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Da: “Se questi sono gli uomini” di Riccardo Iacona, ed. Chiarelettere VANESSA SCIALFA La confessione “Approfittando del fatto che Vanessa era chinata verso l’armadio dove stava scegliendo il giubbino da indossare, con il cavo di connessione dei dvd facevo un doppio giro al suo collo e, mentre stringevo, l’ho tirata di peso facendola rovinare a pancia in su sul letto, ove, mentre le gambe penzolavano, la parte superiore del corpo si adagiava. In tale momento io continuavo a stringere mentre lei non opponeva alcuna resistenza.”. Sono le 19,20 del 26 aprile 2012, siamo negli uffici della Squadra mobile della Questura di Enna, città di neanche trentamila abitanti nel centro della Sicilia. A parlare, davanti al Pubblico Ministero Francesco Rio e al Capo della Squadra mobile Giovanni Cuciti, è un uomo di 34 anni, Francesco Lo Presti. Ha appena portato la polizia sul luogo in aperta campagna dove aveva lasciato il cadavere della fidanzata, Vanessa Scialfa, una giovane ragazza di 20 anni di cui non si avevano più notizie da due giorni e che tutta la città stava cercando. Adesso per Francesco è il momento della confessione: “dopo 5 minuti ho visto uscire del sangue dal naso e dalla bocca, continuavo a serrare il cappio fatto con il cavo. Quando ho iniziato a sentire che iniziava a respirare male l’ho sollevata di peso e l’ho adagiata per terra tra il comò e l’armadio. In tale momento, appena mi sono accorto che Vanessa non respirava più, ho dato uno strattone al cavo, che ancora era attorcigliato al suo collo, provocando la rottura del cavo. Tolto il cavo dal collo di Vanessa, mi sono portato in bagno ove mi lavavo le mani che si erano sporcate di sangue. Fatto ritorno verso la camera da letto, ho notato e sentito Vanessa mentre emetteva dei rantoli e allora ho preso un fazzoletto di stoffa di colore rosso e bianco e, dopo averlo imbevuto di candeggina, con forza gliel’ho premuto sulla bocca e sul naso, impedendole così di respirare. Trascorsi ulteriori 5 minuti, ho constatato che Vanessa non respirava più, che il petto non le batteva e che le unghie le erano diventate di color lilla”: Ha fatto una morte orribile, Vanessa, la sua agonia è durata molto tempo, decine di minuti, e Francesco avrebbe potuto smettere in qualsiasi momento, già mentre le stringeva per la prima volta il cappio attorno al collo facendola cadere sul letto. Magari dopo il primo impulso, il “raptus” come si dice spesso, avrebbe potuto allentare la presa, fermarsi, prendersi la testa tra le mani e gridare: “Mio Dio, che sto facendo!”, e chiamare aiuto. Ma non l’ha fatto. E quando dopo si è accorto che Vanessa, ancora viva, rantolava per terra, non ha chiamato la polizia e l’ambulanza, e si è piegato e l’ha soffocata per altri interminabili minuti con un panno intriso di candeggina. Solo dopo che l’ha uccisa si è calmato. Si è seduto su una sedia e, guardando il corpo della fidanzata, ha cominciato a pensare al da farsi.

progettorespect.files.wordpress.com file · Web viewDelitto d’onore. Onore tradito dalle parole: “Adesso ci vado e me lo scopo”. La storia di Vanessa e Francesco comincia nel

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Da: “Se questi sono gli uomini” di Riccardo Iacona, ed. Chiarelettere

VANESSA SCIALFA

La confessione

“Approfittando del fatto che Vanessa era chinata verso l’armadio dove stava scegliendo il giubbino da indossare, con il cavo di connessione dei dvd facevo un doppio giro al suo collo e, mentre stringevo, l’ho tirata di peso facendola rovinare a pancia in su sul letto, ove, mentre le gambe penzolavano, la parte superiore del corpo si adagiava. In tale momento io continuavo a stringere mentre lei non opponeva alcuna resistenza.”. Sono le 19,20 del 26 aprile 2012, siamo negli uffici della Squadra mobile della Questura di Enna, città di neanche trentamila abitanti nel centro della Sicilia. A parlare, davanti al Pubblico Ministero Francesco Rio e al Capo della Squadra mobile Giovanni Cuciti, è un uomo di 34 anni, Francesco Lo Presti. Ha appena portato la polizia sul luogo in aperta campagna dove aveva lasciato il cadavere della fidanzata, Vanessa Scialfa, una giovane ragazza di 20 anni di cui non si avevano più notizie da due giorni e che tutta la città stava cercando. Adesso per Francesco è il momento della confessione: “dopo 5 minuti ho visto uscire del sangue dal naso e dalla bocca, continuavo a serrare il cappio fatto con il cavo. Quando ho iniziato a sentire che iniziava a respirare male l’ho sollevata di peso e l’ho adagiata per terra tra il comò e l’armadio. In tale momento, appena mi sono accorto che Vanessa non respirava più, ho dato uno strattone al cavo, che ancora era attorcigliato al suo collo, provocando la rottura del cavo. Tolto il cavo dal collo di Vanessa, mi sono portato in bagno ove mi lavavo le mani che si erano sporcate di sangue. Fatto ritorno verso la camera da letto, ho notato e sentito Vanessa mentre emetteva dei rantoli e allora ho preso un fazzoletto di stoffa di colore rosso e bianco e, dopo averlo imbevuto di candeggina, con forza gliel’ho premuto sulla bocca e sul naso, impedendole così di respirare. Trascorsi ulteriori 5 minuti, ho constatato che Vanessa non respirava più, che il petto non le batteva e che le unghie le erano diventate di color lilla”:

Ha fatto una morte orribile, Vanessa, la sua agonia è durata molto tempo, decine di minuti, e Francesco avrebbe potuto smettere in qualsiasi momento, già mentre le stringeva per la prima volta il cappio attorno al collo facendola cadere sul letto. Magari dopo il primo impulso, il “raptus” come si dice spesso, avrebbe potuto allentare la presa, fermarsi, prendersi la testa tra le mani e gridare: “Mio Dio, che sto facendo!”, e chiamare aiuto. Ma non l’ha fatto. E quando dopo si è accorto che Vanessa, ancora viva, rantolava per terra, non ha chiamato la polizia e l’ambulanza, e si è piegato e l’ha soffocata per altri interminabili minuti con un panno intriso di candeggina. Solo dopo che l’ha uccisa si è calmato. Si è seduto su una sedia e, guardando il corpo della fidanzata, ha cominciato a pensare al da farsi.

Cosa aveva scatenato una furia omicida così lucida e determinata? Ecco cosa dichiara durante la confessione: “Sul divano di casa abbiamo iniziato a fare l’amore, saranno state le 12,50 circa. Atteso che durante gli amplessi la Vanessa mi ha sempre chiamato con il diminutivo del mio nome di battesimo, Ciccio, quel giorno disse il nome di un suo ex. Così iniziammo a litigare in tutte le stanze della casa. Vanessa si fece la doccia e cominciò a vestirsi, ad asciugarsi i capelli, a truccarsi. Alla mia ennesima domanda sul perché durante l’amplesso mi avesse chiamato con il nome dell’ex mi rispose: ‘Adesso ci vado e me lo scopo’”. Gelosia, quindi, l’ha uccisa per questo, questa la giustificazione che Francesco presenta agli uomini che stanno ascoltando la sua confessione. Delitto d’onore. Onore tradito dalle parole: “Adesso ci vado e me lo scopo”.

La storia di Vanessa e Francesco comincia nel dicembre 2011, cinque mesi prima. A quel tempo Vanessa è fidanzata con Alessandro, un giovane muratore di qualche anno più grande. Francesco comincia a farle una corte spietata e a fine gennaio la ragazza decide di lasciare il ragazzo e di mettersi con quest’uomo di 14 anni più vecchio di lei, appena separato e con un figlio, frutto di una precedente relazione. Per lui Vanessa litiga con tutti, con Alessandro e soprattutto con il padre, Giovanni.

Con lui e la moglie Isabella ci diamo appuntamento nell’appartamento di Pierelisa Rizzo, una collega giornalista di Enna, molto brava che mi sta aiutando a incontrare le persone legate a questa vicenda. Sono passate solo poche settimane dall’uccisione si Vanessa. Non hanno voluto che andassimo a casa loro, è stata troppa la pressione dei media sulla famiglia nei giorni successivi alla scoperta del corpo della figlia e dell’arresto del fidanzato. Praticamente tutti i programmi delle televisioni generaliste, mattino, pomeriggio e sera avevano un pezzo sulla storia di Vanessa, e la strada sotto casa era presidiata dai satelliti per le dirette dei tanti inviati che per giorni hanno battuto Enna in lungo e in largo

alla ricerca dell’ultima dichiarazione dell’ultima amica della ragazza. Ma il centro del racconto erano sempre loro, gli Scialfa: il padre, 50 anni, usciere del Comune, la mamma, 12 anni più giovane, minuta, tutta vestita di nero, la sorella maggiore e il fratellino più piccolo. Sono andati prima in televisione per farsi aiutare a ritrovare la figlia scomparsa e, dopo, per interrogarsi sul perché di quello che era successo insieme a milioni di Italiani in ascolto.

“Ha conosciuto quest’uomo al bar dove lavorava. Lui si è intromesso nella vita di Vanessa e di Alessandro, il suo ragazzo, sa, con quelle ‘paroline di nobiltà’, prendendo le difese di mia figlia quando litigava con Alessandro.” inizia a raccontarmi il padre, mentre la moglie ascolta in silenzio, gli occhi chiusi. “Andava da Alessandro e gli diceva: ‘Guarda, tu hai un fiorellino, hai una ragazza d’oro, non la devi maltrattare, perché non lo merita’”.

“Ma perché con Alessandro non andava bene?” gli chiedo. “Era un ragazzo molto educato e lavoratore, che sono le due cose principali, ma litigavano spesso perché era geloso, come tutti i ragazzi che ha avuto, la gelosia normale di tutti i ragazzi che magari vedi che la ragazza viene guardata da un altro, magari guardava qualcuno… le solite storie di tutte le coppie”.

Alessandro e Vanessa erano fidanzati da tre anni, si erano praticamente “accasati”: una domenica tutti a mangiare a casa della famiglia di lui, quella successiva a casa di quella di lei. Nonostante i 25 anni, Alessandro vive ancora con la famiglia in una casa popolare di Enna Bassa, in una nuova zone di espansione della città dove è stato già costruito tantissimo alle pendici della montagna sulla cui vetta sorge il centro storico del capoluogo. Abita nella palazzina centrale di un complesso di case allineate una dietro l’altra lungo uno stradone che si affaccia direttamente sulla campagna. Appena Pierelisa e io entriamo nell’androne, ci viene subito incontro la madre: “Vanessa era un angelo, un angelo, avevamo un angelo e ce l’hanno tolto…” continua a ripetere mentre sale con noi l’ultima rampa di scale e ci accompagna all’interno dell’appartamento. Alessandro è piccolo, magro e dimostra meno degli anni che ha. Da quando si è lasciato con Vanessa si è tagliato i capelli quasi a zero, come un militare. È appena tornato dal cantiere dove lavora come muratore, si è fatto la doccia e sta per uscire, perché, come mi dice subito “sto cercando di fare la vita mia, dopo che Vanessa mi ha lasciato”. Ai funerali di Vanessa, nella chiesa madre, davanti a tutte le autorità e a migliaia di persone, non se l’è sentita di parlare, di ricordare la sua ex fidanzata. Ha preferito affidare le sue parole a una lettera che un amico ha letto al suo posto. Diceva così: “Cara Vanessa, forse ti ho perso perché ero troppo geloso”.

“Io ero geloso ma per le cose giuste, nelle cose giuste ero geloso, perché vedevo per esempio che Francesco si prendeva troppa confidenza con lei, che ci andava a parlare sempre e a me non piaceva questa cosa”.

“Solo di lui eri geloso, o anche degli altri?” gli chiedo.

“Anche degli altri, giustamente, la solita gelosia dei ragazzi, sulla propria fidanzata, è normale essere gelosi”.

“Perché Vanessa era una ragazza socievole, com’era?”

“Era una ragazza socievole, sì, che parlava con tutti, lavorava nei bar, serviva da bere e parlava con tutti”.

“E questa sua socievolezza ti faceva ingelosire?”

“Sì, un pochettino, sì, mi dava fastidio questa cosa, è normale. Non mi piaceva che lavorava nel bar, glielo avevo detto, perché è sempre pieno di gente che si avvicina, che scherza, che ti fa la battuta. Per questo litigavamo”.

“ E nei tre anni che siete stati assieme sei sempre stato geloso di lei?”

“Sì, certo, le volevo bene, l’amavo. C’era della gelosia normale come in tutte le coppie, anche questo rafforza il rapporto, penso, perché se non c’è gelosia…”

“Giustamente il ragazzo ci tiene alla sua ragazza” interviene la madre. “Quando Vanessa faceva il turno di notte al bar, mio figlio mica dormiva, stava sempre al cellulare a chiamarla. Tutto a posto? Tutto bene? E lei: non mi disturbare che sto lavorando, mi farai cacciare. Giustamente non bisogna disturbare quando uno lavora, ma mio figlio ci teneva a Vanessa, per questo litigavano. Era pazzo per lei”. “Glielo avevo anche detto: quando ci sposiamo tu lasci il lavoro. A lavorare basto io”.

“Tu la controllavi al bar?”

“Certo che la controllavo, mi mettevo dietro un muretto”.

“Quante volte sei andato a controllare?”

“Ci andavo spesso la sera…”

“E lei non lo sapeva…”

“No, non lo sapeva. Poi alla fine gliel’ho detto e lei si è arrabbiata…”

“Certo per una ragazza non è carino sapere che il fidanzato sta nascosto dietro un muretto a spiare!”

“Questo è vero e me ne sono anche pentito, per questo ho scritto quella frase sulla lettera”

Prendiamo fiato tutti e due. Siamo seduti su un piccolo divano, uno a fianco all’altro. La stanza è buia e abbiamo parlato a bassa voce con la madre, che non s’è persa neanche una battuta. Alessandro abbassa la testa, è un ragazzo di poche parole e ha già fatto uno sforzo enorme a confidarsi, a parlare di sé, a ricordare Vanessa, ed è come stremato. In suo aiuto, ancora una volta, interviene la madre: “Io ho capito subito che mio figlio l’aveva persa, Vanessa, perché io ho parlato anche con Francesco, a me non mi ferma nessuno se c’è da difendere i miei figli, avevo saputo che al chiosco c’era stata una discussione tra lui e mio figlio…”. L’episodio cui si riferisce la madre è successo poco prima che Vanessa lasciasse Alessandro. Sono ormai mesi che litigano su Francesco, tutti i giorni. E Francesco tutti i giorni trova il modo per andare a trovare Vanessa al chiosco, dove la ragazza lavora come banconista. Una mattina di gennaio Alessandro si apposta dietro il muretto e vede Vanessa e Francesco che si baciano. Esce come una furia dal nascondiglio e si scaglia contro di lui, prendendolo a male parole: “Tu non ti devi neanche permettere di guardarla, la mia fidanzata!” gli grida in faccia. Si cominciano a strattonare, acolpire, ma gli studenti della vicina università intervengono e li dividono. Vanessa, in lacrime, torna a lavorare dietro il bancone del bar, morta di vergogna. Qualcuno avverte la madre di Alessandro, che arriva subito davanti al chiosco e affronta Francesco: “Ci ho detto: ‘Francesco non mi prendere per il culo, puoi prendere in giro mio figlio, ma a me no, lasciala stare, vedi che è una ragazzina, non lo vedi che è fidanzata?’ E lui: ‘Nooooooo, signora, ma che dice, io mettermi con una ragazzina, ma assolutamente, io sono papà’, con le lacrime agli occhi. Doveva vederlo che faccia da schiaffi, ci sapeva fare. E allora: ‘ma tu l’hai baciata?’ gli ho detto. ‘No, signora, non è vero’. ‘Ma come?! Mio figlio ti ha visto da lontano, tu l’hai fatto!” gli ho gridato in mezzo alla strada. ‘Comunque im fai un piacere? Se vuoi prendertela, prenditela! Ma non prendere per il culo mio figlio, che stai sempre qui al bar!’ e me ne sono andata. Ma lo sapevo che lui l’aveva persa. Stava sempre al bar, una volta ci portava un golf, una volta i fiori, se l’è comprata, la ragazza, se l’è comprata con tutti questi regali”.

“Perché l’ha uccisa?”

“Francesco era troppo morboso. Io sono sicura che lei aveva capito che non era la persona giusta per lei e che se ne voleva andare. Per questo l’ha uccisa. Vanessa era ribelle, si sapeva difendere, era una ragazza intelligente, molto intelligente”. Poi si gira e va verso la credenza, da un cassetto tira fuori due cd, sopra c’è scritto a pennarello: “Per il mio grande amore!”. “Questi li aveva regalati Vanessa ad Alessandro, li avevo tolti a mio figlio, dico la verità, perché secondo me lui se la deve dimenticare…” mi dice mentre infila il primo cd nel lettore. “Ma non li ho buttati, me li sono tenuti. Perché lei resterà sempre nel mio cuore, mio figlio era pazzo di lei, guardate che angelo”. Sul grande schermo del televisore le foto scorrono una dopo l’altra, al tempo di una canzone, Alessandro e Vanessa, Vanessa e Alessandro, sempre insieme. La maggior parte sono autoscatti, giù nel cortile di casa, a tutte le ore, in macchina, loro due stretti, guancia a guancia, che guardano l’obiettivo. Poi immagini di tramonti scattate con il cellulare dal finestrino dell’auto. Due mani che formano un cuore e, dentro, catturato dall’obiettivo, un raggio di sole al tramonto. Loro due in piedi davanti alla macchina rossa di Alessandro, sempre da soli, senza un amico. Una volta sola c’è una foto a tre, con Maria, la sorella maggiore di Vanessa. Poi solo loro due.

Vanessa ha l’aria di una bambina, gli occhi dolci, contenta di farsi fotografare a fianco del suo uomo. Chissà quanti giorni ha lavorato al computer per mettere insieme questo film della loro storia d’amore, per trovare le frasi che ogni tanto appaiono tra una foto e l’altra: “Se ami qualcuno scatta una fotografia con il cuore, così il tempo non si porterà via il suo ricordo, perché quello che nel cuore è inciso resterà per sempre!” ha scritto Vanessa. E ancora: “Grazie per ogni abbraccio, per ogni minuto che mi sei accanto, il mio cuore batte per te. Parlo, parlo, parlo, ma la cosa che vorrei dirti ogni volta che ti guardo è semplicemente ‘Ti amo’. Amo i tuoi baci, i tuoi abbracci”. “Quando siamo sereni, siamo

stupendi. Per realizzare il nostro sogno, per restare sempre insieme bisogna che cresciamo. Mettiamo da parte la rabbia, la gelosia, l’orgoglio e portiamo avanti il nostro amore che ci porterà a continuare a scrivere le pagine della nostra splendida storia. Ti amo.”.

“Avevate amici, una comitiva?”

“Be’, no, stavamo sempre da soli”

“Vanessa non aveva amiche del cuore con cui confidarsi?”

“Aveva le sue vecchie compagne di scuola ma da quando ci eravamo fidanzati non le frequentava più. Ripeto, stavamo sempre insieme”.

“Non aveva Facebook, Vanessa?”

“No, no, cioè, prima ce l’aveva, ma poi ha deciso di toglierlo, perché anche lì, su facebook, c’è un sacco di gente, non è che è una cosa tanto positiva. Io gliel’ho detto: guarda che a me non mi piace questa cosa di facebook, che la gente sa le cose nostre, e gliel’ho consigliato anch’io di toglierlo e lei l’ha tolto”.

“Quindi quando stava con te non aveva un’amica del cuore con cui confidarsi?”

“No, non ce l’aveva, ma era una ragazza socievole, salutava tutti…”

“Ho capito, socievole, ma non si può vivere solo con il ragazzo” lo interrompo.

“Non lo so con chi si confidava, ma amiche, o amici del cuore no, quello no”.

Le amiche del cuore

Mi fermo davanti al chiosco dove Vanessa ha lavorato prima di andare a vivere con Francesco, lo stesso davanti al quale c’è stato lo scontro tra la madre di Alessandro e Francesco, lo stesso dove Alessandro, preso dalla gelosia, veniva a spiare la sua fidanzata. A duecento metri dal chiosco c’è il muretto dove si appostava, proprio davanti all’ingresso della facoltà di Scienze pedagogiche. Ci veniva anche il padre di Vanessa, a controllare, soprattutto nelle ultime settimane di gennaio. La storia di Vanessa, Francesco e Alessandro la conoscevano ormai tutti e tutti stavano addosso alla ragazza: la mamma di Alessandro per difendere l’onore del figlio, il padre di Vanessa per cercare di convincerla a non frequentare Francesco. “Io, Francesco neanche lo conoscevo – mi dice Giovanni Scialfa – poi mi sono informato: una moglie appena lasciata, un’altra donna da cui aveva avuto un figlio, mai un lavoro stabile, un po’ muratore, un po’ cameriere, 34 anni… insomma, lo sapevo che non era il tipo giusto di mia figlia. E le ho proibito di vederlo”.

Il chiosco è in legno e vetro, un piccolo spazio con il bancone, un altro per i gelati e tanti tavolini fuori, dove vengono a sedersi gli studenti e i professori dell’università. Cerco di immaginare questa giovane donna di 20 anni che sta cercando di costruire la sua vita. Le foto che abbiamo a disposizione di rimandano il volto di una ragazza sorridente, solare, dolce, piccola, poco più che una ragazzina, capelli e occhi neri, denti bianchissimi. Mi giro di scatto per far passare le nuova banconista che sta entrando con le casse dei gelati. Magra, piccola e anche lei nera di capelli. Proprio come Vanessa. “Uguale identica” mi conferma sorridendo. “Ma io non l’ho conosciuta, Vanessa, deve parlare con la proprietaria”.

Da papà e mamma Scialfa ho saputo che Vanessa era brava a scuola ma che poi aveva voluto lasciare il liceo artistico. “Era troppo ribelle” mi aveva detto il padre. Così Vanessa aveva cominciato a lavorare presto, a 17 anni. Il primo contratto l’aveva ottenuto al Bellavista, un bar nel centro di Enna, proprio sul vertice della montagna, in una posizione strepitosa. Dà infatti su una delle più belle piazze di Enna, che si affaccia direttamente sulla pianura. Davanti c’è la splendida Calascibetta, uno dei pochi comuni della provincia ad aver mantenuto l’assetto urbano originario, un paese abbarbicato sulla montagna. Di notte lo spettacolo è ancor più suggestivo, con il paese illuminato del rosso e dell’oro dei vecchi lampioni.

Il Bellavista è il luogo di ritrovo di tutti i ragazzi di Enna, soprattutto d’estate. Ecco perché nei mesi estivi hanno bisogno di più personale. Vanessa passa, legge il cartello CERCASI BANCONISTA, entra, chiede, e dopo un perioso di prova viene assunta. Si farà tutta l’estate, compresi i turni di notte, che prima delle due non si finiva mai di lavorare. Sono le famose “notti in bianco” di cui parla la mamma di Alessandro, quelle in cui il figlio tempestava di messaggi Vanessa per controllarla. Oggi, di lei, hanno tutti un ricordo bellissimo, dal proprietario, al capo cameriere, ai giovani colleghi. Tutti a dirmi quanto era “brava, disponibile, dolce, allegra, sempre contenta, felice” Vanessa. E sono sinceri. “L’aspettavamo per la prossima estate, glielo avevo detto a Vanessa che l’avremmo ripresa a lavorare” mi conferma il proprietario. Ma anche le amiche di Vanessa che riesco a incontrare mi fanno tutte lo stesso quadro: “un angelo, una ragazza dolcissima”. Lui, Francesco, invece, è una “bestia che merita solo di essere sputato in faccia, non lo perdonerò mai”, però prima che tutto succedesse “era una persona normale, nessuno se lo sarebbe mai aspettato da lui, sinceramente non me lo sarei mai immaginato, no, a noi non era arrivato alcun segnale che Vanessa stava male con lui, se l’avessimo saputo saremmo intervenute” dicono oggi le amiche. Anche Alessandro era “dolcissimo., forse un po’ geloso, ma di quella gelosia giusta, non morbosa”.

Guardo i ragazzi e le ragazze di Enna che sciamano dentro e fuori dal bar, attorno alle panchine della piazza, molti con le bottiglie di birra in mano. Le fidanzate le riconosci subito, perché occupano sulla scena uno spazio a parte, sempre vicine al fidanzato, che le cinge alla vita con un braccio.

“Quando aveva ancora facebook ci scrivevamo lì, poi l’ha tolto perché si era fidanzata e ci siamo perse un po’ di vista” mi dice Luana, una ragazza schiva, di un anno più grande di Vanessa. L’amica del cuore di quando erano ragazzine, prima che entrassero in scena i fidanzati. Siamo stati fortunati a incontrarla, con Pierelisa, perché Luana è già un anno che vive lontano da casa, dalla Sicilia. Per 5 mesi è stata a Praga a lavorare nella ristorazione e adesso sta andando a Roma, dove ha trovato un lavoro da banconista. Ancora pochi giorni e l’avremmo mancata. E insieme a lei avremmo mancato l’occasione di scavare oltre al senso comune di parenti e amici, quel “dolcissima, solare, buona, brava e bella”, quel “bestia, nessuno se lo sarebbe mai aspettato da lui”, le parole da format televisivo che servono da scudo, per tenere lontana l’altra vita, quella dove si soffre, si grida, ci si insulta, si prendono schiaffi, si piange e ci si dispera, mentre il sogno di amore e libertà prende la forma di una prigione.

“Anche se voleva interagire, parlare con me, che sono sempre stata la sua amica più stretta, non ne ha mai avuto la possibilità, perché il fidanzato poi si arrabbiava e quindi esitavo anche di chiamarla o di chiederle di incontrarci”.

“Quando è stata l’ultima volta che hai parlato da sola con la tua amica del cuore?”

“Ne è passato di tempo! Quando Vanessa lavorava al Bellavista, due anni fa, mi ricordo, ci siamo sedute finalmente sa sole a bere una birra a fine turno”.

“Hai altre amiche come Vanessa, con le quali, una volta fidanzate, hai perso i contatti?”

“Tutte” mi risponde sicura. “Nella mia generazione, dai 20 fino ai 25 anni, tutti i ragazzi sono possessivi. La ragazza non può uscire, non può andare a ballare perché ‘forse incontra qualcuno che ci prova e allora mi fa diventare cornuto’. Quelli ragionano così”

“Impressionante, siamo nel 2012 mica negli anni cinquante” le dico stupito.

“Guardi, io posso parlare di tutte le mie amiche che sono fidanzate. Io per parlarci devo fare domanda al Comune in carta bollata. Sa la cosa che mi ha più impressionata, adesso che è un mese che sono a Enna? Ho già visto diverse volte coppie di fidanzati che litigano e lui che le molla un ceffone. L’ho visto fare in macchina, ma anche in mezzo al corso, davanti a tutti.”

“Nessuno che interviene?”

“Nessuno che interviene. Vent’anni fa sarebbe stato uno scandalo, oggi non ci fa più caso nessuno, la gente gira lo sguardo dall’altra parte e lascia fare.”

Enise è un’altra amica del cuore di Vanessa, sempre prima che entrassero in campo i fidanzati.

“Vanessa la conoscevo da quando avevo 11 anni, adesso ne ho 22, pensi lei quanto tempo assieme. Andavamo nella stessa scuola e ci andavamo sempre assieme. Spesso andavo a mangiare a casa da lei, tante risate ci siamo fatte con

Vanessa, le cantate a squarciagola, le marinate a scuola… adesso non la sentivo ormai da parecchio tempo”. Del resto, anche Enise si è fidanzata presto, a 14 anni, e altrettanto presto è uscita di scena, senza comitiva, senza amici e senza amiche.

“Il mio primo fidanzato mi ha rotto il braccio” mi dice.

“Quanti anni avevi?”

“14 anni”

“A 14 anni ti ha rotto il braccio?”

“Sì, ero piccolina, lui ne aveva di più, 17”.

“E come te l’ha rotto?”

“Me l’ha girato fino a romperlo, non sai il dolore, mi sembrava di impazzire”

“E perché l’ha fatto?”

“Perché avevo salutato un altro mio amico, sempre qui siamo, gli uomini possessivi che pensano ‘questa donna è mia’ e…”

“Prima di romperti il braccio c’era stato anche lo schiaffo?” la interrompo.

“Sì, prima c’era stato lo schiaffo, poi ‘scusami amore, ti prego, perdonami’. Sempre così fanno, piangono per farsi perdonare. Poi dallo schiaffo siamo passati a due schiaffi, poi ai calci e poi ai pugni. E alla fine mi ha rotto il braccio. Dopo un anno sono riuscita a lasciarlo e adesso riongrazio Dio che mi hadato un marito che non mi tocca nemmeno con un fiore.”

Sono queste le “amiche del cuore” di Vanessa. Torniamo dentro al chiosco, dietro al bancone insieme a Vanessa, nelle ultime settimane di gennaio, quando sta per decidersi di lasciare Alessandro e mettersi con Francesco. Se non avesse fatto quella scelta, oggi Vanessa sarebbe viva. Se avesse saputo vedere oltre le parole galanti, i cuoricini negli sms, i golf e i fiori, se avesse gettato lo sguardo nell’altra vita, avrebbe visto un Francesco molto diverso, quello che tutti a Enna conoscevano come un poco di buono, segnalato alla polizia qualche anno prima, per uso di stupefacenti. Un trentaquattrenne con due storie finite alle spalle. Con la prima donna aveva avuto un figlio maschio che per anni non aveva voluto riconoscere, poi il riconoscirmento era arrivato, ma aveva continuato a non occuparsi del bambino e anon passargli un soldo. La seconda storia era invece sfociata in un matrimonio durato 4 anni. In città si diceva che lui picchiasse la moglie. Quando aveva cominciato a fare la corte a Vanessa, si era appena separato. Certamente non era una persona con una storia semplice alle spalle. Un uomo che aveva collezionato già tante sconfitte, non ultima quella professionale. Il lavoro non era proprio il suo forte. Dopo aver fatto saltuariamente il muratore era entrato come aiuto cuoco in un grande albergo di Enna Bassa, il Federico II. Ma, anche lì, ci andava e non ci andava. Così aveva un sacco di tempo a disposizione, tutto quello che passava nel chiosco a corteggiare Vanessa. E Vanessa, in quel momento difficile, dove stanno succedendo tante cose, è sola. Non ha neanche un’amica con cui confidarsi, una voce esterna che l’aiuti a capire se il sogno di amore che alimenta le sue giornate, i suoi pensieri, quello che la sta portando a litigare tutti i giorni con il padre, corrisponda almeno un po’ alla verità dei fatti e dei sentimenti. Ha solo le colleghe del chiosco e la proprietaria, la signora Giusy. Loro hanno visto nascere la storia di Vanessa e Francesco sotto i loro occhi, perché tutto è successo nel chiosco, durante le ore di lavoro.

Gli ultimi novanta giorni

“Professionalmente brava, niente da dire, non saltava mai un turno. Brava, sorridente con i clienti, andava tutto bene. Solo che in quel periodo lei stava con Alessandro, ma conosceva già Francesco, che la veniva a trovare qui tutti i giorni” mi dice la signora Giusy, ancora scioccata per la morte della ragazza con cui ha convissuto per un mese e che è stata uccisa per mano dell’uomo che frequentava proprio nel suo bar. “Lei mi deve capire, conoscevo Vanessa, conoscevo Francesco, per me lo shock è stato doppio, non ci volevo credere, non ci volevo credere, fino all’ultimo ho pensato: ‘Si sono sbagliati, non può essere…’ Proprio l’altra sera stavo dicendo a mio marito: ‘Ma ti rendi conto che abbiamo perso Vanessa, che non c’è più?’. Anche mio marito le voleva bene, una ragazza d’oro, niente da dire”.

“Quindi Francesco veniva qui tutti i giorni?”

“Tutti i giorni. Faceva colazione e poi ci chiacchierava, sì. Parlavano al bancone, magari se c’erano pochi clienti si mettevano fuori a parlare, a fumare una sigaretta e poi so che si vedevano anche fuori, si sentivano. Così una sera l’ho fermata, io sapevo che lei era fidanzata con Alessandro: ‘Senti un po’ – le ho detto – fammi capire, Francesco l’hai conosciuto qui o lo conoscevi da prima?’ ‘No – mi fa lei – ci conosciamo dal Bellavista, però ora è un periodo che ci sentiamo, ci vediamo’. Lui la corteggiava e lei mi diceva: ‘Peccato, se non ero fidanzata con Alessandro… perché è un tipo di ragazzo che mi piace, peccato la differenza di età, però è sempre così cortese’. Ed è vero, era cortese, sempre gentile, si faceva avanti subito se c’era da fare una commissione, un favore… no, gentilissimo. E a lei piaceva questo suo modo di fare, sempre attenzioni, sempre regali”.

“Lui era molto galante”.

“Mooolto galante, molto. Solo che poi sono cominciate tutte le discussioni, tutti i problemi, Alessandro la chiamava al telefono e lei: ‘Alessandro, ti prego, sto lavorando, non mi disturbare’. E allora Alessandro veniva, la chiamava fuori, Francesco la stessa cosa, la chiamava al telefono, veniva. Poi un giorno c’è stata una discussione tra i due, davanti alla scuola si sono quasi menati, insomma un casino”.

“E voi che cosa le dicevate?”

“Ma noi, guardi, pur di sistemare la questione, perché a noi interessava Vanessa come lavoro, ‘la vita privata, Vanessa, lasciala fuori’ le dicevo. ‘Sì, sì, hai ragione’ mi diceva sempre lei, con quel sorriso. Solo che Alessandro veniva, Francesco pure, e quindi vuoi o non vuoi, la sua vita privata si concentrava tutta qui, dentro al chiosco. Io mi ero affezionata a Vanessa, infatti mi manca, non sa quanto mi manca. Poi lei ha deciso di lasciare Alessandro e si andarsene di casa perché suo padre aveva scoperto tutta questa tiritera e non voleva che lei stesse con Francesco, e lei se n’è andata da casa. Noi abbiamo cercato di convincerla a tornare a casa perché non aveva neanche le possibilità economiche si affrontare l’affitto, era una ragazzina. Avevamo anche cercato di convincere il padre a richiamarla, ma il padre era stato chiaro: ‘Se lei ha deciso di stare con questo, con me ha chiuso’”.

“Era il 5 febbraio quando ci ho litigato” mi dice il padre, Giovanni Scialfa. “Ha voluto per forza lasciare casa, le avevamo vietato tassativamente di stare con questo perché non mi piaceva, e non mi ha voluto stare a sentire.”.

Il litigio di quella sera è di quelli forti, e volano anche schiaffi. Il padre è talmente senza risorse e strumenti che chiama la polizia per chiedere consiglio. Che deve fare? La può chiudere in casa? “E quelli mi hanno risposto: ‘Ha 20 anni, non le può impedire di uscire di casa’. Rischiavo anche l’accusa di sequestro di persona, mi hanno spiegato, e così l’abbiamo lasciata andare, anzi l’abbiamo accompagnata da un’amica che l’avrebbe ospitata, ma sappiamo che già la sera stessa dormiva con Francesco”.

“Nonostante questo litigio, voi siete rimasti in contatto con Vanessa, no?”

“Io, essendo madre – risponde la signora Isabella – io l’avrei sempre cercata, a Vanessa, saranno passati neanche 4 o 5 giorni e ci siamo incontrate, io sono stata a casa sua, lei veniva da me quando lui non c’era…” e con un cenno della testa chiama in causa il padre, che subito interviene.

“Io lo dovevo fare, perché lei doveva capire che stava sbagliando, perché sapevo che ci teneva molto a me”.

“Ma sua figlia le ha mai parlato di litigi con Francesco?” chiedo a Isabella, l’unica ad aver mantenuto i contatti con Vanessa dopo che era andata via di casa.

“No, io le parlavo tutti i giorni, ma di litigi, no, non mi ha mai detto niente. L’unico litigio che mi ha mai raccontato era quello riguardo al lavoro, perché lui non si svegliava la mattina per andare a lavorare, alle 11 la chiamavo e spesso lui stava ancora a letto. Vanessa lo rimproverava. ‘Anche se non ti piace, tieniti intanto questo lavoro, magari ne trovi un altro’ gli diceva, e litigavano. Avevamo una forte complicità io e mia figlia, tante volte mi diceva: ‘non dire questo a papà’ e allora, se era una cosa grave, diventava un mio e un suo segreto. Se le mi avesse detto di queste liti magari sarebbe stata la prima volta che avrei tradito la fiducia che mia figlia aveva in me e l’avrei detto a lui. Magari se lei è stata zitta è proprio per evitare questo. Io penso che ci abbia voluto tutelare anche in questa storia, perché lei amava in particolare suo papà. Una volta, quando lui ancora non le parlava, ci siamo abbracciate e lei ha pianto e mi ha detto: ‘Mamma, non prendertela, io senza di te posso anche vivere, ma non senza papà. Io, papà, nella mia vita lo voglio e lo cerco’. ‘E tu continua a cercarlo – le ho detto – e vedrai che lo troverai. Se ti dice no, ritornaci dopo due giorni.’. Il fratello piccolo l’ha cercato, è andata davanti alla scuola e gli ha portato una merendina. Se lei non ha parlato, adesso lo posso dire, ha voluto tutelare il padre, non me, perché se avesse detto: ‘Papà, questo mi picchia’, per quello che lo conosco io, oggi i ruoli sarebbero diversi.”.

“Vanessa era spaventata da lei?” chiedo al padre.

“Aveva paura della mia reazione, mi sarei rovinato volentieri e sono ancora pronto a rovinarmi. È sicuro che sarei stato violento. Perché con questa gente ci vuole questo, le parole non bastano. “

“I primi giorni dormiva di qua e di là, una volta da un’amica, una volta da un’altra” mi dice la signora Giusy, la proprietaria del chiosco. “L’ho invitata a casa mia a mangiare, a fare la doccia, per aiutarla, poi finalmente hanno messo su casa assieme con Francesco e noi, purtroppo, siamo stati costretti a licenziarla perché, dopo che è andata via di casa, lui da qui non si muoveva più.”

“Chi, Fracncesco?”

“Sì”

“Ma non andava a lavorare?”

“Sì, andava alavorare, le spiego come, però: doveva andare a lavorare alle nove e mezza? Prima delle undici non si presentava. Qui noi apriamo alle sette e mezza? E lui, alle sette e trentacinque precise era qui, facevano colazione assieme e poi si sedeva sul tavolo. Io gliel’ho detto: ‘Francesco, ti preso, non ti piazzare qui perché vedi che Vanessa deve lavorare’. Così lei ha cominciato a distrarsi…”

“Ma che faceva Francesco dalle sette e mezza fino alle undici qui?”

“E che faceva? Piazzato lì, piazzato qui, piazzato fuori a fumare. Le dava da parlare, lei si distraeva, e poi la innervosiva il fatto che lui stava qui perché noi glielo avevamo detto tante volte: ‘Vedi Vanessa che tu così rischi di perdere il lavoro’. E lei: ‘Sì, avete ragione, non succederà più”. Lei cercava di sistemare la situazione ma poi le è sfuggita di mano e il 3 febbraio sono stata io a licenziarla. C’è stato un lunedì che non si è presentata al lavoro. Io glielo avevo raccomandato alle ragazze, perché noi abbiamo una ragazzina disabile, quindi mio marito doveva andare fuori quel lunedì per far fare dei controlli alla bambina ‘Non mancate lunedì che mio marito non c’è’ gli avevamo detto e invece lei non si è presentata e neanche ha telefonato. Poi è arrivata la sera, dicendo che aveva avuto dei problemi con Alessandro e con Francesco e io le ho detto: ‘Senti, Vanessa, te l’avevo detto, purtroppo io devo pensare al lavoro, io devo portare il pane ai miei figli’. Mio marito non voleva: ‘Pare brutto, che fa, la lasciamo senza stipendio?’. Ma io non ce la facevo più psicologicamente a reggere e infatti ho detto a mio marito: ‘Guarda che se mandiamo via Vanessa, ci togliamo Francesco di qua’, perché era diventata una situazione invivibile. Quando andava a lavorare la tempestava di messaggi e messaggini. Siamo arrivati anche al punto di sequestrarle il cellulare, poi lei ti rispondeva: ‘Sì, Giusy, hai ragione’, con quegli occhioni, bella, una bella ragazza, ma poi alle tre e mezza in punto, ecco che Francesco tornava, piazzato al tavolino , e si ricominciava da capo.”.

“Dopo non l’ha più vista?”

“Due volte. La prima perché era venuta per chiedere l’ultima busta paga, la seconda per prendere i soldi. ‘Vanessa, allora come va?’ le ho chiesto. ‘Niente – mi fa lei – adesso faccio qualche ora al giorno nell’albergo dove lavora Francesco. Siamo andati a vivere assieme’ e sembrava contenta. Poi non l’abbiamo più vista.”

Francesco, ottenuto il risultato di aver conquistato Vanessa, subito le fa perdere il posto di lavoro. È un passaggio importante della storia perché, con la perdita del lavoro, Vanessa esce di scena e nessuno la vede più. Cominciano così gli ultimi novanta giorni di questa giovane donna, tutti giorni fi prigionia. L’amica del cuore, Luana: “lei ha fatto tutto per lui, ha rotto con la famiglia, non ha lavorato più, è andata a lavorare solo con lui, non è uscita più. Si è completamente consegnata a lui”.

Chiedo all’altra amica del cuore, Enise: “Perché Vanessa non ha cercato le vecchie amiche, durante quei novanta giorni, per chiedere consiglio, aiuto?”

“Perché in quei tre mesi lui non l’ha fatta uscire più da nessuna parte, non la vedevamo più, scomparsa Vanessa, la intravedevamo con il motorino sermpre con lui, solo con lui.

“E voi non vi siete allarmate, non avete pensato che forse c’era qualcosa che non funzionava, visto anche il personaggio?”

“Io sono sposata e so come vanno le cose quando uno va a convivere. Quando entri in casa con un uomo si taglia tutto. Con Vanessa ci siamo allontanate proprio perché io mi sono sposata”.

“Non si vedevano più con nessuno” mi conferma il padre. “Lui l’aveva messa in una condizione che non poteva più incontrare nessuno” interviene la madre “infatti quando è sparita Vanessa e abbiamo chiamato le amiche e gli amici, loro ci hanno detto che avevano perso ogni traccia”.

Per novanta giorni su Vanessa cala il silenzio. Gli unici contatti sono quelli con la famiglia, soprattutto con la madre, con la quale si vedono e si sentono tutti i giorni. Alla quale, però, non dice nulla. Nessuno si allarma veramente per l’improvvisa clausura, che viene considerata normale, adeguata alla nuova posizione di Vanessa, da ragazzina a fidanzata in casa, sia pure contro il volere della famiglia.

Non sappiamo cosa sia successo in quei novanta giorni, ora qualche amica, con il senno di poi dice che Vanessa, negli ultimi tempi, aveva gli “occhi spenti”, ma Luana, l’unica amica ad averla vista poche settimane prima che venisse uccise, giura di averla trovata bene, “anche se lui, durante l’incontro non ha detto niente, neanche una parola, è rimasto per tutto il tempo sulla sedia ad ascoltare quello che ci dicevamo con Vanessa. Io gliel’ho chiesto: ‘Vane, come stai?’ e lei mi ha detto: ‘Io sono felice’”.

“Sì, è vero, litigavano spesso, ce lo hanno detto i vicini”. A parlare è il giovane capo della Squadra mobile di Enna, Giovanni Cuciti, l’uomo che insieme ai suoi agenti in due giorni ha risolto il caso, ha scoperto il corpo di Vanessa e ha raccolto la confessione di Francesco Lo Presti. Mi ha portato davanti all’appartamento dove vivevano e dove Vanessa è stata uccisa. Si trova all’interno di un vecchio quartiere della città che costeggia la strada che dal monte scende verso la valle, verso Caltanissetta. L’appartamento che avevano affittato è al terzo piano di una piccola palazzina che si affaccia su una strada stretta. “Ce l’ha confermato più di un vicino. Si sentivano grida, urla, insulti, colpi. Anche il giorno dell’omicidio i vicini erano dovuti intervenire, avevano bussato alla porta perché dentro all’appartamento si gridava”.

“A che ora?”

“Intorno a mezzogiorno. A quell’ora Vanessa era ancora viva”.

“Ma nessuno dei vicini aveva mai fatto una denuncia, chiamato la polizia?”

“No, non l’ha fatto nessuno. Noi saremmo venuti, sa quanti interventi di questo tipo facciamo? Tantissimi. I vicini chiamano perché sentono che volano le botte e noi mandiamo sempre una pattuglia. Ma in questo caso non ha chiamato nessuno.”.

Mi guardo attorno, la strada è stretta e buia, le finestre delle palazzine di fronte all’appartamento di Vanessa e Francesco hanno le persiane chiuse, molti appartamenti non sono abitati. Anche a Enna, come nel resto d’Italia, si è costruito più di quello che serviva. Alle finestre semiaperte, sui balconi con i panni appesi, si sono molte donne anziane, il quartiere è pieno di pensionati. La strada è senza marciapiede: negli anni Cinquanta e Sessanta si costruiva così, per recuperare più spazio edificabile possibile. Non si cono negozi e di qua si passa solo per entrare e uscire di casa. Le grida di Vanessa qui non hanno provocato nessuna reazione. Una cosa è certa: la storia d’amore si deve essere consumata molto velocemente se in pochi mesi si è passati dai cuoricini e gli sms alle grida e alle urla.

L’androne della casa è minuscolo e le scale sono strette. Quattro piani, ogni piano due appartamenti, al terzo c’è quello di Vanessa e Francesco. Ci fermiamo davanti. Non possiamo entrare perché è sotto sequestro e ci vuole l’autorizzazione del magistrato, che mi propongo di chiedere. Che cosa è successo dietro quella porta, nella loro casa, lontano da tutti, in questa prigione?

L’ex moglie viva per miracolo

Cristina è una ragazza di 24 anni minuta minuta, forse ancor più di Vanessa. Ha un viso bellissimo, da bambina. Ci siamo dati appuntamento alle 9 di sera a Enna Bassa, dove lavora presso una signora anziana, fa le pulizie e bada ai bisogni della donna. Questo il pomeriggio, mentre al mattino fa i servizi presso un’altra casa, 800 euro al mese, per dodici, tredici ore di lavoro al giorno, sabato compreso. Cristina era la moglie di Francesco, quella che lui aveva lasciato un mese prima di mettersi con Vanessa. Prima di sposarsi, era stata fidanzata con Francesco dall’età di 14 anni e quest’uomo lo conosce molto bene. Finora non aveva mai accettato di parlare con i giornalisti. Non era neanche andata al funerale di Vanessa, per paura che le troupe televisive le saltassero addosso. “Ma sono andata alla tomba, dopo”, mi dice mentre in auto ci dirigiamo verso il lago di Pergusa, uno dei pochi laghi naturali ormai rimasti in Sicilia. È una riserva naturale a pochi chilometri da Enna, il posto giusto dove fermarsi a parlare indisturbati. Adesso ha accettato di incontrarmi, mi dice, perché da quando Vanessa è morta ci sono un’altra decina di casi di donne ammazzate in tutta Italia e pensa che sia venuto il momento che le donne conoscano un po’ meglio gli uomini con cui scelgono di avere una storia. Le notizie sui giornali, i titoli “Donna ammazzata dall’ex”, le immagini ai telegiornali hanno provocato in lei un effetto boomerang. Solo adesso, a mesi dal fatto, Cristina si rende conto di essere “viva per miracolo”. Lei, per otto anni, è stata prima la compagna, poi la moglie del “mostro”.

Com’era il “mostro” quando Cristina l’ha conosciuto a 14 anni?

“Era il ragazzo che tutti volevano, mi riempiva di regali, complimenti, mi trattava da vera regina, dicevo sempre così io, che mi trattava come una regina. L’unica nota stonata era la gelosia. Lui era talmente geloso che su questo si litigava sempre. Era sempre lì con quel pallino in testa che io secondo lui l’avrei tradito, era proprio una sua ossessione”.

“E questo sia durante il fidanzamento che il matrimonio?”

“Sì, da fidanzata e da sposata, lui era convinto che l’avrei tradito”.

“E da quali segnali capiva questo, cosa bastava a lui per immaginare un tradimento?”

“Bastava poco, bastava uno sguardo, anche un semplice sguardo con un ragazzo e lui subito scattava: ‘Ah, perché vi guardate così?’ Si faceva dei film assurdi!”

“E non si accontentava delle sue spiegazioni?”

“Nessuna spiegazione gli bastava, la tempesta durava giorni e poi finalmente finiva. Ma siccome c’erano sempre delle situazioni in cui si incontravano altre persone, lui ricominciava. Io ormai ci avevo fatto l’abitudine, per me era così, non c’erano alternative, non conoscevo altro, mi ero messa con lui che avevo solo 14 anni e lui era stato il mio primo uomo. Così mi ero chiusa come in una campana, io non esistevo più, esisteva solo lui.”

“Era molto innamorata?”

“Persa, persa, io sono andata contro tutti pur di stare con lui. Contro la mia famiglia, contro i miei amici, contro tutti. Esisteva solo lui e non davo ascolto a quelli che dicevano: ‘Guarda che non è per te…’”

La stessa cosa che è successa a Vanessa. È incredibile quanti punti in comune abbiano le due storie. Il repertorio usato per conquistare l’una e l’altra è lo stesso – il Francesco galante, complimentoso, attento – come identico è il meccanismo della ragazza che si consegna all’uomo più grande di lei, gli si affida, sfidando tutto e tutti, sopportando la rottura in famiglia e tagliando i rapporti con tutti, le amiche e gli amici. Poi la faccia più nera di Francesco, l’uomo folle di gelosia, la stessa che lo spingeva a stare attaccato a Vanessa fino al punto da farle perdere il posto di lavoro.

“Quando ci siamo sposati e siamo andati a vivere insieme sono iniziati i veri guai. Sempre più spesso usciva con gli amici, mi lasciava sola a casa, doveva comandare lui. Ecco quello che mi diceva sempre quando litigavamo perché usciva tutte le sere. La sua paura è sempre stata quella di essere dominato da una donna. ‘Io non voglio’ mi diceva. ‘Sono io l’uomo e comando io’. Poi io mi arrabbiavo perché prima lavorava e mi portava i soldi a casa e poi invece ha cominciato a lavorare meno e comunque i soldi li teneva tutti per sé, per le serate con gli amici. Poi abbiamo smesso anche di fare l’amore, cioè lui non ha più voluto fare l’amore con me”.

“Perché?”

“Perché era sempre convinto che io l’avessi tradito”

“E come faceva a tradirlo se lavorava tutto il giorno e poi usciva solo con lui?”

“Era convinto, e quando lui si fissava non c’era cosa peggiore, lui era convinto che tutti lo tradivano, anche se alla fine l’unico che tradiva era lui. Così si litigava tutto il giorno. Ogni tanto mi diceva: ‘Ti prometto che cambio, ti prometto che mi comporterò bene, starò a casa’ e si metteva a piangere. A me mi si stringeva il cuore e lo perdonavo.”

“Quando litigavate com’era? Aggressivo? Manesco?”

“Molto aggressivo. Subito volavano schiaffi, pugni, un po’ di tutto. Lui si prendeva di rabbia e di nervi e non ci vedeva più, perdeva il controllo, mi diceva anche cose incredibili, mi insultava con parole veramente pesanti, di quelle che a una donna fanno male, anche più male di uno schiaffo”.

“Parlami ancora di questa gelosia, fammi capire meglio” le chiedo e lei non si tira indietro. La timidezza dei primi momenti è passata, Cristina ha voglia di raccontarsi, risponde diretta.

“La sua gelosia era questa, ‘Tu sei mia e basta e di nessun altro, e quindi non ti deve toccare nessuno, devi stare solo con me, sei mia, stop’ Io non potevo neanche salutare un amico, non potevo abbracciarlo che lui ne faceva una tragedia, era capace anche di litigare facendomi fare una figura bruttissima, come è successo quando ho incontrato un amico di scuola che non vedevo da anni. L’avevo semplicemente abbracciato come si fa tra ragazzi e lui subito gli è andato addosso dicendogli: ‘Tu non la devi neanche salutare quando la vedi’. Non ci ha visto più, non ci ha visto più!”

“Ma tu non ti rendevi conto che questi comportamenti non erano normali?”

“All’inizio no, poi con il tempo ho capito che dietro a questa gelosia non c’era amore o interesse vero per me, non c’era niente, solo gli schiaffi in faccia. Non faceva più l’amore con me, tutte le sere usciva, non mi parlava più, neanche mezza parola, le uniche parole erano gli insulti. Non è che abbia mai parlato tanto, non era un tipo che si apriva, non si confidava mai, teneva tutto dentro. Per esempio, ogni volta che gli chiedevo qualcosa della donna con cui aveva avuto un figlio si arrabbiava”

“E che ti diceva di lei?”

“Me ne parlava malissimo”

“Perché?”

“Sempre per lo stesso motivo, diceva che l’aveva tradito, come del resto anch’io. Nella sua testa fissata tutte le sue donne lo tradivano, secondo lui. Magari si attaccava a delle piccolezze, uno sguardo, una stretta di mano, e ci costruiva sopra un film. Immaginava la scena, la gridava ad alta voce. Un pazzo.”

“L’ha fatta soffrire molti anni, vero?”

“Non facevo che piangere dalla mattina alla sera. L’ho fatto per due anni”.

“E non aveva un’amica con cui confidarsi?”

“Le avevo perse tutte, con chi mi confidavo? Io mi sono consegnata a lui al cento per cento”.

Come Vanessa, anche Cristina nel momento del bisogno si trova senza nessuno che la possa aiutare, così fa buon viso a cattivo gioco, si sottomette, cercando di evitare ogni conflitto con Francesco, per il quale adesso lei – altro che “regina” – non vale neanche la metà dell’ultimo degli schiavi, al punto che il marito non le rivolge più la parola e, quando esce o rientra nella casa in cui la tiene prigioniera, neanche la saluta. Nella sua testa Cristina lo ha tradito, è solo una “puttana” come le grida spesso e neanche più tanto bella. “Stai diventando grassa non ti vedi allo specchio?” Perciò si sentiva autorizzato a stare fuori, a ricominciare la “caccia”.

“Sono convinta che Vanessa l’ha puntata, l’ha messa nel mirino negli ultimi mesi prima che ci separassimo, mentre stava ancora con me” mi dice Cristina. Dopo una breve pausa, come per riprendere forza e fiato, va avanti fin nel cuore della domanda che si fa fin dal giorno in cui ha saputo che Francesco ha ucciso Vanessa: “Chissà se la sorte di Vanessa sarebbe capitata a me, se fossi stata ancora con lui. Non riesco a darmi una risposta. A volte penso: vabbè forse a me non l’avrebbe fatto, anche se mi rendo conto che fino alla fine non sapevo chi era l’uomo che avevo a fianco. Eppure avrei dovuto capirlo. Una volta mi ha storto la mano e il polso con tanta forza che pensavo si fosse rotto, non riuscivo più a muoverlo, si stava gonfiando sempre di più. Così mi faccio accompagnare da lui al Pronto Soccorso e al medico glielo dico: ‘è stato mio marito durante una litigata’. Poi però non c’era nessuna frattura, nessuna lesione, e il medico mi ha mandata a casa, ma prima di lasciarmi m ha detto queste parole, guardi, non le scorderò mai: ‘Devi denunciarlo, lasciarlo, perché vi fate maltrattare così?’ Ma io pensavo sempre: ‘Questa è l’ultima, forse cambia’ e invece sempre peggio. Un’altra volta mi ha dato un pugno e mi ha rotto il naso.”

“Le ha rotto il naso?”

“Sì”

“Ed è andata al Pronto Soccorso?”

“No, mi vergognavo a farmi rivedere così dal dottore, così ci ho messo il ghiaccio. Il giorno dopo era nero che non immagina, poi dopo una settimana è diventato violaceo, ho portato il segno per settimane. Siccome però dovevo andare a lavorare, che in quel periodo lui non portava un soldo a casa, dicevo a tutti che ero caduta dalle scale. Ma non ci credeva nessuno. Eppure non me l’hanno mai chiesto, né al lavoro, né i vicini: ‘ti hanno picchiata forse?’ non me l’ha chiesto nessuno, poi il segno è passato. Adesso ho il setto nasale un po’ storto, vede?”

In effetti è così, il naso è leggermente storto.

“Non ce la facevo veramente più, ho preso il coraggio e gli ho detto: ‘Vattene, vattene, basta, non lo vedi che non ci amiamo più?’ e gli ho detto di lasciare la casa. E lui – questo fatto dopo mi ha tanto stupito – non ha reagito, non è andato in escandescenze come temevo, ha preso la sua roba e se n’è andato via e non l’ho visto più. Adesso so che aveva già preso di mira Vanessa. Questa è stata la mia fortuna e la sfortuna di Vanessa”.

Lucido fino all’ultimo

È passato già parecchio tempo da quando Vanessa ha smesso di respirare ma Francesco è ancora lì, seduto, senza sapere cosa fare. Il suo cellulare continua a suonare, sono gli Scialfa che vogliono notizie della figlia.

“Con mia figlia avevamo l’abitudine di chiamarci alle tre del pomeriggio ma quel giorno non riuscivamo a metterci in contatto, il suo cellulare era sempre irraggiungibile” mi dice Isabella. “Allora ho detto all’altra mia figlia più grande: ‘Maria, prova a chiamare Francesco sul suo cellulare’ e in effetti lui ha risposto, le ha detto che Vanessa non c’era, che era uscita per un colloquio di lavoro. Quando Maria gli ha chiesto perché il telefono risultava irraggiungibile, lui ha detto che il giorno prima l’aveva chiamata un suo ex fidanzato dopodiché, per non essere più disturbata, aveva rotto la scheda. Quando mia figlia me l’ha raccontato, ho trovato subito strana tutta questa storia, compresa quella del telefono, così l’ho richiamato io e gli ho chiesto, a brutto uso: ‘Come mai Vanessa non mi aveva detto niente di questo colloquio di lavoro, che lei mi dice sempre tutto?’ ‘Scusami – mi ha detto - , ti dico la verità, non è andata a un colloquio di lavoro, abbiamo litigato’ ‘E perché avete litigato?’ gli chiedo. ‘Perché mi sono licenziato e lei si è arrabbiata’. ‘Di questo ne parliamo un’altra volta – gli ho detto – ma dimmi dov’è Vanessa che ci vado a parlare’. E lui: ‘No, non ti preoccupare, stai tranquilla, io so dov’è, stai tranquilla, mammina’. Perché mi chiamava mammina. ‘Mammina non ti preoccupare che adesso ci vado a parlare’ Adesso sappiamo che l’aveva già uccisa”.

Quello che mi racconta la madre corrisponde perfettamente a quello che Francesco dichiara in sede di confessione: “Alle 15,35 ricevo la telefonata da parte della sorella di Vanessa, la quale, dicendomi che non riusciva a contattare la sorella, voleva avere sue notizie da me. Le dissi una bugia, che era andata a un colloquio di lavoro, e alle successive telefonate della madre di Vanessa le dissi che avevamo litigato, per questo Vanessa non c’era”. E prosegue: “Portatomi vicino al cadavere di Vanessa, iniziavo a pensare cosa avrei dovuto fare anche perché per terra, sul lato destro del viso di Vanessa, si era creata una chiazza di sangue.”.

Così Francesco si mette al lavoro e, da quanto risulta dalla confessione, lo fa senza perdere tempo: “Dapprima prendevo da dentro l’armadio un lenzuolo di colore grigio, quindi prendevo Vanessa sotto le braccia e l’adagiavo sul lenzuolo”. L’idea è semplice ma richiede lucidità, e quella non manca a Francesco, che riesce a muovere il corpo di Vanessa senza provare ribrezzo. L’idea è di piegarle le gambe verso il petto, in posizione fetale per diminuire la lunghezza. E così fa: le piega le gambe finché può e poi avvolge tutto con il lenzuolo, cui fa due grossi nodi. Adesso del corpo di Vanessa non si vede più niente. Ci ha pensato – “Come faccio a portarla giù dalle scale se non la camuffo?” “Come fa a entrate nel bagagliaio della mia macchina, che è piccolo?” – e ha trovato la soluzione. Una volta sistemato il corpo, Francesco si dedica a pulire l’appartamento. Prende un pacco di fazzolettini e, armato di candeggina, cerca di cancellare le chiazze di sangue. Si accorge che l’accappatoio e il piumone si sono sporcati del sangue di Vanessa. Prende un borsone e ce li caccia dentro, insieme al cavo spezzato del lettore dvd.

“Erano all’incirca le 16,15 e continuavano ad arrivare chiamate e squilli da parte della madre e della sorella di Vanessa” continua a raccontare durante la confessione. “Nel corso di alcune di dette telefonate io ho continuato a far presente che, seppure non avevo ancora avuto sue notizie, mi trovavo ancora a casa e tra un po’ sarei uscito per andarla a cercare.” È incredibile il sangue freddo di cui è capace. Francesco regge botta con i parenti di Vanessa e nel frattempo sistema il corpo e ripulisce la scena del delitto. Riesce a non far trapelare alcuna emozione: “Mammina, non ti preoccupare, te la riporto, Vanessa” dice alla signora Isabella, mentre sta cancellando le macchie di sangue di sua figlia. Poi esce, porta la macchina davanti al cancello, risale, si carica il corpo di Vanessa sulle spalle scende a piedi i tre piani. Le scale sono molto strette, non dev’essere stato facile, faccio fatica io, a scenderle, pensate un uomo con sessanta chili sulle spalle, il fagotto che struscia a ogni curva e questo alle 16,30 di un giorno feriale.

“Possibile che nessuno dei vicini abbia visto niente?” chiedo stupito a Giovanni Cuciti, il capo della squadra mobile.

“Così almeno ci hanno detto, che non hanno visto niente. Abbiamo sentito anche quelli che abitano vicino all’ingresso, se per caso l’avessero visto mentre caricava il corpo in macchina, niente”.

L’auto della polizia ci guida sulla Enna-Caltanissetta, una delle tante strade a scorrimento veloce che attraversano la Sicilia. Ci lasciamo alle spalle Enna, attraversiamo lunghe valli coltivate a grano, e spighe ancora verdi che si muovono al vento che spira dalla montagna. Un paesaggio mozzafiato. Venti chilometri più in là si entra nella zona mineraria che si estende nella parte centrale dell’isola, a cavallo tra le province di Enna, Caltanissetta e Agrigento (…)

È qui che Francesco si disfa del corpo di Vanessa. Si ferma a una piazzola di sosta, tanto piccola che si sta a malapena una macchina. Scende, fa finta di fare pipì, mentre i camion che passano sull’unica strada che collega Enna a Caltanissetta gli sfrecciano accanto. Appena vede che non passa nessuno, apre in fretta il portabagagli, afferra il fagotto e lo fa scivolare al di là del guardrail, pochi metri sotto il livello della strada. Poi risale in macchina, non l’ha visto nessuno, può ripartire. Va fino a Catania per liberarsi del borsone con gli indumenti sporchi di sangue. Per le dieci di sera è di ritorno a Enna e qui deve affrontare, questa volta di persona, gli Scialfa, che lo stanno aspettando sotto casa. “Era tranquillo, come se niente fosse” ricorda il padre di Vanessa. “Diceva che ancora non l’aveva trovata ma che era

sicuro che sarebbe tornata. Si è messo a parlare di un ex fidanzato, che si sarebbe informato, insomma, diceva un sacco di bugie con tranqullità, come potrebbe fare un killer di professione”.

Gli Scialfa, spaventati, corrono dai Carabinieri a fare la denuncia di scomparsa. Nonostante sia ormai notte fonda i Carabinieri vanno a casa di Francesco, lo interrogano, raccolgono le prime dichiarazioni, si guardano attorno, sembra tutto a posto. Il giorno dopo però decidono di sequestrare l’appartamento e la macchina di Francesco e di convocarlo in caserma. Per dodici ore viene interrogato, per dodici ore non crolla. Con calma ripete si Carabinieri sempre la stessa versione: hanno fatto l’amore, hanno litigato, lei se n’è andata, dove non lo sa. Francesco esce dalla caserma passando davanti ai genitori della ragazza che, fuori dalla porta, stanno aspettando il loro turno. Sa bene che non ha molto tempo a disposizione, i Ris, quando arriveranno, troveranno le macchie di sangue nell’appartamento e nel bagagliaio della macchina, eppure dorme ancora un’altra notte tranquillo, senza confessare.

Il 26 aprile mattina, il caso di Vanessa Scialfa è sulle prime pagine di tutt i giornali, e le televisioni iniziano a interessarsene. Una ragazza di 20 anni è scomparsa, i genitori chiedono ai media di aiutarli nelle ricerche, sulle TV locali e nazionali appare l’immagine a tutto schermo di Vanessa sorridente, i denti bianchi e gli occhi neri, la stessa che comincia a viaggiare on line, alla velocità della luce, prima sul profilo facebook aperto dalla famiglia, poi su quelli creati dagli amici. Sono ancora tutti lì e fa impressione che Vanessa sia ricomparsa su facebook solo da morta. Da lì a foto rimbalza su tutta la rete.

Gli amici in città la cercano, si parlano al cellulare, qualcuno chiama Francesco, ma lui, a due giorni dall’omicidio, ancora non crolla. Fino a quando, verso l’ora di pranzo viene avvicinato da un agente di polizia che lo porta in Questura, dove viene messo sotto torchio. “Gli abbiamo detto: ‘Guarda che Vanessa ce l’ha fatta, è fuori pericolo, se confessi adesso non ti succederà niente, è fuori pericolo’ e lui ha spalancato gli occhi” mi dice Giovanni Cuciti. “A quel punto lui ha detto: ‘Non è possibile, non può tornare più’. Ed è rimasto lì, a guardarmi in silenzio – prosegue Cuciti – allora io gli ho detto piano piano, senza gridare: ‘Dai, Francesco, dicci dove l’hai messa, che restituiamo il corpo alla famiglia’. Lui si è messo a piangere l’abbiamo caricato in macchina e siamo venuti qui a prenderla”.

Rimaniamo a fissare le sterpaglie oltre il guardrail, dove Francesco ha buttato Vanessa come se fosse un sacco di spazzatura. Per la fine delle indagini mancano solo i risultati degli accertamenti dei Ris nell’appartamento e nella macchina di Francesco e qualche ulteriore verifica per escludere che qualcuno possa essere stato al corrente o averlo aiutato – cosa a cui gli investigatori non credono – poi ci sarà il rinvio a giudizio. Vista la confessione e le prove raccolte, la difesa può tentare di giocarsi solo la carta della seminfermità mentale, con qualche rischio, però: troppo lucidi sono stati l’esecuzione dell’omicidio e il tentativo di depistaggio messo in atto due giorni prima della confessione; o forse si punterà sul fatto che Francesco sarebbe stato sotto l’effetto della cocaina. Lo stesso ha dichiarato che, la sera prima, con Vanessa, erano andati a Catania e avevano comprato dei piste e qualcuna “se l’era pippata anche lei”. In effetti lui è risultato positivo al test, mentre i primi risultati autoptici sul corpo di Vanessa avrebbero per ora escluso l’assunzione di cocaina da parte della ragazza. Una cosa però è sicura: la difesa chiederà il rito abbreviato, con la riduzione di un terzo della pena. La gente qui a Enna fa già i conti: “ se fossero trent’anni, togline dieci sono venti, buona condotta altri cinque… tra quindici anni questo ce lo troviamo a passeggiare per le strade della città!” mi dicono in tanti, scandalizzati. Sono invece meno preoccupati della modesta risposta che la classe dirigente della città ha dato alla vicenda più sconvolgente che Enna ricordi. Certo, ai funerali erano tutti presenti, tante belle parole, tanta commozione, ma pochi fatti.

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Il magistrato mi ha dato l’autorizzazione a entrare nell’appartamento di Francesco e Vanessa, ed eccomi sul pianerottolo davanti alla porta. I Carabinieri tolgono i sigilli ed entriamo. Tutto è stato lasciato così com’era, non è stato toccato niente. La prima cosa che mi colpisce sono le tapparelle abbassate: quel giorno hanno litigato al buio, penso. Appena entrati, ci si trova nella piccola cucina, poi un breve corridoio porta al salone e al divano dove, a detta di Francesco, avrebbero fatto l’amore per l’ultima volta. Un’altra porta e siamo nella camera da letto, dove Francesco ha ucciso Vanessa. Il materasso del letto matrimoniale è spostato rispetto alla rete ed è senza lenzuola. Accanto, il comodino sotto il quale Francesco ha adagiato il corpo agonizzante di Vanessa, i cassetti sono aperti, per terra ci sono delle carte e diversi foulard colorati. L’armadio verso il quale Vanessa si sarebbe piegata per prendere i vestiti e andarsene ha tutte le ante piene di cerotti bianchi, sono le “Striscette metriche” che servono a segnalare la presenza di sangue. Sono state posizionate dai Carabinieri del Ris anche sul comò, sul comodino, sul materasso e per terra, nella zona tra il letto e l’armadio. Colpisce la povertà di oggetti nella casa: un piccolo impianto stereo nella camera da letto, con una decina di cd, il televisore nel salotto, nell’armadio solo un vestito di Vanessa, un paio di jeans buttati per terra, qualche camicetta gettata sul divano, una sola foto incorniciata sul comò in camera da letto. È un fotomontaggio, al centro c’è il giovane Francesco e tutt’attorno e facce di tante ragazze. Così si immaginava lui. Prima di lasciare l’appartamento i Carabinieri spengono tutte le luci e io do un’ultima occhiata alla scena del delitto: un miniappartamento al buio, con quattro mobili, due fornelli, un divano, un materasso, un bagno. Spoglio come le celle di una prigione. Povera figlia venuta a morire dentro questo posto senza colori.