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PESTALOZZI (1746 – 1827)
Johann Henrich Pestalozzi nasce a Zurigo nel
1746 da famiglia italiana. La motivazione della
sua nascita avvenuta a Zurigo la si può trovare
nella vita di suo nonno. Quest’ultimo era abitante
nei pressi del lago di Como quando, in un periodo
della sua vita, decise di convertirsi al
protestantesimo. Poiché non era visto di buon
occhi dai compaesani decise così di trasferirsi in
Svizzera dove era in vigore dai tempi di Calvino
un governo di tipo Teocratico, di stampo
protestante. È qui che diventerà pastore ed
istruirà il figlio che diventerà un medico di fama
internazionale.
Pestalozzi vive in una famiglia benestante, tant’è
che non verrà lasciato insieme alla madre in
difficoltà economica dopo la morte prematura del
padre. La custodia della casa passò così nelle
mani della madre che chiede di essere affiancata
dalla domestica Bàbeli. La vita quotidiana è
quindi organizzata da due donne: questo aspetto
biografico porterà Pestalozzi ad avere un’alta
considerazione della figura femminile (a
differenza di Rousseau).
Essendo di salute precaria, crescerà sotto il
continuo controllo, a lui non erano consentiti i
giochi da maschiaccio. Fu così che, abituato ormai
ad una vita più riflessiva che pratica, protetta
dalle mura domestiche, decise di studiare al
Collegium Carolinum di Zurigo, nella speranza di
intraprendere la carriera ecclesiastica; tuttavia
l’influsso della Società Patriottica, cui si è iscritto
nel frattempo, lo persuade a lasciare gli studi
teologici per dedicarsi a quelli di giurisprudenza.
Si forma a contatto con l’illuminismo, del quale
stempera l’astratto intellettualismo attraverso la
lettura di Rousseau. Alcune vicende, tra cui un
breve arresto, dissuadono Pestalozzi
dall’impegno attivo in politica.
Dalla lettura dell’Emilio fa propri alcuni principi della teorizzazione rousseauiana e ne critica altri. Da
Rousseau deriva l’idea di un’educazione che sia conforme alla natura dell’educando. Prende però le
distanze dalla contrapposizione tra individuo e società, anzi sarà assertore di una responsabilizzazione
sociale da parte di ogni istituzione presente sul territorio; non promuove un’educazione suddivisa per età,
poiché bisogna concentrare nei primi anni i fondamenti dell’istruzione e dell’educazione per la vita
quotidiana a bambini che non avranno altre possibilità, dato l’incalzare della rivoluzione francese; di
conseguenza a questo secondo punto vi è un opposizione da parte di Pestalozzi a ritardare l’educazione
morale e religiosa. È importante comunque il carattere di educazione naturale che prende direttamente
dal pedagogista francese che si sviluppa attorno alla riconoscimento delle leggi della vita spirituale
dell’uomo e sull’offerta di condizioni adatte al suo sviluppo. Egli, contrariamente a Rousseau, non riteneva
che l'uomo fosse necessariamente buono (infatti parla di "natura inferiore", dominata da istinti e passioni
animalesche). Riteneva quindi necessario che fosse compito dell'educazione perfezionare la natura
dell'uomo e che l'educatore non avesse che il compito di assisterlo durante la sua naturale evoluzione e
attraverso il riconoscimento di alcune sfere di vita, interiore ed esteriore.
La sfera interiore è rappresentata da Dio e da essa e verso essa muove l’educazione come forma armonica
e perfezionamento integrale della personalità nelle tre dimensioni del cuore, della mente e della mano.
negli scritti di Pestalozzi si legge: il sentimento interiore del tuo essere e delle tue forze è la prima
manifestazione dell'attività formatrice della natura. Ma tu non vidi solo per te sulla terra: la natura ti forma
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e ti Educa anche in vista e per mezzo dei rapporti esterni. Perciò al perfezionamento della personalità è
necessaria la seconda sfera di vita, quella esteriore:
- dei rapporti famigliari: L'uomo vive per la prima volta e principalmente nella sfera umana fondata su
vincoli di sangue. I rapporti familiari sono per l'uomo i primi e i più importanti rapporti naturali. nella casa
paterna, in cui operano la forza del padre e l'amore della madre, nascono i sentimenti dell'amore e della
riconoscenza, che sono i fondamenti di ogni moralità e religione.
- del lavoro e del ceto: l'attività dell'uomo trascende i limiti del focolare domestico. Egli opera per gli altri,
constata per esperienza la sua dipendenza dagli altri. la preparazione professionale, l'educazione a compiti
concreti, deve essere formazione dell'uomo. Quando si dice che il povero deve essere educato alla
povertà, ciò significa che egli deve apprendere ad agire rettamente nei limiti dei suoi compiti e delle sue
possibilità, perché anche nella più angusta sfera d'azione possa essere un vero uomo. Le esigenze della
professione sono rapporti immediati; le cose attraverso le quali gli uomini imparano, si pongono come
relazioni positive. Occorre familiarizzarsi con esse, imparare a dominarne praticamente in ciò. Consistono il
sapere e il potere che giovano l'uomo semplice, che gli riescono utili.
- dello stato e della nazione: nella prima fase del pensiero pestalozziano, lo Stato viene inteso ancora come
una proiezione della sfera domestica: quando lo Stato è umano, costituisce un allargamento del rapporto
paterno alla totalità del popolo. Il sentimento paterno forma i reggitori , il sentimento fraterno forma i
cittadini; entrambi creano un ordine in casa e nello Stato. Così lo Stato è ancora patriarcale; ma, poco dopo
la rivoluzione francese, Pestalozzi ne darà una diversa interpretazione.
L'uomo vive in queste tre sfere di vita esterna, ma incessantemente è sospinto a tornare da quelle ad una
sfera del sentimento interiore, nella quale soltanto trova pace e felicità. Il cammino verso le sfere esterne
implica necessariamente un ritorno a questo centro divino, che è presente sempre, anche nelle più
rudimentali forme di vita.
Pedagogia e società: gli sviluppi del genere umano
nelle indagini sopra il corso della natura (1797),
Pestalozzi afferma che sia la società sia gli
individui passano attraverso tre fasi:
� naturale (nel quale segue le proprie forze
istintuali),
� sociale (in cui la vita in comune lo obbliga
a un riadattamento, non sempre positivo
per l'individuo)
� e infine morale (il fine ultimo dell'uomo e
dell'educazione: l'individuo si predispone
al bene, alla solidarietà verso gli altri e
all'accoglienza diDio nel proprio spirito).
Quest'ultimo stadio richiede
autoeducazione e l’interiorizzazione
delle normative.
Un educazione nuova richiede una società nuova.
Pestalozzi vede la società come un sistema
formativo integrato in cui scuola, famiglia, chiesa
e ambiente lavorativo offrono il proprio
contributo all’educazione dell’individuo. Emerge
qui quel contrasto con Rousseau per quanto
riguarda l’allontanamento dell’educando dalla
società corrotta, a favore di una
responsabilizzazione della comunità stessa. Il
pensatore di Zurigo Considera centrale il ruolo
pedagogico della famiglia che viene
progressivamente affiancata dalla scuola e dallo
stato.
La scuola – offre un’educazione di base e una
valida formazione professionale. Deve essere
modellata sull’esempio della casa e dell’attività
familiare, in cui il ruolo fondamentale spetta alla
madre. Con la rivoluzione industriale molte
donne dovettero offrire anche la loro mano
d’opera nel mondo del lavoro. Così cominciarono
a delegare il loro ruolo di educatrici domestiche
alla scuola che è in grado di assicurare la custodia
del bambino e lo svolgimento dell’itinerario
formativo già intrapreso dalla famiglia. Nella sua
attività educativa Pestalozzi andrà via via
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convincendosi dell’indispensabilità della scuola,
anche nella dimensione della formazione dei
poveri ad un lavoro produttivo coerente con le
trasformazioni della società. Con ciò non si deve
comunque rinunciare a un progetto di
educazione integrale.
Promuove così un’educazione popolare, orientata
alla partecipazione di tutti. Un particolare,
questo, necessario per dare vita ad una società
giusta. Questo aspetto emerge particolarmente
nel suo romanzo pedagogico di stampo
romanticista: Leonardo e Geltrude.
_________________________________________
Leonardo e Geltrude – il romanzo consta di
quattro volumi, pubblicati tra il 1781 e il 1787.
Tuttavia, l'autore si dedicò all'opera durante tutta
la sua vita, pubblicandone altre due edizioni,
come reazione a diversi mutamenti socio-politici.
Il romanzo è stato spesso accostato al Wilhelm
Meister di Goethe, altro grande romanzo
pedagogico del romanticismo europeo, e a I
promessi sposi, per il forte impegno civile ed
educativo e la scelta degli umili come
protagonisti.
Trama e significato
Il primo libro, così come tutta la vicenda, si svolge
nell'immaginario villaggio di Bonnal, proprietà del
feudatario Arner, vassallo di un principe. Il
villaggio, però, è di fatto governato dal dispotico
podestà Hummel, che conserva il potere grazie
alla corruzione, alla vessazione e al sostegno dei
ricchi agricoltori. Anche il protagonista, Leonardo,
è vittima di Hummel e, disperato, si trastulla
nell'ozio e nell'ubriachezza. Sarà sua moglie,
Geltrude, a salvarlo da questa rovinosa
situazione: la coraggiosa donna, infatti, si rivolge
ad Arner, il quale affida a Leonardo, abile
muratore, il progetto di costruire la nuova chiesa
del villaggio. Nonostante i tentativi di Hummel di
boicottare il progetto, la chiesa viene costruita,
anche grazie all'aiuto del pastore Ernst, fedele
collaboratore di Arner.
Il secondo libro si apre con la cacciata di Hummel
dal villaggio e l'arrivo di nuovo podestà, più
giovane e certamente molto più onesto; Arner
inoltre riesce a far condannare anche i principali
complici di Hummel e il campo comunale viene
ceduto ai poveri. Termina in questo modo un
regime di paura e corruzione, dominazione e
sfruttamento, che da sempre vigeva all'interno
del piccolo feudo.
Questi primi due libri sono indirizzati al popolo.
Traspare infatti il messaggio che anche
l’ingiustizia può essere risanata. La volontà di
cambiamento deve però partire dalla comunità.
Dimostrano che, attraverso il recupero civile e
morale, l'impegno pedagogico e l'insegnamento
dei buoni valori l'uomo può allontanarsi dalla
cattiveria e ritornare alla sua bontà originaria. È
evidente come questa concezione sia erede della
lezione rousseauiana. Gertrude è l'emblema di
tale riscatto morale, oltre che civile; ella, inoltre,
è il simbolo della dimensione familiare e materna.
Pestalozzi, infatti, dedicherà alla sua figura
un'altra opera, dal titolo Come Gertrude istruisce
i suoi figli. Nel terzo libro Arner ed Ernst, in
seguito ad una visita al cotonificio Meyer,
prendono consapevolezza del fatto che la qualità
della vita del popolo può migliorare solo a patto
di provvedere alla sua educazione, di migliorare
le condizioni della vita materiale e di avviare un
processo di razionalizzazione del lavoro
manifatturiero. Giunge così nel villaggio Glüphi,
ex-tenente, ora a riposo a causa delle ferite di
guerra, per sostituire l'anziano maestro e avviare
un progetto di riforma dell'educazione.
L'obiettivo di Glüphi è il raccordo tra istruzione e
lavoro: perseguendo tale finalità, progetta un
sistema di educazione incentrato sulla tessitura,
così come gli viene consigliato dalla volenterosa
Geltrude. Nasce una scuola a tempo pieno in cui i
bambini imparano a contare stando al telaio,
inoltre la lettura e la scrittura saranno apprese in
modo attivo, grazie a innovativi materiali didattici
costruiti da Glüphi stesso. Insiste inoltre sulla
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necessità di un’educazione concreta e di una
seria preparazione professionale, senza però
rifiutare un’educazione integrale. Si riscontra in
questo punto il rifiuto pestalizziano di un
verbalismo di derivazione pedantesca. Il
richiamo all'ordine è sempre presente all'interno
della scuola: « Voleva che l'aula fosse pulita come
una chiesa. Non tollerava che (…) i fanciulli
gettassero niente per terra o durante le lezioni
mangiassero o facessero altra cosa del genere.
Tutto doveva procedere come su un regolo, e
perfino nel levarsi e nel sedere gli alunni
dovevano conservare un tal ordine che nessuno
urtasse con l'altro. » è data particolare
importanza al decoro esteriore per riconoscere la
propria dignità di ognuno e il valore della scuola.
Il richiamo all'ordine è considerato essenziale se
si vuole instaurare l'ordine, più in generale, nella
società, anche attraverso il concreto impegno di
Arner ed Ernst, i quali contribuiscono con opere
di sostegno e di carità, incentivando forme di
autogoverno e decentramento popolare.
Nell'ultimo libro, il quarto, Arner si impegna
personalmente con il principe per far sì che
l'esperienza di Bonnal venga estesa a tutto lo
Stato e, difatti, nonostante alterne vicende, la
riforma educativa sarà estesa a tutto lo Stato. Nel
frattempo, Arner purtroppo si ammala e,
nonostante le più alte cariche del villaggio
provino preoccupazione e apprensione per le sue
condizioni, il popolo sembra indifferente alle sorti
del suo feudatario. Questo è la spunto per la
teorizzazione di Glüphi circa l'umana tendenza al
male e l'importanza fondamentale di
un'educazione che la ostacoli: quest'ultima parte
è detta la "filosofia del tenente" ed è idealmente
la conclusione, alquanto pessimistica, dell'intero
romanzo. Il terzo e il quarto libro sono rivolti alle
classi colte. Arner ed Ernst rispecchiano
l'impegno educativo dell'aristocrazia e della
Chiesa, gruppi sociali a cui Pestalozzi attribuisce
l'impegno concreto di iniziative destinate al
rinnovamento morale della società. Allo stesso
modo il principe incarna l'ideale pestalozziano di
uno Stato educatore.
Tuttavia è a Glüphi che Pestalozzi affida il suo
ideale educativo. Glüphi è il maestro che
Pestalozzi avrebbe voluto essere: riconoscendo la
difficoltà e l'importanza del suo mestiere, egli lo
considera più una missione che non una
professione. L'ex-tenente, infatti, non ha scelto
questo mestiere, ma vi si dedica comunque con
passione e costanza, proprio come si fa con una
missione. Glüphi impartisce un'educazione
concreta, evitando ogni verbalismo pedantesco,
inutile decoro dell'educazione dei contadini di
Bonnal, anche se "severa preparazione
professionale" non esclude un'educazione
integrale. Alla sua precedente carriera di militare
sono da attribuire la sua visione pessimistica circa
la natura umana, il costante richiamo all'ordine,
l'attenzione per ogni particolare dell'attività
educativa e didattica, il ricorso talvolta a
rimproveri, diretti se necessari anche alle
famiglie. In sostanza, Glüphi incarna la
consapevolezza pestalozziana dell'importanza e
del valore sociale dell'educazione popolare. Egli
educa con severità, non ammette inadempienze,
poiché sa che per i giovani contadini di Bonnal la
scuola è l'unico strumento per raggiungere
l'emancipazione politica e una dignitosa vita
sociale.
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L’elaborazione teorica del metodo Pestalozziano prevede vari stadi di sviluppo
1. Neuhof
2. Stans
3. Burgdof
4. Yverdon
____________________________________________________________
1. NEUHOF
Dopo il fallimento dell’azienda agricola, Pestalozzi
si dedicò per un po’ di tempo al commercio di
cotone: acquistava le balle di cotone grezzo da
alcuni parenti della famiglia Schulthess e le faceva
filare e tessere nelle vicinanze. Ma non era
abbastanza bravo a trarre un profitto sufficiente
dal lavoro di gente povera, e presso i suoi
creditori i debiti aumentavano. Nonostante
l’azienda di cotone di Pestalozzi non avesse
successo, diede comunque l’impulso per la
trasformazione del Neuhof in un istituto per
poveri. Pestalozzi vedeva centinaia di bambini
nella miseria, lasciati in balia della carità, e aveva
capito che l’unico modo per aiutarli era insegnare
loro a lavorare, dare loro un’istruzione e
insegnare loro, nella situazione sociale del tempo,
a filare, tessere o a coltivare i campi in modo
intensivo. Si suppone che questo pensiero sociale
si associasse con la prospettiva di assicurare la
propria sopravvivenza e quella della propria
famiglia nella sua azienda grazie a una
collaborazione con l’industria tessile fiorente.
Quindi, attorno al 1773, accolse nella propria casa
bambini poveri, diede loro da mangiare e di cui
vestire, li esortò a lavorare, li formò e li educò.
Così, nel 1774 la sua fattoria si era
definitivamente trasformata in un istituto per
poveri. Voleva creare un legame tra l’agricoltura
e il lavoro industriale nascente, per preparare alla
vita i bambini senza mezzi, in modo che
potessero combattere loro stessi la loro povertà.
Pestalozzi teorizza e applica una formazione
professionale, non riguarda l’insegnamento di un
solo lavoro che consente di guadagnarsi da
vivere, ma bisogna offrire loro anche una buona
educazione dell’intelletto e del cuore.
Si sapeva che l’istituto per poveri di Pestalozzi dal
punto di vista economico era un fiasco. Si faceva
prestare il denaro di cui aveva bisogno da amici,
conoscenti e parenti. Quando non bastò più, nel
1775 pregò l’amministrazione pubblica di
sostenere il suo istituto di educazione per poveri
tramite prestiti. Promise ai creditori la
restituzione del capitale, poiché era convinto che
i bambini, quando avrebbero imparato a lavorare,
avrebbero potuto contribuire finanziariamente
con il loro lavoro. Ma Pestalozzi si illudeva,
perché non appena i bambini si sentivano vestiti
e nutriti e avevano imparato a filare o tessere, i
genitori li riprendevano con sé e li facevano
lavorare per trarne guadagno loro stessi. Inoltre, i
tessuti fabbricati dai bambini non soddisfacevano
la qualità richiesta dai clienti abituali, motivo per
cui Pestalozzi doveva vendere i prodotti
sottoprezzo.
Nel 1778 Anna si vide costretta a rinunciare alla
propria eredità per poter pagare i debiti. E un
anno dopo a Pestalozzi non rimase nient’altro da
fare che impegnare quasi un terzo dei suoi
terreni.
Pestalozzi, in una retrospettiva della sua vita in “Il
Canto del Cigno” scriveva:
"La nostra sfortuna era decisa. Ero povero" (PSW
28, p. 234)
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Quasi tutti gli amici lo avevano abbandonato, i
vicini lo evitavano e lo deridevano, e i parenti
indebitatisi non volevano più vederlo, perché
ricordava loro il denaro perso.
Indagini: individualità e apprendimento
In seguito al fallimento dell’impresa educativa di
Nehuof, Pestalozzi approfondisce riflessioni sulla
filosofia della natura e sui fondamenti
dell’educazione. così, nelle indagini, delinea la
teoria delle tre facoltà, che diverranno i tre
ambiti educativi del suo metodo.
- facoltà morale, rappresentata dal cuore
- facoltà conoscitiva, rappresentata dall’intelletto
- facoltà tecnico-pratiche con cui si trasforma il
mondo, rappresentate dall’arte.
L’educazione integrale non può prescindere da
esse.
Vi è poi la facoltà più importante: quella
dell’intuizione, intesa come fondamento di ogni
conoscenza umana. Attraverso i 5 sensi
l’intuizione trae rappresentazioni chiare e
concetti ben definiti. Pestalozzi teorizzerà, dopo
l’esperienza di Stans, che l’intuizione è filtrata dai
tre ambiti fondamentali della forma, del numero
e del nome.
2. ESPERIENZA A STANS
L’istituto venne inaugurato il 14 gennaio 1799, e
dopo sei settimane c’erano già 80 bambini che
venivano curati da Pestalozzi e da una bambinaia.
La situazione di grave emergenza e la totale
mancanza di un’equipe qualificata spingono il
pensatore di Zurigo e ingegnarsi dal punto di vista
organizzativo e didattico. Farà così ricorso al
mutuo insegnamento, inteso come mezzo
esteriore d’aiuto per l’insegnante che affida parte
della didattica agli alunni più dotati che
stimoleranno e faranno partecipi i loro compagni
più deboli. Questo metodo viene teorizzato nella
raccolta di 14 lettere che prende il nome di
“come Geltrude istruisce i suoi figli”. In
quest’opera sottolinea come l’intuizione del
mutuo insegnamento sia nata dalla necessita che
a Stans si trovava costretto a insegnare a molti
fanciulli senza nessun aiuto. Pestalozzi propose
anche la ripetizione ad alta voce degli argomenti
con attenzione alla pronuncia ritmica. Riflesse
anche sul legame profondo tra gli elementi
basilari e il sistema complesso di ogni scienza, e
su come i fanciulli con uno studio confuso di
questi elementi primi potessero avere lacune in
ogni sistema di conoscenze.
Gli alunni di Stans soffrono la distruzione dei
propri legami affettivi. Pestalozzi coglie così
nell’amore la premessa indispensabile per
un’educazione efficace. Per l’insegnante è
impossibile insegnare tutto a tutti: si presenta la
necessità di un attivazione, ovvero di un processo
educativo che renda il discente un ente
autonomo. Per la teorizzazione di questi elementi
metodologici bisognerà aspettare l’attività di
un’altra scuola in quanto il fallimento di Stans
non era molto lontano.
3. IL METODO ELEMENTARE A BURGDOF
A burgdof Pestalozzi riceve finalmente la
collaborazione di insegnanti e una scolaresca con
condizioni di vita non drammatiche. La scuola di
Burgdof accoglie i bambini di ceto medio dai 5 ai
13 anni; non esistono classi, ma i gruppi si
modificano a seconda delle esigenze intellettuali
di ciascuna area didattica. È qui che delinea e
formula teoricamente il proprio metodo, nella
raccolta di 14 lettere che prende il nome di
“come Geltrude istruisce i suoi figli”.
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Caratteri generali del metodo elementare
TRE AREE EDUCATIVE FONDAMENTALI E L’EDUCAZIONE MORALE
Bisogna ricordare l’importanza della formazione
armonica della personalità nelle dimensioni della
mente, della mano e del cuore. Quest’ultimo
corrisponde alla sfera morale, da sviluppare nella
dimensione dell’amore, secondo il modello
materno. Infatti è ancora la madre a conoscere
come avvicinare con naturalezza il figlio agli
obbiettivi fondamentali dell’educazione morale:
Fede, Amore per Dio e Amore per gli Uomini.
DIDATTICA E CURRICOLO
La didattica si basa sull’intuizione, fondamento
della conoscenza. Attraverso un metodo intuitivo
o soggettivo l’educatore dovrà aiutare il bambino
a riconoscere gli elementi fondamentali della sua
osservazione della realtà. Seguendo la distinzione
tra numero, forma e nome Pestalozzi e i suoi
collaboratori organizzano l’insegnamento a
partire da tre gruppi di discipline. Aritmetica e
calcolo derivano dal numero; Geometria, disegno
e scrittura derivano dalla forma; la lingua invece,
collegata al nome, verrà imparata a partire
dall’intuizione del canto. Per giungere alla
decisione dei tre ambiti il pensatore di Zurigo ha
riflettuto sulle tre forze elementari della
conoscenza:
Metodo didattico Metodo elementare: punta a far acquisire gli elementi fondamentali del sapere. Il maestro deve rintracciare questi elementi e far si che vengano assimilati attraverso adeguati processi di apprendimento.
Figura materna Lo sforzo educativo è giustificato dal fatto che tutte le facoltà (morale, conoscitiva, tecnico-pratica) sono potenzialmente presenti all’atto della nascita. Pertanto l’intervento educativo dovrà iniziare prestissimo. Infatti ha inizio con la madre. La figura materna è il modello a cui deve ispirarsi il metodo, sia per la sfera affettiva che sa creare nell’ambito dell’insegnamento, sia per la semplicità con cui questo insegnamento viene offerto. Ha una dote naturale che unisce Competenza formativa, dolcezza e amore. Pestalozzi rivaluta la figura della donna: supera le passate concezioni di affidare la donna solo alle funzioni di allevamento (=locke e rousseau). La donna ha in se un dono di Dio: la capacità di intuire le richieste del bambino. Di fronte ad un epoca in cui molte donne sono imprigionate per infanticidio e abbandono dei figli per mantenere un equilibrio nel bilancio familiare, Pestalozzi le difende in modo critico. In fondo, sostiene, i partner dovrebbero partecipare maggiormente all’accudimento, non devono far sentire sola la moglie.
Amore pensoso Necessario che la madre fondi il suo approccio educativo su leggi eterne dello sviluppo, per rendere l’educazione materna ancora più efficace.
Naturalità Il metodo prevede di riconoscere le leggi eterne dello svilupo, cosicché l’insegnamento offerto da insegnanti e madri sia naturale e coerente con lo sviluppo.
organicità Tutti gli insegnamenti sono disposti in serie psicologicamente incatenati
Gradualità Dal semplice al complesso
Vicinanza I contenuti dovranno partire dall’esperienza del fanciullo, per poi allontanarsene progressivamente.
Continuità Riporta il maestro a partire dall’istruzione e dall’ambiente educativo materno. Emerge ancora qui centralità educazione famigliare.
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1°. Facoltà di emettere suoni, da cui si sviluppa la
facoltà della parola.
2°. Facoltà indeterminata (perché priva di modelli
specifici) e puramente sensibile di
rappresentazione, da cui si sviluppa la coscienza
di tutte le forme.
3°. Facoltà determinata e non puramente
sensibile di rappresentazione, da cui si ricava la
coscienza dell’unità e con essa la facoltà della
numerazione e del calcolo.
Educazione dell’uomo deve dunque basarsi sulle
tre facoltà fondamentali del nome, della forma e
del numero. Sono principi indicati dalla natura e
come tali da mantenere nel corso di tutto
l’insegnamento per un apprendimento efficace.
Gli educatori mettono a punto una serie di esercizi fondati sul passaggio graduale dalla parte al tutto:
esempio:
lingua: suono -> sillaba -> parola -> frase.
Disegno: linea orizzontale -> forma geometrica
In questo modo viene vincolata la spontaneità infantile, imponendo una successione rigidamente
preordinata di elementi astratti.
Educazione pratica e la dignità del lavoro
Gli studenti di Burgdorf non sono poveri come
quelli di neuhof perciò l’educazione al lavoro non
ha lo stesso valore sociale che aveva prima.
L’educazione della “mano” viene inserita
ugualmente nel curricolo per il suo valore
formativo. il “fare” è una componente essenziale
per l’infanzia. Anche in questo campo bisogna
rintracciare gli elementi base (che possono essere
lo <<spingere, il tirare, il battere, il gettare, …>>),
da cui è necessario partire per raggiungere
GRADUALMENTE l’arte adulta, secondo un
percorso che Pestalozzi non riesce a mettere in
chiaro nemmeno nel periodo di Yverdon.
Anche l’iniziativa di Burgdof andrà in fallimento.
4. YVERDON: APOGEO E CRISI DEL SISTEMA EDUCATIVO PESTALOZZIANO
A Yverdon Pestalozzi costruisce una normale
scuola-convitto a pagamento per giovani
benestanti di entrambi i sessi, che giunge ad
avere fino 150 alunni e 15 insegnanti che si
differenziano per qualità e competenza rispetto
agli insegnanti di Burgdof. Assume grande
successo a livello europeo, attirando consensi e
visite illustri. L’eccessiva preoccupazione per la
ricerca di un metodo di base per l’educazione
popolare produce alcuni eccessi didascalici,
come il mnemonicismo e una precettistica
minuta, che soffocano i processi di
apprendimento nei loro aspetti spontanei e
creativi, e tolgono all’intuizione infantile i suoi
elementi naturali di globalità. Nel canto del cigno
Pestalozzi scrive che già implicita nella natura del
progetto ad Yverdon vi erano elementi che
avrebbero portato al fallimento totale l’Istituto.
Su incarico del governo bernese, l’istituto fu
ispezionato in particolare da Padre Girard che
espresse la sua impressione nel rapporto del
1810. C’è da dire che Girard era direttore di una
scuola gesuitica dove la formazione è fortemente
improntata più sul versante umanistico. Dei tre
ambiti formativi essenziali teorizzati da Pestalozzi
(numero, forma e nome) il nome, che
corrisponde all’area umanistica, era quello meno
preso in considerazione. Padre Girard fa presente
nel suo rapporto la prevalenza degli insegnamenti
scientifici e matematici (forma e numero). C’è da
dire che si dimostrò ammirato dal clima morale
che vigeva. Nella scuola gesuita vigevano fattori
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come premi e punizioni al fine di mantenere la
disciplina, sviluppando negli educandi motivazioni
estrinseche, agendo perciò o per non ricevere
punizioni o per ottenere premi. Invece a Yverdon
la disciplina non è imposta da altri. Gli apprendisti
sono mossi da motivazioni intrinseche, vi era un
predominante bisogno di autorealizzazione. È
questo che stupì di più l’ispettore.
Un altro punto di vista sull’istituto di Yverdon fu
quello di Marc-Antoine Jullien che ne studiò ogni
aspetto, pubblicando nel 1812 un opera in due
volumi dal titolo “spirito del metodo
dell’educazione di Pestalozzi” (exprit de la
Methode d’edcuation de Pestalozzi). Julien si
interesso all’Istituto come un padre che tiene
molto alla formazione del figlio. Infatti non voleva
inviare i suoi figli in un ‘liceo’ napoleonico dove il
percorso di studi resta vacuo, improntato sulla
rigida disciplina e sull’indottrinamento di tipo
‘imperiale’ operato sfruttando testi classici. Il
parare di Julien era in sostanziale accordo con
molti altri visitatori, tra cui lo stesso Girard. Lo
spirito di industria, sostiene Julien, prepara a
tutte le professioni; prepara l’uomo in ogni parte
del sapere e a ricoprire qualunque incarico
sociale nel suo futuro.
Al primo posto nell’Istituto di Yverdon vi è
l’ambito del NUMERO che corrisponde all’area
matematica, la quale fiorirà tantitssimo.
Al secondo posto vi è l’ambito della FORMA che
corrisponde all’area dell’arte e dell’architettura,
nella quale si realizzano progetti da consegnare
poi agli addetti per la realizzazione.
Al terzo posto, lamentato da Girard, vi p l’ambito
del NOME, che corrisponde all’area umanistica. A
Yverdon quest’area è la meno importante ma è la
più significativa in quanto ogni apprendista da
implicitamente il suo contributo in questo campo.
Julien ritiene questa impostazione del metodo
favorevole allo sviluppo di metodi d’educazione
attiva o ‘progressiva’, o anche, POLITECNICA.
DECADENZA DI YVERDON
Pestalozzi era consapevole che ci si stava
spingendo sempre più al didatticismo. Le menti
erano sempre più vincolate ad una scelta sempre
più settoriale. Si stava seguendo un sapere
sempre più specialistico, perdendo quel
fondamentale aspetto integrale che aveva
caratterizzato il metodo di Pestaozzi fin dai tempi
di Neuhof. Con sollecitazione di Padre Girard
rafforzò così l’anello del NOME: vuoleva integrare
le materie umanistiche e svincolarsi da
didatticismo. A questa scelta conseguì una
spaccatura di interessi e l’incapacità da parte di
Pestalozzi di una buona gestione. A questo
aggiunsero gli esiti sfavorevoli di un’ispezione da
parte del governo aprendo così le prime crepe tra
i collaboratori. La situazione di Yverdon in 15 anni
peggiorerà sempre di più fino alla chiusura
dell’Istituto e allo strascico di polemiche che
perseguiterà Pestalozzi fino alla morte. Molti dei
ricercatori che lavoravano nell’istituto del
pensatore di Zurigo, una volta tornati nelle loro
località aprirono scuole con progetti propri. Tra
questi ricercatori spicca la figura di Frobel.
Pestalozzi si ritirò, fino alla morte, a Neuhof.
IL CANTO DEL CIGNO, RITORNO A NEUHOF. IL SUPERAMENTO DEL DIDATTICISMO: LA VITA EDUCA
Dopo la crisi dell’Istituto di Yverdon, Pestalozzi
ritorna a Nehuof, dove scrive il ’canto del Cigno’,
opera in cui realizza un complessivo
ripensamento sulle sue esperienze educative
precedenti.
Sottopone a rilevante critica il forte didatticismo
presente nella sua attività precedente e nella
teorizzazione di ‘come Geltrude istruisce i suoi
figli’. Il pensatore di Zurigo esalta l’educazione
naturale. In virtù del motto rousseauiano <<la
vita educa>>, rifiuta ogni irrigidimento metodico
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e richiama alla necessità di raccordare
l’intervento educativo con le disposizioni naturali
dell’educando e le sue condizioni ambientali e
sociali, senza per questo trascurare
l’armonizzazione fra CUORE, MENTE e MANO,
richiamo costante della pedagogia pestalozziana.
Il timore di Pestalozzi è però quello di dar vita ad
una società fondata sull’immobilità sociale.
Infatti, sostenendo un’educazione naturale che è
strettamente correlata all’ambiente sociale, e che
quindi si circoscrive alle reali possibilità di ogni
individuo, è facile che la struttura della comunità
non sia incentivata ad una mobilità sociale.
Pestalozzi in quest’ultima opera fa una analisi
anche per quanto riguarda l’anello del NOME, del
linguaggio. È della concezione che il linguaggio
vada appreso nell’esperienza della vita. bisogna
perciò rifiutare il metodo mnemonico-
grammaticale sia per la lingua materna sia per
tutte le altre lingue. Perciò l’intuizione non trova
più la sua prima espressione nelle relazioni
formali e numeriche, ma nel linguaggio.
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