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Paolo VI e il Vietnam: fra contestazione e peacebuilding. I documenti inediti del Fondo Amintore Fanfani e il pre-negoziato segreto del 1968

1. gLI aNtefattI NegozIaLI: Le operazIoNI maRigoLD e KiLLy

Con l’apertura del Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica intende, come è noto, riproporsi sullo scenario del mondo contemporaneo con una presenza più incisiva che implica l’assunzione di un ruolo primario tra i soggetti prota-gonisti della politica mondiale.

Per questo motivo Paolo VI (salito sul trono pontificio il 21 Giugno1963, con il Concilio in itinere) inizia a cercare nuovi spazi nella mappa dei rapporti Chiesa-Mondo, e sente l’obbligo di adeguare al dettato conciliare anche la politica estera della Santa Sede, chiamata ora a grandi responsabilità.

Il mondo è in fermento, e da strati sempre più ampi della società civile giungono pressanti istanze di maggiore giustizia sociale e di pace, soprattutto dopo che il processo di distensione internazionale, iniziato con Giovanni XXIII, Kennedy e Kruscev, sembra essersi arenato nelle secche della guerra del Vietnam che, negli anni Sessanta, costituisce l’epicentro dell’interesse mondiale.

La disponibilità di nuovi documenti diplomatici presso gli archivi istituzio-nali italiani arricchisce oggi la conoscenza della politica estera del Vaticano.

È noto come papa Paolo VI abbia proposto, negli anni Sessanta, la Santa Sede quale soggetto attivo dei processi di peacebuilding in tutti i settori più caldi dello scacchiere mondiale, dall’Europa dell’Est al Medio-Oriente, al Vietnam.

Il Sud-Est asiatico è appunto uno dei teatri di guerra in cui l’attività nego-ziale della Santa Sede si dispiega con maggiore intensità. Nella storia eccle-

* Dottore di ricerca in storia contemporanea, ricercatrice presso la Fondazione Alcide De Gasperi di Roma.

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siastica relativa agli anni Sessanta è già stato analizzato l’impegno pubblico di papa Paolo VI per la cessazione delle ostilità, attraverso appelli, discorsi e allocuzioni che delineano un’autentica teologia della pace e dei diritti umani1. Ugualmente è nota l’azione vaticana, dietro le quinte del conflitto, a sostegno delle operazioni negoziali Marigold2 e Killy che imposero la Sante Sede come autorevole interlocutrice delle diplomazie internazionali3 e in particolare di quella statunitense4.

Tuttavia, nella ricostruzione storica del ruolo vaticano nei tentativi di pa-cificazione del Vietnam, vi è ancora un grande vuoto cronologico, un’assenza significativa. Si tratta della primavera-autunno 1968.

Finora, infatti, l’analisi storiografica periodizza l’azione di Paolo VI fra il 4 ottobre 1965 (il famoso discorso del papa all’Assemblea generale delle Nazioni Unite) e il 31 marzo 1968 (giorno in cui Johnson annuncia una so-spensione dei bombardamenti americani sul territorio nordvietnamita).

1 A. dUpUy, PaulVIetladiplomatiepontificale, in Paul VI et la modernité dans l’Eglise, Actes du col-loque organisé par l’Ecole française de Rome, Rome 2-4 juin 1983, Ecole française de Rome, Roma 1984, pp. 463-64; Id. LaDiplomatieduSaint-SiègeaprèsleIIeconcileduVatican.LepontificatdePaul VI 1963-1978, Téqui, Paris 1980, pp. 73 e ss.; ph. LevILLaIN, Le róle du Saint-Siège dans les relationsinternationalessouslepontificatdePaulVI, in Paul VI et la vie internationale (Journées d’études, Aix-en-Provence, 18-19 mai 1990), Studium, Roma 1992, pp. 27-36. Per l’inquadramento nel contesto del concilio, cfr. G. tUrBaNtI, Il tema della pace al concilio Vaticano II, in Chiesa e guerra. Dalla “benedizione delle armi” alla “Pacem in terris”, a cura di M. fraNzINeLLI e R. Bot-toNI, il Mulino, Bologna 2005, pp. 563-607; G. verUCCI, PaceeguerranellelineedeipontificatidiPaolo VI e di Giovanni Paolo II, ivi, pp. 685-719; D. meNozzI, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Versounadelegittimazionereligiosadeiconflitti, il Mulino, Bologna 2008; P. toULat, La pace: tra la buona novella e il male minore, in Il Vaticano II e la Chiesa, a cura di G. aLBerIgo, J.-P. JoSSUa, Paideia, Brescia 1985, pp. 261-287.

2 Sull’operazione Marigold e il rapporto fra politica estera italiana e mediazione in Vietnam cfr. M. gUderzo, La guerre du Vietnam et l’intégration européenne: deux questions globales pour l’admi-nistration Johnson, in La Guerre du Vietnam et l’Europe, a cura di C. goSCha, M. vaïSSe, Bruylant, Bruxelles 2003, pp. 33-47; L. NUtI, The Center-Left Government in Italy and the Escalation of the Vietnam War, in America’s War and the World. Vietnam in International and Comparative Perspec-Vietnam in International and Comparative Perspec-tives, a cura di A.W. daUm, L.C. gardNer e W. maUSBaCh, Cambridge University Press, Cambridge 2003, pp. 259-278.

3 M. mUgNaINI, La diplomazia di Paolo VI di fronte ai problemi della guerra e della pace, in Guerra e pace nell’Italia del Novecento. Politica estera, cultura politica e correnti dell’opinione pubblica, a cura di L. gUgLIa, R. moro e L. NUtI, il Mulino, Bologna 2006, pp. 232-247; A. meLLoNI, La politica internazionale della Santa Sede negli anni Sessanta, in Ilfilosottile.L’Ostpolitikvaticanadi Agostino Casaroli, a cura di A. meLLoNI, il Mulino, Bologna 2006, pp. 26-35.

4 Sugli incontri diretti fra papa Paolo VI e Lyndon Johnson il 5 ottobre 1965 a New York e il 23 dicem-bre 1967 in Vaticano, cfr. le memorie degli ex collaboratori del presidente americano Joseph Califa-no e Jack Valenti, rispettivamente J. vaLeNtI, A very human President, Norton, New York 1975, pp. 286-291, e J. CaLIfaNo, The Triumph and Tragedy of Lyndon B. Johnson, Simon & Schuster, New York 1991, p. 72. Sullo stesso argomento si possono consultare i documenti della Johnson Library editi in Foreign Relations of the United States (d’ora in poi FRUS), 1964-1968. vol. XII, Western Europe, Document 303, pp. 643-645 e 310, pp. 660-666.

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A partire da questo momento il Vaticano sembra uscire di scena dalla controversia vietnamita.

Questa circostanza ha suggerito conclusioni storiografiche molto impe-gnative. È stato sostenuto infatti che dal 1968 in poi «l’action du Saint-Siège à regarde de la guerre du Vietnam – encore que les appels en faveur de la paix mondiale et de la réconciliation nationale vietnamienne ne prirent pas fin – se fit cependant de plus en plus prudente et discrète et fut même à certains mo-ments interprétée comme étant en harmonie avec initiative diplomatique de Nixon»5.

Questa affermazione sembrerebbe confermare, a posteriori, le ragioni della protesta dei movimenti del «dissenso» cattolico che, nel 1968 in Italia e Francia, sottoposero a forti tensioni sociali il Pontificato di Paolo VI, sul-la base di contestazioni che prendevano frequentemente spunto proprio dalla questione pacifista.

I documenti inediti qui presentati consentono invece di riconsiderare l’impegno per la pace di Paolo VI.

Si tratta di: 1) appunti autografi del ministro degli Esteri italiano Amintore Fanfani su carta semplice, priva sia d’intestazione che di datazione dell’anno6; 2) trascrizione, del 27 aprile, di una comunicazione verbale di mons. Antonio Travia, figura centrale dell’entourage di Paolo VI, al capo di Gabinetto del Ministero degli Affari Esteri Carlo Marchiori, insieme con appunto autografo di mons. Luigi Raimondi, nunzio apostolico a Washington, nella stessa data.

Essi evidenziano infatti un momento saliente dell’azione mediatrice della Santa Sede nel conflitto vietnamita e mettono in luce la centralità del Vaticano come soggetto garante tra gli Stati Uniti e i due Vietnam.

Di questo episodio era conosciuto finora solo l’aspetto, limitato e parzia-le, della candidatura dei palazzi vaticani come sede di una conferenza di pace7

5 M. mUgNaINI, Le Saint-Siège et la guerre du Vietnam, in La guerre du Vietnam et l’Europe 1963-1973, a cura di C. goSCha et M. vaïSSe, LGDJ-Bruylant, Paris-Bruxelles 2003, p. 413.

6 Per questo motivo tali documenti erano stati fascicolati, nell’ordinamento del fondo Amintore Fan-fani presso il Senato della Repubblica italiana, in una busta miscellanea contenente materiale d’ar-chivio di secondaria importanza. Chi scrive ha compiuto la decifrazione grafologica del documento e la sua esegesi storica e filologica. In questo modo è stato possibile portarne alla luce il contenuto e ricondurre il documento all’aprile del 1968. Si deve dunque ritenere che il documento vada inte-grato all’interno del diario manoscritto di Fanfani fra le annotazioni del 23 aprile e del 3 maggio di quell’anno.

7 Un’annotazione del 28 aprile 1968 nel diario dell’ambasciatore italiano a Saigon Giovanni D’Or-landi parla di un’«offerta» del Vaticano «avanzata molto riservatamente»: «Alle 10,30 sono andato a via Platone dal presidente Fanfani. Mi ha detto che il cardinale Dell’Acqua lo aveva avvicinato per sapere se il governo italiano avrebbe concesso le facilitazioni necessarie alla delegazione nord-vietnamita che sarebbe venuta a Roma qualora l’offerta avanzata dal Vaticano di essere prescelto

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e in particolare del Laterano8, su proposta anche di mons. Agostino Casaroli, per ospitare i colloqui diplomatici messi in moto dal discorso del presidente Lyndon Johnson del 31 marzo 1968.

L’intervento vaticano, che significativamente coincide con quel lasso temporale (aprile 1968) che è stato finora l’anello cronologico mancante nelle ricostruzioni storiografiche sull’argomento, s’inserisce però in una più vasta e complessa trama diplomatica.

La rilevanza storica dell’episodio può essere compresa solo alla luce dell’evoluzione degli eventi che l’hanno preceduta: oltre alle operazioni Ma-rigold e Killy, il pre-negoziato romano che il ministro degli Esteri italiano sintetizza nella formula matematica x=y+z.

Le prime due operazioni, pur abbastanza note, sono state recentemente oggetto di un interessante aggiornamento storiografico, in forza dell’integra-zione delle fonti polacche, di cui è opportuno tenere conto.

Del pre-negoziato romano si è scritto invece relativamente poco. Eppure la ricca documentazione sul Vietnam nelle carte di Amintore Fanfani consente di poter affermare che esso segnò una tappa fondamentale nell’evoluzione della vicenda vietnamita e, in un certo senso, anticipò la svolta del famoso discorso di Johnson del 31 marzo 1968.

Dunque le nuove acquisizioni documentarie offrono un’occasione per ri-leggere storicamente il «Vietnam dei cattolici» nei suoi riflessi politici, socio-culturali e diplomatici, e per mettere in evidenza la reale posizione del papa su una questione, quella appunto vietnamita, che ha segnato in modo discri-minante la storia del suo Pontificato e che ha contribuito direttamente alla disaggregazione politica del mondo cattolico.

Per Paolo VI trovare canali di mediazione che portino a un allentamento delle tensioni e, possibilmente, a una risoluzione del conflitto è una necessità pastorale. La Chiesa conta nel Sud-Est asiatico alcuni milioni di cattolici, la maggior parte dei quali è stata costretta a una emigrazione forzata nel Sud-

quale sede per la conferenza fosse accolta dalle due parti. Tale offerta è stata avanzata molto riser-vatamente e, ritengo, per evidenziare il personale interessamento del papa alla questione vietnamita. Fanfani mi ha detto di aver dato tutte le assicurazioni del caso con quei particolari previsti quando vi era ancora la possibilità che l’ospite fosse il governo italiano. Nel caso ipotizzato dal vicario di Roma si tratterebbe del Vaticano ma sempre Roma è. Conveniamo peraltro che se un serio lavoro di preparazione non è stato fatto già da tempo, l’offerta vaticana ha, disgraziatamente, poche possibilità di essere accolta»; in G. d’orLaNdI, Diario vietnamita. 1962-1968, Roma, Edizione Trentagiorni Società cooperativa, Roma 2006, p. 919

8 S. magISter, La politica vaticana e l’Italia. 1943-1978, Editori Riuniti, Roma 1979, p. 382; M. merLe, C. de moNtCLoS, L’église catholique et les relations internationales: depuis la Seconde Guerre mondiale, Le Centurion, Paris 1988, p. 118; M. mUgNaINI, La diplomazia di Paolo VI di fronte ai problemi della guerra e della pace, cit., p. 244.

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Vietnam dopo la pace di Ginevra del 1954, che sanciva il riconoscimento degli Stati di Laos, Cambogia e Vietnam e la suddivisione di quest’ultimo in due zone lungo la linea del 17° parallelo9.

In secondo luogo, prendere posizione rispetto al conflitto vietnamita è un obbligo politico imprescindibile, oltre che un forte richiamo alla coscienza civile. L’appello del papa alla pace si declina nei termini di un umanesimo integrale, che porta la Chiesa «esperta in umanità» a riaffermare, anche sul piano politico, la teleologia del messaggio evangelico.

Lo spirito di questo Evangelium che la Chiesa intende far valere di fronte al mondo è emblematicamente riassunto nel discorso di Paolo VI all’assem-blea dell’ONU nel 1965: «Siamo portatori di un messaggio per tutta l’umanità [...]. Noi, quali esperti in umanità, convinti come siamo che essa rappresenta la via obbligata della civiltà moderna e della pace mondiale [...] sentiamo di fare Nostra la voce dei morti e dei vivi alla dignità della vita [...]. Procurate di richiamare fra voi chi da voi si fosse staccato, e studiate il modo per chiamare [...] al vostro patto di fratellanza chi ancora non lo condivide»10.

Poco dopo il rientro di Paolo VI dall’ONU, nella IV e ultima sessione del Concilio Vaticano II, viene conclusa la discussione sulla seconda parte dello schema XIII (nucleo della Costituzione pastorale Gaudium et spes) dedica-ta al tema della guerra e pace11. L’ultimo paragrafo ribadiva l’impegno della Chiesa per la realizzazione dell’obiettivo della pace e invitava all’amicizia e alla solidarietà fra i popoli e, a tal fine, si appellava ai fratelli separati di tutte le religioni, ai credenti e anche ai non credenti affinché si adoperassero per il benessere dell’umanità12.

Nel settembre dell’anno successivo il papa torna con forza sul tema della pace nella lettera enciclica Christi Matri.

Il Santo Padre vi esortava il popolo cristiano a pregare la Madre di Dio per il dono della pace: «Si addensa infatti – scriveva il papa – il pericolo di una

9 E.E. moISe, Geneva Conference and Geneva Accords of 1954, in The Encyclopedia of the Vietnam War: A Political, Social, and Military History, a cura di S. C. tUCker, ABC-CLIO, Santa Barbara 2011, p. 414.

10 Discorso del Santo Padre alle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. III, Tipografia poliglotta vaticana, Città del Vaticano, 1963-1965, pp. p.516-523. Sull’importanza stori-ca di questo discorso cfr. A. rICCardI, Il Vaticano e Mosca. 1940-1990, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 275; R. morozzo deLLa roCCa, Il viaggio di Paolo VI all’Onu nel contesto del Concilio Vaticano II, in A quarant’anni dal Concilio della speranza. L’attualità del Vaticano II, a cura di D. BoNIfazI, E. BreSSaN, CEUM, Macerata 2008, pp. 81-96.

11 La coincidenza è notata in A. rICCardI, Il Vaticano e Mosca. 1940-1990, Laterza, Roma-Bari, 1992, p. 276.

12 G. aLBerIgo, A. meLLoNI, Storia del concilio Vaticano II. Vol. 5: Concilio di transizione: il quarto periodo e la conclusione del Concilio (1965), il Mulino, Bologna 2001, p. 63.

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più vasta e dura calamità, che incombe sull’umana famiglia, poiché, special-mente nelle regioni dell’Asia orientale, ancora si combatte con spargimento di sangue, e infuria una guerra difficile; e pertanto Ci sentiamo spinti a tentare nuovamente e con maggior forza tutto quanto è in Nostro potere per garantire la pace»13.

Dunque in relazione alla questione vietnamita non c’è solo la guerra guerreggiata, più o meno motivata da interessi di parte e/o da pregiudiziali ideologici, bensì tutto il complesso delle interrogazioni morali che attengono alla sfera dei diritti primari e della tutela della vita minacciata da forme di bombardamenti discutibili e dalla minaccia nucleare. Favorendo il dialogo per la pace, il papa risponde perciò, insieme ai forti appelli di tanta parte dell’opinione pubblica mondiale soprattutto giovanile, al monito mai spento della coscienza cristiana universale14. E il Santo Padre non perde occasio-ne per sollecitare i leader democristiani a un impegno sempre maggiore sul fronte della pace. Così annota infatti nella primavera del 1966 il ministro degli Esteri Fanfani a margine di un colloquio col Santo Padre, in visita allo Stato italiano: «Lunedì, 21 marzo: Visita del papa al Quirinale, con discorsi entusiasti. In breve colloquio il papa mi dice che ora bisogna lavorare più intensamente per la pace»15.

Per di più, in vista di iniziative negoziali concrete, sembra delinearsi, per la diplomazia vaticana, un clima politico abbastanza favorevole.

L’avvio dell’ostpolitik in Polonia e la maturazione del centro-sinistra in Italia con Fanfani e Moro rendono infatti possibile, tramite l’impegno dell’ambasciatore italiano a Saigon e della diplomazia polacca, l’operazione Marigold originata dal simposio per la pace voluto da Giorgio La Pira a Fi-renze nel 196516.

13 Il papa aggiungeva ancora: «Sono inoltre motivo di turbamento le notizie di ciò che avviene in altre regioni del mondo, come la crescente corsa agli armamenti nucleari, i nazionalismi, i razzismi, i movimenti rivoluzionari, la forzata divisione dei cittadini, i criminosi attentati, l’eccidio di persone innocenti. Tutte queste cose possono fornire l’esca di un immane flagello»; Lettera Enciclica di Sua Santità Paolo Paolo VI, Christi Matri. Si indicono suppliche per il mese di ottobre alla Beata Vergine Maria; § Motivi di grave apprensione, 15 settembre del 1966.

14 Sul mondo cattolico, la guerra in Vietnam e la mobilitazione pacifista, cfr. S. roUSSeaU, La colombe et le napalm. Des chrétiens français contre les guerres d’Indochine et du Vietnam 1945-1975, CNRS Editions, Parigi 2002. Sugli appelli alla pace di Paolo VI e l’impegno di mediazione della Chiesa cattolica vietnamita nel conflitto asiatico, cfr. J. doaN, La Chiesa nel Vietnam tra passato e futuro, in «La Civiltà cattolica», 149, 2, (1998), pp. 261-270; C.T. BUI, Paolo VI e il Vietnam. Il ruolo della Chiesa Cattolica nella promozione della pace in Vietnam nel periodo 1963-1978, tesi di dottorato, Pontificia Università Gregoriana, 2010.

15 Archivio Storico del Senato della Repubblica (d’ora in poi ASSR), Fondo Amintore Fanfani, sezio-ne IV, b. 23, Diario del 21 marzo 1966.

16 Cfr. R. doNI, Giorgio La Pira: profeta di dialogo e di pace, Paoline, Milano 2004, p. 177 e ss.

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È noto come il sindaco di Firenze, esponente autorevolissimo del cat-tolicesimo europeo, si muovesse in perfetta sintonia con l’orientamento di Paolo VI17.

Ad ogni modo, al di là delle stesse ammissioni di La Pira (che ha sempre sostenuto di essersi mosso su tacito assenso vaticano), ciò che conta è che il Simposio di Firenze incontra il favore entusiastico di Ho Chi Minh, tant’è che La Pira può realizzare in compagnia di Mario Primicerio un viaggio ad Hanoi.

Nel Nord-Vietnam l’ex sindaco di Firenze ha la possibilità di incontrare l’11 novembre 1966 direttamente il presidente della Repubblica Democratica del Vietnam e il presidente del Consiglio Pham Van Dong, dai quali ottiene il via libera a trattare con gli Stati Uniti per una risoluzione pacifica del con-flitto previa l’interruzione dei bombardamenti su tutto il territorio e l’accet-tazione da parte americana degli accordi di Ginevra del ’54 come base del negoziato18.

La Pira fa pervenire questa bozza di accordo a Fanfani, il quale la trasmet-te a sua volta a Washington, ricevendo però una reazione sfavorevole da parte del governo statunitense19. Il Segretario di Stato Rusk respinge quella che egli ritiene un’errata interpretazione di Hanoi dell’accordo di Ginevra, e avanza forti dubbi sui propositi negoziali degli organi dirigenti nord-vietnamiti20.

Il tentativo di aprire una trattativa si arena poi inesorabilmente allorché Washington decide di rendere pubblico il carteggio La Pira provocando una dura risposta del governo di Hanoi volta a smentire in modo più che risentito quanto veniva surrettiziamente supposto nel comunicato americano21.

17 Sulla sintonia fra Giovanni Battista Montini e La Pira, cfr. P.L. BaLLINI, I Convegni internazionali per la pace e la civiltà cristiana (1952-1956). La presenza francese. Temi e voci di un dibattito, in P.L. BaLLINI (a cura di), Giorgio La Pira e la Francia. Temi e percorsi di ricerca. Da Maritain a de Gaulle, Giunti, Firenze 2005, pp. 22-46.

18 FRUS, 1964-68, vol. III, Vietnam, June–December 1965, Document 205 Draft Mcmo from Secre-tary of State Rusk to President Johnson, November 24, 1965, e Document 207 Memorandum from the Assistant Secretary of State for International Organization Affairs (Sisco) to acting Secretary of State Ball, November 24, 1965, pp. 576-579 e p. 581.

19 Per la documentazione americana sull’operazione M.G. herrINg (a cura di), The Secret Diplomacy of the Vietnam War. The Negotiating Volumes of the Pentagon Papers, Texas University Press, Aus-tin 1983, pp. 210-370.

20 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione 1, serie 1, b. 35, fasc. 4, s.fasc. 3. Lettera di Dean Rusk a Fanfani, dattiloscritta, su carta intestata “Ministero degli Affari Esteri Gabinetto del Ministro”, con la dicitura “Traduzione della lettera del Segretario di Stato Rusk all’Onorevole Fanfani” del 4 dicembre 1965 e lettera dattiloscritta, con parti autografe, di Fanfani a Dean Rusk del 21 dicembre 1965.

21 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione I, serie 1, b. 35, fasc. 4, s.fasc. 3. Appunto manoscritto di Fanfani del 17 dicembre: « Alle 12 ¼ (in seduta) Tornetta mi comunica che Goldberg vuol vedermi

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Nonostante l’insuccesso la Santa Sede non si lascia scoraggiare e il 3 maggio 1966 Paolo VI riceve in udienza l’ambasciatore americano a Saigon Henry Cabot Lodge cui offre la disponibilità della Santa Sede come autorevo-le soggetto di mediazione tra USA e Hanoi22.

Anche la diplomazia italiana del resto non smette di esperire nuovi canali.Una forte fede religiosa anima l’impegno diplomatico dei democristiani

italiani e li spinge a non arrendersi. La Pira scrive infatti a Fanfani: «Caro Amintore, è vero che i “ponti visibili” sono rotti: ma ci sono sempre – e non possono mai essere spezzati da nessuno – i “ponti invisibili”: quelli della preghiera»23.

Nel contesto di una febbrile attività diplomatica, nel novembre del 1966 Fanfani incontra a Roma l’ambasciatore straordinario di Johnson Haverell Harriman, ricevuto contemporaneamente anche da Paolo VI24.

Nel corso dell’importante colloquio, Harriman spiegava candidamente a Fanfani che la personale volontà di Johnson di sospendere i bombardamenti, peraltro frenata da certi settori conservatori dell’opinione pubblica americana, si scontrava con la constatazione che ogni pausa dei bombardamenti consenti-va l’intensificazione delle spedizioni di uomini e materiali dal Nord al Sud del Vietnam. L’interlocutore italiano replicava che non si sarebbe potuta verosi-milmente attendere, come preteso dagli americani, un’immediata e definitiva risposta positiva di Hanoi alla riduzione americana dei bombardamenti. Tale sospensione, infatti, doveva essere intesa come pre-condizione del negoziato e non come concessione finale e ultimativa. Nella visione di Fanfani, si sarebbe dovuto previamente concordare con Hanoi, per mezzo di agenti e canali riser-vatissimi, l’assetto finale da raggiungere; e solo successivamente si sarebbero potute studiare le modalità e i tempi del passaggio dalla situazione di conflitto aperto a quella di tregua e infine di pace secondo gli accordi pattuiti25.

d’urgenza per cosa grave. Alla fine della seduta (13 ¼) vedo G[oldberg]. Mi avverte che un giornale di St. Louis pubblica - crede sulla base di indiscrezioni di un avvocato di N. Y. suo amico, che parlò con Lapira - che il Governo USA non accetta proposte di Hanoi. Quindi Johnson decide di dire come stanno le cose». Vincenzo Tornetta era ambasciatore in servizio presso il Segretariato delle Nazioni Unite nel periodo in cui Amintore Fanfani è presidente dell’Assemblea dell’ONU.

22 FRUS, 1964-68, vol. XII, Western Europe, Document 304, Text of Telegram From the Ambassador to Vietnam (Lodge), pp. 645-647.

23 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, serie “Fascicoli tematici”, sezione I, serie 4, fasc. “Giorgio La Pira”, Lettera di Giorgio La Pira a Fanfani, manoscritta, su carta intestata “prof. Giorgio La Pira”, con data manoscritta 28 gennaio 1966

24 Cfr. M. gUderzo, Interesse nazionale e responsabilità globale: gli Stati Uniti, l’Alleanza atlantica e l’integrazione europea negli anni di Johnson, 1963-69, Aida, Firenze 2000, pp. 333-334.

25 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, b. politica 39. Dattiloscritto del colloquio tra Fanfani e Harriman del 2 novembre 1966, recante l’indicazione «Segreto».

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L’incontro romano fra Harriman e Fanfani si intreccia con l’avvio dell’ope-razione Marigold, resa possibile dalla mediazione dell’ambasciatore italiano a Saigon Giovanni D’Orlandi, di quello americano Henry Cabot Lodge e del delegato polacco alla Commissione di controllo a Saigon, Janusz Lewando-sky. Fu proprio Lewandosky a chiedere a D’Orlandi e, tramite quest’ultimo, a Fanfani di comunicare direttamente ai più alti livelli dell’amministrazione americana la disponibilità di Hanoi a voler trattare per giungere, sulla base di dieci punti fissati dal governo nord-vietnamita, a una possibile base di nego-ziato26. Ma, nonostante la disponibilità delle parti, compresa quella di Cabot Lodge (che rende nota a D’Orlandi la propensione di Washington a accetta-re i dieci punti), e l’ottimismo dei mediatori convinti di essere vicinissimi a un accordo, la ripresa improvvisa dei bombardamenti americani nel mese di dicembre provoca un brusco arresto delle trattative e il naufragio dell’opera-zione Marigold.

In tutto questo complicato scenario negoziale, il Vaticano è sempre par-tecipe con la sua presenza vigile e discreta. Lo testimonia l’incontro del 20 dicembre fra l’ambasciatore polacco a Roma Adam Willman, autorizzato da Varsavia a divulgare in Vaticano i dettagli su Marigold, e l’arcivescovo Franco Costa. Questi aveva lasciato intendere al suo interlocutore di essere già a co-noscenza dei retroscena della mediazione polacca27. Nonostante le successive lamentele di Fanfani presso il governo americano per la violazione da parte di Willman del reciproco patto di segretezza su Marigold28, il 30 dicembre il mi-nistro degli Esteri Adam Rapacki afferma, in un colloquio con l’ambasciatore americano a Varsavia John Gronouski, di essere convinto che papa Paolo VI fosse costantemente informato da Fanfani di ogni singolo passo del negoziato in Vietnam29.

26 Sulla vicenda esiste una varia bibliografia; cfr. fra gli altri W.J. thIeS, When Governments Col-lide:CoercionandDiplomacyintheVietnamConflict,1964-1968, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1980, pp. 145 e ss.; G. herrINg, E.S. redford, J.E. aNderSoN, LBJ and Viet-nam, University of Texas Press, Austin 1994, pp. 105 e ss.; R. D. SChULzINger, A Time for War: The United States and Vietnam, 1941-1975, Oxford University Press, New York 1999, pp. 248 e ss.; J. herShBerg, Marigold: The Lost Chance for Peace in Vietnam, Stanford University Press, Chicago 2012, pp. 243 e ss.

27 L’episodio è riportato nella memoria di un alto funzionario del ministero degli Esteri polacco, Jerzy Michalowski, stretto collaboratore di Adam Rapacki, Polskie tajne inicjatywy pokojowe w Wiet-namie [Segrete iniziative polacche di pace in Vietnam], pp. 82-84, cit. in J.G. herShBerg, L.W. gLUChoWSkI, Who Murdered “Marigold” New Evidence on the Mysterious Failure of Poland’s Se-cret Initiative to Start U.S.-NorthVietnamese Peace Talks, 1966, in «George Washington University Working Paper», num. 27, April 2000, p. 63.

28 Rome Embtel (Reinhardt) 3409, 28 December 1966, cit. in G. herrINg, cit., pp. 310, 318-320.29 FRUS 1964-1968, vol. IV, Vietnam 1966, Document 355, Telegram From the President’s Special

Assistant (Rostow) to President Johnson, in Texas: «Rapacki replied “What you say is in accordance

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Il papa, del resto, batte anche proprie piste negoziali.Nell’ottobre dello stesso anno infatti, il delegato apostolico del Canada

nonché amico personale di Montini, mons. Sergio Pignedoli, tenta un ulte-riore approccio presso le autorità di Hanoi. Il pretesto è quello della parte-cipazione di mons. Pignedoli al Consiglio delle religioni per promuovere un dialogo ecumenico tra i rappresentanti delle varie confessioni presenti nel Vietnam e proporre la concordia religiosa come strumento di pace politica30. L’operazione, tuttavia, si arena per il rifiuto del visto da parte del gover-no nord-vietnamita31. Paolo VI tuttavia non si arrende e arriva a utilizzare il canale del Partito comunista italiano. L’intellettuale comunista Antonello Trombadori, in partenza verso Hanoi per una missione con una delegazione del PCI di cui fanno parte anche Enrico Berlinguer e Carlo Galluzzi (14-16 dicembre), scrive a Paolo VI (con cui ha già avuto contatti), manifestandogli la sua disponibilità a trasmettere messaggi per suo conto. Il Santo Padre gli affida dunque un proprio documento in cui chiede garanzie per i cattolici del Nord e sottolinea il forte impegno vaticano per una risoluzione pacifica del conflitto32. Intanto Fanfani, ricevuta la delegazione del PCI per la consegna dei lasciapassare per il Vietnam, chiede a Berlinguer di essere informato di eventuali aperture da parte di Hanoi, mentre La Pira formula, per lettera, i suoi auguri per il successo della missione33. Anche questa volta l’iniziativa si rivela, però, infruttuosa34.

Agli inizi del 1967 (l’8 febbraio) Paolo VI scrive a Johnson e ai due capi di Stato del Vietnam del Nord e del Sud per esprimere l’augurio che la tregua d’armi concordata per il Tet (il capodanno buddista) possa aprire la strada a negoziati di pace. Benché il messaggio del papa sia apprezzato da Johnson, dopo la tregua riprendono le ostilità35.

with the fact, but probably the Pope is also informed”. I said, “The Pope is informed? By whom?”. Rapacki answered, “Possibly Fanfani, but I don’t know, I am not saying it was Fanfani, I don’t know, but the Pope probably is informed”. I said I presume that unless we inform each other to the contrary, the rule of secrecy will prevail even though the talks are broken off. Rapacki replied affirmatively», p. 985.

30 P. gheddo, Cattolici e buddisti nel Vietnam. Il ruolo delle comunità religiose nella costruzione della pace, prefazione di S. pIgNedoLI, Vallecchi, Firenze 1968, pp. 294-306.

31 P. gervaSIo paLermo (a cura di), Il cardinale Sergio Pignedoli, amico indimenticabile (1910–1980). Memorie e testimonianze, Collegio Missionario S. Cuore, Andria 1989, pp. 473-475.

32 A. höBeL, Il PCI di Luigi Longo (1964-1969), ESI, Napoli 2011, pp. 401-402.33 C. gaLLUzzI, La svolta: gli anni cruciali del Partito comunista italiano, Sperling & Kupfer, Mila-

no 1983, pp. 93-96. 34 M. SICa, “Marigold”nonfiorì.IlcontributoitalianoallapaceinVietnam, Ponte alle Grazie, Firen-

ze 1991, pp. 29, 50-83. 35 G. rULLI, La guerra “americana” nel Vietnam, Asca, Roma 1973, pp. 285-289.

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Il papa si rammarica per l’occasione perduta ed esprime tutto il suo rin-crescimento al vice presidente statunitense, Huber Humphrey, in visita in Ita-lia il 2 aprile 1967, sottolineando quale può e debba essere la missione morale di una società avanzata che voglia davvero garantire e diffondere i valori della pace e della libertà: «a moral mission, a mission of demonstrating what a free society can do»36.

Intanto l’intervento pacificatore del governo italiano espone sempre di più Fanfani e la sua politica estera all’accusa di parzialità in favore dei nord-vietnamiti e di incomprensione delle ragioni degli americani. È del maggio 1967 il caso delle dimissioni rassegnate dall’ambasciatore italiano a Washing-ton Sergio Fenoltea, con un telegramma infuocato che imputa a Fanfani la mancanza di solidarietà nei confronti dell’alleato americano37.

Neanche il Santo Padre è al riparo da queste critiche. Il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, noto per il suo oltranzismo atlantico, si lamenta con Fanfani dell’attivismo diplomatico del papa, che evidentemente influenza le scelte fondamentali della politica estera italiana. Così annota Fanfani:

«A colazione mi ha invitato Saragat con Bianca*. E mi ha fatto discorso sulle esagerate inframettenze del papa in politica estera»38.

Nel luglio dello stesso anno, però, La Pira, sempre su mandato di Fanfani, rimette in comunicazione Galluzzi con D’Orlandi per quella che verrà deno-minata operazione Killy39.

In forza della cooperazione fra l’ambasciatore e l’esponente comunista, il ministero degli Esteri promuove una serie di consultazioni al fine di giungere a un inizio di negoziato per il quale l’Italia si propone come sede ufficiale del-le trattative. Xuan Thuy40, che tratta con Galluzzi a Parigi, si accorda invece per Praga41.

Il 25 agosto Galluzzi e D’Orlandi procedono con la loro iniziativa nego-ziale, e in Cecoslovacchia incontrano l’ambasciatore nordvietnamita a Praga Phan Van Su. L’ambasciatore italiano trasmette ancora una volta la volontà

36 FRUS, 1964-1968, vol. XII, Western Europe, Document 308, Telegram From the Consulate General in Florence, Italy to the Department of State, pp.652-656

37 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione I, serie 1, s.serie 5, s.s.serie 3, b. 39, fasc. 12. Telegramma dattiloscritto su modulo prestampato di Fenoaltea a Fanfani del 2 maggio 1967.

* Bianca Rosa Privasoli, la consorte di Amintore Fanfani.38 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione IV, b. 23, Diario del 12 giugno 1967.39 L. NUtI, L’Italie et l’escalade de la guerre du Vietnam, in La guerre du Vietnam et l’Europe…, cit.,

pp. 131-150.40 Xuan Thuy, ministro degli Esteri vietnamita dal 1963 al 1965, successivamente negoziatore capo

alla Conferenza di Parigi41 C. gaLLUzzI, cit., p. 159; M. SICa, cit., p. 92.

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di Fanfani di farsi tramite fra l’amministrazione americana e il Vietnam del Nord per comunicare un’eventuale disponibilità nordvietnamita a intavolare trattative di pace in caso di cessazione dei bombardamenti42.

Ma intanto c’è da registrare l’atteggiamento sempre più freddo e distac-cato degli Stati Uniti nei confronti delle iniziative diplomatiche italiane. Ciò sembra emergere chiaramente da una lettera urgentissima di D’Orlandi a Fan-fani dell’ottobre 1967 in cui l’ambasciatore italiano rivela come gli interlocu-tori americani giudicassero indesiderabile, per gli Stati Uniti, una sua nuova missione a Saigon:

Roma, 20 ottobre 1967

Signor Presidente,come Le avrà detto Marchiori, mercoledì pomeriggio sono andato a Via Veneto dove, in assenza dell’Ambasciatore e di Meloy*, ho parlato con il Primo Consi-gliere Incaricato d’Affari.Questi mi ha detto che informava subito Washington di quanto gli comunicavo. Mi incaricava di ringraziarLa e si riservava di far sapere che cosa gli sarebbe stato disposto da Washington.Stamane è venuto a vedermi poco fa e mi ha detto, rinnovando il ringraziamento del Dipartimento di Stato e dell’Ambasciatore Bunker**, che in questo momento il Dipartimento di Stato non vedeva una particolare utilità di un mio viaggio a Saigon; che però l’Ambasciatore Bunker aveva aggiunto che se questa utilità dovesse presentarsi in avvenire lo State Department non avrebbe mancato di servirsi della proposta dell’E.V.Ha colto l’occasione della visita per chiedermi se sapessi qualcosa circa il collo-quio che l’E.V. ha avuto con l’Ambasciatore di Russia a Montecitorio.Infine Galluzzi mi ha detto che il suo capo aveva dato istruzioni perché il passo fosse pressante ed ufficiale da partito a partito43.

Agli inizi di novembre, in occasione del secondo viaggio di D’Orlandi a Praga, Fanfani viene avvisato dagli americani del fatto che Washington avreb-be stabilito contatti diretti col Vietnam del Nord. Insieme con la circostan-

42 G. d’orLaNdI, cit., pp. 836-839.* Francis E. Meloy, direttore dell’ufficio per gli affari dell’Europa occidentale del Dipartimento di

Stato fino al 1964. Successivamente Consigliere d’ambasciata e Deputy Chief of Mission a Roma. Dalla fine degli anni Sessanta ambasciatore in diversi paesi, Repubblica Dominicana, Guatemala e Libano, dove fu assassinato.

** Ellsworth F. Bunker, ambasciatore nel Vietnam del Sud dal 1964 al 1973.43 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione IV, b. 23, Diario del 1967: la lettera dattiloscritta di D’Or-

landi a Fanfani, datata 20 ottobre 1967 e indicata come «urgentissima», è in allegato tra le pagine del 19 e del 20 ottobre.

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za dell’interruzione nei colloqui di Praga, decisa da Van Su per istruzione di Hanoi, prende forma in Fanfani la netta sensazione che gli Stati Uniti stiano cercando di bypassare l’Italia44, forse infastiditi dalle iniziative di pace nel backstage diplomatico del conflitto. Tanto più che Van Su si era detto all’oscu-ro della notizia dell’attivazione di un canale diretto Washington-Hanoi45.

Gli Stati Uniti sembrano invece voler continuare a mantenere aperto il dialogo con la Santa Sede46.

Il presidente Johnson, in visita a Paolo VI nel dicembre 1967, concede alla Santa Sede ampi spazi di manovra per tutte le iniziative ritenute utili alla pace, a condizione che queste non vengano assunte nel segno di quel giudizio di condanna che da più parti veniva rivolto alla politica americana nel Sud-Est asiatico47. Il papa, da parte sua, indica l’obiettivo di favorire il dialogo diretto fra Hanoi e Saigon per conseguire la pace48.

Ma, a dispetto delle aspettative, il quadro delle relazioni USA-Vaticano subisce un duro contraccolpo dall’intervento giudicato intempestivo del card. Lercaro.

Infatti, mentre il papa il 1 gennaio 1968, in occasione della prima giornata mondiale della pace, cerca di rassicurare l’amministrazione americana che il compito della Santa Sede è quello di promuovere la distensione nel mondo e non quello di favorire giudizi di parte, offrendo un’immagine della Chie-sa interlocutrice autorevole delle grandi potenze, in quello stesso Capodanno Lercaro (probabilmente con la complicità di Dossetti) pronuncia da Bologna una severa condanna dei bombardamenti americani nel Nord-Vietnam. Tutto ciò si rivela il detonatore inaspettato di una miscela destinata a esplodere sia nelle relazioni USA-Vaticano che in quelle personali tra La Pira e Fanfani e di conseguenza nel quadro della politica italiana di quegli anni49.

44 G. d’orLaNdI, cit., p. 843.45 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione IV, b. 23, Diario dell’8 novembre 1967: «Torna D’Or-

landi da Praga, vi ha incontrato l’ambasciatore di Hanoi [Phan Va Su] e gli ha chiesto di accettare un incontro tra governanti di Hanoi e di Washington per cessare i bombardamenti e cominciare la negoziazione. Il vietnamita che parte oggi per Hanoi ha promesso di fare avere una risposta tra 10-15 giorni; ma intanto ha escluso che Hanoi sia in contatto diretto con Washington come ci disse Johnson».

46 Per un inquadramento generale, cfr. M. moLINarI, Santa Sede e Stati Uniti d’America negli anni 1964-1968. La guerra in Vietnam, in Istituto Paolo VI, «Notiziario», 41 (2001), pp. 33-36.

47 FRUS, 1964-1968. vol. XII, Western Europe, Document 309, Aide-Memoire From President John-son to Pope Paul VI, pp. 656-660.

48 Cfr. E. ortoNa, Anni d’America. La cooperazione, 1967-75, il Mulino, Bologna 1989, pp. 60-62.49 G. doSSettI, Memoria di Giacomo Lercaro, in Chiese italiane e concilio. Esperienze pastorali nella

chiesa italiana da Pio XII a Paolo VI, a cura di G. aLBerIgo, Marietti, Genova 1988, pp. 281-312; G. aLBerIgo, A. meLLoNI, E. ravIgNaNI, Giuseppe Dossetti: un itinerario spirituale, Nuova Dimensio-ne Edizioni, Portogruaro 2006, p. 43. G. BatteLLI, Lercaro, Dossetti, la pace e il Vietnam, in Araldo

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D’altra parte il papa appare complessivamente amareggiato dal decorso delle trattative in Vietnam.

In una nota riservata del febbraio 1967 per i dirigenti del PCI redatta da Libero Pierantozzi, osservatore comunista presso i sacri palazzi, i tentativi di Fanfani e di La Pira sono ormai giudicati negli stessi ambienti vaticani con qualche «scetticismo» e anche il colloquio con Johnson avrebbe profonda-mente deluso il papa50.

E infatti l’operazione Killy, formalmente ancora in piedi, chiude i battenti in marzo.

A questo punto sembrerebbe l’ennesimo insuccesso, che determina un forte ridimensionamento della politica vaticana in Vietnam. Pubblicamente, a parte la celebrazione da parte del papa della prima giornata mondiale della Pace il 1 gennaio 196851, non si registrano gesti clamorosi da parte della Santa Sede.

Questo apparente disimpegno infiamma ancora di più la contestazione giovanile e il dissenso cattolico52.

Agli inizi del 1968, mentre la stampa comunista, galvanizzata dalla stra-ordinaria offensiva militare del Tet dei vietcong il 30 gennaio53, scaglia attac-chi virulenti contro la Democrazia cristiana per la sua presunta complicità col militarismo imperialista54, le riviste del dissenso cattolico rilanciano le accuse

del Vangelo. Studi sull’episcopato e sull’archivio di Giacomo Lercaro a Bologna, 1955-1968, a cura di N. BUoNaSorte, Bologna 2004, pp. 185-304.

50 In A. höBeL, cit., p. 403.51 Sul significato di quest’evento cfr. P. paStoreLLI, Ruolo della Chiesa e della Santa Sede nella politi-

ca internazionale, in La politica internazionale della Santa Sede, 1965-1990, a cura di G. BarBerINI, ESI, Napoli 1992, pp. 15-24.

52 M. CUmINettI, Il dissenso cattolico in Italia, 1965-1980, Rizzoli, Milano 1983, p. 112.53 Tra la fine del 1967 e l’inizio del 1968 unità nordvietnamite e guerriglieri vietcong lanciarono una

violenta serie di combattimenti contro le truppe americane (la cosiddetta offensiva del «Tet», dal nome del capodanno vietnamita), che ebbe un forte impatto emotivo sull’opinione pubblica degli Stati Uniti per l’elevato numero di morti per entrambe le parti belligeranti. Contemporaneamente, il 30 dicembre 1967, il governo di Hanoi propose una tregua agli Stati Uniti in cambio della cessazione di ogni attività bellica americana contro il Vietnam del Nord. Hanoi sperava che la tregua sarebbe stata favorita dal contraccolpo psicologico mondiale dell’offensiva del Tet, la quale rappresentò infatti il punto di svolta del conflitto vietnamita; cfr. D. F. SChmItz, The Tet Offensive: Politics, War, And Public Opinion, Rowman & Littlefield, Lanham 2005.

54 Il 10 febbraio 1968, un articolo de «l’Unità», Scandalosagiustificazionedeibombardamenti, sostie-ne che la Democrazia Cristiana abbia «trovato il modo di rispolverare gli argomenti del Dipartimen-to di Stato contro l’avvio di una trattativa di pace adducendo che la posi zione di Hanoi si è irrigidita e giustificando così la continuazione e l’intensificazione “senza restrizioni” delle incursioni aeree su Hanoi e Haiphong». Dello stesso tono gli articoli di A. JaCovIeLLo, Dal Vietnam all’Italia, «l’Unità», 4 febbraio 1968 (secondo cui «il gruppo dirigente del centrosinistra ha chiuso gli occhi davanti ai pe-ricoli che derivano dall’atteggiamento america no»); Redaz., Il governo tace sul Vietnam, «l’Unità», 19 febbraio; A. JaCovIeLLo, Una questione morale, «l’Unità», 27 febbraio 1968.

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al papa di subalternità agli Stati Uniti. Secondo «Testimonianze»: «Le inizia-tive prese da Paolo VI per il Vietnam in questi ultimi due anni hanno ripetuto il modulo precedente: riconoscimento implicito della “buona volontà” ameri-cana ed espressione di dolore per il rifiuto dell’altra parte di accettare l’offerta di oneste e pacifiche trattative»55.

Queste interpretazioni del radicalismo di sinistra appiano evidentemente condizionate da un filtro ideologico. Anche alla luce dei documenti ora dispo-nibili, la realtà si rivela molto differente.

2. IL pre-NegozIato romaNo x=y+z e L’INIzIatIva Segreta deLLa SaNta Sede deLL’aprILe 1968

Agli inizi del 1968 il governo italiano è più vicino che mai al raggiun-gimento del traguardo storico di una accordo con Hanoi. Il relativo processo negoziale si sarebbe dovuto svolgere a Roma, a coronamento degli sforzi ita-liani per la pace.

In questo scenario si situa il colpo di scena vaticano: la Santa Sede vuole agire direttamente come mediatrice fra le parti, bypassando praticamente la consueta intermediazione italiana e relazionandosi in prima persona con Wa-shington e con Hanoi.

Per comprendere questa determinazione vaticana occorre risalire alle set-timane immediatamente precedenti.

La tensione fra Italia e Stati Uniti sulla questione vietnamita è alle stel-le. Quando Nicholas Katzenbach, sottosegretario agli Esteri degli Stati Uniti, giunge a Roma in visita ufficiale, Fanfani gli ricorda i costi finanziari del con-flitto56, che incidono negativamente su tutta l’economia occidentale.

55 S. CIUffI, L’azione diplomatica del papa in Vietnam, in «Testimonianze», XI, n. 103, 1968, p. 225-237.

56 Gli Stati Uniti dovettero fronteggiare, agli inizi del 1968, la grave crisi del dollaro dovuta all’ingente passivo della Bilancia dei pagamenti. L’incremento della spesa militare per l’impegno in Vietnam era una delle cause principali del deficit americano e della conseguente inflazione del dollaro. Per questo motivo Johnson decise una riduzione degli investimenti di capitale all’estero annunciando, il primo gennaio, di voler attuare un nuovo programma obbligatorio per trattenere l’investimento di-retto all’estero al fine di ridurre le uscite di almeno 1 miliardo $ dal 1967. Già durante l’amministra-zione Kennedy iniziò a profilarsi la crisi del sistema di Bretton Woods, ossia del sistema di scambi monetari in base al quale, dal 1944, solo il dollaro poteva sostituire l’oro come riserva internaziona-le: solo la moneta americana era convertibile in oro con un cambio fisso e solo dalle banche centrali. Con la grave inflazione del dollaro dovuta all’accumulazione di un pericoloso deficit commerciale da parte degli Stati Uniti, in ragione dei costi finanziari della guerra in Vietnam, le banche centrali di molti paesi si affrettarono a scambiare i loro dollari in oro in modo da scongiurare il pagamento dei loro crediti con una moneta inflazionata. Gli Stati Uniti, non volendo cedere tutto il loro oro in

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Alle giustificazioni contabilistiche del politico repubblicano, il ministro degli Esteri italiano replica rinfacciando agli Stati Uniti l’inutile prezzo di san-gue della guerra: «4 gennaio, giovedì: Arriva, come preannunciato da Rein-hardt il 31 dic[embre], Katzenbach che espone quanto già detto dai giornali sui provvedimenti Johnson, dopo che Moro ha ripetuto la volontà di garan-tirne il successo, faccio rilevare quanti danni ci creino specie per le piccole e medie industrie e per il turismo, prevedendo il pericolo dell’apertura di una catena di reazioni di tipo protezionistico. Concludo esprimendo la speranza che chiudendosi con la pace la faccenda del Viet Nam la difesa del dollaro sia più facile. Katzenbach si associa al mio augurio pur facendo presente che il Viet Nam pesa sulla bilancia dei pagamenti solo per 2 (e poi si corregge) 1½ milione di dollari*.

Replico che è pur da considerare che oltre il conto in $ c’è quello in sangue57».

A rendere più teso il clima, il 26 gennaio successivo, interviene la co-municazione a D’Orlandi58 da parte di Phan Van Su, ambasciatore di Hanoi a Praga, di un suo imminente viaggio a Roma per parlare con Fanfani della situazione in Vietnam in relazione al quadro internazionale. Il presidente Aldo Moro, informato della richiesta di Hanoi, conviene con Fanfani che l’offerta d’incontro non si può rifiutare59. A questo punto però il segretario di Stato Dean Rusk, tramite l’ambasciatore italiano a Washington Egidio Ortona, si mostra piuttosto infastidito; non si esprime sul merito dell’incontro accordato da Hanoi e si limita a ringraziare il governo italiano per gli eventuali futuri ragguagli60.

cambio dei dollari ricevuti dalle banche centrali estere, si videro costretti a intraprendere una politica monetaria che portò, nel 1971, alla decisione unilaterale di abolire la convertibilità del dollaro in oro; cfr. R.M. CoLLINS, The Economic Crisis of 1968 and the Waning of the American Century, in «The American Historical Review», vol. 101 (2), April 1996, pp. 396-422; W. LafeBer, The Deadly Bet: LBJ, Vietnam, And The 1968 Election, Rowman & Littlefield, Lanham 2005, pp. 55-58.

* Katzenbach, alla stampa italiana, ammise che la spesa militare per il Vietnam, su un deficit com-plessivo superiore ai tre miliardi e mezzo di dollari, costituiva un aggravio di 400 milioni di dollari. Aggiunse però che si trattava di una cifra comunque irrilevante; L. BIaNChI, Comprensione ma qualche contrasto nei colloqui di Katzenbach a Roma, in «Corriere della Sera», 6 gennaio 1968.

57 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione IV, b. 23, Diario del 4 gennaio 1968.58 D’Orlandi nel frattempo era tornato in Italia per prestare servizio come ispettore Generale del Mini-

stero degli Affari Esteri e degli Uffici all’estero, sostituito a Saigon da Vincenzo Tornetta.59 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione IV, b. 23, Diario del 26 gennaio e 3 febbraio 1968.60 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione I, serie 1, s.serie 5, b. 38, fasc. 3. Telegramma di Egidio

Ortona a Fanfani del 3 febbraio 1968: «Non abbiamo nulla da dire in questo momento da parte nostra nei riguardi Hanoi. Le avevo detto giorni fa che esplorazioni erano in corso soprattutto per ac-certare conciliabilità dichiarazioni Trinh et discorso San Antonio. Durante tali esplorazioni avevamo ridotto nostra attività aerea astenendoci dal bombardare zone particolarmente importanti intorno Ha-

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Il 5 febbraio si svolge, fra molte attese e speranze, l’incontro romano fra i rappresentanti di Hanoi e il governo italiano61. Si tratta di un vero e pro-prio pre-negoziato che, in caso di successo, dovrebbe preludere all’inizio di una tavola rotonda direttamente con gli Stati Uniti in una sede internazionale neutrale, meglio se europea (e meglio se nella stessa Roma). Gli esiti del col-loquio, secondo Fanfani, sono molto promettenti e incoraggianti62. Una fuga di notizie, tuttavia, rende pubblico l’incontro segreto e ne brucia in partenza le prospettive63.

L’episodio dà adito all’amministrazione americana per emettere un pro-nunciamento molto polemico sulla politica estera italiana. La mattina del 15 febbraio Robert McCloskey, portavoce del Dipartimento di Stato americano, diffonde un comunicato col quale il governo degli Stati Uniti prende duramen-te le distanze dal pre-negoziato che si svolge a Roma64. Queste dichiarazioni, secondo la stampa italiana, sanciscono l’insuccesso della politica estera di Fanfani sul Vietnam65.

Gli Stati Uniti mostrano insofferenza nei confronti del protagonismo del leader democristiano e cercano di riportare l’operato italiano nei binari del-la conduzione americana. Il 28 febbraio Meloy e Daniel Davidson (Special Assistant di Averill Harriman) chiedono a Fanfani di girare due domande a

noi et Haiphong. A governo Hanoi avevamo fatto chiaramente sapere che tale nostra astensione era da porsi in relazione at esplorazione in corso. Come tutta risposta, nel mezzo esplorazione, Hanoi ha iniziato offensiva su larga scala “parlando ormai a voce così alta che non possiamo più udire ciò che essa dice” […]. Ha però anche aggiunto a mo’ di conclusione che proprio perché si era determinata la situazione da lui descrittami egli era molto interessato a conoscere il contenuto, comunicazione che avrebbe fatto rappresentante Hanoi».

61 I due argomenti principali dei colloqui romani tra Fanfani, Orlandi e i rappresentanti di Hanoi fu-rono quello della necessità di una serie di garanzie per l’applicazione dell’eventuale accordo con gli americani e quello della libera espressione elettorale del Sud del Vietnam in vista di un governo sostenuto da un ampio consenso e rappresentativo di tutto il popolo vietnamita, ad esclusione dei soli criminali di guerra e degli attuali comandanti militari; in G. d’orLaNdI, cit., pp. 856-865.

62 Fanfani annota: «Come segno di seria buona volontà negoziale, i 2 [Phan Van Su e Than Din Khet] hanno rinunziato all’idea di un comunicato congiunto, accettando la nostra idea di non prestarsi alla propaganda, né di far cosa che possa dar fastidio agli USA. Certo son molto fiduciosi nella loro azio-ne militare, ne saranno facili negoziatori, ma il negoziato lo desiderano seriamente. Concordano che noi trasmettiamo ciò a W[ashington] dopo il loro ritorno a Praga», ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione IV, b. 23, Diario del 5 febbraio 1968.

63 In un articolo del 15 febbraio «l’Unità» rivelò la notizia dell’incontro segreto e, sulla base di in-discrezioni, riferì che il governo italiano non aveva accolto la possibilità di una soluzione pacifica proposta dai rappresentanti nordvietnamiti; Redaz., Una proposta di Hanoi per la trattativa non è stata accolta dal governo italiano?, in «l’Unità», 15 febbraio 1968. La notizia era infondata e la maggioranza replicò che i comunisti avevano strumentalizzato l’episodio per attaccare il governo Moro; Redaz., Motivi di confusione, in «Corriere della Sera», 18 febbraio 1968.

64 N. CaraCCIoLo, Washington ritiene «inaccettabili» le offerte, in «La Stampa», 15 febbraio 1968.65 V. gorreSIo, Un dialogo tra sordi, in «La Stampa», 17 febbraio 1968.

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Van Su, per conto degli Stati Uniti, facendole però sembrare provenienti da D’Orlandi: se nell’ipotesi della cessazione dei bombardamenti, Hanoi avrebbe continuato a ritenersi libera di convogliare uomini e munizioni nel Sud del Vietnam e se avrebbe continuato a inviare truppe nella zona smilitarizzata contro le forze americane. Tali atteggiamenti, secondo Washington, avrebbero di fatto alimentato nuovamente le ostilità rendendo inutile la cessazione dei bombardamenti66.

Fanfani si ribella a tale limitazione della sua autonomia negoziale e alla deminuitio del suo ruolo:

«Alle 13 vedo Meloy e Davidson, mi consegnano le domande che Rusk – dopo avermi ringraziato – mi prega di passare all’ambasciatore Su a Pra-ga tramite D’Orlandi. […] Mi lamento che non ci diano un potere negoziale maggiore*»67.

Ciononostante il ministro degli Esteri italiano continua a considerarsi l’unico e credibile garante di una soluzione di pace, che egli riassume nella formula matematica x=y+z68. Cabot Lodge, d’altra parte, assicura D’Orlandi che lo stesso Johnson perora la causa di una trattativa a Roma come unica strada percorribile per la conclusione del conflitto69.

66 G. d’orLaNdI, cit., pp. 692-695.* La pretesa di Davidson era quella di limitare il ruolo di D’Orlandi a quello di latore delle domande

di Washington alla controparte vietnamita senza un ulteriore spazio di manovra in ordine alla for-mulazione e contenuto delle domande stesse. Fanfani fece allora presente che i mediatori italiani si sarebbero mossi con uno spirito costruttivo di continuazione del dialogo, ponendo tali domande chiarificatrici della parte americana soltanto con l’intento di promuovere attivamente la pacificazio-ne del Vietnam. Fanfani giudicò infatti le richieste americane come una riproposizione statica della cosiddetta “formula di San Antonio”, con riferimento al discorso del Johnson del 29 settembre 1967 a Sant’Antonio nel Texas, con cui gli Usa avevano offerto la cessazione dei bombardamenti del Vietnam del Nord in cambio della promessa da parte di Hanoi di non utilizzare questa sospensione come un’opportunità per aumentare l’infiltrazione di truppe e rifornimenti nel Vietnam del Sud. La “formula di San Antonio” si era già rivelata inefficace e la sua riproposizione, per Fanfani, com-portava il rischio di determinare una nuova impasse negoziale e quindi quello di bruciare Su, da lui ritenuto negoziatore serio e attendibile; G. d’orLaNdI, cit., pp. 898-901. Sulla San Antonio formula cfr. N. vINh LoNg, The Tet Offensive and its aftermath, in The American War in Vietnam, a cura di J. S. WerNer, D. hUNt, SEAP Publications, Cornell University, Ithaca 1993, p. 30.

67 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione IV, b. 23, Diario del 28 febbraio 1968.68 Le autorità di Hanoi - dopo aver accettato una tregua proposta dagli Stati Uniti – dichiararono di

voler attendere alcuni giorni («x giorni») per essere sicuri che non sarebbero ripresi i bombarda-menti americani, la cui cessazione era condizione preliminare per l’avvio dei negoziati di pace. Per Fanfani la X della posizione vietnamita (corrispondente al periodo di preavviso della cessazione dei bombardamenti) era uguale a Y più Z, essendo Y la data della cessazione effettiva dei bombar-damenti e Z l’incognita rappresentata dall’intervallo di tempo intercorso tra la fine delle incursioni aeree americane e l’inizio dei negoziati. Per Fanfani Y dipendeva dalla volontà degli Stati Uniti e Z da Hanoi, ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione IV, b. 23, Diario del 2 marzo 1968.

69 Ivi, Diario del 18 marzo 1968.

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Il 31 marzo il presidente americano, però, annuncia a sorpresa la cessa-zione dei bombardamenti aerei e delle incursioni navali nel Nord Vietnam al di sotto del 20° parallelo, ossia un 90% di cessazione, e dichiara che non si sarebbe ripresentato alle elezioni presidenziali70.

Fanfani ha il concreto sospetto che si tratti di una mossa propagandistica a effetto per ritardare il più possibile le iniziative negoziali che si svolgono a Roma ed esautorare il governo italiano, per riprendere cioè il controllo della situazione secondo gli interessi americani.

Così annota il ministro degli Esteri italiano:

Torno a Roma e trovo una stupefacente dichiarazione degli ambienti del Quirina-le, che come posso constatare in serata Saragat ha fatto fare senza aver neppure letto il discorso di Johnson.Comunque vedo Meloy, vic. d’affari USA, insieme a D’Orlandi. È stupefatto e in privato a D’Orlandi ammette che ci sia sotto una manovra elettorale. Gli rileviamo quanto nel discorso di J[ohnson] può esserci di controproducente ai fini del buon esito delle conversazioni in corso con Hanoi. Poi vedo l’incaricato URSS [Vladimir Nikolaevich Kuznetsov], segnala a titolo personale l’inadeguatezza del discorso di J[ohnson], io lo invito a far presente a Mosca che occorre valorizzare quanto c’è di positivo per trovare un modo di influire su Hanoi evitando clamorose rotture.Con D’Orlandi preparo un cauto comunicato, che illustro nel pomeriggio a Sa-ragat*, raccomandandogli meno euforia, come poi dico a Nenni e per telefono a Moro. L’Italia se vuol continuare la sua opera, non deve identificarsi col discorso di J[ohnson] non sempre costruttivo71.

Se l’obiettivo di Johnson era marginalizzare il ruolo di Roma nelle trat-tative, questo è comunque raggiunto. Infatti, il 20 aprile Van Su comunica a D’Orlandi che Hanoi non pensa più a Roma per la prima fase dei prenegoziati, caso mai per la seconda72.

A questo punto torna in gioco Paolo VI e prende corpo l’iniziativa segreta vaticana.

Se la capitale d’Italia non può essere la sede del negoziato di pace, sarà il Vaticano a ospitare il colloquio.

70 Sulla sua rilevanza storica cfr. D.L. aNderSoN, The Vietnam War, Palgrave Macmillan, New York 2004, pp. 70-71, 76.

* Il Ministero degli Esteri dichiarò di ritenere il discorso di Johnson responsabile e coraggioso, e ribadì la partecipazione italiana a ogni proficua iniziativa di pace adoperandosi per utilizzare gli elementi positivi offerti dal discorso del presidente americano.

71 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione IV, b. 23, Diario del 1 aprile 1968.72 Ivi, Diario del 20 aprile 1968.

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Nelle aspettative vaticane, l’autorevolezza morale del Pontefice e il pre-stigio della sede apostolica avrebbero dovuto vincolare le parti belligeranti alle trattative di pace in modo più stringente e impegnativo.

La decisione non sembra però essere previamente concordata col gover-no italiano. I documenti inediti del fondo Fanfani sollevano un interrogativo intorno alla fiducia riposta nelle manovre del ministero degli Esteri italiano da parte di Paolo VI, la cui pazienza è forse logorata dai continui insuccessi delle operazioni di pace.

Il 27 aprile, infatti, Mons. Antonio Travia, Addetto della Segreteria di Sta-to e Consigliere della Nunziatura Apostolica in Italia, nonché stretto collabo-ratore personale di Paolo VI, comunica a Carlo Marchiori, capo di Gabinetto di Fanfani, che il giorno prima, nel corso di un ricevimento a Washington, il presidente Jonhson si era appartato a lungo col Delegato Apostolico negli Sta-ti Uniti Mons. Luigi Raimondi per chiedere che il Vaticano si candidasse come sede del pre-negoziato nel caso in cui le parti non fossero riuscite ad accordar-si sul luogo delle trattative. Il documento, di seguito riportato integralmente, evidenzia un intervento del papa che non è soltanto offerta di ospitalità alle parti negoziali ma anche definizione del merito dei colloqui di pace. Significa-tivamente infatti il papa suggerisce la partecipazione anche di Saigon, che era rimasta fino ad allora il soggetto trascurato, a dimostrazione del punto di vista di Paolo VI sull’importanza dell’autodeterminazione del popolo vietnamita nel processo di pace73:

SEGRETO

Comunicazione verbale dell’Auditore della Nunziatura, Mons. Travia al capo di Gabinetto

Farnesina 27 aprile 1968ore 17.15

Ieri ad un ricevimento a Washington, Jonhson si è appartato con il Delegato Apo-stolico (Mons. Raimondi), al quale ha detto che se tra due o tre giorni non si sarà riusciti ad accordarsi sulla sede del pre-negoziato, avrebbe molto desiderato se il Santo Padre avesse voluto offrire alle due parti di incontrarsi in Vaticano e, qualora questa proposta non fosse stata accolta da parte vietnamita, sarebbe stato grato al Santo Padre se avesse voluto egli stesso indicare alle parti un’altra sede.

73 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione I, serie 1, b. 38, fasc. 3; dattiloscritto, con correzioni au-tografe, della trascrizione della Comunicazione di Mons. Antonio Travia a Carlo Marchiori del 27 aprile 1968, recante l’indicazione «Segreto».

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Il Santo Padre ha fatto rispondere oggi verso le 14.30 che anche lui aveva nei giorni scorsi pensato ad avanzare una offerta del genere, ma che non lo aveva fat-to per timore di molestare le trattative in corso. Avrebbe quindi volentieri rivolto al momento opportuno l’invito che gli si suggeriva di rivolgere. Il Santo Padre ha fatto anche presente che sarebbe bene avere anche l’intervento al negoziato del Vietnam del Sud, purché ciò non dovesse pregiudicare le trattative. Inoltre, ha chiesto di sapere se la cosa dovrà rimanere segreta, oppure, se, una volta che l’invito fosse stato accettato, sarà resa di pubblica ragione. Il Santo Padre aveva dato istruzioni alla Nunziatura di avvertire l’Onorevole Mi-nistro di quanto precede, desiderando che egli sia posto al corrente da lui stesso e non per altre vie. La prolungata conversazione tra Jonhson e Monsignor Raimondi è stata molto notata a Washington. Alle richieste in proposito è stato risposto che si trattava della seconda volta in cui Jonhson si incontrava con il Delegato Apostolico dopo l’assunzione di questi a Washington74.

Il giorno successivo D’Orlandi, informato da Marchiori della notizia rice-vuta da Travia su mandato di Paolo VI, sostiene con Fanfani la tesi che si deb-ba aiutare il papa a far incontrare le parti nella Città del Vaticano. Consiglia quindi il ministro degli Esteri di chiedere udienza al Santo Padre per studiare insieme le prospettive dell’iniziativa e offrire la collaborazione del governo italiano per il buon esito dell’operazione.

Ma subentra un colpo di scena. Il potente card. Angelo Dell’Acqua, ex sostituto per gli affari ordinarî della Segreteria di Stato e in quel momento vicario del papa per la diocesi di Roma, rivela a Fanfani che in realtà è stato Paolo VI, per primo, ad avvicinare Johnson e a proporsi come ospite delle parti belligeranti. Il presidente USA avrebbe poi fatta propria l’iniziativa del papa, forse su richiesta di quest’ultimo.

Questo particolare rende bene l’idea dell’ansia del Pontefice di agire nel-la controversia vietnamita e di contribuire al perseguimento dell’immediato cessate-il-fuoco.

74 In allegato al documento, nello stesso fascicolo si trova l’appunto autografo di mons. Raimondi avente contenuto analogo: «Ieri a un ricevimento a Wash[ington] all’ambasciata di Svezia ho detto al Delegato Apostolico di dire che se fra due o tre giorni non riuscivo a trovare una sede per i ne-goziati vorrebbe gradire che che S.[anto] P[.adre] offrisse alle 2 parti di incontrarsi in Vaticano e qualora l’altra parte non gradisse il Vaticano, che suggerisse un’altra sede. Già pensato ad un’offerta del genere ma non avanzare per riguardo alle trattative in corso tra le due parti. Ben volentieri vor-rebbe rivolto invito a momento opportuno. Avrebbe fatto presente che sarebbe bene che intervenisse anche Vietnam del Nord purché questo non pregiudicasse le trattative. Facciano sapere se la cosa deve permanere riservata, o se una volta accettato invito, deve diventare di pubblica ragione. Questa risposta è stata data verso le 14,30. S. Padre andrebbe informato che sappia che fanno perché non si sappia da altre vie. Mons. Raimondi», ivi.

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Nel giro di pochi giorni Fanfani viene contattato da Mons. Mario Pio Gaspari, stretto collaboratore di Agostino Casaroli alla Segreteria di Stato. Anticipato da una presentazione di Dell’Acqua, Gaspari viene a chiedere alla diplomazia italiana ragguagli pratici su come concretizzare l’iniziativa del papa. Una richiesta di aiuto, questa, che sembra far trapelare i dubbi del Vaticano sulla propria autonoma forza negoziale e sulla capacità di incidere effettivamente sull’azione americana nel senso desiderato.

Il ministro degli Esteri italiano focalizza subito il problema principale: se il desiderio più profondo del papa è la partecipazione al tavolo delle trat-tative del Vietnam del Nord (senza la quale ogni negoziato sarebbe inutile e illusorio), occorre neutralizzare in anticipo tutte le possibili contestazioni di Hanoi nei confronti dell’Italia; in primo luogo l’assenza a Roma delle rappresentanze diplomatiche nord-vietnamita e cinese. Su questo fronte il governo italiano s’impegna a collaborare col Vaticano con una concessio-ne strepitosa. Il leader democristiano è pronto infatti, non solo a far aprire a Roma la rappresentanza di Hanoi, ma addirittura quella di Pechino, che significa normalizzare definitivamente le relazioni italo-cinesi. In tal modo il Vaticano, sia pure indirettamente, si spinge a perorare la realizzazione di una tradizionale istanza di politica estera del Partito socialista italiano e di Pietro Nenni che da sempre era stata motivo di acuto contrasto con l’ammi-nistrazione americana75.

Qui di seguito il lungo documento autografo datato 28 aprile 196876:

75 Aldo Moro, per aggirare l’amministrazione americana, nel 1964 stabilì, grazie alla mediazione di un esponente socialista, il senatore Paolo Vittorelli, un contatto diretto con l’allora presidente del Consiglio Zhou Enlai e con questi siglò un “accordo privato”, formula che consentiva di aggirare l’opposizione americana; Cfr. A. CampaNa, Sitting on the Fence. Italy, and the Chinese Question. Diplomacy, Commerce and Political Choices, 1941-1971, Graficalito, Firenze 1995, pp. 37-38, 61-87; P. oLLa BrUNdU, Pietro Nenni, Aldo Moro e il riconoscimento della Cina comunista, in «Le Carte e la Storia», 2/2004, pp. 32-33. Ancora nel gennaio 1969 il sottosegretario di Stato Robert Murphy, incontrando Egidio Ortona per parlare della questione cinese, si mostra «tutt’altro che incoraggiante» e anzi giudica gli approcci di Roma verso Pechino dannosi sia rispetto a Taiwan, sia rispetto all’Unione Sovietica, sia rispetto ai negoziati di Parigi per la fine della guerra nel Vietnam; E. ortoNa, cit., p. 139. Per una svolta nei rapporti italo-cinesi bisognerà aspettare infatti l’insedia-mento della presidenza Nixon, favorevole all’apertura di scambi politico-economici con la Cina, e nel 1969 il IX Congresso del Partito comunista cinese che segna la fine della “rivoluzione culturale” e del radicalismo intransigente; cfr. R. NIxoN, Asia after Viet Nam, in «Foreign Affairs», vol. 46 (1), October 1967, pp. 111-125; C. JIaN, Mao’s China and the Cold War, The University of North Carolina Press, Chapel Hill, London 2001, pp. 242-54. Per lo sviluppo delle relazioni sino-italiane, cfr. E. dI NoLfo, Introduzione, in arChIvIo StorICo deL SeNato deLLa repUBBLICa (a cura di), La normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica italiana e la Repubblica popolare cinese. Atti e documenti, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010, pp. 1-47.

76 ASSR, Fondo Amintore Fanfani, sezione I, serie 1, s.serie 5, s.s.serie 2, b. 37, fasc. 22, Carte varie della mia attività come ministro Esteri. 1966-1968, appunti autografi su carta semplice, s.d.

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28. 4. ‘68

A) Stamane ho visto D’Orlandi, che Marchiori aveva informato del passo di ieri fatto da Travia per incarico di Paolo VI.

D’Orlandi ritiene che si debba aiutare il S. Padre a portare a buon fine l’idea dell’invito alle parti di incontrarsi nella Città del Vaticano. E propone che io chieda di vedere il S. Padre, per informarlo e chiarire le prospettive, aggiungen-do che se per caso sull’accettazione di Hanoi fosse di impedimento la presenza a Roma di una sua rappresentanza e di quella di Pechino, si potrebbe assicurarlo che l’Italia potrebbe essere disposta ad aprirle. Osservo a D’Orlandi che malato come sono non sarebbe facile per me andare dal papa, comunque non potrei farlo prima d’aver parlato con Saragat e Moro specie per la questione della rappresentanze. Poi non ritengo che si debba correre senza aver prima accertato che Hanoi risponderebbe sì al papa, perché in caso contrario si potrebbe offrire il pretesto a W[ashington] per dire che essendo fallito ogni tentativo si può riprendere la guerra. E sarebbe assai peggio di prima.

B) Telefono alle 11 a Travia, ma non è in Nunziatura e non verrà prima di sera.Allora telefono al Card. Dell’Acqua. È fuori sede, lo faccio raggiungere da

Pirrami* pregandolo di venire da me. Viene alle 1315.

C) Dell’Acqua mi dice che domenica scorsa il papa lo avvertì che voleva propor-re il Vaticano ad H[anoi] e W[ashington] per l’incontro ma che per avere spazio alberghiero sufficiente ad altre visite pensava prima di avvertire Fanfani.

Io esplico a Dell’Acqua che Travia ieri ha detto che era stato Johnson nei giorni scorsi a proporre a Raimondi che il papa invitasse i 2 in Vaticano, aggiun-gendo che in caso di difficoltà Egli designasse altra sede. Dell’Acqua insiste per sua versione. Ed io cerco di spiegare con l’ipotesi che Raimondi per incarico del papa abbia avviato il discorso con J[ohnson] ed egli ci sia stato trasformandolo in invito.

Comunque faccio presente a D[ell’Acqua] che il papa non può fare un invi-to se non è certo che Hanoi lo accetti, e se trovasse inciampi deve poter cercare di rimuoverli, quindi in base alla mia esperienza, invito Dell’Acqua ad andare dal papa, dicendogli a nome mio: 1) che non rivolga appelli ai 2 se non è sicuro che oltre che J[ohnson] lo accetti Ho Chi Min, o che almeno non risponda no, perché in tale caso ci sarebbe luogo alla ripresa delle operazioni da parte di W[ashington] e quindi il papa anziché accelerare la pace apparirebbe come uno che ha favorito la ripresa delle opera-zioni militari; 2) che probabilmente Hanoi obietterà l’assenza da Roma di una sua rappresen-tanza e (pur senza dirlo) non accetterà per l’assenza da Roma di una rappresen-tanza di Pechino. Qualora il papa dovesse accertare che Hanoi non accetta il Suo invito per questi ostacoli, mi avverta che per quanto riguarda il primo l’Italia può

* Silvio Pirrami, esponente politico della Democrazia cristiana, fra i collaboratori più stretti di Fanfani.

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fare qualche cosa per rimuoverlo, mentre sarebbe meno facile (ma non impossi-bile di fronte a una seria prospettiva di pace) rimuovere il secondo.

D) Dell’Acqua mi ha assicurato che stasera alle 18 cercherà di parlare col papa. Io gli ho detto che comunichi al papa che faremo tutto il possibile per agevolare anche quest’iniziativa di pace.

29 c[orrente]Preannunciato da Dell’A[cqua] è venuto stasera dalle 1830 alle 1930 a casa

Mons. Gaspari, coadiutore di Mons. Casaroli alla Segreteria di Stato. L’ha man-dato il papa per dare precisazione su quanto detto da Travia.Avverte che la S. Sede ha preso contatti il 25 gen. con Hanoi tramite Bo* a Parigi. Cerca di precisare ancora sul colloquio del Del[egato] apost[olico] a W[ashington] con J[ohnson]. Ma gli faccio capire che so bene come fu il papa ad avere l’idea che J[ohnson] – appresa dal Del[egato] apost[olico] – ha fatto sua. Domanda che fare?

Replico insistendo che il papa non può far inviti e proposte senza essere sicuro di vederle accettate da tutti e due, e nel caso di Hanoi un rifiuto pubblico dopo la proposta autorizzerebbe i falchi USA a chiedere a W[ashington] la ripre-sa dei bombardamenti. Così per imprudenza l’appello del papa, anziché alla pace porterebbe alla ripresa della guerra.

Domanda se si potrebbero contentare di un ni. Replico che a mio avviso ciò ridurrebbe il pericolo ma non lo escluderebbe, quindi faranno bene ad insistere per una adesione anticipata al progettato appello.

Domanda che potrebbero rispondere ad eventuali condizioni.Rispondo che una potrebbe essere quella di una rappresentanza a Roma, in

tal caso mi avvertano e farò il possibile per rimuovere questo ostacolo. Quanto alla rappr[esentanza] cinese la cosa sarebbe più difficile, ma forse si può superare facendo notare che una delegazione commerciale qui c’è già.

Ha colto occasione per dirmi che stasera manderanno istruzioni a Parigi, dato che il Nunzio domani parla col professore [parola illeggibile].

Ho aggiunto che Avriel** per Israele aveva chiesto un intervento della S. Sede per evitare l’invito Onu a non fare la parata del 2 maggio a Gerusalemme e che la S. Sede si è rifiutata.

Ho colto il destro per chiedere che la S. Sede faccia sconsigliare la parata e propendere per fornire aerei a Tel Aviv. Mi ha promesso di farlo.

Come si vede nel documento, emerge la preoccupazione che la mossa di Paolo VI possa rivelarsi imprudente e avventata, col rischio di togliere credibilità alla Santa Sede e di fare il gioco dei falchi dell’amministrazione

* Mai Van Bo, diplomatico vietnamita, sarà il capo negoziatore nella Conferenza di Pace di Parigi (1968-1973).

** Ehud Avriel, ambasciatore israeliano a Roma.

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USA. Fanfani conosce bene il circolo vizioso che ostruisce la via diploma-tica della pace.

Se il Vietnam del Nord fosse pronto a iniziare trattative di pace, ciò da-rebbe forza ai promotori della soluzione negoziata che agiscono all’interno dell’amministrazione USA. Ma il governo di Hanoi non collega alla richiesta di cessazione dei bombardamenti un’indicazione puntuale della data e del luo-go di inizio delle trattative, facendo il gioco di Johnson che, dietro lo schermo dell’intransigenza della controparte, nasconde la volontà di spingere a oltran-za l’escalation.

Il consiglio di Fanfani al papa è di non lasciarsi trascinare nelle maglie dell’impasse diplomatica, dando adito ai detrattori della Santa Sede di colla-borazionismo filo-americano.

L’iniziativa vaticana, in ogni caso, deve comunque cedere il passo di fronte all’inizio della Conferenza di Parigi, fissata per il 13 maggio 1968, cioè dopo la cessazione dei bombardamenti americani e l’annuncio del ritiro dalla scena politica del presidente Johnson.

La fine dell’era Johnson e l’avvento dell’amministrazione Nixon-Kissin-ger determinano, inoltre, una fase di disimpegno americano nel Sud-Est asia-tico cui fa da contrappeso una maggiore attenzione della politica statunitense verso l’Est europeo dopo l’invasione russa della Cecoslovacchia.

In Europa la contemporanea uscita dalla scena politica francese di De Gaul-le e l’inizio della presidenza Pompidou inducono la Chiesa a un riavvicinamento alla Francia favorito dalla mediazione del card. Jean Villot divenuto Segretario di Stato, cui fa da riscontro un progressivo raffreddamento del Vaticano nei con-fronti del governo italiano77 attraversato da ripetute crisi sia al suo interno che nei rapporti con la Santa Sede a causa della revisione del Concordato.

In questo quadro in evoluzione si registra una sorta di ripiegamento o quanto meno di prudenza della diplomazia vaticana in merito alle questioni più spinose sullo scacchiere internazionale; una fase che coincide tra l’altro, tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi dei Settanta, con la nomina di Cabot Lodge a delegato personale di Nixon presso il pontefice e con la stessa visita del presidente americano a Paolo VI il 28 settembre 1970, tant’è che talvolta è serpeggiato il sospetto di un certo allineamento o convergenza della politica della Santa Sede con quella americana78.

I documenti dell’Archivio storico del Partito comunista italiano hanno poi smentito questo sospetto, rivelando invece una chiara convergenza fra

77 Cfr. A. WeNger, Le cardinal Jean Villot (1905-1979), Desclée de Brouwer, Paris 1989, pp. 87 e ss.78 H. kISSINger, Gli anni della Casa Bianca, SugarCo, Milano 1980, p.102.

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l’azione diplomatica di mons. Casaroli e i negoziatori del PCI a latere dei lavori della Conferenza di Parigi.

È stato infatti riscontrato, sulla base di note informative presenti nelle carte della Segreteria centrale del PCI, «il dialogo serrato tra la diplomazia comunista e le gerarchie ecclesiastiche»79.

Una nota riservata, redatta con ogni probabilità da Alceste Santini, vaticani-sta de «l’Unità», riferiva di una riunione tra Paolo VI, Casaroli, Villot e Benelli nella quale era emersa la profonda soddisfazione per gli accordi di Parigi: «Il papa – si legge nel rapporto – ha detto che bisogna seguire la strada intrapresa e gli organismi (Cei, Caritas) devono ricercare tutti i contatti possibili. Di questo fatto mi sono reso conto parlando con mons. Bartoletti segretario della Cei e con mons. Bonicelli (portavoce della Cei), i quali sono rimasti dispiaciuti del fatto che Poma (presidente della Cei) e gli altri dirigenti della stessa Cei non siano stati invitati alla Conferenza per il Vietnam». L’estensore del documen-to aggiungeva: «Ho poi parlato, separatamente, con Casaroli, il quale, facendo riferimento al mio pezzo su “l’Unità” in cui dicevo che la diplomazia vaticana aveva scelto il canale PCI dopo aver constatato che era l’unico possibile, mi ha rivelato che una copia del pro-memoria pontificio era stato mandato a Parigi perché pervenisse ai vietnamiti, ma non fu possibile. Si pensò, allora, di affidar-lo alla missione Berlinguer. L’atto impegnava solo la persona del papa e non la Segreteria di Stato. Casaroli era molto soddisfatto di tutto!»80.

C’è da precisare, in ogni caso, che, in nessuna fase della vicenda bellica vietnamita la Santa Sede ha assunto posizioni pro o contro l’amministrazione americana. Il principio ispiratore della politica estera di Paolo VI è stato, in linea con i valori della teleologia cristiana, quello della pace, per il quale papa Montini non ha risparmiato energie provando a vari livelli tutti canali diplo-matici possibili atti a favorire una risoluzione condivisa e a valorizzare il ruolo dell’ONU come sede legittima del diritto internazionale.

Come si evince dal suo discorso all’assemblea delle Nazioni Unite, il papa vuole che la Chiesa, come «esperta di umanità», non possa e non debba funge-re da improbabile soggetto marginale di fronte ai problemi drammatici che si agitano sul proscenio del mondo moderno, ma al contrario sente il dovere di ritagliarsi un ruolo di pari dignità tra i partner della comunità internazionale.

Ed è in questo contesto che la Chiesa è chiamata a servire la causa della pace, la cui stabilità tra l’altro può essere garantita se declinata negli aspetti

79 M. gaLeazzI, Il PCI e il movimento dei paesi non allineati (1955-1975), Franco Angeli, Milano 2011, p. 213.

80 Nota informativa del 23 febbraio 1973 alla Segreteria e alla Direzione del PCI, cit. Ivi, pp. 213-214.

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paoLo vI e IL vIetNam: fra CoNteStazIoNe e peacebuiLDing

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del modello di sviluppo così come era stato pensato nella Populorum pro-gessio. Nasce da ciò la forte motivazione di papa Montini a sottolineare con vigore il ruolo dell’ONU come sede naturale della diplomazia multilaterale, nell’ambito della quale la Chiesa rappresenta una «singolare ma efficace ma-niera di annunciare il Vangelo»81.

81 Discorso di Paolo VI ai rappresentanti della Santa Sede presso le organizzazioni internazionali, 4 settembre 1974, in «La Civiltà Cattolica», vol. IV, 1974, pp. 66-67.

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