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G. Sofri, F. Sofri, Corsi di geografia © 2011, Zanichelli editore SpA 1 Gli Stati Uniti sono da sempre un mosai- co di popoli differenti. Dei circa 300 milioni di abitanti, 228 milioni sono bianchi, ovvero discendenti di emigrati dall’Europa. Dei pri- mitivi abitanti del continente nordamericano – indiani e (in Alaska) eschimesi – negli Stati Uniti rimangono solo 2,4 milioni di persone. I neri, o afro-americani, discendenti dagli schiavi che vennero portati a forza nel Nuo- vo mondo a partire dal Seicento, sono 37,6 milioni. Gli asiatici (cinesi, filippini, coreani, vietnamiti, laotiani) sono il gruppo che au- menta di numero più velocemente; oggi sono 13,4 milioni e rappresentano il 4,4% della popolazione. Gli asiatici occupano il primo posto nel rendimento scolastico e nella capa- cità di intraprendere nuove attività, soprat- tutto nei settori del commercio, dell’informa- tica e nel settore immobiliare. Secondo gruppo per velocità di crescita sono gli «ispanici», che oggi rappresentano ben La popolazione Le tracce della storia Gli Stati Uniti urbani L’ordinamento politico L’economia Gli Stati Uniti e il mondo Gli Stati Uniti La popolazione Nel 2008, i cittadini degli Stati Uniti erano circa 300 milioni. Gli stati più popolati sono la California, lo stato di New York, il Texas, la Florida e l’Illinois. Gli stati meno popo- lati sono il Nord Dakota, il Sud Dakota, il Vermont, l’Alaska e il Wyoming. L’82% dei cittadini americani vive in centri urbani. La densità di popolazione a livello nazio- nale è bassa: 32 abitanti per km 2 . Ma anche qui le differenze da stato a stato sono assai rilevanti: si passa dai 430 abitanti per km 2 del New Jersey, 335 del Rhode Island e 303 del Massachusetts (tutti nell’Est) ai 4 abitan- ti per km 2 del Nord e Sud Dakota; ai 3 del Montana e ai 2 del Wyoming. Gli Stati Uniti non sono più da tempo una nazione giovane. L’età media è cresciuta ed è oggi di 36,7 anni. Solo il 25,1% degli ame- ricani (73 milioni) ha meno di diciotto anni d’età, mentre il 13,7% (40 milioni) è oltre i 65 anni di età. Los Angeles Pasadena Tucson Albuquerque Wichita Omaha Duluth Santa Barbara San Diego San Francisco Las Vegas El Paso Detroit Filadelfia Baltimora Cleveland Minneapolis Milwaukee Chicago Seattle Orlando Reno San Josè Fresno Dallas St.Louis Memphis Kansas City San Antonio Houston Washington C A N A D A O C E A N O A T L A N T I C O O C E A N O P A C I F I C O MESSICO Oregon California Arizona New Mexico Colorado Alabama Georgia South Carolina North Carolina Nevada Utah Wyoming Nebraska Iowa Wisconsin Illinois Ohio Virginia West Virginia Pennsylvania Maine Vermont New Hampshire Massachusets Rhode Island Connecticut New York New Jersey Delaware Maryland Kansas Oklahoma Arkansas Tennessee Kentucky Indiana T e x a s Missouri Idaho Montana North Dakota South Dakota Washington C olora d o M is s o u ri M i s s o u r i K ansas O hio M i s sis s i p p i M i s s i s s i p p i C o l u m b i a Golfo del Messico Mis s is s i p p i L o u i s i a n a F l o r i d a M i c h i g a n M i n n e s o t a New Orleans Miami Jacksonville Savannah Portsmouth New York Providence Hartford Boston Albany Montpelier Concord Augusta Harrisburg Annapolis Trenton Dover Richmond Charleston Frankfort Raleigh Columbia Tampa Sacramento Carson City Santa Fe Oklahoma City Topeka Lincoln Des Moines Baton Rouge Jackson Montgomery Tallahassee Little Rock Salem Olympia Boyse City Helena Cheyenne Pierre Bismarck St.Paul Madison Lansing Springfield Jefferson City Indianapolis Atlanta Columbus Salt Lake City Phoenix Denver Portland Buffalo Portland Nashville R ed Riv e r S I E R R A N E V A D A Death Valley Gran Bacino B a d l a n d s M O N T I A P P A L A C H I Gran Lago Salato L. Superiore L. Huron L. Erie L. Ontario L. Michigan Shasta 4317 Elbert 4395 Austin Monte Whitney 4417 Pittsburgh M O N T A G N E R O C C I O S E Tulsa Cincinnati Louisville

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G. Sofri, F. Sofri, Corsi di geografia © 2011, Zanichelli editore SpA

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Gli Stati Uniti sono da sempre un mosai-co di popoli differenti. Dei circa 300 milioni di abitanti, 228 milioni sono bianchi, ovvero discendenti di emigrati dall’Europa. Dei pri-mitivi abitanti del continente nordamericano – indiani e (in Alaska) eschimesi – negli Stati Uniti rimangono solo 2,4 milioni di persone. I neri, o afro-americani, discendenti dagli schiavi che vennero portati a forza nel Nuo-vo mondo a partire dal Seicento, sono 37,6 milioni. Gli asiatici (cinesi, fi lippini, coreani, vietnamiti, laotiani) sono il gruppo che au-menta di numero più velocemente; oggi sono 13,4 milioni e rappresentano il 4,4% della popolazione. Gli asiatici occupano il primo posto nel rendimento scolastico e nella capa-cità di intraprendere nuove attività, soprat-tutto nei settori del commercio, dell’informa-tica e nel settore immobiliare.

Secondo gruppo per velocità di crescita sono gli «ispanici», che oggi rappresentano ben

La popolazione

Le tracce della storia

Gli Stati Uniti urbani

L’ordinamento politico

L’economia

Gli Stati Uniti e il mondo

Gli Stati UnitiLa popolazione

Nel 2008, i cittadini degli Stati Uniti erano circa 300 milioni. Gli stati più popolati sono la California, lo stato di New York, il Texas, la Florida e l’Illinois. Gli stati meno popo-lati sono il Nord Dakota, il Sud Dakota, il Vermont, l’Alaska e il Wyoming. L’82% dei cittadini americani vive in centri urbani.

La densità di popolazione a livello nazio-nale è bassa: 32 abitanti per km2. Ma anche qui le differenze da stato a stato sono assai rilevanti: si passa dai 430 abitanti per km2 del New Jersey, 335 del Rhode Island e 303 del Massachusetts (tutti nell’Est) ai 4 abitan-ti per km2 del Nord e Sud Dakota; ai 3 del Montana e ai 2 del Wyoming.

Gli Stati Uniti non sono più da tempo una nazione giovane. L’età media è cresciuta ed è oggi di 36,7 anni. Solo il 25,1% degli ame-ricani (73 milioni) ha meno di diciotto anni d’età, mentre il 13,7% (40 milioni) è oltre i 65 anni di età.

Los Angeles

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il 15,4% della popolazione, ovvero 46,9 mi-lioni di persone: negli ultimi anni hanno per la prima volta superato il numero degli afro-americani. Questa categoria non è tuttavia di facile defi nizione, perché per ispanici o latini si intendono messicani, portoricani, cubani, ma anche coloro che sono di origine spagnola o provengono dai paesi ispanofoni del Centro e Sudamerica. La crescita dell’immigrazione messicana ha portato alla conquista da par-te degli ispanici di numerose cariche elettive; inoltre, negli stati a forte concentrazione di la-tini, è stata da tempo avanzata la richiesta di dichiarare lo spagnolo lingua uffi ciale al pari dell’inglese. Esiste però una certa ostilità statu-nitense a un’eccessiva crescita della popolazio-ne messicana negli USA, che ha portato negli ultimi anni al rafforzamento e all’estensione delle barriere esistenti al confi ne tra il terri-torio statunitense e quello messicano con la costruzione di un muro lungo centinaia di ki-lometri. Gli ultimi censimenti hanno permesso di fotografare una società in forte movimento. Innanzitutto geografi co: gli americani tendo-no sempre di più a spostare la loro residenza dall’Est all’Ovest e dal Nord al Sud, in rela-zione alla crescente importanza economica di queste regioni e perché i costi delle abitazioni e della vita in generale sono più bassi.

Gli americani e la religioneGli Stati Uniti non hanno una religione di sta-to; la Costituzione garantisce a tutti il diritto alla libertà religiosa e la non interferenza del-la fede negli affari di stato.

Circa 80 milioni di americani sono se-guaci del protestantesimo, ma all’interno di questo le Chiese sono centinaia e rifl ettono la principale caratteristica della religione in America: il trapianto della religione cristiana nel Nuovo mondo, unito all’individualismo tipico della società americana, ha prodotto divisioni e scismi in continuazione. Così, tra le Chiese che si riferiscono al protestantesi-mo, troviamo molte tendenze e dottrine, nate per lo più nell’Inghilterra del XVII e XVIII secolo (o comunque in Europa), ma presenti ormai, in molti casi, soprattutto negli Stati Uniti. È il caso dei battisti, che con i loro 36 milioni di fedeli (su 50 in tutto il mondo) rap-presentano il gruppo protestante più nume-roso. Divisi a loro volta in una quindicina di Chiese, i battisti sono particolarmente diffusi negli stati del Sud; non riconoscono gerar-chie, ma solo l’autorità della Bibbia, e pon-gono un particolare accento sull’importanza del battesimo cosciente (e quindi ricevuto, mediante immersione, da adulti e non da pic-coli); hanno una intensa attività missionaria. Assai numerose sono anche le Chiese meto-diste ed evangeliche luterane: ci sono poi gli episcopali, i puritani, i quaccheri e così via. I quaccheri, che rifi utano l’uso della forza anche per legittima difesa, sono una picco-la minoranza (poco più di 100000, circa il doppio nel mondo), ma assai attivi ovunque nel sostegno al pacifi smo e nella difesa della libertà religiosa e dei diritti dell’uomo. Rigi-damente contraria a portare armi è anche la piccola comunità degli Amish (circa 80000, soprattutto nell’Ohio e in Pennsylvania). In prevalenza agricoltori, vestono, lavorano, pregano e si governano esattamente come due secoli fa, rifi utando la tecnologia moder-na: per esempio, si muovono su carri trainati da cavalli e non su automobili.

Sono nate in America due religioni che si rifanno, più che al cristianesimo riformato, alla tradizione dell’Antico Testamento: i Te-stimoni di Geova e i Mormoni, questi ultimi maggioritari nello Utah, nel cui capoluogo, Salt Lake City, hanno la sede principale.

La Chiesa cattolica raccoglie in totale circa 63 milioni di persone e rappresenta la fede di gran lunga prevalente degli italiani, degli irlandesi e degli ispanici. Naturalmente riconosce l’autorità del Papa ma, sempre in virtù dell’individualismo americano, le capita a volte di contestarla. Indissolubilità del ma-trimonio e presenza delle donne nella liturgia sono da tempo oggetto di divergenze tra il Vaticano e molti cattolici americani.

Se protestantesimo e cattolicesimo sono i due maggiori fi loni religiosi, occorre ricorda-

Anchorage

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McKinley 6193

Logan 6050

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A

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A

Circolo Polare Artico

M a r e d i B e r i n g

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Gli Stati Uniti

La popolazione

Le tracce della storia

Gli Stati Uniti urbani

L’ordinamento politico

L’economia

Gli Stati Uniti e il mondo

I neri d’AmericaGli afro-americani (african american) o neri (black) – termini uffi ciali che hanno sostitui-to il precedente colored, considerato spregia-tivo – sono i discendenti di quegli africani che a partire dal XVII secolo vennero deporta-ti nell’America del Nord per lavorare come schiavi nelle piantagioni di tabacco e cotone.

Le tappe della loro emancipazione sono in-dicate da alcune date fondamentali, tra cui il 1864, quando la schiavitù venne abolita dopo la vittoria del Nord di Abramo Lincoln nella guerra civile, e il 1964 quando vennero sanciti uguali diritti civili tra bianchi e neri. La lotta per la parità passò attraverso la politica non violenta del reverendo battista Martin Luther King (1929-1968), ma anche attraverso quella del più radicale Malcom X (1925-1965), che fondò il movimento dei Musulmani Neri, so-stenendo la necessità di separarsi dai bianchi, e rifi utando l’integrazione. Entrambi furono assassinati, e gli Stati Uniti furono scossi da violente rivolte. Nei decenni successivi, i pro-grammi del governo per migliorare la situazio-ne delle inner cities, ghetti urbani in cui vivono grandi concentrazioni di neri poveri, non han-no dato i risultati sperati.

Ancora oggi, la condizione dei neri d’Ame-rica (quasi quaranta milioni di persone) resta un problema drammaticamente irrisolto. An-che se un terzo circa degli afro-americani fa ormai parte della «classe media», i restanti due terzi vivono ancora nei ghetti urbani, spesso luoghi di violenza e di risse tra bande rivali. Le statistiche vedono al primo posto i giovani neri dei ghetti per quel che riguarda disoccupazione, mortalità infantile, tossico-dipendenza, detenzioni nelle carceri, infe-zione dal virus dell’AIDS. Complessivamente negli Stati Uniti ci sono oltre 2 milioni di detenuti, di cui quasi la metà è composta da afro-americani.

Nonostante questi ritardi nel diffi cile cammino verso una piena parità, nuove spe-ranze sono state destate dall’elezione di Ba-rack Obama, nel 2008, a primo presidente afro-americano nella storia degli Stati Uniti (e anche dalla nomina da parte di Obama di Sonia Sotomayor, di origine portoricana, pri-ma donna ispanica a sedere sui banchi della Corte Suprema).

Gli italiani in AmericaAlla fi ne dell’Ottocento, fi no a poco oltre la metà del Novecento, milioni di italiani, pro-venienti soprattutto dalle regioni del Sud, emigrarono negli Stati Uniti. Moltissimi si fermarono a New York o nella costa atlan-

re ancora i sei milioni di ebrei (provenienti so-prattutto dalla Germania, dall’Europa orien-tale e dalla Russia); i sei milioni di americani che si professano musulmani (molti di loro sono afro-americani); i quasi cinque milioni di cristiani ortodossi; infi ne, i quattro milioni di seguaci di fedi e culti orientali (in aumento negli ultimi trent’anni).

Un fenomeno rilevante negli Stati Uniti di oggi riguarda l’ingresso di temi religiosi nel-la vita politica e sociale quotidiana a opera della televisione. Da qualche decina di anni hanno conquistato sempre maggiore spazio e infl uenza alcuni predicatori televisivi, che si rivolgono ai telespettatori promettendo sal-vezza eterna, guarigione dalle malattie e dalle sofferenze e chiedendo, in cambio, contributi fi nanziari. I predicatori televisivi pretendono, per esempio, che sia resa obbligatoria la pre-ghiera quotidiana nelle scuole, e organizzano campagne di ostracismo nei confronti di libri, opere d’arte, fi lm a loro parere blasfemi. Pur dichiarando di non volersi occupare di poli-tica, di fatto costringono gli uomini politici a confrontarsi con le loro posizioni. Hanno do-vuto venire a patti con loro, per essere eletti, i presidenti Reagan e Bush. La popolarità dei predicatori televisivi è diminuita da quando una serie di processi ne ha fatto conoscere un altro volto: truffe, scandali fi nanziari, com-portamenti del tutto immorali dei predicatori hanno segnato la fi ne di molti nuovi «imperi religiosi». Ma la loro continua a essere negli Stati Uniti una presenza quotidiana inquie-tante.

Recentemente si è svolto in America un acceso dibattito sull’origine e l’evoluzione dei viventi, tra la teoria darwinista, accetta-ta dalla quasi totalità della comunità scien-tifi ca, e le tesi creazioniste. Queste ultime sostengono che certe forme viventi, tra cui l’uomo, sono troppo complesse per essere il frutto della semplice evoluzione basata sulla selezione naturale. Esse vengono rite-nute perciò frutto di un disegno concepito da un’intelligenza superiore, cioè Dio. Esi-stono diverse forme di creazionismo; alcune affermano che l’evoluzione è avvenuta, ma per opera di Dio, mentre altre interpretano la Bibbia in modo letterale, sostenendo che l’universo è stato effettivamente creato in 7 giorni. Nei primi anni dopo il 2000 si è dif-fuso negli Stati Uniti un tipo di creazionismo chiamato Disegno Intelligente, che sostiene di cercare prove scientifi che dell’esistenza di una progettazione negli esseri viventi. I criti-ci di questa posizione sostengono che si trat-ta in realtà di una fede religiosa mascherata da teoria scientifi ca.

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lingua più parlata negli Stati Uniti. Gli ita-liani hanno smesso così di essere considerati «paesani di città». Del resto, il gruppo etni-co italiano fi gura ai primi posti tra quelli che hanno migliorato le proprie posizioni nella società americana. Con la seconda e terza ge-nerazione e l’aumento dei matrimoni misti, alcune delle caratteristiche originarie si sono peraltro stemperate, e oggi si parla di «ame-ricani di origine italiana».

Nell’ultimo censimento sono risultati di «ascendenza italiana» circa 12 milioni di ame-ricani, il 4% della popolazione complessiva.

tica; altri si diressero verso Chicago, Detroit e la California. I nuovi immigrati crearono le Little Italy, quartieri basati sulla struttura familiare e impregnati della cultura del pro-prio paese.

Inizialmente svantaggiati da una serie di pregiudizi («incolti», «passionali e violenti», «fanaticamente religiosi»), gli immigrati si fecero strada soprattutto nell’industria e nel commercio. In tempi recenti si è verifi cata una riscoperta dell’Italia, soprattutto della sua lingua: l’italiano è la quarta lingua inse-gnata nelle università americane, e la quinta

Le tracce della storia

Ancora nel XVIII secolo, l’America del Nord era praticamente inesplora-ta. Tribù indiane abitavano l’interno del continente, mentre i coloni euro-pei abitavano la costa atlantica. Era-no in tutto poco più di un milione e settecentomila emigrati dall’Europa, più cinquecentomila africani, che lavoravano in schiavitù nelle pianta-gioni di tabacco e di cotone. Divisi in tredici colonie dell’Inghilterra, i coloni bianchi godevano di larghe

autonomie amministrative.La strada che porta alla nascita

degli Stati Uniti comincia nel 1760, anno in cui re Giorgio d’Inghilterra decide di stanziare nelle colonie un esercito di diecimila uomini, i cui costi dovrebbero essere pagati dai coloni attraverso le tasse. Da queste imposizioni nascono le prime ribellio-ni, particolarmente violente a Boston. Nel 1774 si riunisce un «congresso» di patrioti di tutte le colonie. Tra i

suoi promotori George Washington, un amministratore di territori agrico-li della Virginia; Thomas Jefferson, giovane e colto discendente di im-migrati gallesi, proprietari di grandi piantagioni di tabacco; Tom Paine, arrivato da soli due anni dall’Inghil-terra in cerca di fortuna; Benjamin Franklin, di 65 anni, inventore (per esempio, del parafulmine), molto noto come uomo saggio. Da que-ste persone nasce la decisione di opporsi all’Inghilterra (la più poten-te nazione dell’epoca), formando e fi nanziando un esercito di ventimila armati. Nel 1776 viene stesa la «Di-chiarazione di indipendenza» degli Stati Uniti d’America, approvata dal Congresso il 4 luglio (da allora, gior-no della festa nazionale). Vi si legge che gli americani, come tutti i popo-li, «hanno diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità», e che le colonie decidono di «diventare stati liberi e indipendenti». La guerra di liberazione dura, con alterne fortu-ne militari, per sei anni, ma alla fi ne è il povero esercito dei coloni ad avere la meglio. Nel 1783 il trattato di pace di Parigi riconosce gli Stati Uniti come paese indipendente e ti-tolare del territorio compreso tra la costa orientale, la catena dei mon-ti Appalachi e il fi ume Mississippi. Quattro anni dopo, 55 uomini in rappresentanza dei tredici stati fe-derati si riuniscono a Filadelfi a per votare una Costituzione comune. Li-mitato inizialmente ai territori delle

La formazione degli Stati Uniti.

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Gli Stati Uniti

La popolazione

Le traccedella storia

Gli Stati Uniti urbani

L’ordinamento politico

L’economia

Gli Stati Uniti e il mondo

Eschimesi

KwakiutlPiedi Neri

Crow

Sioux

Cheyenne

Comanche

Shoshoni

NasiForati

Paiute UteHopi

ZuniApache

Navajo

Seminole

ChocktawCreek

ChickasawCherokee

MohawkSeneca

Irochesi

Cree

Algonchini Eschimesi

Nordovest

California

Gran Bacino

Sudovest(Pueblo)

Grandi pianure

Est

Pur essendo il paese più sviluppato del mon-do, gli Stati Uniti non sono riusciti fi nora a eliminare dal proprio ordinamento giuridico la pena di morte, che invece è stata abolita da forti movimenti di opinione e infi ne dal voto in quasi tutta l’Europa.

In poco più di duecento anni di storia, si calcola che siano stati messi a morte legal-mente sedicimila detenuti. Oggi, negli Stati Uniti, 38 stati su 50 prevedono la pena di morte, mediante gas, scarica elettrica o inie-

zione endovena di veleni. Inoltre, l’evento è spesso spettacolarizzato, con interviste e dirette televisive; spesso, all’esecuzione assi-stono anche i familiari delle persone che il condannato ha (o avrebbe) ucciso.

La stragrande maggioranza della popo-lazione e degli uomini politici di rilevanza nazionale e diverse Chiese si dicono favo-revoli alla pena di morte, e l’opposizione è limitata a movimenti di opinione minoritari. Da qualche anno, la pena di morte è proibi-

ta per coloro che hanno commesso crimini quando avevano meno di 18 anni e per le persone «mentalmente ritardate». Ma gli Stati Uniti rimangono un paese fortemente favorevole all’uccisione legale: nel novembre 2007, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione proposta dall’Italia per una moratoria universale che sospendesse le esecuzioni capitali, e gli Stati Uniti hanno votato contro.

La pena di morte

tredici colonie, il giovane stato comincia a estendersi comprando da Napoleone Bonaparte, nel 1803, la Louisiana. Nel-lo stesso anno parte la prima spedizione verso l’ignoto Ovest, guidata dagli esplo-ratori Lewis e Clark. Nel secolo XIX gli USA si trasformano rapidamente. L’industria si diffonde, e con essa le prime grandi città. Negli stati del Sud, la coltivazione del co-tone fa esplodere la richiesta di manodo-pera schiava: dal mezzo milione del 1750 si passa ai due milioni di quarant’anni dopo. A ovest, infi ne, anno dopo anno, vasti territori si popolano e ottengono la qualifi ca di «stato». Dopo alcuni confl itti armati con il Messico, gli Stati Uniti ot-tengono il Texas, la California e altri stati, arrivando per la prima volta a possedere le due coste del continente americano.

Una grave crisi investe il paese nel 1861, con lo scoppio della guerra civile tra gli stati del Nord, contrari alla schiavi-tù dei neri, e quelli del Sud, che sul lavoro degli schiavi fondano la propria econo-mia. Dopo quattro anni (e un milione di morti), la vittoria tocca all’Unione, capeg-giata dal presidente Abraham Lincoln. La schiavitù viene abolita, ma per i neri d’America non sono ancora giunti i giorni degli uguali diritti.

Un capitolo importante della storia americana è quello rappresentato dal-la conquista del Far West (il «Lontano Ovest») e dalle guerre contro gli indiani. Non sappiamo con certezza quanti fosse-ro gli indiani che abitavano il continente nordamericano, ma sicuramente erano milioni, divisi in decine di tribù, nomadi o stanziali, di cacciatori o di agricoltori.

Con l’arrivo degli europei, intere tribù vennero sterminate; scomparvero cultu-re e tradizioni degli abitanti originari del continente americano. Oggi gli indiani – native Americans, cioè «americani in-digeni» – sono poco più di un milione, e molti di loro vivono in riserve, territori che godono di autonomia amministrativa e giudiziaria. Ma anche nelle riserve, poco si è conservato della vita di un tempo: spesso sono luoghi di degrado economi-co o di attrazione turistica, dove la par-

ticolare situazione normativa ha portato alla nascita di numerosi casinò.

Le grandi pianure dell’Ovest si riempi-rono di città e vennero utilizzate dappri-ma come pascoli per i bovini, poi come terreni agricoli. Nel 1862 cominciò la co-

struzione della prima ferrovia, e nel 1890 tutto il paese era unito da più di 200 000 km di rotaie. All’inizio del ventesimo se-colo, gli Stati Uniti d’America erano una nazione molto giovane, ma già avviata a diventare la più potente del mondo.

Le principali popolazioni «indiane» del Nordamerica.

I due protagonisti della battaglia di Little Big Horn (1876). Crazy Horse (Cavallo Pazzo) a sinistra; il colonnello Custer a destra. Nato nel 1844, capo dei Sioux del Dakota, Crazy Horse ottenne i suoi primi successi militari poco più che ventenne, ma legò il suo nome alla storia con la vittoria di Little Big Horn, sul 7° Cavalleggeri di Custer: quest’ultimo (un uffi ciale borioso e indisciplinato) vi perse la vita insieme a 215 soldati. Dopo la vittoria, si sciolse la coalizione (capeggiata da Sitting Bull, «Toro Seduto») che l’aveva resa possibile, e le varie tribù Cheyenne e Sioux andarono ciascuna per la sua strada. Crazy Horse fu poi uno degli ultimi capi indiani ad arrendersi e ad accettare di entrare in una riserva. Un soldato lo uccise con un colpo di baionetta quando aveva solo 33 anni. [a) Da Western Revue, Parigi; b) da Fotografi a Italiana, Mi]

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grattacieli. Queste costruzioni, divenute pos-sibili all’inizio del Novecento grazie a nuo-ve tecniche costruttive, non rispondono solo all’esigenza di sfruttare al massimo il poco spazio disponibile, ma anche a elementi pro-pri del carattere americano. Mentre nelle città europee sono solitamente le cattedrali gli edifi ci più imponenti, a New York sono i grattacieli a essere concepiti come le sedi di una nuova religione: quella del progresso e della potenza economica. Le due torri gemel-le del World Trade Center (Centro del com-mercio mondiale) furono a lungo i due edifi ci più alti della metropoli; un terribile attentato le distrusse l’11 settembre del 2001.

L’isola di Manhattan è percorsa da un re-ticolo di avenues, che corrono da sud a nord, e streets, da est a ovest, indicate solo con un numero progressivo. Tra le avenues, le più celebri sono la Fifth avenue (Quinta stra-da), che divide in due la città, e Broadway, la strada dei cinema e dei teatri, che è anche la strada urbana più lunga del mondo con i suoi 64 km. Unico grande spazio verde della città è il Central Park, su cui si affacciano al-cuni tra i più importanti musei del mondo.

Per la maggior parte degli immigrati dall’Eu-ropa, New York è stata il luogo di arrivo dopo la traversata atlantica. New York è conside-rata un vero e proprio melting pot («crogio-lo»), perché ospita una vasta mescolanza di persone di tutte le razze, lingue e religioni. Le varie identità tuttavia rimangono anche di-stintamente riconoscibili in aree come Little Italy, Chinatown, le zone del Bronx e di Har-lem abitate rispettivamente in maggioranza da ispanici e neri. Numerose sono le comu-

New York La città di New York è la più popolosa degli Stati Uniti, con i suoi 8 milioni di abitanti che diventano oltre 18,8 se si considera tut-ta l’area metropolitana. Nata come porto commerciale, è situata sull’estuario del fi ume Hudson. È formata da 5 circoscrizioni: l’isola di Manhattan (la più importante, circonda-ta dall’East River e dall’Hudson), Brooklyn, Queens, Bronx e Richmond. Manhattan è unita alla terraferma attraverso imponenti ponti (famosi quelli di Brooklyn, Manhattan e Verrazzano), tunnel e binari. La città dispo-ne anche di una ramifi catissima rete di ferro-via metropolitana sotterranea (subway).

A New York si trova il nucleo della poten-za fi nanziaria degli Stati Uniti. Nella zona di Wall Street ha sede la Borsa (New York Stock Exchange), dal cui andamento dipendono le sorti dell’economia mondiale. Sempre a New York si trova anche il «palazzo di vetro» dell’ONU, centro della diplomazia.

Declinata da tempo la sua industria, New York è oggi una città dedita al commercio, destinato soprattutto ai turisti provenienti da tutto il mondo.

L’architettura si sviluppa verso l’alto, in particolare nell’area di Manhattan, fi tta di

Una veduta dal satellite di New York. New York è un insieme di cinque contee: Manhattan (che si chiama anche New York City, e cioè la città di New York in senso stretto), Bronx, Queens, Brooklyn e Richmond. Queens e Brooklyn occupano la parte occidentale di un’isola, Long Island; Richmond la punta settentrionale di un’altra isola, Staten Island. Il Bronx è la punta di una lunga penisola, che s’incunea fra lo Hudson e l’East River. L’isola di Manhattan è di fatto una penisola, per la gran quantità di ponti e di tunnel subacquei che la collegano ai territori vicini. Il Ponte di Brooklyn e quello di Manhattan (che collegano le due contee omonime) sono i più famosi di New York: sono i primi che si vedono, molto vicini tra di loro, quasi sulla punta dell’isola. Mentre le altre contee sono prevalentemente zone di residenza, Manhattan è il centro culturale e fi nanziario della città. È l’unica delle cinque contee che vede progressivamente diminuire il numero dei suoi abitanti. Solo i più ricchi rimangono, in alcuni lussuosi quartieri residenziali; gli altri vanno altrove, cedendo il posto a nuove sedi di banche, società ecc.

Gli Stati Uniti urbani

Gli Stati Uniti

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lora sorgere agglomerati semimobili, case in cartone pressato o in truciolato di legno, o addirittura accampamenti semoventi di rou-lotte e camper.

Ma il vero dominatore della città ameri-cana nel XX secolo è l’automobile. La sua diffusione di massa ha prodotto uno sviluppo urbano totalmente nuovo, rendendo obsoleta la città costruita secondo schemi che erano rimasti validi per secoli (la piazza, la chiesa ecc.). Le nuove città americane sono senza monumenti, senza un centro vero e proprio, caratterizzate dalla presenza di grandi cen-tri commerciali, di ampi parcheggi e di una costellazione di «suburbi», quartieri di case singole con giardino. Alcuni grandi centri ur-bani conservano tuttavia un’identità indipen-dente, frutto della loro storia particolare.

Miami, in Florida, si è sviluppata in segui-to all’arrivo di rifugiati anticastristi fuggiti da Cuba dopo la rivoluzione che portò al po-tere Fidel Castro, nel 1959. La città ospita ora 404 000 abitanti (in maggioranza cuba-ni), che diventano quasi quattro milioni se si considera l’area metropolitana. Da qui passa anche buona parte del traffi co di cocaina del Sudamerica destinata al mercato nordameri-cano, che ha cambiato il volto della città ren-dendola più insicura e fornendo un affl usso di denaro che si è in parte riciclato in investi-menti turistici, edilizi e industriali.

Detroit (Michigan) è la capitale dell’au-tomobile, sede della General Motors e della Ford. Dopo un periodo di forte espansione, sta vivendo una crisi dovuta alla crisi econo-mica internazionale, che ha fatto crollare la vendita dei veicoli. In seguito a una rivolta razziale avvenuta nel 1957, la popolazione

nità irlandese, italiana ed ebrea, crescente è il numero di ispanici.

New York ha anche intere aree di mise-ria, popolate da poveri e da homeless («senza casa»), che dormono per strada. Ma è anche una città mutevole: periodicamente, quartieri abbandonati diventano oggetto di speculazioni immobiliari, e gli abitanti vengono cacciati con ogni mezzo per costruire case e uffi ci per una clientela abbiente; o, al contrario, un quartiere borghese può essere abitato sempre più da po-veri, fi no a essere praticamente abbandonato.

Nonostante i tanti problemi, la metropo-li mantiene però una vitalità che traspare da soprannomi come «la città che non dorme mai»; è chiamata anche «la Grande Mela», come un frutto da addentare.

Altre cittàL’82% degli americani vive in città, e ogni americano cambia in media dieci volte nella vita il proprio indirizzo di residenza. Rapida ascesa e declino sono tipici delle città ameri-cane. Famose sono le ghost towns («città fan-tasma»), sorte nell’Ottocento in pochi mesi nel momento della corsa all’oro e abbando-nate dalla sera alla mattina quando il prezio-so materiale cominciava a scarseggiare. Ma anche oggi il «nomadismo» degli americani lascia tracce visibili: se la gente si sposta là dove c’è lavoro, lo fa velocemente. Ecco al-

La popolazione

Le tracce della storia

Gli Stati Unitiurbani

L’ordinamento politico

L’economia

Gli Stati Uniti e il mondo

Densità di popolazionee città «milionarie»del Nordamerica.

Città con oltre3000000 di abitanti

Città con oltre 1000000 di abitanti

Oltre 200 abitanti per km2

Da 1 a 10 abitanti per km2

Da 100 a 200 abitanti per km2

Da 50 a 100 abitanti per km2

Da 10 a 50 abitanti per km2

Meno di 1 abitante per km2

San Francisco

Los AngelesDallas

Houston

Miami

BostonNew York

FiladelfiaWashington

DetroitChicago

Milwaukee

Minneapolis

Vancouver

Seattle

Portland

Sacramento

San Diego

Phoenix

New Orleans

Atlanta

Kansas CityDenver

St. Louis Cincinnati

Cleveland

Buffalo

Baltimora

Pittsburgh

MontréalToronto

Tampa

L’uragano Katrina. Nel 2005, la potenza dell’uragano Katrina ha provocato la rottura degli argini che proteggevano la città di New Orleans, che si trova per buona parte sotto il livello del mare; l’80% dell’abitato è stato inondato. Tutti i residenti sono stati costretti ad abbandonare le proprie abitazioni, e si sono verifi cati episodi di saccheggio e di violenza che le forze dell’ordine non hanno saputo controllare. Le polemiche sono state violente, e l’amministrazione del presidente Bush è stata accusata di ineffi cienza nell’affrontare il disastro. [AP]

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bianca si è via via trasferita nei sobborghi e ha lasciato ai neri il centro cittadino. In un’area metropolitana di circa 4,7 milioni di persone, gli afroamericani sono circa un quarto.

Chicago (Illinois) è la terza area metropoli-tana degli USA, con oltre nove milioni di abitan-ti. Nella città vive una delle più forti concentra-zioni nere del paese: il 37% è afro-americano, quasi pari ai bianchi, che raggiungono il 42%. È il principale nodo ferroviario e stradale e il maggior scalo lacuale degli Stati Uniti. Qui ha sede la Borsa dei prodotti agricoli.

Dallas e Houston, in Texas, sono città nate negli anni Venti del secolo scorso in seguito alla scoperta di giacimenti petroliferi. Presso Houston ha sede il Centro di controllo delle Missioni di tutti i voli spaziali con equipag-gio umano, che fa parte della NASA, l’agenzia spaziale americana.

Atlanta (Georgia) ha conosciuto negli ul-timi decenni un’ampia espansione; vi hanno sede la Coca-Cola e la rete televisiva CNN. L’aeroporto è il maggiore del mondo per nu-mero di passeggeri.

New Orleans (Louisiana), città portuale francese dell’Ottocento, è tradizionalmente un polo turistico, anche grazie al jazz e alla cucina creola; l’uragano Katrina ha devasta-to la città nel 2005.

Un’area metropolitana in forte crescita è quella di Seattle-Tacoma, nello stato di Wa-shington: Seattle è sede della Microsoft, della multinazionale dei coffee-shop Starbucks e di impianti produttivi della Boeing.

La CaliforniaCon quasi 37 milioni di abitanti, la Califor-nia è lo stato più popoloso degli USA. Inoltre, è in testa nella produzione agricola (soprat-tutto di frutta e verdura) e presenta una mo-derna struttura industriale. Oltre ai cantieri navali e all’industria aerospaziale, si è svilup-pata la produzione elettronica e informatica nella cosiddetta Silicon Valley, la «valle del silicio», nell’area di San José. A Hollywood ha sede l’industria del cinema.

Il principale polo d’attrazione della Ca-lifornia è Los Angeles, seconda megalopoli dopo New York, con un’area metropolita-na di quasi 13 milioni di persone. Cresciuta disordinatamente e senza un vero e proprio centro, ha una popolazione per quasi la metà ispanica, soprattutto di origine messicana. Lo spagnolo è diventato di fatto la seconda lingua e sempre più numerosi sono i politici eletti dalle comunità ispaniche che prendono il posto degli anglosassoni.

San Francisco sorge in un’ampia baia sulla quale si affacciano colline e fertili valli, molte delle quali coltivate a vigneti. La città ha cir-ca 744000 abitanti, oltre 4 milioni nell’area metropolitana. San Francisco ha conquistato nel tempo una fama di libertà e tolleranza, di apertura alle novità culturali e sociali. È sede della più vasta comunità gay del mon-do occidentale (200000 persone, che hanno ottenuto i riconoscimenti legali più ampi de-gli Stati Uniti) e della più grande Chinatown d’America.

Terra del vino. La California è il luogo dove si produce la maggior parte del vino degli Stati Uniti. [Scott Kemper/Alamy]

L’ordinamento politico

Il presidenteGli Stati Uniti d’America (United States of America, USA) sono una federazione di cin-quanta stati, con capitale Washington. Que-sta città, che ha oggi quasi 600000 abitanti (ma 5,3 milioni nell’area metropolitana), non si trova in uno stato, ma nel piccolo District of Columbia, istituito nel 1790 perché la ca-pitale potesse sorgere in territorio neutrale.

A Washington ci sono la Casa Bianca, sede

del potere esecutivo, il Campidoglio, sede di quello legislativo, e le principali agenzie fede-rali preposte ai diversi settori della vita pub-blica. Buona parte degli abitanti lavora in at-tività connesse all’amministrazione pubblica.

Fondamento della nazione è la Costitu-zione; questa stabilisce che una sola persona, il presidente (eletto ogni 4 anni), concentri tutto il potere esecutivo. Al presidente spetta la nomina (con l’approvazione della mag-

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La popolazione

Le tracce della storia

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L’ordinamento politico

L’economia

Gli Stati Uniti e il mondo

Barack Obama, primo presidente afroamericano degli USA. Barack Hussein Obama, nato alle Hawaii, fi glio di un kenyano e di un’americana bianca, è vissuto a lungo da ragazzo in Indonesia e si è poi laureato ad Harvard. Nel novembre 2008 è stato eletto presidente degli Stati Uniti, primo afro-americano a raggiungere tale carica. Nel 2005 aveva vinto le elezioni a senatore per il Partito Democratico, diventando l’unico senatore nero degli Stati Uniti e appena il quinto nella storia del paese. La sua ascesa alla presidenza è stata vista da molti come un evento storico straordinario, la fi ne di un’epoca apertasi con la tratta degli schiavi africani. Qui il presidente è ritratto con la moglie Michelle, anche lei molto popolare. [Uriel Sinai/Getty Images/Laura Ronchi]

gioranza del Senato) di tutti i ministri, alti funzionari, giudici costituzionali e ambascia-tori del paese; è il presidente a nominare i direttori esecutivi del Consiglio di Sicurezza Nazionale, della CIA (Central Intelligence Agency, l’organismo che coordina le attività di spionaggio e controspionaggio), dell’FBI (Federal Bureau of Investigations, la polizia federale), della Banca centrale (Federal Re-serve), della NASA (National Aeronautic and Space Administration).

Il presidente può convocare il Congresso in sessione speciale per dichiarare la guerra, ratifi care trattati o intervenire in questioni critiche. È il comandante in capo delle Forze Armate. È, secondo la consuetudine, il capo di uno dei due maggiori partiti. Decide la politica estera e, in alcune circostanze, può impegnare le Forze Armate in atti di ostilità senza una formale dichiarazione di guerra da parte del Congresso. Per tutta questa somma di incarichi e di diritti, la presidenza degli Stati Uniti è considerata la carica elettiva più potente al mondo.

Gli statiDei cinquanta stati americani, quarantotto sono contigui e due, l’Alaska e le Hawaii, sono separati dal resto del paese. Retti da un governatore, i singoli stati mantengono in proprio una serie ampia di poteri, per esem-pio per quanto riguarda elezioni e governo locale, sanità e moralità pubblica. Questa autonomia fa sì che le differenze tra stato e stato siano molto grandi.

Esse possono riguardare l’entità delle tas-se statali; la regolamentazione dei rapporti di

lavoro; il codice stradale e l’età minima per ottenere la patente di guida; le leggi a pro-tezione dell’ambiente; ma anche matrimonio e divorzio, politica scolastica, limiti al con-sumo di alcolici, diritti riguardanti i costumi sessuali, limitazioni all’interruzione di gravi-danza e soprattutto il sistema giudiziario. Per gli stessi reati, le pene sono diverse a seconda degli stati.

Gli organi elettiviOgni stato elegge i suoi rappresentanti all’as-semblea legislativa, il Congresso, con sede a Washington. Esso è diviso in due rami: la Ca-mera dei Rappresentanti (deputati eletti per 2 anni in numero proporzionale alla popola-zione di ogni Stato) e il Senato (2 senatori per ogni stato, che restano in carica 6 anni).

I dieci emendamenti e i dirittidei cittadiniQuando il primo Congresso si riunì nel 1789, approvò dieci emendamenti alla Costituzio-ne, volti a garantire i diritti dei cittadini. Questi valgono tuttora, e comprendono: li-bertà di parola, stampa e religione; libertà di associarsi pacifi camente; diritto, se accusati, ad avere una corte rapida e imparziale; di-ritto a non testimoniare contro se stessi (vi-sto innumerevoli volte nei processi, in tv o al cinema); diritto di possedere o portare armi (fu adottato come protezione da una possibi-le repressione autorizzata ingiustamente dal potere centrale); diritto a non essere privati della vita, della libertà e delle proprietà senza un regolare procedimento legale. Inoltre, al governo centrale è fatto divieto di acquartie-rare truppe in abitazioni private senza il con-senso del proprietario; di condurre ricerche e perquisizioni irragionevoli; di infl iggere mul-te, cauzioni o punizioni eccessive o crudeli; di processare due volte per lo stesso reato una persona già assolta.

La Corte SupremaÈ il massimo organismo giudiziario degli Sta-ti Uniti ed è di nomina presidenziale. I suoi componenti restano in carica a vita o fi no alle dimissioni. Il presidente propone allora il proprio nuovo candidato, che deve superare, per entrare in carica, l’esame del Senato. Alla Corte Suprema si indirizzano i casi contro-versi e le sue decisioni hanno marcato sempre grandi cambiamenti negli indirizzi generali della nazione.

Barack Obama, primo presidente afroamericano degli USA. Barack Hussein Obama, nato alle Hawaii, fi glio di un kenyano e di un’americana bianca, è vissuto a lungo da ragazzo in Indonesia e si è poi laureato ad Harvard. Nel novembre 2008 è stato eletto presidente degli Stati Uniti, primo afro-americano a raggiungere tale carica. Nel 2005 aveva vinto le elezioni a senatore per il Partito Democratico, diventando l’unico senatore nero degli Stati Uniti e appena il quinto nella storia del paese. La sua ascesa alla presidenza è stata vista da molti come un evento storico straordinario, la fi ne di un’epoca apertasi con la tratta degli schiavi africani. Qui il presidente è ritratto con la moglie Michelle, anche lei molto popolare. [Uriel Sinai/Getty Images/Laura Ronchi]

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La Casa Bianca. L’edifi cio più famoso di Washington ospita l’abitazione e gli uffi ci del presidente. Vi lavora tutto il suo staff, dalle segretarie alle guardie del corpo, ai camerieri. Quello che si vede nella fotografi a è il fronte posteriore, che dà sul giardino: qui vengono tenute le conferenze stampa e i ricevimenti uffi ciali. Le fi nestre del secondo piano, al centro, sono quelle della celebre «stanza ovale», l’uffi cio del presidente degli Stati Uniti.[D. e J. Eaton/Apa, 1992]

Celebre, nel 1966, la decisione della Cor-te sull’obbligatorietà, in ogni caso di arresto, di leggere all’arrestato i propri diritti prima di procedere a interrogatorio: diritto a non rispondere, diritto a non rivelare nulla che possa essere usato contro di lui; diritto a un’assistenza legale. Nel 1973, la Corte Su-prema si pronunciò per lasciare alla donna, e solo a lei, la decisione sull’interruzione di gravidanza. Nel 1979, proibì di praticare di-scriminazioni sul posto di lavoro in base alla razza. La Corte Suprema si è sempre rifi uta-ta di considerare la pena di morte «atteggia-mento crudele».

I partiti politiciLa vita politica americana è storicamente organizzata intorno a due grandi partiti, il

Partito Repubblicano e il Partito Democra-tico. Nessun altro gruppo è mai riuscito a raggiungere più del 10% dei voti nelle ele-zioni federali. Piuttosto avviene che le spinte sociali che provengono dal basso (movimenti di opinione, sindacati, movimenti giovanili o rivendicazioni etniche) trovino la propria collocazione in uno dei due partiti maggiori. Ambedue i partiti fondano la propria poli-tica sulla proprietà privata, la sicurezza dei cittadini e il patriottismo. Per i repubblicani, l’enfasi è sulla classe media e sulla libertà di impresa. I democratici hanno piuttosto i loro cavalli di battaglia nell’aumento dell’inter-vento statale in favore della parte più dise-redata della nazione e nella difesa dei diritti civili delle minoranze.

Il sistema elettorale è sempre uninominale: ogni circoscrizione elettorale elegge un solo rappresentante, quello che ottiene anche un solo voto in più del suo antagonista.

Alcuni stati o grandi città sono tradizio-nalmente democratiche o repubblicane, così come lo sono i gruppi etnici. I neri d’Ame-rica hanno sempre votato in prevalenza de-mocratico. Variabili sono invece le politiche estere dei due partiti. Nell’immagine popo-lare, i repubblicani rappresentano gli inte-ressi dei ricchi, sono il partito che fa pagare meno tasse e che affi da al mercato la regola-mentazione del progresso economico. I de-mocratici sono visti come una coalizione di progressisti, molto burocratici, qualche vol-ta corrotti, difensori della solidarietà e della giustizia sociale.

L’economia

L’agricolturaNella produzione agricola, gli Stati Uniti oc-cupano da tempo una posizione di assoluto predominio. Primi nella produzione mondia-le di mais e soia, gli USA si trovano costan-temente ai primi posti nelle statistiche che riguardano quasi tutti gli altri alimenti.

Alla base di questi grandi risultati stanno le eccezionali potenzialità del territorio: im-mense estensioni, molte delle quali ricche di acque, e una varietà di climi che permette le colture più diverse.

Nelle grandi pianure al centro del paese (compresa la corn belt, una vasta zona dove tradizionalmente si producono enormi quan-tità di mais), il paesaggio è costituito da va-

stissime e monotone estensioni di campi col-tivati. A nord, dallo Iowa al Minnesota, si trova invece la dairy belt, la «cintura del lat-te», specializzata nell’allevamento di animali da latte e nella produzione di foraggio per l’alimentazione animale. A sud, il clima sub-tropicale favorisce la coltivazione intensiva di riso, arachidi, canna da zucchero, tabacco e frutta, lungo una fascia che va dalla Florida alla California, mentre numerose sono le nic-chie di produzione specializzata, dallo Utah all’Arizona per ortaggi e frutta, alla Califor-nia per la vitivinicoltura e le primizie.

Solo il 2% della popolazione vive in aree agricole, ma le campagne hanno subìto una radicale trasformazione: l’intenso sfrutta-

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Le principali colture agricole degli Stati Uniti. L’importanza che i prodotti dell’agricoltura statunitense rivestono nell’economia mondiale può essere colta pienamente se si osservano le percentuali del prodotto USA rispetto a quello globale del mondo. Nel 2007 sono stati rilevati i seguenti dati: soia 32%, granoturco 41,9%, grano 8,8%, cotone 14%, tabacco 5,6%.

Frumento

Mais

Allevamentoe industria lattiera

Cotone

Pascoli

Colture agricolevarie

Coltivazione intensiva dell'arachide

Coltivazioni miste e industria lattiera

Coltivazione intensiva del tabacco

Colture mediterranee

Frutticoltura e ortocultura intensiva

Foreste

Frumento primaverile

Frumento invernale

mento del suolo ha provocato danni ecolo-gici e gravi episodi di erosione in molte parti delle pianure centrali.

Da quando, nel Novecento, gli Stati Uniti sono diventati il «granaio del mondo», han-no cercato di sfruttare al massimo le proprie potenzialità agricole. La meccanizzazione del lavoro dei campi ha aumentato enormemen-te la produzione, grazie anche alla semina dall’aereo e all’uso di sorvegliare le mandrie dall’elicottero. È molto cresciuto anche l’uti-lizzo di fertilizzanti e pesticidi.

Il mercato alimentare è dominato da pochi grandi gruppi industriali che distribuiscono i propri prodotti da un capo all’altro del pae-se, eliminando progressivamente le differenze regionali nell’alimentazione: in tutti gli stati gli americani consumano la stessa marca di biscotti, di salsicce o di succo d’arancia con-gelato. Il mercato è dominato dalla Borsa dei prodotti agricoli di Chicago, dove si fi ssano i prezzi internazionali e si scommette su quelli futuri.

Un problema dell’agricoltura statunitense sono le frequenti crisi di sovrapproduzione: quando si produce troppo e non si riesce a vendere tutto, i prodotti restano in magazzi-no o nei silos, oppure vengono distrutti.

A partire dagli anni Settanta del Nove-cento (e oggi anche con le tecniche dell’in-gegneria genetica) sono state selezionate spe-cie vegetali sempre più resistenti al clima e ai parassiti. Le «sementi ibride», base della

«rivoluzione verde», hanno però portato ri-sultati in larga parte diversi da quelli spera-ti. Le sementi devono essere rinnovate ogni anno, perché la loro potenzialità si esaurisce in fretta; la massima resa è possibile solo se si usano determinati pesticidi e fertilizzanti, spesso dannosi per la salute; la proprietà del-le sementi è passata in pochi anni a grandi industrie chimiche multinazionali che impon-gono i propri prezzi; e il processo di selezione ha portato alla virtuale estinzione di molte coltivazioni tradizionali.

Per tutti questi motivi, si sono avuti fal-limenti a catena di piccole aziende agricole, impossibilitate a sostenere le spese necessarie per produrre a prezzi di mercato.

Nel 1992 è stata autorizzata la produzio-ne e la vendita di alimenti derivati da piante modifi cate geneticamente (OGM).

Il capitalismo americanoGli Stati Uniti sono la più grande potenza economica del mondo occidentale. Essi si trovano ai primi posti delle classifi che di mol-te produzioni agricole e industriali, il loro sottosuolo è ricco di materie prime, il settore terziario è altamente sviluppato e il reddito pro capite è tra i più elevati del pianeta.

Il sistema economico-politico degli USA, chiamato «capitalismo americano», si basa sulla proprietà privata, sulla democrazia po-litica e sulla fi ducia dei cittadini. Un modello

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di vita cui gli americani si sono fi nora dimo-strati molto attaccati, accettando le regole del mercato e dimostrando una forte adesione ai valori patriottici.

Il capitalismo americano ha alcuni tratti che lo caratterizzano fi n dagli anni Cinquan-ta. Da una parte, predomina un complesso militare-industriale, controllato e fi nanziato dal governo centrale, che assume così pote-re su tutte le industrie a interesse bellico (ac-ciaierie, trasporti, aeronautica, aerospazia-le, centri di ricerca, elettronica applicata al militare). Dall’altra parte, l’industria privata assume le forme giganti delle corporations, società per azioni con centinaia di migliaia di dipendenti, la cui proprietà è frammentata tra milioni di azionisti. Le corporations han-no presto esteso i propri interessi in tutto il mondo, trasformandosi in società multinazio-nali. Alcune di queste (per esempio General Motors e Ford per le automobili; ExxonMo-bil e Chevron per il petrolio; IBM e General Electric per l’elettronica) sono da decenni ai vertici dell’economia mondiale, con fatturati che in genere superano i redditi di interi stati. Essendo presenti in molti paesi come colossa-li produttori e venditori di beni, le multina-zionali condizionano governi, decidono dello sfruttamento di materie prime e contrastano eventuali concorrenti. La massiccia presenza industriale e commerciale degli Stati Uniti di-venta in breve la propaganda di un sistema di vita: l’american way of life («il modo di vita americano»). La casa degli americani divie-ne uno dei luoghi più conosciuti e amati in tutto il mondo: è il luogo dell’opulenza, del frigorifero pieno, della televisione, degli elet-trodomestici sempre nuovi, dell’automobile posteggiata davanti al giardino.

Una stretta vicinanza tra industria, univer-sità, centri di ricerca militari o civili è stata alla base di un continuo rinnovamento tec-nologico. Altra caratteristica del capitalismo americano è stata poi la capacità di inventare prodotti nuovi e di realizzarli subito in pro-duzioni di massa. È americana una gamma di prodotti molto varia, che va dalla gomma da masticare ai giochi elettronici, a una be-vanda dalla composizione rimasta per mol-tissimo tempo segreta come la Coca-Cola e a un indumento-simbolo come i blue jeans, impostisi in tutto il pianeta.

Porta il segno americano anche l’industria della cultura e del divertimento: dagli Stati Uniti vengono la televisione commerciale con spot pubblicitari durante i programmi, mol-te tendenze musicali, fi lm e libri di successo, molti elettrodomestici. E viene soprattutto quella tendenza, diffusasi in tutti i paesi ric-

La diga di Glen Canyon, sul fi ume Colorado in Arizona. Il problema della scarsità d’acqua affl igge molte aree degli USA. I coltivatori sono perciò costretti a cercare vari modi per risparmiare l’acqua e sfruttarla in modo effi ciente. Nella fotosi vede la diga di Glen Canyon, sul fi ume Colorado, costruitanel 1963. Essa ha dato origine al lago artifi ciale Powell,il secondo di questo tipo degli Stati Uniti.[WalterBibikow/Jon Arnold Images/Alamy]

chi, che prende il nome di consumismo: com-prare merci di cui non si ha particolare biso-gno, cambiare spesso le stesse merci quando queste passano di moda, e in questo modo trovare un senso alla propria vita.

Dagli anni ’60 del secolo scorso, nelle fab-briche si è sviluppata l’automazione, ovvero la costruzione di robot o altri macchinari che ripetono perfettamente il lavoro che prima era svolto dall’uomo. Inoltre si è iniziato a delocalizzare alcune fasi della produzione: per esempio i singoli pezzi di un oggetto ven-gono fabbricati in paesi dove la manodope-ra costa meno, poi vengono assemblati negli Stati Uniti per dar forma al prodotto fi nito. La lavorazione delle materie prima viene sempre più svolta in altri paesi. Gli americani si trasformano gradualmente da addetti alla produzione a produttori di servizi. L’indu-stria dei servizi copre i terreni più vasti: dalla pubblicità alle organizzazioni fi nanziarie per vendite a rate, alle società che svolgono inda-gini sull’andamento del mercato, alle reti di comunicazione. Assume sempre più rilevanza il mercato dei capitali, che ha il suo centro nella Borsa di New York.

Il modello americano ha dominato, con alti e bassi, l’economia del mondo per decenni, ma

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L’economia

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La grande insegna di Hollywood, sul monte Lee. Nata all’inizio del XX secolo con l’ambizione di far sognare il pubblico e di indicare modelli di vita, l’industria del cinema statunitense, che ha il suo centro nella cittadina di Hollywood, alla periferia di Los Angeles, si è dimostrata ben presto una macchina industriale tra le più potenti e innovative. Oltre agli attori famosi e conosciuti da tutti, negli USA lavorano per il cinema centinaia di migliaia di persone, e le grandi società di produzione sono nell’elenco delle più grandi imprese americane. [K. Sax/Shooting Star]

oggi dimostra alcune gravi crepe nella propria struttura. Gli Stati Uniti non si presentano più come l’unica grande potenza economica del pianeta: il sistema di produzione americano deve competere sia con l’Unione Europea sia con il Giappone e la Cina, grande colosso che si affaccia prepotentemente alla ribalta mondiale. Gli effetti di questo cambiamento si vedono negli stessi Stati Uniti. Tradizional-mente, la grande forza del sistema economico americano si è basata sul mercato interno: le merci fabbricate negli USA e vendute a citta-dini USA rappresentavano un terzo di tutta la produzione americana. Ma oggi altri paesi, come il Giappone, hanno conquistato grosse fette del mercato interno statunitense, dall’in-dustria dell’automobile a quella dell’elettroni-ca domestica. La presenza estera si è poi ma-nifestata apertamente con l’acquisto da parte del Giappone (e più recentemente della Cina) di centinaia di industrie americane, compresi alcuni simboli della potenza economica statu-nitense: grandi grattacieli di New York, pre-stigiose compagnie aeree e case di produzione cinematografi ca. Inoltre, le enormi spese mili-tari sostenute dagli Stati Uniti negli ultimi de-cenni hanno prodotto un altrettanto enorme indebitamento statale che minaccia tutto il sistema fi nanziario.

A mettere in evidenza queste contraddi-zioni è arrivata, nel corso del 2008, una crisi economica che alcuni hanno paragonato a quella del 1929, e che ha avuto il suo epicen-tro e la sua origine per l’appunto negli Stati Uniti, da qui diffondendosi in altre parti del mondo. Il neo-presidente Obama ha dovuto innanzitutto confrontarsi con questo proble-ma assai grave.

Tra i principi che hanno ispirato la sua po-litica anche in questo campo c’è un’attenzione incomparabilmente maggiore rispetto ai suoi predecessori ai rischi che la Terra corre a cau-sa del riscaldamento globale, e all’importan-za anche economica dei temi ambientalisti. Un’altra importante battaglia subito affron-tata da Obama (tra mille diffi coltà politiche) è quella di una riforma del sistema sanitario, destinato a garantire una maggiore protezio-ne a tutti i cittadini indipendentemente dalle loro possibilità economiche.

Gli USA non sono mai stati invasi da nessun esercito straniero, ma la guerra è sempre sta-ta presente nella storia americana, fi n dalla nascita della nazione. Divenuta indipendente a seguito della guerra contro l’esercito ingle-se, nel 1860 essa venne dilaniata da una guer-ra civile che produsse un milione di morti. All’inizio del XX secolo, l’esercito americano intervenne per la prima volta fuori dai confi -ni annettendosi l’isola di Portorico, l’arcipe-lago delle Filippine, l’isola di Guam, le isole Hawaii, e usando a più riprese la forza mili-tare per assicurarsi governi amici nell’Ameri-

ca Centrale. Gli Stati Uniti intervennero nella prima guerra mondiale nel 1917 contro la Germania, e spostarono sui campi di batta-glia europei quasi un milione di soldati: eb-bero 70000 morti e 200000 feriti.

Ma fu soprattutto la partecipazione al se-condo confl itto mondiale a segnare la cresci-ta della potenza militare americana. Gli Stati Uniti entrarono in guerra quando vennero improvvisamente colpiti il 7 dicembre 1941, nella base navale di Pearl Harbour (arcipela-go delle Hawaii), dall’aviazione giapponese, che distrusse 19 navi statunitensi uccidendo

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2300 persone. La partecipazione degli Stati Uniti si rivelò decisiva per la vittoria degli Alleati contro la Germania nazista. Gli Stati Uniti riconvertirono la loro industria civile in funzione della produzione bellica; inter-vennero nel Pacifi co contro il Giappone, in Africa e in Europa contro gli eserciti italiani e tedeschi. Dopo aver vinto in Africa, le trup-pe americane sbarcarono in Sicilia (1943) e risalirono l’Italia, segnando la fi ne del fasci-smo e provocando l’armistizio italiano dell’8 settembre. Organizzarono il colossale sbarco di truppe dalla Gran Bretagna in Normandia il 6 giugno del 1944 e avanzarono nell’Euro-pa occupata dalla Germania. Sconfi tto anche dall’Armata Rossa sul fronte orientale, Hitler capitolò nel 1945. Gli americani legarono i propri successi alla tecnologia e all’organiz-zazione militare, ma furono anche autori di alcune delle più violente tecniche distruttive della storia: il bombardamento a tappeto di grandi città tedesche come Dresda e soprat-tutto lo sganciamento della bomba atomica sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasa-ki (6 e 9 agosto 1945).

Gli Stati Uniti sono usciti dalla seconda guerra mondiale come la vera potenza vin-citrice. Hanno avuto un milione tra morti e feriti, ma non hanno subìto le distruzioni dell’Europa. La loro economia e il loro po-tere militare sono superiori a quelli di qual-siasi altro paese. Da questa situazione inizia l’espansionismo degli Stati Uniti nella secon-da metà del secolo. Esso parte dagli accordi di Yalta, 1945, in cui il presidente americano Roosevelt, quello sovietico Stalin e il premier inglese Churchill si spartiscono le zone di infl uenza in Europa. Dopo la rapida cadu-ta dei paesi dell’Europa centrale nell’orbita sovietica, gli Stati Uniti diventano i fautori della necessità di fronteggiare con mezzi mili-tari l’aggressività sovietica. Cominciano così gli anni della «guerra fredda», caratterizzati dalla formazione di un’alleanza militare (la NATO), dalla produzione di sempre più terri-bili armi atomiche e dal coinvolgimento degli USA in guerre molto lontane dai propri confi -ni (come quella di Corea nel 1950).

In Europa crescono di numero le basi mi-litari statunitensi. Si verifi cano acutissime tensioni internazionali legate al passaggio di Cuba nel sistema economico e militare sovie-tico.

Negli anni ’60 gli Stati Uniti intervengono per sostenere un regime alleato (il Vietnam del Sud) contro la minaccia comunista pro-veniente dal Vietnam del Nord. Il coinvolgi-mento USA cresce progressivamente fi nché, alla fi ne degli anni ’60, viene introdotta la

coscrizione obbligatoria e i soldati americani vengono mandati in guerra in Vietnam. Per la prima volta nella storia, la televisione do-cumenta ogni giorno nelle case degli ameri-cani il vero volto delle battaglie in Vietnam, e sono storie di crudeltà, di distruzioni chimi-che e soprattutto di sconfi tte. La televisione contribuisce così alla crescita di un fortissi-mo movimento contro la guerra negli Stati Uniti. Sotto il peso dell’opposizione interna, gli Stati Uniti decidono di ritirare le proprie truppe dal Vietnam nel 1973. Il bilancio è di 211000 tra morti e feriti gravi, e ben otto mi-lioni sono stati gli americani coinvolti a vario titolo nella guerra vietnamita. La sconfi tta in Vietnam lascia negli Stati Uniti un lungo se-guito di frustrazione e rabbia.

Negli anni ’70 l’intervento americano si fa sentire in molte parti del mondo, a sostegno di regimi anticomunisti (in Cile) o in aiuto militare a movimenti anticomunisti (in Africa: Mozam-bico, Angola), ma senza interventi diretti. In un clima di incertezza politica, gli Stati Uniti assi-stono alla vittoria di rivoluzioni antiamericane in Iran e in Nicaragua e alla crescita militare di paesi arabi come la Siria e l’Iraq.

A partire dagli anni ’80, con la presidenza Reagan, gli Stati Uniti sono impegnati in una colossale politica di riarmo tesa a fronteggia-re l’URSS. Essa consiste essenzialmente nel di-spiegamento di un sistema missilistico in Eu-ropa, destinato a fronteggiare una possibile invasione sovietica, e in un programma di di-fesa spaziale che non ha però risultati pratici. L’esercito americano riprende a intervenire a vario titolo in molte parti del mondo (Li-bano, Grenada, Nicaragua, Libia, Panama). Un vero e proprio impegno bellico su larga scala sembra impossibile dopo le sconfi tte del Vietnam, eppure questo si verifi ca nel 1991, quando gli Stati Uniti guidano una coalizione militare di 28 nazioni contro l’Iraq di Saddam Hussein invasore del Kuwait, uno dei mag-giori produttori di petrolio del mondo. Gli Stati Uniti trasportano in Arabia Saudita un esercito di mezzo milione di uomini. La guer-ra del Golfo, condotta su mandato dell’ONU e praticamente senza l’opposizione di gover-ni di altre grandi nazioni, dura pochi giorni: la superiorità militare americana costringe Saddam Hussein a una rapida resa, dopo che l’Iraq ha subìto la virtuale distruzione del proprio apparato bellico e la perdita di cir-ca 100 000 uomini (ma la cifra esatta non è stata mai appurata). La vittoria militare nel Golfo e il concomitante collasso dell’Unione Sovietica cambiano radicalmente gli equilibri militari nel mondo, che oggi vedono un pre-dominio degli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti

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loro storia. Soldati americani avevano com-battuto in tutti i continenti, ma mai – dopo la guerra di secessione – la guerra aveva lam-bito il loro territorio, e mai – dopo la guerra d’indipendenza dall’Inghilterra – un nemico straniero vi aveva compiuto un atto di guer-ra. Perché tale, un atto di guerra appunto, apparve agli americani, per la sua violenza e le sue dimensioni, quell’atto terroristico, che venne subito, non a caso, paragonato al pro-ditorio attacco giapponese a Pearl Harbour.

Un atto, quello dell’11 settembre, che di-strusse in un momento l’antica e consolida-ta sicurezza degli americani in casa propria, e che entrò a far parte della memoria degli americani come un incubo collettivo. Un atto che era destinato a entrare nella storia per se-gnarvi un’epoca, e ad avere molte drammati-che conseguenze, negli Stati Uniti e altrove.

Innanzitutto, il governo americano decise di scatenare una operazione militare su larga scala per distruggere il terrorismo internazio-nale, i suoi centri fi nanziari occulti e le sue sedi, e per colpire i governi di quegli stati che proteggevano o quanto meno tolleravano il terrorismo. Il primo atto di questa operazio-ne militare fu l’attacco al regime dei Talebani dell’Afghanistan, dove si trovava (con il con-senso del regime) la maggior parte delle sedi e dei campi di addestramento dei terroristi islamici di al-Qaida. Contemporaneamente, operazioni di polizia venivano messe in atto in numerosi paesi del mondo per colpire sedi, fi nanziatori e complici delle organizzazioni terroriste. Per poter compiere questa opera-zione, il governo degli Stati Uniti tessé i fi li della più grande coalizione mondiale di tutti i tempi, ottenendo l’adesione, a vario titolo, non solo degli alleati tradizionali (Canada, Europa occidentale, Australia, Giappone), ma anche della Russia, della Cina, dell’In-dia, di alcuni paesi islamici. La prima grande conseguenza dell’11 settembre fu quindi un profondo mutamento degli equilibri strategi-ci internazionali. Fu come se le maggiori po-tenze mondiali mettessero da parte, per un periodo di imprevedibile durata, le proprie contese, per dare un’assoluta priorità alla lotta al terrorismo come pericolo mondiale. Tra gli effetti di questo mutamento fu anche il ritorno della Russia a un ruolo internazio-nale importante.

Una seconda conseguenza fu un colpo molto duro sferrato a un’economia già in cri-si da più di un anno, dopo una lunghissima fase di espansione. Non solo negli Stati Uni-ti, ma in tutto il mondo, vennero particolar-mente colpite le industrie legate ai trasporti, ai viaggi e al turismo.

La popolazione

Le tracce della storia

Gli Stati Unitiurbani

L’ordinamento politico

L’economia

Gli Stati Uniti e il mondo

L’11 settembreL’11 settembre 2001 una serie di attentati ter-roristici di dimensioni assolutamente impen-sabili si abbatté sugli Stati Uniti.

Quattro aerei di linea vennero dirottati da altrettanti gruppi di terroristi suicidi (venne usato per loro il termine giapponese di ka-mikaze, in uso nella seconda guerra mondia-le). Due degli aerei vennero poi diretti, come bombe micidiali, contro le due «Torri Gemel-le» (le Twin Towers) di New York, che ospi-tavano il World Trade Center (in prevalenza, uffi ci fi nanziari e commerciali, sedi di grandi società, ma anche ristoranti ecc.), e che crol-larono. Un terzo si abbatté sul Pentagono a Washington. Il quarto aereo, i cui passegge-ri si ribellarono, cadde al suolo mancando l’obiettivo.

Le vittime innocenti di questi orrendi at-tentati furono circa 3000. Gli autori erano terroristi per lo più arabi, legati a un’organiz-zazione terrorista fondamentalista islamica segreta chiamata al-Qaida, e guidata da uno sceicco arabo, Osama Bin Laden. Quest’ul-timo intendeva far pagare agli Stati Uniti, in primo luogo, la presenza di loro truppe, dopo la guerra del Golfo, sul suolo dell’Arabia sacra all’Islam; e in più, si proponeva di sollevare il mondo islamico e restaurarne le antiche glorie per scagliarlo contro gli infedeli.

Gli Stati Uniti vissero questo evento (che la televisione trasmise praticamente in diretta in tutto il mondo) come uno dei più tragici della

Attentato a New York. Le tremende immagini dell’attentato terroristico dell’11 settembre 2001, trasmesse in diretta dalla televisione, hanno fatto il giro del mondo. [Foto AFP, 2001]

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Dall’Afghanistan all’IraqL’intervento in Afghanistan non ha raggiunto fi no in fondo i suoi obiettivi. Il regime oscu-rantista e fondamentalista dei talebani è sta-to rovesciato, ma sia Osama Bin Laden sia il capo dei talebani, il mullah Omar, sono sfug-giti all’arresto. Né l’ancor debole governo provvisorio (pur rappresentativo delle princi-pali componenti etniche e politiche del paese) né le forze militari internazionali (anche ita-liane) che lo affi ancano sotto l’egida dell’ONU sono ancora riuscite a venire del tutto a capo della resistenza dei talebani e di al-Qaida, so-prattutto nelle zone montuose più impervie; e neppure a imporre il proprio controllo sui «signori della guerra», tuttora in grado di spadroneggiare in alcune regioni.

Sempre all’interno della campagna contro il terrorismo internazionale, dopo l’Afgha-nistan gli americani hanno individuato un nuovo obiettivo nell’Iraq, governato da de-cenni da un sanguinario dittatore, Saddam Hussein, e ritenuto un elemento di grave instabilità per l’intera regione mediorienta-le. Accusato inoltre – il regime di Baghdad – di fabbricare e detenere armi di distruzione di massa, chimiche, batteriologiche, atomi-che, e di avere rapporti con i terroristi di al-Qaida. Sulla questione dell’attacco all’Iraq, gli Stati Uniti si sono scontrati con l’ostilità dei movimenti pacifi sti a livello internazio-nale e di alcuni governi europei (soprattut-to della Francia e della Germania), nonché della Russia, e non hanno potuto ottenere l’assenso dell’ONU all’operazione. Da qui la loro decisione di procedere ugualmente, con l’appoggio di pochi paesi (fra cui, in primo luogo, il Regno Unito, ma anche l’Australia, la Spagna, la Polonia e, in misura più limita-ta, l’Italia). Ne è derivata una polemica dai toni anche aspri. Molti governi e forze politi-che europee e di altre parti del mondo hanno accusato gli Stati Uniti di unilateralismo (cioè di voler decidere da soli, non in armonia con la comunità internazionale), di scarso rispet-to per l’ONU, di imboccare la strada rischiosa di guerre «preventive» dall’esito incerto. Dal canto loro, gli Stati Uniti hanno accusato al-cuni paesi europei di sottovalutare il terro-rismo come problema globale, che riguarda tutti e non solo gli Stati Uniti.

Le operazioni militari in Iraq sono iniziate nel marzo 2003 e si sono concluse vittoriosa-mente in tre settimane. Ma il dopoguerra si è rivelato assai più diffi cile della guerra stes-sa, per l’insorgere di ostacoli colpevolmente sottovalutati. Non solo le truppe americane e dei loro alleati (come gli italiani tragica-mente colpiti a Nassiriya e Kabul), ma an-

Una terza conseguenza fu l’aumento delle spese militari e per la sicurezza in genere (in-terna e internazionale), a detrimento di quel-le destinate a progetti per gli aiuti ai paesi poveri o per la salvaguardia dell’ambiente.

Una quarta conseguenza fu il diffondersi di un’atmosfera di paura e di sospetto, che indus-se a introdurre misure di sorveglianza eccezio-nali e anche, in alcuni paesi, alla limitazione di garanzie tradizionali per i cittadini in caso di indagini e di processi. Libertà faticosamen-te conquistate fecero così un passo indietro. Diventò più diffi cile per tutti battersi per i di-ritti umani quando i ceceni in Russia e i turchi uiguri in Cina venivano assimilati ai terroristi internazionali (e in alcuni casi con qualche ra-gione). Nei paesi meta di immigrazione da pa-esi musulmani, i rapporti tra culture e religioni diverse si fecero più diffi cili, vanifi cando i ri-sultati di precedenti tentativi di costruire una pacifi ca convivenza. Alcuni arrivarono a par-lare di uno scontro fra civiltà, benché i capi di stato e gli stessi leader religiosi più prudenti si affrettassero a distinguere tra la religione isla-mica, le sue interpretazioni fondamentaliste e il terrorismo vero e proprio.

Una quinta conseguenza fu che, messi di fronte allo spettacolo di paesi islamici nei quali si festeggiavano nelle strade gli atten-tati dell’11 settembre, gli americani si chie-sero perché fosse così diffuso nel mondo l’odio verso di loro, che pur tanto avevano fatto, in due guerre mondiali, per salvare le libertà minacciate da regimi totalitari. Molti cominciarono a pensare che, oltre a colpire militarmente il terrorismo, fosse necessario combattere anche le radici di quell’odio. E che le radici di quell’odio si trovassero nel-le grandi diseguaglianze sociali a livello pla-netario, nella povertà e nella fame. Che Bin Laden e i suoi terroristi non combattevano (se non strumentalmente) per sradicare la povertà e la fame, ma che la povertà e la fame potevano procurare loro, nei paesi po-veri, un consenso non meno pericoloso delle loro azioni. La quinta conseguenza potrebbe quindi essere che si ripensassero saggiamente le regole che governano i rapporti tra società e tra stati. E che la comunità internazionale si impegnasse a risolvere pacifi camente confl itti che minacciano da decenni la pace mondia-le, e che contribuiscono anch’essi a nutrire il terrorismo: come quello fra India e Pakistan (due paesi che possiedono entrambi un ar-mamento nucleare) per il Kashmir, o quello – ancora più tragico e pericoloso – tra Israele e i palestinesi.

Saggezza vorrebbe tutto questo: ma per ora è solo una speranza.

Gli Stati Uniti

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lunghi è comunque generalmente auspica-to anche in relazione a una stabilizzazione generale del Medio Oriente, premessa a sua volta di una soluzione dell’annoso confl itto tra Israele e palestinesi, esso pure nuovamen-te (e sanguinosamente) riapertosi negli ulti-mi anni. È comunque assai importante che l’avvento di Obama abbia permesso di ricu-cire in notevole parte i rapporti tra gli Stati Uniti e i loro partner europei, sulla base della convinzione del nuovo presidente americano che l’«unilateralismo» è una politica rischio-sa, oltre che di diffi cile realizzazione, e che gli Stati Uniti non possono decidere da soli le sorti del mondo, non avendone il diritto, e neppure la possibilità.

Contemporaneamente, a rendere ancora più preoccupante la situazione, il terrorismo d’impronta fondamentalista islamica ha col-pito e colpisce periodicamente, oltre che in Iraq e in Israele, anche nelle Filippine, in In-donesia, nel Kashmir, in Arabia Saudita, in Kenya, in Tunisia, in Marocco, in Turchia e in altri paesi, ma anche in Europa, dove si sono verifi cati gravi attentati a Madrid e a Londra. La sua arma prediletta – assai diffi -cilmente contrastabile – è costituita dal mol-tiplicarsi di kamikaze, i fanatici uomini-bom-ba che portano morte e distruzione fra i civili inermi, uomini, donne, bambini.

All’interno degli Stati Uniti, malgrado la presenza di numerosi critici della strategia della «guerra preventiva», il ricordo dell’11 settembre continua a nutrire in molti un forte patriottismo. Sono però cresciute le polemi-che originate dalle limitazioni poste, dopo l’11 settembre, ai diritti umani e civili, in nome delle esigenze della difesa dal terrori-smo. Si discute molto, in particolare, delle condizioni in cui sono detenuti e sottoposti a processo le centinaia di prigionieri sospettati di terrorismo e reclusi nella base americana di Guantanamo, a Cuba, ai quali non si appli-cano né i normali diritti civili né le garanzie universalmente riconosciute ai prigionieri di guerra: un problema, questo, che turba pro-fondamente una parte degli americani, tradi-zionalmente orgogliosi delle proprie conquiste democratiche e giuridiche. Poco dopo la sua elezione (come aveva promesso in campagna elettorale), il presidente Obama ha avviato il graduale smantellamento della base di Guan-tanamo e, più in generale, una riforma delle regole adottate dai servizi segreti nella lotta al terrorismo. Si è scontrato però (e continua a scontrarsi) con una dura opposizione che rallenta i suoi progetti in questo come in altri campi (per esempio, in quello della riforma della sanità).

che sedi e personale dell’ONU e della Croce Rossa sono oggetto di attacchi e sanguinosi attentati da parte di formazioni paramilitari fedeli al vecchio regime o formate da terro-risti islamici affl uiti anche da altri paesi. La ricostruzione postbellica (tecnico-logistica, economica, sociale) è lenta e diffi cile, e que-sto aumenta l’ostilità per gli americani e i loro alleati, visti come truppe d’occupazione anche da molti iracheni che non hanno alcu-na nostalgia per il regime abbattuto, ma che soffrono le perduranti diffi coltà materiali e lo stato d’insicurezza in cui la popolazione è costretta a vivere. Il governo – rappresenta-tivo di curdi, musulmani sunniti e sciiti, tur-comanni: le principali popolazioni del paese –, formato sotto il controllo degli americani, ha poteri limitati e stenta ad affermarsi. Il mancato ritrovamento di armi di distruzione di massa così come di prove concrete di un legame fra Saddam e al-Qaida (argomenti che erano stati invocati in favore dell’inter-vento militare) ha suscitato molte polemiche sia all’interno sia all’esterno degli Stati Uniti. Tuttavia, i rischi per la situazione internazio-nale connessi al perdurare dell’instabilità in Iraq hanno indotto gli Stati Uniti ad ammor-bidire il proprio atteggiamento verso l’ONU e verso l’Europa (e viceversa). Alcuni paesi, tra cui la Spagna, hanno ritirato le proprie trup-pe, altri si apprestano a farlo, in un clima crescente di tensione e di guerra civile; negli stessi Stati Uniti, soprattutto dopo l’avvento alla presidenza di Obama, avanza la ricerca di una exit strategy, vale a dire di una strate-gia che permetta una graduale diminuzione dell’impegno delle truppe americane, fi no a un possibile ritiro. A spingere in questa di-rezione è anche la stanchezza dell’opinione pubblica americana: non si dimentichi che in

Iraq sono morti mi-gliaia di soldati ame-ricani, ben più delle vittime dell’11 set-tembre. Ma la ricerca di una exit strategy è resa diffi cile dal fat-to che essa non può non accompagnarsi a una stabilizzazione politica sia dell’Iraq sia dell’Afghanistan: che sono invece, so-prattutto il secondo, preda delle lotte tra fazioni, della fragi-lità politica, della corruzione. Un esito in tempi non troppo

La base statunitense di Guantanamo nell’isola di Cuba. In questo campo di detenzione statunitense, in terra cubana, sono stati rinchiusi i prigionieri di guerra provenienti dall’Afghanistan e dall’Iraq, ma anche persone sospettate di appartenere a gruppi terroristici legati ad al-Qaida. Gli abusi e le torture a cui i detenuti sono stati sottoposti da parte del personale carcerario hanno suscitato le proteste di alcune organizzazioni umanitarie e di buona parte dell’opinione pubblica mondiale, che hanno accusato il governo di Washington di non rispettare gli standard internazionali di trattamento dei prigionieri. Lo smantellamento della base di Guantanamo, avviato dal presidente Obama, è stato rallentato da una dura opposizione. [Reuters/Contrasto]

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Capitale

Superfi cie (km2)

Popolazione (ab.)

Densità (ab. per km2)

Reddito nazionale per ab. (in dollari USA)

Consumo di energia per ab. (in kWh)

Calorie (per ab./giorno)

Speranza di vita (anni)

Analfabetismo %

Numero di medici (per 1000 ab.)

Popolazione urbana %

STATI UNITI

Washington

9372614 (2008)

304059725 (2008)

32 (2008)

46859 (2008)

13515 (2006)

3830 (2003-2005)

M 75 F 81 (2007)

0 (2008)

2,4 (2006)

82 (2008)

ITALIA

Roma

301317 (2008)

60045068 (2008)

199 (2008)

38996 (2008)

5332 (2008)

3680 (2003-2005)

M 79 F 84 (2008)

1,1 (2007)

3,7 (2006)

68 (2008)

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