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Capitolo 1:”La Casa Passiva”______________________________________________________
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Capitolo 1 :“La Casa Passiva”
1.1 Definizione dello Standard Passivhaus
L’era dei combustibili fossili a basso costo, durata circa 100 anni, sta mostrando
una serie di segnali di crisi. In questo lasso di tempo la notevole disponibilità di
energia per alimentare impianti attivi di climatizzazione, invernale ed estiva, ha
sminuito il ruolo che l’involucro edilizio ha tradizionalmente rivestito nel
raggiungimento degli obiettivi di comfort e benessere ambientale.
Dal 1973 [3] le avvisaglie di crisi energetica hanno, però, catalizzato la ripresa di
una progettazione architettonica che, per ridurre la dipendenza dai combustibili
fossili, individua come prioritaria l’azione moderatrice delle componenti edilizie.
Col tempo è stata composta una ricca tavolozza di soluzioni ingegneristico -
architettoniche che riscopre i principi della cosiddetta “progettazione passiva”.
Il termine passivo si riferisce ad edifici in cui le condizioni di comfort (invernale
e/o estivo) vengono raggiunte grazie a caratteristiche ottimizzate dell’involucro
edilizio e a sistemi di trasporto del calore (pompe o ventilatori) da o verso
l’ambiente circostante, che non richiedono l’utilizzo di energia fossile o di altre
fonti convenzionali. In pratica si utilizzano sorgenti di raffrescamento naturali o
pozzi di calore, per l’esportazione di calore fuori dall’edificio. Qualora sia
necessario fornire energia per attuare il sistema, allora il sistema di trasferimento
di calore è a basso costo e semplice.
Nel 1991 Wolfgang Feist e Bo Adamson applicarono l’approccio progettuale
passivo ad una casa a Darmstadt con l’obiettivo di fornire, per il clima tedesco, un
caso studio di abitazione a basso consumo energetico e costo ragionevole [3].
Nel 1998, basandosi sulle esperienze condotte, Feist codificò il progetto passivo
delle case di Darmstadt nello STANDARD PASSIVHAUS che,
fondamentalmente proponeva:
• un limite nel fabbisogno energetico di riscaldamento;
• un requisito di qualità (livello di comfort termico);
• un limite sul consumo di energia primaria per tutti gli usi finali (riscaldamento
degli ambienti, elettrodomestici e illuminazione, acqua calda).
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Fig.1: Esempio di climatizzazione di una casa passiva
L’insieme di sistemi di controllo termico passivo attuati in questi primi edifici e
nei successivi (ottimo isolamento delle parti opache, riduzione a livelli minimi dei
ponti termici, adozione di finestre e telai a bassa trasmittanza termica, involucro a
tenuta d’aria elevata ossia n 50 < 0.6 h-1, sistema di ventilazione meccanica e
recupero di calore ad alta efficienza sull’aria in uscita) è stato in seguito
generalmente associato allo standard. Con questo tipo di strategie si è semplificato
notevolmente il sistema di distribuzione dell’energia necessaria per il
riscaldamento. Si distribuisce aria calda attraverso un sistema di ventilazione
meccanica, già presente per le necessità di rinnovo dell’aria interna non garantito
dalle infiltrazioni (la permeabilità all’aria dell’involucro è molto limitata) e
mediante un recuperatore di calore si eleva la temperatura dell’aria esterna in
ingresso estraendo energia dall’aria viziata in uscita (fig.1). L’ulteriore aumento di
temperatura necessario a fornire sufficiente energia agli ambienti può essere
ottenuto con vari sistemi (una stufa a legna, un impianto solare, una pompa di
calore, ecc.) comunque di bassa potenza. Questa semplificazione del sistema di
riscaldamento concorre, congiuntamente ai bassi consumi di energia, a rendere
queste cose attraenti dal punto di vista economico, oltre che ambientale.
Di seguito sono riportati i cinque punti che definiscono l’attuale Standard
Passivhaus tedesco per i paesi dell’Europa Centrale:
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1. Criterio del riscaldamento: il fabbisogno di energia utile per il
riscaldamento ambientale non ecceda i 15 kWh per m² di superficie
netta abitabile per anno.
2. Criterio dell’energia primaria: la richiesta di energia primaria per
tutti i servizi energetici, inclusi riscaldamento, acqua calda
sanitaria, elettricità per l’abitazione e gli ausiliari, non ecceda i 120
kWh per m² di superficie netta abitabile per anno.
3. Tenuta all’aria: l’involucro edilizio dovrebbe presentare un
risultato del test di pressurizzazione (a 50 Pa), condotto secondo la
EN 13829, di non più di 0.6 h-1.
4. Criterio della temperatura di comfort invernale: la temperatura
operativa nelle stanze può essere mantenuta sopra i 20 °C
d’inverno, usando le succitate quantità di energia.
5. Tutti i valori di richiesta energetica sono calcolati secondo il
Passive House Planning Package (PHPP) e si riferiscono alla
superficie netta abitabile, cioè la somma delle superfici nette
abitabili di tutte le stanze (in pianta).
1.2 La casa passiva nel Mediterraneo
Lo standard Passivhaus è nato per rispondere alle esigenze connesse al clima
relativamente freddo dell’Europa Centrale [14]. Sebbene anche le abitazioni
dell’Europa Meridionale necessitino di essere riscaldate d’inverno è, tuttavia,
necessario che garantiscano condizioni confortevoli anche durante l’estate e,
spesso, quest’ultimo risulta essere il problema predominante. L’architettura
vernacolare tipica delle aree meridionali dell’Italia e della Spagna riflette tale
necessità ed, infatti, l’attuale Progettazione Passiva prende spunto da molte di
queste soluzioni tecniche tradizionali.
Da un lato le analisi hanno mostrato che, in certe regioni, le soluzioni tecniche
previste dallo standard Passivhaus possono essere un punto di partenza efficace
anche per raffrescare le abitazioni in estate (anche se sono necessarie alcune
modifiche al fine di ridurre, in alcuni periodi dell’anno, l’effetto della radiazione
solare incidente).
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Dall’altro lato, invece, il progetto ha evidenziato che alcuni requisiti espliciti o
impliciti dello standard Passivhaus possono essere resi meno stringenti nei climi
dei Paesi Mediterranei. Ad esempio, il requisito del limite massimo della
permeabilità all’aria dell’involucro edilizio (n50 ≤ 0,6 h-1) richiede
necessariamente che venga installato un sistema di ventilazione meccanica per il
ricambio dell’aria. Tuttavia, l’esperienza maturata, ad esempio, in Spagna ed in
Portogallo, dimostra che è possibile costruire case a basso consumo energetico
senza ricorrere a sistemi attivi per la ventilazione e con prestazioni dell’involucro
edilizio meno stringenti.
La nuova definizione ha, quindi, l’obiettivo di estendere lo stesso concetto
vincente ai climi più caldi.
I principali cambiamenti introdotti per rendere lo standard Passivhaus pertinente
al contesto Mediterraneo sono:
1. l’introduzione di un limite esplicito del fabbisogno energetico per il
raffrescamento estivo (15 kWh/m2anno).
2. L’introduzione di requisiti minimi per le condizioni di comfort interne
estive: le temperature operative degli ambienti debbono rimanere negli
intervalli di comfort definiti dalla norma EN 15251 del 2007.
3. Un rilassamento del valore limite della tenuta all’aria dell’involucro
edilizio (n50 ≤ 1,0 h-1). Questo permette conformità al nuovo standard
senza che si installi necessariamente un sistema di ventilazione meccanico.
Nel clima Mediterraneo per difendersi dal caldo è necessario proteggersi dalla
radiazione solare e dissipare il calore accumulato dalle strutture sfruttando
l’alternanza di temperatura tra il giorno e la notte. Qualsiasi soluzione scelta deve
naturalmente evitare di compromettere la prestazione invernale dell’edificio. La
casa deve prima di tutto evitare durante la stagione estiva l’eccessivo
irraggiamento sulle superfici di copertura così come sulle facciate vetrate e
opache. Le soluzioni sono documentate e innumerevoli, ma ancora una volta
ostinatamente non applicate nella maggioranza dei casi: coperture e facciate
ventilate, sistemi di ombreggiamento fissi o regolabili (frangisole, schermature,
quinte vegetali), forma dell’edificio, orientamento. La seconda regola, quella di
dissipare il calore durante la notte, ben si adatta a zone marine o collinari in
presenza di regimi di brezza e inversione termica, ma decisamente meno in aree di
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pianura o nelle grandi conurbazioni metropolitane, capaci di generare il noto
fenomeno di surriscaldamento microclimatico.
1.3 Interventi sull’albedo e uso del verde per diminuire l’effetto “isola di
calore”
L’effetto noto come “isola di calore” deve essere mitigato, per mezzo di
un’adeguata progettazione delle aree circostanti gli edifici e, solo in fase
successiva, intervenendo impiantisticamente con il condizionamento
dell’involucro [4].
Il fenomeno isola di calore si esplica, in termini generali, in un aumento delle
temperature medie dell’aria e della temperatura media radiante delle superfici
(fig.2).
Fig.2: Utilizzo delle piante per ridurre l’effetto isola di calore
Questa alterazione delle caratteristiche climatiche assume caratteri
particolarmente notevoli nella stagione estiva, con differenze di temperatura fra
città e campagna dell’ordine di qualche grado centigrado. Ciò comporta
inevitabilmente un aumento della domanda di energia per il condizionamento
estivo degli ambienti interni, oltre che condizioni di marcato discomfort negli
spazi esterni. Un altro effetto dell’isola di calore urbana è l’accentuazione delle
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condizioni favorevoli alla formazione di smog fotochimico ed, in particolare, alla
formazione di ozono.
Fra le molteplici cause che generano un’isola di calore vi è la concentrazione di
usi energetici (trasporti, produzione di calore ), l’uso di materiali di finitura delle
superfici con caratteristiche termofisiche sfavorevoli, la scarsa presenza di
vegetazione e di specchi d’acqua.
Il controllo dell’albedo (coefficiente di riflessione totale, cioè su tutte le
lunghezze d’onda; le superfici chiare hanno un’albedo più alta delle superfici
scure) della pavimentazione degli spazi pubblici (strade, marciapiedi,
parcheggi,ecc.) deve permettere la riduzione delle temperature superficiali con
effetti sul comfort esterno e sulla riduzione dei carichi solari nel condizionamento
degli spazi chiusi. La semplice scelta dei materiali ad elevato albedo (colori
chiari) per la realizzazione delle superfici urbane dovrà essere effettuata nella
direzione della riduzione delle temperature delle superfici (e quindi la quantità di
energia che esse re-irraggiano) e sui carichi di raffrescamento garantendo nel
contempo effetti sul comfort e benessere delle persone (evitare gli sbalzi termici
freddo interno-caldo esterno).
Il ricorso al verde dovrà avere non soltanto un valore decorativo, ma dovrà essere
progettato e quantificato in modo da produrre effetti sul microclima dell’area
mitigando i picchi di temperatura estivi (>1°C) grazie all’evapotraspirazione ed,
inoltre, consentire l’ombreggiamento per controllare l’irraggiamento solare diretto
sugli edifici e sulle superfici circostanti durante le diverse ore del giorno. Per
quanto riguarda gli edifici, è opportuno disporre la vegetazione o altri schermi in
modo tale da massimizzare l’ombreggiamento estivo delle seguenti superfici, in
ordine di priorità:
• le superfici vetrate e/o trasparenti esposte a Sud e Sud-Ovest;
• le sezioni esterne di dissipazione del calore degli impianti di climatizzazione i
tetti e le coperture;
• le pareti esterne esposte a Ovest;
• le pareti esterne esposte a Est e a Sud;
• le superfici orizzontali adiacenti alle sezioni esterne di dissipazione del calore
degli impianti di climatizzazione;
• le superfici capaci di assorbire radiazione solare entro 6 metri dall’edificio;
• il terreno entro 1.5m dall’edificio.
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Le ore in cui, nella stagione estiva, l’effetto di schermatura consente maggiori
risparmi sono:
• per superfici esposte ad Ovest: dalle 14:30 alle 19:30
• per superfici esposte a Est: dalle 7:30 alle 12:00
• per superfici esposte a Sud: dalle 9:30 alle 17:30
Per ottenere un efficace ombreggiamento degli edifici occorre che gli alberi
utilizzati vengano piantati a distanze tali che la chioma venga a situarsi a non più
di 1.5 metri di distanza dalla facciata da ombreggiare quando esposta ad Est o
Ovest e non più di 1 metro di distanza dalla facciata da ombreggiare quando
esposta a Sud.
E’ consigliabile che anche le parti più basse delle pareti perimetrali degli edifici
esposte a Est, Ovest e Sud, vengano ombreggiate per mezzo di cespugli.
Anche l’uso di rampicanti sulle facciate consente buone riduzioni
dell’assorbimento della radiazione solare in estate e una riduzione delle
dispersioni per convezione in inverno.
1.3.1 Controllo della radiazione solare
In estate, la radiazione solare attraversa le superfici trasparenti dell’involucro
(serramenti esterni), comportando un apporto di energia istantaneo che deve
essere annullato dall’impianto di climatizzazione.
L’effetto della radiazione solare può essere ridotto facendo uso di varie tipologie
di schermature quali ad esempio aggetti verticali (per orientamenti Est e Ovest) o
orizzontali (per orientamenti a Sud), frangisole esterni fissi o regolabili, tende
esterne (avvolgibili o alla veneziana), tende interne (del tipo alla veneziana o in
tessuto), vetri speciali.
La protezione dall’esterno risulta molto efficace, in quanto impedisce alla
radiazione solare di colpire la superficie trasparente.
L’efficacia di diversi sistemi di protezione solare dipende principalmente da tre
fattori:
• Dalla geometria del sistemi di protezione solare;
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• Dall’orientamento della facciata;
• Dal periodo dell’anno.
I grafici della figura 3 evidenziano l’efficacia di alcuni sistemi di protezione
solare. La protezione solare riguarda anche le superfici opache ed in particolare le
coperture che, tra le superfici dell’involucro, sono più esposte alla radiazione
solare. Nel caso in cui non sia possibile ricorrere a veri e propri sistemi di
ombreggiamento, è opportuno scegliere una corretta colorazione delle superfici,
privilegiando l’utilizzo di colori con un basso coefficiente di assorbimento.
Fig.3: Variazione della trasmissione per irraggiamento diretto in funzione del diverso tipo di
aggetto utilizzato e dall’orientamento della facciata
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1.4 Caratteristiche strutturali di una casa passiva
1.4.1 Componenti opachi Per l’implementazione dello standard Passivhaus sono già state testate con
successo e possono perciò essere utilizzate tutte le varie tipologie costruttive
tradizionali: costruzioni in muratura, elementi prefabbricati, costruzioni in acciaio,
costruzioni in calcestruzzo, costruzioni leggere, e tutte le combinazioni di questi
metodi.
L’involucro edilizio è composto da tutte quelle parti della costruzione che
separano l’ambiente interno da quello esterno, quello proprio di una Casa Passiva
è caratterizzato da un eccellente livello di isolamento termico. I coefficienti di
perdita di calore delle mura perimetrali e delle pareti contro terreno sono compresi
tra 0,10 e 0,15 W/m2K, con riferimento al clima del Centro Europa, mentre per le
costruzioni di tipo tradizionale i valori sono più elevati; in conseguenza a ciò da
un lato le perdite di calore per trasmissione durante la stagione invernale per una
abitazione passiva possono essere considerate trascurabili, dall’altro la
temperatura delle superfici interne è prossima a quella dell’aria interna: ciò
consente di evitare i danni causati dalla presenza di umidità nell’aria e di elevare
la percezione del comfort interno.
Durante il periodo estivo un elevato isolamento termico rappresenta una buona
protezione contro il caldo, tuttavia per assicurarsi un elevato benessere termico un
involucro iperisolato è condizione necessaria ma non sufficiente. Sono, infatti,
imprescindibili sia una corretta ventilazione che una progettazione accurata
dell’ombreggiatura [5] .
Un’altro principio basilare è “costruire evitando i ponti termici”. L’isolamento
deve essere applicato con continuità per tutto l’involucro dell’edificio senza
significativi ponti termici, tramite questo accorgimento non ci saranno punti
freddi e nessuna perdita extra di calore. Ciò contribuirà direttamente
all’ottenimento di un edificio confortevole e in grado di mantenere un buona
qualità abitativa nel tempo.
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1.4.1.1 Isolamento termico
Nel corso degli ultimi due decenni, lo studio degli standard di isolamento termico
in nuovi edifici europei si è concentrato sullo spessore dell’isolamento con lane
minerali progettato e usato sulle nuove costruzioni. Vi è stato un continuo
progresso negli standard di isolamento in vari paesi, soprattutto in Europa
centrale. Il Sud continua a restare indietro, nonostante le normative europee
richiedono migliori standard per soddisfare gli obiettivi di Kyoto. Lo stesso vale
per lo spessore isolante delle pareti e dei tetti. Le cifre relative ai vari paesi
prendono in considerazione la popolazione e i gradi giorno, ovvero il numero di
giorni all’anno in cui è necessario usare il riscaldamento. Tutte le prestazioni
vengono paragonate ai livelli svedesi, i risultati mettono in evidenza il maggiore
potenziale di risparmio energetico in alcuni paesi settentrionali, ma indicano
chiaramente che gli sforzi principali devono concentrarsi nel Sud e nei paesi
aventi una vasta popolazione. Si possono realizzare anche notevoli progressi in
quasi tutti i paesi europei aumentando gli standard dello spessore isolante per
pareti e tetti. Ad esempio, se gli standard isolanti svedesi (220 mm) venissero
impiegati in Italia (50 mm), si otterrebbero risparmi energetici fino al 90%. Lo
stesso vale per l’intera Europa dove si potrebbero ottenere risparmi superiori al
50% [6]. I valori U per tetti e pareti rispettivamente di 0.10 W/m2K e 0.15
W/m2K dovrebbero essere standard per le nuove costruzioni in tutti i paesi europei
e possibilmente per gli edifici esistenti.
Il 4 luglio 2008 è entrato in vigore il decreto n.15 del 30 maggio 2008 pubblicato
nella G.U. del 3/07/2008 di recepimento della direttiva 2006/32/CE,
sull’efficienza degli usi finali del’energia e i servizi energetici che introduce
deroghe alle distanze minime ed alle altezze massime degli edifici per favorire un
migliore isolamento termico.
Sono i paesi con vaste popolazioni, quali l’Italia, che hanno il potenziale più
elevato di risparmio energetico. La perdita di energia totale derivante dalle case si
basa sulle normative attualmente in vigore per nuove costruzioni è stata stimata
essere circa 1.164.442 milioni di MJ all’anno [15]. Tuttavia, molti edifici vecchi
hanno un isolamento ridotto o, addirittura, inesistente ed è qui che si ha un
potenziale molto più elevato di risparmio.
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L’elevata incidenza dei consumi per riscaldamento rispetto ai consumi totali del
residenziale (tab.1) è da attribuire prevalentemente alle caratteristiche degli
involucri degli edifici: i due terzi delle nostre abitazioni sono di costruzione
anteriore alla legge 373/1976 «Norme per il contenimento del consumo energetico
per usi termici negli edifici» ed una percentuale analoga non subisce interventi di
manutenzione straordinaria da almeno 20 anni.
2000 2001 2002 2003
Riscaldamento 17.993 18.728 17.657 19.123
Acqua calda 2.907 2.939 2.900 2.952
Usi cucina 1.539 1.523 1.504 1.486
Usi elettrici
obbligati
4.052 4.097 4.222 4.404
Totale
residenziale
26.491 27.287 26.283 27.966
Tab.1: Consumi finali di energia nel settore residenziale per funzione d’uso kTEP . [15]
1.4.1.2 I materiali termoisolanti
I materiali termoisolanti (tab. 2) sono quelli che possiedono una bassa conduttività
termica λ, (normalmente inferiore a 0,05 W/mK). Si tratta principalmente di
materiali porosi (alveolari) e fibrosi in cui è racchiusa aria che è un cattivo
conduttore di calore. I migliori materiali termoisolanti possiedono struttura
alveolare con pori ben chiusi. La conduttività termica (λ) dei materiali è indicata
nelle schede tecniche dei produttori, ma i valori riportati sono leggermente più
bassi rispetto a quelli effettivi, perché vengono stabiliti in laboratorio dove il tasso
di umidità è inferiore rispetto a quello riscontrabile negli edifici. I materiali
fibrosi, e anche alcuni di quelli porosi, sono igroscopici, cioè assorbono
facilmente umidità. L’umidità assunta espelle l’aria e quindi ne diminuisce la
proprietà termoisolante. I materiali igroscopici devono pertanto essere protetti
contro l’umidità e si prestano soprattutto all’impiego in costruzioni a secco. Nella
scelta del materiale termoisolante si dovrebbero valutare non solo le
caratteristiche tecniche che, ovviamente, sono le più importanti, ma anche quelle
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ecologiche. I migliori pregi termoisolanti li possiedono certi materiali sintetici,
che, però, dal punto di vista ambientale, causano diversi problemi.
MATERIALI TERMOISOLANTI
Fibre di cocco Fibre di cotone Polistirolo espanso Fibre di legno
0.040-0.045 W/mK 0.040-0.045 W/mK 0.035-0.040 W/mK 0.050-0.060 W/mK
Lana di vetro Pannello di sughero Perlite espansa Poliuretano
0.035-0.050 W/mK 0.040-0.045 W/mK 0.040-0.060 W/mK 0.025-0.035 W/mK
Tab.2: Conducibilità termica dei materiali termoisolanti più utilizzati
1.5 Tecniche di miglioramento dell’efficienza energetica
1.5.1 Pareti perimetrali
In inverno un buon isolamento delle pareti perimetrali limita le perdite di calore e,
aumentando la temperatura delle superfici interne, riduce un’importante causa di
discomfort locale, l’asimmetria radiante dovuta a parti fredde e i danni che
possono essere provocati dalla condensazione di vapore acqueo (crepe, muffe) [7].
A differenza dell’isolamento del basamento, quello delle pareti perimetrali ha
sempre un effetto positivo: durante le ore calde estive riduce i flussi di calore
verso l’interno, inclusi quelli generati dalla radiazione solare incidente sulla
superficie esterna. L’isolante viene posto con una soluzione “a cappotto” (fig.4).
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Fig.4: Schema di installazione di isolamento esterno a cappotto
Questo tipo particolare di isolamento esterno a cappotto consiste nell’applicare
l’isolante termico all’esterno in modo uniforme e tale, quindi, da eliminare i ponti
termici con le strutture in cemento armato, i fenomeni di condensa del vapor
d’acqua. La posizione all’esterno dell’isolante comporta anche una maggiore
inerzia termica, una minore oscillazione della temperatura interna ed un miglior
grado di benessere interno. Si deve porre attenzione alla posa dell’isolante poiché,
all’esterno delle pareti, è possibile avere attacchi degli agenti atmosferici. Sono
consigliabili il polistirene espanso (a celle chiuse per evitare l’assorbimento
dell’acqua) e la lana minerale in lastre rigide di elevata densità.
A seconda delle tipologie costruttive si possono avere pareti esterne a doppio
strato con intercapedine interna che può essere parzialmente o interamente
utilizzata per installare isolante termico. Una tecnica molto utilizzata (fig.5)
(valida anche per edifici già esistenti) per le pareti doppie è detta di insufflazione
dell’isolante: questo viene insufflato tramite opportuni fori all’interno delle
intercapedini ancora allo stato di schiuma che poi solidifica formando una lastra
ben rigida interna che sigilla ogni possibile ponte verso l’esterno. Si usano
schiume di urea o poliuretaniche in genere. Occorre lasciare fuoriuscire l’umidità
iniziale prodotta dalle schiume prima di chiudere del tutto i fori di immissione.
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Fig.5: Schema di posa dell’isolante interno mediante insufflazione di schiume
nell’intercapedine Una tecnica che si sta sviluppando in questi ultimi anni e che sembra dare ottimi
risultati sul comportamento termico degli edifici è l’utilizzo delle pareti ventilate.
Esse consistono di una normale parete esterna alla quale si aggiunge una lamina di
materiale dello spessore di 1÷2 cm posta ad una distanza di circa 5÷10 cm dalla
prima in modo da formare un canale libero fra le due superfici (fig. 6).
Per effetto delle differenze di temperatura fra le superfici e dei gradienti termici
verticali si ha una circolazione di aria che produce effetti benefici: riduce il
surriscaldamento interno poiché riduce la temperatura aria-sole della parete
esterna, evita gli effetti di condensa e, soprattutto in estate, favorisce la
ventilazione esterna e quindi il raffrescamento interno.
In inverno la maggiore ventilazione nell’intercapedine fra gli strati favorisce gli
scambi termici ma la riduzione dell’isolamento termico viene compensata dagli
altri effetti benefici e, quindi, complessivamente questo tipo di parete risulta
conveniente. Oggi sono disponibili pareti esterne prefabbricate (materiale gessoso
su rete metallica) che si possono applicare facilmente alle pareti esterne, anche se
già costruite, mediante una serie di agganci metallici di facile inserimento.
L’uso di materiali lapidei (ad esempio di pietra bianca di modica) può costituire
un elemento architettonico di stimolo alla realizzazione delle pareti ventilate.
Sullo stesso principio si possono avere anche le coperture ventilate costituite da
doppi solai con intercapedine d’aria di 10÷20 cm in modo da favorire la
ventilazione e, soprattutto in estate, lo smaltimento del calore.
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E’ da tenere ben presente che le pareti formanti l’intercapedine debbono lasciare
due aperture, una in basso ed una in alto, in modo da lasciare circolare l’aria
interna per effetto camino. Dette aperture è bene che siano protette da reti
metalliche antitopo.
Fig.6: Schema di installazione di una parete ventilata
E’ importante scegliere bene il colore delle pareti esterne poiché esso influenza
l’interazione con la radiazione solare (si ricordi la definizione della temperatura
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aria-sole) e, quindi, sulle trasmissioni di energia. Occorre evitare l’uso di pareti
esterne leggere poiché si avrebbe una bassa capacità termica dell’edificio che
porterebbe ad avere forti oscillazioni termiche all’interno dell’edificio.
Evitare l’uso di grandi superfici in calcestruzzo armato a faccia vista: questo
conduce bene il calore e per conseguenza si avrebbero forti dispersioni termiche e
non buone condizioni ambientali di benessere. Le pareti esterne debbono anche
essere verificate per la diffusione dell’umidità (metodo di Glaser) onde evitare
danneggiamenti per la condensa del vapore acqueo e, quindi, è molto importante il
montaggio degli isolanti e la scelta degli stessi (in fig.7 è possibile vedere una
modalità di montaggio degli isolanti delle pareti).
Fig.7: Posa in opera dell’isolante esterno
1.5.2 Isolamento delle coperture
Le coperture sono elemento importantissimo di un edificio. Esse hanno sempre
caratterizzato le tipologie costruttive tipiche dell’architettura vernacolare (si pensi
ai dammusi di Pantelleria, ai trulli della Puglia,…). Attraverso le coperture si
hanno forti dispersioni che debbono essere adeguatamente contrastate con
l'utilizzo di isolanti termici o di tecnologie costruttive particolari. Le coperture,
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inoltre, debbono assicurare un corretto smaltimento delle acque meteoriche. Le
tipologie di isolamento maggiormente utilizzate sono le seguenti[7]:
Isolamento posto sull’estradosso a tetto caldo
In questo caso l’isolante termico è posto all’esterno esternamente al solaio,
immediatamente al di sotto dello strato di impermeabilizzazione. Le coperture
piane (molto utilizzate alle nostre latitudini) soffrono anche di forti irraggiamenti
solari e, quindi, di cicli termici che provocano fessurazioni dannose. Per evitare
questi effetti si possono usare varie tecniche. Ad esempio, si può ricoprire il
soffitto con pietrisco o ghiaia a grossa granulometria sparsa uniformemente in
modo che vi si possa camminare sopra o anche si può utilizzare uno strato
pedonale esterno, come indicato in fig. 8.
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Fig.8: Schema di isolamento sull’estradosso del soffitto
Isolamento posto sull’estradosso a tetto rovescio
Il materiale isolante è posto all’esterno dello strato impermeabilizzante e pertanto
le radiazioni solari lo colpiscono direttamente. Per evitare danni dovuti ai cicli
termici e alle infiltrazioni di acqua, gli isolamenti termici debbono essere densi e
non assorbenti (a celle chiuse). Questi isolanti fungono anche da barriere al
vapore. In fig. 9 si ha una rappresentazione di tetto rovescio con strato esterno
zavorra.
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Fig.9: Esempio di tetto rovescio
Controsoffitto interno
L’isolante termico è posto sulla parte interna del solaio, possibilmente
opportunamente distanziato da questo. Questa disposizione annulla la capacità
termica del solaio e può interferire con l’impiantistica sovrastante (tubi, canali
d’aria, canaline elettriche, impianti di illuminazione). L’isolante può essere
installato in pannelli rigidi con intelaiatura portante del tipo controsoffitto
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addossato alla superficie del solaio oppure con la creazione di un’opportuna
intercapedine che può essere a sua volta utilizzata come volume tecnico di
passaggio degli impianti.
Copertura a falde
Si possono isolare le falde oppure creare un solaio di sottotetto interno ed isolare
quest’ultimo. Se si isolano le falde si può porre l’isolante sotto le tegole,
immediatamente al di sopra della barriera di vapore. Nel caso di solaio di
sottotetto si può porre l’isolante immediatamente al di sopra della superficie
esterna. L’isolante può essere a lastre o anche feltri di lana di roccia in sacchetti
protettivi o anche in granuli dispersi uniformemente sulla superficie.
Solai su pilotis
Anche in questo caso occorre porre molta attenzione a ben isolare questi solai per
ridurre le dispersioni termiche. Quasi sempre la posizione dell’isolante è esterna al
solaio in modo da lasciare libero il pavimento calpestabile. Per evitare attacchi
degli agenti atmosferici occorre anche prevedere intonaci esterni adeguatamente
resistenti (intonaci plastici).
In estate i tetti, che più degli altri componenti edilizi sono esposti alla radiazione
solare diretta se non opportunamente isolati, contribuiscono in maniera
significativa all’aumento delle temperature all’interno degli ambienti confinanti
(in fig. 10 è possibile vedere una modalità di montaggio degli isolanti sulla
copertura).
In caso di tetti inclinati supportati da travi in legno è preferibile ridurre i ponti
termici posizionando il materiale isolante tra la struttura portante e le tegole. In
caso di coperture in cemento armato è preferibile aumentare la massa termica
efficace isolando esternamente. In entrambi i casi è indispensabile proteggere il
materiale coibente con membrane impermeabili ed è possibile introdurre uno
strato di ventilazione sotto le tegole o i coppi capace di asportare in estate
l’energia termica immagazzinata.
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Fig.10: Posa in opera dell’isolante sulla copertura
1.5.3Assenza di ponti termici
Per fluire dall’ambiente riscaldato verso l’esterno,il calore seguirà il percorso con
la minor resistenza termica, questo significa che non deve per forza essere il
percorso perpendicolare alle superfici. Molto spesso il calore “cortocircuita”
attraverso un singolo elemento caratterizzato da una conduttività molto più alta
rispetto ai materiali circostanti. Tale fenomeno di trasmissione di calore viene
indicato con il nome di “ponte termico”.
Gli effetti tipici dei ponti termici sono i seguenti [8]:
� Diminuzione della temperatura delle superfici interne; nel peggiore dei
casi ciò può comportare un elevato tasso di umidità;
� Dispersioni termiche significativamente aumentate.
Entrambi possono essere evitati nelle Case Passive: le temperature interne sono
elevate a sufficienza da evitare un tasso critico di umidità e le dispersioni termiche
sono trascurabili.
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Se il coefficiente di ponte termico, che è un indicatore delle dispersioni dovute al
ponte termico, è più basso di 0,01 W/mK , l’edificio può essere giudicato come
“senza ponti termici”. Se l’intero involucro termico viene realizzato in accordo
con il principio di evitare i ponti termici né il progettista né il costruttore avranno
mai da preoccuparsi per l’umidità e sarà sempre più semplice calcolare il bilancio
energetico.
1.5.3 I componenti finestrati
Non c’è altro componente nel settore edilizio che abbia avuto una crescita
qualitativa paragonabile a quella del campo della finestratura. Il coefficiente di
perdita termica (Uw) delle finestre sul mercato è stato ridotto di un fattore 8 in 30
anni. Agli inizi degli anni ‘70 la maggior parte delle finestre aveva il vetro
singolo, il valore Uw era approssimativamente 5,5 W/(m2K) [8]. Il calore perso
attraverso 1 m2 di queste finestre è quantificabile in circa 60 litri di olio
combustibile. Tali finestre generavano costi di esercizio stimabili in 48 €/m2 di
energia finale per riscaldamento ogni anno. Ma non c’erano solo le enormi perdite
termiche. A causa dello scarso isolamento, il freddo dall’esterno riusciva a
penetrare direttamente sulle superfici interne: se la temperatura scendeva al di
sotto di – 7,5 °C poteva formarsi ghiaccio sulla superficie interna del vetro.
Uno scarso livello di isolamento è, perciò, legato ad un basso livello di comfort ed
ad un crescente pericolo di danni. Un po’ meglio funzionano i doppi vetri che
vennero introdotti dopo le prime crisi petrolifere. Tra i due pannelli vetrati vi è
racchiusa dell’aria, il coefficiente di perdita termica è ridotto da 5,5 a 2,8
W/(m2K) e, di conseguenza, le perdite sono ridotte quasi della metà rispetto al
vetro singolo e con ricadute sui costi annuali. La temperatura della superficie
interna non si abbassa mai al di sotto dei 7,5 °C anche nei periodi di maggior
rigore (-15°C), quindi, non c’è formazione di ghiaccio, tuttavia la superficie è
ancora sgradevolmente fredda e presenta condensa a causa della temperatura più
bassa del punto di rugiada.
Il più importante passo in avanti verso la bassa emissività si ebbe con
l’introduzione all’interno dello spazio interplanare di rivestimenti metallici, da cui
la questione prende il nome di “Basso Emissivo” per la ridotta emissività termica.
Questi rivestimenti riducono la radiazione termica tra il pannello interno e quello
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esterno di un fattore da 5 a 20. In aggiunta il gas contenuto tra i pannelli viene
sostituito con gas nobili (Argon o Cripto) i quali hanno bassissima conduttività.
Una finestra tradizionale in legno od in plastica, facente uso di distanziatori
standard e di doppio vetro basso emissivo, ha un valore Uw compreso tra 1,3 e 1,7
W/(m2K). In questo modo il calore disperso viene ridotto ancora di un fattore 2
rispetto al vecchio standard a vetro doppio. Attualmente la temperatura media
della superficie interna si aggira intorno ai 13 °C durante il periodo invernale,
tuttavia, può ancora essere percepito un flusso di aria fredda dovuto a correnti
convettive, come uno strato freddo a pavimento e questo va ridotto per ottenere un
livello ottimale di comfort.
L’innovazione nel campo dell’edilizia dell’efficienza energetica è rappresentato
dalla comparsa delle finestre a triplo-strato basso emissivo. Realizzando due spazi
interplanari con un rivestimento basso emissivo per ciascuno e riempiendoli con
gas nobile, il valore U si abbassa a valori compresi tra 0,5 e 0,8 W/(m2K). Per
ottenere questi valori è necessario che non solo i vetri, ma che tutta la finestra
abbia un ottimo livello di isolamento, incluso perciò anche il telaio e gli
spaziatori. Il risultato è una finestra che genera alto comfort termico, una finestra
specifica per la casa passiva. Usando una finestra di questo tipo la perdita annuale
di calore è ridotta a non più di 8 litri di olio combustibile per metro quadro d’area
di finestratura, che rappresenta un fattore di riduzione 8 rispetto al valore iniziale.
In aggiunta, se si considera il guadagno solare passivo ottenuto attraverso la
finestra, le perdite di calore di una finestra di questa qualità sono superate in
valore dai guadagni passivi.
Non è per caso che le perdite di calore nette dei componenti trasparenti
dell’edificio sono trascurabili come per i componenti opachi. Il livello di
isolamento dei componenti opachi (valore U di circa 0,15 W/m2K) è ben
bilanciato dalla qualità delle finestre disponibili per le Case Passive. Entrambi
permettono allo standard PassivHaus di essere implementato nel clima freddo e
umido del Centro Europa, mantenendo all’interno il comfort termico
semplicemente riscaldando l’aria di ventilazione.
I vantaggi delle finestre per case passive non sono soltanto le ridotte dispersioni
termiche, bensì anche un rilevante comfort termico. Anche durante il periodo
invernale la temperatura della superficie interna non scende al di sotto dei 17 °C,
ciò si traduce nell’assenza di correnti fredde. Ovviamente affinchè ciò avvenga è
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necessaria la presenza di tutte le condizioni collaterali che caratterizzano una
PassivHaus, come l’alta tenuta d’aria e l’assenza di ponti termici. Con queste
condizioni il comfort termico è indipendente dalle modalità con cui il calore viene
fatto giungere alla stanza, per riuscire in questo tali finestre sono una caratteristica
fondamentale.
1.5.4 Ermeticità all’aria
L’ermeticità all’aria non è un dettaglio trascurabile in una costruzione a basso
consumo energetico, essa è indispensabile per evitare danni all’edificio. Lacune in
tal senso comportano un notevole trasporto di umidità per trasmissione.
L’involucro esterno di un edificio dovrebbe essere il più ermetico possibile,
questo è un principio basilare valevole indipendentemente dalla tipologia di
edificio considerata, vale cioè sia per una casa passiva che per un’abitazione
tradizionale. E’ l’unica strada percorribile per evitare i danni causati da condensa
e aria umida che diffondono attraverso l’edificio; questo tipo di problemi non
sono caratteristici solo dei climi freddi, essi infatti possono presentarsi
ugualmente in climi caldi ed umidi a causa del flusso d’aria dall’esterno
all’interno. La causa è pertanto la stessa in entrambi i casi: l’involucro
dell’edificio che disperde. Le correnti d’aria di qualsiasi natura, siano esse di
origine convettiva o semplicemente spifferi, non sono tollerate in nessun caso da
parte degli abitanti di un edificio, perciò per soddisfare a pieno le aspettative di
comfort termico è indispensabile che l’edificio sia ermetico. La tenuta all’aria
dell’edificio va valutata tramite il Blower Door Test [8] (fig. 11 e fig.12). Il test
viene eseguito utilizzando un ventilatore che espelle all’esterno, con porte e
finestre chiuse, l’aria interna dell’edificio sino ad arrivare ad una pressione
differenziale di 50 Pa tra interno ed esterno dell’edificio. Successivamente, con
apposite apparecchiature, si misura il volume d’aria che fluisce all’interno
dell’edificio attraverso l’involucro: il numero di ricambi orari in tali condizioni di
gradiente pressorio è indicato con il simbolo n50.
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Fig.11: verifica della tenuta dell’aria dell’edificio tramite il Blower Door Test
Fig.12: principio di funzionamento blower door test
L’impermeabilità dell’aria non va confusa con l’isolamento. Entrambe sono
caratteristiche essenziali per ottenere un involucro di qualità, ma sono
caratteristiche che vanno realizzate per strade diverse.
Una costruzione ben isolata non è automaticamente anche impermeabile all’aria.
L’aria passa facilmente attraverso l’isolante se fatto di lana di roccia o lana di
vetro; questi materiali infatti non sono impermeabili all’aria, pur avendo
un’ottima capacità isolante.
Dall’altro lato una costruzione ermetica non è necessariamente ben isolata, per
esempio, per avere un’eccellente impermeabilità all’aria è sufficiente una
semplice lamina di alluminio, che però ha tutt’altro che capacità isolante. Inoltre,
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con il concetto di impermeabilità all’aria non si intende quello di “barriera al
vapore”. Quest’ultima consiste in uno strato di materiale impermeabile ai liquidi
che protegge la parte più delicata destinata all’isolamento termico. La sua utilità è
solo contro il vapor d’acqua proveniente dagli ambienti interni, od esterni nel caso
di pareti controterreno, e che potrebbe penetrare fino al materiale isolante termico,
va posta perciò all’interno della costruzione. I materiali convenzionali quali, ad
esempio, gesso o intonaco rinforzato con argilla sono sufficientemente ermetici
all’aria, ma consentono la diffusione del vapore.
Per ciò che riguarda la sola infiltrazione dell’umidità essa basta a rendere un
ambiente inadeguato ad assicurare una buona qualità dell’aria interna. Alcune
abitazioni, studiate con il preciso intento di comprendere il legame tra ermeticità
all’aria dell’involucro e benessere interno globale, hanno evidenziato un valore di
tenuta d’aria compreso tra i 4 e 10 h-1. Queste abitazioni da un lato non erano
sufficientemente ermetiche da evitare danni causati dalla fuoriuscita dell’aria
umida dall’altro invece lo erano troppo affinché le infiltrazioni mantenessero
l’equilibrio. Si è, perciò, giunti alla conclusione che fosse necessario avere un
livello più alto di impermeabilità all’aria, perciò tali abitazioni dovevano essere
considerate “non ermetiche”.
Senza un sistema di ventilazione il valore di tenuta all’aria deve essere almeno 3
h-1, con il sistema di ventilazione meccanica invece di 1,5 h-1.
Dall’esperienza maturata con lo standard PassivHaus una condizione importante è
ottenere un involucro il più ermetico possibile, ciò implica ottenere valori n50 più
bassi possibile: i valori indicativi non superano gli 0,6 h-1 e sono, generalmente,
compresi tra 0,2 e 0,6 h-1.
La tenuta all’aria è una caratteristica indipendente dalla tipologia di materiale
impiegato per la costruzione, i valori sopraindicati possono essere raggiunti sia
con materiali prefabbricati che in muratura. Le condizioni indispensabili per
ottenere valori utili sono chiaramente una progettazione dettagliata ed una
realizzazione accurata. Infatti, un involucro edilizio può dirsi chiuso
ermeticamente soltanto se consiste di uno strato uniforme ed ininterrotto che
avvolge l’intero volume dell’edificio. In fase progettuale, in particolare, è molto
importante specificare per ciascun componente dell’involucro quale parte di esso
sia dedicata al raggiungimento del valore di ermeticità di progetto ed, in secondo
luogo, deve essere altrettanto dettagliato come vengano fra loro collegati tali
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componenti per mantenere intatto l’involucro ermetico. Devono essere eseguiti,
infine, controlli accurati nei collegamenti tra muratura perimetrale e serramenti
ed, in generale, in tutti quegli elementi che attraversano l’involucro (eventuali
tubazioni, scatole di derivazione ecc…). E’ sufficiente, infatti, qualche
infiltrazione o giunti non correttamente eseguiti per causare perdite che possono
raggiungere anche i 1000 kWh all’anno.
1.5.5 Ventilazione meccanica forzata
Nella progettazione di una Casa Passiva gli obiettivi più importanti da
raggiungere sono il comfort e la salute degli inquilini. A questo scopo è
indispensabile assicurare un’eccellente qualità dell’aria interna e questo è
possibile solo se l’aria stantia viene sostituita da aria fresca ad intervalli regolari.
E’ chiaro che non si può arrivare a questo risultato semplicemente aprendo la
finestra un paio di volte al giorno. Il sistema di ventilazione meccanica dovrà
occuparsi di asportare costantemente l’aria viziata dagli ambienti quali cucine o
bagni e di rimpiazzare l’aria rimasta inviando aria fresca a camere, studi, ecc...
Esso si occuperà di fornire correttamente quella quantità di aria richiesta per
soddisfare gli standard qualitativi, impiegando solamente aria proveniente
dall’esterno senza, perciò, che dell’aria stantia venga rimessa in circolazione, e
assicurando, quindi, una elevatissima qualità dell’aria interna.
L’obiettivo può essere raggiunto con un impianto di ventilazione semplice, nel
quale l’aria viene immessa direttamente attraverso bocchette di immissione a
parete o a soffitto, con l’aria di rinnovo che entra nella stanza nella quantità
prestabilita. Tuttavia, questo tipo di impianto genererebbe delle perdite troppo
elevate per una Casa Passiva. Gli edifici a standard passivo sono stati realizzati
sempre utilizzando dei recuperatori di calore ad altissima efficienza. Il calore
viene così recuperato dall’aria esausta e fornito all’aria di rinnovo tramite uno
scambiatore di calore. Nel processo di scambio termico i flussi non si mescolano
tra di loro, lo stato dell’arte dei sistemi di ventilazione presenta dei valori di
recupero di calore superiori al 75% e inferiori al 95% [8]. Questi valori si
ottengono tramite l’utilizzo di scambiatori di calore a flussi incrociati e ventilatori
altamente efficienti (tipicamente motori-FC dalla straordinaria efficienza). Con
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questa tecnologia il calore recuperato è dalle 8 alle 15 volte superiore
all’elettricità richiesta.
Tale elevatissima efficienza degli impianti di ventilazione è motivata dall’uso di
tubature interrate. Durante il periodo invernale il terreno ha una temperatura più
elevata di quella dell’aria esterna e durante il periodo estivo presenta una
temperatura più bassa. E’, perciò, possibile preriscaldare direttamente l’aria di
rinnovo attraverso una condotta interrata in inverno oppure indirettamente
facendo circolare una soluzione salina all’interno di queste condutture interrate
riscaldando l’aria tramite uno scambiatore aria-liquido.
1.6 Soluzioni impiantistiche ad alta efficienza per case passive
1.6.1 Recupero dell’energia dall’aria stantia mediante uno scambiatore o
pompa di calore
L’espulsione all’esterno dell’aria esausta comporta sempre notevoli sprechi di
calore e questo è contrario al principio del risparmio energetico. Molta energia
può essere risparmiata, in inverno, con il recupero di calore dall'aria esausta in
uscita (fig.13 e fig.14). Il recupero richiede un impianto di ventilazione
meccanica. Gli edifici ad alta efficienza energetica sono, pertanto, dotati di
impianti di ventilazione con scambiatori in cui il calore dell'aria in uscita (20°C)
viene conferito all'aria fresca in entrata. Per ottenere buoni risultati, gli
scambiatori devono avere un rendimento di almeno il 60-75 % [3].
Fig.13: Principio di funzionamento scambiatore di calore a flussi incrociati
Sono in uso due tipi di scambiatori: 1) scambiatori a vie incrociate e 2) a flusso
inverso. I primi hanno un rendimento del 60 %, i secondi possono recuperare fino
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al 95 % del calore. E’ possibile anche l’installazione in serie di due scambiatori a
vie incrociate, così il recupero sale fino all’80%.
Fig.14: Due tipologie di scambiatori impiegati per il recupero del calore
Il recuperatore dovrebbe trovarsi all'interno dell'edificio termicamente ben isolato,
per mantenere minime le perdite di calore; deve essere, inoltre, ben accessibile per
le operazioni di ricambio filtri e manutenzione. Negli scambiatori può formarsi
della condensa che deve essere asportata e smaltita nella fognatura. Nel caso di
impianti di ventilazione autonomi, collocati all'interno di un alloggio, bisogna
tenere conto della leggera rumorosità dell'impianto ed installarlo in un locale con
pareti e porte acusticamente isolate. Affinché lo scambiatore non congeli a basse
temperature, l'aria fresca aspirata può essere preriscaldata in uno scambiatore di
calore interrato (fig.15 e fig.16). A questo scopo, il tubo d'aspirazione va interrato
per alcuni metri. Questo preriscaldamento riduce le perdite di calore dell'impianto
durante il periodo di riscaldamento e, in estate, lo scambiatore interrato raffredda
l'aria calda esterna in entrata.
Fig.15: Inserimento dello scambiatore nel sistema di ventilazione
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Un'altra possibilità di recuperare calore dall'aria esausta la offre l'uso di una
pompa di calore aria/aria. In questo caso l'aria fresca viene aspirata direttamente
(senza tubi o canali) dall'esterno e il calore recuperato dalla pompa utilizzato per
riscaldare l'acqua sanitaria.
Il ventilatore e la pompa di calore possono essere integrati in un unico
apparecchio. Spesso vengono anche integrati recuperatori a piastra per aumentare
lo sfruttamento dell'aria esterna. Il COP della pompa di calore dovrebbe essere
decisamente maggiore di 3, cioè produrre 1.000 W energia termica da 300 W
elettrica.
Fig.16: Schema di un impianto di ventilazione con pompa di calore e recuperatore a piastra
1.6.2 Utilizzo di pompa di calore con sonda geotermica orizzontale per la
climatizzazione estiva ed invernale utilizzando l’acqua come fluido
termovettore
La crescente esigenza di raffrescare gli ambienti nel periodo estivo, oltre che
riscaldarli nella stagione invernale, ha portato negli ultimi anni alla diffusione
delle pompe di calore reversibili, ossia di macchine termodinamiche in grado di
sottrarre calore dall’edificio per cederlo all’ambiente esterno in estate, e viceversa
in inverno.
L’efficienza di queste macchine è influenzata in maniera significativa dalle
temperature di esercizio, o meglio dal dislivello di temperatura tra ambiente
interno e sorgente esterna. Un grosso limite delle pompe di calore che utilizzano
l’aria come sorgente esterna è che in inverno la temperatura esterna risulta più
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bassa quando maggiore è la richiesta di calore per riscaldare. Queste
considerazioni portano a due conclusioni [9]:
• qualora ci si voglia avvalere delle pompe di calore, è opportuno abbassare la
temperatura alla quale si deve fornire calore ovvero, nel caso del
riscaldamento civile, orientarsi verso sistemi che possano fornire calore
operando a temperature dell’ordine dei 35°C come nel caso di pannelli
radianti anziché a 60°C e oltre come nel caso dei sistemi tradizionali;
• l’aria esterna, la più comune sorgente termica per le pompe di calore è
termodinamicamente poco efficiente, visto che il carico termico da soddisfare
cresce quando la temperatura esterna diminuisce facendo calare sia il COP
(vedi figura 17) sia la potenzialità termica erogabile dalla macchina.
Fig.17: Andamento del COP teorico e reale in funzione dell’incremento di temperatura, per una temperatura di riscaldamento di 60°C
Un’efficace alternativa all’aria come sorgente esterna di calore è offerta dal
terreno. Infatti questo presenta alcune caratteristiche molto favorevoli: a causa
della sua elevata inerzia termica, già a moderata profondità risente poco delle
fluttuazioni termiche giornaliere e stagionali, al punto che la sua temperatura si
può considerare pressoché costante per tutto l’anno; ciò porta ad avere differenze
di temperatura tra sorgente termica e ambiente da climatizzare inferiori rispetto a
quanto si avrebbe utilizzando l’aria esterna come sorgente termica, con
conseguente miglioramento dell’efficienza dell’impianto e minori costi operativi.
Inoltre, ci sono altri vantaggi rispetto allo sfruttamento dell’aria come sorgente di
calore: principalmente minor rumorosità e minor impatto estetico.
L’accoppiamento della pompa di calore al terreno visto come sorgente termica
esterna (GSHP: Ground-Source Heat Pump) può essere realizzato mediante sonde
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geotermiche, ovvero tubazioni inserite nel terreno e percorse da un fluido
termovettore, che non sono altro che un particolare tipo di scambiatore di calore.
Le pompe di calore che sfruttano il terreno come sorgente termica si possono
distinguere in tre categorie in funzione della modalità con cui avviene lo scambio
termico con il sottosuolo:
1. impianti accoppiati direttamente con il terreno attraverso un sistema di
tubazioni a circuito chiuso al cui interno scorre il fluido termovettore;
2. impianti che utilizzano l’acqua di falda come fluido termovettore, con o senza
reimmissione nella falda stessa dopo l’uso;
3. impianti che sfruttano l’acqua dei laghi e dei bacini come sorgente termica
attraverso un circuito che può essere sia aperto che chiuso.
Come è facile comprendere il caso 2 e il caso 3 richiedono situazioni ambientali
particolari legate alla disponibilità idrica e soprattutto comportano maggiori
vincoli legislativi sull’inquinamento termico delle acque (attualmente la materia è
regolamentata a livello nazionale dalla L. 152/99, ma sono da tener presenti
eventuali piani regionali di risanamento delle acque emanati da alcune Regioni).
Invece, il caso 1 è un sistema più adattabile alle diverse condizioni, anche per
quanto riguarda la disposizione delle tubazioni stesse nel terreno, che possono
assumere uno sviluppo orizzontale (lineare, a spirale, etc.) o verticale.
Sistema di captazione verticale
La tecnica di estrazione del calore è la tecnologia più consolidata e meno
influenzata dalle condizioni ambientali esterne. E' realizzata attraverso sonde
geotermiche di captazione (fig.18), costituite da tubi a U in polietilene nei quali
circola acqua miscelata con antigelo ecologico, che vengono calate in pozzi,
realizzati in perforazioni del diametro di pochi centimetri e invisibili dopo la
costruzione, che vanno dai 50 ai 150 m di profondità, a seconda della potenza
termica necessaria e della tipologia di terreno. Nel funzionamento in
riscaldamento invernale, la soluzione viene inviata nel circuito della sonda e, a
contatto con il terreno più caldo, si riscalda e viene portata alla pompa di calore,
che la utilizza come sorgente fredda. In fase di condizionamento estivo il ciclo
viene invertito ed il sistema cede al terreno il calore estratto dall'ambiente interno,
raffrescandolo. Grazie al fatto che il terreno è a temperatura costante durante tutto
l'anno, la pompa di calore mantiene sempre un'efficienza elevata di esercizio.
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Fig.18: Sonda geotermica verticale
Sistema di captazione orizzontale
Per prelevare questa quota di calore "gratuito, naturale e rinnovabile", si prevede
la posa di sonde geotermiche composti da tubi in polietilene ad alta densità, o tubi
di rame con guaina in polietilene anti corrosione, nei quali circola rispettivamente
acqua glicolata o fluido frigorifero ecologico (fig.19). Questi vengono interrati ad
una profondità dell'ordine di 2-2,5 metri: si tratta di una tipologia di impianto
indicata per le zone più temperate, e meglio esposte al sole per garantire "la
ricarica energetica del terreno".
Il fluido contenuto nella sonda geotermica a contatto con il terreno evapora,
sottraendo energia termica, da trasferire come sorgente fredda alla pompa di
calore e destinata a scaldare l'acqua di riscaldamento. La superficie esterna
necessaria è dell'ordine di 1,5-2 volte la superficie interna (molto dipende,
ovviamente, dal fabbisogno energetico dell'ambiente interno, e quindi dal grado di
isolamento). Ad installazione eseguita, il terreno sarà ripristinato: la posa di sonde
geotermiche non ha alcun impatto visivo, e non altera in alcun modo la natura del
terreno, nel quale è possibile piantare piccoli arbusti e coltivare fiori. L'unico
accorgimento da rispettare è che la zona di captazione non sia ricoperta da
materiali duri (piastrelle, cemento) che impedirebbero lo scorrimento delle acque.
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Fig.19: Sonda geotermica orizzontale
Le sonde geotermiche orizzontali a prima vista possono apparire più economiche
rispetto a quelle verticali, ma molto dipende dal tipo di scavo e dall’eventuale
presenza di falda superficiale.
Il campo di sonde a sviluppo orizzontale può presentarsi in diverse configurazioni,
differenti fra loro secondo le diverse disposizioni delle tubazioni, del numero di
tubi impiegati e della connessione fra i rami come illustrato in fig. 20.
E’ evidente che ad un maggiore fabbisogno termico dell’edificio corrisponde una
maggiore estensione della superficie del terreno dedicato alla posa del campo di
sonde. I parametri principali che influenzano il flusso termico scambiato fra la
sonda e il sottosuolo sono sostanzialmente la lunghezza della tubazione, la
profondità di installazione ed il passo tra i tubi; pertanto occorre valutare con
attenzione la disponibilità di superficie di terreno da parte dell’utenza qualora si
scelga di adottare un impianto a sonde geotermiche a sviluppo orizzontale.
Le sonde orizzontali richiedono comunque superfici del terreno sensibilmente
maggiori rispetto a quelle verticali risentendo, inoltre, in certa misura,
dell’escursione annuale di temperatura dell’aria esterna. Quest’ultimo aspetto
peraltro può giocare a favore di questa tecnologia, soprattutto in ambito
residenziale, dove il rapporto tra carichi invernali ed estivi è compreso tra 2 e 3.
Risulta, pertanto, interessante l’utilizzo delle sonde orizzontali, visto che la
rigenerazione del terreno in estate può essere fatta a spese della temperatura e
dell’irradiazione esterna e, quindi, in modo gratuito [10].
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Fig.20: Configurazioni di posa per le sonde geotermiche a sviluppo orizzontale
Questi impianti utilizzano il calore che si trova accumulato negli strati più
superficiali della terra: calore che, fino ad una profondità di 5 metri, si trova
disponibile a temperature variabili da 8 a 13°C. Questo calore deriva soprattutto
dal sole e dalle piogge. Infatti, fino ad una profondità di 5 metri, l’energia
geotermica non dà alcun contributo significativo, in quanto apporta meno di 1
caloria ogni 10 metri quadrati di terreno. Pertanto bisogna installare di questi
collettori in zone dove può arrivare, senza alcun impedimento, il calore
proveniente dal sole e dalle piogge.
A tal fine, non si deve coprire il terreno sotto cui sono posti i collettori con
costruzioni (garages, prefabbricati, porticati) e neppure con pavimenti
impermeabilizzati o con terrazze.
Si deve anche evitare che piante, siepi o altri arbusti possano creare significative
zone d’ombra. Questi collettori possono essere realizzati con tubi in polietilene,
polipropilene o polibutilene, posti in opera ad una profondità variabile da 0,8 a 2,0
m. Nei tubi è fatto circolare un fluido composto da acqua e antigelo.
Lo sviluppo dei collettori può essere del tipo a serpentini o ad anelli e deve
rispettare le seguenti distanze minime:
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• -2,0 m dalle zone d’ombra indotte da edifici confinanti, muri di cinta,
alberi, siepi o altri impedimenti;
• -1,5 m dalle reti degli impianti interrati di tipo non idraulico: reti
elettriche, del telefono e del gas;
• -2,0 m dalle reti degli impianti interrati di tipo idraulico: reti dell’acqua
sanitaria, delle acque di scarico e piovane;
• -3,0 m da fondazioni, recinzioni, pozzi d’acqua, fosse settiche, pozzi di
smaltimento e simili.
Nel progettare i sistemi di captazione del calore bisogna evitare non solo
sottodimensionamenti, ma anche sovradimensionamenti: cioè, bisogna evitare
soluzioni che possono rubare troppo calore al sottosuolo. Un raffreddamento
eccessivo del terreno può infatti provocare gravi conseguenze, sia per il
funzionamento della pompa di calore sia per la vegetazione, specie nel caso di
congelamento delle radici. I terminali d’impianto che meglio si adattano alle
pompe di calore geotermiche sono i sistemi radianti ed i ventilconvettori; in alcuni
casi si può adottare lo scambio diretto con l’aria inviata agli ambienti. In
quest’ultimo caso, benché sia possibile realizzare un salto termico ridotto rispetto
al caso in cui si utilizzi l’acqua come fluido termovettore, non è conseguibile in
modo agevole l’effetto di riduzione del picco del fabbisogno, ricorrendo, di
conseguenza, ad un costoso sovradimensionamento sia della macchina che
dell’intero impianto. Per completezza si ricorda che sono possibili degli accumuli
termici anche utilizzando l’aria come fluido termovettore ma presentano
sicuramente maggiore ingombro rispetto a quelli a cambiamento di fase oppure ad
accumulo sensibile d’acqua.
I sistemi a ventilconvettori necessitano di un certo sovradimensionamento perché
la temperatura di mandata dell’acqua è compresa tra 35°C e 40°C, inoltre, non
consentono alcun effetto di peak-shaving (attenuazione e sfasamento del picco del
fabbisogno). I sistemi radianti hanno come punto di forza la bassa temperatura di
alimentazione grazie alle ampie superfici che li caratterizzano. L’effetto della
temperatura superficiale sul comfort interno consente di avere temperature
dell’aria inferiori (durante la stagione invernale) e maggiori (durante la stagione
estiva) di quelle richieste dai sistemi di tipo convettivo riducendo, di fatto, le
dispersioni dell’ambiente e, quindi, il fabbisogno termico. Questo tipo di terminali
è caratterizzato da una certa inerzia termica che, per molto tempo, si è cercato di
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ridurre diminuendo il più possibile la massa coinvolta nello scambio di calore, al
fine di rendere quanto più rapida possibile la risposta alla richiesta dei carichi
interni. Una nuova tendenza, particolarmente promettente per l’accoppiamento
alle pompe di calore geotermiche è, invece, quella di incrementare il più possibile
la massa dell’impianto radiante. Questi sistemi sono conosciuti con i termini di
“active thermal slab” o “Betonkernoktivierung” o “attivazione termica della
massa” e sono caratterizzati dal fatto che l’intero solaio è coinvolto nello scambio
termico (non c’è la presenza di un isolante termico come si può vedere in fig. 21).
Fig.21: Sezione della struttura di un “active thermal slab”
L’adozione di questa tipologia d’impianto (che in realtà è difficile distinguere
dall’edificio) permette di adottare diverse strategie di funzionamento consentendo
bassi costi di esercizio a parità di comfort interno rispetto agli impianti
tradizionali: tra le varie strategie possibili è importante sottolineare quella che
consente l’accumulo termico notturno (sfruttando l’eventuale tariffa elettrica
bioraria), rendendo possibile l’utilizzo della potenza termica durante il giorno per
il solo trattamento dell’aria primaria, evitando in tal modo la sovrapposizione dei
fabbisogni. Si può facilmente intuire che una simile soluzione consente di ridurre
considerevolmente la potenza nominale installata abbassando sia i costi di
installazione sia quelli di esercizio, consentendo di conseguenza tempi di ritorno
del capitale investito relativamente brevi. L’effetto di “peak-shaving” si ottiene
senza sistemi di accumulo aggiuntivi, ma sfruttando esclusivamente la massa del
solaio termicamente attivo. Il costo del “thermal slab” è pari o inferiore a quello di
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un usuale sistema a pannelli radianti dal momento che si utilizzano componenti
che già fanno parte dell’edificio: il costo maggiore dell’impianto deriva
sicuramente dalla pompa di calore reversibile e dalle sonde geotermiche.
In tabella 3 si riportano i rendimenti specifici per diversi tipi di terreno:
Tipologie di sottosuolo Rendimento W/m Terreno asciutto 20 Roccia o terreno umido 50 Roccia con alta conducibilità 70 Ghiaia, sabbia asciutta <20 Ghiaia, sabbia satura 55-65 Argilla, limo umido 30-40 Roccia calcare 45-60 Arenaria 55-65 Granito 55-70 Gneiss 60-70
Tab.3: Valori approssimativi di rendimenti specifici per diversi tipi di sottosuolo per sonde
geotermiche collocate a 1÷2 metri di profondità
1.6.3 Raffrescamento ventilativo mediante scambiatore geotermico ad aria
Nei sistemi di raffrescamento ventilativo geotermico, il controllo della
temperatura in ambiente, avviene per mezzo dell’aria di rinnovo, che circola in
condutture a contatto con il terreno profondo e, quindi, si raffredda prima di
entrare in ambiente. L’aria è fatta circolare attraverso le condutture interrate,
tramite un ventilatore [16].
Le parti che costituiscono tale sistema sono le seguenti (fig.22):
1. testa di captazione ad elemento di aspirazione verticale, provvista di filtro;
2. condotto interrato, orizzontale con pendenza costante;
3. sistema di scarico della condensa;
4. canali di distribuzione dell’aria all’interno dell’edificio.
L’aria viene prelevata all’esterno dalla testa di captazione, dotata di apposito
sistema filtrante; giunta in profondità, percorre il condotto orizzontale e, per
effetto dello scambio termico con le superfici della stessa tubazione a contatto con
il terreno, diminuisce la propria temperatura. A valle di tale condotto, l’aria
raffrescata attraversa un pozzetto di scarico della condensa, che può drenare
direttamente nel terreno (soluzione tipica nel caso di assenza di un piano interrato
dell’edificio) o essere collegato, attraverso un sifone a bottiglia, alle acque
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bianche della rete fognaria domestica. L’aria, quindi, attraverso i canali di
distribuzione raggiunge gli ambienti da climatizzare.
Fig.22: layout raffrescamento ventilativo geotermico
L’immissione dell’aria in ambiente può avvenire in modo diretto o attraverso il
collegamento all’impianto di ventilazione meccanica che, qualora dotato d’unità
di trattamento aria e relativo recuperatore di calore, può controllarne le
caratteristiche microclimatiche.
Il dimensionamento dei condotti deve essere seguito sulla base della portata d’aria
di rinnovo richiesta, per esigenze igieniche e/o di raffrescamento, secondo i
principi di dimensionamento degli impianti a tutt’aria. Tale portata può essere
determinata considerando le caratteristiche degli spazi che saranno serviti dallo
scambiatore geotermico o desunta direttamente dal dimensionamento dell’unità di
trattamento aria con la quale, se presente, il sistema di scambio geotermico si
dovrà interfacciare. Le variabili che devono essere definite, in fase di
dimensionamento dei condotti, sono:
1. sezione e area perpendicolare al flusso di ogni condotto;
2. velocità dell’aria;
3. numero dei condotti.
La sezione tipica consigliata per i condotti interrati è quella circolare, che riduce
le perdite di carico e sopporta meglio la pressione del terreno sovrastante. Il
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diametro che ottimizza la superficie di scambio e limita i costi di fornitura, è di
20-25 cm.
La velocità ottimale dell’aria all’interno dei condotti varia, in genere, tra 3 e 5
m/s; velocità maggiori sono sconsigliate, poiché riducono l’efficacia dello
scambio termico e determinano un incremento delle perdite di carico all’interno
dei condotti.
Sulla base delle precedenti considerazioni, il numero dei condotti che
compongono lo scambiatore geotermico può essere determinato attraverso la
seguente relazione:
( )pru vA
Gn
⋅=
dove:
G: portata d’aria [m3 /s];
Au: area di sezione del singolo condotto [m2];
vpr: velocità di progetto dell’aria all’interno del condotto [m /s].
Se si considera il periodo estivo, l’aria calda è introdotta nel sottosuolo, come
sopra descritto e, percorrendo il condotto nella sua lunghezza, cede calore per
convezione alle superfici lambite. Tale calore viene, quindi, trasferito per
conduzione attraverso lo spessore del condotto e, a sua volta, verso gli strati più
profondi del terreno. Quest’ultimo si comporta come una grande massa di
accumulo che, grazie alla sua elevata capacità termica, è in grado di assorbire e
disperdere il calore così scambiato.
La capacità termica del terreno, tuttavia, non è illimitata; seppur con lentezza, per
la grande inerzia, lo scambiatore geotermico tende a riscaldare la porzione di
terreno limitrofo. Tale fenomeno dipende da:
� la sollecitazione termica, ossia dal calore fornito dallo scambiatore
geotermico;
� le caratteristiche del terreno, ed in particolare la sua diffusività termica,
che indica la rapidità con cui il calore si diffonde in profondità.
Se il terreno è dotato di un’elevata diffusività termica, il calore che viene
scambiato attraverso le superfici del condotto viene rapidamente propagato in
profondità; tali superfici e la corona di terreno limitrofo, pertanto, tenderanno a
non surriscaldarsi come avviene, invece, nei terreni caratterizzati da una bassa
diffusività. In modo analogo lo stesso tipo di terreno, al cessare del passaggio
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dell’aria nei condotti, tende a raffreddarsi con maggiore rapidità, recuperando più
velocemente la temperatura del terreno indisturbato.
Dati di monitoraggio testimoniano che la lunghezza del condotto e la distanza tra
le canne per scambiatori a collettore, sono parametri di primaria importanza nel
definire le prestazioni nel tempo. Per quanto riguarda il primo parametro, si è
rilevato che lo scambio termico maggiore avviene nel tratto iniziale del condotto,
caratterizzato dalla più alta differenza di temperatura tra l’aria e il terreno. Tale
segmento tenderà, pertanto, a surriscaldarsi più rapidamente, determinando una
riduzione della superficie di scambio effettiva e, quindi, delle potenzialità di
raffrescamento del sistema. L’effetto è paragonabile a quello di riduzione della
lunghezza del condotto.
Per quanto riguarda il secondo parametro, occorre considerare che la diffusione
del calore nella corona di terreno circostante ciascuna canna interferisce con
quelle adiacenti, determinando una più rapida riduzione della superficie di
scambio effettiva.
1.7 Utilizzo del solare termico per la climatizzazione invernale
Il collettore solare piano nella sua configurazione più semplice è costituito:
1. da una piastra canalizzata solitamente metallica;
2. da uno strato di materiale isolante;
3. da una o più coperture trasparenti.
La piastra ha la funzione di raccogliere la radiazione solare e di cedere l’energia
ad un fluido termovettore [11], generalmente un’opportuna miscela di acqua e
antigelo o aria. Salvo il caso che il fluido vada ad interessare l’intera superficie
(lama fluida) della piastra come avviene spesso nei collettori ad aria, è importante
avere un’ottima conducibilità termica che consenta il passaggio dalla piastra ai
canali dell’energia raccolta anche con un salto di temperatura limitato. La piastra
è solitamente costituita da un metallo ad elevata conduttività termica (rame o
alluminio) anche se, talvolta, viene realizzata in acciaio usando adeguati spessori.
Lo strato di materiale isolante limita le dispersioni nelle parti posteriore e laterale
del collettore: la piastra si trova all’interno di un contenitore che ospita sia gli
schermi trasparenti che l’isolante e protegge il collettore solare dagli agenti
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atmosferici. Per garantire una lunga resistenza del contenitore, esso viene
realizzato spesso in acciaio inox o in alluminio.
La fig. 23 evidenzia un semplice schema di un collettore solare piano. Si nota lo
schermo trasparente nella parte superiore. Esso è per lo più realizzato in vetro, per
la caratteristica nota del vetro di risultare molto trasparente alla radiazione solare,
ma poco o nulla trasparente alla radiazione termica che si sviluppa dalla piastra
calda.
Fig.23: Schema elementare di un collettore solare piano
Il rendimento di un collettore solare, cioè la frazione della radiazione solare
incidente che viene fornita all’impianto come energia termica utile, risulta tanto
migliore quanto maggiore è la trasparenza alla radiazione solare degli schermi
trasparenti e la capacità di assorbimento della piastra. Si possono ottenere ottimi
risultati su questo versante, utilizzando vetro a basso contenuto di Fe e con un
rivestimento in nero fumo della piastra. Non bisogna dimenticare comunque che
anche un vetro ad alta trasparenza risente fortemente dell’angolo di incidenza
della radiazione, come illustrato dalla fig. 24 che mostra l’andamento tipico del
prodotto trasmissività-assorbimento in funzione dell’angolo di incidenza rispetto
al valore ad incidenza normale.
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Fig.24: Andamento tipico del prodotto trasmissività-assorbimento in funzione dell’angolo di
incidenza della radiazione rispetto al valore ad incidenza normale
1.7.1 Funzionamento impianto solare
Fig.25 Impianto a circolazione forzata
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Un impianto a circolazione forzata (fig.25) è formato da un collettore solare a sé
stante, connesso attraverso un circuito con un serbatoio localizzato nell’edificio.
All’interno del circuito solare si trova acqua o un fluido termovettore antigelo. La
pompa di circolazione del circuito solare è attivata da un regolatore differenziale
di temperatura quando la temperatura all’interno del collettore è superiore alla
temperatura di riferimento impostata nel serbatoio di accumulo. Il calore viene,
quindi, trasportato al serbatoio di accumulo e ceduto all’acqua sanitaria mediante
uno scambiatore di calore.
Mentre in estate l’impianto solare copre tutto il fabbisogno di energia per il
riscaldamento dell’acqua sanitaria, in inverno e nei giorni con scarsa insolazione
serve per il preriscaldamento dell’acqua. La parte del serbatoio che contiene
l’acqua calda a pronta disposizione, cioè quella da tenere sempre in temperatura,
può essere riscaldata da uno scambiatore di calore collegato a una caldaia. Il
riscaldamento ausiliario viene comandato da un termostato quando nel serbatoio
la temperatura dell’acqua nella parte a pronta disposizione scende al di sotto della
temperatura nominale desiderata.
Negli impianti a circolazione naturale la circolazione tra collettore e serbatoio di
accumulo viene determinata dal principio di gravità, senza energia addizionale. Il
fluido termovettore si riscalda all’interno del collettore. Il fluido caldo all’interno
del collettore è più leggero del fluido freddo all’interno del serbatoio, tanto che a
causa di questa differenza di densità si instaura una circolazione naturale. Il fluido
riscaldato cede il suo calore all’acqua contenuta nel serbatoio e ricade nel punto
più basso del circuito del collettore. Negli impianti a circolazione naturale il
serbatoio si deve trovare quindi in un punto più alto del collettore.
Negli impianti a un solo circuito l’acqua sanitaria viene fatta circolare
direttamente all’interno del collettore.
Negli impianti a doppio circuito il fluido termovettore nel circuito del collettore e
l’acqua sanitaria sono divisi da uno scambiatore di calore. Gli impianti a
circolazione naturale vengono offerti come un’unità premontata fissata su una
struttura di supporto oppure vengono integrati nel tetto. Il riscaldamento ausiliario
può essere ottenuto con una resistenza elettrica inserita nel serbatoio oppure con
una caldaia istantanea a valle del serbatoio.
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1.7.2 Integrazione del solare termico con caldaia a condensazione
La caldaia a condensazione oltre a sfruttare il calore generato dalla combustione
permette di recuperare quella quantità che è contenuta nei fumi di scarico.
Mediante il loro raffreddamento, il vapore acqueo contenuto nei fumi condensa
cedendo il calore trattenuto. Questo processo innalza notevolmente il rendimento
dell’apparecchio consentendo un risparmio fino al 15% dell’energia termica
rispetto a caldaie convenzionali a gas. Le caldaie a condensazione possono essere
installate in qualsiasi impianto di riscaldamento: particolarmente vantaggiosi sono
i sistemi a bassa temperatura (pannelli a pavimento).
Fig.26: Pannello solare collegato ad una caldaia a condensazione
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1.7.3Pompa di calore geotermica integrata col solare termico
Lo sfruttamento delle fonti di energia rinnovabile può essere contemporaneo e ciò
allo scopo di raggiungere risultati di efficienza più alti superando i limiti delle
singole tecnologie [13]. E’ possibile individuare più possibili interazioni tra le
quali, ad esempio, pompa di calore geotermica assistita da fonte solare. L’idea
consiste nello sfruttare l’acqua calda prodotta da un collettore solare termico per
innalzare la temperatura di evaporazione durante la stagione invernale. Questo
consente di ridurre la dimensione del pannello solare rispetto al caso in cui esso
venga usato direttamente per l’alimentazione dei terminali di riscaldamento e di
ottenere una continuità di esercizio anche in mancanza di sole. Lo schema
impiantistico è riportato in fig. 27:
Fig.27: Pompa di calore geotermica con integrazione solare
L’acqua riscaldata dal collettore solare viene inviata al circuito di scambio
termico fra il terreno e l’acqua dell’evaporatore, miscelandovisi in maniera
opportuna e innalzandone la temperatura a valori più alti di quelli possibili con il
solo effetto geotermico. In questo modo il funzionamento della pompa di calore
migliora sensibilmente, fino ad ottenere valori di COP anche superiori a 5, in
quanto la temperatura di evaporazione può essere innalzata fino al suo limite
costituito dal minimo rapporto di compressione sopportabile dal compressore.
Per questa soluzione bisogna prevedere di smaltire tutta l’energia captata dal
collettore solare durante l’estate (a meno del suo utilizzo diretto come acqua
sanitaria), stagione in cui l’acqua calda in circolo al condensatore della pompa di
calore risulterebbe controproducente ai fini dell’efficienza dell’impianto. E’
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necessario, allora, dotarsi di sistemi di smaltimento del calore o di inibizione della
capacità del pannello di captare l’energia solare.
Il reintegro energetico del geoscambiatore per mezzo dei pannelli solari è stato
concepito in rapporto alle basi logiche seguenti [12]:
1. il circuito dei pannelli solari viene impiegato quando la temperatura dell'acqua
prodotta è superiore a quella che si ha sulla mandata o sul ritorno del
geoscambiatore. In questo modo è possibile recuperare energia dal sole anche in
condizioni che normalmente non sono considerate utili (per esempio, potrebbe
essere sufficiente una temperatura di 10° C o addirittura meno).
2. l’acqua riscaldata dai pannelli solari può essere inviata sia direttamente alla
macchina a pompa di calore, sia al geoscambiatore, anche modulando la portata,
allo scopo di ottenere una temperatura dell’acqua che consenta la massima
efficienza della macchina. Il funzionamento nelle due condizioni estreme è
ideogrammato nelle figg. 28 e 29 seguenti.
Fig.28: Funzionamento invernale
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Fig.29: Funzionamento estivo
3. i pannelli solari prelevano acqua dalla mandata o dal ritorno del geoscambiatore
alla temperatura più bassa disponibile allo scopo di massimizzare il recupero
energetico. Questo è consentito dal sistema di regolazione appositamente studiato,
il quale, interpretando i dati delle temperature rilevate sul circuito del
geoscambiatore, agisce sui seguenti organi:
a. la pompa del circuito dei pannelli solari (più esattamente quella tra scambiatore
a piastre e geoscambiatore, che nello schema in fig. 30 riportato alla pagina
seguente è individuata come EP06);
b. le valvole a tre vie presenti nelle interconnessioni tra i due circuiti (pannelli
solari e geoscambiatore).
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Fig.30: Schema delle interconnessioni tra circuito dei pannelli solari e circuito del
geoscambiatore
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