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9 PSICOPATOLOGIA DELLE FUNZIONI COGNITIVE 1.@CH09 2.@CH09 GENERALITÀ L’esperienza clinica dimostra quanto sia artificiale separare il cosiddetto stato affettivo dalle fun- zioni cognitive, dato che perturbazioni in un ambito finiscono, d’abitudine, per influire sull’altro: in questo modo, gravi alterazioni affettive si accompagnano sempre, a lungo andare, ad altera- zioni cognitive. Parimenti, è eccezionale che l’insufficienza mentale o un disturbo specifico non siano complicati da una qualche difficoltà affettiva, ancora più rilevante in virtù delle numerose conseguenze sul piano scolastico e familiare. Pertanto, sarebbe non solo riduttivo ma anche scorretto contrapporre una funzione intellettiva e una certa funzione affettiva, che si svilupperebbero in modo quasi meccanico, senza consape- volezza l’una dell’altra. Al fine di comprendere la loro maturazione ed evoluzione, è necessaria una dialettica di scambi reciproci. Tuttavia, la chiarezza didattica richiede questa separazione che la realtà clinica in parte giu- stifica: se è evidente, come abbiamo appena detto, che un reciproco influenzamento esiste tra l’ambito cognitivo e l’ambito affettivo, è anche evidente che alcuni bambini presentano una difficoltà cognitiva elettiva. In questo capitolo, prima di affrontare gli aspetti clinici dei deficit intellettivi e della precocità intellettiva, è necessario definire queste funzioni cognitive, termine che si preferisce a quello di “intelligenza”, e illustrare brevemente le tecniche di indagine. Da un punto di vista storico, è opportuno ricordare, in Francia, i nomi di Binet, promotore del primo test intellettivo; di Piaget, il quale ha ben dimostrato come non ci si potesse limitare a un semplice studio quantitativo dell’intelligenza (il livello delle performance valutato dal QI), ma come uno studio qualitativo, che comprendesse le modalità del ragionamento e il tipo della struttura logica di base, fosse indispensabile; di Zazzo o Misès, i quali si sono augurati di vedere integrati nella nozione di intelligenza non solo l’efficienza scolastica, ma anche valori quali quelli della capacità di integrazione sociale o di comprensione delle relazioni interindividuali. Questi diversi approcci alle funzioni cognitive spiegano la molteplicità e la varietà dei “test” atti a darne una valutazione. Dopo i lavori di Binet, numerosi autori hanno così proposto tecniche di valutazione che, sche- maticamente, si possono suddividere in due tipi: O O il metodo psicometrico tratto dai lavori di Binet; O O il metodo clinico tratto dai lavori di Piaget. Più di recente, infine, lo sviluppo della psicologia cognitiva e della neuropsicologia ha consenti- to di mettere a punto nuovi test più mirati. 3.@CH09 4.@CH09 5.@CH09 6.@CH09 7.@CH09 8.@CH09 9.@CH09 10.@CH09 11.@CH09 12.@CH09 13.@CH09 14.@CH09

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9PsicoPatologia

delle funzioni cognitive

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Generalità

L’esperienza clinica dimostra quanto sia artificiale separare il cosiddetto stato affettivo dalle fun-zioni cognitive, dato che perturbazioni in un ambito finiscono, d’abitudine, per influire sull’altro: in questo modo, gravi alterazioni affettive si accompagnano sempre, a lungo andare, ad altera-zioni cognitive. Parimenti, è eccezionale che l’insufficienza mentale o un disturbo specifico non siano complicati da una qualche difficoltà affettiva, ancora più rilevante in virtù delle numerose conseguenze sul piano scolastico e familiare. Pertanto, sarebbe non solo riduttivo ma anche scorretto contrapporre una funzione intellettiva e una certa funzione affettiva, che si svilupperebbero in modo quasi meccanico, senza consape-volezza l’una dell’altra. Al fine di comprendere la loro maturazione ed evoluzione, è necessaria una dialettica di scambi reciproci.Tuttavia, la chiarezza didattica richiede questa separazione che la realtà clinica in parte giu-stifica: se è evidente, come abbiamo appena detto, che un reciproco influenzamento esiste tra l’ambito cognitivo e l’ambito affettivo, è anche evidente che alcuni bambini presentano una difficoltà cognitiva elettiva. In questo capitolo, prima di affrontare gli aspetti clinici dei deficit intellettivi e della precocità intellettiva, è necessario definire queste funzioni cognitive, termine che si preferisce a quello di “intelligenza”, e illustrare brevemente le tecniche di indagine.Da un punto di vista storico, è opportuno ricordare, in Francia, i nomi di Binet, promotore del primo test intellettivo; di Piaget, il quale ha ben dimostrato come non ci si potesse limitare a un semplice studio quantitativo dell’intelligenza (il livello delle performance valutato dal QI), ma come uno studio qualitativo, che comprendesse le modalità del ragionamento e il tipo della struttura logica di base, fosse indispensabile; di Zazzo o Misès, i quali si sono augurati di vedere integrati nella nozione di intelligenza non solo l’efficienza scolastica, ma anche valori quali quelli della capacità di integrazione sociale o di comprensione delle relazioni interindividuali.Questi diversi approcci alle funzioni cognitive spiegano la molteplicità e la varietà dei “test” atti a darne una valutazione. Dopo i lavori di Binet, numerosi autori hanno così proposto tecniche di valutazione che, sche-maticamente, si possono suddividere in due tipi:

OO il metodo psicometrico tratto dai lavori di Binet;OO il metodo clinico tratto dai lavori di Piaget.

Più di recente, infine, lo sviluppo della psicologia cognitiva e della neuropsicologia ha consenti-to di mettere a punto nuovi test più mirati.

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Valutazione delle funzioni coGnitiVe intellettiVe

test PeR bambini in età scolaRe

cenni storici sul test di binet-simon

Alla richiesta del Ministro della Pubblica Istruzione e per elaborare lo statuto degli “insufficienti mentali” all’interno di una scolarità divenuta poco alla volta obbligatoria, Alfred Binet propone nel 1905 una “scala metrica dell’intelligenza”, antenata di tutti i successivi test di valutazione. Parecchie volte completata, questa scala, che sarà poi conosciuta con il nome di “test di Binet-Simon”, introduce due novità:

OO la possibilità di collocare i bambini patologici in una gerarchia “numerica” dell’insufficienza mentale;OO la possibilità di riconoscere fin dall’inizio della scolarizzazione alcune insufficienze mentali

che, fino all’entrata nella scuola, erano passate inosservate.

Qualunque siano state le successive critiche fatte a questo test e a quelli seguenti, è inconte-stabile che esso abbia dato agli educatori e ai pedagoghi uno strumento di misurazione degno di fede e ciò ne determinò il successo anche prima che ci si interrogasse sulla natura di ciò che veniva misurato. Più tardi, vari test sono stati approntati con un doppio scopo: per gli uni si trattava, nella stessa prospettiva del test di Binet-Simon, di affinare la valutazione sia per una fascia di età, sia per una particolare attitudine; per gli altri, si trattava di accostarsi alla natura dei processi intellettivi (Piaget). Ritroviamo quindi la distinzione tra i test psicometrici e le prove cliniche.Precisiamo che, in questo paragrafo, faremo un breve panorama dei test di cui daremo le carat-teristiche essenziali, gli ambiti di validità e i limiti. Non esamineremo in dettaglio questi test, né la loro tecnica di somministrazione, che si potranno trovare nei manuali specializzati. La Tabella 9.1 presenta in sintesi i test impiegati più spesso (Mayer et al., 2007).La nuova scala metrica dell’intelligenza (NSMI) di Zazzo rappresenta la versione francese più recente del test di Binet-Simon. Essa comprende diverse prove senza preoccuparsi delle funzio-ni intellettuali alle quali fanno appello. La versione più recente (NSMI-2) è stata verificata su 837 bambini normali, di età compresa tra 4 anni e mezzo e 12 anni. Comprende quattro prove obbligatorie (conoscenza, somiglianze, matrici analogiche e vocabolario), che consentono di calcolare l’efficienza intellettiva, e tre prove facoltative (adattamento sociale, ripetizione di cifre e copia di figure al di sotto dei 9 anni, oppure conteggio di cubi al di sopra dei 9 anni). La scala consente di calcolare un quoziente intellettivo ricavato dal rapporto fra età mentale (EM) ed età reale (ER), moltiplicato per 100:

QI =Età Mentale (EM)

× 100Età Cronologica (EC)

In questo tipo di test, il QI rappresenta quindi un quoziente di età che traduce il grado di ritardo o avanzamento dello sviluppo intellettivo del bambino rispetto al proprio gruppo di età. Ad esempio, un bambino di 8 anni avrà un’età mentale di 8 anni se riesce nelle prove normalmente superate dalla maggior parte dei bambini di 8 anni.Nonostante questa scala non sia molto recente, esiste tuttora un’ottima correlazione fra l’indica-zione numerica del QI che consente di ottenere e il rendimento scolastico.I test di efficienza utilizzati più spesso ai giorni nostri sui bambini si basano, come il test di Binet-Simon, su un approccio globale dell’intelligenza, che viene valutata in base alla somma delle performance ottenute nelle diverse situazioni proposte dal test.

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Tabella 9.1 Principali test cognitivi per la valutazione dell’intelligenza, delle funzioni cognitive generali e dello sviluppo delle capacità di adattamento e socializzazione.

Nome dello strumento Caratteristiche principali Indicazioni principali

Test che propongono un quoziente intellettivo

Wechsler Intelligence Scale for the Preschool Period (WPSSI)

Applicabile da 2 anni e 11 mesi a 7 anni e 3 mesiCalcola un QI verbale, un QI di performance e un QI globale

Insufficienza mentale (limite inferiore)Disarmonia cognitiva (profilo interno disarmonico)Precocità intellettiva (limite superiore)

Wechsler Intelligence Scale for Children (WISC-IV)

Applicabile da 6 anni fino a 16 anni e 11 mesiCalcola un QI globale e 4 indici: comprensione verbale, ragionamento percettivo, memoria di lavoro e velocità di elaborazione

Insufficienza mentale (limite inferiore)Disarmonia cognitiva (profilo interno disarmonico)Precocità intellettiva (limite superiore)

Nuova scala metrica dell’intelligenza-2 (NSMI-2)

Applicabile da 4 anni e 6 mesi a 12 anniCalcola un QI in base al rapporto tra età mentale ed età reale

Insuccesso scolastico

Test rivolti ai bambini in età prescolare

Scale Bayley (II) Applicabili da 1 a 42 mesiCalcolano un punteggio di sviluppo mentale e motorio

Insufficienza mentaleRitardi dello sviluppo

Scale Griffiths Applicabili da 1 mese a 8 anniCalcolano sei punteggi di sviluppo per la motricità, il linguaggio, l’adattamento sociale, la coordinazione oculomanuale, le performance generali e il ragionamento

Insufficienza mentaleRitardi dello sviluppo

Test di Brunet-Lézine Applicabile da 6 anni a 16 anni e 11 mesiCalcola un’età e un quoziente di sviluppo

Insufficienza mentaleRitardi dello sviluppo

Test volti a valutare i comportamenti adattivi

Scala differenziale di efficienza intellettiva (SDEI)

Applicabile da 4 a 9 anniCalcola un’età di sviluppo e diversi livelli di efficienza per diversi settori

Insufficienza mentale media, severa e profonda

Scale Vineland Applicabili dal primo anno di vita fino ai 19 anniCalcolano un’età di sviluppo per quattro ambiti: motricità, adattamento alla vita quotidiana, socializzazione e comunicazione

Insufficienza mentale media, severa e profonda

Scala di sviluppo psicosociale (SPS)

Applicabile da 5 a 12 anniCalcola un livello globale di sviluppo psicosociale

Insufficienza mentale media, severa e profonda

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scale di misurazione dell’intelligenza di Wechsler

Le scale Wechsler (Wechsler Intelligence Scale for the Preschool Period, WPPSI, per i bambini di età compresa fra 4 e 6 anni e Wechsler Intelligence Scale for Children, WISC-IV, per i bambini di età compresa fra 6 e 16 anni) sono le più utilizzate in Francia, come nei Paesi anglosassoni. I punteggi ottenuti per ciascun subtest vengono convertiti in punteggi standard grazie al confronto fra i risultati ottenuti dal bambino e quelli della popolazione coetanea di riferimento (la verifica è stata realizzata per fasce di età di 3 mesi). Questi test sono costruiti in modo tale che la valutazio-ne dei risultati ottenuti da un bambino dia la dispersione, sotto forma di deviazione standard, che separa questo bambino dalla media della sua età. L’età di riferimento non è dunque diacronica (dispersione confrontata con l’età di sviluppo), ma sincronica (dispersione confrontata con una media relativa al gruppo di età).Successivamente, questi punteggi vengono sommati per calcolare un quoziente intellettivo. Il QI presenta una ripartizione gaussiana, nella quale la media è pari a 100 e la deviazione standard è pari a 15. Oltre le due deviazioni standard (QI>130), l’intelligenza del soggetto viene considerata supe-riore, mentre al di sotto di due deviazioni standard (QI<70) si parla di insufficienza mentale. Le variazioni dell’intervallo di normalità sono comprese fra questi due estremi.Le scale Wechsler propongono test compositi che consentono non solo di valutare il funziona-mento intellettivo globale (QIG), ma anche (e soprattutto) di analizzare accuratamente la fluidità del ragionamento. Si prenda ad esempio la scala WISC-IV, la versione rivista più recente della scala dell’intelligenza Wechsler per bambini. I punteggi ottenuti nei diversi subtest non consen-tono più di calcolare due soli QI, verbale (QIV) e di performance (QIP), come nella terza ver-sione della scala (WISC-III), ma di ottenere ben 4 indici: indice di comprensione verbale (ICV), indice di ragionamento percettivo (IRP), indice di memoria di lavoro (IML) e indice di velocità di elaborazione (IVE). L’ICV permette di analizzare le capacità verbali mediante tre subtest principali (somiglianze, vocabolario, comprensione) e due subtest supplementari (informazione e ragionamento con le parole). L’IRP consente di valutare il ragionamento e l’organizzazione percettiva attraverso tre subtest principali (disegno di cubi, identificazione di concetti, matrici) e un subtest supplemen-tare (completamento di figure). L’IMT consente di valutare le capacità di attenzione, concen-trazione e memoria di lavoro a partire da due subtest principali (memoria di cifre e sequenze di lettere-numeri) e un subtest supplementare (aritmetica). L’IVE, infine, consente di valutare la velocità di elaborazione delle informazioni a livello intellettivo e grafomotorio tramite due subtest principali (codici e simboli) e un subtest supplementare (cancellazione). La somma dei punteggi ottenuti per ogni indice determina un QI totale. Questa recente versione presenta un interesse particolare, poiché gli indici consentono di descrivere con grande accu-ratezza le capacità del bambino. All’atto pratico, la discriminante non è più la contrapposizione tra livello verbale e livello di performance, bensì la valutazione dei diversi ambiti di competenza, che consente di definire un profilo di efficienza, dei punti di forza e dei punti deboli del bambino. In Francia, la verifica è stata effettuata su 1.100 bambini di età compresa tra 6 anni e 16 anni e 11 mesi.Queste scale, inoltre, offrono un’accurata lettura clinica in virtù della loro notevole sensibilità alle variazioni individuali e alle diverse organizzazioni psicopatologiche. Per questo motivo, la valutazione quantitativa deve sempre accompagnarsi a una dettagliata interpretazione dei pun-teggi dei singoli subtest, tenendo in considerazione l’omogeneità o l’eterogeneità relativa in funzione del contesto clinico.

casi PaRticolaRi di bambini Piccoli in età PRescolaRe e lattanti

L’assenza di un sufficiente linguaggio prima dei 3-4 anni rappresenta un limite che permette di separare i test preverbali, basati essenzialmente sullo studio dello sviluppo psicomotorio, dai test in cui interviene ampiamente il linguaggio all’epoca della seconda infanzia.

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test preverbali di sviluppo psicomotorio

I test di Gesell, di Brunet-Lézine e di Casati-Lézine valutano una serie di performance motorie calibrate per ogni età. A ogni serie può essere attribuita non solo un’epoca di sviluppo, ma anche un quoziente di sviluppo (QS), rapporto tra età di sviluppo ed età reale.Se questi “baby-test”, come sono stati chiamati, permettono di collocare lo sviluppo psicomoto-rio di un lattante o di un bambino piccolo rispetto a una media, non costituiscono in nessuna ma-niera un equivalente del quoziente intellettivo (QI). In effetti, esiste solo una debole correlazione tra il QS della prima infanzia e il QI dell’adolescenza dello stesso bambino. L’ultima versione di Brunet-Lézine può essere proposta dai primi mesi fino ai 5 anni.

scale di sviluppo

Le scale Bayley (la versione attuale è la BSID-II) sono una serie di misurazioni standardizzate originariamente sviluppate dalla psicologa Nancy Bayley per la valutazione del comportamen-to motorio (fine e globale), linguistico (ricettivo ed espressivo) e cognitivo dei bambini molto piccoli, in quanto calibrate per l’uso da 1 a 42 mesi. Queste scale valutano un centinaio di item e sono costituite da una serie di prove di sviluppo, testate dall’esaminatore durante il gioco con il bambino. La somministrazione di queste scale dura 45-60 minuti. I punteggi grezzi vengono convertiti in punteggi della scala e in sottopunteggi compositi, che vengono utilizzati per valuta-re le performance del bambino rispetto ad altri bambini di pari età (espressa in mesi).Le scale Griffiths (Huntley, 1966), o Griffiths mental development scales from birth, sono una serie di misurazioni standardizzate realizzate per valutare lo sviluppo dal momento della nascita fino agli 8 anni di età. Esistono in realtà due diversi test, in funzione dell’età. Il primo, rivolto ai bambini molto piccoli, di età compresa tra 0 e 2 anni, comprende lo studio di cinque ambiti: mo-tricità, adattamento sociale, linguaggio, coordinazione oculomanuale e performance; il secondo, rivolto ai bambini più grandi (2-8 anni), prevede la valutazione non solo degli ambiti precedenti, ma anche del ragionamento.

test sulle caPacità di socializzazione e adattamento

Numerosi autori si sono preoccupati di far intervenire non solo le capacità intellettive in termini di performance individuale, ma anche ciò che si potrebbe definire una “competenza sociale” caratterizzata sia dalla capacità di autonomia delle principali condotte socializzate sia dalla qua-lità dei fattori relazionali, specie di maturità sociale. Queste ricerche originano dalla frequente constatazione clinica di una disomogeneità tra un livello intellettivo come viene definito dai test classici e una soddisfacente capacità di inserimento sociale, almeno in alcuni bambini insuf-ficienti mentali. Nei bambini con insufficienza mentale media e severa, inoltre, le capacità di autonomizzazione e socializzazione saranno determinanti per valutare le esigenze in termini di supporto da parte delle istituzioni scolastiche per l’inserimento del soggetto. Questa prospettiva più recente è sbocciata negli anni Sessanta sia in Francia, con Zazzo, Misès, Perron-Borelli, sia nei Paesi anglosassoni, con Nihira e Sparrow, per citare solo gli autori più conosciuti.

scale vineland dei comportamenti adattivi

Questa scala, stabilita da Edgar Doll, comparve per la prima volta nel 1935. Le revisioni succes-sive furono sviluppate dall’équipe di Sara Sparrow. Le scale Vineland dei comportamenti adatti-vi sono fra le più utilizzate. Ne esistono diverse versioni, composte da 200, 300 o 500 domande rivolte ai genitori del bambino. A seconda del numero di item, il questionario viene compilato in 30-60 minuti. Queste scale sono applicabili dal primo anno di vita fino ai 19 anni di età e consen-tono di definire un’età di sviluppo in quattro ambiti: motricità, adattamento alla vita quotidiana, socievolezza e comunicazione. Esiste anche un ambito facoltativo per i comportamenti devianti (Sparrow et al., 2005).

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scala di sviluppo psicosociale (sPs)

Questa scala comprende tre parti che permettono di definire un livello globale di SPS, ma anche un profilo di sviluppo: acquisizione dell’autodeterminazione, ossia la capacità di bastare a se stessi (pasto, toilette, abbigliamento, compiti, spostamenti, uscite); evoluzione degli interessi (interesse per i libri, la vita sociale: sport, attività culturali, ecc.); infine, le relazioni interindividuali (relazioni con i genitori, con gli altri bambini). È stata calibrata per i bambini normali tra i 5 e i 12 anni.

scale differenziali di efficienza intellettiva (sdei)

Queste scale hanno lo scopo di analizzare l’efficienza intellettiva globale in base a diversi ambiti di acquisizione e di funzionamento, per definire dei “profili di efficienza”. Le scale differenziali di efficienza intellettiva (SDEI) di Misès e Perron-Borelli rispondono alla necessità di creare un test che permettesse una più fine discriminazione nelle zone dell’insufficienza mentale profonda e severa. L’insieme delle SDEI si compone di cinque scale: conoscenze – comprensione sociale – concettualizzazione – analisi categoriale – adattamento concreto, e di due scale complemen-tari di vocabolario: denominazione di figure – definizione. Le prime tre scale sono costituite da prove verbali, le due successive da prove non verbali. Questo test è stato calibrato per una popolazione di ragazze tra gli 8 e gli 11 anni. I risultati sono espressi in età mentale (EM) e in quoziente di sviluppo (QS) sia globale, sia per ogni scala.

Riflessioni sul quoziente intellettivo

Principi di utilizzazione

È inutile tornare troppo a lungo sulle numerose discussioni che il QI ha suscitato. Intendiamo ora illustrare soltanto i principi di una corretta utilizzazione del QI e dei suoi limiti. Innanzitutto, il QI deve essere valutato in funzione del contesto clinico, dato che una valutazione ottimale richiede un buon rapporto tra il soggetto e le condizioni della somministrazione: così, il test effettuato durante un episodio di delirio acuto o nel primo giorno del ricovero o durante una situazione angosciante (brutale separazione dai genitori, situazione di stress rinforzata dalle ca-ratteristiche dell’esame) darà dei risultati mozzi e, in parte, falsi. Effettivamente, non è raro che uno scarto di 10, 15 o più punti per uno stesso test separi le somministrazioni effettuate l’una in cattive condizioni, l’altra in condizioni migliori.Non esistono QI assoluti ma, come abbiamo dimostrato, ogni QI deve essere rapportato a un test preciso e collegato alle condizioni di calibrazione e alla definizione che gli sono proprie: QI che traduce un quoziente di età (Binet-Simon, Terman-Merill) o QI testimone della dispersione (WISC, WISPP). Si nota una grande variabilità da un test all’altro, non solo tra “QI di età” e “QI standard”, ma anche tra QI di diverse età. La correlazione tra tutti questi test è dunque lontana dall’essere sempre soddisfacente.

stabilità diacronica del qi

All’inizio della psicometria, questo QI fu, a torto, interpretato come riflesso di una capacità in-tellettiva, quasi una misura fisiologica dell’attività cerebrale. Binet stesso aveva ipotizzato una costanza del QI negli insufficienti mentali: si arrivò, negli anni Venti, a considerare il QI come testimone di una capacità intellettiva congenita immutabile. In seguito, il QI è stato ricondotto a una valutazione più corretta. Effettivamente, il QI di età valuta soprattutto l’avanzamento o il ritardo di un ritmo di crescita e poco la potenzialità assoluta. Dunque, il ritmo di crescita è emi-nentemente variabile da un bambino all’altro e, in uno stesso bambino, da un periodo a un altro, senza necessariamente pregiudicare il risultato finale. Zazzo ha giustamente fatto le seguenti osservazioni: su un piano statistico medio «il QI normale è costante, non per esperienza, ma per definizione o, per dire la stessa cosa, per costruzione». All’opposto, per un bambino particolare «il QI non è costante per definizione, solo l’esperienza può rispondere» (Perron-Borelli). Gli

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studi catamnestici hanno ben dimostrato questa variabilità relativa del QI per uno stesso bam-bino. Infine, per ogni test, si nota una variabilità del valore della deviazione standard (DS) in funzione dell’età, cosicché, a parità di QI, la ripartizione statistica di un bambino non ha lo stesso significato in due età diverse (questo è valido sia per il QI di età sia per il QI standard).In conclusione, dare per certo che il QI conservi per un dato bambino un valore costante può dimostrare una cattiva comprensione e un’abusiva estensione dal generale al particolare. È effet-tivamente probabile che la confusione sia stata determinata da una visione statistica pura, a causa della quale, per la stessa costruzione, anche il QI doveva mantenersi costante da un’età all’altra. Ciò non è mai vero per l’individuo isolato.

quoziente intellettivo ed ereditarietà

Nel paragrafo precedente si è visto che esisteva un’opposizione tra lo sguardo dello statistico e quello del clinico riguardo alla costanza del QI. Per un soggetto particolare, il QI è in realtà variabile con l’età, il tipo di test, la situazione del test, ecc. La stessa opposizione tra statistico e clinico si osserva riguardo alla natura ereditaria o no del QI. Va da sé che più si dà al QI un valore relativo, più il peso dell’ereditarietà è anch’esso relativo e in maniera inversa. Così, negli anni Venti e Trenta alcuni ritenevano che l’ereditarietà intervenisse per un 80% nel valore del QI. In seguito, numerosi autori hanno anche voluto quantificare il peso rispettivo dell’ereditarietà e dei fattori educativi in senso lato.Innanzitutto, conviene precisare che illustreremo nel Capitolo 13 i fattori ereditari patologici (aberrazione cromosomica, anomalie metaboliche, ecc.). Si considererà qui solo l’ereditarietà in un soggetto ritenuto biologicamente sano. L’importanza dei fattori socioculturali non è più da dimostrare: i bambini di classi socioeconomiche agiate hanno, statisticamente, un QI più eleva-to di quelli delle classi sfavorite. Numerosi studi hanno dimostrato, in particolare nei bambini adottati, che il QI del bambino variava in funzione delle condizioni educative e socioeconomiche dell’ambiente nel quale cresce il bambino, a dimostrare l’importanza dell’ambiente stesso.La qualità dei rapporti affettivi riveste pure un ruolo considerevole. Nella loro grande mag-gioranza, i bambini gravemente deprivati (ospedalizzazione, bambini maltrattati) hanno spes-so un’efficienza intellettiva mediocre. Così, negli studi prospettici condotti su bambini orfani rumeni adottati in Inghilterra (lavori di Rutter) o negli Stati Uniti (lavori di Zeanah), la durata della deprivazione (soprattutto se superiore ai 2 anni) è correlata al QI all’età di 12 anni. Sembra proprio che nei casi di insufficienza mentale lieve, inoltre, si verifichino con maggiore frequenza situazioni nelle quali non è possibile identificare alcuna causa evidente, mentre i fattori psicoso-ciali sono numerosi (Cap. 13).In conclusione, l’intervento di fattori ereditari nella determinazione delle capacità intellettive è evidente, come è dimostrato da diversi studi sui gemelli etero o monozigoti. Tuttavia, si tratta evidentemente di una trasmissione poligenica complessa poiché nessuna legge di trasmissione ereditaria semplice è stata riscontrata. Sarebbe, d’altro canto, più corretto parlare di ereditabilità piuttosto che di ereditarietà (Tomkievicz, Duyme), evidenziando così un grado variabile di ca-pacità di apprendere piuttosto che un valore assoluto dell’intelligenza. La capacità di apprendere offre un ruolo prevalente ai fattori dell’ambiente come è dimostrato da un numero sempre cre-scente di lavori. Le teorie dell’imprinting e dei periodi critici che l’etologia ha largamente dif-fuso illustrano chiaramente il legame tra una certa attitudine all’apprendimento geneticamente determinata e l’apporto dell’ambiente. In questa prospettiva, esiste uno stretto e costante colle-gamento tra i fattori genetici e quelli legati all’ambiente, rendendo così illusoria una suddivisio-ne troppo rigorosa tra questi due ambiti.

Valutazione delle funzioni coGnitiVe specifiche

Le prove o i test volti a indagare un ambito specifico o una determinata funzione cognitiva sono molto numerosi. Nel presente capitolo saranno presi in considerazione esclusivamente i più utilizzati nella pratica clinica, aventi lo scopo di analizzare un ambito più specifico delle

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funzioni cognitive: memoria, attenzione, ragionamento, capacità di calcolo, ecc. La Tabella 9.2 presenta, in sintesi, le prove principali. Si noti che le prove impiegate per l’esame del linguaggio orale o scritto, generalmente uti-lizzate dagli ortofonisti, e quelle volte ad analizzare la motricità, solitamente utilizzate dagli psicomotricisti, sono state illustrate nei capitoli corrispondenti.

Tabella 9.2 Principali prove cognitive e neuropsicologiche per l’analisi di funzioni specifiche.

Nome dello strumento Caratteristiche principali Indicazioni principali

Prove volte a valutare il ragionamento intellettivo, le abilità matematiche e di calcolo

Scala di pensiero logico (EPL)

Applicabile da 6 a 16 anniConsente di valutare gli stadi del ragionamento secondo la teoria di Piaget

Disarmonia cognitivaDifficoltà scolastiche

Kaufman Assessment Battery for Children (K-ABC)

Applicabile da 2 anni e 6 mesi a 12 anni e 6 mesiSi compone di due scale di intelligenza, una cosiddetta sequenziale e l’altra simultanea; molto sensibile alle componenti del linguaggio

Insufficienza mentaleValutazione dell’intelligenza nei bambini sordi, con disturbi del linguaggio o migrantiDisturbi della coordinazione motoriaProsopagnosia

Uso del numero (UDN-II)

Applicabile da 4 a 11 anniComposta da 16 prove ispirate alle teorie di Piaget

Difficoltà con la matematica

Batteria per la valutazione del trattamento dei numeri e dei calcoli nel bambino (Zareki-R)

Applicabile per tutti gli anni delle scuole elementariPrevede 12 prove volte a valutare la capacità di utilizzare i numeri e di effettuare calcoli elementari

Difficoltà con la matematica

Test diagnostico delle competenze di base in matematica (TEDI-Math)

Applicabile dalla scuola materna fino al terzo anno di scuola elementareAnalizza sei ambiti delle competenze numeriche

Difficoltà con la matematica

Prove volte a valutare le funzioni attentive ed esecutive

Continuous Performance Test (CPT-II)

Applicabile da 6 a 20 anniProva informatizzata per l’analisi dell’attenzione visiva, della vigilanza e dell’impulsività

Disturbo da iperattività e deficit di attenzione

Test di valutazione dell’attenzione nel bambino (TEA-CH)

Applicabile da 6 a 12 anniUtilizza stimoli visivi e uditiviEsamina l’attenzione sostenuta, l’attenzione selettiva e il controllo attentivo

Disturbo da iperattività e deficit di attenzione

Test Wisconsin di classificazione delle carte (WCST)

Applicabile a partire dai 6 anniEsamina le funzioni esecutive (flessibilità mentale, strategia)

Disturbi evolutiviSindrome frontaleDisturbi dell’apprendimento

Altre prove specifiche

Children Memory Scale (CMS)

Applicabile da 9 a 16 anniComprende prove di memoria immediata e differita e una prova di attenzione/concentrazione

Disturbi della memoriaDisturbi evolutivi e dell’apprendimentoDisturbi neurologici

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Tabella 9.2 Principali prove cognitive e neuropsicologiche per l’analisi di funzioni specifiche – Seguito.

Nome dello strumento Caratteristiche principali Indicazioni principali

Prove neuropsicologiche (NEPSY)

Applicabili da 3 a 12 anniComprendono prove che esaminano le funzioni attentive ed esecutive, il linguaggio, la sensomotricità, il trattamento visuospaziale e la memoria

Disturbi specifici del linguaggio orale e scritto Disturbi epilettici, lesioni cerebraliDisturbi dell’attenzione

Prove volte a esaminare le funzioni visuospaziali o visuocostruttive

Test di BenderFigura di ReyTest di Benton

Esame delle funzioni visuospaziali e visuocostruttiveDisprassiaPrematurità

PRove PeR valutaRe il Ragionamento intellettivo, le abilità matematiche e di calcolo

Prove per la valutazione del tipo di ragionamento

Contrariamente agli altri test precedentemente citati, l’obiettivo della valutazione clinica non è quello di determinare a quale livello si collochi una prestazione, ma quale strategia il soggetto usi per arrivare a essa. Così, le prove (termine da preferirsi a quello di test) che Piaget e i suoi continuatori hanno proposto si collocano in un diverso contesto clinico: una conversazione con il bambino in cui si scambiano argomentazioni e controargomentazioni permette di comprendere la struttura stessa del ragionamento. Le nozioni di rendimento o di esecuzione, di cui testimonia-no “la standardizzazione” più rigorosa possibile e la limitazione o la frequente misura del tem-po della somministrazione abituale ai test psicometrici sono, all’opposto, in questi test, se non estranee, almeno secondarie. L’importante è collocare il livello del ragionamento in funzione dei diversi stadi che rappresentano altrettante strutture logiche diverse.Queste considerazioni spiegano la scarsa standardizzazione di queste prove e la necessità di una buona conoscenza delle teorie piagetiane per utilizzarle nel modo migliore (Cap. 2).Nel periodo preoperatorio, quello dell’intelligenza rappresentativa, tra i 2 e i 7 anni, queste prove si basano sull’analisi delle figure geometriche semplici (cerchio, quadrato, losanga) poi complesse (bandiera di Gessel, figura complessa di N. Verda: Fig. 9.1) e quella di un personag-gio umano.Nel periodo delle operazioni concrete, tra i 7 e gli 11 anni, i meccanismi operatori si basano innanzitutto su obiettivi concreti, manipolabili. Sono stati in parte standardizzati nella scala di pensiero logico (Échelle de Pensée Logique, EPL) di Longeot, calibrata su un gruppo di ragaz-zi e ragazze di età compresa fra 9 e 16 anni, che consente di valutare l’intelligenza concreta o formale. Sulla base di cinque serie di item, i risultati consentono di situare il funzionamento di un bambino in una di quattro classi: stadio concreto, intermedio, formale A e formale B. Secondo Inhelder, il livello operatorio formale che caratterizza il pensiero adulto non è rag-giunto dal bambino insufficiente mentale. Egli resta fermo al livello delle operazioni concrete.

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Figura 9.1 Bandiera di Gessel (a) e figura complessa di N. Verda (b).

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160 II. Studio psicopatologico delle condotte

Il periodo delle operazioni formali corrisponde allo sviluppo della struttura del “gruppo combi-natorio” e inizia ai 12 anni. Dopo lo stadio operatorio concreto, l’accesso allo stadio operatorio formale è caratterizzato dalla capacità del preadolescente (tra i 12 e i 16 anni) di ragionare attra-verso ipotesi, di intuire l’insieme dei casi possibili e di considerare la realtà come un semplice caso particolare. Il metodo sperimentale, la necessità di dimostrare delle proposizioni enunciate, la nozione di probabilità divengono accessibili. Sul piano pratico, l’entrata in gioco di una pos-sibilità di ragionamento ipotetico-deduttivo si traduce nell’accesso al gruppo delle operazioni formali di trasformazione: l’identità, la negazione, la reciprocità e la negazione della reciprocità, cioè la correlazione (INRC). Così, ad esempio, nello stadio concreto, il bambino capisce che 2/4 è più grande di 1/4 poiché deve solo paragonare 1 e 2, ma solo nello stadio formale comprende l’eguaglianza di 1/3 e 2/6 poiché può stabilire un rapporto tra il paragone dei numeratori da un lato e il paragone dei denominatori dall’altro lato: può porre queste due proporzioni e il rapporto tra i due rapporti.

K-abc (Kaufman assessment battery for children) (1983)

La K-ABC, la cui versione francese è stata validata nel 1993, si rivolge a bambini da 2 anni e mezzo a 12 anni e mezzo. Comprende 16 subtest che vengono proposti o meno in funzione dell’età del bambino: 7 subtest a due anni e mezzo, 9 a 3 anni, 11 a 4 anni, 13 come massimo a partire dai 7 anni. Il test insiste sul trattamento cognitivo delle informazioni secondo due mo-dalità: una simultanea, con lo scopo di elaborare una rappresentazione globale (olistica) della situazione e una sequenziale, che mira a elaborare una rappresentazione ordinata temporalmente della situazione. Questo test si scompone in due scale di intelligenza, una cosiddetta sequenziale e l’altra simultanea, con una terza scala detta dei processi mentali composita. I risultati si espri-mono tramite una nota standard con una media stabilita a 100 e una deviazione standard di 15.I compiti della K-ABC si basano il meno possibile sul linguaggio e consentono, in particolare, una valutazione migliore dei bambini che presentano deficit uditivi e disturbi del linguaggio e dei bambini stranieri. Se la concordanza tra la K-ABC e la WISC-R è notevole nei bambini in genere, sembra invece che vi siano delle differenze sensibili tra questi due test nei bambini con difficoltà di apprendimento.Questo nuovo strumento è già largamente utilizzato soprattutto nell’ambito scolastico.

Prove per la valutazione delle abilità matematiche e di calcolo

La prova di uso del numero (UDN-II) è convalidata dai 4 agli 11 anni; si compone di 16 prove ispirate alle teorie piagetiane, raggruppate in prove di logica elementare (classificazione, inclu-sione, seriazione), di conservazione, di uso del numero, di origine spaziale (come trasporre e affermare identità mediante la logica), di conoscenza e comprensione delle operazioni matema-tiche.La batteria per la valutazione del trattamento dei numeri e dei calcoli nel bambino (Zareki-R) è una prova che consente di valutare le diverse componenti che intervengono nel trattamento dei numeri e dei calcoli nei bambini dal primo all’ultimo anno di scuola elementare. Prevede 12 prove, ispirate ai recenti lavori di neuropsicologia, che mostrano il carattere complesso e multi-fattoriale della capacità di utilizzare i numeri e di effettuare calcoli elementari. Questa capacità richiede, in particolare, la conoscenza della sequenza numerica, la capacità di enumerare, il pas-saggio corretto da un sistema di rappresentazione di numeri a un altro (il cosiddetto triplo codice che associa numeri scritti in notazione araba, enunciazione e scrittura dei numeri per esteso in lettere), la conoscenza di fatti numerici (ad esempio, le tabelle di moltiplicazione), la conoscen-za e l’applicazione di procedure per le operazioni elementari e, per concludere, la capacità di stimare e confrontare numeri e quantità, così come la comprensione del significato dei numeri.Il test diagnostico delle competenze di base in matematica (TEDI-Math) è una prova basata sugli assunti della teoria piagetiana del numero e sulle più recenti nozioni di psicologia cognitiva. Il test consente di esaminare i disturbi di apprendimento della matematica a partire dalla fine della scuola materna fino al termine del terzo anno di scuola elementare, valutando 6 ambiti delle competenze numeriche:

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9. Psicopatologia delle funzioni cognitive 161

OO la padronanza della sequenza numerica verbale (mediante prove di computo);OO i cinque principi descritti da Gelman e Gallistel (mediante prove di enumerazione);OO la comprensione del sistema numerico (mediante prove che analizzano il sistema di numera-

zione arabo, il sistema di numerazione orale, il sistema in base 10 e la transcodificazione);OO le operazioni logistiche piagetiane (si veda UDN-II);OO le diverse operazioni (addizione, sottrazione e moltiplicazione);OO la stima della grandezza (mediante una prova di comparazione fra pattern di punti e una prova

di valutazione della deviazione relativa di due numeri rispetto a un target).

PRove PeR valutaRe le funzioni attentive ed esecutive

continuous Performance test (cPt-ii)

Il CPT-II è un test informatizzato, convalidato a partire dai 6 anni di età, che consente di valutare le capacità attentive, l’impulsività e la vigilanza mediante una prova programmata su computer di individuazione di un bersaglio. Il test esamina la validità della prova superata, il numero di errori per ciascun tentativo oppure mancato tentativo, e la perseverazione da parte del sog-getto; questi fattori vengono quindi analizzati statisticamente e i punteggi vengono espressi in punti-T. Questo test, facente parte di un esame psicologico completo, si utilizza per formulare una diagnosi di iperattività e/o disturbi dell’attenzione nei bambini ed esamina esclusivamente l’attenzione visiva.

test di valutazione dell’attenzione nel bambino (tea-ch)

Questo test, convalidato nei bambini dai 6 ai 12 anni di età, comprende una serie di prove che consentono una valutazione dettagliata dell’attenzione. Si avvale di stimoli uditivi e visivi per analizzare tre modalità principali dell’attenzione:

OO l’attenzione sostenuta, vale a dire la capacità di concentrazione su un’attività;OO l’attenzione focalizzata (o selettiva), vale a dire la capacità di resistere alla distrazione;OO il controllo attentivo o la flessibilità cognitiva, ossia la capacità di suddividere la propria

attenzione fra diverse fonti separate.

test Wisconsin di classificazione delle carte (Wcst)

Questo test è rivolto a bambini, adolescenti e adulti di età compresa fra 8 e 89 anni. Si tratta di una prova di ragionamento inferenziale che mette in gioco le capacità della memoria di lavoro. Molto utilizzato in neuropsicologia dell’adulto per porre diagnosi di “sindrome frontale”, è stato progressivamente adottato anche in neuropsicologia infantile per la valutazione delle funzioni esecutive, nel quadro di un esame psicologico completo.

altRe PRove sPecifiche

children memory scale (cms)

Si tratta di una scala di valutazione della memoria nei bambini e negli adolescenti di età com-presa fra 9 e 16 anni, composta da item sia verbali, sia visivi. La scala valuta la memoria e il riconoscimento e propone delle prove di memoria immediata e differita, così come una prova di attenzione/concentrazione. Si compone di prove obbligatorie e facoltative e include i seguenti item: localizzazione di punti, storie, riconoscimento di volti, coppie di parole, memorizzazione di numeri, sequenze. È possibile proporre anche prove complementari, ad esempio scene fami-

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liari e localizzazione di figure. Il test propone quindi una vasta gamma di operazioni che vedono la partecipazione della memoria in diverse modalità di attivazione. Questa scala si dimostra utile per l’esame di bambini e adolescenti che presentino disturbi evolutivi dell’apprendimento, così come dei bambini e degli adolescenti affetti da disturbi neurologici o psichiatrici con un consi-derevole interessamento organico. Consente un’accurata valutazione delle capacità mnesiche, che può essere confrontata con i risultati ottenuti al test WISC-IV, e consente di comprendere maggiormente il funzionamento cognitivo e i relativi disturbi.

Prove neuropsicologiche (nePsY)

La NEPSY è una batteria di prove composite con l’obiettivo di valutare le seguenti funzioni: pro-cessi attentivi ed esecutivi, linguaggio, sensomotricità, trattamento visuospaziale, apprendimento e memoria. È composta da 15 subtest principali e 12 subtest facoltativi da somministrare per appro-fondire la valutazione di determinate funzioni. A partire dai punteggi ottenuti nelle prove per i di-versi ambiti, è possibile tracciare un profilo del bambino, con i relativi punti di forza e punti deboli.

Prove per la valutazione delle funzioni visuospaziali o visuocostruttive

Esse comprendono, tra le altre:

OO il test di Bender, volto a valutare l’organizzazione grafopercettiva dei bambini di età compre-sa fra 4 e 7 anni;OO la figura di Rey (Fig. 9.2), nella quale si richiede al bambino di riprodurre il disegno tenen-

dolo di fronte, quindi di riprodurlo dopo 5 minuti. Il test esamina l’organizzazione spaziale, la capacità attentiva e la memoria immediata;OO il test di Benton, applicabile dopo gli 8 anni di età, una prova di organizzazione visuomotoria

e di valutazione della memoria differita (riproduzione di figure geometriche dopo 10 secondi di osservazione).

insufficienza mentale

La psichiatria infantile si è costituita attorno all’insufficienza mentale che, alle sue origini, rappre-senta praticamente il suo unico oggetto di studio. Le diverse entità nosografiche attuali sono state, quasi tutte, tratte dal quadro dell’“idiozia” in cui Pinel confondeva “demenza”, insufficienza men-

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tale e stato stuporoso. Esquirol distingue poi demenza e idiozia: «L’uomo demente viene privato di beni di cui era ricolmo, è un ricco divenuto povero! L’idiota, invece, è sempre stato nell’infelicità e nella miseria». Più tardi, tra gli idioti, Esquirol separa l’idiozia e l’imbecillità (soggetto meno profondamente colpito). Seguin, alla fine del XIX secolo, isola di nuovo l’idiozia e l’imbecillità di cui riconosce l’incurabilità, dall’“insufficienza mentale” caratterizzata da una lentezza più o meno recuperabile dello sviluppo intellettivo. Itard, dal canto suo, sintetizza nel “bambino selvaggio” la prima descrizione dell’autismo, che distingue dall’idiozia. Binet, infine, all’inizio del XX secolo, introduce la psicometria che, ben presto, diverrà il criterio di suddivisione delle varie insufficienze.

definizione, classificazione, fRequenza

collocazione dell’insufficienza mentale fra i diversi handicap

Il termine handicap deriva dall’espressione “hand in cap”, che fa riferimento all’usanza di de-positare, senza dare nell’occhio, una somma di denaro in un cappello al fine di compensare la differenza di valore fra due cavalli scambiati fra i rispettivi proprietari nel XVIII secolo. Nei secoli che seguirono, il termine handicap è stato utilizzato in diverse discipline sportive, sempre a rappresentare una compensazione della differenza di livello fra due partecipanti.La definizione medica, benché sia evoluta parallelamente alla società, ha sempre mantenuto l’idea di compensazione. La prima definizione dell’OMS (Classificazione internazionale degli handicap-1, 1981) definiva l’handicap come la combinazione di un deficit (aspetto lesionale), un’incapacità (dimensione funzionale) e uno svantaggio (dimensione situazionale). Queste tre dimensioni rappresentavano la base di una classificazione che consentisse una valutazione e una quantificazione degli handicap.L’evoluzione della società ha condotto a una classificazione e a una definizione di handicap più ampia, incentrata sul soggetto e sul suo funzionamento. Tale definizione comprende ormai l’aspetto negativo di ogni alterazione del funzionamento (CIH-2, 2001). L’approccio è definito multidimensionale e interattivo, implica l’esistenza di correlazioni tra l’individuo e la sua atti-vità con i seguenti aspetti:

OO malattia o disturbo;OO funzioni organiche colpite;OO inserimento sociale, professionale e familiare del soggetto;OO fattori ambientali;OO fattori personali.

La classificazione degli handicap distingue:

OO deficit motori (insufficienza motoria di origine cerebrale, malattie neuromuscolari come le miopatie, spina bifida, ecc.);OO deficit intellettivi e cognitivi, nei quali rientrano l’insufficienza mentale e le alterazioni stru-

mentali (dislessia, discalculia, disfasia, disprassia, ecc.);OO deficit sensoriali visivi o uditivi;OO disturbi psichiatrici gravi (disturbi dello spettro dell’autismo, schizofrenia e altre patologie

mentali croniche);OO qualsiasi altro tipo di deficit organico o funzionale (cardiopatie invalidanti, diabete, nefro-

patie, ecc.).

definizione

Se non ci sono dubbi quando si tratta di un’insufficienza profonda, consideriamo, all’opposto, difficoltoso definire il limite superiore dell’insufficienza. L’esigenza scolastica ha dato origine alla creazione di test caratterizzati dalla preoccupazione di distinguere i bambini adatti a una normale scolarizzazione e quelli che non lo sono. Così si sono quasi confuse, all’inizio della

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psicometria, l’insufficienza mentale e l’inadeguatezza scolastica. Dunque, utilizzando un tale criterio, alcuni lavori condotti negli anni Settanta (Chiland) hanno dimostrato che un QI ≥96 era necessario per raggiungere, ai nostri giorni, una scolarizzazione soddisfacente: secondo questo criterio, l’insufficienza comincerebbe da un QI <96? D’altro lato, sul piano statistico la maggior parte dei test (in particolare la WISC) è costruita in modo che la maggioranza della popolazione (95%) sia compresa tra –2 e +2 deviazioni standard: in questa ottica statistica, la deviazione anomala inizia con un QI ≤70 poiché, allorché il QI sia >70, ci si collocherebbe nell’ambito della normale ripartizione gaussiana. Da un punto di vista pratico ed empirico, numerosi autori pro-pongono un’ulteriore categoria, definita “intelligenza limite” per i QI compresi fra 70 e 80-85, poiché in questo gruppo il rischio di difficoltà scolastiche è maggiore. Infine, utilizzando non una misura psicometrica, ma attraverso lo studio delle strutture logiche, altri autori (Inhelder) carat-terizzano l’insufficienza attraverso l’impossibilità di accedere alle strutture del pensiero formale.Queste incertezze pesano molto sull’approccio concettuale e teorico del problema dell’insuffi-cienza e spiegano, in parte, le divergenze dei diversi punti di vista. Indipendentemente da questo, utilizzando i test psicometrici, le attuali classificazioni (ICD-10, DSM-IV, ecc.) distinguono:

OO ritardo mentale lieve (50 ≤QI ≤69);OO ritardo mentale medio (35 ≤QI ≤49);OO ritardo mentale grave (20 ≤QI ≤34);OO ritardo mentale profondo (QI ≤19).

Qualora non sia possibile effettuare una valutazione psicometrica, è possibile utilizzare le altre due definizioni dell’insufficienza mentale. Per la prima, riferita alla scolarizzazione, l’ipotesi è che tutti i bambini che dimostrano 2 anni di ritardo rispetto alla propria fascia di età entro i 10 anni, oppure 3 anni di ritardo dopo i 10 anni di età, siano affetti da insufficienza mentale. L’altra definizione, di tipo sociale, tiene invece conto dell’impossibilità, da parte del soggetto, di rag-giungere l’autonomia prevista per la sua età, in assenza di cause terze.

frequenza

La frequenza dell’insufficienza mentale dipende, evidentemente, dalla sua definizione (in par-ticolare, se ci si includa o meno l’insufficienza limite). Varia, per i bambini di età scolare, tra l’1,5% e il 5,5% secondo gli studi. L’insufficienza mentale severa e profonda è compresa tra lo 0,3% e lo 0,6%. È la sola a essere spesso riconosciuta prima del periodo scolastico. L’insuffi-cienza mentale lieve o limite è di solito riconosciuta solo in epoca scolastica. Esiste un picco di frequenza tra i 10 e i 14 anni, quindi una brusca diminuzione del numero degli insufficienti al di là di questa età: questa diminuzione epidemiologica mostra quanto l’insufficienza mentale, in particolare quella limite, sia legata alla situazione scolastica. A tutti i livelli dell’insufficienza mentale si nota una prevalenza di maschi (60%).

studio clinico

Il riferimento al QI non deve, nonostante la sua facilità di utilizzazione, far dimenticare i suoi problemi metodologici, in particolare la frequente variabilità di questo QI. I limiti, cioè, sono qui arbitrari: un bambino può evolvere sia in un senso sia nell’altro. Questi limiti sono dunque relativi e hanno un valore esclusivamente statistico.

livello di sviluppo e di efficienza sociale

Insufficienza mentale profondaL’età evolutiva non oltrepassa i 2-3 anni. Si nota, nella prima infanzia, un ritardo massiccio di tutte le acquisizioni che, spesso, restano incomplete. L’autonomia delle condotte della vita quotidiana è parziale (alimentazione, pulizia, controllo sfinterico), ma talvolta può essere migliorata nell’ambito

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di una buona relazione. Il linguaggio è quasi inesistente, ridotto ad alcune parole o fonemi. Questi pazienti sono dipendenti da un’altra persona, più spesso da una struttura istituzionale. L’esistenza di anomalie morfologiche, di alterazioni neurologiche, di crisi epilettiche associate è frequente.

Insufficienza mentale severa e moderataQuesti soggetti non oltrepassano un’età mentale di 6-7 anni. Il ritardo dello sviluppo psicomoto-rio è costante. Una certa autonomia nelle condotte sociali è possibile, soprattutto se il bambino evolve in un ambiente stimolante e ricco di calore, ma resta necessario un ambiente protet-to. Il linguaggio rimane scarno, benché il suo livello dipenda molto dal grado di stimolazione dell’ambiente. La lettura, all’opposto, è impossibile o resta a livello di decifrazione rudimentale, oppure a uno stadio logografico; la scolarizzazione è impossibile. Il pensiero resta allo stadio preoperatorio.

Insufficienza mentale lieveLa scolarizzazione diviene un criterio fondamentale: l’insuccesso scolastico caratterizza questi bambini che fino all’entrata a scuola hanno avuto, in genere, uno sviluppo psicomotorio norma-le. Il linguaggio non presenta anomalie grossolane, l’inserimento sociale extrascolastico (con la famiglia, gli altri bambini) è spesso soddisfacente. È raro trovare delle anomalie somatiche asso-ciate. In realtà, sono le esigenze di una scolarità obbligatoria che portano a isolare questo gruppo. L’incapacità di accedere a una struttura di pensiero formale rappresenta un limite al progresso fin dalle prime classi della scolarità elementare.È in questo gruppo che l’equilibrio affettivo, la qualità delle relazioni con l’ambiente, il peso dei fattori socioeconomici e culturali sembrano avere un ruolo fondamentale (si veda oltre).

alterazioni affettive delle condotte e del comportamento

La presenza di queste alterazioni è, se non costante, almeno molto frequente. Le loro manifesta-zioni cliniche dipendono in parte dalla profondità del deficit cognitivo: si possono descrivere due estremi tra i quali sono riscontrabili tutti gli stati intermedi.Nell’insufficienza mentale profonda e severa si incontrano spesso alterazioni relazionali massic-ce: isolamento o vero ritiro affettivo, frequenti stereotipie sotto forma di dondolamenti, scariche aggressive o grande impulsività; in particolare, in caso di disagio o di frustrazione, automutila-zioni (Cap. 10) più o meno gravi. L’insieme di questi sintomi è sovrapponibile ad alcuni tratti dell’autismo (autismo associato). Ciò pone un problema in merito ai limiti intrinseci alle classi-ficazioni diagnostiche.Nell’insufficienza mentale limite o lieve le alterazioni affettive sono assai frequenti (50% dei casi secondo Heuyer) e si organizzano secondo due filoni:

OO il versante delle manifestazioni comportamentali: instabilità, reazioni di esibizione che pos-sono andare fino alle reazioni colleriche di fronte a un insuccesso, disturbi oppositivi provocatori in particolare nei bambini più grandi e nell’adolescente trascinato da quelli della sua età (delitti minori, furto, ecc.). A queste condotte si associa spesso un’organizzazione molto rigida caratte-rizzata da giudizi taglienti, eccessivi, senza autocritica;OO l’altro versante è rappresentato dall’inibizione, dalla passività, dall’abbattimento, da un’estre-

ma sottomissione all’ambiente sia degli adulti sia dei bambini. Le possibilità intellettive possono anch’esse subire il peso di questa inibizione: i test evidenziano allora insuccessi ripetuti che ostacolano l’efficienza intellettiva.

L’esistenza di queste alterazioni affettive traduce, secondo alcuni autori, il carattere disarmoni-co dell’organizzazione della personalità del bambino con insufficienza mentale, il cui abbassa-mento dell’efficienza mentale deve essere inteso in relazione a una struttura psicopatologica da studiare. In altri bambini, all’opposto, non si notano alterazioni affettive particolari al di fuori di una certa immaturità affettiva: si tratterebbe, secondo alcuni autori, dell’insufficienza mentale “armonica, semplice o normale”. In questa ottica, l’insufficienza normale sarebbe solo la testi-monianza, la prova della suddivisione gaussiana del QI.

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alterazioni strumentali

L’esistenza di alterazioni strumentali è frequente, se non addirittura costante, anche nell’insuffi-cienza lieve o limite. Si notano, tra gli altri (Capp. 5 e 6):

OO alterazioni del linguaggio: oltre all’abituale constatazione di un livello inferiore nelle prove verbali rispetto alle prove non verbali, si nota spesso l’esistenza di mediocri livelli fonematici, grammaticali e sintattici (Garrone), nonché difficoltà di apprendimento della lettura (Cohen et al., 2001, 2006);OO alterazioni dello sviluppo motorio e delle prassie, tanto più evidenti quanto più complesse

siano le prove proposte. Alterazioni dello schema corporeo e disprassie sono spesso riscontrate (Bergès). L’impaccio motorio, concetto creato da Dupré e che può associarsi all’insufficienza mentale, è stato illustrato nel Capitolo 5.

In realtà si possono osservare tutti i tipi di alterazioni strumentali. Il problema è quello di indi-viduare la loro relazione con il deficit intellettivo, cosa che rivedremo nei paragrafi successivi.

analisi discRiminativa delle funzioni intellettive e aPPRoccio PsicoPatologico

analisi discriminativa

Lo studio dell’insufficienza mentale ha avuto, in gran parte, un’evoluzione parallela a quella delle ricerche psicometriche: così, quando all’inizio si è constatato che il QI rifletteva una capa-cità intellettiva globale, l’insufficienza fu anch’essa considerata come un abbassamento globale della capacità. Parimenti, un quoziente di sviluppo abbassato indicava un semplice rallentamento dello svi-luppo intellettivo: così, un bambino di 7 anni il cui QI fosse di 70 aveva, si credeva, un livello identico a quello di un bambino di 5 anni.In realtà, con la moltiplicazione delle scale psicometriche, con il loro progressivo sganciarsi dall’apporto scolastico, con la migliore conoscenza dei vari settori dello sviluppo del bambino, una tale concezione ha ben presto evidenziato i suoi limiti: l’utilizzo delle batterie di test ha dimostrato:

OO da un lato, che il livello della performance varia in funzione del test utilizzato (cosa che rende già relativa la nozione di un livello globale);OO dall’altro che i diversi risultati ottenuti da un bambino di 7 anni con un QS di 70 al Binet-

Simon, ad esempio, non erano per nulla sovrapponibili a quelli ottenuti da un bambino di 5 anni con uno sviluppo normale;OO infine, che all’interno di un gruppo di bambini insufficienti dello stesso livello globale si

notano, in questa eterogeneità, grandi differenze.

Di fronte a questi risultati, l’ipotesi di un’insufficienza unica, monomorfa e semplice rallenta-mento dello sviluppo non era più plausibile: il quadro dell’insufficienza mentale doveva essere smembrato. Così, dal 1929, in un lavoro premonitore, grazie all’uso di un’ampia batteria di test, Vermeylen proponeva già di distinguere insufficienze “armoniche” e insufficienze “disarmoni-che”. Al fine di evitare confusione con il concetto di disarmonia (Cap. 18), oggi si preferisce parlare di profilo WISC armonico o disarmonico.Effettivamente, in un secondo periodo, rinunciando all’unità del quadro dell’insufficienza mentale, gli autori cercarono di distinguere due classi tra i soggetti affetti, basandosi in parti-colare sulla ricerca eziologica. Così furono isolate l’insufficienza “esogena” e l’insufficienza “endogena”. La prima è caratterizzata da un profilo disarmonico e da un’eziologia spesso circoscritta (infettiva, tossica, ecc.), diverse comorbilità organiche e malformazioni. Grazie ai progressi della comprensione eziologica (Cap. 13), la distinzione attualmente accettata è

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quella tra insufficienza mentale sindromica versus insufficienza mentale non sindromica. La definizione di “sindromica” indica la presenza, dal punto di vista clinico, di una malformazio-ne, di un dimorfismo o di una patologia neurologica evolutiva. In queste forme si osservano spesso una causa, genetica oppure ambientale, anomalie riscontrate alla risonanza magnetica e un profilo disarmonico. Più recentemente, l’analisi del funzionamento cognitivo, non solo in termini di performance, ma anche in termini di operatività (prove piagetiane) o in termini di competenza sociale (SPS, SDEI), ha dimostrato che, in quasi tutti i bambini insufficienti, si nota un’eterogeneità dei loro risultati. Se variazioni individuali sono sempre possibili sul piano statistico, si nota sempre che le prove percettivo-motorie danno cattivi risultati, come pure i test che esplorano lo schema cor-poreo; all’opposto, le prove di intelligenza psicosociale (SPS, SDEI) hanno un livello migliore. Allo stesso modo, la valutazione del tipo di ragionamento sembra dimostrare l’esistenza di una costante fluttuazione tra livelli di funzionamento assai diversi: livello preoperatorio, operatorio concreto o stadio sensomotorio si accavallano e si intrecciano allorché il bambino insufficiente è posto di fronte a un problema. Sembra incapace di mettere a punto una strategia operativa coe- rente e presenta brusche interruzioni nell’organizzazione del pensiero. In ogni caso, l’accesso allo stadio del pensiero formale sembra impedito.Per spiegare l’insufficienza mentale, Zazzo et al. hanno proposto il concetto di eterocronia che «esprime innanzitutto semplicemente un fatto: il bambino insufficiente mentale tipico si sviluppa con ritmi diversi, seguendo i diversi settori della crescita psicobiologica». L’etero-cronia non è una semplice collezione di velocità diverse. È un sistema, una struttura. Gibello, infine, utilizzando i punti di riferimento piagetiani, definisce la disarmonia cognitiva come «un’anomalia permanente del pensiero razionale che serve come difesa contro le angosce arcaiche». Questo autore descrive nei bambini i «ritardi di organizzazione del ragionamento» che si caratterizzano per la presenza di una differenza tra un quoziente intellettivo compreso nel range della normalità e un livello di organizzazione del pensiero, in termini piagetiani, molto ritardato. Sia che si tratti di una disarmonia cognitiva sia di un ritardo di organizzazione del ragionamento, questi deficit nell’investimento dei processi di pensiero sono testimonianza dei sottostanti processi psicopatologici i quali mettono più spesso in gioco meccanismi di difesa arcaici (Cap. 14). Oggi, queste forme non rientrano più tra le insufficienze mentali, ma vengono considerate più vicine al disturbo noto come multiple complex developmental disorder (Cap. 18).

approccio psicopatologico e comportamento da adottare

Secondo il punto di vista clinico, messo di fronte al bambino e alla sua famiglia, il modo di procedere psicopatologico e il comportamento da seguire riguardano diversi aspetti. Essi non consistono semplicemente nella valutazione globale del QI, nello studio discriminativo delle funzioni cognitive e delle diverse alterazioni strumentali associate e nella ricerca di un’eziologia specifica. Nella Figura 9.3 sono riassunti i principi del comportamento da adottare.Ancora prima della presa in carico del paziente, è possibile individuare quattro fasi:

OO la prima coincide con la diagnosi positiva dell’handicap. È necessario che il medico sia in grado di porre una diagnosi positiva e medica quanto prima nell’arco di vita del soggetto. Si tratta di un aspetto fondamentale, dato che una presa in carico precoce rappresenta un fattore prognostico. La diagnosi richiede una valutazione standardizzata delle capacità cognitive del bambino; molto spesso è sindromica nell’ambito della psichiatria e dello sviluppo. Non deve essere confusa con la diagnosi eziologica;OO la seconda fase è quella della comunicazione dell’handicap, una fase cruciale, ma troppo

spesso trascurata. Tale rivelazione è vissuta dalla famiglia (e, se sufficientemente grande, dal bambino) come un trauma e determina quindi molto spesso una “paralisi psichica” della quale è opportuno tenere conto. Risulta quindi fondamentale prevedere le condizioni per istituire un col-loquio di durata sufficiente, essere in grado di incontrare nuovamente le famiglie in tempi rapidi nel caso abbiano domande da porre, di fornire informazioni nel modo più chiaro e dettagliato possibile, in particolare informazioni in merito all’evoluzione e alla presa in carico previste.

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Ovviamente, questo tipo di colloquio non può e non deve essere condotto da un collega giovane, privo della necessaria esperienza;OO le tappe successive sono condotte parallelamente:

O� si tratta della diagnosi eziologica alla ricerca di una causa. Non sempre è possibile iden-tificare una causa, ma in caso positivo sembra possibile giungere, grazie a essa, a compor-tamenti preventivi (ad esempio, nell’ambito del counseling genetico) oppure a trattamenti specifici (ad esempio, nel caso di malattie neurometaboliche per le quali può essere necessa-ria una dieta ad hoc). Nel caso di un’anomalia genetica, la presenza di un genetista diventa condizione imprescindibile e il counseling genetico appare fondamentale;O� si tratta anche della valutazione e della diagnosi funzionali, due aspetti fondamentali

ma, purtroppo, spesso incompleti nella pratica clinica attuale. Hanno un duplice obiettivo: da un lato, valutare l’insufficienza mentale e le sue ripercussioni, dall’altro, ottenere ele-menti di confronto che consentano di prevedere l’efficacia delle prese in carico proposte. Questa diagnosi funzionale prevede, in base al tipo di caso clinico, la valutazione dei seguenti aspetti:

– il livello intellettivo, mediante test di efficienza o livello di sviluppo; – le capacità strumentali, mediante indagini ortofoniche o logico-matematiche; – lo sviluppo motorio o sensimotorio; – le capacità di autonomia, mediante scale di valutazione (come la scala Vineland); – il funzionamento del soggetto, nel corso di colloqui o indagini psicologiche proiettive; – infine, la diagnosi è completata dall’analisi di alcuni elementi psichici e somatici.

Per concludere, è sempre opportuno esaminare le ripercussioni e la dinamica a livello familiare.Per Misès, infatti, «le lesioni organiche perturbano inevitabilmente le relazioni; a partire da gravi disturbi di ordine affettivo, viceversa, nascono talvolta distorsioni di lungo corso, che lasciano

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Diagnosi positiva e comunicazione dell’handicap

Conferma della diagnosi mediante una prova di livello(WISC, WPPSI, ecc.)

- Profilo dell’efficienza cognitiva- Disturbi strumentali?- Valutazione psicomotoria?- Capacità di autonomia?- Funzionamento del soggetto(indagine proiettiva, colloquioper il test di personalità)

Ripercussioni sul pianofamiliare ed evolutivo(asse dell’adattamento)

Diagnosi funzionaleDiagnosi eziologica

- Ricerca di una causa- Approccio multidisciplinare- Pediatra/Neuropediatra/Genetista

Ricerca di una comorbilitàorganica

PERCORSOTERAPEUTICO

Figura 9.3 Condotta da adottare con un bambino nel quale si sospetta insufficienza intellettiva.309.@CH09

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segni definitivi nell’organizzazione delle funzioni principali». In queste condizioni, è fondamentale valutare nei singoli bambini le ripercussioni famigliari ed evolutive provocate dall’handicap. In quest’ottica, è opportuno tenere in considerazione:

OO la necessità di una descrizione sincronica (organizzazione strutturale attuale del bambino e ruolo del deficit in questa organizzazione);OO la portata diacronica propria dell’infanzia (potenziale evolutivo aperto o chiuso di questa

organizzazione o di queste difficoltà cognitive);OO le conseguenze familiari ed evolutive di questi deficit.

fattoRi eziologici

fattori organici

Tutte le lesioni del SNC, qualsiasi sia la loro causa, possono determinare una diminuzione delle capacità intellettive. Su di un piano statistico, esiste una correlazione tra la profondità dell’in-sufficienza intellettuale e l’esistenza di un’eziologia organica: quanto più profondo è il deficit, tanto più grande è la probabilità di trovare una causa organica. In base ai singoli casi, tuttavia, sono possibili eccezioni: deficit profondi possono non accompagnarsi, malgrado tutte le ricer-che, ad alcuna eziologia organica evidente. Le diverse eziologie possibili saranno illustrate nel Capitolo 13.

fattori psicosociali

Contrariamente ai fattori organici, i fattori psicosociali sono tanto più importanti quanto più ci si colloca nell’ambito dell’insufficienza mentale lieve e limite. Tutti gli studi epidemiologici e statistici sono concordi nel riconoscere che l’insufficienza lieve sia tanto più frequente quanto più le condizioni della vita socioeconomica siano basse, quanto più mediocre sia la stimolazione culturale fornita dall’ambiente familiare. Così, paragonando un gruppo di bambini insufficienti con manifestazioni neurologiche associate a un gruppo di bambini insufficienti senza eziologia organica manifesta, Garrone et al. riscontrarono che esisteva una concordanza costante e signi-ficativa tra l’insufficienza mentale lieve, «senza causa organica», e condizioni socioculturali sfavorevoli; all’opposto, i bambini caratterizzati da alterazioni neurologiche associate apparten-gono a tutti gli strati socioculturali. Oltre ai fattori socioeconomici, il clima affettivo riveste un ruolo fondamentale: si sa, in seguito alle osservazioni di Spitz sull’ospedalizzazione, degli effetti destrutturanti delle carenze affettive gravi. Il quadro della carenza affettiva, della depressione anaclitica si accompagna spesso a un abbassamento dell’efficienza intellettiva che si inserisce allora in un quadro semiologico più vasto (Cap. 20).

attitudini teRaPeutiche

Tutto ciò che è stato detto prima aveva lo scopo di dimostrare come non esista un’insufficienza mentale in generale, ma numerosi bambini insufficienti, con profili diversi sia per le alterazioni as-sociate, sia per l’organizzazione psicopatologica soggiacente, sia per le diverse eziologie possibili. Così, non esiste un’attitudine terapeutica comune, ma una serie di misure la cui utilizzazione di-pende dal caso singolo. Non illustreremo qui le terapie caratteristiche di un’eziologia specifica (an-tiepilettici, estratti tiroidei, dieta priva di fenilalanina, ecc.) che vengono studiate in altri capitoli.In linea generale, la presa in carico coinvolge i servizi sanitari e medico-sociali, la Pubblica Istruzione, i servizi sociali e le associazioni, e richiede una rivalutazione costante della perti-nenza e dell’efficacia per il paziente. In Francia, una legge dell’11 febbraio 2005 ha istituito gli uffici di circoscrizione per le persone con handicap (Maisons Départementales des Personnes Handicapés, MDPH), con l’obiettivo di raccogliere in un’unica struttura tutte le prestazioni at-

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tinenti agli handicap (un principio definibile come “sportello unico dell’handicap”). Gli MDHP dipendono dal Consiglio Generale e dispongono di capacità variabile a seconda dei singoli di-partimenti. Si occupano della fornitura dell’istruzione per i bambini affetti da handicap, delle prestazioni materiali, delle esigenze di trasporto e così via; inoltre organizzano la Commissione per i diritti e l’autonomia delle persone con handicap (Commission des Droits et de l’Autonomie des Personnes Handicapés, CDAPH), che può deliberare in merito agli orientamenti da seguire alla luce degli elementi del dossier (Cap. 21).Gli assi terapeutici si organizzano in quattro direttive:

OO iniziative di sostegno;OO misure pedagogiche e scolarizzazione;OO approccio psicoterapeutico del bambino e/o della famiglia;OO misure istituzionali.

Queste diverse misure non sono certamente incompatibili tra loro, ma l’uso privilegiato dell’una o dell’altra dipende innanzitutto, e ci sembra in un ordine di importanza decrescente:

OO dalla valutazione psicopatologica del bambino e della dinamica familiare;OO dalle possibilità socioeconomiche della famiglia (ad esempio, lavorano forse i due genitori?

Uno dei due ha la possibilità o il desiderio di smettere di lavorare?) e dalle possibilità di inseri-mento locale (esistenza di una struttura per bambini insufficienti, di classi specializzate a ragio-nevole distanza dall’abitazione);OO infine, dalla gravità dell’insufficienza.

iniziative di sostegno

Rappresentano talvolta il solo approccio possibile allorché il bambino sembri organizzarsi inte-ramente attorno al sintomo deficitario (insufficienza armonica o fissata). Costituiscono spesso il primo momento del trattamento. Da un lato si può proporre una rieducazione individuale (ortofo-nica, psicopedagogica) allorché un settore sembri essere particolarmente deficitario. Tali iniziative dipendono dalla diagnosi funzionale e dalle possibilità di un approccio specifico. Contrariamente a quanto si afferma troppo spesso, le difficoltà di apprendimento della lettura nei bambini con insuf-ficienze lievi sono risolvibili con una rieducazione ortofonica (Cohen et al., 2006).Per quanto riguarda gli approcci di psicomotricità, si ritiene che debbano essere sistematici an-che in assenza di disturbi motori specifici. La mediazione del corpo, infatti, è molto semplice e molto concreta anche per il bambino affetto da insufficienza mentale, quindi accessibile, suffi-cientemente ludica da consentire un impegno da parte del bambino e molto utile sul piano nar-cisistico. Inoltre, consente di lavorare su determinati aspetti dell’orientamento temporospaziale, fondamentale per l’autonomia.

misure pedagogiche e scolarizzazione

La priorità è riconosciuta sempre in base alla qualità dello sviluppo e all’apprendimento, pertan-to è necessario incentivare la permanenza a scuola. Per questo motivo, in Francia, la Pubblica Istruzione può proporre un percorso scolastico classico, con il supporto di un ausiliario alla vita scolastica (Auxiliaire de Vie Scolaire, AVS), con l’intermediazione dell’insegnante referente per la circoscrizione scolastica ed eventualmente con il supporto di specifiche attrezzature (presenza di scivoli, computer e così via, forniti dagli MDHP).Laddove la scolarizzazione non fosse possibile nell’ambiente consueto (decisione della Pubblica Istruzione e proposta ai genitori), è possibile proseguire nel contesto dell’insegnamento specializza-to. Nella scuola primaria, esistono classi di integrazione specializzate (Classes d’Integration Spécia-lisées, CLIS), che riuniscono i bambini a seconda del tipo di handicap. Esistono classi ad hoc anche per l’insufficienza mentale. Nel contesto dell’istruzione secondaria, esistono due forme di istruzione specializzata: le unità localizzate per l’inclusione sociale (Unités Localisées pour l’Inclusion So-

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ciale, ULIS) funzionano analogamente alle CLIS, anche se sono incentrate specificamente sulla formazione professionale. Le sezioni di insegnamento generale e professionale adattato (Section d’Enseignement Général et Professionnel Adapté, SEGPA) si rivolgono in particolare ai preadole-scenti e agli adolescenti che soffrono di difficoltà scolastiche, in assenza di un handicap ben definito.In ogni caso, la scolarizzazione dei pazienti affetti da handicap è corredata da un progetto di acco-glienza personalizzato (Projet d’Accueil Individualisé, PAI), redatto tra i genitori, gli insegnanti e il centro di cura. Se l’alunno è impossibilitato a recarsi a lezione, per periodi limitati, è possibile usufruire di un servizio di assistenza pedagogica a domicilio (Service d’Assistance Pédagogique à Domicile, SAPAD). Alla fine dell’ultimo anno di scuola secondaria, l’alunno deve essere in grado di accedere a un istituto regionale di insegnamento adattato (Établissement Régional d’Enseigne-ment Adapté, EREA) oppure a un centro di formazione per l’apprendistato (Centre de Formation des Apprentis, CFA), per conseguire un titolo di studio e, quindi, un lavoro.Laddove non sia possibile accedere all’insegnamento specializzato, esistono anche altre strutture (non dipendenti dalla Pubblica Istruzione, bensì dal settore medico-educativo), che consentono l’apprendimento di competenze scolastiche minime, soprattutto dell’autonomia e della socialità (si veda oltre).Nonostante gli sforzi imponenti legati alla legge del 2005, c’è un grosso divario tra la teoria am-ministrativa e la pratica: la disponibilità locale è spesso insufficiente, cosicché l’indicazione per una scuola di un tipo o di un altro di pedagogia specializzata è spesso maggiormente legata alle strutture che esistono localmente che non ai bisogni propri del bambino; inoltre, qualsiasi siano le buone intenzioni dichiarate (possibilità di recupero per un inserimento futuro nel normale circuito scolastico, migliore presa in carico del singolo caso, ecc.), molte di tali strutture hanno finora funzionato più come fattori di esclusione che non come possibilità di reinserimento. È per ciò che, in pratica, ci sembra che si debba tentare tutto il ragionevolmente possibile sia con il bambino sia con la famiglia prima di ricorrere a queste soluzioni.

approccio psicoterapeutico

Può trattarsi di una psicoterapia di sostegno o di una psicoterapia di ispirazione analitica (Cap. 27). La sua indicazione dipende dal ruolo della sintomatologia deficitaria nell’ambito dell’or-ganizzazione psicopatologica: quanto più il deficit sembra essere associato a una sofferenza psicoaffettiva, testimoniata dall’angoscia o da diverse condotte patologiche associate, tanto più indicata ci appare la psicoterapia. Le psicoterapie comportamentali possono avere un’utilità nell’elaborazione dei comportamenti devianti, oppure per superare difficoltà nell’acquisizione di procedure indispensabili per l’autonomia. Possono essere proposte da educatori appositamente formati e richiedono una buona analisi funzionale dei comportamenti sui quali lavorare.L’approccio familiare come guida, come psicoterapia familiare o terapia della coppia madre-bambino non deve essere trascurato. Il bambino insufficiente mentale suscita sempre difficoltà relazionali all’interno della sua famiglia: tendenza al rifiuto o alla iperprotezione, rinuncia di fronte alla gravità dell’handicap o rifiuto di questo. All’interno della stessa coppia parentale, il bambino insufficiente si frappone tra padre e madre, reagendo spesso il padre con rassegnazione o ignoranza, mentre la madre si trova più o meno coscientemente avviluppata in una relazione troppo stretta con il proprio bambino, oscillando tra attitudini di addestramento e un comporta-mento sottomesso di fronte alle sue esigenze.La graduale presa di coscienza in un clima che non sia né colpevolizzante, né aggressivo, può aiutare genitori e bambino. Allorché prevalgono mediocri condizioni socioeconomiche, un aiuto più concreto per la famiglia (lavoratore sociale, aiuto familiare) può essere temporaneamente utile purché non si trasformi in un’assistenza cronica.

misure istituzionali

È opportuno distinguere fra le diverse istituzioni che rappresentano strutture ambulatoriali di presa in carico e di cura: per i bambini di età inferiore ai 6 anni, esistono i centri di azione medico-sociale precoce (Centres d’Action Médico-Sociale Précoce, CAMSP, polivalenti oppure specializzati in un solo tipo di handicap, multidisciplinari, dipartimentali); per bambini di età

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superiore ai 6 anni e adolescenti, esistono servizi di istruzione speciale e di cura a domicilio (Ser-vices d’Éducation Spéciale et de Soins à Domicile, SESSAD, multidisciplinari, con possibilità di intervento a domicilio o nelle scuole). Per quanto riguarda le cure psichiatriche, psicologiche e la rieducazione, esistono centri medico-psicologici (Centres Médico-Psychologiques, CMP), che dipendono da un ospedale (settore psichiatrico), e i centri medico-psicopedagogici (Centres Médico-Psycho-Pédagogiques, CMPP), a carattere associativo.La collocazione istituzionale in esternato presenta il vantaggio di raggruppare nello stesso luo-go delle possibilità di azione psicoterapica e delle misure pedagogiche adattate. Tuttavia, crea una rottura rispetto all’ambiente consueto. A titolo di esempio, si ricordino gli istituti medico-educativi (Instituts Médico-Éducatifs, IME), strutture per bambini affetti da handicap mentali, che comprendono gli istituti medico-pedagogici (Instituts Médico-Pédagogiques, IMP) per i bambini di età compresa fra 6 e 12-14 anni, e gli istituti medico-professionali (Instituts Médico-Professionnels, IMPro). Fra le altre strutture si ricordano gli istituti terapeutici, educativi e peda-gogici (Instituts Thérapeutiques, Éducatifs et Pédagogiques, ITEP), che accolgono i giovani di età compresa fra 12-14 e 20 anni affetti da disturbi del comportamento.Riguardo alla collocazione in internato, si tratta di un provvedimento che deve essere preso in considerazione soprattutto allorché il bambino sia in situazione di rifiuto, allorché la sua continua presenza a casa sia fonte di un grave conflitto che non può, nel momento attuale, esse-re mobilizzato, allorché la profondità dell’insufficienza costringa totalmente un membro della famiglia al servizio di questo encefalopatico profondo. Per i pazienti più gravi, è ovviamente possibile ricorrere alle modalità di ricovero classico (degenza oppure day hospital), oppure a centri di azione terapeutica a tempo parziale (Centres d’Action Thérapeutique à Temps Partiel, CATTP), che consentono una presa in carico sanitario organizzata in mezza giornata e consento-no quindi allo studente di frequentare la scuola.

BamBini ad alto potenziale coGnitiVo1

definizioni

Se le tematiche dell’intelligenza e del pensiero rappresentano da molto tempo un ambito di in-dagine molto ampio, recentemente anche la tematica dell’alto potenziale cognitivo ha iniziato a suscitare un certo interesse. Può essere comunque interessante ricordare che il principale studio statistico di Terman, docente di psicologia presso l’Università di Stanford, su questo argomento iniziò nel 1921. Questo studio longitudinale era incentrato sul follow-up di circa 1.500 studenti californiani (“termiti”) per oltre 70 anni (dal 1921 al 1994). Il tema dei bambini con un livello di efficienza intellettiva superiore è attualmente all’origine di svariati interrogativi, a partire dalla loro denominazione e dall’attenzione rivolta a questi bambini (precocità intellettiva, potenziale, dono oppure talento). La terminologia utilizzata varia a seconda dei concetti teorici sottostanti.Il termine superdotato rimanda, da un lato, a un eccesso, a una competenza sovradimensionata e, dall’altro, al dono ricevuto e alle aspettative che questo può determinare, in particolare nei confronti della famiglia (genitori, fratelli). Sembra, tuttavia, che l’impiego del termine superdo-tato ponga diversi problemi. Ad esempio, è possibile osservare uno scivolamento dell’impiego del termine: l’aggettivo superdotato diventa presto l’appellativo principale del bambino, talvolta addirittura un sostantivo, “il superdotato”. Il rischio principale, per il bambino così come per l’ambiente familiare, scolastico o sociale, consiste nel fatto che il bambino venga a esistere ed essere definito esclusivamente in virtù della propria condizione speciale (il termine “plusdota-zione” proviene dal Quebec, dove è stato utilizzato per la prima volta nel 1980).Parimenti, il termine precocità intellettiva rimanda a un divario esistente fra il ritmo di sviluppo intellettuale del bambino e il ritmo proposto dal percorso scolastico classico, corrispondente

1Redazione: S. Tordjman, Centre national d’aide aux enfants et adolescents à haut potentiel, CHU Guillaume Régnier, Rennes.

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all’età anagrafica. Il termine di precocità intellettiva è ampiamente utilizzato nell’ambito scola-stico e risponde a una logica di salto di classe, una soluzione che può accontentare il bambino, ma che non è completamente soddisfacente. Se il termine precocità intellettiva infatti traduce bene il progresso dello sviluppo cognitivo del bambino, non tiene però conto di quello che avvie-ne anche sul piano del suo sviluppo affettivo. Infine, come definire un adolescente, un giovane adulto o un adulto di 50 anni che presenta un potenziale intellettivo superiore? Il termine di “precocità intellettiva”, quindi, non sembra più indicato.Il termine talento, dal canto suo, rimanda a una spiccata capacità del bambino in un campo particolare e specifico (ad esempio, talento musicale); il suo impiego, quindi, non può essere esteso a tutti i bambini ad alto potenziale cognitivo. Il termine, tuttavia, presenta un certo inte-resse, in quanto solleva la seguente domanda (che ci si potrebbe porre di fatto per tutti i bambi-ni ad alto potenziale cognitivo in difficoltà): lo sviluppo cognitivo atipico e precoce comporta disturbi dello sviluppo affettivo? Oppure, al contrario, disturbi dello sviluppo socio-affettivo determinano un eccezionale investimento cognitivo da parte del bambino? Si potrebbe ritenere che i disturbi delle interazioni precoci comportino un isolamento sociale del bambino, il quale determinerebbe uno sviluppo modulare con un eccezionale investimento cognitivo in un ambito specifico, che si tradurrebbe quindi in un talento. Il percorso potrebbe, tuttavia, essere inverso. Si potrebbe anche pensare che un bambino precoce, in virtù di questa differenza (anche relati-vamente all’accesso a uno status, un’identità di superdotato che le persone a lui vicine possono contribuire ad alimentare), rischi di essere rifiutato dal proprio ambiente sociale e isolato, con un vissuto persecutorio comune in molti bambini ad alto potenziale cognitivo in difficoltà (vissuto di situazioni di esclusione e vittimizzazione). Appare difficile stabilire con certezza il contributo dell’aspetto cognitivo e affettivo allo sviluppo di un elevato potenziale cognitivo e del talento; a maggior ragione, poiché i due aspetti possono rafforzarsi vicendevolmente, fino a formare un vero e proprio circolo vizioso. Per terminare questa importante discussione terminologica, infine, molti professionisti utiliz-zano attualmente (una scelta adottata anche nel resto del presente capitolo) il termine di alto potenziale cognitivo, che rende conto delle capacità cognitive di questi bambini, ma anche del fatto che il potenziale (come indicato dal nome stesso) può esprimersi oppure, al contrario, es-sere inibito dalle loro difficoltà.L’esistenza di bambini ad alto potenziale cognitivo non è contestabile, mentre vari sono i criteri distintivi. Il livello elevato delle performance intellettuali, in genere, serve, con la sua traduzione in quoziente intellettivo (QI), da punto di riferimento. La scelta di un QI superiore a 130 per definire un alto potenziale cognitivo si basa sull’analisi della distribuzione del QI di Wechsler su una curva gaussiana, nella quale la media è 100 e la deviazione standard 15 (si veda sopra). Altri autori, come Wechsler e Terrassier, tengono in considerazione l’intervallo di confidenza (IC) di ±6 punti della scala WISC-IV e parlano di alto potenziale cognitivo in presenza di un QI superiore a 125 (superiore a 120 per Sisk). Alcuni autori ritengono invece che il QI debba essere almeno 135, oppure perfino superiore a 140; questo accade, ad esempio, in Cina, dove il numero di bambini con un QI compreso fra 130 e 140 è così elevato da costringere a innalzare la soglia del QI oltre 140, per garantire la possibilità di istituire programmi su misura per i bambini ad alto potenziale cognitivo. Di fatto, il QI è un indicatore relativo di alto potenziale cognitivo, la cui validità può essere messa in discussione quando i bambini presentano un profilo cognitivo eterogeneo. Chauvin, da parte sua, ritiene che l’apprendimento spontaneo, senza forzamento familiare, della lettura fin dai 4-5 anni sia un buon elemento di riferimento per i bambini ad alto potenziale cognitivo, che presentano spesso uno sviluppo precoce del linguaggio, con un grande interesse per la lettura. Tuttavia, il criterio intellettivo non dovrebbe essere esclusivo, essendo altrettanto validi altri settori delle funzioni cognitive, come la creatività. È stato quindi realizzato un test della creatività (EPoC; Lubart et al., 2011) nell’ambito delle azioni per la valutazione del funzionamento cognitivo proposte dal Centro nazionale francese per l’aiuto ai bambini e agli adolescenti ad alto potenziale cognitivo (Centre National d’Aide aux enfants et Adolescents à Haut Potentiel, CNAP), che dipende da un servizio pubblico e accoglie bambini provenienti da tutta la Francia (Tordjman, 2010). Da ultimo, è opportuno ricordare in questa sede che le scale di valutazione del funzionamento cognitivo non misurano direttamente un potenziale, bensì i suoi risultati, vale a dire le competenze (che dipendono anche da fattori ambientali e dalla motivazio-

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ne del bambino). Le scale di misurazione del QI sono semplici strumenti, e tali devono rimanere. Si tratta di strumenti indubbiamente preziosi, tuttavia i punteggi da essi ricavati devono essere contestualizzati dallo specialista nella dimensione ambientale del soggetto (ambiente familiare, sociale e scolastico) e della sua storia particolare.

aPPRoccio ePidemiologico

La frequenza di bambini ad alto potenziale cognitivo rispetto all’insieme della popolazione pre-scolastica e scolastica dipende, ovviamente, dal limite inferiore considerato. In Francia, questi bambini rappresentano il 2,3% dei bambini scolarizzati di età compresa fra 6 e 16 anni, vale a dire 200.000 bambini (un bambino su 40 oppure un bambino circa per ogni classe, considerando come discriminante un QI pari almeno a 130). Si stima che un terzo di questi bambini presenti difficoltà psicologiche e scolastiche (il 30% di questi bambini non accede poi al liceo, rapporto Delaubier, 2002). È opportuno sottolineare come i bambini ad altissimo potenziale cognitivo (QI >160) siano una rarità. Si riscontra, inoltre, una prevalenza superiore nei maschi, con una frequenza elevata fra i fratelli maggiori.

difficoltà del bambino suPeRdotato

L’interesse dedicato ai bambini ad alto potenziale cognitivo trascina un’attenzione accresciuta alle loro difficoltà. Nell’insieme, queste difficoltà sono dovute a un divario che esiste tra maturità intellettiva troppo precoce e altri settori.

squilibrio sociale

Il bambino ad alto potenziale cognitivo, particolarmente in campo intellettivo, è in continuo squilibrio rispetto alla sua classe di età: i suoi gusti e interessi intellettuali lo conducono a inte-grarsi in un gruppo di bambini più grandi, mentre la sua maturità fisica e affettiva lo avvicina più spesso a quelli della sua età. All’interno della famiglia, lo stesso stacco è frequente fra la maturità del bambino e il livello di esigenza o di dipendenza richiesto dai genitori.

squilibrio interno

Come per lo studio del bambino affetto da insufficienza mentale, lo studio delle diverse capacità del bambino ad alto potenziale cognitivo evidenzia un’eterogeneità di livello che Terrassier pro-pone di chiamare dissincronia. Così, «globalmente i bambini superdotati sul piano intellettivo non hanno la stessa precocità sul piano psicomotorio». Se possono apprendere la lettura fin dai 4-5 anni, l’apprendimento della scrittura è difficile per la relativa goffaggine motoria, cosicché il bambino può sviluppare una reazione di intolleranza verso le modalità espressive scritte. Si nota anche uno stacco tra il livello delle prove verbali e quello delle prove non verbali, a favore di queste ultime. Infine, lo squilibrio è frequente tra una maturità intellettiva avanzata e una ma-turità psicoaffettiva più vicina all’età cronologica.

manifestazioni psicopatologiche

Il dislivello interno e sociale del bambino ad alto potenziale cognitivo può essere fonte di sof-ferenza, ma non deve essere considerato in sé anormale. All’opposto, può suscitare la comparsa di condotte più patologiche: i bambini ad alto potenziale cognitivo sembrano così essere so-vrarappresentati in una popolazione di bambini con problemi (G. Prat). I sintomi più spesso riscontrati sono l’instabilità e l’insuccesso scolastico paradossale; questo insuccesso scolastico, il cui rischio è ricordato da tutti gli autori, riguarda ora il disinteresse, ora il non desiderio verso le attività scolastiche, soprattutto allorché il bambino sia trattenuto nella classe che corrisponde alla sua età reale, ora meccanismi più patologici: inibizione intellettiva, attitudine all’insuccesso.

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Queste manifestazioni possono essere ricollegate alla frequente esistenza di una grave angoscia. I bambini ad alto potenziale cognitivo sono facilmente ansiosi: l’angoscia esistenziale (domande sulla morte, su Dio), l’angoscia nevrotica possono, d’altro canto, sfociare in vere organizzazioni patologiche, soprattutto nevrotiche: la comparsa di condotte ossessive causate da questa estrema maturità dell’Io è anche frequente (Cap. 15).

evoluzione nel lungo periodo

Per Terman et al., i bambini mantengono una buona capacità intellettiva. La loro condizione di-pende tanto dalla situazione sociale dei genitori, quanto dalle capacità personali. Questa conser-vazione delle capacità intellettuali non viene osservata nello studio di Prat (1979), il quale mette invece in evidenza il fatto che molti bambini presentino un’efficienza ridotta quando inseriti in condizioni ambientali sfavorevoli. Grégoire2, docente di psicologia in Belgio e specialista nelle misurazioni dell’intelligenza, rimarca che l’espressione del potenziale non è obbligatoriamente costante nel corso dello sviluppo.

condotte teRaPeutiche e Pedagogiche

Parlando delle diverse modalità terapeutiche di presa in carico, sembra importante inserire il bambino in un approccio omnicomprensivo che prenda in considerazione il suo sviluppo cogni-tivo, socioaffettivo e psichico, lavorando quindi in un contesto multiprofessionale. L’esistenza di una molteplicità di approcci terapeutici appare fondamentale nella presa in carico dei bambini ad alto potenziale cognitivo in difficoltà, al fine di poter proporre e applicare un percorso di cura quanto più appropriato. Sembra altresì fondamentale contestualizzare i sintomi all’interno della dinamica familiare, interrogandosi in particolare sul significato di questa plusdotazione per i diversi membri della famiglia. Alcuni genitori che hanno vissuto in prima persona l’esperienza di essere un soggetto “superdotato ma in difficoltà” si aspettano che il figlio rinunci al proprio potenziale per rientrare nella norma oppure, all’opposto, che si impegni come in una missione, perché possa avere successo là dove loro hanno fallito. Se tali aspetti non vengono colti, si tra-scura una parte consistente del progetto terapeutico, che deve quindi assumersi la responsabilità di un’azione a livello familiare.Più in generale, sembra importante ricollocare il bambino all’interno del suo ambiente fami-liare, scolastico e sociale, per comprendere meglio le sue difficoltà, fornirgli un supporto in merito al contesto situazionale e agevolare l’espressione del suo potenziale elevato partendo da un allentamento delle inibizioni. Queste osservazioni implicano anche alcune raccomanda-zioni educative, sia per i genitori, sia per la scuola (o la società). Solo così sembra possibile valorizzare e stimolare la creatività, nell’interesse dei bambini ad alto potenziale cognitivo e di tutti i bambini, invece di favorire il conformismo e la mancata assunzione di rischi. Parimenti, l’ambiente familiare, scolastico e sociale potrà concentrarsi sulle capacità del bambino, piuttosto che sulle sue manchevolezze. L’autostima e la solidità delle basi narcisistiche favoriscono nel bambino lo sviluppo dello sforzo, della perseveranza e dell’elasticità; consentono di superare i fallimenti, le difficoltà scolastiche o di relazione; consentono di non costruire la propria identità sul fallimento («non valgo nulla»). In tale approccio globale al soggetto, è importante lavorare sulle correlazioni, fra le quali il legame fra corpo e intelletto, insistendo in particolare sulla coesione emotiva e corporea, tutto a vantaggio dell’intervento terapeutico in rete, nel quale si intrecciano legami fra le varie istituzioni, équipe e figure professionali, nel rispetto delle speci-fiche competenze e delle funzioni ben distinte di ciascuna. Questo lavoro interconnesso offre un modello della rappresentazione dei legami e della differenziazione che entra in risonanza con le difficoltà dei bambini ad alto potenziale cognitivo, i quali spesso presentano problematiche relazionali rispetto ai seguenti aspetti:

2Comunicazione personale, 2011.

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OO problemi di regolazione delle emozioni legati, fra l’altro, alla separazione esistente fra un eccessivo investimento intellettuale e un’inibizione corporea;OO disturbi relazionali, evidenziati peraltro dal mancato utilizzo delle notevoli competenze di

linguaggio nell’ottica di una comunicazione sociale.

Al di fuori dei comportamenti psicopatologici, che richiedono adatte misure terapeutiche, il prin-cipale problema è quello della pedagogia, particolare o non, da offrire a questi bambini. In alcuni Paesi sono state prese misure su scala nazionale da alcuni anni. Esse sono così suddivise:

OO creazione di classi speciali per bambini ad alto potenziale cognitivo: queste classi o struttu-re speciali possono essere appropriate qualora lo sviluppo del bambino proceda correttamente, tuttavia non rappresentano la modalità di scolarizzazione più indicata per i bambini ad alto po-tenziale cognitivo in difficoltà. Lo studio di Hertzog (2003), condotto su 50 giovani suddivisi in classi o istituti per bambini precoci, fornisce interessanti delucidazioni: la maggior parte di questi giovani riferiva di aver vissuto negativamente la separazione dagli altri alunni, di essersi sentita stigmatizzata, pur riconoscendo i benefici a livello pedagogico offerti da questi program-mi speciali di scolarizzazione;OO permanenza del bambino ad alto potenziale cognitivo nella sua classe di età, ma con un sup-

plemento pedagogico adatto, sia all’interno della scuola, sia in un altro luogo, al di fuori delle ore scolastiche. Si possono ricordare i programmi di approfondimento e di arricchimento che propongono ai bambini ad alto potenziale cognitivo attività che consentano loro di sviluppare il potenziale. Il più noto, negli Stati Uniti, prende il nome di schoolwide enrichment model di Renzulli;OO assenza di misure collettive particolari se non, a livello individuale, il salto di una classe.

Spesso criticato e sempre meno utilizzato da 50 anni circa, il salto di classe tuttavia può attenuare le difficoltà degli alunni ad alto potenziale cognitivo. Lautrey (2006) scrive che «la riluttanza da parte dei docenti nei confronti del salto di classe si riferisce più ad alcuni casi incontrati durante la loro carriera che non a documenti scientifici oppure a statistiche». Agli occhi dell’autore, ciò appare ancora meno apprezzabile, poiché le statistiche pubblicate dal Ministero francese della Pubblica Istruzione dimostrano un effetto abbastanza positivo di questa accelerazione. A ogni modo, sembra importante discutere caso per caso l’indicazione del salto di una classe, esaminan-dola insieme al bambino e alla famiglia.

Ogni provvedimento ha i suoi pregi e i suoi difetti, i suoi denigratori e i suoi sostenitori, poi-ché dietro al problema posto dai bambini superdotati si profilano anche i problemi della genetica, dell’intelligenza e della morale politica degli individui (egualitarismo o elitarismo, ecc.). Tenuto nella sua classe di età, il bambino superdotato spesso intristisce, si disinteressa della scuola, soffre del suo divario intellettivo. La creazione di classi speciali gli dà, senza dubbio, una pedagogia ade-guata, stimola la sua creatività, gli permette un migliore inserimento nel gruppo, ma tutto ciò porta a favorire coloro che sono già i più favoriti (rinforzo dell’ineguaglianza sociale), a dare un senso di superiorità, a entrare in una competitività nefasta. In maniera più generale, i metodi adeguati possono determinare sia un’accelerazione, sia un arricchimento dell’insegnamento. Infine, più che un approccio pedagogico specifico, è forse opportuno evidenziare il ruolo cruciale dell’insegnante, il quale, nel contesto di un incontro umano con il bambino, può aiutarlo a esprimere il proprio potenziale, sviluppare la propria autostima, consentire di impegnarsi nella scolarizzazione e acce-dere alla socializzazione. Anche in questo caso, lo studio di Hertzog (2003) offre un’interessante argomentazione, che ci mostra come gli studenti arruolati riferivano che la principale differenza fra i programmi speciali di scolarizzazione per alunni precoci e le classi “normali” era, a loro avviso, il fatto che gli insegnanti fossero migliori e maggiormente entusiasti.Complessivamente, sembra difficile stabilire quale sia la migliore presa in carico pedagogica per i bambini ad alto potenziale cognitivo. In questo ambito mancano ricerche longitudinali per poter discutere scrupolosamente dell’efficienza di queste diverse modalità di scolarizzazione, tenendo conto del vissuto e della maturazione dei bambini. Più in generale, non vi sono molte ricerche empiriche condotte sui bambini ad alto potenziale cognitivo, nell’ambito pedagogico come in quello dell’efficacia delle diverse modalità di presa in carico, della pertinenza delle va-

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lutazioni psicologiche o, ancora, della prevalenza delle loro difficoltà psicoaffettive, scolastiche e comportamentali. Sono ancora molti gli stereotipi che circondano la figura del bambino ad alto potenziale cognitivo, come quello che racconta di una frequenza anormalmente elevata di dislessia in questi bambini. Queste osservazioni sottolineano quanto sia importante sviluppare, in questi ambiti, ricerche condotte su vaste coorti di bambini, con l’obiettivo di fornire risposte a queste domande.

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