13. Maestro abruzzese (attivo nel XII secolo) Madonna in
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A dispetto della sua straordinaria rarità e importanza, questa eccezio- nale scultura vanta una storia criti- ca modesta, solo in parte riscattata dall’interesse suscitato all’indomani del sisma che ha sconvolto L’Aquila e provocato ingenti danni anche al- la chiesa di Castelli dove l’opera era custodita. Assieme alle altre splen- dide Madonne lignee evacuate dalla fortezza spagnola, è stata esposta al- le mostre curate da chi scrive al fine di valorizzare le collezioni del Mu- seo Nazionale d’Abruzzo (MUN- DA), in larga misura sottoposte ad accurati restauri per rimediare ai guasti subiti. E se le principali opere d’arte con cui ha condiviso le sorti negli ultimi sei anni sono ora apprezzabili a L’Aquila nella nuova sede del MUNDA, anche la Ma- donna di Castelli oggi rifulge grazie all’eccellente intervento conservati- vo che tra l’altro ne ha migliorato notevolmente la leggibilità. Ma ripercorriamo le vicende a ritroso, prima di approdare alle conclusioni stimolate dalle ricerche effettuate con la collaborazione di Arianna Petricone. A seguito del terremoto del 6 aprile 2009, l’icona è stata rimossa dalla parrocchiale di Castelli, lesionata in maniera significativa e oggi non ancora riaperta al culto. Per alcuni mesi sigillata in una cassa, a partire dal dicembre 2009 è stata sottratta al buio di un deposito e opportuna- mente accostata ad altri capolavori coevi, ed esposta, da autentica regi- na qual è, presso il Castello Picco- lomini di Celano e poi alle mostre Antiche Madonne d’Abruzzo (Tren- to, Castello del Buon Consiglio, 2010-2011) e La sapienza risplende (Rimini, Musei Comunali, 2011). Quest’ultima edizione, divenuta itinerante, veniva proposta a Tera- mo, Lanciano, Castel di Sangro, Francavilla al Mare e infine nella chiesa del monastero di Santo Spi- rito d’Ocre, fino all’estate del 2013. A Celano l’opera ha ritrovato poi una degna collocazione nel Museo d’Arte Sacra della Marsica, dove nel 2015 è stato allestito un labo- ratorio di restauro per permettere un intervento a cantiere aperto. Esibita sempre a confronto con la coeva Madonna di Lettopalena, con quest’ultima la Madonna di Castelli condivide il modello iconografico e una provenienza benedettina, qua- si a voler sottolineare l’originaria appartenenza ad abbazie sorte in località montane del Gran Sasso e della Maiella; diverse sono però le scelte cromatiche e ornamentali: l’abito della nostra scultura simula un broccato a fondo rosso con ra- cemi, quello dell’altra un abito di lana verde con minute decorazioni geometriche. A integrazione della lunga scheda pubblicata nei cataloghi delle mostre citate (Arbace in Antiche Madonne d’Abruzzo 2010, pp. 46-50; Arbace in La Sapienza risplende 2011, pp. 46-50), sembra qui utile riportare i risultati della ricerca d’archivio e considerare una fonte bibliografica finora totalmente ignorata. È emer- so che la scoperta e prima valutazio- ne a livello artistico della Madonna di Castelli è legata al terremoto che ebbe per epicentro la Marsica. Una vicenda che val la pena di raccontare per i risvolti emblematici dell’azio- ne a salvaguardia dell’arte, attuata a livello statale all’indomani di un sisma che nel gennaio 1915 falcidiò oltre trentamila persone e colpì du- ramente il patrimonio architetto- nico e storico-artistico di numerosi centri storici dell’Abruzzo. A gestire le attività di recupero dalle macerie è stato Federico Hermanin, il quale si dedicò con intelligenza e lungimiranza alle azioni di salvatag- gio di un patrimonio a fortissimo rischio di dispersione, in anni an- cora carenti di un’apposita legisla- zione sulla tutela. Si deve proprio al soprintendente alle Gallerie e ai Musei Medioevali e Moderni e agli Oggetti d’Arte delle Provincie di Roma e dell’Abruzzo, il ritrovamen- to a Castelli della nostra Madonna e di altri reperti, presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli annessa al monastero dei padri minori di San- ta Maria di Costantinopoli soppres- so a seguito dell’editto murattiano nel 1808. In una nota del 16 giugno 1915 (A.S.Te, Intendenza Francese, b.211, f.4934) Hermanin riferisce che l’opera era buttata «senza brac- cia per terra in una nicchia della sagrestia [...] coperta di ragnatele e polvere [mentre] le braccia furono tecnica/materiali scultura in legno di noce, dipinta in policromia con dorature dimensioni 150 × 50,5 × 64 cm provenienza Villa Re Quirino Celli, Castelli (Teramo), abbazia di San Salvatore, poi chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista collocazione Celano (L’Aquila), Museo d’Arte Sacra della Marsica, Castello Piccolomini (deposito temporaneo) scheda Lucia Arbace restauro Barbara Cerrina Feroni, Umberto Maggio (Laboratorio di Restauro s.n.c.) con la direzione di Lucia Arbace indagini diagnostiche Stefano Ridolfi (Ce.S.Ar. Centro Studi Archeometrici, Roma) rilievi grafici Salvatore De Stefano (Studio sdsgrafica, Napoli) Maestro abruzzese (attivo nel XII secolo) Madonna in trono con il Bambino, detta ‘Madonna di Castelli’ 1130 ca 13. Prima del restauro, fronte rintracciate in un altro cantuccio. Tutto dava l’impressione della mas- sima trascuratezza e dell’abbando- no più riprovevole». In merito al già ventilato trasferimento a Roma conclude: «Del resto nessun interes- se la statua del XII secolo ha per la Scuola dove si fanno maioliche se- condo modelli dei secoli dal XV al XVIII». A seguito della segnalazio- ne di Hermanin, sin dal 23 febbraio 1915 l’opera viene trasferita altrove;
13. Maestro abruzzese (attivo nel XII secolo) Madonna in
A dispetto della sua straordinaria rarità e importanza, questa
eccezio- nale scultura vanta una storia criti- ca modesta, solo in
parte riscattata dall’interesse suscitato all’indomani del sisma
che ha sconvolto L’Aquila e provocato ingenti danni anche al- la
chiesa di Castelli dove l’opera era custodita. Assieme alle altre
splen- dide Madonne lignee evacuate dalla fortezza spagnola, è
stata esposta al- le mostre curate da chi scrive al fine di
valorizzare le collezioni del Mu- seo Nazionale d’Abruzzo (MUN-
DA), in larga misura sottoposte ad accurati restauri per rimediare
ai guasti subiti. E se le principali opere d’arte con cui ha
condiviso le sorti negli ultimi sei anni sono ora apprezzabili a
L’Aquila nella nuova sede del MUNDA, anche la Ma- donna di Castelli
oggi rifulge grazie all’eccellente intervento conservati- vo che
tra l’altro ne ha migliorato notevolmente la leggibilità. Ma
ripercorriamo le vicende a ritroso, prima di approdare alle
conclusioni stimolate dalle ricerche effettuate con la
collaborazione di Arianna Petricone. A seguito del terremoto del 6
aprile 2009, l’icona è stata rimossa dalla parrocchiale di
Castelli, lesionata in maniera significativa e oggi non ancora
riaperta al culto. Per alcuni mesi sigillata in una cassa, a
partire dal dicembre 2009 è stata sottratta al buio di un deposito
e opportuna- mente accostata ad altri capolavori coevi, ed esposta,
da autentica regi-
na qual è, presso il Castello Picco- lomini di Celano e poi alle
mostre Antiche Madonne d’Abruzzo (Tren- to, Castello del Buon
Consiglio, 2010-2011) e La sapienza risplende (Rimini, Musei
Comunali, 2011). Quest’ultima edizione, divenuta itinerante, veniva
proposta a Tera- mo, Lanciano, Castel di Sangro, Francavilla al
Mare e infine nella chiesa del monastero di Santo Spi- rito d’Ocre,
fino all’estate del 2013. A Celano l’opera ha ritrovato poi una
degna collocazione nel Museo d’Arte Sacra della Marsica, dove nel
2015 è stato allestito un labo- ratorio di restauro per permettere
un intervento a cantiere aperto. Esibita sempre a confronto con la
coeva Madonna di Lettopalena, con quest’ultima la Madonna di
Castelli condivide il modello iconografico e una provenienza
benedettina, qua- si a voler sottolineare l’originaria appartenenza
ad abbazie sorte in località montane del Gran Sasso e della
Maiella; diverse sono però le scelte cromatiche e ornamentali:
l’abito della nostra scultura simula un broccato a fondo rosso con
ra- cemi, quello dell’altra un abito di lana verde con minute
decorazioni geometriche. A integrazione della lunga scheda
pubblicata nei cataloghi delle mostre citate (Arbace in Antiche
Madonne d’Abruzzo 2010, pp. 46-50; Arbace in La Sapienza risplende
2011, pp. 46-50), sembra qui utile riportare i risultati della
ricerca d’archivio e
considerare una fonte bibliografica finora totalmente ignorata. È
emer- so che la scoperta e prima valutazio- ne a livello artistico
della Madonna di Castelli è legata al terremoto che ebbe per
epicentro la Marsica. Una vicenda che val la pena di raccontare per
i risvolti emblematici dell’azio- ne a salvaguardia dell’arte,
attuata a livello statale all’indomani di un sisma che nel gennaio
1915 falcidiò oltre trentamila persone e colpì du- ramente il
patrimonio architetto- nico e storico-artistico di numerosi centri
storici dell’Abruzzo. A gestire le attività di recupero dalle
macerie è stato Federico Hermanin, il quale si dedicò con
intelligenza e lungimiranza alle azioni di salvatag- gio di un
patrimonio a fortissimo rischio di dispersione, in anni an- cora
carenti di un’apposita legisla- zione sulla tutela. Si deve proprio
al soprintendente alle Gallerie e ai Musei Medioevali e Moderni e
agli Oggetti d’Arte delle Provincie di Roma e dell’Abruzzo, il
ritrovamen- to a Castelli della nostra Madonna e di altri reperti,
presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli annessa al monastero
dei padri minori di San- ta Maria di Costantinopoli soppres- so a
seguito dell’editto murattiano nel 1808. In una nota del 16 giugno
1915 (A.S.Te, Intendenza Francese, b.211, f.4934) Hermanin
riferisce che l’opera era buttata «senza brac- cia per terra in una
nicchia della sagrestia [...] coperta di ragnatele e polvere
[mentre] le braccia furono
tecnica/materiali scultura in legno di noce, dipinta in policromia
con dorature
dimensioni 150 × 50,5 × 64 cm
provenienza Villa Re Quirino Celli, Castelli (Teramo), abbazia di
San Salvatore, poi chiesa parrocchiale di San Giovanni
Battista
collocazione Celano (L’Aquila), Museo d’Arte Sacra della Marsica,
Castello Piccolomini (deposito temporaneo)
scheda Lucia Arbace
restauro Barbara Cerrina Feroni, Umberto Maggio (Laboratorio di
Restauro s.n.c.)
con la direzione di Lucia Arbace
indagini diagnostiche Stefano Ridolfi (Ce.S.Ar. Centro Studi
Archeometrici, Roma)
rilievi grafici Salvatore De Stefano (Studio sdsgrafica,
Napoli)
Maestro abruzzese (attivo nel XII secolo) Madonna in trono con il
Bambino, detta ‘Madonna di Castelli’ 1130 ca
13.
Prima del restauro, fronte
rintracciate in un altro cantuccio. Tutto dava l’impressione della
mas- sima trascuratezza e dell’abbando- no più riprovevole». In
merito al già ventilato trasferimento a Roma conclude: «Del resto
nessun interes- se la statua del XII secolo ha per la Scuola dove
si fanno maioliche se- condo modelli dei secoli dal XV al XVIII». A
seguito della segnalazio- ne di Hermanin, sin dal 23 febbraio 1915
l’opera viene trasferita altrove;
Dopo il restauro, fronte
Prima del restauro, fronte, visione laterale, retro
Dopo il restauro, fronte, visione laterale, retro
il ricevitore di Montorio al Voma- no la prende in carico come bene
demaniale affidandola in consegna alla R. Scuola d’Arte allocata
negli ambienti dell’ex convento france- scano. Qui la scultura
rimane per dieci anni finendo al centro di una disputa tra le
autorità locali e quelle ministeriali, che caldeggiano il tra-
sferimento della scultura a Roma nel nuovo museo che s’intendeva
aprire dapprima a Castel Sant’An- gelo e successivamente a Palazzo
Ve- nezia, per dare adeguato ricovero ai
manufatti artistici ritrovati in larga misura in condizioni
preoccupanti per la futura conservazione, in chie- se ormai chiuse
al culto e in stato di abbandono. Come è noto, lo scop- pio della
prima guerra mondiale ral- lentò l’attuazione di questo impor-
tante progetto espositivo, comple- tato solo alcuni anni più tardi
con una parte delle opere inizialmente selezionate. A causa delle
accese proteste del sindaco e del parroco, nel 1919, anche la
Madonna di Ca- stelli non fu trasportata a Roma. Da
una scheda datata 12 ottobre 1925 (ASSA, faldone 292), si evince
che la querelle si concluse con l’affida- mento ad Augusto
Nicodemi, abate di San Salvatore, da parte di Arman- do Vené,
soprintendente per l’Arte Medioevale e Moderna dell’Abruz- zo e del
Molise. Più tardi, per garan- tirne la sicurezza nella parrocchiale
di Castelli, l’opera venne protetta da una sorta di gabbia e
sistemata su un trono moderno, perdendo ad- dirittura l’originaria
identità, ormai convertita in oggetto di devozione
come Sant’Anna con Maria bambi- na. Inevitabilmente l’atteggiamen-
to di diffidenza da parte della co- munità ecclesiale verso ogni
forma di valorizzazione, finì per provocare un’emarginazione dai
circuiti della storia dell’arte durata fino a tempi recentissimi e
il mancato transito di questa scultura eccellente nel gotha della
produzione lignea medioevale. Se per la discussione della mode- sta
bibliografia precedente, dalle prime citazioni di Valerio Mariani
(Mariani 1930) fino ai contributi
Durante il restauro, particolare del volto della Madonna, prima e
dopo il ritocco pittorico
Durante il restauro, particolare del volto del Bambino, prima e
dopo il ritocco pittorico
Prima del restauro, particolare del Bambino, fronte, visione
laterale, retro L’opera protetta in una sorta di gabbia e collocata
su un trono moderno in una foto degli anni Settanta
di Giammario Sgattoni (Sgattoni 1977) e Ferdinando Bologna (Bo-
logna 1987), si rinvia alla citata scheda critica del 2010,
riproposta con gli stessi contenuti nel 2011, sembra qui opportuno
considera- re l’importantissimo contesto di provenienza, utile per
sostenere una nuova ipotesi di datazione, at- tingendo a una fonte
del tutto di- menticata, malgrado il nome dello studioso, Quirino
Celli, compaia proprio nella denominazione della ‘Villa’ di
Castelli da cui proviene la nostra Madonna. Assieme alle lastre
appartenute a un ambone altomedioevale (Gal- lo 1987, pp. 297-299;
Gandolfo 2004, p. 158) e a una croce proces- sionale d’argento
(Pace in La Via de- gli Abruzzi 2014), la scultura lignea
rappresenta una rara testimonianza parlante di un rilevante
comples- so conventuale non più esistente, sorto in collina fuori
dall’abitato. Dell’abbazia di San Salvatore ge- neralmente si
ricorda che era diruta già nel 1814 e che i tetti della chiesa
erano crollati tra il 1840 e il 1845 a causa del perdurante stato
di ab- bandono e degli eventi tellurici, in un area soggetta a
frequenti dissesti idrogeologici. Dell’insediamento benedettino (o
forse di monaci neri di osservanza benedettina) la letteratura
locale (Scarselli 1979; Verdone 1976; Della Noce 1668) accredita,
sulla base delle rare citazioni precedenti, un’origine molto
antica, tra il VII e il VIII secolo, mentre Ludovico An- tinori,
nella Corografia, riconduce
al 1100 l’anno della consacrazione della chiesa da parte di
Pasquale II, dando quindi pienamente credito a una bolla del 1117,
che sarebbe stata promulgata dallo stesso papa. Il condizionale è
d’obbligo perché risulta trascritta ben cinque secoli più tardi da
Matteo Lauret, aba- te di San Salvatore, nella addenda al Chronicon
cassinese di Leone Ostiense, stampata a Napoli nel 1616. Lo stesso
documento riporta il riconoscimento dell’autonomia legislativa al
cenobio, dove il papa si sarebbe rifugiato nel corso di un
pontificato assai travagliato. «Di- lecto nobis in Christo filio
Amico Ab. V. Monasterii S. Salvatoris de
Castro Castellorum Vallis Sicilia- nae in Provincia Aprutii»,
trascrive Quirino Celli [...], il benemerito erudito che dedicò
anni di ricerche al monumento principe di Castelli, sfociate in un
pamphlet del 1938 dove le pagine dense di notizie sto- riche si
alternano a riflessioni del tutto personali, mentre l’enfasi del
racconto in alcuni passaggi sconfina nella poesia. Lo studioso
traduce un punto saliente della bolla, quando il papa assegna
all’abate Amico, appe- na creato cardinale, «il Monastero e la
Chiesa stessa con i suoi diritti, ragioni, azioni, con tutte le
chiese, prepositure, dignità, cappelle, ospe- dali, con tutte le
altre cose e i beni
Durante il restauro, particolare del volto della Madonna, foto a
luce diretta e ultravioletta
Durante il restauro, particolare del busto del Bambino, innesto
ligneo sulla spalla e dettagli della decorazione dell’abito
Durante il restauro, particolare della veste della Madonna, tracce
di ridipintura blu lapis e oro
che nella giurisdizione si conten- gono». A sostegno
dell’originario indiscutibile prestigio dell’abbazia di San
Salvatore, vengono riportati i beni che si estendevano in un ter-
ritorio vastissimo fino a Castel del Monte; del resto la bolla del
1117 era «tutta tesa ad autenticare i diritti feudali del
Monastero, la totale in- dipendenza dai Vescovi di Penne, e i
privilegi di mitra, e di altre insegne e prerogative vescovili»,
come sot- tolinea Celli in sintonia con Nicola Palma. Proprio per
la capacità di alterare pesantemente lo scacchie- re di forti
interessi economici, sin dal 1668 il documento non passava indenne
al primo vaglio di Angelo Della Noce, venendo poi contestato da
altri specialisti della diplomatica. L’abbazia vedeva così
tramontare il sogno di una possibile ripresa e di recupero degli
antichi fasti, già per- duti a seguito della razzia compiuta nel
1155 da Roberto di Bassavilla, conte di Loretello e nipote del re
normanno Ruggero, e ancor più per il passaggio alle dipendenze del
monastero di San Niccolò di Troti- no (Tordino), assieme alle
chiese di Sant’Andrea a Collegreco e di San Salvatore di Befaro,
stando a quanto riporta una bolla del papa Clemen- te III del 1188.
Dopo questa data sulla badia cade un lungo silenzio e inizia una
inesorabile decadenza. Le uniche notizie pervenute, riportate
scrupolosamente da Quirino Celli,
riguardano il succedersi degli abati, mentre sempre più s’attesta
l’inge- renza dei feudatari locali negli affari ecclesiastici.
Antonello De Petrutiis (o Petrucci), che aveva ottenuto il dominio
della valle, giunge a pro- testare presso il pontefice contro la
famiglia Orsini, che continuava ad accampare il diritto di nomina
degli abati di San Salvatore. Non trovando giusti i motivi e le
ragio- ni addotte da Cosmo Orsini, abate di San Vincenzo al
Volturno, Sisto IV con bolla del 1477 conferma la nomina dell’abate
Bartolomeo Liberati di Turri, ordinando la sol- lecita immissione
nel possesso dei diritti. Giovanni Felice De Amatis, in carica fino
alla morte nel 1547, è l’ultimo abate nominato da Pe- trucci, che
già nel maggio del 1487 viene giustiziato, insieme a due suoi
figli, per aver preso parte alla famosa congiura dei Baroni
(1485-1486), contro il re Ferdinando I. Confiscati i suoi beni, la
contea di Pagliara (Pa- learea o Palladoro) intanto ritorna agli
Orsini, sostenitori del sovrano aragonese, ma solo fino al 1526,
quando l’imperatore Carlo V l’asse- gna a un capitano spagnolo
ricom- pensato per i servigi resi in guerra. Nel tempo i feudatari
Alarcon y Mendoza, ben noti per aver affama- to l’economia locale
con tassazioni inique, si riservano le nomine degli abati di San
Salvatore, privilegiando ecclesiastici di propria fiducia.
Tra
questi di qualche rilievo è il napo- letano Ascanio Mazza, eletto
nel 1563, sotto il papato di Pio V, in anni particolarmente
prosperi per la produzione ceramica di Castelli. La nostra abbazia
intanto era rite- nuta nullius diocesis, se in un breve dell’anno
1570 dello stesso pontefi- ce, il vescovo di Penne veniva incari-
cato di visitare le chiese dipendenti dalla Santa Sede, tra cui
anche San Salvatore de Castellis. Con un altro breve di Sisto V,
del 1588, Ascanio Mazza ottiene però la separazione dall’abbazia
della cura delle anime, affidata alla chiesa di San Pietro,
esistente entro l’abitato di Castelli. In tal modo l’abate non è
obbliga- to a risiedere, potendo affidare tali incombenze a un
rettore retribuito con 24 ducati annui, nominato dal vescovo.
Mazza, tuttavia, poco pri- ma di morire, consapevole dell’in-
sufficiente capienza della chiesa di San Pietro per una popolazione
in crescita, lascia al suo erede il com- pito di far costruire in
Castelli, a sue spese, una chiesa più grande. Sorge così l’attuale
parrocchiale di Castelli, la quale reca nell’architra- ve del
portale, la scritta: «SUMTIB OLIM DNI ABB MAZZAE DNO CATANEO EIUS
HAERE- DE MANDAE AD GLIM DEI. MCCCCCCI». Il successore di Mazza è
il già citato Matteo Lau- ret, di origine catalana, ricordato in
alcuni documenti parrocchiali per
una lite promossa dall’Università di Castelli, che riteneva nullo
il breve di Sisto V, sostenendo la irraziona- lità della nomina dei
vicari perpe- tui. La contesa si concluse con un accordo, attestato
da un atto pub- blico del 7 maggio 1603. L’autore dell’addenda al
Chronicon cassinese era però stimato dalla comunità di Castelli, se
il suo emblema compare in un mattone del soffitto maiolica- to
della piccola chiesa di San Dona- to, realizzato tra il 1616 e il
1618. Viceversa nessuno dei successivi abati di San Salvatore
sembrerebbe aver guadagnato la gratitudine della comunità
castellana, in particolare modo operosa nel settore della ma-
iolica, effettuando gesti di munifi- cenza. Non si ha memoria
alcuna di lasciti o neanche di interventi speci- fici a favore
dell’abbazia, della quale alla fine rimase memoria esclusiva- mente
nel titolo di abate, di cui po- teva fregiarsi il parroco di
Castelli, perché la chiesa madre, sebbene dedicata a San Giovanni
Battista, mantenne a lungo la titolarità ba- diale appartenuta a
San Salvatore. Celli precisa in un amaro sfogo che alle ingiurie e
al tarlo del tempo si era aggiunta la «noncuranza ri- provevole e
balorda degli uomini. I vecchi della passata generazione
ricordavano in piedi la chiesa di S. Salvatore, la quale, secondo
la tradi- zione orale, era tutta di pietre scal- pellate e senza
intonaco, dentro e
Durante il restauro, particolare della manica della Madonna,
lacerto di ridipintura
Durante il restauro, particolare della veste della Madonna, prove
di rimozione della vernice
Durante il restauro, particolare del busto del Bambino, in evidenza
lacerto di ridipintura
fuori». Intorno al 1840 era precipi- tato il tetto della chiesa,
seppellendo con la sua rovina un tesoro di storia e d’arte. «Da
quel tempo, e fino a qualche decennio fa, l’audacia rapi- natrice e
profanatrice dei contadini dei dintorni ha avuto agio di ma-
nifestarsi in tutta la sua ributtante oscenità, in quanto si è
fatto man bassa del solido materiale da costru- zione della chiesa,
per fabbricare ca- se coloniche e stalle». Lo studioso ricorda di
aver visto, nella fanciul- lezza, «alcuni muricciuoli, alti
poco
più della sua persona infantile», nel luogo ove sorgeva l’antico
edificio sacro; e di aver provato struggimen- to e rammarico a
distanza di circa trent’anni, pieni di amarezza e di rimpianti,
perché «nulla più esiste in piedi; intorno, la terra è ingom-
bra di pietre, che l’aratore fa stridere nel solco del vomere
tagliente, e lo stridìo sembra un lamento». Nella chiesa di San
Salvatore, dopo la di- struzione dell’annesso monastero, era stata
trasportata una ricca bi- blioteca contenente opere cospicue
Rilievi ed elaborazioni grafiche prospetti Madonna - Stato di
conservazione
Madonna con Bambino - scultura lignea - Castello di Celano
0 1.00 m.0.50
Legenda
Tracce di ridipintura antica Inserti di legno non originali Zone
con assenza di colore e preparazione (legno a vista)Ritocchi
recenti
SALVATORE DE STEFANO - STUDIO GRAFICO NAPOLI OTTOBRE 2015
TAV. III Rilievi ed elaborazioni grafiche
prospetti Madonna - Stato di conservazione
Madonna con Bambino - scultura lignea - Castello di Celano
0 1.00 m.0.50
Legenda
Inserti di legno non originali Zone con assenza di colore e
preparazione (legno a vista)
SALVATORE DE STEFANO - STUDIO GRAFICO NAPOLI OTTOBRE 2015
TAV. IV Rilievi ed elaborazioni grafiche
prospetti Madonna - Stato di conservazione
Madonna con Bambino - scultura lignea - Castello di Celano
0 1.00 m.0.50
Tracce di ridipintura antica Inserti di legno non originali
Lacune del legno Zone con assenza di colore e preparazione (legno a
vista)
Ritocchi recenti
TAV. V Rilievi ed elaborazioni grafiche
prospetti Madonna - Stato di conservazione
Madonna con Bambino - scultura lignea - Castello di Celano
0 1.00 m.0.50
Tracce di ridipintura antica Inserti di legno non originali
Lacune del legno Zone con assenza di colore e preparazione (legno a
vista)
Ritocchi recenti
TAV. II
Rilievi ed elaborazioni grafiche, ipotesi di ricomposizione
cromatica e delle decorazioni
di storia e d’arte, la quale «rimase, per parecchi anni,
incustodita, fino a che i giovani castellani del tempo non si
servirono delle preziose per- gamene per confezionare palloncini e
altri oggetti, nella ricorrenza del carnevale! [...] alcuni ricchi
antifo- nari di S. Salvatore, borchiati con metalli preziosi, e di
squisita fattura presero in seguito il volo, né si sono mai più
ritrovati. In mezzo a tan- ta rovina, tre oggetti rimangono a
testimoniare la grandezza del ceno- bio di S. Salvatore: alcuni
avanzi di un ambone di pietra, una statua di legno, e l’attuale
croce parrocchiale di Castelli». Celli si sofferma poi su questi
reperti, esprimendo per la Madonna di Castelli giudizi affini a
quelli che troviamo nella scheda firmata dal soprintendente Vené
(ASSA, faldone 292). «La Vergine seduta tiene sulle ginocchia il
Bam- bino; ha le mani aperte. Il Bambino e la Vergine hanno il capo
coronato. La testa rivela un certo studio per creare un tipo di
Madonna dolce nei lineamenti. L’insieme del grup- po rivela
scultura di tipo romanico. Le pieghe sono piuttosto rigide e dure.
In complesso trattasi di ope- ra d’arte di valore. Misure: altezza
m 1,54 (senza la base), larghezza nel fianco m 0,57. Non appaiono
tracce di restauri. Il braccio sinistro della Vergine è staccato,
così pure quello del Bambino. Manca il trono o sedile sul quale
deve appoggiare la Vergine. La testa, specialmente la pettinatura,
serba segni di policro- matura e doratura. Non vi è traccia di
iscrizioni, forse apposte nella base originaria, che non è
conservata. La scultura si presume opera della pri- ma metà del
secolo XIII». Giunto alla fine del capitolo dedica- to all’abbazia,
l’erudito reclama un unico premio per la sua fatica: «vor- rei che
le mie parole spingessero le superiori autorità a far iniziare
scavi e ricerche nel luogo ove il famoso cenobio sorse prosperò e
decadde. Il sottotempio, specialmente, rive- lerà di certo opere
belle e degne, le quali, mentre serviranno a porre in miglior luce
l’antica sapienza mo- nastica, contribuiranno ad accre- scere il
patrimonio artistico della
nostra diletta terra d’Abruzzo». Ciò effettivamente è avvenuto
perché la Soprintendenza archeologica dell’Abruzzo ha negli anni
Ottanta avviato una campagna di scavo, il cui esito non troppo
confortante forse giustifica la mancata divulga- zione dei
risultati.
Viceversa è con sentimenti di or- goglio che mi sento di introdurre
l’eccellente esito del restauro realiz- zato nell’ambito di
Restituzioni, il quale ha notevolmente migliorato la stabilità
della materia e la leggi- bilità della scultura. Attraverso un
accurato esame dell’inclinazione dei due elementi di cui si
compone, la Madonna e il Bambino, intagliati in blocchi distinti,
anche grazie all’au- torevole parere di Giorgio Bonsanti e ai
rilievi realizzati da Salvatore De Stefano, si è pervenuti alla
decisio- ne di rimuovere la tavoletta fissata sulle ginocchia della
Vergine Maria. Con ogni evidenza si trattava di un elemento spurio
aggiunto in tempi abbastanza recenti, forse in occa- sione della
realizzazione del trono di legno moderno sul quale era collocata la
scultura, reclusa in una gabbia dentro la chiesa. Lo rivela il tipo
di essenza, un legno di pioppo che si presentava molto degradato,
non comparabile al noce nel quale risultano intagliate le parti
originali. Inoltre tale strato s’avvantaggiava di una tecnica di
fissaggio, con tassel- li e colle, che si può far risalire al pieno
Novecento. L’aver recuperato quei pochi centimetri ha migliorato
moltissimo il rapporto dimensiona- le tra Madre e Figlio, evitando
che la corona sulla testa del Bambino precludesse del tutto la
visuale del collo e della camiciola plissettata che emerge sotto la
veste rossa con le ampie maniche a tromba della Madonna.
L’originaria eccellenza di questo capolavoro appare oggi con-
fortata dalla conoscenza dei pregiati e costosi pigmenti utilizzati
per la decorazione pittorica, l’orpimento e le lacche, ottenuta
grazie agli esa- mi diagnostici. In conclusione, alla luce degli
eventi occorsi all’abbazia di San Salvatore appena esaminati, per
la scultura
sembra verosimile ipotizzare una datazione più arretrata rispetto a
quella finora accreditata (verso il 1180), avvicinandola alla fase
aurea dell’intaglio ligneo in Abruzzo, tra il secondo e il terzo
decennio del XII secolo, già confortata da alcu- ne ben note
testimonianze, quali le due straordinarie porte oggi esposte nel
Museo dell’Arte Sacra del Ca- stello di Celano; l’una datata 1132
proviene da Santa Maria in Cellis, una dipendenza cassinese
prossima a Carsoli, l’altra egualmente in rap- porto con
l’entourage benedettino, dalla chiesa di San Pietro di Alba Fucens.
Un ulteriore precedente il- lustre è rappresentato dalla rara ico-
nostasi lignea della chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta
presso Rosciolo, appartenuta a un com- plesso donato dai conti dei
Marsi a Montecassino nella seconda metà del secolo XI (Curzi in
Antiche Ma- donne d’Abruzzo 2010, pp. 15-21). Tali committenze
artistiche coinci- dono con il pontificato di Pasquale II, negli
stessi anni in cui l’agiografia accredita, come ancora viventi e in
auge, ben due santi abruzzesi con lo stesso nome, Berardo. Entrambi
monaci benedettini e poi vescovi e appartenenti a nobili famiglie
di di- gnità comitale, furono egualmente legati alla devozione
mariana e impegnati per riportare pace e con- cordia tra le fazioni
che dividevano le comunità, dedicandosi a una profonda riforma del
clero. Di san Berardo vescovo di Teramo si narra che, colpito dalla
vita ascetica dei benedettini i quali vivevano nel mo- nastero di
San Salvatore in Castelli nei pressi di Pagliara, si monacò e fu
ordinato sacerdote nell’abbazia di Montecassino, trasferendosi poi
nel monastero benedettino di San Gio- vanni in Venere, dove era
stato abate Oderisio I, suo parente. Nei sei an- ni di episcopato,
dal 1116 al 1122, firmò sei atti giuridici, inseriti nel Cartulario
della Chiesa teramana. Di rilievo sono una compravendi- ta del 1116
effettuata dal fratello conte Rainaldo, e l’atto del 1122 in cui
Berardo dona, ai canonici della cattedrale, la chiesa di Santa
Maria a Mare con tutti i suoi beni,
a eccezione della metà delle offerte da destinare al suffragio dei
defun- ti, elargendo inoltre all’ospizio di San Flaviano a
beneficio dei poveri. Sepolto a Teramo nella Cattedrale di Santa
Maria Aprutiensis, venne santificato per i miracoli compiu- ti,
soprattutto come taumaturgo. Anche nella vita di san Berardo dei
Marsi, nato dal conte Berardo e da Teodosia nel 1079 a Colli di
Mon- te Bove nei pressi di Carsoli, non mancano elementi d
interesse ed espliciti rapporti con la comunità benedettina, al
tempo del pontifica- to di Pasquale II. Berardo dei Marsi soggiornò
a Montecassino, tra il 1099 e il 1102, e ottenne prestigiose
cariche ecclesiali da parte del ponte- fice: l’ordinazione prima a
sub dia- cono, l’incarico di governatore della provincia di
Campagna, la dignità cardinalizia a Roma e nel 1109 la nomina a
vescovo dei Marsi. Si fa risalire la scomparsa di questo nobi- le
santo abruzzese, imparentato con il celebre Leone Ostiense di cui
si è parlato, al 1130. Si sottolinea infine che un’anticipa- zione
della cronologia non inficia quanto già sottolineato dalla critica,
anzi rafforza i rapporti di questa ra- ra scultura con analoghe
esperienze d’oltralpe. Oltre al grande cantiere di Chartres
andrebbe comunque esaminata una relazione con l’Au- verge, la
storica regione nel cuore della Francia, dove egualmente si assiste
a un’eccezionale fioritura ar- tistica nel settore dell’intaglio
delle sculture lignee, proprio nella prima metà del XII
secolo.
Bibliografia Mariani 1930, p.n.n; Gabbrielli 1933, p. 123; Sgattoni
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Archivio Storico della Soprintendenza a L’Aquila (ASSA), faldone
292.
Bibliografia di riferimento
Archivi Archivio Storico Soprintendenza Aquila (ASSA), faldone 292,
1925. Archivio di Stato di Teramo (ASTe), In- tendenza Francese, b.
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Casinensis, auctore Leone cardinali episcopo Ostiensi, continuatore
Petro diacono eiusdem coenobii monachis, ex manu scriptis codicibus
summa cura, & fide, quarta hac editione, notis illustrata,
Paris 1668.
1832 ed. 1978-1981 N. Palma, Storia della città e diocesi di
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