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Giugno, luglio e agosto 2016, numero 3, ANNO III Il mOOK MULTIMEDIALE Il mOOK MULTIMEDIALE open access gratuito open access gratuito di divulgazione sul CAD e su tutto ciò che fa tecnologia, progettazione, grafica & design di divulgazione sul CAD e su tutto ciò che fa tecnologia, progettazione, grafica & design /11 L’ulma parte dello speciale dedicato ai criteri generali per la realizzazione di sbrogliature circuitali professionali factory oriented Sbrogliatura PCB /15 Dopo la biografia del noto scienziato inglese del XVII sec., ci occuperemo degli sviluppi lega alla sua Legge sull’elascità Sull’elasticità... /22 Dante Giacosa La vita e l’opera di un grande progesta italiano che ha saputo rendere il marchio Fiat un brand mondiale in cui idenficare il Made in Italy

CADZINE n° 3, giugno luglio e agosto 2016, ANNO III

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Giugno, luglio e agosto 2016, numero 3, ANNO III

Il mOOK MULTIMEDIALE Il mOOK MULTIMEDIALE open access gratuitoopen access gratuito di divulgazione sul CAD e su tutto ciò che fa tecnologia, progettazione, grafica & design di divulgazione sul CAD e su tutto ciò che fa tecnologia, progettazione, grafica & design

/11 L’ultima parte dello speciale dedicato ai criteri generali per la realizzazione di sbrogliature circuitali professionali factory oriented

Sbrogliatura PCB /15 Dopo la biografia del noto scienziato inglese del XVII sec., ci occuperemo degli sviluppi legati alla sua Legge sull’elasticità

Sull’elasticità... /22 Dante Giacosa La vita e l’opera di un grande progettista italiano che ha saputo rendere il marchio Fiat un brand mondiale in cui identificare il Made in Italy

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«

». Dante Giacosa “I miei 40 anni di progettazione alla Fiat”, pag. 9.

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Ultima puntata sulla Sbrogliatura di un circuito elettronico nella rubrica “Arduino, ECAD ed elettronica applicata”. La Legge sull’elasticità di Robert Hooke è il tema della rubrica "Basi per il disegno e la progettazione". La "Designer’s Story" di questo mese presenta Dante Giacosa, uno dei padri dell’automotive contemporaneo. La rubrica "Elementi di progettazione edile", di A. Martini, ha per oggetto “I progetti esecutivi” per l’edilizia residenziale. Nella rubrica

“Geomatica” la storia del Laboratorio LCGSA di Harvard e dei suoi straordinari e pioneristici software GIS. Intervista al prof. Netti su di un nuovo C.d.L., pieno di novità, della Federico II di Napoli nella rubrica “Ingegneria Biomedica Open Access”. Incontriamo Matteo Massetti, un simpaticissimo geometra toscano, che conosceremo nell’Intervista di questo mese. N. Amalfitano parla delle differenze tra Banda musicale e Orchestra di fiati nella rubrica “Musica”. Per “New

hardware for CAD” impareremo a distinguere i vari tipi di velivoli. Raccomandazioni finali per l’ultima puntata del “Corso di orientamento alla BIM”. Nel “Corso di base per SketchUp” M. Massetti ci presenta tre suoi video tutorials sulla realizzazione di tetti alla Toscana. Chiudono questo numero la terza parte del tutorial di A. Buccella sulla renderizzazione di un modello 3D per Google Earth e la seconda puntata del “Corso di Umap” di P. Bubici.

In questo numero...In questo numero...

Caporedattore: S. Giglio Redazione: N. Amalfitano, A. Buccella, P. Bubici, A. Martini, M. Massetti, N. Nullo, G. Rogo

Segretaria di redazione: N. Nullo Curatori editoriali: N. Amalfitano, N. Nullo

Laboratorio

[la·bo·ra·tò·rio] sostantivo maschile Locale attrezzato per un'attività specifica, tecnica o scientifica, di carattere sperimentale o anche produttivo.

PAG. 07 NEWS

PAG. 09 EDITORIALE di Salvio Giglio “A parlare, ancora una volta, di massimi sistemi”

PAG. 11 ARDUINO, ECAD ED ELETTRONICA APPLICATA di Salvio Giglio “Impariamo a sbrogliare un circuito”, VIII PUNTATA, III PARTE

PAG. 15 BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTA-ZIONE di Salvio Giglio “Robert Hooke, precursore della Meccanica del Conti-nuo”, II PUNTATA

PAG. 22 DESIGNER’S STORY di Salvio Giglio “Dante Giacosa”

PAG. 35 ELEMENTI DI PROGETTAZIONE EDILE di Antonio Martini “I progetti esecutivi”,

III PUNTATA

PAG. 39 GEOMATICA di S. Giglio “L’analisi spaziale per il GIS”; II PUNTATA; “Quando le mappe si facevano con le macchina da scrivere…”

PAG. 53 INGEGNERIA BIOMEDICA OPEN AC-

CESS di Redazione IB “Nasce Industrial Bioengineering a Napoli: intervista al prof. Paolo Netti”

PAG. 57 INTERVISTA di Salvio Giglio “Matteo Masetti”

PAG. 63 MUSICA di Nicola Amalfitano “Banda… Orchestra di Fiati c’è differen-za? Quel che conta è la qualità dell’ese-cuzione”

PAG. 67 NEW HARDWARE FOR CAD di Sal-vio Giglio “Volano… ma non son tutti uguali”, VI PUNTATA

rubricherubriche corsi & tutorialscorsi & tutorials PAG. 73 CORSO DI ORIENTAMENTO ALLA BIM di Salvio Giglio “Raccomandazioni finali”, XV PUNTATA

PAG. 76 CORSO DI BASE PER SKETCHUP di Matteo Massetti “Esempi di applicazio-ni pratiche con SketchUp: la modellazio-ne dei dettagli di un tetto spiovente”

PAG. 78 TUTORIAL: RENDERIZZARE & POST-

PRODURRE UN MODELLO PER GOOGLE EARTH di Antonello Buccella “Inquadrature di un render in SketchUp per Google Earth e ritocchi finali in Photoshop”, III PARTE

PAG. 82 CORSO DI UMAP di Paolo Bubici “Impariamo ad utilizzare Umap”, II PUNTA-

TA

eventuali & varieeventuali & varie PAG. 84 UMORISMO

PAG. 85 GIOCHI

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Cos’è CADZINECos’è CADZINE È una rivista gratuita nata in

seno alla Community di “AutoCAD, Rhino & Sket-

chUp designer” per informare & formare disegnatori tecnici e

appassionati sul CAD ed i suoi “derivati”.

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senti sono gratuite, create e pubblicate a discrezione della

redazione.

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Grafico editoriale: S. Giglio Editore: Calamèo (Hachette)

Web site support: Jimdo.com

E’ consentita la riproduzione di testi , foto e grafici citando la fonte e inviandoci una copia. Questa pubblicazione è CopyLeft & Open Access

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PAG. 76 CORSO DI BASE PER SKETCHUP di Matteo Massetti “Esempi di applicazio-ni pratiche con SketchUp: la modellazio-ne dei dettagli di un tetto spiovente”

PAG. 78 TUTORIAL: RENDERIZZARE & POST-

PRODURRE UN MODELLO PER GOOGLE EARTH di Antonello Buccella “Inquadrature di un render in SketchUp per Google Earth e ritocchi finali in Photoshop”, III PARTE

PAG. 82 CORSO DI UMAP di Paolo Bubici “Impariamo ad utilizzare Umap”, II PUNTA-

TA

eventuali & varieeventuali & varie PAG. 84 UMORISMO

PAG. 85 GIOCHI

Questo numero di CADZINE è stato particolarmente laborioso, “Tanto per cambiare!” direte voi, anche perché mi sono imbattuto in uno di quei personaggi avvincenti, potenti, capaci di lasciare veramente un segno nella storia attraverso il loro ingegno e la loro formatività. Ovviamente mi riferisco alla Designer’s Story di questo numero dedicata a Dante Giacosa, un progettista che interpretava il disegno meccanico non come mera tecnica rappresentativa di un oggetto da costruire, ma come un linguaggio completo e alternativo a quello parlato, un mezzo espressivo con cui comunicare direttamente con le menti di altri progettisti e con quelle di coloro che avrebbero, infine ,tradotto quei segni grafici in automobili. Il debito della Fiat, e del mondo dell’automotive, nei confronti dell’ingegner Giacosa è enorme, dal momento che il suo apporto innovativo è stato in grado di trasformare profondamente lo stesso processo costruttivo degli autoveicoli ed incidere non poco sulla metamorfosi sociale vissuta dagli italiani dopo la Seconda Guerra Mondiale attraverso quelle piccole e deliziose utilitarie che hanno fatto letteralmente sognare i nostri genitori.

Dante Giacosa: un emblema dell’industria italianaDante Giacosa: un emblema dell’industria italiana

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THE POWER OF (GEO) GAMES Il primo ristorante al mondo in

cui si cucina con la stampante 3D

Cosenza, recuperate 17 antiche pergamene

La stampa 3D senza confini! Adesso le prime applicazioni anche in campo gastronomico...

A Londra è stato inaugurato il primo ristorante al mondo in cui si cucina con la stampante 3D L’ultima tendenza in fatto di ristorazione sta facendo molto rumore sul web, tra lo stupore e la curiosità del popolo della Rete. FoodInk è il primo ristorante pop up dove il cibo, i bicchieri, i piatti, le posate e i tavoli sono realizzati con le stampanti 3D. Queste ultime vengono prodotte dalla compagnia byFlow, che creò la prima stampante portatile 3D multi-materiale denominata Focus nel 2014, e vengono caricate con ingredienti freschi: dalle verdure ai grassi, dalle farine alle carni. Il sistema consente di unire i prodotti e metterli nel piatto, con forme difficilmente riproducibili da un e s s e r e u m a n o . da Pourfemme dell'8 agosto 2016 ( s c r i t t o d a D o m e n i c o Giampetruzzi) A.B.

L’applicazione Pokémon GO, ultima novità nel mondo delle app, ha delle caratteristiche abbastanza uniche, anche se non nuove. Il suo lato misterioso è proprio una di queste caratteristiche: ti fa scoprire oggetti di un mondo virtuale proiettato nel modo reale, infatti, solo se si è in un dato luogo ed in un determinato momento, si presentano delle possibilità da cogliere. E’ proprio l’unicità della situazione che ci spinge a scaricare la app e a giocare: è gratis, facile, non invasivo e lascia spazio alla curiosità e alla scoperta. Pokémon GO non è solo un gioco. Il suo gemello, Ingress, è utilizzato da milioni di utenti spinti a scendere in strada a caccia di portali da conquistare e da difendere. L’unico scopo del gioco, dove non è (ancora) presente pubblicità o sistemi di acquisto, sembra proprio quello di abituarci alle funzionalità del no s tr o s ma rtp ho ne . L e informazioni passano attraverso il dispositivo che portiamo con noi e attraverso questo riceviamo informazioni più pertinenti, unendo informazioni personali con la localizzazione. Queste applicazioni saranno sempre più importanti nell’individuazione degl i spostamenti dell e persone, potrebbero diventare degli attrattori fondamentali di questo flusso di consumatori. L’analisi sociale e la statistica sono sempre state il fondamento degli studi di marketing, ma quando a queste si aggiunge l’attributo geografico, si può parlare di GEO Marketing Di Gian Luca Padovan su GeoMarketing

COSENZA Recuperate ben diciassette pergamene preziose, che erano state trafugate dall'Archivio di Stato di Cosenza tra il 2003 al 2009. L'operazione, condotta dai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale, e' stata coordinata dal procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla, e dal sostituto Angela Continisio. Le pergamene, che sono state individuate a Cassano allo Jonio risalgono a un periodo che va dall'inizio del XVI secolo alla prima metà del XVIII secolo. Si tratta di "antifonari", manoscritti utilizzati nelle liturgie ecclesiastiche, in lingua latina e greca. Le pergamene ri sultav an o uffi ci almen te smarrite nel corso di un trasloco. Sulle pergamene sono riportati in lingua greca e latina testi musicali di accompagnamento alla Santa Messa. I particolari dell'operazione sono stati illustrati, questa mattina, in conferenza stampa a Palazzo Arnone dal procuratore Facciolla: «Siamo partiti da una segnalazione per un'altra vicenda, che riguardava un

annuncio su un sito commerciale relativa a un'opera trafugata, ma poi i carabinieri, perquisendo la casa di un cinquantenne, che è stato denunciato, sono stati bravissimi a vedere che c'era anche altro. Crediamo - ha aggiunto Facciolla - che ci sia una rete di livello nazionale o sovranazionale di soggetti coinvolti dietro questi trafugamenti. E' un risultato importante che permette di tutelare il patrimonio della nostra terra. Come Procura continueremo a supportare queste attività». Il capitano Carmine Gesualdo, del Nucleo tutela patrimonio culturale dei carabinieri, ha detto che le pergamene recuperate «hanno un notevole valore economico e ne risultato scomparse in tutto una novantina. L'operazione nasce da un annuncio che proponeva la vendita di un quadro, risultato falso, postato su internet da un cinquantacinquenne di Cassano appassionato d'arte. Durante la perquisizione abbiamo trovato i documenti che fanno parte di 95 pezzi trafugati tra il 2003 e il 2009. Speriamo di trovarli tutti». Da Corriere della Calabria 15 giugno 2016 (scritto da Mirella Molinaro). G.S.

Ricostruire la mensola crollata di un balcone in pietra o il particolare del volto di una scultura in marmo. Ricomporre il cornicione danneggiato di un palazzo. Restituire integrità a un fregio architettonico che sembrava irrimediabilmente compromesso. E' in costante aumento anche nel campo del restauro integrativo e, più in generale, in quello della valorizzazione e conservazione del patrimonio culturale l'impiego di tecnologie legate alla stampa digitale. Fino a qualche anno fa gli esempi erano sporadici e si trattava soprattutto di scansioni

destinate alla costruzione di modelli virtuali. Grazie a una tecnologia che si fè fatta mano mano più economica e alla portata di tutti, si è passati, in poco tempo, dalla scansione alla copia al restauro vero e proprio. Le applicazioni della stampa 3D, già praticamente infinite, potrebbero trovare un ulteriore campo di sperimentazione all'Aquila e negli altri Comuni del Cratere.

d i R o b e r t o C i u f f i n i (da NewsTown del 30 luglio 2016)

A.B.

Ricostruire L'Aquila in 3D con le nuove tecnologie del restauro

Mini-robot scalatori, per future fabbriche portatili

A metà tra un esperto scalatore e Spiderman, arrivano i mini-robot capaci di arrampicarsi sulle pareti e tessere delle intricate 'ragnatele' e amache di fili di carbonio, in modo da costruire oggetti e grandi strutture. I prototipi, realizzati nell'università tedesca di Stoccarda dall'architetto Maria Yablonina, nell'ambito del progetto Mobile Robotic Fabrication System for Filament Structures, potrebbero essere un assaggio delle fabbriche del futuro. A segnalarli è Robohub, la maggiore comunita' scientifica internazionale degli esperti di robotica. L'idea del progetto è realizzare dei robot semi-autonomi, capaci di arrampicarsi sui muri e distribuire dei filamenti di fili di carbonio, sia su superfici verticali che orizzontali, o sfruttando anche opere architettoniche esistenti, per realizzare strutture nuove.

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C hi ha visto il film Quo vado di Checco Zalone, si è fatto sicuramente un’idea della ruggine

che ha corrotto, e che continua a corrompere, il settore amministrativo del nostro Paese contaminando e intossicando, di conseguenza, la stessa vita pubblica dell’Italia. Indimenticabile emblema di questo triste stato di cose sono le schifose immagini che riprendono quel vigile urbano sanremese che andava a timbrare il cartellino in mutande, esprimendo palesemente così tutto il suo disprezzo per l’istituzione che rappresentava e per cui operava. Sommando tutte le nefandezze perpetrate da questi loschi figuri, dal dopoguerra sino ai nostri giorni, si ottiene come triste risultato la palude melmosa in cui siamo costretti a muoverci per qualunque atto burocratico e che di fatto, nel suo complesso, è ancora una vera e propria palla al

piede che annichilisce qualunque proposito concreto di ripresa al di la della stessa crisi economica. Fortunatamente, per pareggiare in qualche modo i conti, la storia ci regala anche figure di uomini onesti e laboriosi e ne sono fulgido esempio proprio i personaggi di cui parliamo in questo numero: Dante Giacosa ed Harold T. Fisher. Come avrete modo di leggere in seguito, con la loro intelligenza e lungimiranza sono riusciti ad apportare dei cambiamenti significativi nei relativi campi di competenza, raggiungendo dei risultati di un valore tale da rappresentare delle vere proprie basi disciplinari. Tutto ciò offre lo spunto per fare qualche altra considerazione su quanto sta riempiendo, con sempre maggiore frequenza, le cronache di questi giorni così densi di angoscia. Gli esempi di cui vi parlavo in apertura sono parte dell’eterna dicotomia che sussiste tra il Bene e il Male e che condiziona quotidianamente e pesantemente ogni attività umana, frammentandosi in tutta una lunghissima serie di contrapposizioni su cui poi l’uomo è chiamato a decidere:

operosità contro negligenza; intelligenza contro furbizia; cultura contro ignoranza e così via, fino a raggiungere, purtroppo, persino gli angoli più remoti della nostra coscienza, manifestandosi così attraverso l’ennesima dualità che vede pericolosamente contrapporsi fede contro fanatismo, dialogo contro violenza. Non esiste nessuna medicina migliore della Cultura e del Dialogo per curare l’ennesima epidemia pestilenziale guerrifera che pretenderebbe, ancora una volta, di veder scorrere il sangue di milioni di innocenti e di sottomettere sotto degli ambigui tiranni i superstiti. Una via di fuga da questo orrore ancora c’è: a patto che la politica abbandoni gli agi della retorica e gli abomini delle armi e che gli uomini si liberino di paure e pregiudizi.

di Salvio Gigl io

A parlare, ancora una volta, di massimi sistemi

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Impariamo a sbrogliare un circuito

In questa terza puntata definiremo, con maggiore precisione, le principali regole per eseguire una sbrogliatura efficace finalizzata a realizzare dei PCB professionali, già orientati alla produzione industriale. Mi preme sottolineare che, al di là di Fritzing, quanto è stato scritto sinora nell’ambito di queste puntate “speciali”, ha un carattere generale ed ha lo scopo di presentare al lettore un modello di flow chart progettuale che sia capace di accelerare il suo lavoro con qualsiasi ECAD.

Criteri generali per la fase di sbroglio

Per fare in modo che la nostra progettazione sia il più aderente

possibile alla realtà produttiva è necessario, prima di iniziare lo sbroglio, predefinire alcuni parametri funzionali del circuito come: lo spessore delle piste (10mils

per le piste di segnale, 40- 50mils per l’alimentazione e massa a seconda della portata di corrente);

la distanza minima tra le piste necessaria a garantire l’isolamento (10mils tra le piste di segnale e 3mm tra le piste a tensioni pericolose);

il tipo di foro vias da utilizzare (da 50mils, 1.27mm di diametro della piazzola con foro da 24mils), ricordando che la sua corona circolare deve essere ≥ 0.2mm (8mils) mentre quella per i fori, con diametro ≥ 2mm (80mils), sarà ≥ 0.5mm (20mils). Nell’intero progetto si adopererà un unico tipo di vias, anche perché utilizzarne

tipi diversi farebbe aumentare notevolmente il costo finale del PCB.

Per quanto riguarda il disegno dei percorsi necessari al trasporto di tensioni e segnali si seguirà questo criterio: si rappresentano per prime le

piste di segnale, poi quelle di alimentazione e alla fine quelle destinate alla massa;

si utilizza il piano top layer per operare con le connessioni orizzontali e il bottom layer per quelle verticali, o viceversa: in tal modo, entrambi i layer sono impiegati razionalmente e facilitano la produzione industriale. Per collegare i due layer si ricorre ai vias, tecnica questa utilizzata anche per interfacciare due componenti SMD distanti sul circuito;

per evitare cortocircuiti due piste appartenenti allo stesso

VIII puntata, III ed ultima parte

di Salvio Gigl io

Un ultimo sguardo alla sbrogliatura, in particolare alla best practice con cui sviluppare i nostri elaborati progettuali esecutivi immediatamente preliminari alla produzione del PCB. Sull’argomento il lettore sappia che

c’è un oceano d’informazioni a disposizione gratuitamente sulla rete, specialmente in lingua inglese.

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layer non devono mai intersecarsi;

le piste vengono normalmente rappresentate verticalmente, orizzontalmente o in diagonale a 45°, non sono ammesse tracce rotonde;

evitare di creare angoli retti e/o acuti con le piste perché questi determinano problemi di lavorazione e delaminazione della scheda. Per abbattere gli angoli si creano degli smussi a 45°;

dalle piazzole a forma rettangolare conviene far partire sempre delle piste perpendicolari ad esse, evitando quelle diagonali;

per collegare pins vicini evitare di creare vaste zone di rame;

quando possibile evitare di realizzare collegamenti a T;

evitare di realizzare collegamenti circolari, o loop, tra pads che distano 100 mils l’un dall’altro preferendo ad essi, invece, la rappresentazione con una pista singola;

controllare costantemente il proprio lavoro evitando di lasciare piste orfane, cioè senza alcuna connessione.

Il punto di partenza

Dopo aver definito gli aspetti di cui nel paragrafo precedente, è necessario decidere se partire con lo sbrogliare per prime le piste di alimentazione o, piuttosto, quelle di segnale ricordando che le prime sono quasi sempre collegamenti lunghi e complessi. Si tratta di due vere e proprie diverse strategie di lavoro che comportano però, in entrambi i casi, l’impiego di un certo numero di vias aspetto quest’ultimo che si può scongiurare solo con una disposizione ottimale della componentistica e lavorando esclusivamente col top layer. Si comincia a sbrogliare lavorando con i gruppi realizzati

precedentemente ubicandoli nelle posizioni più congeniali per il loro collegamento. Nella fase di rappresentazione delle piste bisogna essere molto lungimiranti scegliendo, tra le soluzioni possibili, quella che poi ci permette di semplificare lo sbroglio delle rimanenti piste limitando al massimo l’utilizzo di vias. Capita con una certa frequenza, a progettazione inoltrata, di ritrovarsi bloccati durante la tracciatura di una nuova pista innanzi ad una che era stata già sbrogliata in precedenza. In questi casi si aggira l’ostacolo o con l’allungamento della nuova pista o ricorrendo a un vias per bypassarlo sull’altro layer. Quando è possibile, una buona pratica per agevolare le operazioni di sbroglio consiste nello scambiare le porte logiche uguali di uno stesso integrato. Nella Tab. 1, alcuni esempi di tracciature di piste per semplici PCB destinati a circuiteria con componentistica tradizionale in cui non è prevista una riproduzione a scala industriale.

Check list per verificare il lavoro

IN GENERALE

1. Ricordate di lavorare con un griglia di riferimento e ad una scala di almeno 2:1.

2. Verificate di aver correttamente nominato i vari fogli di cui è composto il lavoro (ad es.: LC = piste lato componenti, LS = piste lato saldature, VC = vista componenti, ecc.).

3. Ispezionate tutti i collegamenti del circuito utilizzando una fotocopia dello schema elettrico, evidenziando con un pennarello colorato quelli che sono stati verificati.

4. Controllate se avete indicato le dimensioni reali totali della piastra, la posizione dei fori di montaggio, ecc.

5. Informatevi se il procedimento di fabbricazione che avete immaginato per l’eventuale realizzazione del vostro PCB è compatibile con quella impiegata dai produttori locali.

PER I COMPONENTI

1. Verificate se tutti i componenti utilizzati nello schema elettrico sono stati inclusi nello sbrogliato.

2. Controllate la correttezza dimensionale di tutti i componenti confrontandoli con la scala d'ingrandimento utilizzata.

3. Accertatevi che la disposizione dei componenti sulla piastra risulti razionale e corretta.

4. Controllate che la distanza intercorrente tra i vari componenti sia corretta e ben relazionata con le dimensioni della basetta.

5. Ispezionate se sono state indicate correttamente tutte le polarità dei componenti polarizzati (integrati, transistor, diodi, diodi zener, condensatori elettrolitici, ecc.).

6. Esaminate se sono state rispettate eventuali condizioni particolari richieste nel posizionamento dei componenti (dissipatori di calore, supporti particolari, ecc.).

7. Verificate che la scheda, una volta installata nell'apparecchiatura, permette una buona accessibilità ai componenti, per eventuali ispezioni e manutenzioni.

8. Verificate che sia stata rispettata la distanza minima imposta tra i bordi della piastra (fori di montaggio, fori meccanici, ecc.) e la sagoma dei componenti.

PER I FORI 1. Ispezionate che tutte le

piazzole ed i fori siano stati posizionati correttamente sulla

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griglia di riferimento. 2. Controllate che sia stata

prevista una piazzola separata per ciascun reoforo di componente, per ogni cavo di ingresso ed uscita e per l'alimentazione.

3. Osservate che siano stati indicati tutti i tipi e le dimensioni dei fori metallizzati e delle piazzole e che corrispondano alle specifiche imposte dal progetto.

4. Accertate che siano state rispettate le zone riservate in cui non è possibile posizionare delle piazzole o dei fori metallizzati.

5. Verificate che siano state rispettate le distanze minime previste tra due piazzole e/o fori metallizzati.

PER PISTE E CONDUTTORI

1. Controllate che siano stati indicati tutti i tipi e la relativa larghezza delle piste utilizzate e che esse corrispondano alle specifiche imposte dal progetto.

2. Accertate che le piste siano state sbrogliate seguendo il criterio migliore (minima quantità di ponticelli, lunghezza e percorso ottimizzati evitando quelli lunghi e paralleli per i bus, arrotondando le curve, evitando gli angoli acuti, ecc.).

3. Verificate che i punti critici del circuito siano stati sbrogliati in modo corretto (rispetto della lunghezza massima dei conduttori ammessa, corretto collegamento delle masse, rispetto dell’isolamento minimo tra piste, zone di massa

collegate correttamente, esatta distribuzione dell’alimentazione, perfetto isolamento dei piani di raffreddamento, ecc.).

4. Sinceratevi che sia stata indicata chiaramente la differente colorazione adottata per riconoscere i diversi fogli di cui è composto il lavoro: (blu = piste lato componenti, rosso = piste lato saldature, nero = vista componenti).

Con quest’ultima parte finisce il nostro approfondimento sui principi di base della sbrogliatura. Nella prossima puntata applicheremo a Fritzing quanto abbiamo sinora appreso esercitandoci con un piccolo circuito di facile realizzazione.

Continua…

Tab. 1, le principali best practices per la sbrogliatura

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Robert Hooke, precursore della Meccanica del continuo

I l primo amore non si scorda mai! Cerco di immaginarmelo Robert Hooke adolescente

che, innamoratissimo della meccanica, armeggia con un vecchio orologio di ottone cercando di svelare tutti i misteri racchiusi dietro ciascun ingranaggio e congegno… Sarà proprio quella sua passione giovanile per l’orologeria e la meccanica di precisione a condurlo alla formulazione della Legge sull’elasticità: un percorso

non facile in cui solo una mente straordinaria poteva mettere in relazione, attraverso l’osservazione, la sperimentazione e lo studio, fenomeni fisici apparentemente distanti. Ricostruiamo adesso il modello di studio che ha consentito ad Hooke di formulare la sua teoria sull’elasticità.

La proficua esperienza con Boyle

Prima di giungere alla stesura di un vero e proprio trattato scientifico sull’elasticità, Hooke aveva cominciato a studiare come sviluppare una piccola molla a spirale che doveva essere estremamente sottile e capace di azionare con precisione i

meccanismi di un suo modello di orologio portatile adatto anche per la navigazione. Ciò accadeva nel poco tempo libero che Hooke aveva negli anni tra il 1657 e il 1662: era, infatti, il periodo in cui il giovane scienziato stava collaborando con il fisico Robert Boyle per il quale aveva allestito una versione perfezionata della pompa pneumatica di Otto von Guericke. Il dispositivo in questione era necessario per eseguire una lunga serie di prove sperimentali sull’aria compressa, dalle quali si scoprì la proprietà dell’elasticità permanente. Da quel ciclo di sperimentazioni Boyle ricaverà la sua Legge sulla pressione e il volume di un gas

II puntata

di Salvio Gigl io

Se avete letto la puntata precedente, vi sarete resi conto che la genialità di Robert Hooke gli ha permesso di gettare le basi per una serie di filoni di ricerca, ancora oggi in auge, che vanno dalla biologia all’urbanistica passando, ovviamente, per la meccanica. La sua legge sul comportamento dei materiali elastici, nata per migliorare le prestazioni e l’affidabilità dei suoi orologi, è stata infatti la prima e la più semplice relazione

costitutiva di comportamento sui materiali.

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Fig. 1, la pompa per gli esperimenti di pneumatica realizzata da R. Hooke per Boyle

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ideale esposta nel trattato intitolato: “New experiments physico-mechanical, touching the spring of the air, and its effects” (Nuovi esperimenti fisico-meccanici inerenti l’elasticità dell’aria ed i suoi effetti) pubblicato nel 1660. Per replicare ad alcune critiche che erano state avanzate circa le sue precedenti ricerche, Boyle pubblicherà nel 1662 il trattato: “A defence of the doctrine touching the spring and the weight of the air” (Una difesa della dottrina sull’elasticità e il peso dell’aria) in cui lo scienziato presenta anche una nuova ipotesi che «suppone che la pressione e l'espansione siano in rapporto reciproco». Sarebbe quindi lecito pensare che Hooke abbia seguito per la sua ricerca sull’elasticità dei materiali l’approccio metodologico tracciato da Boyle sull’elasticità dell’aria. Un indizio ci viene fornito dall’idea di Boyle di effettuare i rilevamenti del volume dell’aria in un tubo avente diametro costante, poi espressi su di un grafico come una serie di misure lineari. Una piccola prova di questo la ritroviamo nelle “Lectures de potentia…” del 1675, quando Hooke presenta quello che poi sarebbe diventato uno dei paradigmi classici dell’elasticità lineare: la molla perfetta, cioè un elemento elastico ideale privo di massa e operante in assenza di attrito e di altri fenomeni dissipativi.

Compatibilità con la Lex III di Newton

Lungi da me, anche remotamente, l’intenzione di recar un torto a Robert Hooke parlando, in una trattazione che lo riguarda, di un suo acerrimo nemico: Isaac Newton… Se ciò accade è solo per dovere di storia e di scienza. Si, perché a questo punto devo dirigere necessariamente il nostro discorso proprio sulla Lex III degli «Axiomata, Sive Leges

Motus» (Assiomi, o Leggi del Moto), formulati da Newton subito dopo la laurea intorno al 1670 e che noi conosciamo più sterilmente come “Terzo principio della Dinamica”. Originariamente la Lex III era così formulata:

«Actioni contrariam semper & æqualem esse reactionem: sive corporum duorum actiones in se mutuo semper esse æquales & in partes contrarias dirigi.1».

Che tradotto a senso suona più o meno così:

«Per ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e opposta: sia che le azioni reciproche dei due corpi reciproci siano sempre uguali sia che dirette a parti contrarie.».

Ai nostri giorni viene interpretata in questo modo:

«Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria».

V o l e n d o c o m m e n t a r e ulteriormente la Lex III rapportandola ad un particolare luogo fisico quale può essere un sistema chiuso, che non scambia massa con l'ambiente esterno, ma che può effettuare con esso scambi di energia (in tutte le sue forme, calore compreso) o di lavoro, otterremo un ulteriore enunciato:

«In un sistema chiuso, ai fini dell’equilibrio, tutte le forze in esso operanti devono essere sempre bilanciate.».

Messo in questi termini, il III principio di Newton ci può a p p a r i r e e s t r e m a m e n t e interessante, soprattutto se lo inquadriamo dal punto di vista della progettazione strutturale per calcolare le forze a cui sarà probabilmente soggetta una

costruzione. Il limite della Lex III però sta nel fatto che Sir Newton, pur accennando a delle «azioni reciproche» tra due corpi, non ci dice nulla di più sulle forze che si generano nei materiali di cui essi sono composti quando sono interessati da sollecitazioni esterne. Così, per una bizzarra combinazione che non tiene conto della rivalità dei due scienziati, nella sua forma generale la legge di Hooke risulta più che compatibile con la Lex III di Newton poiché insieme ad essa ci permette di dedurre la relazione tra tensione e stress in oggetti complessi per ciò che riguarda le proprietà intrinseche dei materiali che li compongono.

Robert Hooke e la molla come corpo continuo

È Robert Hooke, quindi, a inaugurare un nuovo filone di ricerca sulle proprietà meccaniche dei materiali colmando con i suoi studi sull’elasticità il vuoto concettuale su questa materia. La cosa è ancor più lodevole se si considera che lo fece indagando con le limitatissime conoscenze scientifiche del XVII secolo e senza avere alcuna nozione sui legami interatomici. Senza alcun dubbio furono l’intuito e la sua grande intelligenza a permettergli d’inquadrare in quel sottile nastro di metallo elastico, chiamato “carica” e che funge da propulsore nel l ’or ologer ia mecca nica tradizionale, come un corpo continuo, cioè come un oggetto la cui materia omogenea è distribuita uniformemente e riempie completamente lo spazio da essa occupato. Per quel che riguarda i legami interatomici, si capisce che Hooke avesse percepito la loro azione e presenza da quanto scrive in questo brano:

«From all which it is very evident

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Il concetto di normale ad un piano e di sforzo normale

In matematica, una normale a una superficie piana è un vettore tridimensionale perpendicolare a quella superficie, così come lo vediamo rappresentato nella fig. A qui a destra.

In meccanica si definisce normale quel vettore tridimensionale, chiamato sforzo (generalmente indicato con σ{fi}), la cui retta d’azio-ne risulta essere perpendicolare a una data superficie.

Questo tipo di sollecitazione semplice è assimilabile al concetto di pressione, dal momento che anch’essa è fisicamente definita come una forza per unità di area.

La sua unità di misura è il Pascal (Pa) = N/m2, che si calcola conside-rando la componente perpendicolare della forza che viene suddivi-sa per l'area della superficie.

Questa nozione, che è immediatamente applicabile alle superfici piane dei solidi regolari (come quello della fig. B), risulta meno in-tuitiva quando si presentano superfici curvate, come nella fig. C.

Per questo tipo di superfici è possibile indicare infinite direzioni perpendicolari ad esse, ecco perché in questi casi lo sforzo normale si definisce necessariamente in modo puntuale, avvalendosi per il calcolo alla teoria matematica dei limiti.

La composizione di più sforzi normali può dare luogo a:

compressione - quando le forze sono opposte e dirette verso l'interno del materiale;

trazione - quando le forze sono opposte e dirette verso l'ester-no del materiale.

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that the Rule or Law of Nature in every springing body is, that the force or power thereof to restore itself to its natural position is always proportionate to the Distance or space it is removed therefrom, whether it be by rarefaction, or separation of its parts the one from the other, or by a Condensation, or crowding of those parts nearer together. Nor is it observable in these bodies only, but in all other springy bodies what so ever, whether Metal, Wood, Stones, baked Earths, Hair, Horns, Silk, Bones, Sinews, Glass, and the like.2».

«Da tutto ciò è alquanto evidente che la Regola, o Legge di Natura, di ogni corpo elastico è che la forza o potenza di ritornare alla sua posizione naturale è sempre proporzionale alla distanza o spazio di separazione da quella posizione naturale da cui è stato allontanato; vuoi per rarefazione, o separazione, delle parti l'una dall'altra, vuoi per condensazione, o avvicinamento, delle parti. Né ciò è osservabile solo in quei corpi, ma in ogni altro corpo elastico, sia esso metallo, legno, pietra, terracotta, capelli, corno, seta, osso, tendine, vetro e simili.».

Leggendo il passaggio di cui sopra si ricava che la Legge di Hooke è c o n t e m p o r a n e a m e n t e conseguenza e completamento della Lex III di Newton e che Hooke aveva perfettamente compreso che in natura non esistono oggetti assolutamente rigidi. Le «Lectures de potentia», in fondo, ci dicono che tutti i corpi, a prescindere dal materiale con cui sono stati realizzati, quando interagiscono tra di loro possono resistere alle sollecitazioni mutuamente esercitate, solo alterando la loro conformazione originale. Tra le altre cose, la teorizzazione di Hooke introduce la preziosa nozione di sforzo

normale: una sollecitazione semplice che si genera quando una o più forze agiscono lungo l'asse longitudinale di un oggetto d e t e r m i n a n d o i n e s s o allungamenti, se sottoposto a trazione, e contrazioni, se sottoposto a compressione. Per tutti questi aspetti la teoria sull’elasticità di Hooke avrebbe potuto rappresentare (il condizionale è d’obbligo) una vera e propria svolta rivoluzionaria per la Scienza delle Costruzioni del XVII secolo se il lavoro e la figura di questo grande scienziato non fossero stati volutamente offuscati dall’invidia dei suoi rivali, e se il mondo scientifico dell’epoca avesse avuto una mentalità meno dogmatica e più aperta. Pensate: dovrà passare quasi un secolo prima di giungere alla nozione stessa di Meccanica del continuo, con le prime teorizzazioni sull’elasticità e sulla meccanica dei fluidi, e un secolo e mezzo prima che la Legge di Hooke trovi u n ’ a p pl i ca z i o n e c o nc r e t a nell’ambito della Scienza delle Costruzioni. Bisognerà infatti aspettare fino al 1830 affinché la Fisica finalmente riconosca ed accolga ufficialmente i concetti ba silar i d i “sfor zo” e “deformazione”.

Cosa sono i legami interatomici?

Come abbiamo appena letto, Hooke intuisce l’esistenza di particolari, e all’epoca ancora ignote, forze di coesione agenti nei vari materiali da lui testati. Oggi, grazie alla ricerca scientifica, sappiamo che esse realmente esistono, che riguardano atomi e molecole e che si esplicano attraverso due diversi tipi di aggregazione chimica: stiamo parlando dei legami interatomici. È noto che gli atomi sono costituiti da un nucleo centrale positivo (protoni e neutroni), attorno al quale orbitano un numero variabile di cariche negative

(elettroni). In una comune coppia atomica la presenza degli elettroni determina delle attrazioni (nucleo-elettroni) e delle repulsioni (nucleo-nucleo ed elettroni-elettroni), la cui intensità dipende dalla distanza media dei nuclei, come si deduce dalla Legge di Coulomb. La forza attrattiva, che si stabilisce tra due o più atomi e permette loro di formare molecole o aggregati cristallini, è definita legame chimico. Nella formazione di una molecola, gli atomi legandosi tra di loro raggiungono la stabilità energetica, o meglio una condizione di equilibrio che richiede la minor quantità di energia potenziale possibile. Il principio che regola questo sistema di forze si basa univocamente sulla distanza che separa gli innumerevoli atomi di cui sono formati i vari materiali. Questo straordinario equilibrio si instaura tra: la forza attrattiva, se lasciata da

sola tenderebbe a fare aggregare tutti gli atomi, in un crescendo micidiale, sino a raggiungere il collasso strutturale del materiale;

la forza repulsiva, scaturita dallo “scudo” formato dalla nube di elettroni avvolge, come in un guscio, ciascun atomo mantenendolo ben separato dagli altri.

Questo fenomeno è stato meglio spiegato grazie al Principio di esclusione di Pauli; esso dimostra che in una coppia di atomi esiste sempre una distanza di equilibrio in cui le forze, attrattiva e repulsiva, sono perfettamente bilanciate. In virtù di questo principio potremo osservare che: se la coppia atomica tende a

separarsi, la forza repulsiva è minore di quella attrattiva;

se la coppia atomica tende ad avvicinarsi troppo, superando la distanza di equilibrio, si determinerà un aumento delle

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Tab. 1, didascalia

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forze repulsive da parte di ciascun atomo, e ciò farà in modo che la loro risultante si prenda la briga di riallontanarli;

siccome le forze in gioco tendono sempre e comunque a riequilibrare la posizione degli a t o m i , q u e s t ’ u l t i m a rappresenta, quindi, una condizione di equilibrio stabile;

la condizione di cui al punto precedente è vera soltanto se, nella coppia di atomi considerata, le forze in gioco raggiungono il minimo valore possibile di energia potenziale.

Per estensione al discorso, analizziamo ora il diagramma di fig. 1; sull’asse delle ascisse troviamo riportati i valori della distanza determinatesi tra i centri ipotetici di una coppia di atomi di una molecola ideale, mentre su quello delle ordinate i valori dell’energia potenziale E. Il grafico

è stato suddiviso in tre aree colorate per farvi identificare meglio i rapporti di forza tra i due atomi; partendo dall’asse delle ordinate distingueremo tre distanze: distanza 1, in cui la forza

repulsiva prevale su quella attrattiva;

distanza 2, in cui la forza attrattiva e quella repulsiva sono uguali. Sul diagramma il punto 3 individua il punto di equilibrio perfetto tra le due forze;

distanza 3, in cui la forza attrattiva prevale su quella repulsiva.

Come potete osservare, la repulsione o l’attrazione che si sviluppa nella coppia atomica determina i valori positivi o negativi della risultante F. Relazionando il grafico con la Legge di Hooke avremo che:

· conseguenza immediata della compressione di un corpo è la diminuzione della distanza media tra le molecole e lo sviluppo di forze repulsive che mirano a deter mina r e una nuova configurazione di equilibrio; · conseguenza immediata della dilatazione di un corpo è l’aumento della distanza media tra le molecole e lo sviluppo di forze attrattive che ai fini dell’equilibrio mirano a definire un nuovo assetto strutturale. Ecco quindi a cosa si riferiva Hooke nel passaggio di cui al paragrafo precedente: un prodigioso sistema di forze capace di unire, più o meno saldamente, tutti gli atomi e le molecole di cui è composto un determinato materiale.

Continua...

Note

[1] I. Newton, “Philosophiæ Naturalis Principia Mathematica”, Londra, Royal Society, 1687, pag. 13 e seg. Quest’opera racco-glie e organizza sistematicamente circa un ventennio di lavoro del noto fisico e matematico inglese. Per consultare on line gli Axiomata cfr.: http://www.thelatinlibrary.com/newton.leges.html [2] R. Hooke, “Lectures De Potentia Restitutiva, or of spring Explaining the Power of Springing Bodies…”, Londra, Royal Socie-ty, 1678, pag. 4. Il testo integrale di “Lectures De Potentia…” è consultabile gratuitamente online al seguente indirizzo: http://quod.lib.umich.edu/e/eebo/A44322.0001.001?rgn=main;view=fulltext

E adesso, un bel video per E adesso, un bel video per approfondireapprofondire...... Il video che vi propongo di seguire,

per questo approfondimento sulla

prova di trazione, è del 1987 ed è

stato interamente concepito dal

Ing. Prof Romualdo Lombardo

(nella foto), uno di quei docenti

sinceramente impegnati nella loro

missione formativa e divulgativa,

capaci di coinvolgere ed affascina-

re i propri studenti!

Il filmato, girato in VHS, della durata di 23 minuti rappresenta

un ottimo compendio sulla Prova di trazione fino a rottura ed è

accompagnato da un commento chiaro ed esaustivo.

Considerate che questo filmato, insieme agli altri che troverete

nel Canale YouTube del professore, nasce come antenato degli

attuali tutorials ed è un piccolo capolavoro in termini di mon-

taggio e scrittura.

A dispetto del cognome il Prof. Lombardo è sicilianissimo ed ha

insegnato per molti anni Tecnologia meccanica presso l’Istituto

Tecnico Industriale Statale “Gen. A. Cascino” di Piazza Armerina (EN).

Detto questo, adesso godetevi questo filmato dal sapore vintage

e le esaurientissime spiegazioni di un grande prof. di altri tempi! L’apparato impiegato per eseguire la prova di trazione

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Era il 1887 quando un contadino di Neive (CN), Costantino Giacosa, stanco di lavorare la terra, decide di arruolarsi nell’Arma dei Regi Carabinieri e frequentare la Scuola Marescialli e Brigadieri in Firenze. Guadagnato il grado di brigadiere, Costantino comincia a prestare servizio in sedi distaccate: Palermo e Torino prima, e poi a Roma ove vi giungerà sposato con Adele Clotilde Franzoni, una ragazza originaria di Nuvolera (BS). Dante nasce nella capitale il 3 gennaio 19051 e, l’anno seguente, sempre per cause di servizio, la famiglia Giacosa viene trasferita a Neive. Solo nel 1912 troverà sistemazione definitiva ad Alba (CN). Dante sin da ragazzo dimostra di

avere una grande attitudine per la cultura cosa questa che riesce a fargli superare brillantemente prima gli amati studi classici al Liceo G. Govone ad Alba, diplomandosi nel 1922, e poi il C.d.L in Ingegneria Meccanica presso il Politecnico di Torino, laureandosi nel 1927 a soli 22 anni. In certi pensieri della biografia di Dante Giacosa si riconoscerà sicuramente chi ama realmente, con passione quasi carnale, il disegno, la progettazione o qualunque altra materia: «Gli avvenimenti politici appartenevano a un altro mondo. Nel mio mondo appartato, di lavoro, la mente tutta presa dai problemi della progettazione, mi sentivo pienamente a mio agio.»2. Ed ancora, quando gli viene ridotto lo stipendio in seguito alla crisi economica del 1929: «Il mio stipendio venne ridotto da

950 a 875 lire mensili. Non ci feci molto caso. Tutto preso dal mio lavoro davo poca importanza ai quattrini. Non mi occupavo degli sviluppi politici ed economici: mi occupavo del mio lavoro e non pensavo ad altro.»3. Insomma questo è quel “Vissi d’arte” che più di tutto adoro leggere, perché accomuna tutti noi passionari, scavalcando a mb it i pr of es s io na l i e disciplinari. D’altro canto queste considerazioni rendono, di diritto, la figura di Dante Giacosa un paradigma deontologico e l’intera opera sua una vera parole della progettazione contemporanea. 1928, dalla SPA alla Fiat! Subito dopo la laurea, Dante si presenta al distretto militare per il servizio di leva che espleta presso la Scuola allievi ufficiali di Bra (CN) e che termina nel giugno del 1928. Il giovane

Dante Giacosa

di Salvio Gigl io

A vent’anni dalla scomparsa del papà della 500 un omaggio e un regalo: il Centro Storico Fiat ripubblica gratuitamente in formato PDF "I miei 40 anni di progettazione alla Fiat" di Dante Giacosa. Un diario di memorie in cui il famoso designer racconta la sua vita e il suo lavoro come progettista alla Fiat e la nascita di alcune auto che hanno fatto grande il concetto di Made in Italy nel mondo: la Topolino, la 127, la 1400, la 600, la Nuova 500, la 850, la 124, la 128 e tante altre vetture celebri. In fondo all’articolo il link per scaricare gratuitamente in formato PDF quello che potrebbe essere, specialmente per gli appassionati di design, una bella lettura per l’estate.

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ingegnere, che non vuole gravare ulteriormente sulla famiglia, si trasferisce a Torino in cerca di lavoro sistemandosi nella stessa camera ammobiliata che aveva fittato quando era ancora uno studente fuorisede. «Non era facile, in quel periodo di crisi economica, per un ingegnere appena laureato trovare lavoro. Non sapevo a chi rivolgermi e come presentarmi: leggevo ogni giorno gli avvisi economici sui giornali.»4. A novant’anni di distanza, alla fine purtroppo, non è cambiato niente: questo passaggio di Giacosa è attualissimo e descrive perfettamente le preoccupazioni di tantissimi nostri neolaureati! Come di rito, comincia così anche per Dante lo struscio dei colloqui di lavoro… La sua ricerca lo porta persino alla Olivetti ove incontra Camillo Olivetti in persona che descrive come «un magnifico signore con una gran barba fluente» anche se il suo cuore e i suoi pensieri sono già volti alla Fiat. Un bel giorno legge un’inserzione di lavoro pubblicata su La Stampa di Torino da un’azienda automobilistica ligure: la SPA5 (Società Piemontese Automobili) che sta’ giusto cercando un disegnatore tecnico. La freschezza e l’ironia con cui Giacosa descrive la scena di questo particolare colloquio rivelano un inaspettato lato tragicomico del carattere dell’ingegnere che voglio assolutamente condividere con voi: «Non ricordo quanto sia stata l u n g a l ’ a t t e s a p a s s a t a fantasticando sul futuro che mi attendeva. Fu interrotta dall’improvvisa presenza di un signore alto, allampanato e un po’ curvo, dal viso olivastro ornato da un sottile naso sporgente sul nero dei baffetti a spazzola. Si presentò: ingegner Alfano. Era il capo dell’Ufficio tecnico, un siciliano

dall ’aspetto triste , poco comunicativo. Non mi fece molte domande, infine volle sapere quale fosse la mia preparazione scolastica. Timidamente dissi: “Sono laureato in ingegneria meccanica”. Appoggiando le mani sul tavolo si sollevò sulla sedia allungandosi con fatica, soffriva di dolori alla schiena, mi salutò con espressione triste e distaccata e lentamente raggiunse la porta che lasciò dietro di sé, aperta.6». Un passaggio bellissimo: ci ho riso sopra per almeno cinque minuti, anche perché mi ha fatto ripensare, con tenerezza, ai miei tantissimi e disastrosi colloqui di lavoro fatti in gioventù! Nonostante l’esito a dir poco scoraggiante di quell’incontro, Dante non si arrende e parla col padre di una sua giovane «amica bionda» che era a sua volta amico nientepopodimeno che del Presidente della Fiat: il professor Vittorio Valletta. Per inciso, va detto che la SPA era stata assorbita nel 1926 dalla Fiat che aveva deciso di orientare esclusivamente la produzione di quello stabilimento al settore militare. L’intervento di Valletta sortisce l’effetto desiderato e Dante viene assunto il 2 novembre del 1928 come disegnatore meccanico con uno stipendio mensile di lire 845 (763,26€7). Il primo mese di lavoro però si dimostra una gran delusione per il nostro giovane ed ambizioso ingegnere. Infatti, l’ingegner Alfano di cui sopra, forse per togliersi un sassolino dalla scarpa lo incarica di riordinare le tabelle di unificazione dell’ufficio. I giorni passano e il tedio aumenta, fino a che giunge il momento in cui Dante decide di reagire e mostrare il proprio talento di disegnatore. Rischiando una bella lavata di capo si mette a riprodurre lo schema dell’autotelaio di un autocarro che un collega sta’

eseguendo sul tavolo da disegno vicino al suo. La cosa coglie tutti di sorpresa, Dante dimostra di saper disegnare velocemente e così Alfano si ricrede e decide di affidargli delle mansioni di maggiore rilievo. Alcuni mesi dopo, nei primi giorni di maggio del 1929, l’Ufficio tecnico della SPA viene dislocato al quinto piano della “palazzina” del Lingotto, il nuovo e modernissimo stabilimento Fiat inaugurato nel 1923, e Dante riceve una lettera dal suo direttore generale, l’ingegner Torcetta, con la quale è avvertito che dal 10 maggio sarebbe passato alle dipendenze della Fiat come disegnatore tecnico nell’Ufficio veicoli “Pavesi” con uno stipendio di 950 lire (844,60€). Con questo evento comincia la vicenda lavorativa Fiat di Dante Giacosa. Il progetto “Topolino” Italia anni ’30: boom dell’aviazione! Il regime fascista utilizzava la tecnologia e l’architettura, come fanno del resto tutte le dittature, per magnificare il proprio potere. La Fiat aveva costituito la “Sezione motori avio” e stava studiando lo sviluppo di nuovi motori raffreddati ad acqua, prodotti con un processo avanzato e in grado, quindi, di essere competitivi anche nel prezzo con quelli della concorrenza straniera. I responsabili della Sezione motori avio, il direttore, l’ingegner Vandone, e il capo dell’Ufficio tecnico, l’ingegner Carlo Felice Bona, pensarono d’inserire nell’Ufficio progetti, per le ricerche sui nuovi motori, un ingegnere fresco di studi capace di dare un apporto significativo attraverso idee innovative e soluzioni ad hoc per le problematiche legate alla sovralimentazione dei motori aeronautici come rimedio all’abbassamento della pressione a t m o s f e r i c a c a u s a t o dall’altitudine.

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Così, il 1° giugno 1932, Dante entra in forze all’Ufficio tecnico della Sezione e subito empatizza con i nuovi colleghi. Nel 1933, la guida della Sezione motori avio passa nelle mani dell’ingegner Antonio Fessia con cui Dante va perfettamente d’accordo pur avendo caratteri profondamente diversi. Poco tempo dopo è proprio

il professor Fessia (nella foto) a chiedergli: «Giacosa, il senatore Agnelli vuole una vettura piccola, economica, che possa essere venduta al prezzo di 5.000 lire. Se la sente di disegnare lo chassis, compreso il motore?»8. La risposta avventata ed entusiastica di Dante, all’epoca ventottenne, fu: «Certo che me la sento!». La nuova vetturetta sarà comoda, funzionale, sicura e dal costo di fabbricazione contenuto; essa avrà quattro posti col sedile posteriore in grado di accogliere due bambini o eventuale bagaglio. La posizione del motore sarà anteriore con trazione posteriore. Il motore a quattro cilindri, raffreddato ad acqua, avrà una potenza di circa 20 CV e una cilindrata non superiore ai 6 CV fiscali. La velocità massima sarà di 70 Km/h a 4.000 giri al minuto. Il giovane ingegnere si mette subito al lavoro, senza trascurare i suoi precedenti incarichi nella

Sezione di cui era diventato nel frattempo caporeparto; comincia col valutare prestazioni e caratteristiche di diversi modelli di vetture di questa categoria prodotti in Europa e negli USA in quegli anni. In un secondo momento determina il peso di tutti i gruppi che avrebbero costituito l’autotelaio, concludendo che la massa di questi sarebbe rientrata nei 250 kg e quella della carrozzeria tra i 180 e i 200 kg. Cominciano così mesi di lavoro febbrile intorno al progetto “Zero A”: Giacosa progetta telaio e motore della vettura mentre la carrozzeria è affidata alle cure del reparto di progettazione omonimo capitanato dall’ingegner Rodolfo Schaeffer. Dopo quasi tre anni di lavoro, il 15 giugno del 1936, avviene il lancio della 500: si tratta della più piccola vettura del mondo prodotta in serie; ecco alcuni dei suoi dati più significativi: 569 cm3 di cilindrata; velocità massima 85 km/h; consumo 6 litri ogni 100 km; due passeggeri e 50 kg di

bagaglio; peso 535 kg; prezzo di 8.900 lire. «Il successo fu enorme.» afferma Giacosa, ed aggiunge «Più entusiasti fra tutti sembravano gli inglesi. In una rivista, “The Light Car“, che purtroppo non ho conservato, fu pubblicata una piacevole rima in cui la 500 era chiamata Little Mouse. Il Topolino di Walt Disney.»9. Questa è solo una delle tante tappe di cui è composta quella prima ed importantissima fase della sua carriera, durata 18 anni, e che gli fu necessaria per fargli fare «le ossa, acquisire esperienza e, soprattutto, per dimostrare al vertice della Fiat, passando da un grado all’altro della carriera negli uffici tecnici» che aveva raggiunto un elevato livello di professionalità tale da permettergli di poter sostenere

sulle sue sole spalle la responsabilità della direzione dell’intero settore progettazione dell’azienda. 1946, Giacosa manager coraggioso del settore progettazione FIAT Le braci della Seconda Guerra mondiale sono ancora accese e, come dopo il risveglio da un terribile incubo, il mondo cerca di tornare in qualche modo alla normalità. Il 1° gennaio di quel nuovo anno gli alleati restituiscono al Governo italiano la giurisdizione sulle regioni dell'Italia Settentrionale anche se buona parte del nostro Paese era ancora in mani straniere. Le devastazioni della guerra hanno inferto profonde ferite ai gangli vitali produttivi dell’Italia: aziende ed infrastrutture di ogni tipo sono in ginocchio e bisogna rimetterle in piedi in brevissimo tempo. Mai come in quel momento si rendevano indispensabili figure professionali che avessero autorevolezza, esperienza e che sapessero prendere delle decisioni coraggiose e lungimiranti. Con ogni probabilità Dante Giacosa rappresentava tutto questo per la FIAT nell’immediato dopoguerra. In questo travagliato scenario storico avviene l’incipit del secondo ciclo della vita professionale dell’ingegnere, all’epoca quarantunenne, che durerà quasi cinque lustri e che si inaugura con l’incarico di Direttore degli uffici tecnici FIAT. In ventiquattro anni Giacosa sarà impegnato in un lavoro « e s t r e ma m en t e va r i o e complesso», anticipando di alcuni decenni la figura dell’ingegnere gestionale, occupandosi della supervisione di progetti sviluppati dalle numerose branche operative della Fiat: autoveicoli, veicoli agricoli e industriali, veicoli speciali e militari, motori diesel marini e/o industriali veloci, trasporto ferroviario, ecc., senza

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Veduta aerea del Lingotto Fiat realizzato su progetto di Gia-

como Mattè Trucco e inaugurato il 22 maggio del 1923

La pista per le prove degli autoveicoli del Lingotto dimostra

quanto Trucco fosse avanti col suo progetto avveniristico.

Due immagini drammatiche degli effetti devastanti dei bombardamenti alleati sugli stabilimenti Fiat del 29 marzo 1944; a

sinistra i torinesi restano sgomenti dinanzi alle gravissime ferite inferte ad uno dei simboli produttivi della città e del Paese.

Torino, Largo Vittorio Emanuele II in una foto degli anni ‘50 del secolo scorso. A pochi passi da questa splendida piazza e lon-

tano dal tram-tram degli uffici di Mirafiori, l’ingegner Giacosa avrà gli uffici del suo centro di ricerche e progettazione: la SIRA.

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contare che guiderà sin dalla creazione il Centro Stile dell’azienda. Per farvi rendere meglio conto della complessità della funzione svolta da Giacosa riporto una sua riflessione su quel particolare momento della sua vita e carriera: «Nel 1946, nominato direttore degli uffici tecnici autoveicoli, divenni il chief engineer, il responsabile del progetto delle vetture e degli altri veicoli terrestri costruiti dalla Fiat. Dirigere gli uffici tecnici non significava per me semplicemente fare il direttore, ma sviluppare in proporzioni di gran lunga maggiori il “mio” lavoro: ideare, pensare a tutta la attività che è peculiare del progetto. Significava esaminare ogni giorno sui tavoli da disegno il progredire degli studi e il graduale definirsi del nuovo modello di vettura, autocarro o autobus o altro veicolo, così come lo avevo immaginato in relazione ai programmi della Fiat.»11. 1970, l’anno del congedo dalla Fiat L’ingegnere aveva da poco c o m p i u t o i l s u o sessantacinquesimo compleanno quando, il 29 gennaio del 1970, lo raggiunge un comunicato della Fiat annunciante la sua nomina a «Consulente della Presidenza e della Direzione Generale per tutte le materie di sua specifica competenza e per importanti i n c a r i c h i e s t e r n i , i n rappresentanza della società presso Enti nazionali e internazionali»12. Giacosa capisce che è giunto il momento di dare le sue dimissioni m o t i v a n d o l e c o n i l raggiungimento dei limiti di età. La sua è una decisione meditata, frutto di quel grande equilibrio interiore che lo ha guidato da sempre e presa col massimo rispetto per l’azienda di cui per tanti anni ha fatto parte. “Validissimo contributo, alta competenza, geniale capacità”

sono le parole di commiato con cui la Fiat lo saluta ufficialmente. Seguono fecondi anni di intensa attività memorialistica. Si spegne a Torino il 31 marzo del 1996 all'età di 91 anni. Giacosa e la SIRA In una splendida giornata di sole, nella primavera del 1954, durante il Salone di Torino, la Fiat presenta alle autorità e alla stampa un progetto molto particolare elaborato da Dante Giacosa insieme al suo straordinario team di tecnici ed ingegneri: una rivoluzionaria vettura a turbina. Con quel progetto, che aveva necessitato di ben cinque anni di studio e di prove sia sul motore che sull’aerodinamica della carrozzeria, Giacosa voleva dimostrare ai vertici aziendali che i tecnici del reparto progettazione automobilistico della Fiat non erano secondi a quelli del reparto aeronautico. L’avvenimento ebbe un’eco internazionale e per Giacosa ed i suoi ragazzi fu un grande successo. Proprio in quel periodo, e forse in virtù anche di questo ultimo successo, il professor Valletta decise di gratificare il talento di Giacosa creando per lui una società esterna alla Fiat in cui l’ingegnere, lontano dagli stabilimenti e dagli uffici di Mirafiori, avrebbe potuto svolgere studi e sviluppare nuovi progetti nel campo dei motori e degli autoveicoli e di cui sarebbe stato l’unico responsabile. Nasceva così la SIRA: Società Industriale Ricerche Automotoristiche. Quando gli fu comunicata la notizia l’ingegnere si fece subito assegnare una location adatta dalla Sezione costruzioni Fiat: un luminoso appartamento in centro città che affacciava sul largo Vittorio Emanuele II. Suggestiva, a tal proposito, è la sua descrizione circa il suo ufficio allocato in: « una camera d’angolo

con i lati posti a est e a sud. Dalle due finestre posso ammirare, sui tetti della città, a est la collina e a sud in lontananza, quando l’atmosfera è limpida, nel cielo rosso del tramonto il profilo familiare del Monviso.»13. Giacosa diede disposizioni affinché fosse realizzata una sala disegnatori adatta ad accogliere una decina di tavoli da disegno. «Era quanto mi bastava» affermò «poiché non avevo intenzione di addossarmi il peso dell’organizzazione e dell’amministrazione di un’officina e di un laboratorio sperimentale, che avrebbero sottratto una parte del mio tempo e delle mie energie al disegno, che del progetto è per me la fase più interessante ed esaltante.»14. Giacosa alla SIRA seguì numerose ricerche tutte finalizzate all’innovazione delle metodologie progettuali e produttive; formò un team estremamente qualificato di giovani ingegneri. Oltre a questo, Giacosa creò due uffici distaccati della SIRA uno in Germania e l’altro negli USA; in questo modo avrebbe tenuto d’occhio le mosse della concorrenza e avrebbe acquisito nuove competenze tecnologiche. Giacosa mantenne la presidenza della SIRA anche dopo il suo ritiro dalla Fiat, operando come ideatore e progettista fino al termine dell'attività professionale. Una delle ricerche più intriganti della SIRA resta quella dedicata alla continuously variable transmission o CVT, ossia il cambio di velocità automatico con variazione continua del rapporto. I l p r o g e t t o m i r a v a all’ottimizzazione del CVT ideato nel 1958 da Hub van Doorne, il fondatore della DAF, risolvendo le problematiche d’interfacciamento del motore con il sistema frenante. Nel 1982 la Fiat applica il cambio CVT su un quantitativo limitato di Fiat Ritmo; nel 1985 il CVT fa parte dell’equipaggiamento di serie di

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Bozzetto autografo di Dante Giacosa, sul retro di un foglio ciclostilato, per lo sviluppo della 600 Multipla, che si rivelò poi es-

sere un veicolo di estrema flessibilità anticipando di molti anni il concetto di VAN.

La 600 ha rappresentato per gli italiani del dopoguerra un

vero e proprio status symbol

La 600 multipla versione taxi con la caratteristica livrea verde

scuro

La sorellina minore della 600 fu la Nuova 500 che si propone-

va come auto ideale per le città sempre più congestionate

Auto da professionista affermato fu invece la Fiat 1400 che

richiama lo stile di certe auto USA di quegli anni

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alcune versioni Fiat Uno e Autobianchi Y 10. Col passare del tempo il CVT è diventato un prodotto di largo impiego che, insieme al perfezionamento del controllo elettronico, è stato considerato come un'innovazione di fondamentale importanza per la limitazione del consumo energetico e per il comfort nella guida. La poetica di Giacosa Prima di azzardare un’analisi sulla poetica progettuale di Dante Giacosa, mi sembra doveroso ricordare al lettore, specie se di giovane età, che l’autonomia di quei progettisti che non seguono la strada della libera professione per operare in realtà aziendali o imprenditoriali, è condizionata da una serie di fattori che partono con i limiti progettuali intrinsechi della professione (quali sono calcoli e verifiche di conformità con la normativa di riferimento specifica) per finire con le logiche di profitto imposte dal C.d.A. dell’azienda stessa. È il trascorrere del tempo che può far cambiare quasi radicalmente questo stato di cose nella carriera di un progettista, a patto però che accetti di partire pazientemente dalle mansioni più umili della propria professione e che riesca a collezionare quella catena di successi lavorativi, di valore crescente, necessaria per fargli acquisire e consolidare una sua autorevolezza professionale. Quest’ultima, infatti, è da considerarsi come un vero e proprio “ingrediente magico” poiché è l’unico in grado di rendere anche un progettista aziendale una figura quasi del tutto autonoma in campo decisionale. In ogni caso tutto ciò non sminuisce affatto la formatività del designer, anzi la esalta: è necessario infatti avere grande intelligenza, talento da vendere e

un carattere molto volitivo affinché ciò che il progettista si è immaginato funzioni e lo faccia talmente bene da riuscire a convincere e conquistare vertici aziendali, critica ed utenza. Se osserviamo la vicenda professionale di Giacosa ci rendiamo conto della veridicità di queste considerazioni: solo dopo la promozione del 1946, quando diventa Direttore degli uffici di progettazione Fiat, pur restando entro le strategie aziendali stabilite dall’A.D. della Fiat Vittorio Valletta, guadagna una maggiore libertà espressiva in ambito progettuale anche perché ora aveva un controllo diretto sulle attività di ricerca e sviluppo, sugli studi tecnici avanzati e sul Centro stile che era stato da poco fondato. Un’ulteriore conferma di ciò lo ritroviamo proprio in quelle innova zioni tecnologiche , sviluppate in stretta cooperazione fra progettazione e produzione, che furono poi adottate dalla maggior parte dei costruttori automobilistici mondiali, come ad esempio: la struttura autoportante della

scocca realizzata combinando sottili lamiere imbutite, saldate mediante macchine CNC;

nuovi motori ad alta densità di potenza15 , dotati di doppio asse e camme disposti sulla testata, con comando diretto delle valvole;

l'adozione di freni a disco anche nella produzione di grande serie;

lo sviluppo di modelli multifunzionali speciali derivati da modelli di grande serie, come la 600 Multipla, capostipite dei "van" leggeri.

Considerate che nell’immediato dopoguerra, con gran parte del nostro Paese ridotto ad un cumulo di macerie, l’obiettivo aziendale della Fiat consisteva nella produzione di vetture adatte alle

strade dell’epoca e dal costo estremamente contenuto e questo per andare incontro alle esigenze di un’utenza, nazionale ed estera, dal grande potenziale economico ma ancora a basso reddito. Giacosa, dal canto suo, ideò vetture sobrie e spartane e non prive di una loro grazia, ideali per la produzione seriale e alquanto convenienti per costi e consumi. L’ingegnere aveva lavorato di fino affinché queste utilitarie16 riuscissero a contenere quanto più possibile il rapporto peso/ingombro, da qui: gli abitacoli minimalistici, l’apparente esilità delle strutture e la scelta, che si rivelò particolarmente felice, di un piccolo propulsore posteriore agile, semplice e leggero: il classico due cilindri, in alluminio, raffreddato ad aria. La Fiat 600, prodotta a partire dal 1955, e la Fiat Nuova 500, in produzione dal '58, sono due paradigmi della filosofia progettuale di Giacosa di quegli anni. Per non offrire il fianco alla concorrenza la Fiat doveva elaborare anche modelli più prestigiosi da proporre ai suoi clienti più agiati. Così, quando a Giacosa furono richieste, in momenti diversi, progettazioni per modelli di medie dimensioni colse l’occasione per sperimentare con notevole successo la trazione anteriore. In quegli anni tale scelta era in netta controtendenza con le soluzioni intraprese dalle case automobilistiche nazionali poiché era giudicata costosa e inaffidabile. La conferma giunge dai successi di vendita di auto come la Fiat 1400, in produzione dal 1950; Fiat 1100, in produzione dal '53; Fiat 1800, in produzione dal ’59 e Fiat 2300 in produzione dal ’61. Tutti questi modelli erano contraddistinti da un’inusuale linea slanciata e dalla trazione anteriore. La 1400 è stata una vera concept

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car sotto ogni punto di vista: prima vettura Fiat prodotta in serie con struttura autoportante e con impianto di aereazione e riscaldamento, aveva una velocità massima di 120Km/h e un motore da 1395 cc erogante 44 cv di pote n za . F u pr e sen ta ta ufficialmente al Salone di Ginevra nel 1950 come auto del “Cinquantennio Fiat”; esisteva anche in una variante Cabriolet. Costava 1.275.000 lire17. Le scelte innovative e coraggiose di Dante Giacosa di quegli anni fecero tendenza, anzi riuscirono a fare molto di più: avevano finalmente aperto un nuovo discorso sulle automobili che erano diventate degli oggetti tecnologicamente complessi con un ruolo sociale specifico (mobilitare le masse), dei significanti di contenuti estetici in continua evoluzione le cui linee, oltre ad essere belle e gradevoli, dovevano assecondare sempre di più i risultati della galleria del vento… In altre parole in Italia anche grazie a Giacosa il discorso sulla cultura dello stile automobilistico stava diventando una vera e propria disciplina chiamata automotive. Tutto ciò portò una ricaduta più che positiva anche per gli altri brand automobilistici che raggiunsero presto fama interna zionale : penso a Pininfarina, a Bertone, a Giugiaro che operavano sia nel settore stilistico che in quello dei sistemi produttivi di autoveicoli. Ma Giacosa non era solo un progettista Fiat… Il valore con cui Dante Giacosa gestisce la ripresa delle attività progettuali della Fiat, unitamente alla sua grande esperienza nella progettazione per la produzione su grande scala, fanno notizia e straripano dagli angusti argini aziendali in cui erano irreggimentati… Così, nel 1947 il

Consiglio di Facoltà di Ingegneria Meccanica del prestigioso Politecnico di Torino decide di nominare Giacosa Professore Incaricato presso la Cattedra di “Costruzione di Motori”, incarico che manterrà sino al 1966. Vorrei ricordare ai lettori, per inciso, che all’epoca e fino alla riforma del 1980, il mandato di Professore Incaricato era affidato a personaggi del mondo produttivo e a studiosi di particolare talento dal Consiglio di Facoltà di un ateneo, attraverso domanda formulata in base ad apposito bando pubblico di concorso. Il docente aveva, per un solo anno accademico, la totale responsabilità della cattedra affidatagli, tra cui lo svolgimento degli esami di verifica a fine corso e nonché il tutoraggio delle tesi di laurea che a quell'insegnamento avessero fatto riferimento. Oltra a questo il docente era obbligato a g a r a n t i r e i l n o r m a l e funzionamento della vita della Facoltà in cui l'insegnamento era incardinato e a partecipare regolarmente alle sedute dei Consigli di Facoltà e d'Istituto. Erano altri tempi! Giacosa, forte degli studi classici, fu quel che si dice una “buona penna” e pubblicò anche alcuni libri di vario soggetto: "Motori endotermici"18 - Un

trattato tecnico, del 1941, nato originariamente per gli Istituti Tecnici Industriali e poi diventato un vero best seller m o n o g r a f i c o s u l f u n z i o n a m e n t o e l a progettazione dei motori a combustione interna di ogni tipo e dimensione, tanto da essere adottato come testo di riferimento anche in diverse facoltà d’ingegneria ad indirizzo meccanico. Il compendio, giunto alla XV edizione, è ancora presente sul mercato ed in rete19.

“I miei 40 anni di progettazione alla Fiat”20 - Giacosa per

quest'opera adotta il genere letterario della memorialistica; la sua narrazione asciutta ed efficace, infatti, oltre a d e s c r i v e r e s o l u z i o n i tecnologiche e questioni organizzative legate alla nascita di vetture che sono ormai parte della storia del design industriale, si intreccia con le vicende e le biografie di personaggi e protagonisti che hanno segnato in maniera particolare la storia aziendale della Fiat nel Novecento. Quest’opera però non è solo un resoconto storico: il lettore leggendo tra le righe troverà in essa anche una lettura dell'anima, dei ricordi e dei momenti più importanti della vita di Dante Giacosa. Attualmente il testo è disponibile solo in forma digitale ed è pubblicato dal Centro Storico Fiat in un’edizione che riproduce fedelmente la prima. I lettori che desiderano leggerlo possono scaricarlo gratuitamente dai server della FCA Group attraverso questo link.

“L'Architettura delle macchine: il Rinascimento” – Un saggio storico sulla meccanica delle macchine rinascimentali scritto a quattro mani con Agnoldomenico Pica nel 1982 e pubblicato da Mazzotta editore in Milano.

Premi e riconoscimenti All’ingegner Giacosa, in virtù dei suoi meriti come progettista e docente universitario, sono stati c o n f e r i t i n u m e r o s i s s i m i riconoscimenti: settembre 1966, Medaglia d'oro

alla presentazione della XXIII Conferenza sul traffico e sulla circolazione promossa dall'ACI di Milano;

settembre 1968, Medaglia d'oro conferitagli dal comitato promotore del XVII Convegno

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Note ____________________________________________________________________________________________________ 1. Non deve essere stato facile per i coniugi Giacosa sposarsi in quel periodo; infatti, sin dalla fondazione dell’Arma dei Cara-

binieri i militari di basso grado non potevano contrarre matrimonio a causa del loro reddito annuo alquanto modesto. Per approfondire l’argomento cfr.: http://www.carabinieri.it/arma/curiosita/non-tutti-sanno-che/m/matrimonio

2. Dante Giacosa “I miei 40 anni di progettazione alla Fiat” Torino, ristampa anno 2014 a cura di Fiat Group Marketing & Corporate Communication S.p.A., pag. 30. Cfr.: http://www.fcagroup.com/it-IT/group/history/Documents/Dante_Giacosa_-_I_miei_40_anni_di_progettazione_alla_Fiat.pdf

3. Ibidem pag. 23. 4. Ibidem pag. 17. 5. Per ulteriori informazioni sulla SPA cfr.: Sito aziendale della SPA http://societapiemonteseautomobili.com/story; Wikipe-

dia https://it.wikipedia.org/wiki/Societ%C3%A0_Piemontese_Automobili . 6. Ibidem pag. 18. 7. Valore stimato con il Calcolatore realizzato da “Il Sole 24ore” al seguente link: http://

www.infodata.ilsole24ore.com/2015/04/14/se-potessi-avere-calcola-il-potere-dacquisto-in-lire-ed-euro-con-la-macchina-del-tempo/?refresh_ce=1

8. Ibidem pag. 31. 9. Ibidem pag. 44. 10. Ibidem pag. 10. 11. Ibidem pag. 13. 12. Ibidem pag. 344. 13. Ibidem pag. 184. 14. Ibidem pag. 184 15. Nel 1965 fu sviluppato il primo motore di questo tipo installato sui modelli FIAT 125 e 124 coupé. 16. Termine coniato per designare un particolare tipo di autovettura, caratterizzata da dimensioni e dotazioni essenziali, pro-

gettato per assolvere le più correnti funzioni pratiche del trasporto promiscuo o alternato di persone e cose. Cfr.: https://it.wikipedia.org/wiki/Utilitaria

17. 23.450€ vedi nota 7 18. Titolo completo. “Motori endotermici : motori con accensione per scintilla: a carburazione e ad iniezione, motori ed ac-

censione spontanea: Diesel, lenti e veloci, teoria, costruzione, prove”, Milano : Hoepli, 1941. 19. La IV edizione è scaricabile gratuitamente da questo link: http://www.iw1axr.eu/Manuali_off/Motori%20endotermici%

20alternativi%20-%20ing%20Dante%20Giacosa%20-%20IV%20ed%20-%201947.pdf 20. Pubblicato per la prima volta nel 1979 da Automobilia che, nel 1988, pubblica una seconda edizione ampliata col titolo

“Progetti alla Fiat prima del computer”. 21. Cfr.: http://www.adi-design.org/upl/Motivazioni_1959.pdfCfr.: http://www.adi-design.org/upl/Motivazioni_1959.pdf

Internazionale Artisti, Critici e Studiosi d'arte con la seguente motivazione: per "l'attività di progettazione, sviluppata coerentemente per raggiungere un equilibrio tra gli aspetti di una politica di produzione di grande serie e quelli sociali, economici, tecnologici e formali che ne danno un'originale impronta";

ottobre 1968, Comune di Genova, Istituto Internazionale delle Comunicazioni, gli attribuisce la Medaglia d'oro Colombiana come "particolare riconoscimento alla intensa e feconda attività di progettista insigne di autoveicoli che caratterizzano nel mondo

l'industria italiana ed alla chiara e motivata fama di docente universitario e di pubblicista di trattati scientifici notevoli".

marzo 1960, consegna del Premio “Compasso d’oro” 1959 dell’ADI per la creazione della Nuova Fiat 500 del 1957, con la seguente motivazione: «La vettura Fiat 500 a cui viene attribuito il Compasso d'oro 1959 costituisce un tipico e s e m p i o , n e l c a m p o dell'automobile, di una forma nata dalla stretta integrazione fra tecniche proprie della grande serie nell'industria meccanica e particolari esigenze di economia nella

produzione di una macchina di ampia destinazione popolare. Il premio, sottolineando la coraggiosa rinuncia alla f iguratività tradizionale dell'automobile attraverso un attento riesame del complesso dei suoi elementi fondamentali, intende portare in rilievo il fatto che tale concezione, oltre ad aver condotto il designer alla massima limitazione degli elementi superficiali del costume decorativo segna una importante tappa nella strada verso una nuova genuinità espressiva della tecnica.»21.

Questo è il romanzo da

leggere sotto l’ombrel-

lone per questa estate

2016, specialmente se

disegni, sei un appas-

sionato di automobili-

smo e di Made in Italy

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Questo è il romanzo da

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Progettare una CASA

La terza fase del progettare una casa, si ha nel periodo che va dal rilascio del Permesso di Costruire, sino all’effettivo inizio dei lavori in cantiere. Quando le imprese arrivano devono sapere esattamente cosa fare. Affinché ciò sia possibile, nel periodo della fase 03 si deve preparare il Progetto Esecutivo che è l’insieme di tutti i progetti esecutivi e dei computi metrici (opere murarie, impianti, finiture). Alcuni di questi progetti esecutivi devono essere depositati in Comune, come ad esempio i calcoli strutturali o la relazione sul risparmio

energetico.

L’indagine geologica Progettare una casa significa anche sapere su cosa la si sta appoggiando. Il calcolatore delle strutture, necessita di un dato: che tipo di suolo abbiamo? Che peso riesce a sopportare? C’è acqua di falda? A quale profondità? Tali dati vengono forniti dal geologo che, dotato di un’apposita macchina per sondaggi, esegue un sopralluogo nell’area in oggetto ed esegue un certo numero di prove penetrometriche. Il numero dipende dalla dimensione del progetto. Per una casa singola saranno 2 o 3. Le prove spingono gli aghi sino a 15-20 metri di

profondità. I dati saranno forniti al calcolatore strutturista. I calcoli strutturali Progetto esecutivo delle strutture portanti, con dimensioni precise di tutti gli elementi, come fondazioni, strutture verticali, strutture orizzontali, o inclinate, tetto, eventuali opere accessorie. Le strutture da calcolare non sono soltanto quelle in calcestruzzo armato, ma per qualsiasi materiale utilizzato negli elementi strutturali, e quindi anche acciaio e legno, se presenti. Per il calcestruzzo, saranno indicate le dimensioni esatte di getto, e dell’armatura metallica presente, per barre e staffe. Il progetto per l’acustica Se l’edificio è composto da più un’unità immobiliare, o è anche solo in aderenza verticale in

tipologie analoghe alla ‘schiera’, si devono prevedere tutti i necessari accorgimenti tecnico costruttivi per isolare acusticamente l’edificio e le varie unità immobiliari. Il progetto indicherà quindi i materiali, gli spessori, le modalità di posa degli elementi fono isolanti e/o fono assorbenti e prescriverà gli accorgimenti costruttivi da adottare in specifici elementi murari. Per una trattazione completa dei vari aspetti e problematiche legate all’acustica edilizia, potete leggere questi articoli. Il computo metrico edile Il Computo Metrico Preventivo è l’elenco di tutte le opere che l’impresa edile dovrà eseguire, con le quantità di ognuna. Su questo documento, le imprese chiamate a fare un’offerta, indicheranno i loro prezzi unitari

III puntata

di Antonio M artini

“I Progetti Esecutivi”“I Progetti Esecutivi”“I Progetti Esecutivi”

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e importi totali. Documento essenziale per l’aspetto economico e finanziario dell’intervento edilizio, serve a committenti, imprese, e banche (per esaminare l’eventuale domanda di finanziamento e gli stati avanzamento lavori). In mancanza di questo documento, tutti i preventivi lasciati alla discrezione delle imprese non saranno confrontabili, ingenerando incomprensioni e liti. Sicurezza: coordinazione e piani Predisposizione Piano di Sicurezza e Coordinamento (P.S.C.), della Notifica Preliminare con invio della stessa con lettera raccomandata a I.N.A.I.L. e S.P.I.S.A.L.. Verifica dei Piani Operativi di Sicurezza (P.O.S.) delle imprese che interverranno nel cantiere. Sopralluoghi in cantiere per verificare il rispetto dei vari Piani, con stesura di appositi verbali da esibire agli ispettori del lavoro. Nota bene: il primo responsabile per il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza è il committente, perchè si presume come il più interessato a risparmiare su questa voce, sulla prestazione del Coordinatore e sulla regolarità delle imprese esecutrici.

Sicurezza: il PIMUS Elaborazione del Piano Montaggio Uso e Smontaggio (PiMUS) dei ponteggi esterni, se previsti. Si tratta di un progetto con la posizione, in pianta e in facciata, dei ponteggi metallici di servizio. Sono indicati i punti di aggancio e blocco, oltre alle modalità di montaggio e smontaggio. Possono esserci prescrizioni per casi particolari, come i luoghi di passaggio pubblico, o sistemi elettronici anti effrazione. In ogni caso, la Legge prevede che gli operai preposti al montaggio e smontaggio di ponteggi abbiano frequentato appositi corsi di formazione riconosciuti. La frequenza è bassa, perché è necessario solo nei lavori esterni, e nemmeno tutti. Energia: la relazione con lo schema dell’impianto Ai sensi delle Leggi e dei Decreti: 10/1991, 192/2005, 311/2006, e 28/2011, nei casi previsti, la Relazione Tecnica, completa di schema dell’impianto termico, dev’essere allegata al progetto edilizio iniziale. Dev’essere poi aggiornata alla fine dei lavori, in sede di domanda di agibilità, se è stato cambiato qualcosa rispetto a quanto previsto inizialmente. Per

questo, e per altri motivi, si consiglia ormai di studiare molto bene il progetto edilizio iniziale e poi realizzarlo come previsto, senza apportare quelle modifiche dell’ultimo minuto, cui molti si sono abituati al grido di ‘variante’. È bene ricordare che variante=costi aggiuntivi per spese tecniche. Energia: il progetto esecutivo degli impianti La tecnologia e l’efficienza energetica degli impianti di climatizzazione, estiva e invernale, stanno evolvendo sulla spinta delle norme in materia di contenimento energetico. Un corretto impianto, perfettamente calcolato e bilanciato, anche in base alle prestazioni attese, richiede un progetto dettagliato, accompagnato da un computo metrico altrettanto preciso. Con questi documenti, sarà possibile chiedere offerte/preventivi attendibili alle diverse ditte, e poterli realmente confrontare, avendo tutte lo stesso identico impianto, con i medesimi materiali e componenti. L’attuale tecnologia, consente di realizzare edifici senza allaccio del gas. Continua...

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L’analisi spaziale per il GIS

Quante “anime” ha la geomatica? In quanti modi è possibile utilizzare le informazioni geografiche e quali dati possiamo ottenere da esse? L’analisi spaziale ci offre nuovi ed efficaci modelli procedurali per ampliare il ventaglio d'informazioni provenienti dal territorio da implementare con il nostro oggetto di ricerca e permetterci

così di ottenere risultati filtrati, mirati per affinare ulteriormente le soluzioni progettuali.

L ’analisi spaziale è una metodologia di ricerca che si avvale delle proprietà topologiche,

siano esse geometriche o geografiche, di una determinata entità per svolgere le proprie indagini. I suoi campi d’impiego spaziano dall'astronomia, con gli studi sul posizionamento delle galassie nel cosmo, ai processi ingegnerizzati di fabbricazione in cui, come nel caso dei chip, si ricorre ai concetti algoritmicizzati di "luogo” e “percorso" per realizzare complessi cablaggi strutturati. Tecniche di analisi spaziale possono essere applicate in strutture a scala umana per esaminare, attraverso i dati geografici, particolari aspetti

fenomenologici legati alle attività antropiche (sviluppo urbano, e p i d e m i e , l a v o r o , alfabetizzazione, natalità, ecc.). Questa nuova materia, che aspira a diventare una vera e propria disciplina, comprende una gran varietà di pratiche, molte delle quali sono ancora in fase embrionale, con approcci analitici molto diversificati tra loro. L’analisi spaziale è tuttora afflitta da problematiche estremamente complesse molte delle quali addirittura non ancora ben definite o del tutto risolte come, ad esempio, il problema della determinazione della posizione spaziale assoluta e relativa delle entità.

Come è nata l’analisi spaziale?

La letteratura dedicata a questo argomento fa coincidere la nascita di questa nuova materia con i primi tentativi di cartografia e rilievo e questo perché da sempre l’uomo ha sentito forte la

necessità di comprendere il territorio che lo ospita, di descrivere le risorse offerte da esso, di associare ad uno specifico luogo un determinato fenomeno; tutto questo per rispondere e quell’innato desiderio di migliorare le condizioni di vita della propria specie. Tirando per la giacca Ferdinand De Sassure e avvalendoci dei suoi studi sulla linguistica, potremmo analizzare l’idea stessa di carta geografica, o referente, attraverso la scomposizione dei suoi contenuti grafici e testuali; distingueremo così due diverse valenze semantiche in cui il significante è la parte grafica indicante i confini di un territorio e il significato è tutto il resto: fiumi, strade, insediamenti abitati, aree boschive, zone industriali e la lista potrebbe proseguire per ancora molte righe.

II puntata

di Salvio Gigl io

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La Hunt - Lenox Globe, la seconda o la terza più antica carta del globo terrestre, che si ritiene essere stata creata nel 1510. Se la si osserva da vicino, si possono vedere i draghi e altre creature mitologiche che occupano terreni sconosciuti.

La toponomastica non mente mai! A sinistra, la lapide stradale di vico Scassacocchi e il relativo vicoletto dal selciato sconnesso mentre, a destra, quella di vico Pazzariello. Al centro l’indimenticabile Totò mentre interpreta Don Saverio Petrillo, che di professione fa proprio il pazzariello, nell’episodio Il guappo tratto dal capolavoro di Vittorio De Sica “L’oro di Napoli”, del 1954.

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Già da soli tutti questi elementi simbolici, a prescindere dal supporto su cui sono ospitati, hanno un valore analitico nei confr ont i del ter r itor io rappresentato e ci comunicano istantaneamente un insieme di informazioni. Esempio di questo particolare codice grafico-testuale sono alcune locuzioni latine: hic sunt leones (qui ci sono leoni) o hic sunt dracones (qui ci sono draghi), espressioni poste sulle antiche carte geografiche per indicare le zone pericolose ancora inesplorate dell'Africa o, ancora, indicazioni come hic nascuntur elephantes (qui si nascondono elefanti), chiaro esempio di un'informazione relativa ad una risorsa preziosa come l’avorio. Se ci avvaliamo di strumenti storico l inguist ici come l’odonomastica e la toponomastica per analizzare la pianta di una delle nostre città, così ricche di s t o r i a , c i c o n v i n c i a m o definitivamente che l’analisi spaziale esiste da sempre, solo che un tempo non poteva avvalersi dei supporti dinamici messi a disposizione oggi dall’informatica! Anche la toponomastica del centro storico della mia cara Napoli è piena di preziose indicazioni di varia natura: Borgo Orefici, via Guantai nuovi, via dei Carrozzieri, per indicare la presenza di particolari corporazioni artigiane; particolari attività produttive, come nel caso di via Cisterna dell’olio o di via Forno Vecchio; sociali, come ricordano vico Monte della Pietà e via Monte dei Poveri vergognosi; talvolta perfino i n e r e n t i p e r s o n a g g i particolarmente emblematici, come indica vico Pazzariello, e strade particolarmente dissestate quale può essere un vicolo che viene nominato Scassacocchi! Ovviamente con il passar del tempo e la fioritura di nuove discipline scientifiche ai vecchi

significanti di cui sopra sono stati aggiunti, man mano, nuovi significati facendo si che le i nfo r ma z i on i ge og r a f ic he divenissero strumenti di lavoro e di ricerca ancora più preziosi e referenziali. Un primo esempio di impiego di analisi spaziale “moderna” è il lavoro del 1854 svolto dal dottor John Snow che riuscì ad individuare le cause di un’epidemia di colera, nel popolarissimo quartiere londinese di Soho, segnando sulla piantina di quel distretto gli isolati in cui si stava verificando il contagio. Snow notò che i casi si concentravano attorno ad una specifica pompa dell'acqua a cui attingevano gli abitanti di quella zona. Il medico fece subito bloccare la pompa dagli operai dell’acquedotto e gli stessi poi notarono un’infiltrazione di liquami fognari, provenienti da una condotta limitrofa, nella tubazione idrica. Riparato il guasto si fermò anche il diffondersi della malattia.

L’analisi spaziale contemporanea

Nell’era della Rivoluzione digitale anche la geografia si sposta sul PC: non ce ne rendiamo sempre conto quando la ritroviamo su tantissime pagine web in forma di cartina geografica dinamica o in software ed app che trasformano i nostri dispositivi in preziosi e potenti strumenti che ci permettono di muoverci in luoghi che non conosciamo, di ottenere informazioni in real time su quanto ci circonda in base alla nostra posizione, di apprendere la storia di un monumento che troviamo lungo il nostro cammino, di incrociare istantaneamente i dati di una specifica località geografica provenienti dal web con quelli che abbiamo rilevato e caricato noi per ottenere cartografia specifica che impiegheremo poi per studiare,

lavorare, viaggiare. Per quel che riguarda il mondo della progettazione, il ruolo giocato dall’analisi spaziale attraverso gli strumenti GIS assume sempre maggiore importanza e non solo in campo edile ma anche elettronico e meccatronico. Penso alla progettazione dei moduli di controllo per la conduzione automatica di veicoli aerei, terrestri e marini, alle strumentazioni per il rilievo digitale, alle applicazioni per la m a p p a t u r a t e m a t i c a nell’agricoltura, solo per fare qualche esempio. La base di tutto questo si può individuare nella scoperta di due diversi sistemi procedurali che hanno fatto si che l’analisi spaziale potesse poi raggiungere quei traguardi tecnologici così s i g n i f i c a t i v i , a t t r a v e r s o applicazioni che ci hanno permesso di condurre dei veicoli sulla Luna, su Marte e delle sonde fuori dal Sistema Solare: l’interpolazione, una tecnica

proveniente dall ’a nalisi numerica e consistente nell’individuazione di nuovi punti sul piano cartesiano a partire da un insieme finito di p u n t i n o t i . L a s ua implementazione con i sistemi GIS ha permesso la rappresentazione digitale della superficie terrestre e la gestione del complesso volume di dati spaziali;

il motore inferenziale, un algoritmo che, simulando le modalità con cui la mente umana trae delle conclusioni l o g ic he a t tr a ver s o i l ragionamento, permette l'analisi dei dati attraverso modelli statistici lineari spazialmente regolati.

La loro correlazione informatica ha favorito lo sviluppo di strumentazioni e software geografici sempre più affidabili, efficaci ed efficienti.

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Il professor Edgar Horwood, dell'Università di Washington, e una mappa prodotta col suo software Tape Mapping Program nel 1963

A centro pagina, il logo del LCGSA: a sinistra, l’ingresso della sede storica del Lab: la Robinson Hall in cui oggi è allocato il Di-partimento di Storia; a destra, il professor Howard T. Fisher, fondatore e primo direttore del Lab.

Harvard Laboratory for Computer Graphics

and Spatial Analysis

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Il prof. H. T. Fisher e la nascita del LCGSA di Harvard Andando a zonzo per siti accademici d’oltreoceano, in cerca di notizie storiche sull’analisi spaziale, mi imbatto in un progetto di ricerca sulla geomatica datato 1965 e sviluppato da un architetto, Howard T. Fisher, all’epoca docente presso la Northwestern University di Chicago, la cui portata può essere paragonabile per importanza agli studi sull’informatica svolti negli anni ’70 al mitico Xerox PARC di Palo Alto. Tutto ebbe inizio nel 1963, quando il professor Fisher aveva seguito un corso di formazione per la Digital mapping for urban planning and civil engineering (Cartografia digitale per la pianificazione urbanistica e le costruzioni), condotto dal prof. E d g a r H o r w o o d dell 'U niver sità di Washington, ed era rimasto affascinato dalla possibilità di avvalersi di un elaboratore elettronico per creare una cartografia digitale del territorio che potesse poi tornar utile in fase di progettazione. Il professor Fisher, finito il corso, e considerate le potenzialità di questo nuovo modo di relazionarsi con la topografia, concepisce l’idea di avviare un centro di studi universitario per svolgere delle ricerche sullo sviluppo di s o f t w a r e s p e c i a l i z z a t i nell’analisi spaziale per la cartografia tematica. Circa quest’ultimo punto, ha anche abbozzato le funzionalità di un programma cartografico che doveva essere in grado di riprodurre, attraverso una stampante ad aghi, delle mappe tematiche visualizzate a schermo. Inizialmente Fisher parla dei suoi propositi con i vertici della Northwestern University che, però,

ribattono di non essere economicamente in grado di sostenere i suoi progetti. Convinto della validità delle sue idee, Fisher decide di mettersi in contatto con altri atenei statunitensi, tra cui quello di Harvard, mentre per reperire i fondi necessari alla ricerca, invia una dettagliata relazione del progetto formativo a l l a F o r d F o u n d a t i o n . Fortunatamente le cose vanno per il verso giusto e le due prestigiose istituzioni danno il loro beneplacito: nel 1965, Fisher ottiene dalla Ford Foundation un finanziamento, a scadenza triennale, di 98.000$ annui e la storica università di Harvard acconsente di mettergli a disposizione una propria struttura nell’Harvard’s Yard. Nascevano così nella Robinson

Hall gli Harvard Laboratory for Computer Graphics and Spatial Analysis, LCGSA (o più affettuosamente Lab) come parte della Graduate School of design. A detta di chi ha avuto la fortuna di poter vivere quell’esperienza, come Nick Crisman che ha fatto parte del team di ricerca dal 1974 al ’77, il Lab fu un luogo emblematico per la geomatica ove geografi, cartografi, matematici,

informatici, progettisti, artisti, programmatori e molte altre figure professionali si incontrarono per mettere in piedi ciò che oggi noi chiamiamo GIS! Fisher per il suo LCGSA si era posto due obiettivi fondamentali che conciliavano le necessità della ricerca con quelle di reperire c o s t a n t e m e n t e r i s o r s e economiche: Progettare e sviluppare

software per l'analisi e la rappresentazione grafica dei dati spaziali.

Distribuire software alle a g e n z i e g o v e r n a t i v e , organizzazioni educative e professionisti interessati.

Intenti questi che sono stati perseguiti fino a quando il Lab è stato in funzione, anche dopo che

il professore andò in pensione nel 1968, lasciando avviati tre progetti software: il SYMAP, il SYMVU e il GRID. Dopo Fisher la direzione passò nelle mani del professor William Warntz che orientò la ricerca del Lab dalla c a r t o g r a f ia t e m a t i c a a l l ’ a n a l i s i s p a z i a l e , incrementando anche il personale che, nel 1970, era intorno alle quaranta unità. Il 1972 è un anno molto particolare per il LCGSA: la sua sede viene spostata nella Gund Hall, un nuovo fabbricato del c o m p l e s s o d e l l a Graduate School e, quasi

contemporaneamente, finiscono i soldi del finanziamento iniziale; ciò restringe drasticamente il numero del personale che raggiunge a stento le sei unità! Fu il progetto Odyssey a risollevare le sorti del Lab a partire dal 1975 facendolo crescere anche in termini di pianta organica, tanto che nel 1981 vi lavoravano nuovamente più di una quarantina di persone. Nel 1979, i vertici dell’ Harvard

«I am not a geographer and I was not

a cartographer until perhaps that Sa-

turday morning in 1963 when I inven-

ted the basic concepts upon which

the SYMAP computer mapping pro-

gram is based. Since that time, howe-

ver, I have been engaged exclusively

upon the problems of thematic map

design.»

"Io non sono stato un geografo e un cartografo forse fino ad

un sabato mattina del 1963, quando ho inventato i concetti

di base su cui è fondato il programma informatico di mappa-

tura SYMAP Da quel momento, però, sono stato impegnato

esclusivamente. su problemi di cartografia tematica. ".

Howard T. Fisher

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Quando le mappe si facevano con le macchine da scrivere…

O ggi che computer e stampanti ci permettono di produrre

velocemente documenti di vario contenuto con qualità

professionale, in modo pratico ed economico, ci può sem-

brare alquanto stravagante l’idea di ricorrere ad una mac-

china da scrivere per redigere una mappa topografica. Eppure basta

fare un passo indietro di appena una cinquantina d’anni per scopri-

re questo singolare utilizzo della macchina da scrivere, strumento

di lavoro onnipresente sino all’avvento del computer, per la campi-tura della cartografia “fai da te”.

Il lettore non dimentichi che, fino a pochi decenni fa, la realizzazio-

ne professionale di carte geografiche era cosa a dir poco proibitiva

in termini di costi e tempi di attesa. Ciò spinse coloro, che per mo-

tivi di studio, di lavoro o per il tempo libero, ad ingegnarsi a realiz-

zare materiale cartografico in svariate tecniche tra cui quella delle

macchine da scrivere.

In effetti, sin dagli inizi del XX secolo, i cartografi amatoriali d’ol-

treoceano si avvalevano delle macchine da scrivere per i loro lavori

tanto da suscitare un certo interesse su questa tecnica anche nei

professionisti del settore.

Ad esempio, il geologo canadese Reginald Aldworth Daly (1871 -

1957), Fig. A, scrive un articolo a tal proposito sul numero di marzo

del 1905 dell’American Journal of Science in cui espone le funzio-

nalità di un prototipo di macchina da scrivere munita di caratteri

speciali appositamente studiati per la rappresentazione cartografi-

ca delle aree sulle mappe. Ecco un brano tradotto di quell’articolo:

«È corretto affermare che la maggior parte di coloro che sono in-tenti nell’organizzazione di illustrazioni, sezioni, schemi e testi di carte geografiche, sono seriamente ostacolati dalla difficoltà e dalla spesa comportata da quei noiosi disegni. Eppure, è notevol-mente aumentata la percentuale di tali illustrazioni nelle migliaia di articoli scientifici pubblicati ogni anno. È palese che chiarezza, pre-cisione e concisione nell’esposizione di un argomento sono general-mente migliorate mediante l’impiego massiccio di mappe appro-priate e diagrammi (...). Idealmente, l'autore stesso dovrebbe essere in grado di rendere il disegno artisticamente originale in modo rapido e ordinato. Solita-mente invece, per “l'autore medio”, l’esecuzione di disegni è sco-raggiante, lenta, costosa, non sempre pulita e, molto spesso, quan-to mai artistica. La nota seguente riguarda alcuni esperimenti fatti per aumentare rapidità e pulizia nella produzione di disegni me-diante l'uso di una macchina da scrivere. Il successo raggiunto è stato molto significativo e tale da giustificare la raccomandazione di questo metodo a geologi, geografi e altri. Recentemente la Hammond Typewriter Company di New York ha costruito, per il Geological Survey Department of Canada, una mac-

china da scrivere fornita di novanta caratteri speciali (Fig. C) pro-gettati appositamente per la preparazione di disegni di carte geo-logiche e geografiche (Fig. B).

È bene chiarire che nella preparazione di una mappa, ovviamente, si rappresenta prima il disegno dei confini; solo successivamente si riempiranno gli spazi vuoti con i simboli della macchina da scrivere

Fig. B - Uno stralcio di mappa realizzata con una macchina da scrivere della Hammond Typewriter Company

Fig. A - Reginald Aldworth Daly

Fig. C - I caratteri speciali della macchina da scrivere realizzata dalla Hammond Typewriter Company per il GSD del Canada

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Graduate School of Design viste le potenzialità raggiunte dalla suite Odissey, suggerirono alla direzione del Lab di stringere accordi di licenza con imprese esterne[1], per quel pacchetto. Teoricamente si sarebbe dovuto guadagnare di più, tuttavia, gli accordi stipulati erano alquanto deboli e non prevedevano alcuna clausola per lo sfruttamento tecnologico del prodotto garantendo uno status di non concorrenza. Tutto ciò finì per scoraggiare altri potenziali acquirenti che, come ultimi arrivati, si sentivano fortemente penalizzati rispetto a chi si aveva commercializzato Odissey sin dal primo momento. Nel 1981, dopo aver raccolto gli interessi commerciali provenienti dalle vendite e “respirato” l’aria che tirava sul mercato, la direzione dell’Harvard Graduate School of Design fece un passo indietro sugli accordi di licensing e decise di focalizzarsi maggiormente sulla ricerca anche se con un budget ridotto. Nonostante gli intenti questa scelta si rivelò alla fine un vero e proprio boomerang: le tensioni finanziarie e la mancanza di prospettive commerciali sui progetti tolsero mordente alla ricerca e portarono alla dispersione di molti membri del t e a m g i à d a l 1 9 8 1 . Nonostante furono poi avviate molte nuove ricerche il Lab chiuse i battenti definitivamente nel 1991.

Le attività del Lab

Il Lab oltre alla produzione e distribuzione di pacchetti s o f t w a r e e c o r s i p e r corrispondenza, è stato anche sede di numerose conferenze sul GIS e collaborazioni con la stessa Graduate School of Design su progetti di architettura e pianificazione urbanistica. Il Laboratorio inoltre, dal 1978 al 1983, ha ospitato una simpatica

iniziativa annuale dedicata alla divulgazione della grafica digitale: la Harvard Computer Graphics week. LCGSA ha anche accolto le attività di ricerca di una serie di personaggi del mondo accademico USA che hanno prodotto studi molto significativi per la geomatica: Geoffrey H. Dutton, ricercatore

associato presso LCGSA dal 1969 al 1984; ha collaborato alla stesura del programma DOT.MAP e ad altri software concepiti nel Lab. Nel 1978 ha realizzato la prima mappa tematica olografica, America Graph Fleeting, costituita dalla sequenza di 3.000 ologrammi che animavano una mappa tridimensionale raffigurante la crescita della popolazione degli Stati Uniti dal 1790 al 1970, generata col programma ASPEX del Lab. Nel 1977 James Dougenik, Duane Niemeyer e Nicholas Chrisman sviluppano dei cartogrammi ad aree contigue.

Bruce Donald è membro del Lab dal 1978 al 1984; è uno degli autori di Builder , un p r o g r a m m a C A D p e r l'architettura in grado di rappresentare planimetrie e prospettive di edifici anche con om br e g gia t ur e , a sp e tto quest’ultimo che rese popolare l’impiego della Computer Aided Design in architettura. Donald anche scritto il codice del modulo CALYPSO per la suite commerciale Odyssey. In collaborazione con Chrisman e Dougenik si occupa del sistema linguistico GLIB/LINGUIST impiegando la tecnica del table-driven design[2] di diretta derivazione dalla teoria degli automi e dallo scoping dinamico. GLIB / LINGUIST era fornito in inglese per la UI di Odyssey, Builder e altri software sviluppati dal Lab.

Le ricerche del Lab e la sua stessa strutturazione organizzativa sono state fonte di grande ispirazione per la nascita della software house GIS ESRI, fondata nel 1969 da Jack Dangermond, un architetto paesaggista laureato, neanche a dirlo, proprio in quello stesso anno alla Graduate School of Design di Harvard, che aveva lavorato come assistente di ricerca presso il Lab tra il 1968 e il ‘69. In questa impresa a lui presto si unirà Scott Morehouse, il responsabile dello sviluppo del progetto Odyssey, e il suo team con lo scopo di sviluppare una piattaforma GIS di nuova generazione: la suite ARC/INFO, un sistema interattivo che doveva essere in grado di gestire, e la bor ar e , modif ica r e e visualizzare vettorialmente i dati geografici con i relativi attributi scalari ed aprire così la strada a progetti GIS più complessi

Aggiungo che non fu solo l’amore per la scienza a creare questo proficuo sodalizio: infatti, se da un lato Dangermond metteva struttura, capitali e qualche brillante intuizione, dall’altro Morehouse e il suo team portavano in dote quanto avevano acquisito al Lab, e non era cosa da poco, col progetto Odissey in termini di codice e strutturazione software.

SYMAP: il software dei pionieri della geomatica

Il SYMAP, acronimo di SYnagraphic MAPping o mappatura grafico-sinottica, per almeno un decennio, fu il principale software a livello mondiale per la cartografia tematica di quegli anni; fu sviluppato su indicazioni del professor Fisher da Betty Benson un abile programmatore che lo rese abbastanza stabile e pronto per la distribuzione già nel 1966. Qualche problema di ordine pratico sorse con la modalità di

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che, infine, saranno riportati nella legenda della carta. ».

Sicuramente l’articolo di Daly lo lessero in molti e con ogni proba-

bilità da esso dovette poi scaturire il classico passaparola, l’inter-

net dei bei tempi andati, che diffuse in vari ambiti professionali ed

hobbistici l’impiego delle macchine da scrivere in cartografia.

Soprattutto in Canada e negli USA non è difficile trovare ancora

vecchie carte amatoriali in cui è stata usata questa tecnica, come

nel caso della mappa di Fig. D, del 1950, di Camp Tonkawa, un cam-

po scout del Texas orientale, eseguita con una macchina da scrivere

per le annotazioni tipografiche.

A metà degli anni ‘60, cinquant’anni dopo la pubblicazione dell’ar-

ticolo di Daly, le cose non erano cambiate molto circa la redazione

del materiale cartografico anche con i primi esperimenti di auto-

mazione informatica, tanto che al LCGSA, per stampare le mappe

sviluppate con il Map Generator Program SYMAP, si impiegava una

grossa macchina da scrivere asservita all’elaboratore: la IBM 1403,

Fig. E, una stampante di linea che aveva un set di caratteri proprio

delle macchine da scrivere.

Alla fine vinceva proprio la tecnica descritta da Daly nel suo artico-

lo: le mappe si continuavano ad ottenere impiegando lettere, nu-

meri e simboli come “+ o”, “= o%” e con queste poche risorse gra-

fiche, signori miei, si faceva cartografia tematica e analisi spaziale!

SYMAP girava su di un computer mainframe: l’IBM System / 360,

Fig. F; questi sistemi, pur impegnando interi piani di un fabbricato,

non prevedevano ancora alcun monitor per l’output dati che veni-

vano direttamente stampati.

Tracce di questo periodo le possiamo persino trovare in alcuni lin-

guaggi di programmazione, come il C, il C++, il Perl, ecc., con la

funzione printf che però oggi visualizza un valore solo sul monitor

del nostro PC invece di stamparlo!

La sovrastampa di caratteri e l’unità di visualizzazione grafica, una

IBM 2250 come quella di Fig. G, arriveranno solo in un secondo

momento, dopo una sostanziale modifica meccanica all’hardware

della stampante di linea che permise di differenziare il “peso”

della campitura delle aree impiegando la sequenza di caratteri

OXAV (Fig. H).

Sempre in tema SYMAP vale la pena di citare quanto ha scoperto

William Caraher (professore assistente presso l'Università del

Nord Dakota e autore del sito "The Archaeology of the Mediterra-

nean World"): un interessante esempio di analisi spaziale per un'a-rea archeologica a Cipro nel Mediterraneo orientale.

L'indagine di ricognizione originale è stata descritta dal team com-

posto da J.M. Adovasio, G.F. Fry, J.D. Gunn e R.F. Maslowski in un

articolo apparso nel numero 6 di World Archaeology del 1975, inti-

tolato: "Prehistoric and historic settlement patterns in western Cyprus (with a discussion of Cypriot Neolithic stone tool technolo-gy”; in esso sono presenti una serie di mappe sviluppate proprio

col SYMAP, in esecuzione su di un IBM 709 presso l'Università di Pittsburgh, che mostrano, con un approccio diacronico, la posizione

del materiale archeologico del periodo medievale bizantino nonché

gli insediamenti anche più recenti.

Fig. D - Uno stralcio di mappa amatoriale realizzata con una macchina da scrivere del campo scout Camp Tonkawa

Fig. E - Una mappa di SYMAP stampata da una IBM 1403

Fig. F - La CPU, la console operatore e le periferiche di un sistema IBM / 360 Modello 50 in uso presso Volkswagen.

Fig. G - Un’operatrice usa la penna scanner HEX (Hypertex Editing System) su di una unità IBM 2250 Mod 4

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distribuzione del software e sull’individuazione dei suoi potenziali utenti: il professor Fisher aveva immaginato di distribuire per corrispondenza il pacchetto software e il relativo manuale formativo a dei professionisti che così sarebbero stati in grado autonomamente di programmarlo ed impiegarlo nel giro di qualche settimana, sottovalutando il tempo realmente necessario per raggiungere una versione effettivamente stabile e pronta all’uso del programma. Invito i lettori ad evitare di cadere nella trappola dei “facili giudizi fatti col senno di poi” e a tenere ben presente che in quegli anni i computer erano una vera rarità e funzionavano con programmi che giravano con pile di schede perforate: nel 1965, in tutta la Harvard University c’era un solo elaboratore gigante munito di una singola postazione di lavoro! Per la programmazione poi il discorso si complicava ancora di più: a c c a d e v a a b b a s t a n z a frequentemente, specialmente nelle fasi di sviluppo iniziali di un programma, che quando questi cominciava a comportarsi male, o peggio ancora, finiva col bloccarsi i programmatori potevano passare intere giornate a scavare nella massiccia pila di schede perforate alla ricerca di ciò che avesse potuto causare il crash. Ecco perché lo sforzo fatto col SYMAP in meno di un anno è encomiabile e lo rende il vero capostipite del software geomatico. Ovviamente, se paragonata a quella dei software attuali, la produzione cartografica di SYMAP ottenuta con le stampanti di linea dell’epoca era alquanto grossolana nonostante i modelli cartografici e le relative trasformazioni erano piuttosto sofisticati. C’è da dire, tuttavia, che i problemi che affliggevano SYMAP non erano pochi. Ad esempio, uno dei suoi maggiori bug era legato

all’autocorrelazione spaziale: il programma spesso era incapace di comparare gruppi di entità simili, o cluster territoriali, e di costruire con essi una scala di valori con cui stabilire quale potesse essere attribuito più propriamente al territorio in esame e ciò originava spesso confusione con la media delle risposte globali. Carl Steinitz, a tal proposito, ricorda che la prima uscita di SYMAP fu drammaticamente caratterizzata da trenta ricognizioni preliminari della mappa di riferimento prima che si potesse operare finalmente su i cluster territoriali. Parallelamente allo sviluppo e diffusione di SYMAP fu anche fondato un team di programmatori che, sulla base delle segnalazioni dei vari utenti, correggeva il codice dagli inevitabili errori della prima stesura.

Come funzionava il SYMAP

Nonostante sia passato giusto mezzo secolo, il lavoro svolto con SYMAP da Fisher e Benson resta ancora uno standard di riferimento per lo sviluppo di software per la visualizzazione cartografica. Il suo set funzionale di base impiegava: un template vettoriale, una collezione di entità geometriche (punti, linee ed aree), uno spazio di coordinate planari i cui valori potevano essere personalizzati in base alle necessità dell’utente. Quando fu sviluppato SYMAP non esisteva ancora il concetto stesso di web, se non a livello militare, e l’input dati per le risorse di informazioni geografiche avveniva tramite schede perforate: una per ciascun punto della mappa! Come vi accennavo in precedenza, le stampe di SYMAP erano molto grezze dal momento che il programma prevedeva l’impiego delle sole stampanti di linea. Questa periferica stampava linee di caratteri con vari standard di lunghezza fino ad un massimo di

130 impiegando una serie di altrettanti martelletti, chiamati slugs (lumache, per la loro forma particolare). Il programma prevedeva l’impiego esclusivo di stampanti di linea prevedevano linee di stampa lunghe sino a 130 caratteri e una suddivisione ideale dell’area di stampa assimilabile ad una matrice righe/colonne. Gli s l u g s , a d e g u a t a m e n t e temporizzati, avevano il compito di colpire la parte posteriore del foglio proprio nell’istante in cui il carattere da stampare passava davanti alla cella giusta, la carta veniva spinta in avanti contro un nastro di tessuto inchiostrato che a sua volta premeva contro la forma del carattere da stampare che così restava impresso sulla carta. La lunghezza della linea di stampa portò alla produzione dell’unico modello al mondo di righello da 13 pollici di lunghezza, distribuito con ogni pacchetto del corso per corrispondenza. La "sovrastampa" era un’ulteriore peculiarità di SYMAP: il p r o g r a m m a b l o c c a v a l’avanzamento della carta, consente ndo la sta mpa supplementare sulla stessa linea. Il programma consentiva fino a quattro colpi di caratteri in una determinata cella della mappa mentre le aree scure erano prodotte mediante la sovrastampa dei caratteri A, O, X, V. Fu proprio il professor Fisher a tentare di apportare i primi miglioramenti al SYMAP utilizzando un algoritmo inspirato alla serie lineare di Horwood per ottenere così la relativa interpolazione applicata lungo ogni riga, ma ciò produceva una grafica dall’aspetto striato. Fisher espose il problema nei suoi seminari ad Harvard suscitando l’interesse di una matricola in particolare, Donald Sheppard, che decise di rivedere l’algoritmo d'interpolazione, utilizzando una struttura matematica oggi

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Fig. H, due mappe dell’analisi spaziale di un area archeologica effettuata a Cipro nel 1975 e sviluppata con SYMAP

Fig. I, da 1 a 3 esempi di meccanica di stampa per una line printer; una tabella caratteri di una stampante di linea per ottenere diverse pesature di carattere in modo da ottenere aree più chiare e più scure

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Immagine realizzata con il modellatore 3D BUILDER, per un opuscolo di presentazione sul LCGSA del 1982

18 ex alunni del Lab in una riunione a San Diego nel 2004

Mappa 3D di un’analisi spaziale realizzata con PRISM Una mappa vettoriale topologica TDM (Topological Data Model) ottenuta con POLYVRT

Un’analisi spaziale condotta con ASPEX per American Graph Fleeting nel 1950

Dettaglio di una mappa puntiforme ottenuta con DOT.MAP

Geoffrey H. Dutton e il suo generatore di ologrammi geogra-fici per America Graph Fleeting

Distorsione delle mappe con l’algoritmo di Jim Dougenik per realizzare i cartogrammi

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denominata Inverse distance weighting. Lo studente dopo aver condotto una serie di esperimenti c o n l ' e s p o n e n t e d e l l a distanza, decise di adottare qualcosa di più vicino al modello gravitazionale sviluppando così un algoritmo che ha poi permesso di definire e distinguere i confini tra permeabili e assoluti ed ottenere la cosiddetta mappa prossimale o isomappa.

Il progetto Odissey

Tutto cominciò nel 1975, quando al Lab fu chiesto dall’United States Census Bureau di sviluppare alcuni moduli di calcolo per il progetto Urban Atlas, un software geomatico per svolgere indagini demografiche ed econometriche negli USA. Per il Lab era un’ottima occasione per acquisire del know how di prima mano su di una nuova tipologia di strutturazione

del software: la suite. Nel 1977 LCGSA, dopo una fase di studio preliminare, decise di varare il progetto Odyssey e nominò Scott Morehouse come responsabile dello sviluppo. C’è da dire che Morehouse e il suo team se per un verso erano appassionati sviluppatori e ricercatori dall’altro erano non poco attaccati al guadagno: infatti, nel 1981, quando constatarono che i ricavi di Odissey non soddisfacevano pienamente le loro aspettative e che le loro risorse cominciavano a diminuire decisero di unirsi, come avete letto prima, alla ESRI di Jack Dangermond. Torniamo ad Odissey. La suite era composta da sette programmi integrati che condividevano interfaccia utente e software di manipolazione dei dati, era tutta vettoriale ed era in grado di fornire

diverse modalità di analisi spaziale. Ad esempio, i moduli POLYPS e PRISM potevano disegnare mappe vettoriali v isua l iz za bil i po i nel la maggioranza dei software vettoriali di quegli anni. Dopo le stesure beta e le relative verifiche di compatibilità e stabilità, il pacchetto fu avviato alla commercializzazione a partire dal 1980. Analogamente a SYMAP, anche Odissey divenne un paradigma di programmazione per la successiva generazione di software GIS; tracce di ciò possono riconoscere in molti lavori realizzati da alcune software house commerciali di quegli anni come la M & S Informatic (in seguito Intergraph), Computervision e Geodat.

I principali software del LCGSA

Come vi accennavo in apertura,

Una serie di mappe ottenute con la suite ODISSEY

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Fisher oltre al SYMAP e prima di lasciare l’incarico come direttore del LCGSA, aveva avviato altri due progetti di software GIS con l’intento di creare una rete di clienti tale da poter sostenere, con i proventi delle distribuzioni, gli elevati costi della ricerca del Laboratorio. Quest’idea si rivelò presto come una strategia vincente, ed un esempio applicabile anche ad altri ambiti di ricerca universitaria, lo dimostrarono proprio i ricercatori del Lab realizzando una serie di pacchetti software per la geomatica che, grazie al loro successo commerciale, hanno consolidato la reputazione del LCGSA, in termini di precisione ed affidabilità del software, e hanno garantito un’autonomia di bilancio abbastanza significativa per un istituto di ricerca. A appannaggio degli appassionati di programmazione ricordo che la maggior parte del software del Lab fu scritto con un linguaggio di programmazione molto in voga negli anni ’60: il FORTRAN. Dopo lo sviluppo il software veniva provato sui principali sistemi operativi dell’epoca come l’IBM OS/360, il CTSS, il Multix, l’UNIX, ecc. Attraverso lo sviluppo del software il Lab ha esplorato a

fondo sia la grafica raster che quella vettoriale, sviluppando delle soluzioni originali per risolvere specifici problemi. ASPEX – visualizzazione

prospettica semplificata di dati geografici in 3d;

CALFORM - mappe vettoriali t r i d i m e n s i o n a l i c o n ombreggiatura;

CALYPSO – modulo di manipolazione per attributi (interpolazione di superfici);

CYCLONE - controllo topologico dei nodi e correzione degli errori;

CYCLOPS - controllo topologico di poligoni, creazione file grafici vettoriali (shape file);

DOT.MAP - mappe di contorno con om br e gg ia t ur a e distribuzione di dati dot sulla griglia;

GIMMS - (Geogra phic Information Management and Mapping System – Sistema gestionale di mappatura geografica) un sistema di mappatura general purpose scritto da Tom Waugh presso l'Università di Edimburgo;

GRID – generatore di griglie vettoriali per il mapping;

KWIC - software per l'indicizzazione di riferimenti bibliografici;

MDS(X) - Sistema di visualizzazione dei dati in scala multidimensionale sviluppato da Tony Coxon dell’Università di Cardiff.

ODISSEY; POLYPS - generatore di mappe

planari coropletiche; POLYVRT - conversione e

analisi di dati poligonali; PRISM - mappe 3D con rilievo

tipo “wireframe”; PROTEUS - software per

l’editing, la proiezione, generalizazione, aggregazione e visualizzazione semplificata di dati geografici;

SYMAP; SYMVU - visualizzatore di

griglie vettoriali; WHIRLPOOL - applicazione di

monitoraggio sugli errori di inserimento dati.

Bene, conclusa questa breve “passeggiata” storica al mitico LCGSA di Harvard ci diamo appuntamento alla prossima puntata in cui cercheremo di evidenziare i primi concetti salienti dell’Analisi Spaziale attraverso le sue principali metodologie d’indagine. Che il GIS sia con voi!

Continua…

Ricostruzione 3D del minuscolo righello da 4,72 pollici (12 cm) dato in omaggio con il corso di SYMAP per corrispondenza

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La Scuola Politecnica e delle Scienze di Base (SPSB) ha comunicato ufficialmente l’apertura del nuovo Corso di Laurea Magistrale in “Industrial Bioengineering” presso l’Ateneo federiciano: il Prof. Paolo Antonio Netti, fautore del progetto insieme ad altri esponenti di rilievo della Scuola, ha acconsentito con piacere a rilasciare un’intervista vi-

deo allo staff di IngegneriaBiomedica.org.

Nasce Industrial Bioengineering a Napoli: intervista al prof. Paolo Netti

D a sempre, la SPSB, struttura cardine a cui i s e t t o r i t e c n i c o -scientifici dell’Ateneo

Federico II di Napoli afferiscono, ha proposto e promosso l’integrazione tra le varie discipline esistenti, al fine di stabilire tra queste una nuova “comunicazione”: da questo presupposto, nascono idee e progetti di promozione e rilancio per l’Ateneo, partendo soprattutto dall’attivazione di nuovi corsi di laurea di indirizzo magistrale. Il 2016 ha rappresentato sicuramente un anno di sfide per il lancio di nuovi percorsi formativi e didattici, in particolare per gli studenti di Ingegneria, e notevole interesse è stato suscitato in molti allievi della Scuola dalla presentazione e

attivazione del nuovo corso di laurea magistrale in “Industrial B i o e n g i n e e r i n g ” , a p e r t o principalmente a studenti in possesso di titoli di laurea triennale in Ingegneria Biomedica, Ingegneria Chimica e Ingegneria dei Materiali, ma non solo. Il 9 giugno 2016, nella sede di Ingegneria di Via Nuova Agnano a Napoli, il prof. Paolo Antonio Netti ha ufficialmente presentato il nuovo C.d.L, dando quindi forma definitiva a un progetto che nasce da un accordo tra MIUR (Ministero dell ’ Istruzione, dell’Università e della Ricerca) e Università Federico II. Come sottolineato anche dal Presidente della Scuola Politecnica e delle Scienze di Base, il prof. Piero Salatino, presente all’incontro di giovedì 9 giugno, il tutto nasce con l’idea di una “sfida forte” per promuovere due anni di percorso che siano innovativi, per sviluppo e orientazione lavorativa.

Una delle motivazioni che ha portato alla nascita di un simile progetto, è sicuramente quella di voler invertire il flusso migratorio di giovani che dal Sud Italia si spostano al Nord Italia o anche all’estero, in seguito alla laurea triennale di I livello, come affermato dal prof. Netti. Troppo spesso, infatti, lo studente si ritrova a scegliere un Ateneo differente da quello di provenienza, o per un’offerta formativa migliore e più ampia o per la possibilità/speranza di affacciarsi più velocemente al mondo lavorativo, una volta terminato il percorso magistrale. D’altro canto, l’occasione che il c o r s o p r o p o s t o s i a tenuto interamente in lingua inglese, non solo apre le porte a l l ’ i n t e r n a z i o n a l i z z a z i o n e dell’Ateneo, che potrà quindi accogliere studenti interessati provenienti dall’estero, ma crea anche un progetto didattico unico nel suo genere.

di

Redazione Ingegne-

r iaBiom edica.org

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In alto la locandina della presentazione del nuovo C.d.L.; al centro, da sinistra, il prof Netti, il prof. Salatino e il prof. Maffetto-

ne; in basso, da sinistra, il prof. Netti, il prof. Russo e il prof. Maffettone.

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Ci si chiederà, ovviamente, cosa propone questo nuovo corso di laurea ma, soprattutto, quale sarà la figura professionale di un giovane neo laureato in “Industrial B i o e n g i n e e r i n g ” . Entrambe le curiosità possono essere soddisfatte comprendendo innanzitutto che un bioingegnere industriale è una figura che riesce a concordare nel proprio lavoro la p r a t i c a p r e t t a m e n t e ingegneristica e tutti i suoi strumenti, con la conoscenza del corpo umano inteso come “macchina” che, in quanto tale, può rompersi e deve essere riparata. A sostenere la necessità di aprire un dialogo operativo fra medicina e ingegneria, realizzabile solo con la formazione di una figura professionale capace di migliorare la qualità della vita dell’uomo con strumenti di eccellenza, sono stati il prof. Tommaso Russo, direttore del DMMBM (Dipartimento di M e d i c i na M o le c ol a r e e Biotecnologie Mediche), e il prof.

Pier Luca Maffettone, direttore del DICMaPI (Dipartimento di Ingegneria Chimica, dei Materiali e della Produzione Industriale), che lavorano al progetto di “Industrial Bioengineering” insieme ad altri specialisti del settore altrettanto noti. Gli sbocchi o c c u p a z i o n a l i s o n o numerosi come lo sono le applicazioni pratiche di un bi o in ge g ner e i nd u st r ia le . Una delle frontiere che maggiormente interessa il settore negli ultimi anni, è la prospettiva del miglioramento della cura del paziente: un esempio è quello di progettare dispositivi in grado di monitorare patologie sintomatiche in modo da prevederne sviluppi o eventuali momenti di criticità, evitando al malato di recarsi in ospedale, cercando quindi di migliorare anche il problema, tragico soprattutto nel meridione, di sovraffollamento delle strutture sanitarie. Si parla della possibilità di approcciare alla medicina usando i metodi e gli strumenti

dell’Ingegneria, per realizzare materiali e dispositivi che siano non solo funzionali da un punto di vista meccanico-strutturale, ma effettivamente concepiti a misura d’uomo. È di sicuro un progetto competitivo: un corso di laurea realizzato interamente in lingua inglese, con possibilità di estendere un puro sapere teorico a un’attività pratica laboratoriale di p r o g e t t a z i o n e e d i sperimentazione, atta a rivalutare e promuovere nuovamente l’offerta formativa per lo specifico campo di interesse, che offre anche a Napoli la possibilità di aprirsi ad un panorama concorrenziale in ambito internazionale. Altre informazioni di carattere pratico ed informativo saranno disponibili a breve nel sito web u f f i c i a l e d e d i c a t o a l n a s c e n t e c o r s o d i laurea: bioengineering.unina.it. A seguire, la video-intervista in forma integrale rilasciata dal prof. Netti ai collaboratori di

IngegneriaBiomedica.org : in questo intervento sono svelate tutte le curiosità in merito al percorso formativo, ai requisiti e alle modalità di accesso, per fornire a tutti gli interessati una panoramica completa ed esaustiva

sul nuovo corso di laurea in Industrial Bioengineering. Un “in bocca al lupo” va senz’altro agli studenti che avranno la possibilità e il merito per accedere a questo nuovo corso, ma in particolar modo ai docenti che ne

costituiscono il corpo e il cuore pulsante. La squadra è pronta, il territorio è senz’altro fertile di idee e voglia di cambiamento, e allora non resta altro che attendere settembre per il “via” definitivo.

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Il suo primissimo approccio con la nostra Community CAD fu con Blender: ci stupì letteralmente con delle modella-zioni 3D molto complesse e le relative renderizzazioni estremamente realistiche di suoi lavori svolti in ambito pro-fessionale. Matteo poi ha scoperto SketchUp ed è stato amore a prima vista tanto da spingerlo a creare un suo canale YouTube interamente dedicato al noto modellatore 3D. La Redazione di CADZINE ha scelto di appoggiare questa iniziativa ospitando in queste pagine, a partire proprio da questo numero, il ciclo di tutorial creati dal simpa-

tico geometra toscano

Matteo Massetti

M atteo benvenuto su CADZINE! Presentati sinteticamente ai

nostri amici lettori.... Ciao a tutti, mi chiamo Matteo e sono un geometra che lavora nella provincia di Grosseto e che negli anni ha sviluppato interesse nella grafica 3D.

Cosa significa per Matteo disegnare, al di là dell'attività professionale intendo... Quando hai scoperto di avere un talento da spendere nella creatività?

Non credo che il mio sia un talento vero e proprio, la mia idea di talento è un’altra, credo solo che il risultato si raggiunga grazie all’impegno e alla passione e

perché no, ad un ritorno economico. Tornando alla domanda, per me disegnare è strettamente legato all’attività professionale, questa passione è nata cosi, risulta difficile per me slegarla dal lavoro, quindi per me la grafica 3D è la possibilità di fornire al cliente una visione d’insieme e maggiormente comprensibile rispetto alle planimetrie e ai prospetti in due dimensioni.

Parliamo di scuola. Come è stata la tua esperienza scolastica? Il tuo percorso di studio è stato poi realmente utile a livello lavorativo?

La mia esperienza scolastica è stata positiva, ricordo con piacere i periodi della scuola, forse perché ero anche più giovane. E’ stato utile ai fini lavorativi? No, diciamo che mi ha solo indirizzato alla professione, in

quanto ho scelto l’istituto tecnico per Geometri, ma ai fini pratici di “come si lavora” non mi ha insegnato granché.

Quando hai cominciato a smanettare col tuo primo PC e col CAD? Ci racconti qualche aneddoto divertente?

Ho iniziato a smanettare col PC abbastanza tardi, intorno ai 19 anni, subito dopo la scuola. Mi ricordo che appena diplomato ho iniziato il mio tirocinio da geometra; presa confidenza con il CAD ho avvertito la necessità di avere il PC anche a casa. Da li è cominciata anche la mia passione per l’informatica. Aneddoti divertenti non me ne vengono in mente…. sono passati tanti anni :)

Come è stato il tuo impatto col mondo del lavoro dopo il periodo scolastico?

Tolta qualche esperienza di

di Salvio Gigl io

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lavoro in campagna (durata poco perché si fatica), ho iniziato a prendere confidenza con il lavoro a 19 anni quando ho cominciato il mio tirocinio da geometra che mi ha portato fino ad oggi ad essere libero professionista. Ormai sono più di 10 anni che sono iscritto all’albo. L’impatto è stato buono, anche perché era il lavoro che volevo fare. I primi anni sono sempre i più belli. Ti senti come una spugna che assorbe tutta l’acqua (e nel mio caso informazioni) che ha intorno.

Ricordo che tu eri il più "geomatico" tra i primi iscritti della Community ARS, perchè riproducevi nei tuoi modelli anche l'orografia di interi pezzi di territorio... Hai imparato sul lavoro o sei un autodidatta?

Il mio territorio è molto collinare, quindi spesso i miei modelli hanno bisogno di riprodurre anche l’orografia del terreno intorno. Ho imparato tutto da autodidatta, mai un corso, certo ho acquistato qualche libro o videocorso. Oggi imparare da soli è più semplice grazie a internet, basta “solo” avere buona volontà.

Parlando sempre di GIS, quanto incide oggi in termini professionali conoscere le tecniche di acquisizione e manipolazione cartografica?

Il GIS è uno strumento molto importante e comodo per i grafici ma ancor di più per i geometri. Usato correttamente permette di avere sovrapposizioni cartografiche molto utili nella professione, specialmente in quella di topografo.

Come ti appare il mondo dell'edilizia in Italia in questo momento? Cosa si dovrebbe fare per rimettere seriamente in marcia questa fondamentale portante economica del nostro Paese?

Il mondo dell’edilizia al giorno

d’oggi? Un’altra domanda?... Scherzi a parte, non vedo e soprattutto non prevedo un rilancio immediato dell’edilizia. Purtroppo gli italiani non hanno più soldi da parte e le banche difficilmente li prestano, quindi gli appartamenti per chi li costruiamo? Ai posteri l’ardua sentenza. Oggi l’edilizia va avanti con piccoli lavoretti e ristrutturazioni e noi tecnici in questo momento cerchiamo di rimanere a galla.

Cosa ami e curi di più nella tua attività professionale?

Della mia attività professionale amo la flessibilità e questo è molto utile per vivere a pieno la mia famiglia. La cosa che cerco di curare sono soprattutto i dettagli dei miei modelli.

Da Blender a SketchUp: cosa ti ha spinto a fare questa scelta?

In una parola? La semplicità! Blender è uno strumento fantastico e completo, ci puoi veramente fare tutto quello che hai in testa (graficamente parlando), ha un motore di Render veloce e preciso; secondo me è paragonabile a 3d Studio Max e, cosa da non trascurare, visti i costi di gestione dell’ufficio, è gratuito! Tuttavia per fare cose semplici in maniera veloce è alquanto macchinoso, e per l’appunto, oggi la maggior parte dei lavori riguarda cose semplici e da fare in tempi stretti. Quindi perché SketchUp? Come ho già detto la semplicità e il gran numero di plugin utili, soprattutto per l’architettura (1001 bit tools, profile builder, artisan, thea render, solo per citarne alcuni).

Quali sono i tuoi software CAD 2 e 3D preferiti? Facci una classifica ragionata degli strumenti grafici che usi per il tuo lavoro

Non è facile fare una classifica, anche perché non sono molti i

software che uso. Come avrete capito per la modellazione utilizzo Sketchup e, subito a ruota, Blender. Poiché SketchUp non ha un motore di render interno, per la produzione dei render mi sono affidato a Thea Render. Per la modifica delle immagini utilizzo Gimp e Pixelmator (solo per mac), e Imovie per il montaggio dei video. Per il 2D mi affido a Draftsight.

Qual'è stato il primo software che hai imparato ad usare?

Naturalmente AutoCAD sia per il 2D che il 3D.

Cambiamo argomento: cosa ne pensi dell'Unione Europea? Dopo ciò che è accaduto in Inghilterra con la Brexit si può ancora parlare seriamente di Europa Unita?

Non sono un grande esperto dell’argomento, io credo che l’Inghilterra non è mai stata “europea”. Non capendo nulla di economia non so quali benefici abbia portato l’Unione Europea all’Italia, so solo che il nostro potere di acquisto è calato di molto.

Se dovessi consigliare un ragazzino che ha scelto di fare per passione il tuo stesso percorso di studi cosa gli diresti?

Cosa gli consiglierei? Di intraprenderlo con passione e professionalità, perché senza questi elementi gli stimoli passano presto e il lavoro finisce col diventare obbligo.

A quasi 4 anni dalla fondazione della nostra Community, a cui hai partecipato attivamente anche tu, come è cambiato G+ in questo periodo? Ti piace ancora come Social o lo vedi anche tu in declino?

Nessun declino, è ancora il mio Social di riferimento e spero continui su questa strada. Poi odio Facebook :)

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Banda ... Orchestra di Fiati c’è differenza? Quel che conta è la qualità dell’esecuzione

I n effetti, se consideriamo l’organico strumentale, non esiste una reale differenza tra quello bandistico e quello

dell'orchestra di fiati, perché sia nella banda che nell'orchestra di fiati gli strumenti suonano raddoppiati (nella musica da camera suona un solo strumento) e per classi. A tal proposito, il Maestro Fulvio Creux, direttore della Banda Nazionale dell'Esercito, sostiene che: « ...il termine "banda" (in musica,

ovviamente) ha un significato

puramente riferito all'organico

strumentale formato da fiati e

percussioni. Un tale tipo di

organico è capace di produrre

risultati per nulla inferiori, benché

diversi, da quelli conseguibili con

altri organici strumentali e nessuno

può affermare che un musicista

operante nella banda sia per questo

motivo di serie "B"». La definizione Orchestra di fiati è pertanto l’espediente con il quale il concetto di banda viene inteso in senso puramente artistico in quanto il nome evoca un campo espressivo diverso. Se guardiamo alle specifiche composizioni, notiamo che nessuna partitura reca l’indicazione “per orchestra di fiati”, quanto piuttosto “per Banda”; tra i tanti esempi è sufficiente citare la Sinfonia in si bemolle maggiore di Hindemith, scritta per per "concert band", o le Suites Op. 28 di Holst "for military band". Stabilito che ambedue i termini suddetti indicano un complesso orchestrale formato da strumenti a fiato e a percussione, è significativo come quest’organico strumentale viene definito in altri Paesi; in Francia e nell’area geografica francese prende il

nome di Orchestre militaire, Orchestre d’harmonie; nei paesi di lingua tedesca abbiamo la Blaser orchestra o Harmoniemusik, mentre in area anglo-americana il concetto di Band è suddiviso nelle tre tipologie: Marching Band, Concert Band, Symphonic Band. Intorno alla metà del XVI secolo la musica strumentale si va emancipando da quella vocale e gli strumenti a fiato iniziano ad essere destinati prevalentemente alle esecuzioni all'aperto; il gruppo formato da ciaramella, bombarda e trombone diventa il tipico accompagnamento delle danze. A un corposo utilizzo degli strumenti a fiato ricorrono grandi compositori di musica classica, scrivendo in forma antifonale (Andrea e Giovanni Gabrieli), oppure in forma di marcia (Byrd, Lully), ed anche in forme fantasmagoriche, come Händel nella sua “Musica per i reali

di Nicola A malf itano

Il termine banda, con il quale si identifica l’ensemble musicale formato da strumenti a fiato e a percussione, assume spesso nel linguaggio comune una connotazione popolare di scarsa considerazione; per allontanarsi da

tale assunto, si ricorre, quindi, al termine orchestra di fiati ugualmente composta da fiati e percussioni.

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fuochi di artificio”. Beethoven scrive brani per Banda militare e per Banda da parata; innumerevoli sono le marce e gl’inni patriottici creati durante la Rivoluzione francese, basti pensare alla celebre Marsigliese. L’evoluzione tecnica degli strumenti a fiato del primo Ottocento consente la formazione di importanti gruppi bandistici, prima fra tutti la Banda della Guardia Nazionale Francese.

Moltissimi compositori di questo periodo scrivono per complessi di fiati; in Italia ricordiamo tra gli altri: Mayr, Rossini, Donizetti, Mercadante, Ponchielli (direttore di banda) e Respighi. Nella banda, l’assenza degli archi è compensata dall'impiego di strumenti a fiato dei diversi gruppi, legni e ottoni; gli organici sono molto eterogenei, variano a seconda delle zone geografiche e delle tradizioni locali. Un

elemento di distinzione è il contenuto musicale del repertorio: semplice e a carattere di marcia quello per banda; articolato e complesso, quello per gruppo di fiati. Le composizioni per banda normalmente prevedono più di quindici componenti; otto strumentisti sono il numero massimo richiesto dai brani cameristici, per i gruppi di fiati gli esecutori variano tra otto e

Foto storiche di bande musicali - in alto, Banda” Musicale della Legione Allievi di Roma, fotografie di P. Sbisà, Roma – Firen-ze, edita dalla Casa Editrice R. Rinaldi, Roma, numerata come 199; al centro, Cartolina fotografica della Banda Musicale dell’Arma al concerto dei Gendarni Pontifici in Vaticano 24\12\1931; Banda musicale di Campobello di Licata (AG), diretta da Calogero Ciotta-Lopez , in una foto del 1928

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ApprofondimentiApprofondimenti Gustav Holst: Seconda Suite per Banda Militare in fa magg. Op.28/2

NHK Symphony Orchestra Wind Section, dir. Shigeo Genda

https://www.youtube.com/watch?v=ovqFe9KhMj8

Amilcare Ponchielli: "Sinfonia per Banda"

Orchestra di Fiati Città di Soncino (Palau de la Música, Valencia) https://www.youtube.com/watch?v=vuN5IqIJRC4

Fulvio Creux: 4 MAGGIO Marcia da Parata

(Marcia d'Ordinanza dell'Esercito Italiano)

Banda dell'Esercito Italiano, dir. Fulvio Creux

Prima Esecuzione Assoluta 29 aprile 2004

Roma, Sala "S. Cecilia" del Parco della Musica

(alla presenza del Presidente C. A. Ciampi)

https://www.youtube.com/watch?v=GlDTFBHA6_Q

quindici. La riforma voluta dal maestro Alessandro Vessella, introdotta in Italia nel 1901 ed accolta anche all’estero, prevede una partitura suddivisa per gruppi di strumenti: ance, ottoni chiari, ottoni scuri e percussioni; gli organici vengono distinti in piccola banda (35 elementi), media banda (54 elementi) e grande banda (102 elementi). La loro caratteristica principale è l’uso del maggior numero di strumenti possibili per ogni famiglia, dal più acuto al più grave, in modo da ottenere quelle sfumature timbriche prima non consentite dai preesistenti organici.

In genere si indica come Banda da parata quella formata esclusivamente da strumenti aerofoni e a percussione che consentono l'esecuzione musicale durante la marcia; essendo impossibile la direzione frontale, la banda viene diretta dal mazziere (o tamburo maggiore nelle bande militari) che sfila insieme ai suonatori, precedendoli. La marching band si caratterizza per l‘esecuzione ad alto livello tecnico di uno spettacolo coreografico. La Banda da concerto (orchestra di fiati o banda sinfonica), invece, si esibisce su un palco e non sfila.

Del suo organico, infatti, fanno parte non solo strumenti a fiato più scomodi da suonare in movimento, come oboe, corno inglese, fagotto (strumenti ad ancia doppia) e le tube più grandi, ma anche strumenti non portatili quali l’arpa, il pianoforte e il contrabbasso. La sezione delle percussioni si arricchisce con la celesta, lo xilofono, il vibrafono, le campane tubolari, i timpani, la batteria. Con una strumentazione così ricca la banda da concerto può affrontare un’ampia gamma di composizioni, dalle marce tradizionali alle sinfonie d'opera, fino alle grandi opere appositamente scritte per tale organico. Se facciamo riferimento ad una particolare tipologia di strumenti utilizzati, possiamo distinguere due tipi di bande: le fanfare, formazioni

bandistiche da parata, composte esclusivamente da ottoni, che eseguono un repertorio di marce militari.

Le brassbands o bande di ottoni formate sia da ottoni che da percussioni.

Il repertorio eseguito dalle bande musicali spazia dalle marce da parata e marce sinfoniche fino ad arrivare a composizioni di

carattere sinfonico o comunque destinate ai concerti; possiamo suddividerlo in almeno quattro tipologie: Marce militari e da parata: sono

le principali composizioni originali per banda. Scritte di solito in tempo di 2/4, 2/2 o 6/8 e in tonalità maggiori, hanno carattere allegro e brillante. La struttura prevede un'introduzione, una serie di ritornelli e un trio finale con cambio di tonalità. Le marce militari, più austere e cadenzate, fanno uso massiccio di ottoni e percussioni.

Marce sinfoniche: si possono eseguire sfilando o da fermi; diffondono la musica "colta", soprattutto quella operistica, in una forma tipicamente popolare.

Marce funebri e religiose: hanno carattere maestoso e solenne, andamento moderato e tonalità minori.

Musica originale per banda: non consiste in arrangiamenti di altre opere ma nasce espressamente per l'orchestra di fiati. Le forme principali più adottate dai compositori italiani sono la sinfonia, specialmente in stile rossiniano, l'intermezzo sinfonico, la fantasia e il quadro sinfonico.

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Volano... ma non son tutti uguali!

D opo la necessaria carrellata storica sulle origini e le motivazioni che determinarono la

realizzazione dei primi velivoli telepilotati senza equipaggio, o UAV (Unmanned Aerial Vehicle), ci occuperemo adesso delle pr incipa li cara tter ist iche tecniche legate alla loro funzionalità, provando a parlare di disegno di costruzioni aeronautiche e di disegno meccanico applicati alla progettazione di un drone. Assistiamo, infatti, ad una sempre più crescente richiesta di modelli di UAV specializzati, ad esempio, nel trasporto di particolari oggetti, di peso e dimensioni contenute, per il settore sanitario (flaconi di sangue o organi per trapianti),

commerciale (acquisti on line) e ristorativo, senza dimenticare quelle applicazioni per il soccorso in zone estremamente pericolose o impervie e quelle per il rilievo fotogrammetrico, le riprese cinematografiche e televisive. I l volo unmanned, di conseguenza, risulta essere un sistema vantaggioso anche sotto il profilo economico: certe attività, un tempo molto rischiose, vengono adesso svolte in piena sicurezza, con mezzi molto più piccoli e senza equipaggio, e con un notevole incremento della quantità e della qualità dell’informazione di feedback percepita dal fruitore. Riassumendo, quindi, i droni ci permettono di: operare in ambienti proibitivi

e/o molto pericolosi (ad alta quota, con avverse condizioni meteorologiche, in teatri bellici, in zone con rischio biologico, chimico, nucleare,

ecc.); svolgere missioni tedianti e di

lunga durata (voli di ricognizione);

acquisire, in situazioni di emergenza, informazioni in tempo reale direttamente sul campo laddove si effettuano attività di ricerca e di soccorso, specialmente in ambienti complessi e limitanti per il volo come, ad esempio, quelli montani, urbani, ecc.

Dopo gli esordi prevalentemente professionali dei droni, oggi si assiste ad un loro impiego anche per scopi squisitamente amatoriali e i loro proprietari sembrano dimenticare che questi simpatici robottini volanti comportano comunque dei rischi, come testimonia quanto è accaduto la sera dello scorso 4 luglio a Venezia1: un turista, che voleva effettuare delle riprese aeree di Piazza San Marco, ha fatto librare in aria un drone del

VI puntata

di Salvio Gigl io

Per noi profani i velivoli son quasi tutti uguali: una fusoliera, uno o più propulsori, ali o eliche e pronti al decollo! Le cose, come avrete modo di leggere non stanno proprio così. Conviene iniziare dalla classificazione generale dei velivoli e poi, nel corso di questo ciclo di puntate, definire man mano i componenti costitutivi di un drone UAV per rilievi fotogrammetrici o per brevi riprese aeree. Lo scopo è quello di prendere confidenza con questi nuovi e

sofisticatissimi “occhi volanti” e usarli nel modo più discreto possibile evitando pericolose improvvisazioni...

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MongolfieraMongolfiera

DirigibileDirigibile

IdrovolanteIdrovolante

AlianteAliante

HovercraftHovercraft

ElicotteroElicottero

Jet di lineaJet di linea

VTOLVTOL ConvertiplanoConvertiplano

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peso di due chili dalla Punta della Dogana, dall'altro lato del Bacino di San Marco, perdendone poi il controllo dopo appena pochi minuti dal decollo. Il mini velivolo, con ogni probabilità, deve essere entrato in una zona della piazza che ha schermato i radiosegnali necessari al suo controllo e si è andato a schiantare vicino ad una pattuglia della polizia municipale, fortunatamente senza recare alcun danno a persone o cose. Il proprietario se l’è cavata con una severa e sacrosanta ramanzina ed una bella multa per aver violato il divieto di sorvolo con droni della città lagunare. Vi renderete conto da soli che questa vicenda avrebbe potuto avere risvolti ben più drammatici; ecco perché la conduzione di questi mezzi deve essere affidata esclusivamente a chi possiede un regolare brevetto di volo.

Classificazione generale degli aeromobili La legislazione italiana in tema di diritto della navigazione e dei trasporti nel Codice della navigazione2 all’Art. 7433 fornisce la seguente Nozione di aeromobile: «Per aeromobile si intende ogni

macchina destinata al trasporto per

aria di persone o cose. Sono altresì

considerati aeromobili i mezzi aerei a

pilotaggio remoto, definiti come tali

dalle leggi speciali, dai regolamenti

dell'ENAC e, per quelli militari, dai

decreti del Ministero della difesa. Le

distinzioni degli aeromobili, secondo

le loro caratteristiche tecniche e

secondo il loro impiego, sono

stabilite dall'ENAC con propri

regolamenti e, comunque, dalla

normativa speciale in materia. Agli

apparecchi costruiti per il volo da

diporto o sportivo, compresi nei

limiti indicati nell'allegato annesso

alla legge 25 marzo 1985, n. 106,

non si applicano le disposizioni del

libro primo della parte seconda del

presente codice.». Questa definizione di carattere

generale, che include anche i «mezzi aerei a pilotaggio remoto», ci permette di introdurre una prima distinzione basata sul sistema di sostentazione dell’aerodina: A sostentazione statica o

aerostato - Mezzo aereo la cui forza sostentatrice è costituita da un gas più leggero rispetto all’aria che lo circonda e che tende a farlo ascendere nell’atmosfera in virtù del principio di Archimede. I dispositivi sostentatori degli aerostati sono rappresentati da involucri speciali che possono immagazzinare tanto l’idrogeno gassoso quanto l’elio che dell’aria surriscaldata. Questa classe è ulteriormente suddivisibile in due sottoclassi: palloni aerostatici (liberi o

frenati) che sono privi di strumenti di manovra e orientamento. A questa classe appartiene anche la mongolfiera che utilizza l’aria calda per effettuare le ascese ed è in grado di trasportare, tramite una sorta di cesto, i suoi passeggeri.

dirigibili, sono muniti di motori e apparati direzionali che ne consentono il pilotaggio.

A sostentazione dinamica, aerodine o aeromobili – Mezzo aereo in cui la forza sostentatrice si esplica come un’applicazione del principio di proporzionalità descritto da Newton nel 1687. Proprio in virtù delle differenti modalità di applicazione del secondo principio della dinamica4, è possibile suddividere questa classe in altre tre sottoclassi, secondo le quali avremo aerodine:

a sostentazione aerodinamica - Aeromobili caratterizzati dal complesso della velatura che rappresenta l’insieme di organi di sostentazione come i piani e/

o le superfici alari. Il decollo e la permanenza in volo di questi velivoli è prodotta dall’effetto del moto relativo della massa d’aria rispetto alla velatura del mezzo che, accelerandola verso il basso, origina la portanza. A seconda del tipo di velatura (fissa o mobile), queste aerodine si suddividono ulteriormente in: velivoli con superfici alari

fisse e presenza di un propulsore;

alianti, cervi volanti con superfici alari fisse e assenza del propulsore;

elicotteri, autogiri ad ali ruotanti;

ornitotteri ad ali battenti. a sostentazione per reazione

diretta, gli organi sostentatori di queste aerodine sono costituiti da gruppi propulsori chiamati motori a getto che hanno il compito di accelerare i l f l u i d o p r o p u l s o r e determinando così il volo del mezzo (ad esempio, un ugello collegato ad un motore a razzo). Attraverso poi una o più alette orientabili o, come in alcune appl icazioni, angolando opportunamente l ’ intero propulsore, il getto può essere indirizzato in una specifica direzione o deviato verso il basso. Rientrano in questa classe: missili; piattaforme volanti (come il

LEM); piattaforme a cuscino d'aria

(hovercraft) a sostentazione mista, si tratta

di aerodine che integrano ambo le tecnologie di sostentazione precedentemente descritte. Le principali categorie di aeromobili afferenti a questa sottoclasse sono gli STOL (Short Take Off Landing), i VTOL (Vertical Take Off Landing) e i convertiplani. Più in particolare, queste due

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ultime tipologie sono dotate di particolari sistemi propulsivi suscitanti forza portante anche se la velocità traslatoria del velivolo è nulla.

Per il momento ci fermiamo a questa prima catalogazione. Nella prossima puntata approfondiremo ulteriormente questi argomenti e getteremo le basi per affrontare in

termini pratici le linee guida per la progettazione di massima di un drone. Continua…

Note 1. Tratto da ANSA: http://www.ansa.it/veneto/notizie/2016/07/05/venezia-drone-cade-in-piazza-san-

marco_e92ef852-87b7-4756-b87f-436052c196a3.html 2. (Approvato con R.D. 30 marzo 1942, n. 327) Parte aggiornata al decreto legislativo 15 marzo 2006, n.151.

3. Parte seconda, “Della navigazione aerea”, Libro primo “Dell'ordinamento amministrativo della navigazione”, Ti-tolo V “DEL REGIME AMMINISTRATIVO DEGLI AEROMOBILI”, Capo I “Delle distinzioni degli aeromobili”.

4. F = m x a

Tab. 1 - Classificazione dei velivoli

ll convertiplano permette decolli verticali come gli elicotteri e vola, dopo la rotazione di 90° dei motori, come un aereo convenzionale. Nella foto un Bell-Boeing V-22 Osprey.

Decollare in pochissimo spazio ha spinto la ricerca a realizza-re i VTOL. Nella foto un caccia inglese Hawker Siddeley Har-rier che è stato il capostipite di questa categoria di velivoli.

L’autogiro ELA-Eclipse 10 e un'aerodina ad ala rotante. Il motore posteriore genera una spinta in avanti come in un aeroplano convenzionale. Il rotore principale si aziona grazie al flusso d'aria generato dal moto realizzando così la sosten-tazione necessaria al volo.

MicroBat - L'obiettivo principale di questo progetto era quel-lo di sviluppare il primo Micro Aerial Vehicle (MAV) orni-tottero a batteria radiocomandato delle dimensioni di un colibrì e del peso di appena 12 grammi. Attualmente con esso si studia il volo naturale ad ala battente.

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Ti interessa uno di questi tutorial?Ti interessa uno di questi tutorial?

Stai seguendo CADZINE e ti sei appassionato ad uno o più corsi che stiamo pubblicando o ti è piaciuto in particolare un articolo? Se non vuoi fare il download di tutta la rivista, ti ricordiamo che puoi anche solo stampare, o salvare su file, le sole pagine del corso che

ti interessa direttamente da , attraverso il link

della versione completa, o di quella LIGHT. Basta che ti porti sulla pagina iniziale e dal monitor di stampa di Drive selezioni l’interval-lo di pagine che vuoi salvare/stampare (da pagina X a pagina Y).

Dal nostro sito, inoltre, puoi sempre recuperare i numeri che non

hai ancora scaricato! Buona lettura

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Raccomandazioni finali Siamo giunti così alla fine di questo lungo percorso sulle best practices che ogni team BIM dovrebbe adottare per ottenere i migliori risultati progettuali, cioè quelli capaci di soddisfare pienamente le richieste della committenza (offrendo qualità elevata senza sforature sul budget), le aspettative dei singoli progettisti costituitisi

in team e quelle delle imprese appaltatrici.

O vviamente questa collezione di articoli è solo di un insieme di linee guida tratte da

una serie di testi universitari in lingua inglese che descrivono s c e n a r i p r o f e s s i o n a l i sfortunatamente ancora troppo lontani dalla realtà progettuale italiana in campo edile, specie per quel che riguarda i lavori pubblici. Il nostro Paese è affetto da morbi difficili da estirpare come quello d e l l a c o r r u z i o n e , d e l p r e s s a p o c h i s m o , d e l m e n e f r e g h i s m o , t u t t i riconducibili allo scellerato e micidiale mix fatto di ignoranza, interessi politici e interessi mafiosi. Potrei riempire almeno una decina di pagine con i dati della mala-edilizia pubblica e

privata ma a cosa servirebbe? La speranza è quella che le nuove generazioni siano veramente nauseate da quanto è stato fatto al nostro Paese dal dopoguerra ad oggi e cerchino di cambiare le cose in modo radicale ed irreversibile; allora ci sarà realmente posto per questa nuova filosofia progettuale basata sulla trasparenza gestionale e sull’ecosostenibilità che mette al centro di ogni lavoro il delicato equilibrio tra uomo e ambiente antropizzato e non solo i portafogli di certi squali. Al di là di questo mio sfogo, che spero vorrete perdonare, ecco le ultime raccomandazioni da ricordare nella preparazione della pianificazione esecutiva BIM prima di dare il via alla progettazione vera e propria.

1. Ogni team avrebbe bisogno di almeno un guru BIM! Vi sarete resi conto che un progetto

sviluppato attraverso un processo BIM è un qualcosa di molto complesso, capace di coinvolgere moltissime persone provenienti da diversi ambiti professionali. In una situazione del genere ci vuole qualcuno che abbia già maturato una certa esperienza nella BIM e che viva con genuina passione tecnologica verace tutta la fase di pianificazione progettuale. La sua passione per la tecnologia lo porterà a sviscerare tutti, ma proprio tutti, i tools offerti dalla piattaforma BIM per poi implementarli nel modo più consono su ciascun impiego BIM individua to dur a nte la p i a n i f i c a z i o n e . V i v e n d o quotidianamente il processo BIM, al momento opportuno egli avrà quella soluzione a cui non era arrivato ancora nessuno e le parole giuste per motivare l’intero team in un eventuale momento di difficoltà. La sua provenienza? Negli USA queste figure sono

XV puntata

di Salvio Gigl io

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proposte direttamente dalla committenza o dall’appaltatore principale come persone di fiducia; da noi, ove la BIM è ancora un’utopia, specie negli appalti pubblici (chissà perché), il guru BIM potrebbe essere un giovane professionista con esperienza pregressa fatta all’estero. 2. Una seconda riflessione riguarda il coinvolgimento della committenza lungo l’intero a r co d el p r oce s s o d i pianificazione. A rischio di diventare invadenti e rasentare la scostumatezza è necessario chiamare costantemente in causa il committente, proprio per non lasciare al caso nessun aspetto della progettazione e raggiungere gli obiettivi finali tanto desiderati. Per ottenere questo è necessario fornire i mandatari delle linee guida per interagire con il team di progetto anche attraverso la BIM e per verificare periodicamente lo stato di avanzamento dei lavori. Inoltre il coinvolgimento del cliente può fungere anche da sprone per l’intero team nella ricerca dei processi esecutivi migliori, e questo gioverà sicuramente all’intero progetto! 3. Un pensiero va dedicato anche al clima che si dovrà respirare all’interno del team: il lavoro dovrà essere improntato all’insegna della fiducia e dell’ottimismo, si dovrà insomma adottare una mentalità Open basata sulla piena collaborazione e condivisione di conoscenze e risorse. In altre parole, a professionisti ed imprese viene chiesto di fornire con estrema chiarezza, attraverso la procedura di pianificazione BIM, notizie molto dettagliate circa le modalità esecutive con cui verranno svolti i vari task assegnati, ciò al fine di realizzare u n c o m p l e t o s c a m b i o d’informazioni, vitale per tutta l’infrastruttura BIM. È più che naturale che quest’ultimo aspetto

scoraggi non poco coloro che non hanno mai lavorato in questo modo o che, peggio ancora, hanno intenzioni poco lecite circa l’esecuzione della propria porzione di lavoro. Non demoralizzatevi pertanto se in un processo progettuale così ampio e macchinoso alcuni partecipanti al progetto vi creeranno dei problemi di collaborazione, concentratevi piuttosto su come aggirare l’ostacolo ed evitare il rallentamento di tutta la filiera produttiva. Ricordate sempre che l'obiettivo principale della procedura di pianificazione BIM deve mirare costantemente allo sviluppo di un processo costruttivo capace di offrire vantaggi lavorativi concreti e risultati finali ottimali per tutte le parti interessate. 4. Tra le tante agevolazioni operative offerte dalla procedura di esecuzione BIM troviamo anche la sua riciclabilità e scalabilità alle diverse tipologie contrattuali stabilite con la committenza, inoltre può adattarsi a molteplici usi e situazioni diverse rispetto al campo di applicazione originale del progetto. Un team può trarre dalla procedura solo i piani particolareggiati di cui necessita s e n z a c o m p l e t a r e necessariamente l'intero processo. Altro vantaggio è quello di rivedere i modelli di documento per adattare processi specifici senza modificare ogni passaggio fondamentale del procedimento di pianificazione. Si ha quindi la possibilità di aggiungere eventualmente altre parti del procedimento che aiuteranno ulteriormente la pianificazione. Ciò significa che potremmo quasi sempre avvalerci della struttura per la raccolta di dati ed informazioni preliminari al processo di pianificazione, prevedendo però sempre l’eventuale aggregazione di nuovi

membri al team durante l’esecuzione del progetto. Aver quindi approntato a tempo debito dei template standardizzati per gli impieghi BIM più frequenti, già pronti per essere completati ed inseriti nel contesto dello scambio informazioni globale, significa pensare e lavorare con la logica del team. Badate bene: non si tratta di buonismo fine a se stesso, ma di una vera e propria strategia che mira a ridurre tempi morti e le conseguenti tensioni tra i vari membri del team. 5. Non dimenticate mai che c'è un valore enorme nella pianificazione iniziale: gestire le cose con calma, a “bocce ferme”, risolvendo determinati aspetti prima dell’apertura del cantiere, significa risparmiare tempo e soldi e fare una bella figura con la committenza. A quest’ultima va ricordato sempre, anche quando le cose vanno benissimo, che l’imprevisto è sempre in agguato e che è poco realistico supporre che l’equipe di progettisti abbia tutte le informazioni e le soluzioni necessarie per evitare qualunque tipo di problema possa sorgere sul cantiere sin dal momento della stipula del contratto di prestazione. 6. Considerate il piano di BIM come un documento vivo! Quando parte l’esecuzione del progetto BIM, è importante far capire a tutti i membri del team (committenza in primis) che il piano BIM è un qualcosa di flessibile e suscettibile di aggiornamenti periodici. 7. Dopo lo sviluppo del piano iniziale questi deve essere rivisto regolarmente. Un programma di revisione della pianificazione deve essere impostato in base alla frequenza che il team di progetto ritiene più opportuna. Inoltre, per tutta la durata del progetto, è importante ricordare gli obiettivi iniziali della pianificazione BIM al fine di garantire che la squadra

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stia lavorando effettivamente al loro completamento. 8. Sarebbe opportuno per i nuovi team BIM esercitarsi con delle simulazioni di lavoro per un certo periodo di tempo prima di affrontare un incarico lavorativo vero e proprio. È alquanto errato lanciarsi nella BIM senza avere un minimo di preparazione su questo argomento anche se si opera nel campo delle costruzioni già da molti anni. Con la BIM l’approccio con la progettazione è completamente diverso rispetto a quello tradizionale: ci si trova dinanzi a concetti, procedure e terminologie del tutto nuove. Per questo non bisogna assolutamente sottovalutare lo sforzo richiesto

nella fase di apprendimento per coloro che si affacciano per la prima volta su questo nuovo tipo di progettazione. Nella stesura di una pianificazione preliminare per la BIM, ciò che condiziona pesantemente la curva di apprendimento dei vari membri del team, portando via un sacco di tempo, sono la pianificazione del lavoro e quella del budget di progetto. Se i vari membri di un team si sono esercitati sufficientemente su queste problematiche, non dovrebbero poi avere problemi di sorta nell’affrontare progettazioni reali. 9. Dalle esercitazioni su ipotetici scenari lavorativi, allo sviluppo di un piano di esecuzione BIM

organizzativo da tenere pronto nel cassetto, il passo è breve. Ciò serve a cementare ulteriormente il gruppo e a ridurre il tempo di pianificazione quando si affronta un nuovo progetto.

Concludendo, anche se la procedura di pianificazione BIM richiede tempo e soldi, essa aiuta il team a sviluppare piani dettagliati per i loro progetti. Questi piani che delineano obiettivi, processi, scambi di informazioni, e le infrastrutture per l'attuazione BIM consentono di avere un impatto significativo sul livello di attuazione della BIM.

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Esempi di applicazioni pratiche con SketchUp: la modellazione dei dettagli di un tetto spiovente

U n saluto a tutti gli amici di CADZINE! In accordo con la Redazione abbiamo

deciso di presentare anche su queste pagine i tutorials che pubblicherò sul mio canale YouTube caso mai vi fossero sfuggiti i post di condivisione sullo stream di G+. Il loro

contenuto deriva direttamente dalla mia attività professionale ed è un modo per semplificarvi la vita con la rappresentazione di determinati elementi di disegno edile come, ad esempio, le tegole di un tetto che, appunto, richiedono operazioni noiose e ripetitive. Vi dico subito che il nostro appuntamento sarà variabile, nel senso che sarà in funzione di quanto riesco a produrre mensilmente per il mio canale, subordinatamente ai miei impegni lavorativi e familiari;

quindi non me ne vogliate se non ci incontreremo puntualmente su queste pagine! In ogni caso potrete sempre contattarmi attraverso G+! Bene, detto questo, non mi dilungo ulteriormente e vi lascio alla visione dei miei primi tre tutorials tutti inerenti la modellazione di dettagli del tetto. Ci tengo a precisare che il primo di essi risale ad un anno fa ed è muto: si limita alla riproduzione della sequenza operativa per ottenere il manto di tegole. Buona visione!

di M atteo M asset ti

Manto di tegole SketchUp

Pubblicato il 25 nov 2014

Metodo veloce per creare tegole alla Toscana,

in maniera semplificata, su SketchUp.

Solo video, senza commento audio.

Link:

https://youtu.be/eQ14sjTt8c0

SketchUp - Tegole alla Toscana per tetti a

padiglione

Pubblicato il 22 lug. 2016

In questo tutorial illustro come creare un

manto di tegole alla toscana su tetti a padi-

glione, quindi con tagli a 45 gradi del manto di

tegole. Non vengono usati plug-in ma solo i

comandi base di SketchUp, in particolare il

comando "Seguimi" o "Follow Me".

https://youtu.be/SVwdP0phXB4

SketchUp - Modellazione Opere finitura tetto canali discendenti gronda

Pubblicato il 01 ago 2016

Salve a tutti, questo è il mio nuovo video a

completamento del precedente.

In questo tutorial mostro come modellare le

tegole di colmo, i canali e i discendenti cosi da

completare le opere di rifinitura di un tetto.

Per questo video ho utilizzato dei plug-in.

https://youtu.be/wzCYldegP70

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Inquadrature di un render in SketchUp per Google Earth e ritocchi finali in Photoshop

I l render ottenuto in Fig.1, abbastanza "spento", ha una risoluzione non proprio altissima ma sufficiente ad

avere un'immagine da utilizzare come base per la vista finale che vogliamo migliorare. Di solito, la prima cosa che cerco di adeguare è lo sfondo. In SketchUp, ma anche in altri programmi di modellazione, difficilmente si possono controllare gli sfondi, come appunto il cielo o altro. Con Photoshop, ci basterà scontornare l'area in queste semplici mosse. Con il comando "gomma magica", come mostrato in Fig.2, togliamo tutto il blu scuro dello sfondo. Otteniamo cosi un'immagine "bucata" del cielo, riconoscibile

da una texture a scacchi di colore bianco e grigio. Ora possiamo importare in Photoshop un'immagine a nostra scelta di uno sfondo con nuvole, Fig.3; con il comando "sposta" clicchiamo sull'immagine del cielo e trasciniamola nel nostro render. Calibriamo e riproporzioniamo l'immagine dello sfondo avendo cura di posizionare il layer “cielo" sopra quello "immagine ponte", come si vede in Fig.4. Non rimane che provare a muovere o anche distorcere l'immagine dello sfondo per ottenere l'inquadratura migliore. Proviamo ora a dare risalto all'acqua, forse un pò troppo scura soprattutto nella cascata. Con il comando "bacchetta magica" evidenziamo le zone d'acqua che vogliamo modificare. Fig.5; con il comando "luminosità/contrasto" possiamo ora aumentare la luce

sulla zona da noi selezionata. Aiutiamoci con viste totali sul render...non lavoriamo sempre in dettaglio e da vicino. Nella Fig.6, ho importato una texture png di spruzzi d'acqua, per intensificarne ed aumentarne ancor di più la vivacità. La cura del particolare è molto importante se vogliamo ottenere un'immagine finale abbastanza suggestiva. In Fig.7 vi mostro un piccolo trucco per ottenere degli scintillii, dei riflessi di luce, senza esagerare e scegliendo punti strategici sull'acqua e sulle rocce. Osservando il risultato finora raggiunto, ci rendiamo conto che forse manca solo un pò di profondità e di movimento al nostro render, magari nel cielo, dove potremmo inserire un'aquila in volo, Fig.8. Importiamo, dunque, l'immagine in png e calibriamola come già fatto per il

III parte

di Anto ne llo B ucce lla

In questa puntata proveremo a lavorare su di un'altra inquadratura ottenuta dal modello 3D di ponte romano di cui stiamo trattando in questo ciclo di tutorial. Aggiungeremo anche un tocco di vita al nostro rendering facendo

volare anche un’aquila sopra al ponte...

Il modello geolocaliz-

zato è liberamente

scaricabile dalla gal-

leria immagini 3D di

SketchUp da questo

Link

Snapshot dal visualizzatore 3D della Galleria Immagini Trimble di Antonello Buccella del suo modello del ponte romano a Fer-mo (TO)

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Fig. 7 Fig. 8

Fig. 5 Fig. 6

Fig. 3 Fig. 4

Fig. 1 Fig. 2

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Fig. 10

Fig. 9

cielo e per le altre immagini. Perchè non provare, a questo punto, a dare un accenno di movimento al rapace? Un altro piccolo trucco: duplichiamo il layer "immagine aquila" e posizioniamo il doppione accanto alla prima immagine del rapace. Ora dal menù a tendina Filter -

Blur - Motion Blur, come si vede in Fig.9, calibriamo l'angolo e la distanza dell'effetto sfocatura proprio sulla seconda immagine copiata. Il risultato sarà abbastanza interessante, simile ad una foto scattata all'improvviso dove si è riusciti a catturare il movimento del volo dell'aquila. A

questo punto, Fig.10, resta solo da calibrare luminosità e contrasto nei vari elementi aggiunti. Salviamo l'immagine in jpg e in psd (il formato di Photoshop) che ci consentirà eventualmente di apportare in seguito altre modifiche aggiuntive. Continua...

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Impariamo ad utilizzare Umap

B en ritrovati col nostro nuovo appuntamento con Umap; in questa puntata impareremo ad

utilizzarlo partendo da ZERO! Esistono su YouTube diversi tutorial ma pochi sono disponibili in lingua italiana! Per creare una nuova mappa consiglio vivamente di seguire le interessanti lezioni curate da Pier Giorgio Roveda di cui allego le relative lezioni: Esercizio 1 lezione introduttiva

sull’uso di Umap; Esercizio 2 corso propedeutico

su come caricare un layer da remoto con Overpass-api e relativo HackPAD;

Esercizio 3 su come creare una mappa sulle vie d'acqua.

Creare mappe online Incominciamo con una doverosa premessa: Umap offre la possibilità a chiunque di poter realizzare una mappa on line senza necessariamente essere registrato. I dati vengono salvati e si possono consultare. Il problema è che se voglio apportare modifiche successivamente il programma non lo permette. Quindi la regola è che se voglio realizzare qualcosa di semplice va benissimo, ma se voglio implementare la mia mappa devo assolutamente registrarmi! Per accedere ad Umap bisogna collegarsi al seguente sito web: http://umap.openstreetmap.fr/it/ Fatto ciò iniziamo a creare la mappa cliccando sul tasto celeste

in alto a destra come rappresentato in Fig. 1. E’ altresì possibile incominciare l’esercitazione anche utilizzando il tasto celeste posto al centro dell’interfaccia web. Innanzitutto devo assegnare un nome alla mappa cliccando sul testo in alto a sinistra come rappresentato nella Fig. 2. Sul lato destro comparirà una tabella, Fig. 3, con le proprietà della mappa. Per esempio le assegniamo il nome “Squadre seria A di calcio” e nella d e s c r i z i o n e s o t t o s t a n t e precisiamo il suo contenuto così: “Mappa delle squadre di calcio partecipanti al campionato di serie A 2016-2017”. Chiudo la sopradescritta finestra e inizio a inserire sulla mappa i nomi delle squadre sulle rispettive città di appartenenza.

II puntata

di Paolo Bubic i

Fig. 1 - La pratica GUI di Umap user friendly e responsive anche per smartphone e tablet

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Secondo voi quale sarà la prima squadra che mapperemo in questa esercitazione per tutti i lettori di CADzine? Ma certo il Napoli, la squadra del cuore del nostro caporedattore! Ecco utilizzeremo il comando “aggiungi un marcatore” in alto a destra. Cosi ci posizioneremo sulla mappa nei pressi di Napoli e attraverso lo zoom ingrandiremo la mappa fino a raggiungere lo stadio San Paolo. Dopo avere posizionato il punto è opportuno salvare per non perdere accidentalmente i dati inseriti come riportato nella Fig. 4. Così posso inserire tutte le 20

squadre partecipanti al campionato di calcio di serie A. Prima di migliorare la mappa dobbiamo riprendere la doverosa p r e c i s a z i o n e d e s c r i t t a precedentemente. Ora la nostra mappa è salvata sul server di Umap al seguente indirizzo: http://umap.openstreetmap.fr/it/m a p / s q u a d r e - s e r i a - a - d i -calcio_94107 ma non ho la possibilità di aggiornare i dati in quanto la mappa è consultabile in sola lettura. Quindi quest’uso è consigliabile solo se devo fare una mappa al volo che non

nec e s s i ta a gg i or na m e nt i successivi. Per contro, se voglio eseguire integrazioni, la prima cosa da fare è registrarsi attraverso il proprio user name di OpenStreetMap in modo ad avere a disposizione un proprio archivio on line. E comunque possibile registrarsi anche con altri provider come Bitbucket, Github e Twitter. Nel prossimo numero descriverò come salvare i dati su Umap e migliorare la nostra mappa! Continua...

Fig. 2 Fig. 3

Fig. 4 Fig. 5

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