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Newsletter di Dubbi(e)verità Numero 1 del mese di Dicembre 2008 Pag 1/4 Che genere di Cultura genera la cultura di Genere? E’ Natale: tempo di GIOCATTOLI Qualunque attività di gioco, ma in particolar modo il “gioco liberoè una attività fondamentale per l'apprendimento, considerato da Sigmud Freud la base per le prime grandi conquiste culturali e psicologiche infantili. E' il linguaggio con cui il bambino esprime se stesso nonché un mezzo con cui può comunicare. Ed è anche, secondo Winnicott, il ponte di passaggio dalla dipendenza all’autonomia e il mezzo che permette l’instaurazione di soddisfacenti rapporti affettivi con altre persone sostitutive della figura materna. Un genitore cosciente ed attento a non minare le potenzialità di suo figlio e di sua figlia dovrebbe intervenire con grande senso di responsabilità nella scelta del giocattolo da regalar loro in modo tale da non minarne la libertà individuale, ed anzi in modo da costruire per loro una capacità di “essere liberi” che è in antitesi con l'assoggettamento agli stereotipi precostituiti. “Per diventare un membro competente della comunità sociale in cui vive, il bambino deve riconoscersi come appartenente a un determinato sesso (identità sessuale) e deve inoltre imparare a produrre i comportamenti appropriati al suo sesso, ovvero quei comportamenti che la società e la cultura caratterizzano come costitutivi dei ruoli rispettivamente maschile e femminile”. Con questa frase Luigia Camaioni inizia il paragrafo “Maschio/femmina: identità sessuale e ruoli sessuali” del testo di Istituzioni di Psicologia “La prima infanzia”. Salta subito all'occhio, nell'introduzione alla materia fatta da Camaioni, il ruolo determinante dell'apprendimento, funzione di un processo che il bambino acquisisce attraverso l'esperienza dell'inserimento in un gruppo, in una società che determina le sue risposte. Le formulazioni e le ipotesi di ricerca sulle quali si sono basati i ricercatori per lungo tempo miravano a “scoprire” le differenze più che le similitudini tra i due sessi ed è proprio da questo atteggiamento del ricercatore che si è sviluppata una branca a sé stante: la psicologia differenziale, assolutamente descrittiva di quanto veniva osservato ma minata da un limite concettuale di fondo: l'incapacità di raggiungere la radice della differenza, di scoprirne le motivazioni e dunque il significato. Nel momento in cui la scienza psicologica ha cambiato il suo metodo d'indagine, scrollandosi essa stessa il “preconcetto” secondo cui le differenze tra individui di sesso diverso costituivano un dato oggettivo, si è scoperto che in realtà tali differenze erano in massima parte generate dall'aspettativa del ricercatore e, appunto, dall'apprendimento di ruoli da parte del bambino. Maccoby e Jacklin già nel 1974 pubblicavano un manuale in cui analizzavano i risultati di circa 1600 ricerche concludendo che “l'evidenza empirica fornita dalle ricerche è assai incerta ed ambigua” Secondo quanto le due autrici riscontravano vi sono una serie di credenze sbagliate circa le differenze sessuali: 1. che le bambine sono più “sociali” dei bambini 2. che le bambine sono “più suggestionabili” dei bambini 3. che le bambine hanno “meno fiducia in se stesse4. che le bambine sono più influenzate dall'ereditarietà” e i bambini dall'ambiente 5. che le bambine sono meno motivate nella realizzazione di sé” e al “successo”. Gli unici risultati apprezzabili in termini statistici della ricerca del '74 rispetto alle differenze individuali furono: 1. le bambine sono superiori nella capacità verbale 2. i bambini sono superiori nella capacità visivo-spaziale e nella capacità matematica 3. i bambini sono più aggressivi Per spiegare la distanza dei risultati della ricerca rispetto alla credenza comune le autrici utilizzarono una semplice dichiarazione che mantiene ancora una attualità, da certi punti di vista,

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Newsletter di Dubbi(e)verità Numero 1 del mese di Dicembre 2008

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Che genere di Cultura genera la cultura di Genere?

E’ Natale: tempo di GIOCATTOLI

Qualunque attività di gioco, ma in particolar modo il “gioco libero” è una attività fondamentale per l'apprendimento, considerato da Sigmud Freud la base per le prime grandi conquiste culturali e psicologiche infantili. E' il linguaggio con cui il bambino esprime se stesso nonché un mezzo con cui può comunicare. Ed è anche, secondo Winnicott, il ponte di passaggio dalla dipendenza all’autonomia e il mezzo che permette l’instaurazione di soddisfacenti rapporti affettivi con altre persone sostitutive della figura materna. Un genitore cosciente ed attento a non minare le potenzialità di suo figlio e di sua figlia dovrebbe intervenire con grande senso di responsabilità nella scelta del giocattolo da regalar loro in modo tale da non minarne la libertà individuale, ed anzi in modo da costruire per loro una capacità di “essere liberi” che è in antitesi con l'assoggettamento agli stereotipi precostituiti. “Per diventare un membro competente della comunità sociale in cui vive, il bambino deve riconoscersi come appartenente a un determinato sesso (identità sessuale) e deve inoltre imparare a produrre i comportamenti appropriati al suo sesso, ovvero quei comportamenti che la società e la cultura caratterizzano come costitutivi dei ruoli rispettivamente maschile e femminile”. Con questa frase Luigia Camaioni inizia il paragrafo “Maschio/femmina: identità sessuale e ruoli sessuali” del testo di Istituzioni di Psicologia “La prima infanzia”.

Salta subito all'occhio, nell'introduzione alla materia fatta da Camaioni, il ruolo determinante dell'apprendimento, funzione di un processo che il bambino acquisisce attraverso l'esperienza dell'inserimento in un gruppo, in una società che determina le sue risposte. Le formulazioni e le ipotesi di ricerca sulle quali si sono basati i ricercatori per lungo tempo miravano a “scoprire” le differenze più che le similitudini tra i due sessi ed è proprio da questo atteggiamento del ricercatore che si è sviluppata una branca a sé stante: la psicologia differenziale, assolutamente descrittiva di quanto veniva osservato ma minata da un limite concettuale di fondo: l'incapacità di raggiungere la radice della differenza, di scoprirne le motivazioni e dunque il significato. Nel momento in cui la scienza psicologica ha cambiato il

suo metodo d'indagine, scrollandosi essa stessa il “preconcetto” secondo cui le differenze tra individui di sesso diverso costituivano un dato oggettivo, si è scoperto che in realtà tali differenze erano in massima parte generate dall'aspettativa del ricercatore e, appunto, dall'apprendimento di ruoli da parte del bambino. Maccoby e Jacklin già nel 1974 pubblicavano un manuale in cui analizzavano i risultati di circa 1600 ricerche concludendo che “l'evidenza empirica fornita dalle ricerche è assai incerta ed ambigua” Secondo quanto le due autrici riscontravano vi sono una serie di credenze sbagliate circa le differenze sessuali: 1. che le bambine sono più “sociali” dei bambini 2. che le bambine sono “più suggestionabili” dei bambini 3. che le bambine hanno “meno fiducia in se stesse”

4. che le bambine sono “più influenzate dall'ereditarietà” e i bambini dall'ambiente 5. che le bambine sono meno motivate nella “realizzazione di sé” e al “successo”. Gli unici risultati apprezzabili in termini statistici della ricerca del '74 rispetto alle differenze individuali furono: 1. le bambine sono superiori nella capacità verbale 2. i bambini sono superiori nella capacità visivo-spaziale e nella capacità matematica 3. i bambini sono più aggressivi

Per spiegare la distanza dei risultati della ricerca rispetto alla credenza comune le

autrici utilizzarono una semplice dichiarazione che mantiene ancora una attualità, da certi punti di vista,

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sconcertante: “la credenza comune è ampiamente basata sugli stereotipi, i quali rappresentano a loro volta ciò che la gente vuole o si aspetta che sia, che non corrisponde necessariamente a ciò che è in realtà”. Subito dopo, nel 1976 Fairwather e nel 1978 Macualay, effettuando altre ricerche nello stesso settore, si pronunciarono per la ininfluenza delle differenze cognitive e linguistiche riscontrate tra i due sessi, dichiarando che “l'unica posizione sostenibile è che non vi è nessuna differenza significativa tra i sessi nella capacità linguistica” [Macualay 1978 p.361]. Nessuna delle ricerche successive ha messo in dubbio la “indifferenziazione” cognitiva di bambine e bambini, ma, stando all'evidenza, la società continua a mantenere un atteggiamento diversificato nel rapporto con i bambini e le bambine, tanto da rinforzare con ogni mezzo lo stereotipo contro il quale si esprimevano Maccoby e Jacklin 30 anni fa! La scelta dei giocattoli e degli stili di gioco proposti dagli adulti ai due sessi è caratterizzato, come riscontrabile sfogliando un qualsiasi catalogo di giochi per bambini o entrando in un qualunque negozio di giocattoli, da una fortissima “stereotipizzazione” e spesso la bambina o il bambino che non si assoggettano al ruolo proposto sono considerati in alcuni casi negativamente “problematici” oppure, quando la differenza si giudica positivamente “fuori dall'ordinario”, in nessun caso “normali”. (Per approfondimenti www.dubbieverita.wordpress.com) Perchè un tale “accanimento”? Perchè non prendere atto dei dati scientifici emersi dalle ricerche? Perchè ostinarsi in una differenziazione “fittizia” dei due sessi tanto da determinarne la “reale” differenza nei comportamenti quando, di base, i due sessi nascerebbero uguali per competenze e possibilità? Molte autrici, prima fra tutte in Italia Elena Gianini Belotti con “Dalla parte delle bambine”, hanno messo in guardia generazioni di future madri sui danni prodotti alle figlie anche solo dalla semplice scelta dei giochi, danni che vanno dalla diminuzione della sicurezza in se stesse, alla sottomissione, al non appagamento ed alla rimozione di desideri personali. Ma per 30 anni gli stereotipi non hanno ceduto di una virgola il passo alla ragione e così, Loredana Lipperini, proseguendo e attualizzando quella indagine dei primi anni '70, ha praticamente confermato la loro presenza e il condizionamento generato da parte dei media tanto su bambine e bambini quanto sui loro genitori... cambiano i giocattoli destinati a femmine e maschi, ma non cambiano i ruoli: il maschio attivo e produttivo, la femmina remissiva passiva ma oggi anche sexy (l'unica conquista di un ruolo attivo della bambina sembra essere quello di “adescatrice” o, se si vuole essere meno permalosi “seduttrice”) “Ma ci sono segnali di reazione che tracciano la possibilità di una produzione culturale capace di sottrarsi a imposizioni avvilenti, capace di lavorare a un immaginario diverso” scrive Lipperini nella recensione del suo libro (http://www.booksblog.it/post/3418/loredana-lipperini-ancora-dalla-parte-delle-bambine), e noi vogliamo prendere sul serio questa affermazione e contribuire a tracciare quelle possibilità.

Quello affianco è l’elenco dei giocattoli più venduti sotto la categoria “Giocattoli per Bambina” sul sito http://www.ilgiocattolo.it/ segue un elenco di giocattoli etichettati come per bambini e per bambine e poi spazio alle immagini (notare la presenza accessoria delle bambine accanto al guidatore sulle automobiline elettriche)

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Invitiamo tutti a prestare particolare attenzione alle immagini con auto, cucine, alla parola “magia” e sinonimi, alle parole “bellezza e fascino”, alla parola “mamma” e alle immagini che la raffigurano. Saranno tutte oggetto di ulteriori, insoliti, approfondimenti.

Figura 2 Cucina completa

Figura 6 Bratz Camminante con Cucciolo

Figura 1 Beauty trolley 160 accessori per la tua bellezza

Figura 4 Gru filoguidata

Figura 3 Batman

Figura 5 Trolley vileda mocio

Figura 7 Winx cuore MAGIC tech Figura 8 Jeep rossa

COME LA MAMMA?

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E qualcuno sa spiegare perché l'essere fortunato, oltre a essere maschio, significhi avere "una mamma che vuole fare la mamma" e non piuttosto una mamma che, madre per natura almeno quanto il padre, voglia poi cambiare il mondo, scoprire la cura per l'AIDS, o diventare una scrittrice di fama internazionale? Psssss … sarà il leopardo che fa tanto giungla a ispirare simili moderne visioni?

Qualcuno ha notato questa frase? Qualcuno ricorda lontani paesi in cui l'avere figlie femmine fosse, e forse è ancora, una disgrazia?

Arte e dintorni, al femminile.

Susanna e i Vecchioni, 1610, collezione Schönborn, Pommersfelden

Artemisia Gentileschi (Roma 1593 - Napoli 1652/53) è una delle poche protagoniste femminili della Storia dell'arte europea. Artemisia che visse e operò in un’epoca in cui la carriera artistica, come anche le altre, erano pressoché impraticabili alle donne, costrette in un uno strettissimo sistema patriarcale. Potremmo conoscere tutti il suo coraggio, che arrivò fino ad accettare di deporre sotto tortura, nel tentativo di denunciare Agostino Tassi, il suo stupratore, e quindi di averlo fatto passare alla storia, non tanto per la sua arte, anch’egli pittore, ma per averlo ritratto, stupratore, in una delle sue opere più famose: “Susanna e i vecchioni”. L’opera a fianco raffigura un episodio del Libro di Daniele in cui

la casta Susanna, sorpresa al bagno da due anziani signori che frequentavano la casa del marito, è sottoposta a ricatto sessuale: o acconsentirà di sottostare ai loro appetiti o i due diranno al marito di averla sorpresa con un giovane amante. Susanna accetta l'umiliazione di una ingiusta accusa, sarà Daniele a smascherare la menzogna dei due laidi anziani. Il processo contro Agostino Tassi, colpevole anche di mantenere una relazione con la sorella della moglie, cosa all'epoca considerata incestuosa, si concluse solo con una lieve condanna. Il volto di Agostino Tassi sarebbe identificabile in uno dei due "vecchioni”, quello caratterizzato dalla folta chioma scura.

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