligenza. Le donne che

si espongono troppo rischiano di essere occasione di critiche e di scherzi da parte della

7 A questo proposito ci si potrebbe chiedere, con Angioni (1990:18) se l‟endogamia di ceto vada intesa

come una “una forma di dominanza delle esigenze della famiglia, della parentela” o invece come “una

forma di dominanza, di ingerenza, dei rapporti di produzione, di proprietà, anche all‟interno dei rapporti

di parentela”.

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comunità, fatto che può pregiudicare l’onore di una donna e quindi ogni sua possibilità

di accasarsi. In ogni modo, dal XVIII secolo, la diffusione di alcuni modi di dire mostra

che le donne non sono più disposte ad accettare passivamente le imposizioni dei

genitori o le pretese degli spasimanti, come nei secoli precedenti; la donna si appropria

della libertà di donai crocoriga8, donai ciascus9, donai su pagliettu10, tutte espressioni

per indicare che la ragazza respinge il corteggiamento. Si dice che le forbicine appese

nella cintola di ogni donna, oltre alla funzione di tagliare i fili del cucito, avessero anche

un significato simbolico: ai corteggiatori non graditi venivano mostrate nell’atto di

tagliare11. I pretendenti respinti si vendicavano con canzoni infamatorie (cantai de

malas), imbrattando le porte, sparando schioppettate in direzione della casa della

donna.

All’irrompere di una maggiore libertà nei rapporti tra i due sessi, una lunga serie di

disposizioni normative tenta di ristabilire la sottomissione all’autorità familiare. Si

rafforza la consuetudine per la quale è consentito al padre rinchiudere in convento i figli

che si fossero messi a corteggiare donne di condizione sociale diversa dalla propria,

oppure che volessero sposarsi senza il loro permesso. Si aggrava la condanna per le

canzoni infamatorie, punite con mesi di carcere. Baci e abbracci in pubblico continuano

a non essere permessi né dal costume, né dalle leggi [Pillai, 1991:47].

1.3 La figura del paralimpu

Quando un giovane proprietario del Campidano vuole sposare una ragazza d‟un

paese vicino e di condizione pari alla sua, cerca prima di tutto di avere il consenso

del proprio padre12

8 Dal greco korkoros, crocoriga o corcoriga è il termine campidanese con il quale si indica la zucca;

donai, pigai c. significa “dare (o prendere) un rifiuto” (in amore), calco sullo spagnolo dar calabazag.

Vedi Spano, 1972:171 e Wagner, 1989:380. 9 Il termine ciàscu è tradotto sia da Spano [1972:157] sia da Wagner [1989:445] come “scherzo, burla,

dispetto”. Secondo Alziator [1963:65] l‟espressione donai ciascus deriva dall‟espressione spagnola dar

chasque, “disingannare”. 10

Wagner [1989:208] assegna un senso dispregiativo all‟espressione campidanese donai su paliéttu che

traduce con “mandar via, dar la gambata (specialmente in fatto di amore)”. 11

Puxeddu in Camboni (a cura di), 2000:154 12

Della Marmora 1826, ediz. 1995:105. Alberto Ferrero conte di La Marmora (Torino 1789- ivi 1863).

Generale piemontese, il La Marmora trascorse lunghi periodi della sua vita in Sardegna come comandane

militare. Alle sue eccelenti capacità di studioso si devono il Voyage e l‟Itinéraire, e inoltre la costruzione

di una carta della Sardegna (1845) che è stata per oltre mezzo secolo la più perfetta rappresentazione

cartografica della Sardegna. Il nome di Alberto Ferrero conte di La Marmora si trova citato a volte come

La Marmora, altre come Lamarmora oppure Della Marmora; in questo lavoro si è scelto di usare l‟ultimo

tipo di trascrizione.

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Questi, se ritiene che la ragazza sia degna dell’attenzione del ragazzo, chiama una

persona di fiducia che si presti a saggiare il parere della famiglia di lei. Alziator [1963]

sostiene che sia il padre o il tutore di lui a recarsi direttamente a casa della famiglia di

lei, ma probabilmente questo avveniva solo quando si era già sicuri dell’esito positivo

della richiesta; il rischio di subire un rifiuto fungeva da deterrente nei casi incerti. Un

rifiuto esplicito e diretto sarebbe stato un affronto imperdonabile, cui ovviava la figura

dell’intermediario (di cui si poteva disconoscere l’operato).

Tutta la letteratura in materia tende a soffermarsi sulla figura degli intermediari. Alziator

scrive di “comari compiacenti, vere professioniste in materia, precisa edizione

cagliaritana delle casamenteras spagnole” cui si ricorreva in contesti urbani, mentre

nell’area non urbana “esisteva il paralimpu, che a nozze concluse riceveva in dono un

paio di scarpe” [Alziator, 1963:67]. Lai Roggero [1995:63] ne descrive le caratteristiche:

la paraninfa doveva possedere la parlantina facile ed essere dotata di una certa

dose di diplomazia e di molta discrezione.

Nonostante le proibizioni ecclesiastiche, su cui ci soffermeremo più avanti, questa

funzione era spesso assegnata ai sacerdoti: come esempio si può citare quanto

affermato nel sinodo celebrato nel 1576-77 a Cagliari in cui si impone tassativamente

ai curati

sotto pena di dieci denari a non immischiarsi in nessun modo nella trattazione dei

matrimoni come intermediari […], a non intromettersi in alcuna maniera e a non

portare dall‟una all‟altra parte nessun segno d‟oro o d‟argento o qualunque altro

dono13

Uomo o donna, si trattava comunque di una figura che doveva aver facile accesso alla

casa della donna, per non destare sospetti sul vero oggetto della sua visita. Questi,

ricevuto l’incarico, si recava a casa della giovane prescelta, di preferenza a sera

inoltrata, per dare meno nell’occhio. Dopo i “necessari” convenevoli,

entrava subito in argomento, e con molta abilità metteva in evidenza le doti del

richiedente, sottolineando in particolare i suoi pregi e le sue qualità [Lai Roggero,

1995:63]

La risposta alla richiesta era solitamente differita nel tempo (Lai Ruggero precisa: non

prima di “due settimane”) anche in caso di risposta affermativa, affinché il parentado

13 Synodus Diocesana Calaritana, (D.F.Perez, 1576-77), Decretum II (De requisitis ad matrimonium certe

contrahendum), cap.V, citato in Pala, 1985:67

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potesse accertare l’assenza di impedimenti di alcuna sorta all’unione dei due giovani.

Una frase è rivelatrice della posizione della donna in tutta la vicenda:

alla giovane interessata non era consentito mostrare un eccessivo compiacimento

[Lai Roggero, 1995:63]

1.4 Sa pregunta - La domanda della sposa

Se la famiglia di lei si mostrava favorevole all’unione dei due ragazzi, il passo

successivo era la visita ufficiale da parte dei genitori di lui in casa della ragazza, per

regolare le questioni relative a eredità e proprietà destinate ai futuri sposi. Giunti a un

accordo, si stabiliva il giorno per la richiesta ufficiale di matrimonio, chiamata sa

pregunta (o precunta), dal verbo spagnolo “preguntar”, cioè chiedere.

Il giorno fissato, parenti e amici dello sposo si recano in abito di festa a casa della

futura sposa. Giunti sulla soglia della casa, ci si accorge che il portone è sbarrato e

nessuno risponde al ripetuto bussare,

da dentro la casa s‟inizia a dare una qualche risposta ai pretendenti solo quando

questi, dopo aver bussato ripetutamente, fanno finta di spazientirsi. Gli si chiede

che cosa vogliano e che cosa portino e la risposta è: “Onore e virtù”. A questo

punto la porta viene aperta e il padrone di casa, facendo credere di non sapere di

averli fatti attendere, li accoglie nella stanza degli ospiti dove è riunita tutta la

famiglia in abito da festa [Della Marmora 1826, ediz. 1995:105]

Nel resoconto di Smyth, questo momento è seguito da

un profondo silenzio finché uno dei più anziani, di provata onestà, invitato

espressamente, chiede la ragione per la quale c‟è tanta buona gente in casa

dell‟amico [Smyth in Boscolo (a cura di), 2003:92]

La persona incaricata, che può essere il padre dello sposo, lo sposo stesso o un altro

uomo, risponde affermando di avere bisogno di aiuto per ritrovare un animale perduto

(o rubato? 14) che ritengono si sia nascosto nella casa.

La richiesta ufficiale di matrimonio collega la tradizione popolare sarda alla tradizione di

buona parte dell’Europa. Il rito della fidanzata nascosta è conosciuto in Francia come

fiancée cachée o substituée, in Inghilterra come mock bride, nel mondo germanico con

la falsche braut; si tratta in sostanza di un dialogo nel quale la richiesta di matrimonio è

14 In Animali perduti. Abigeato e scambio sociale in Barbagia (1989:129 e sgg.) Caltagirone mette in

evidenza come questa fase della cerimonia del fidanzamento possa essere descritta come una vera e

propria azione di abigeato. Tra le diverse similitudini si nota ad esempio che la dichiarazione riguardante

l‟aver perduto del bestiame è la stessa che si usa per la ricerca del bestiame rubato (“in circa „e

perdimentu” nel dialetto barbaricino)

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trasfigurata nella scusa della ricerca di un animale smarrito [Alziator, 2005:41]. In

alcuni casi, l’animale che simboleggia metaforicamente la donna è un’agnella, altre

volte una colombella, una pecora o una giovenca; ciò che accomuna questi animali è il

fatto di essere di sesso femminile e di essere solitamente bianchi, per evidenti ragioni

simboliche legate all’idea di purezza, castità, ecc..

Un esempio del discorso dell’uomo è il seguente:

Siamo venuti per chiedere il vostro aiuto, affinché possiamo ritrovare la

colombella smarrita che cerchiamo da lungo tempo. Essa è così bella, così

modesta, così dolce ed unica, che la vita senza di lei non ha più senso. Siamo

sicuri che si trova in questa casa, perciò non andremo via se prima non la

consegnerete a noi [Lai Roggero, 1995:64]

Il padrone di casa può far finta di non capire, e presentare uno alla volta i propri figli

maschi e poi le figlie femmine dicendo “Cercate questo?” finché nella stanza viene

portata la futura sposa, tenuta nascosta fino a quel momento, accolta dalle

esclamazioni di gioia di amici e parenti del fidanzato.

1.5 Fidanzamento o matrimonio?

Secondo i resoconti di alcuni viaggiatori dell’800, la domanda della sposa ha luogo in

un giorno diverso da quello del fidanzamento ufficiale, mentre per altri ne costituirebbe

parte integrante. Nel primo caso, il cerimoniale prevede che si fissi il valore dei

rispettivi doni e il giorno in cui si farà lo scambio, nell’altro si procede direttamente al

reciproco scambio.

Tali doni sono chiamati segnali, dal latino “signa”, “senyals” in catalano. La ragazza,

invitata dal padre, consegnava al futuro suocero il dono destinato al fidanzato; il

suocero ricambiava con un altro dono. Il dono per la ragazza consisteva generalmente

in elementi del vestiario oppure gioielli.

Un tipo di anello di fidanzamento molto diffuso era il maninfide, di origine bizantina, il

cui nome significherebbe “le mani (strette) in (atto di) fede”, dal fatto che sulla lamina

sono incise due mani che si stringono; la stretta di mano simboleggia il patto d’amore

suggellato15. Pare che nella Sardegna tradizionale gli uomini non usassero anelli, per

cui, all’atto di ufficializzazione del fidanzamento, la promessa sposa donava non un

15 Gometz, 1995:61. Nella stessa pagina aggiunge che “un tempo, in quasi tutti i paesi dell‟isola, non era

consentito alle donne non maritate o non fidanzate portare l‟anello, che era il simbolo esteriore della

donna che aveva contratto un patto di fede o il vincolo matrimoniale”.

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anello, bensì oggetti quali elementi del vestiario, gioielli o anche un coltello finemente

lavorato. Secondo Gometz [1995:63] la donna metteva nella mani dell’uomo il coltello,

cioè un’arma di difesa (oltre che strumento di lavoro quotidiano), “quasi a pretendere

dal futuro sposo protezione e difesa”.

Ciò che segue è di grande interesse perché è stato frainteso dalla stragrande

maggioranza degli studiosi. Viene detto che

durante il pranzo che segue, i due giovani mangiano nello stesso piatto e, da

questo momento, si considerano come uniti da un vincolo indissolubile

[Bottiglioni, 2001:29],

mutavano di abito, mettendo alcuni capi di abbigliamento propri degli sposati [Loi

S., 1988:133],

il fidanzamento ha luogo generalmente in presenza del rettore o di un altro

sacerdote, per conferirgli maggiore validità [Smyth in Boscolo (a cura di),

2003:92],

il fidanzamento veniva festeggiato quasi al pari di un matrimonio [Lai Roggero,

1995:65],

inoltre viene riferito che al fidanzamento segue

spesso una lunga convivenza dei fidanzati more uxorio avanti il matrimonio,

senza che la coscienza comune trovi alcunché da riprovare […] Quello che

avviene durante questo periodo non è più fatto della comunità, ma rientra negli

affari personali dei due [Alziator 2005:38 e sgg.]

la donna iurata era già considerata come appartenente allo sposo. Dada sa

paraula, questi poteva anche possederla senza riprovazione salvo a subire le

conseguenze della vendetta se fosse venuto al suo impegno: la violenza usata da

altri sulla sposa fu pareggiata a quella usata sulla donna maritata.16

Detto questo, viene da chiedersi: non sarà che quello che gli studiosi chiamano

fidanzamento o “sponsali” sia piuttosto da intendere come un vero e proprio

matrimonio?

Di Tucci [1922:13-17] si interroga sulla questione, avanzando delle ipotesi che però

non lo convincono del tutto. Gli sponsali sardi sarebbero costituiti da una combinazione

di elementi: su di un fondo romano si innesterebbero consuetudini germaniche con

altre di incerta provenienza, nel dubbio attribuite all’inventiva dei sardi. Come gli

sponsalia romani, si tratterebbe di una promessa di matrimonio, ma diversamente dalla

16 Citazione di Besta, La Sardegna medievale, Palermo, Reber, 1908:171, in Murru Corriga [in Oppo (a

cura di), 1990:237]

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12 ▪ Francesca Salis email: [email protected]

tradizione romana, richiede una forma speciale e un tipo di contratto particolare. Il

contratto stabilisce il periodo approssimativo delle nozze, ma non prevede un limite

massimo di tempo, a differenza dei due anni contemplati sia dal diritto romano, sia dal

diritto longobardo; fissa il regime economico dei coniugi: “la dote”, per il sistema dotale,

la comunione generale per i matrimoni a ladus a pare, quella degli utili per i matrimoni

assa sardisca”; impone una sanzione in caso di scioglimento della promessa, per cui, a

differenza del fidanzamento romano, ma similmente alle usanze longobarde, ha

carattere di obbligazione. Non è stipulato direttamente dalle parti, ma dai genitori, che

assumono la posizione di fideiussori rispetto alle future nozze dei figli; la figura dei

genitori è quindi equiparata a quella dei “mundualdi” del diritto germanico, piuttosto che

a quella di “paterfamilias” romani, anche se poi è difficile spiegare come mai, a

differenza degli sponsali “barbarici”, è completamente sconosciuto il prezzo del

mundio, vero o simbolico, termine col quale, nell’antico diritto germanico, si definiva la

signoria esercitata dal capofamiglia su tutte le persone e cose componenti il gruppo

familiare.

Alziator, nel 1957, accenna al problema, ammettendo la difficoltà di individuare le

origini di tale situazione. Non trovando di meglio, si appella a quella che

tradizionalmente è considerata la causa prima di ogni problema sardo, cioè

l’isolamento, il quale avrebbe reso lenta e difficoltosa l’assimilazione delle istituzioni

cristiane, favorendo il persistere di antiche usanze. Gli effetti determinati dagli sponsali,

prima di tutto la coabitazione all’infuori del matrimonio, potrebbero essere la traccia di

un periodo precristiano in cui

l‟istituto del matrimonio era considerato nella coniunctio maris et foeminae e

nulla più, all‟infuori di ogni diritto positivo o di ogni norma morale o religiosa

[Alziator, 2005:38]

La realtà sembra molto diversa. Nel rituale bizantino la celebrazione del matrimonio

prevede due momenti distinti: nel primo i fidanzati, interrogati dal sacerdote, esprimono

il loro consenso con decisione irrevocabile, nel secondo si celebra il sacramento in

chiesa in modo solenne, senza replicare il consenso [Pala, 1985:102]. A seguito della

totale affermazione degli usi bizantini da parte della Chiesa sarda [Pala, 1985:61], la

celebrazione tradizionale in casa, preceduta, come abbiamo visto, dal contratto

familiare, era considerata un vero e proprio matrimonio, mentre la celebrazione in

chiesa una semplice formalità.

Si noti che nella lingua sarda mancano i termini “fidanzamento” e “fidanzata/o” così

come li intendiamo attualmente, mentre sono presenti i termini mulleri (dallo spagnolo

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Francesca Salis email:[email protected] ▪ 13

“mujer”) e sposa. È plausibile avanzare l’ipotesi del mutamento semantico dei termini in

seguito al Concilio di Trento? La mia ipotesi (tutta da verificare) è che in seguito al

Concilio il primo termine - mulleri - prese a significare che quest’ultima era riconosciuta

come tale anche dalla Chiesa e dallo Stato (in quanto la cerimonia nuziale si era

celebrata seguendo le prescrizioni canoniche), mentre il secondo termine - sposa -

cominciò ad essere utilizzato per la donna sposata agli occhi della comunità, ma che

Chiesa e Stato consideravano solo come ufficialmente fidanzata.

1.5.1 La risposta della Chiesa romana

La Chiesa Romana interviene in Sardegna per disciplinare le usanze matrimoniali sin

dal sec. IX; ma è con il Concilio Lateranense IV del 1235 che vengono sancite nello

specifico le formalità per il matrimonio: accertamento della mancanza di impedimenti,

obbligo delle tre pubblicazioni, scambio del consenso di fronte al sacerdote,

benedizione nuziale. Celebrare il matrimonio senza osservare tali norme comportava il

rischio di sanzioni molto severe, tuttavia, sebbene la celebrazione nuziale familiare non

fosse ritenuta “lecita”, era comunque considerata “valida” [vedi Loi 1988 e Pala 1985].

Le cose cambiano radicalmente con il Concilio di Trento, durante il quale, nella VII

Sessione del 3 marzo 1547 e nella XXIV Sessione dell’11 novembre 1563, si riformula

la dottrina sul matrimonio. Viene stabilito che il matrimonio, per essere valido (non più

solo per essere lecito), deve essere celebrato di fronte al parroco o a un suo delegato,

alla presenza di almeno due testimoni. Contemporaneamente si vieta ai parroci di

prendere parte alle celebrazioni in famiglia. La Chiesa romana tende dunque a limitare

l’ambito di partecipazione del sacerdote - prima indispensabile sia nella formulazione

degli sponsali che nella celebrazione del matrimonio - soprattutto per non avallare

l’equivoco che la conclusione degli sponsali, presente il parroco, dovesse ritenersi vero

matrimonio. Nonostante queste prescrizioni, il basso clero continua a intervenire alla

celebrazione familiare del rito nuziale, creando in tal modo una divaricazione tra base e

vertice che confonde i fedeli. A Selargius, ancora nel 1849, Angius scrive nel dizionario

del Casalis che “quando si contraggono gli sponsali, il prete assiste alle consuete

cerimonie ed è testimone della parola di uno all’altra” [Angius, Casalis 1849:794, voce

Selargius]

Con il Concilio di Trento, il tradizionale rito familiare assume per la Chiesa il valore di

promessa matrimoniale, ma tra il basso clero e la popolazione la confusione è tale che

ancora nel sinodo del Cariñena - tenutosi a Cagliari circa due secoli dopo il Concilio - si

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14 ▪ Francesca Salis email: [email protected]

ritiene necessario precisare in modo esplicito e chiaro la differenza tra sponsali e

matrimonio:

Gli sponsali consistono in una promessa legittima e mutua di accasarsi, fatta tra i

contraenti e anteriore al matrimonio che intendono contrarre, ma non sono il

matrimonio, poiché questo si contrae solo con parole al presente e con

l‟immediata consegna e accettazione17

La differenza tra sponsali e matrimonio è dunque che nel primo si parla al futuro,

mentre nel secondo i verbi sono al presente e il proposito espresso ha validità

immediata.

Da questo momento la celebrazione domestica assume valore di matrimonio solo se:

1) viene consentita dal vescovo tramite dispensa, 2) si svolge alla presenza di

sacerdote e testimoni, 3) si segue scrupolosamente il rituale ecclesiastico, evitando

ogni intromissione legata ai riti tradizionali.

La frequenza con la quale si concede la dispensa è inizialmente molto alta, ma scema

progressivamente nei secoli, sino ad arrestarsi: il matrimonio deve essere celebrato

interamente in chiesa per evidenziare che è questa a detenere il potere sulla

giurisdizione matrimoniale, in contrapposizione coi principi illuministici tendenti a

trasferire tale giurisdizione allo Stato. La cerimonia domestica non è comunque

completa senza la ricezione della benedizione nuziale, questa volta obbligatoriamente

e senza eccezioni in chiesa. In caso contrario, agli sposi non è consentita la

coabitazione.

Non concludere tutte le formalità ecclesiastiche e vivere comunque come marito e

moglie, è una pratica comune a molte parti d’Italia prima del Concilio, ed è un

comportamento che persiste in Sardegna addirittura sino al XX secolo, nonostante le

pesanti multe e le pubbliche pene comminate ai trasgressori. La Chiesa, come

apprendiamo dai sinodi, continua per secoli a non comprendere le tradizioni locali e le

motivazioni che portano all’inosservanza delle norme, attribuendo gli abusi a lussuria e

superstizione. Secondo studiosi come Turtas, Loi e Pala, la tradizione culturale sarda

sul matrimonio resistette per secoli rifiutando quegli elementi imposti “per legge”, ma

mancanti di un radicamento nella realtà locale.

17 Constituciones Synodales del Arzobispado de Caller, Caller-S.Domingo 1715, pp. 74 -75, traduzione di

Pala, 1985:68, nota 8.

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1.5.2 Le coabitazioni

In particolare, la condanna della Chiesa si rivolge contro la coabitazione - sia dei

fidanzati, sia degli sposi che non abbiano ricevuto la benedizione nuziale - terminologia

ecclesiastica colla quale non si indica necessariamente che i due abitino insieme,

quanto il sospetto che siano colpevoli di avere rapporti carnali [Loi S., 1988:133, nota

83].

La pratica delle coabitazioni è un fenomeno diffuso che persiste non solo nelle zone

più interne e isolate, ma anche nel Campidano di Cagliari, come rileva Pillai

analizzando le fonti archivistiche e segnalando casi a Selargius nel 1808, a Sinnai nel

1817, a Quartu Sant’Elena nel 1844, a Settimo San Pietro nel 1851. A Maracalagonis,

nel 1828, si arriva addirittura a ritenere lo “scandalo delle coabitazioni” causa di siccità,

castigo inviato da Dio per punire tali peccatori [Pillai, 1992:443]. Angius annota per

Selargius una media di 20 matrimoni l’anno, con punte che sorpassano i 30

quando per ordine superiore furono obbligati a contrarlo quelli che erano fidanzati

da qualche anno e anche evatitavano [abitavano?!] [Angius, Casalis 1849:793,

voce Selargius]

Simile offesa a Dio veniva punita tramite multa e penitenza pubblica. Le multe

dovevano essere pagate più o meno da tutti, perché il significato della coabitazione

poteva essere esteso sino a includervi qualunque frequentazione dei due fidanzati.

Così, denuncia l’arcivescovo de la Cabra nel 1647, i più ritenevano, avendo pagato la

pena imposta, di aver provveduto all’espiazione della propria colpa e continuavano a

coabitare. Le sanzioni erano estese a tutti quelli che sapevano, ma non denunciavano

immediatamente la situazione, compreso il prete.

Se la multa poteva essere evitata a causa delle misere condizioni economiche, la

penitenza era d’obbligo. Il sinodo del Cariñena (1715) è estremamente chiaro al

riguardo:

Quando lo stato di povertà sia tale, da costringere la nostra pietà a condonare la

multa pecuniaria, in nessun caso verrà perdonata la penitenza pubblica da

compiersi in un giorno di precetto nel corso della Messa Maggiore stando in piedi,

tenendo ciascuno in mano una candela accesa scalzo l‟uomo, e la donna unita a

lui, scarmigliata con i capelli sciolti, e tale penitenza vogliamo sia compiuta prima

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16 ▪ Francesca Salis email: [email protected]

di sposarsi da tutti i colpevoli di coabitazione, qualunque sia il grado e la

condizione cui appartengono18

Più avanti nello stesso testo si legge che tutta la comunità parrocchiale è tenuta a

vigilare sui comportamenti dei promessi sposi e a denunciarne la coabitazione al

parroco, che, da parte sua, sotto pena di scomunica, è obbligato a tentare di separare i

due fidanzati; se al terzo tentativo non ottiene risultati può vietarne l’ingresso in chiesa.

Come è possibile spiegare questa contrapposizione tra Chiesa e popolazione? Quali

sono le motivazioni che spingevano le persone a incorrere nelle pesanti sanzioni della

Chiesa piuttosto che rinunciare alle pratiche tradizionali?

Una prima risposta attribuisce l’inosservanza delle leggi a ignoranza e superstizione.

L’ignoranza, l’abbiamo visto, è dovuta al repentino cambiamento della legislazione

matrimoniale, che lo stesso clero fatica ad accettare. Per quanto riguarda la

superstizione, il sinodo cagliaritano del 1651 riporta quanto già affermato nel sinodo del

1586, la credenza secondo cui gli sposi dovevano avere rapporti sessuali prima del

matrimonio ecclesiastico, altrimenti sarebbero morti entro l’anno. La chiesa sarda, nello

stesso sinodo, si oppone a questa superstizione accrescendo, sulla base di alcuni

racconti biblici, le considerazioni negative sulla sessualità e consigliando l’astensione

dai rapporti sessuali ancora per tre giorni dopo aver ricevuto la benedizione nuziale

[Loi S., 1988:125].

Ma la motivazione più importante, probabilmente, è un’altra, legata alle spese

necessarie per pagare le pratiche della celebrazione ecclesiastica. Loi Salvatore riporta

la situazione del XVI secolo in cui la sola lletra de sposar, la licenza di matrimonio,

costava 12 lire; poiché la paga di un lavoratore dipendente di basso livello era di circa

25 lire l’anno, si può ben capire la difficoltà di affrontare simili spese [Loi S., 1988:135,

nota 90]. Alle spese si aggiunga il tempo necessario a ottenere le dispense, specie

quelle per cui era necessario il ricorso alla Santa Sede, come nel caso dei matrimoni

tra consanguinei. La dispensa poteva essere concessa gratuitamente solo se i

contraenti non possedevano beni di alcun tipo, dietro richiesta della curia;

diversamente, erano costretti a vendere tutti i loro beni al fine di racimolare il

quantitativo richiesto.

18 Constitutiones Synodales del Arzobispado de Caller, Caller-S.Domingo 1715, p. 180, citazione e

traduzione in Pala, 1985:69 nota 12

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Francesca Salis email:[email protected] ▪ 17

Nel Campidano, a queste motivazioni, si deve aggiungere la consuetudine (talmente

radicata da essere valida tutt’oggi), che vuole che il matrimonio sia celebrato solo dopo

che l’uomo abbia procurato la casa e la donna il necessario per viverci: “non ci si sposa

se non ci sono le condizioni dell’autonomia” [Ortu in Oppo (a cura di), 1990:39]. Nella

stragrande maggioranza dei casi, la struttura familiare era ed è caratterizzata dalla

mononuclearità, rafforzata dalla regola della neolocalità: questo significa che la coppia

si trasferisce in una nuova casa, in cui risiede coi propri figli. A conferma di quanto

affermato, riporto i risultati della ricerca condotta da Anna Oppo [in id. (a cura di),

1990:101] sulla struttura delle famiglie in alcuni paesi del Campidano di Cagliari fra

Ottocento e Novecento. Soddisfare questa esigenza comportava lunghi anni di

sacrifici, lunghi anni di fidanzamento che le famiglie tendevano ad alleviare

concedendo ai futuri sposi la possibilità di frequentarsi senza troppi controlli.

0.2 Tabella tratta da Oppo in id. (a cura di), 1990:101

1.6 L’esame dei contraenti

Il matrimonio in Chiesa era reso problematico anche dalle condizioni poste affinché

fosse riconosciuto come valido. La dottrina dogmatica della Chiesa cattolica sviluppata

nel Concilio di Trento, concepiva il matrimonio come sacramento e contratto

indissolubile, unione di un uomo con una donna. Affinché tale contratto fosse valido, i

contraenti dovevano rispettare questi presupposti [Pala, 1985:68 nota 4]:

1. aver raggiunto l’età legittima ;

2. non essere parenti entro il quarto grado;

3. non aver fatto voto solenne di castità;

4. non essere incorsi in nessuno dei 15 impedimenti;

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18 ▪ Francesca Salis email: [email protected]

5. esprimere il consenso di fronte a un sacerdote e dei testimoni;

6. esprimere il consenso in modo libero e non estorto, in modo esplicito con parole o

segnali equivalenti.

L’età minima per convolare a nozze era di 14 anni per l’uomo e di 12 per la donna; la

Chiesa, da un certo momento, stabilisce anche l’età minima perché si potesse essere

coinvolti in contratti sposalizi, sette anni per entrambi [Atzori, 1997:34]. Effettivamente,

l’età non è mai stata un grosso problema: per le motivazioni descritte precedentemente

(preparazione del corredo, spese per la celebrazione), era molto più frequente che gli

sposi si sposassero tardi, causando tassi di fecondità ridotti rispetto alla media

europea. Da una ricerca condotta da Anna Oppo in alcuni paesi del Campidano di

Cagliari sull’età del primo matrimonio di piccoli e medi proprietari coltivatori (nati prima

del 1910), si ricava che l’età media degli uomini è di 29 anni, mentre per le donne di

24,7 [vedi sotto].

0.3 Tavola tratta da Oppo, in id. (a cura di), 1990:108

Per quanto riguarda la posizione della Chiesa nei confronti dei vincoli parentali, sembra

che il comportamento fosse differente a seconda che la richiesta provenisse

dall’ambiente popolare o da quello nobiliare [Atzori, 1997:25]. Nei confronti dei nobili, la

dispensa veniva concessa più facilmente, mentre i ceti popolari, di fronte al rifiuto della

Chiesa, erano costretti a subire l’infamia di autodenunciare la consumazione di rapporti

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Francesca Salis email:[email protected] ▪ 19

carnali, anche quando questo non era vero, extrema ratio per ottenere la dispensa in

questi casi.

Gli impedimenti al matrimonio, così come fissati dal Concilio di Trento, si dividevano in

dirimenti e impedienti: i primi (sono 15) rendevano nullo il matrimonio, i secondi (sono

4) lo rendevano illecito; mi sembra necessario, per l’importanza che ad essi veniva

attribuita, riportare integralmente, almeno in nota, la spiegazione di Pala per ognuno di

essi19.

19 Pala, 1985:56-57

1) ERROR: l'errore di persona ha luogo quando si contrae matrimonio con persona diversa da quella con

la quale si voleva contrarre;

2) CONDITIO: si verifica quando si contrae matrimonio con persona che appartenga a condizione

totalmente diversa da quella dichiarata;

3) VOTUM: l'emissione del voto di castità perpetua rende nullo il successivo matrimonio sia per l'uomo

che per la donna;

4) COGNATIO: la parentela, che può essere di ordine spirituale, ed è quella che ha origine dal battesimo

e dalla cresima tra padrini e i figliocci; di ordine legale, che si stabilisce tra l'adottante e l'adottato; di

ordine naturale ed è la vera consanguineità. Quest'ultima, in linea retta invalida qualunque matrimonio, in

linea collaterale fino al quarto grado compreso;

5) CRIMEN: in quattro modi si configura questo impedimento: a) quando si uccide il coniuge con la

collaborazione o consenso del coniuge dell'ucciso; b) quando l'uccisione del coniuge è stata preceduta

dall'adulterio consumato con il coniuge superstite; c) quando l'adulterio è accompagnato dalla promessa

di contrarre matrimonio dopo la morte del coniuge; d) quando, vivendo la legittima consorte, si contrae e

si consuma il matrimonio con altra persona, consapevole dell'esistenza del vincolo precedente.

6) CULTUS DISPARITAS: quando il matrimonio viene contratto tra persone di diversa religione, p.e. tra

un cristiano e un giudeo, un pagano, un maomettano;

7) VIS: è la violenza morale esercitata sulla volontà di uno dei contraenti con castighi, vessazioni o

minacce, per indurlo a contrarre matrimonio senza la necessaria libertà. Deve essere esercitata in forma

grave ed ingiusta.

8) ORDO: è l'impedimento derivante dall'aver ricevuto uno degli ordini maggiori; suddiaconato,

diaconato o sacerdozio, che comporta l'obbligo del celibato permanente.

9) LIGAMEN: è dato dal vincolo matrimoniale validamente contratto e non sciolto legittimamente, che

vieta di stringere matrimonio con altri.

10) HONESTAS: detto anche di quasi-affinità, esiste tra l'uomo e i consanguinei in linea retta della donna

con la quale ha celebrato valido fidanzamento o contratto matrimonio non consumato; nel primo caso si

ferma al primo grado, nel secondo caso si estende fino al quarto grado compreso.

11) AMENTIA: la pazzia nella forma che privi l'individuo della ragione e, conseguentemente, della

possibilità di emettere valido senso.

12) AFFINITAS: nasce dal vincolo tra uno dei coniugi e i parenti dell‟altro coniuge a seguito di

matrimonio valido, anche se non consumato. Circa il grado di estensione del divieto, bisogna distinguere:

se nasce da copula lecita, si estende fino al quarto grado compreso, se illecita, fino al secondo grado. I

gradi dell'affinità vanno computati con quelli della consanguineità.

13) CLANDESTINITAS: si verifica quando il matrimonio viene celebrato in assenza del Parroco proprio,

o di due o tre testi.

14) IMPOTENTIA: consiste nell'incapacità al compimento della copula matrimoniale, antecedente al

matrimonio e perpetua, cioè inguaribile;

15) RAPTUS: ha luogo con il sequestro violento della donna per scopo di matrimonio. Può effettuarsi o

in forma violenta o con lusinghe e seduzione.

1) TEMPUS: riguardava il tempo della celebrazione che restava interdetto in due periodi dell'anno

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20 ▪ Francesca Salis email: [email protected]

Nulla sfuggiva alle strette maglie della Chiesa, che predisponeva nel dettaglio le

modalità di esame non solo dei contraenti, ma anche dei loro testimoni.

L’interrogatorio, che si svolgeva sotto giuramento, prevedeva che i testimoni

rispondessero in modo convincente e preciso riguardo alla possibilità che fossero stati

pagati per testimoniare il falso, le basi sulle quali si fondava la sicurezza della

mancanza di impedimenti, le circostanze dell’avvenuta conoscenza dei fidanzati [Pala,

1985:58-59].

Se si superava il controllo, nella parrocchia dei due fidanzati, per tre settimane di

seguito, veniva pubblicizzato il futuro matrimonio durante la messa maggiore, per dare

la possibilità a quanti ne fossero a conoscenza, di rivelare eventuali impedimenti di cui

non si fosse ancora accertata l’esistenza.

1.7 Su trasferimentu de is arrobas - Il trasporto del corredo

Con il matrimonio si voleva costituire un nuovo nucleo familiare che fosse autonomo e

autosufficiente. Perché questo fosse possibile, occorreva disporre dei beni e dei mezzi

che consentissero un’attività remunerativa e le attività quotidiane da svolgersi in casa.

Nel caso di famiglie contadine - la maggioranza nel Campidano - il minimo

indispensabile per cominciare una vita a due, consisteva di un posto dove stare,

dell’essenziale per la cucina e la camera da letto, biancheria, un minimo di provviste e

di sementi, e possibilmente una coppia di buoi da giogo [Ortu e Angioni in Oppo (a

cura di), 1990].

Tutti i cultori di tradizioni popolari si trovano d'accordo su quanto spetti all’uomo e alla

donna nel provvedere al necessario per la casa. L’uomo deve provvedere alla casa,

che deve essere nuova o almeno accuratamente ripulita e re-imbiancata, e deve inoltre

provvedere a tutto ciò che attiene al proprio lavoro20; mentre alla donna spetta

liturgico: dall'avvento all'epifania; dal mercoledì delle ceneri all'ottava di Pasqua inclusa;

2) VOTUM: il voto semplice di entrare in religione o il voto di castità, di non sposarsi, il voto di accedere

agli ordini sacri rendevano illecito il matrimonio anche se tale voto fosse stato emesso privatamente;

3) SPONSALIA: gli sponsali contratti validamente e non sciolti con atto legale;

4) ECCLESIAE VETITUM: il divieto apposto dalla Chiesa a contrarre matrimonio fino a che non venisse

chiarita l'esistenza o meno di un impedimento di legge. 20

Per un‟analisi approfondita della divisione sessuale del lavoro nella Sardegna tradizionale si veda Da

Re, 1990. In generale, rispetto al resto d‟Europa, per la Sardegna tradizionale gli studiosi hanno notato

“una più marcata specializzazione maschile in uno dei tre grandi mestieri tradizionali: contadino, pastore,

artigiano, da una parte; e dall‟altra, una più marcata specializzazione genericamente femminile nell‟essere

e nel dover essere donna di casa, cioè addetta ai lavori domestici connessi con l‟alimentazione, il vestiario

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Francesca Salis email:[email protected] ▪ 21

l’incombenza del mobilio e della biancheria. Una consuetudine nota almeno dal XVIII

secolo, se l’anonimo piemontese in visita in Sardegna tra il 1755 e il 1759, può

annotare che

fra gli Villani di campagna, che si maritano, richiedesi che l‟uomo abbia la Casa, il

Carro, o Cavallo secondo è il Paese, o di pianura o di Montagna, e che la Donna porti

il letto compito li utensili di Cucina, e venghi in casa proveduta di Vestimenta

[Anonimo piemontese, 1985:51]

La quantità e la qualità del corredo varia enormemente a seconda del ceto sociale.

Questa considerazione, di per sé banale, non è più tale se si considera che il corredo

viene trasportato per le vie del paese, esposto alla curiosità della comunità, che ne fa il

parametro più significativo per determinare la posizione sociale e il prestigio della

nuova famiglia21. Il trasporto del corredo nella nuova casa è dunque una gara a chi

riesce a mostrare di avere di più e della qualità migliore, il pretesto per fare sfoggio

della propria ricchezza, e nulla nell’organizzazione dell’evento viene lasciato al caso.

Più la famiglia è ricca, maggiore è lo sfarzo e la solennità con cui avviene il

trasferimento, e l’occasione diventa una vera e propria festa, tale che nessuno studioso

resiste alla tentazione di descriverne i particolari.

Nel Campidano il trasporto avveniva per mezzo di carri trainati da buoi, di due tipi: un

tipo serviva per il trasporto delle masserizie, mentre l’altro, le famose traccas, erano

adibite al trasporto di persone e riccamente adornati con drappi di seta e di raso, nastri

colorati e fiori di carta. Della Marmora descrive le traccas come normali carri, “su cui

però si mettono dei materassi e che si copre con una tenda” [Della Marmora 1826,

ediz. 1995:108], mentre Joseph Fuos, nel 1779, lo descrive come un mezzo piuttosto

primitivo: corti e stretti, questi carri

hanno due ruote basse, le quali sono tagliate in cerchio da parecchi assi insieme

incastrati, e non girano all‟asse, ma fissate con questo girano fra due cavicchi di

legno attaccati al di sotto del carro. I due buoi aggiogati, sono guidati colla fune

legata alle orecchie.

Il contadino si mette sul carro, tiene le redini nelle mani, punge col suo stimolo i

buoi, grida il suo ci ei ià, e guida colla presunzione di guidare la più ingegnosa

macchina che sia possibile in quel genere [Fuos in Boscolo (a cura di), 2003:60]

e la manutenzione della casa, il riordino e la pulizia di ciò che giornalmente si consuma e si sporca”

[Angioni in Oppo (a cura di), 1990:19]. 21

Sul corredo-arredo come oggetto simbolo di status e sulla sua quantità e qualità si veda Da Re,

1990:129 e sgg.

Page 22: "Delle usanze maritali" nel Campidano di Cagliari - Francesca salis

22 ▪ Francesca Salis email: [email protected]

0.4 Sagra di Sant‟Efisio, Cagliari, 1 Maggio 2006 [foto Francesca Salis]

0.5 Antico Sposalizio Selargino, Selargius, 10/09/2006 [foto Francesca Salis]

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Francesca Salis email:[email protected] ▪ 23

Neanche i buoi sfuggivano al delirio di decorazioni, per cui si provvedeva a lucidarne le

corna e a decorarle con nastri colorati, grandi mazzi di fiori o arance infilzate; al collo

venivano poste grandi collane di velluto, raso o seta, e campanelle dal suono gioioso e

squillante. La vistosità, la grandezza e la ricchezza degli addobbi costituiva un altro

indicatore della ricchezza delle famiglie, e si faceva a gara a chi ne possedeva di più

belli, tanto che, ci informa Cabiddu [1965:33], facevano essi stessi parte del corredo, e

si tramandavano in eredità da madre in figlia.

Della Marmora [1826, ediz. 1995:105] ci informa innanzitutto che il trasporto non

avviene un giorno qualsiasi, bensì 8 giorni prima della celebrazione del matrimonio in

chiesa. Giunto il giorno designato, dalla casa dello sposo parte la comitiva che si reca

a casa della sposa per la consegna del corredo, seguita dai carri necessari per il

trasporto. Alla cerimonia del trasporto del corredo nuziale partecipa lo sposo, i suoi

parenti, gli amici, il paralimpu: chi a piedi, chi a cavallo, chi sulle traccas. Tutti sono

vestiti con gli abiti più belli, quelli della festa. Aprono il corteo i suonatori di launeddas,

che con la loro musica amplificano i canti allegri di tutta la comitiva e il chiasso gioioso

prodotto dai cigolii dei carri e dai campanelli degli animali, richiamando l’attenzione di

tutta la comunità che si affaccia alle porte per vederli passare. Fanno seguito i ragazzi

e le ragazze cui è affidato il compito di portare gli oggetti che non trovano posto sui

carri, perché troppo fragili e delicati: vasi, specchi, servizi in porcellana, piatti, bicchieri,

bottiglie. Insieme a loro, altre ragazze trasportano guanciali ornati con nastri colorati e

fiori.

La profusione di nastri colorati è tale (sugli animali, sulle cose, sui carri) che il Bresciani

[1850] è costretto a interrogarsi sul loro significato e la loro origine, ma una volta

informatici dello stesso uso presso tanti antichi popoli, non riesce a dirci granché,

poiché nessuno ne ricorda il significato.

Seguono i carri, in fila uno dietro l’altro; se la sposa è ricca, ci informa Nurra [1894:4],

si adoperano persino sette od otto carri. Sul primo carro c’è sempre il letto

matrimoniale, o le tavole di legno che lo compongono insieme a materasso e accessori

vari, segue il carro con le casse di legno intagliato, nel quale sono conservate la

biancheria per la casa e quella per la sposa; su un altro sono ammucchiate le sedie,

quindi altri carri contenenti sa mesa (il tavolo) con ceste coperte da tovagliette bianche

ricamate, ornate di pizzi, cosparse di chicchi di grano, petali di rose e di gerani in

segno di buon augurio, gli utensili da cucina, il telaio, il fuso e la rocca col lino, tutto

quanto serve per fare il pane, provviste di grano, orzo e fave. L’ultimo carro è quello

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24 ▪ Francesca Salis email: [email protected]

che porta la macina, sa mola, cui segue a breve distanza un asinello, detto molenti,

perché il suo compito è quello di far girare la mola. L’asinello, per un giorno incoronato

di foglie e di fiori, porta al campanello un enorme pezzo di lardo e un pane nero (detto

cifraxiu) attaccato al collo [Nurra,1894:4]. Dietro al corteo vero e proprio stanno le

traccas con le donne e la ragazze che si occuperanno di sistemare ogni cosa nella

nuova casa.

È lo sposo che ha il compito di iniziare il lavoro di arredamento, mettendosi sulle spalle

il materasso del letto nuziale. Ma durante questa operazione, come raccontano Della

Marmora, Cabiddu e Bresciani:

il giovane veniva spinto dagli amici, travolto e fatto cadere malamente a terra, tra

materasso e materasso, e pestato – s’accraccangiu – senza misericordia, quasi con

barbara furia, fino ad esser quasi stordito, fra la gioia, le allusioni, i frizzi e i lazzi

di tutti i presenti e il beffardo, ironico sorriso delle fanciulle e di tutte le donne.

[…] Avveniva anche che lo sposo, dopo essersi avvicinato ai carri dei materassi,

se la desse a gambe levate, allontanandosi di corsa. Ma gli amici lo rincorrevano,

lo raggiungevano, obbligandolo a ritornare accanto ai carri e prendere in ispalle i

materassi [Cabiddu, 1965:41]

Per Bresciani si tratterebbe di finzione, di “lotta cortese”, per Cabiddu ammaccature e

dolori sono reali, per entrambi il “gioco” preannuncia al futuro sposo il peso che graverà

sulle sue spalle una volta sposato.

Sempre nella stessa casa, successivamente si svolge la cerimonia della filatura della

lana. Una donna, o più di una (in alcuni casi la madre dello sposo, o la donna più

anziana presente al trasloco, in altri paesi alcune fanciulle), sale su un tavolo

appositamente sistemato nel cortile (se il tempo lo permette) e inizia a filare la lana

cantando muttetus beneauguranti per gli sposi, mentre le altre ragazze si preoccupano

di adornare ogni mobilio sistemato con fiori e ramoscelli, che saranno conservati dopo

averli lasciati seccare e cadere da sé.

1.8 La benedizione degli sposi e il corteo nuziale

E finalmente giunge il giorno del matrimonio in chiesa, lo sposalizio vero e proprio,

detto su sposoriu (dallo spagnolo desposorios ) o sa coja (dal latino coniugium). Nel

Campidano, afferma Nurra [1894:5], si preferisce il sabato per la cerimonia nuziale

mentre la domenica è riservata al banchetto.

Lo sposo, ricevuta la benedizione dalla propria madre, si reca a casa della sposa,

accompagnato dal paralimpu, parenti, amici e in qualche caso anche da un prete

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Francesca Salis email:[email protected] ▪ 25

(quando lo sposo non è dello stesso paese o quartiere della sposa? O nel caso sia

stato il paralimpu?).

Secondo alcuni, quando la ragazza sente giungere il corteo, si getta ai piedi della

madre piangendo, invocando perdono per le colpe commesse, e chiedendone la

benedizione. La madre, allora, tiene un piccolo discorso sui suoi nuovi doveri di moglie

e donna di casa, la benedice e l’affida al prete che ha accompagnato lo sposo, mentre

a questi è dato un altro prete della parte della sposa.

Il corteo dello sposo si ferma sulla soglia della casa, ma non entra; oppure entrano tutti

tranne lo sposo; il compito di chiamare la sposa sembra affidato a un’altra persona.

Sarebbe interessante avere maggiori informazioni sull’organizzazione del corteo

nuziale. È sicuro che questo fosse composto da due gruppi separati, quello dello sposo

e quello della sposa, prima l’uno e poi l’altro, ma non è altrettanto chiaro se il percorso

fosse lo stesso o facessero due tragitti diversi. Non disponiamo di dati certi per il

Campidano, mentre sappiamo che nel Sarrabus si procedeva su strade diverse,

probabilmente, spiega Cabiddu [1965:44], un rito scaramantico con il quale si sperava

di sfuggire all’attenzione del Male. Nello stesso modo può essere spiegato l’assoluto

silenzio raccomandato da altri.

Sembra che le madri non accompagnassero i propri figli in chiesa, ma ne aspettassero

il ritorno a casa, forse perché indaffarate con gli ultimi preparativi per il banchetto

nuziale.

Il corteo procedeva per coppie, con la sposa a braccetto del padre, verso la parrocchia

della sposa, dove, per consuetudine, si celebrava e si celebra tutt’ora il matrimonio.

1.9 La cerimonia del matrimonio

Per quanto riguarda la cerimonia del sacramento

fassi nell‟Isola né più né meno che il cerimoniale cattolico della Chiesa [Bresciani

1850, ediz. 2001:377]

Ma in cosa consisteva il cerimoniale cattolico? La celebrazione ecclesiastica, in

ottemperanza al decreto tridentino, seguiva nella sostanza il Rituale romano, che

contemplava la formula di consenso da parte degli sposi, la benedizione dell’anello, la

conclusione del sacerdote che dichiarava i due uniti in matrimonio.

Il Rituale Romanum del 1614 costituisce lo standard sul quale si basano tutte le

successive edizioni. Ultimo fra i libri liturgici pubblicati sulla scia del Concilio di Trento,

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26 ▪ Francesca Salis email: [email protected]

mantiene pressoché immutata la sua fisionomia originaria sino al XX secolo,

nonostante le modifiche apportate nel 1752 con Benedetto XIV, nel 1872 con Pio IX,

nel 1884 con Leone XIII e nel 1913 con Paolo V; solo la pubblicazione del Codex Iuris

Canonici del 1917, rese necessaria una completa revisione del Rituale nel 1925 (vedi

Sodi, Javier Flores Arcas, (a cura di), 2004: LVII e sgg.).

Prima del 1614, i parroci, per l’attività liturgica ordinaria, dovevano basarsi su una

moltitudine di sussidi di ogni dimensione e tipo, che nella forma e nella sostanza

variavano considerevolmente da luogo a luogo, costituendo motivo di preoccupazione

da parte della gerarchia ecclesiastica che vedeva minacciata l’ortodossia liturgica, o

quantomeno il decoro e la dignità della funzione religiosa. Sulla base di queste

considerazioni, riproduco parte del rituale (scambio del consenso e benedizione

dell’anello) nella pagina seguente, non solo per mostrare i dettagli delle formule

utilizzate, ma anche perché è molto probabile che questo testo abbia costituito la base

delle successive traduzioni in lingua sarda. Il rito era in latino, ad eccezione delle

domande e delle risposte dei contraenti, in lingua sarda22.

Altro elemento significativo della cerimonia era il rituale di inanellamento, mediante il

quale la donna acquisiva l’honor matrimonii. Nel Rituale romano citato si parla solo

dell’anello che lo sposo riceve dal sacerdote e dà alla sposa - “Deinde Sacerdos

aspergat annulum aqua benedicta in modum crucis, & sponsus acceptum annulum de

manu Sacerdotis imponit in […] manus sponsae” - perciò non è chiaro se lo scambio

fosse reciproco. Inoltre sappiamo che il dito e la mano prescelta poteva variare: a volte

si inanellavano più dita, cominciando dal pollice fino all’anulare, passandolo dall’uno

all’altro della mano destra. In seguito prevalse la consuetudine di inanellare il penultimo

dito della mano sinistra, qualificato come “anulare” (“in digito annulari sinistrae”), per il

valore simbolico che questo assunse dal momento in cui S. Isidoro di Siviglia ritenne

fosse irrigato dalla vena cordialis, la vena del cuore, simbolo dell’amore.

22 Loi Salvatore, comunicazione personale.

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Francesca Salis email:[email protected] ▪ 27

0.6 Tratto da Sodi Manlio, Javier Flores Arcas Juan (a cura di), 2004:147

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28 ▪ Francesca Salis email: [email protected]

Oltre all’anello, molti altri erano i simboli del nuovo legame, ma la Chiesa della

Controriforma scelse la strada della cancellazione di qualsiasi residuo vagamente

paganeggiante, imponendo dall’alto un modello uniforme valido per tutti. Della grande

varietà di simboli nuziali, si è conservato sino ai nostri giorni solo l’usanza del bacio - il

classico “e ora può baciare la sposa” dei film americani - che la Chiesa cattolica

proibisce all’interno della chiesa, ma ammette sul sagrato. Richiesto a gran voce dalla

folla in attesa fuori dalla chiesa, il bacio rappresenta simbolicamente la consumazione

del matrimonio.

1.10 Il ritorno del corteo nuziale. L’usanza detta s’arazza o de sa razia

All’uscita dalla chiesa la folla festante accoglie la nuova coppia:

Lungo la strada è una vera festa: le amiche attendono gli sposi con un piatto colmo di

grano, sale e fiori, ed anche confetti, ed appena la coppia nuziale si avvicina, le

buttano quasi addosso il contenuto, gridando: Buona Fortuna! [Nurra, 1894:6]

Il ritorno del corteo nuziale (solo Lai

Ruggero afferma che ciò avvenisse

anche all’andata) è caratterizzato

dall’usanza di s’arazza o de sa razia

(la grazia). Con questo termine si

indica il contenuto di un piatto colmo di

grano, sale grosso, fiori, o anche di

pezzettini di carta colorata, confetti,

monetine.

L’usanza - che mi sembra di capire

coinvolga solo le donne - prevede che

s’arazza venga gettata in forma

propiziatoria sopra gli sposi e che, esauritone il contenuto, il piatto venga rotto ai loro

piedi. Questo viene scagliato con forza, perché è necessario che si rompa, affinché il

tutto sia di buon auspicio per gli sposi. Dando credito alle affermazioni di Nurra, il piatto

si deve rompere per un altro motivo: la rottura del piatto potrebbe essere un’allusione

alla verginità della donna; intuizione plausibile, se si considera che

difatti non si fracassano punto allorché la sposa passa a seconde nozze o si dubiti

della sua verginità [Nurra, 1894:6]

Per Cabiddu, un’usanza pansarda vuole che il corteo nuziale proceda con lo sposo alla

destra, per ricordare che l’uomo è l’essere umano preferito da Dio, che lo ha creato per

0.7 Il piatto de s‟arazza esposto nel 2006 alla

Mostra Fotografico - Documentaria sullo

Sposalizio [foto Francesca Salis]

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Francesca Salis email:[email protected] ▪ 29

primo a sua immagine e somiglianza. Usanza smentita dal Bresciani e da Della

Marmora, che affermano che il corteo nuziale sia composto da uomini e donne in fila,

le donne a destra, gli uomini a sinistra, e dall’incisione di Cominotti, di cui si discuterà

in seguito.

Giunti a destinazione, alla madre dello sposo spettano i cerimoniali per l’accoglienza

dei due nella loro casa. La suocera, sentendo avvicinarsi il chiassoso corteo preceduto

dal suono delle launeddas, li attende sulla soglia di casa, tenendo in una mano il piatto

con s’arazza e nell’altra un bicchiere d’acqua. Il rituale con l’acqua prevede che i

novelli sposi ne bevano un po’, mentre la restante parte, dopo aver asperso gli sposi,

viene versata davanti alla sposa nel momento in cui questa attraversa la soglia della

camera nuziale, chiamata sa dom’e lettu.

1.11 Su cumbidu - Il banchetto nuziale

Dove si tiene il banchetto nuziale? Prima a casa della sposa e poi nella loro nuova

casa oppure direttamente nella residenza dei neo sposi? Chi partecipa? La divergenza

delle fonti non permette di risalire a informazioni certe per l’area campidanese,

diversamente da altre zone dell’isola in cui un resoconto dettagliato ha permesso di

mettere in evidenza un cerimoniale dalle regole rigide e complesse23.

In ogni caso, giunto il momento del ricevimento (su cumbidu), gli sposi si siedono vicini

e

v‟ha luogo la singolar cerimonia di mangiare non solo la minestra ad una scodella,

ma prestandosi il cucchiaio a vicenda; così mangiano il restante allo stesso

piattello, e beono allo stesso nappo, come se l‟un fosse nella persona dell‟altro [Bresciani 1850, ediz. 2001:378]

24

Le portate del banchetto di nozze sono regolate da consuetudini che variano a

seconda della zona geografica. Nel Campidano, ci informa Nurra, si

usa della carne di montone (pezza de mascu), maccheroni in gran quantità ed una

minestra cucinata col brodo del montone e condita con zafferano e formaggio

fresco; dolci poi, specialmente bianco mangiare (papai biancu) [Nurra 1894:6]

mentre per Lai Roggero

23 Per quanto riguarda la Barbagia si veda ad esempio Murru Corriga in Oppo (a cura di), 1990

24Si veda anche Della Marmora 1826, ediz. 1995:108

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30 ▪ Francesca Salis email: [email protected]

era in uso presentare is mallureddos (gli gnocchi). Facevano seguito le varie

pietanze a base di porcetto e di agnello arrosto, accompagnati da un‟infinità di

verdure [Lai Roggero, 1995:73]

La sola preparazione del

pane per il banchetto

meriterebbe una trattazione a

parte per la cura e l’abilità

richiesta25. Il pane degli sposi

doveva essere confezionato

esclusivamente con la

semola: la pasta,

bianchissima, veniva lavorata

a lungo, e da essa si

creavano piccole sculture

dalla forma di colombe, cuori,

ghirlande, con l’aiuto di

coltello e forbici.

Per l’occasione venivano poi preparati con cura i dolci26, soprattutto biscotti e amaretti,

e i liquori, primo fra tutti il rosolio, liquore dal sapore dolce, preparato in casa almeno

tre giorni prima con alcool, zucchero e un’essenza in polvere che dà il caratteristico

colore. La “torta” nuziale era costituita da un altro tipo di dolce chiamato gattou, un

croccante confezionato con mandorle tostate e zucchero, di varie forme (castelli,

chiese, case, ecc.).

25 Sull‟arte della panificazione nella società tradizionale sarda esiste una vastissima bibliografia, per

maggiori informazioni si rimanda ai seguenti testi e alle relative bibliografie: Cirese (a cura di) Pani

tradizionali. Arte effimera in Sardegna, Edes, Cagliari, 1977 (in particolare Schirru, “La preparazione

tradizionale del pane nel Campidano di Cagliari”, pp. 41-44), AA. VV., In nome del pane. Forme,

tecniche, occasioni della panificazione tradizionale in Sardegna, Carlo Delfino, Roma, 1991, (in

particolare “I pani nuziali”, pp. 73-77), e AA. VV., Pani: tradizione e prospettive della panificazione in

Sardegna, Nuoro, Ilisso, 2005 (il volume è corredato da un vastissimo repertorio di foto relative a ogni

tipologia di pane presente in Sardegna). 26

A differenza di quelli sul pane, gli studi sui dolci sardi tradizionali sono scarsi e non altrettanto

approfonditi. Per un primo inquadramento di carattere generale si rimanda a : Atzori M., Dal grano al

miele: la tradizione dei dolci in Sardegna in “S'ischiglia: rivista mensile di poesia e letteratura sarda”,

Vol. 15, A. 1994 , N. 1; Pinna “Panificazione e pasticceria in Sardegna alla metà dell‟Ottocento: saggio di

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Pani tradizionali. Arte effimera in Sardegna, Edes, Cagliari, 1977)

0.8 Pani nuziali presenti alla Mostra Fotografico -

Documentaria sullo Sposalizio, Selargius 2006 [foto F.

Salis]

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Francesca Salis email:[email protected] ▪ 31

La lunga giornata aveva termine, ma non è certo una caratteristica solo campidanese,

con grandi festeggiamenti, canti e balli27 che proseguivano sino a notte inoltrata.

27 Canti e balli suona come un‟espressione piuttosto generica, ma la mancanza di informazioni dettagliate

impedisce di precisare ulteriormente l‟argomento.

0.9 Torta gattou per il banchetto nuziale dell‟edizione 2006

del Matrimonio Selargino [foto F. Salis]

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