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SCHEDE DIDATTICHE Scheda A Laboratorio A caccia di segni globali nella nostra vita quotidiana Obiettivo. Mostrare come la realtà della globalizzazione sia un fenomeno che riguardi tutti noi. Svolgimento I partecipanti vengono divisi in gruppi di 5-6 persone. Ad ogni gruppo viene fornita una scheda dove possano essere raccolte le osservazioni dei partecipanti riguardanti oggetti (vestiti, scarpe, zaini, borse…). Ogni gruppo dovrà indicare nella prima colonna della scheda il nome dell’oggetto osservato e nella seconda la sua provenienza per ciascun componente del gruppo. Da ciò verrà fuori una varietà di provenienze e il conduttore potrà chiedere ai partecipanti cosa questo lasci intendere, ad esempio il fatto che sempre più le vite delle persone nel mondo sono legate. CAMBIA...MENTI: Progetto sulla cittadinanza attiva Percorso 1 - Globalizzazione e fraternità 1

A caccia di segni globali nella nostra vita quotidiana · CAMBIA...MENTI: Progetto sulla cittadinanza attiva Percorso 1 - Globalizzazione e fraternità 8. Scheda E Gioco: Arra!a e

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SCHEDE DIDATTICHEScheda A

Laboratorio

A caccia di segni globali nella nostra vita quotidiana

Obiettivo. Mostrare come la realtà della globalizzazione sia un fenomeno che riguardi tutti noi.

SvolgimentoI partecipanti vengono divisi in gruppi di 5-6 persone. Ad ogni gruppo viene fornita una scheda dove possano essere raccolte le osservazioni dei partecipanti riguardanti oggetti (vestiti, scarpe, zaini, borse…).

Ogni gruppo dovrà indicare nella prima colonna della scheda il nome dell’oggetto osservato e nella seconda la sua provenienza per ciascun componente del gruppo.

Da ciò verrà fuori una varietà di provenienze e il conduttore potrà chiedere ai partecipanti cosa questo lasci intendere, ad esempio il fatto che sempre più le vite delle persone nel mondo sono legate.

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Oggetto Provenienza (Made in…)

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Scheda B

Gioco: La torta mondiale

Permette di avviare in maniera divertente una riflessione sulle differenze fra i livelli di consumo dei paesi ricchi e quelli dei paesi

poveri.

Il conduttore porta nella stanza dove si lavora una bella torta e promette ai partecipanti al gioco che ciascuno ne avrà una fetta, prima però i giocatori dovranno cambiare identità: ciascuno dovrà assumere il ruolo di rappresentante di uno Stato aderente all’ONU.

Lo Stato da rappresentare non si sceglie a piacere, ma si pesca a sorte da un mazzetto di bigliettini preparato in anticipo dal conduttore.Naturalmente i bigliettini sono dello stesso numero dei giocatori e su ciascuno di essi c’è scritto il nome di uno Stato diverso.

Quando finalmente si siedono a tavola, i giocatori scoprono che la fetta di torta a cui hanno diritto non è uguale per tutti, ma è proporzionale al reddito medio pro-capite dei cittadini dello Stato che ciascuno rappresenta.

Le reazioni e le considerazioni dei giocatori di fronte a questo fatto consentono di aprire un dibattito sulla iniqua distribuzione della ricchezza.

TEMPI: in questo gioco la durata non è importante; ciò che conta è che non vi siano tempi morti e per evitare questo rischio il conduttore deve avere un assistente.Infatti mentre intrattiene i giocatori e li guida nell’assunzione della nuova identità, l’assistente prepara i piatti e taglia le fette di torta corrispondenti al reddito di ciascun paese senza farsi notare.

Naturalmente quest’ultimo dispone di una seconda serie di bigliettini, che userà come segnaposto, su cui – oltre al nome del Paese – figura il reddito medio pro-capite dei suoi cittadini.

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(tratto da NERO E NON SOLO – progetto ARCI)Scheda C

Gioco: Storie di vita dei produttori del sud.Al mercato di San Cristobal

Analizzare i meccanismi del commercio: l'intermediazione

TEMPO: 45 minutiVengono distribuite le “carte dei ruoli”:Il commerciante - compri le merci che portano gli indigeni dei dintorni, le vendi ad altri indigeni, cercando di guadagnare più denaro possibile, anche al momento di fare i conti e dare il resto. Il tuo obiettivo è però anche quello di aver venduto tutto alla fine del mercato . Ti consideri superiore agli indigeni, per cui ti rivolgi a loro usando "tu" oppure "Oh".

8 indigeni - tutti gli scambi avvengono attraverso il commerciante, cui dai del “Lei”:

• il primo è l’indiano di Chamula: vuoi procurarti ceramica: per disporre di denaro a questo scopo, vendi legna da ardere; devi pensare che hai un grosso bisogno di questi prodotti di ceramica;

• il secondo è l’indiano di Amatenango: vendi ceramica per comprare legna da ardere;

• il terzo è l’indiano di Zinacantan: vendi sale e hai bisogno di fibre e corda;

• il quarto, l’indiano di Oxchuc, viceversa: porti fibre e corda e hai bisogno di sale;

• il quinto è l’indiano della Selva Lacandona: vendi miele e compri maglioni;

• il sesto è l’indiano di Tuxtla: compri miele e vendi maglie;• il settimo è l’indiano di Huixtla: vendi caffè e compri ricami;• l’ottavo è l’indiano di Ixtepec: vendi ricami e compri caffè.• 2 turisti europei - volete comprare ricordi di viaggio in Messico,

fate foto, vi rivolgete in inglese a tutti;• sapete dire in spagnolo solo "gracias, bien, quanto?".

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In un gioco di ruolo è consigliabile una fase preparatoria in cui i partecipanti vengono guidati a calarsi meglio nella parte da interpretare. Perciò, dopo la distribuzione delle carte, il conduttore fa delle brevi interviste agli “attori”: “Chi sei? Cosa vuoi comprare? E cosa vendi? Da chi puoi vendere o comprare la merce? Come ti rivolgi al commerciante?” .Segue il role-play. Segue la discussione (parole chiave : multinazionali, sfruttamento, ingiustizia sociale, intermediazione).

(liberamente tratto da "Il viaggio. Percorsi didattici interdisciplinari di educazione alla pace e al dialogo interculturale" – a cura dell’IRRSAE VENETO – EMI 1995, pag. 123)

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Scheda D

Gioco: Ricomponiamo il mondo

E' il titolo di un gioco cooperativo, tratto da un manuale inglese e

ripreso dall'MCE (Movimento della Cooperazione Educativa), che mette insieme la carta di Peters e la comunicazione non verbale.

E' adatto per la scuola media.Puoi trovare questo gioco, assieme a molti altri percorsi didattici

interdisciplinari di educazione alla pace e al dialogo interculturale nel libro "IL VIAGGIO", curato dall'IRRSAE Veneto per la EMI edizioni.

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Obiettivi· Stimolare la riflessione sulle forme di CNV (comunicazione non

verbale)· Incoraggiare la cooperazione e l'empatia

· Stimolare in maniera concreta l'osservazione delle forme.

Preparazione

Questa è un'attività da fare in gruppi di 5 ragazzi.

Occorrono sufficienti copie delle 5 cartine di Peters (guarda in fondo alla pagina) in modo che ogni gruppo ne abbia una serie completa. Le cartine dovrebbero essere ritagliate dall'insegnante lungo le linee indicate ed i pezzi così ottenuti vanno raggruppati per lettera e quindi inseriti in 5 buste etichettate con le stesse lettere (da A a E).

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Ogni gruppo riceverà una serie completa di buste, con 5 pezzi di cartina in ogni busta (è anche possibile fornire una carta muta come esempio).

Procedura

Ogni gruppo di 5 siede intorno ad un tavolo ed ogni membro del gruppo riceve una busta diversa. Le buste non devono essere ancora aperte. Vengono date le seguenti istruzioni:

- ognuno di voi ha una busta contenente alcuni pezzi di una cartina del mondo;- il vostro gruppo farà 5 cartine uguali;-non avrete finito finché ciascuno di voi non avrà una cartina che sembri uguale a quella degli altri;- ci sono due regole semplici: la prima è che durante il gioco non bisogna parlare né usare alcuna forma di comunicazione (segni, gesti della testa, occhiatine...); la seconda è che non potete prendere pezzi da qualcun altro. Vi è solo concesso di dare i vostri pezzi ad altri membri del gruppo ai quali pensate possano servire.

Discussione

Forse i ragazzi all'inizio vorranno parlare di ciò che è accaduto. Poi possono proseguire parlando dei loro sentimenti: frustrazione, irritazione, ansia per essere incapaci di realizzare una cartina completa, invidia per quelli che ci riescono, disappunto per dover smantellare la propria mappa per il bene del gruppo. o soddisfazione per come si è svolto il lavoro nel proprio gruppo.

Alla classe può essere chiesto quanto sia stato facile o difficile mettersi nei panni di altri membri del gruppo, quando probabilmente questi erano in ansia per la propria cartina. Si può anche discutere sulla difficoltà di immedesimarsi con il gruppo come un tutto, di vedere l'esercizio come un lavoro di tutti i membri, quindi da risolvere insieme piuttosto che come una gara da disputare da soli.

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Come si sono sentiti quando altri vedevano di quali pezzi avevano bisogno e glieli fornivano? Sarà quindi interessante verificare quanto i partecipanti sì siano attenuti alle regole e eventualmente di che elementi di comunicazione abbiano fatto uso.

Dal lavoro svolto potranno inoltre scaturire ulteriori riflessioni sulla posizione e la forma dei continenti presentate dalla proiezione Peters.

Una variante:

Il gioco aumenta di difficoltà e permette una interessante discussione per il concetto di etnocentrismo se le cartine originali da ritagliare presentano al centro, per esempio, il continente asiatico, o quello americano, o l'Australia. E un lavoro di ricomposizione della carta che Peters stesso suggerisce e per il quale ben si prestano le cartine mute.

Qui sotto puoi vedere le 5 Carte di Peters che si possono trovare sul sito internet http://www.scuolaacolori.it/

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Scheda E

Gioco: Arraffa e riarraffa

da “L’economia giocata. Giochi di simulazione per percorsi educativi verso una società sostenibile” di M. Morozzi-A.Valer – EMI 2001, pp. 225-229

E’ un approfondimento sulle problematiche ambientali (concetti di risorsa e di limite delle risorse);

Obiettivi: riflettere sull'importanza del "limite" specie delle risorse naturali; compiere scelte sulla base di criteri di sostenibilità (o

insostenibilità); agire autonomamente e razionalmente senza essere influenzati dal comportamento del gruppo; imparare ad accordarsi

con gli altri; partecipare, esprimere opinioni e confrontare i reciproci punti di vista.

Arraffa(20 minuti + 30-60 min. per il debriefing)

Per giocatori dai 10/12 anni in su.

Servono: un animatore ogni 10 giocatori (o ogni 15/20 se si utilizza parte dei giocatori come osservatori), molte graffette (o semi di legumi, stuzzicadenti...), un tavolo intorno a cui i giocatori stiano seduti comodamente.

• Si dispongono 8/10 giocatori intorno a un tavolo e i rimanenti alle loro spalle come osservatori.

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• Sul tavolo si mettono a disposizione dei giocatori 2n+2 fermagli, la posta in gioco (se i giocatori, indicati con n, sono 10, i fermagli saranno 22).

• Si leggono insieme le regole del gioco (meglio se sono scritte su un cartellone): vince chi raggiunge 2n+4 fermagli (es.: 24 fermagli) scegliendo la strategia più opportuna.

• Al "Via" del conduttore ciascun giocatore cercherà di prendere i fermagli.

• Allo "Stop" verrà raddoppiato il numero di fermagli rimasti sul tavolo senza superare la prima posta.

Il conduttore non può rispondere alle domande dei giocatori. Si verificherà che i giocatori al “via” si impadroniranno subito di tutti i fermagli: in questo caso il conduttore dichiarerà finito il gioco e ritirerà i fermagli senza dare spiegazioni, e poi inviterà i giocatori a riprovare.

Rilette le regole, tra i giocatori può sorgere la necessità di una riflessione per arrivare ad accordi per favorire il raddoppio dei fermagli e continuare a giocare. II conduttore può disturbare i tentativi di accordo ridando improvvisamente il via: può accadere che qualcuno, incurante della discussione in atto o degli accordi realizzati, cercherà di "arraffare" il tutto, magari senza raggiungere il numero richiesto di fermagli per vincere.

II conduttore potrà fare vari tentativi in modo che si manifestino diverse dinamiche. Su decisione del conduttore (per aver fatto un numero determinato di tentativi o per scadere del tempo), il gioco viene interrotto.

Debriefing:

• I fase: Alla fine del gioco, qualunque essa sia, si inviteranno i giocatori, individualmente, a far emergere le impressioni e a

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motivare il proprio comportamento durante l'attività. Una "lettura" di quanto accaduto potrà anche essere richiesta agli osservatori.

• II fase: Quale è stato il risultato del gioco? Come hanno interagito i giocatori? Come si sarebbe potuto concludere il gioco in alternativa? Che cosa ha facilitato e che cosa ha ostacolato il raggiungimento dell'obiettivo per ciascun giocatore? E per tutti i giocatori insieme?

• III fase: Si invitano quindi i giocatori a riflettere sulle possibili analogie con la realtà (ad esempio: fermagli = risorse; dinamiche tra i giocatori = modalità di approccio con le risorse). Lo sfruttamento egoistico e illimitato (che corrisponde all’ "arraffare" i fermagli) delle risorse impedisce il loro rinnovo e porta all'esaurimento delle stesse, mentre solo l'utilizzo limitato e rispettoso delle capacità rigenerative della natura garantisce beneficio per tutti per lungo tempo: è indispensabile un'autolimitazione e un'autoregolamentazione per evitare di giungere al punto di non ritorno (quando cioè finisce il gioco senza vincitori).

È inoltre possibile inserire all'interno del debriefing (o prima, come variante dell'altro gioco) un'attività che affronta l'altra faccia della medaglia: i rifiuti.

Riarraffa

La posta è composta da 5n di fermagli, distribuiti dal conduttore in modo casuale e assolutamente sproporzionato tra i giocatori (chi ne avrà 2, chi 20, chi 15...); scopo del gioco è liberarsi dei fermagli; vinceranno i tre giocatori seduti uno di fianco all'altro, che per primi si troveranno senza più fermagli.

Al via il conduttore indicherà uno dei partecipanti come colui che farà la prima mossa.

Dopo la sua prima mossa si proseguirà in cerchio in senso antiorario, fino a completare il giro e poi ripartire.

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A ogni giro ogni giocatore non potrà distribuire ad altri più di 3 fermagli alla volta (potrà distribuirli indifferentemente a un solo giocatore, a due o a tre).

Ogni 2 minuti ci sarà uno stop e verranno distribuiti in modo casuale altri fermagli (4n).

Debriefing:

I e II fase: come sopra. III fase: i fermagli potrebbero rappresentare questa volta i rifiuti, e le dinamiche tra i giocatori rappresentano le modalità di approccio con i sottoprodotti dei nostri modelli di consumo, cioè i rifiuti.

Un approccio egoistico e irrazionale al problema dei rifiuti porta a considerarli come una patata bollente dalla quale liberarsi il più in fretta possibile, evitando una relazione tra la loro produzione e la responsabilità della loro gestione da parte di chi li ha prodotti.

Si può far emergere il rapporto di causalità tra l’eccesso di consumo e il problema dei rifiuti e quindi mettere in discussione il comportamento che scarica (“esternalizza”) sulla collettività mondiale il problema dell’eccesso di produzione/consumo/spreco di risorse.

Il limite non dovrebbe apparire come un ostacolo alla propria libertà e realizzazione personale, ma è invece un fattore indispensabile per trovare l'equilibrio tra uomo e ambiente, tra risorse e consumi, tra nord e sud del mondo, nella misura in cui sollecita la cooperazione, la solidarietà, il sentirsi parte di un sistema sociale e ambientale più vasto.

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Scheda F

Laboratorio sull’omologazione culturale

Obiettivo: Osservare come la globalizzazione comporti spesso la rinuncia ad alcune specificità culturali.Materiali: Cartelloni, Forbici, Pennarelli, Svolgimento:I partecipanti devono essere suddivisi in gruppi di 5-6 persone. Ad ogni gruppo verranno fornite una serie di fotografie riguardanti l’omologazione culturale (cucina, stile dei negozi…) sulle quali discutere. Ogni gruppo dovrà sintetizzare le proprie riflessioni su un cartellone e

presentarle agli altri.Esempi foto

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McDonald’s Giappone

McDonald’s EgittoMcDonald’s Cina

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Scheda G

Laboratorio: Analisi di un discorso sull’interdipendenza

Obiettivo: Riflettere sugli elementi che possono permettere di indirizzare la globalizzazione in senso solidaristico.

Svolgimento: Il conduttore divide i partecipanti in due gruppi e a ciascuno fornisce una copia dei discorsi e della scheda in allegato. Ogni gruppo dovrà leggere i discorso e riflettere insieme per compilare la scheda. Alla fine tutti i gruppi riferiranno agli altri i risultati del loro lavoro.

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Scheda da compilare dopo la lettura dei documenti

Domande Risposte

Su quale principi questi autori ritengono che

l’interdipendenza possa essere solidale e fraterna?

Quali sono a loro parere le difficoltà finora esistite?

Quali fatti invece fanno pensare che sia possibile

creare una comunità umana più unita?

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Documento 1

Messaggio di Chiara LubichAlla 1° Giornata Mondiale dell’Interdipendenza,

Filadelfia (USA), 11 settembre 2003

Signor Governatore della Pennsylvania,Signor Edward Rendell,Professor Benjamin Barber,Signore e Signori,

è un grande onore poter rivolgermi con questo messaggio ad un pubblico così qualificato che si raduna oggi a Filadelfia per dichiarare l’impegno a costruire un mondo più unito, più giusto, più fraterno.Il desiderio sarebbe stato quello di essere presente di persona. Non essendo stato possibile, permettetemi di offrirvi con questo messaggio una breve e personale riflessione. Quando lo scorso giugno a Roma ho avuto un incontro lungo e caloroso con il professor Benjamin Barber, è stato spontaneo per me aderire con gioia a questa prima Giornata Mondiale dell’Interdipendenza.

La realtà dell’interdipendenza, infatti, richiama un ideale a me molto caro, per il quale – assieme a molte persone di buona volontà impegnate nella politica, nell’economia e nei vari campi dell’agire e del sapere – ho deciso di spendere la mia vita: l’unità della famiglia umana.All’indomani dell’11 settembre, molti di noi hanno avvertito l’esigenza di riflettere a fondo sulle cause, ma soprattutto di impegnarsi per un’alternativa vera, responsabile, decisa, al terrore ed alla guerra. È stato, per me, un po’ come rivivere l’esperienza della distruzione e la sensazione dell’umana impotenza, nella città italiana di Trento, bombardata durante la seconda guerra mondiale.

Ma è proprio sotto le bombe che io e le mie prime compagne abbiamo scoperto nel Vangelo la luce dell’amore reciproco, che ci ha rese pronte a dare la vita l’una per l’altra. È tra le macerie di quella distruzione, nella convinzione che “tutto vince l’Amore”, che è nato il desiderio forte di

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rendere partecipi di questo amore tutti i prossimi, senza distinzione di persone, gruppi, popoli, e senza considerazione di condizioni sociali, cultura, convinzioni religiose.

Analogamente in molti ci chiediamo oggi, a New York come a Bogotà, a Roma come a Nairobi, a Londra come a Baghdad, se sia possibile vivere in un mondo di popoli liberi, uguali, uniti, non solo rispettosi l’uno dell’identità dell’altro, ma anche solleciti alle rispettive necessità.La risposta è una sola: non solo è possibile, ma è l’essenza del progetto politico dell’umanità.E’ l’unità dei popoli, nel rispetto delle mille identità, il fine stesso della politica, che la violenza terroristica, la guerra, l’ingiusta ripartizione delle risorse nel mondo e le disuguaglianze sociali e culturali sembrano oggi mettere in discussione.

Da più punti della terra, oggi, sale il grido di abbandono di milioni di rifugiati, di milioni di affamati, di milioni di sfruttati, di milioni di disoccupati che sono esclusi e come “recisi” dal corpo politico. E’ questa separazione, e non solo gli stenti e le difficoltà economiche, che li rende ancora più poveri, che aumenta, se possibile, la loro disperazione.La politica non avrà raggiunto il suo scopo, non avrà mantenuto fede alla sua vocazione fin a quando non avrà ricostituito questa unità e guarito queste ferite aperte nel corpo politico dell’umanità.

Ma come raggiungere questa mèta così impegnativa, che sembrerebbe al di sopra delle nostre forze? Libertà ed uguaglianza, dinanzi alle sfide del presente e del futuro dell’umanità, non sono da sole sufficienti. La nostra esperienza ci insegna che c’è bisogno, crediamo, di un terzo elemento, lungamente dimenticato nel pensiero e nella prassi politica: la fraternità. Senza la fraternità, nessun uomo e nessun popolo sono veramente e fino in fondo liberi ed eguali. Uguaglianza e libertà saranno sempre incomplete e precarie, finché la fraternità non sarà parte integrante dei programmi e dei processi politici in ogni regione del mondo.Cari amici, il nome della città in cui vi trovate - Filadelfia - non evoca, esso stesso, un programma di amore fraterno?

E’ la fraternità che può dare oggi contenuti nuovi alla realtà dell’interdipendenza. E’ la fraternità che può far fiorire progetti ed azioni nel complesso tessuto politico, economico, culturale e sociale del nostro mondo. E’ la fraternità che fa uscire dall’isolamento e apre la porta dello sviluppo ai popoli che ne sono ancora esclusi. E’ la fraternità che indica come risolvere pacificamente i dissidi e che relega la guerra ai libri di storia.

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E’ per la fraternità vissuta che si può sognare e persino sperare in una qualche comunione dei beni fra Paesi ricchi e poveri, dato che lo scandaloso squilibrio, oggi esistente nel mondo, è una delle cause principali del terrorismo.

Il profondo bisogno di pace che l’umanità oggi esprime, dice che la fraternità non è solo un valore, non è solo un metodo, ma un paradigma globale di sviluppo politico. Ecco perché un mondo sempre più interdipendente ha bisogno di politici, di imprenditori, di intellettuali e di artisti che pongano la fraternità – strumento di unità – al centro del loro agire e del loro pensare. Era il sogno di Martin Luther King che la fraternità diventi l’ordine del giorno di un uomo d’affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo.

Cari amici, come cambierebbero, i rapporti tra i singoli, i gruppi ed i popoli, se solo fossimo coscienti che siamo tutti figli di un solo Padre, Dio, che è Amore e che ama ciascuno personalmente ed immensamente e si prende cura di tutti! Questo amore, coniugato nelle sue infinite forme, anche politiche ed economiche, porterebbe a superare angusti nazionalismi e visioni parziali, aprendo menti e cuori dei popoli e dei loro governanti, spingendo tutti - come ho affermato in un mio intervento alle Nazioni Unite a New York nel 1997 - ad amare la patria altrui come la propria.

Questa è l’esperienza ormai pluridecennale del Movimento dei Focolari, presente in 182 Paesi del mondo, ed al quale aderiscono milioni e milioni di persone di ogni latitudine.

Auguro così a questa prima Giornata Mondiale dell’Interdipendenza di essere l’occasione, per quanti vi hanno aderito, di un nuovo impegno a vivere ed a lavorare assieme, con dedizione e con fiducia, e sostenendosi sempre l’un l’altro, per l’unità della famiglia umana universale.

Documento 2

L' ERA DELL' INTERDIPENDENZA

di BENJAMIN R. BARBER

MENO di un anno fa il mondo celebrava il decennale della caduta del Muro di Berlino. Quando, in quel 1989, le due parti «indipendenti» della

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Germania postbellica si fusero in un tutto unico, si coltivava la speranza di vedere il mondo finalmente avviato verso un' interdipendenza vera. Un' interdipendenza basata sulla cooperazione e sulla reciprocità, per dare infine un risposta democratica globale ai problemi non più risolvibili a livello nazionale: le sfide planetarie della guerra, della proliferazione nucleare, della droga, della rapacità dei mercati, dei cambiamenti climatici e della disuguaglianza tra Nord e Sud.

Da allora, nuovi muri sono stati eretti - tra gli Stati Uniti e il Messico, tra Israele e la Palestina, tra un' Europa allargata ma sempre più paranoica e i vicini islamici, oggi temuti; ma anche tra India e Cina, entrambe potenze nucleari, o tra Corea del Nord e del Sud. Negli Stati Uniti, già leader mondiali nella promozione di istituzioni globali e di politiche multilaterali e multiculturali, gli attacchi terroristici dell' 11 settembre hanno suscitato un nuovo unilateralismo, pericolosamente provinciale, e una logorante paura dell' «altro», dell' immigrato, dell' «outsider».

Oggi la nazione più multiculturale del pianeta teme profondamente quella stessa apertura e tolleranza che sono all' origine del suo primato in questo campo. Dovunque negli Usa, il movimento «Tea party», antimusulmano, anti-internazionalista e xenofobo, è divenuto uno strumento potente, quasi un talismano per tutti i populisti reazionari, e vede tutto il male nel mondo oltre i confini nazionali. In breve, in questo decimo anno del nuovo millennio la paura predomina nella realtà politica di nazioni un tempo coraggiose e democratiche, ivi compreso il grande Paese egemone, l' America.

Ma oltre ad alimentare meschini campanilismi e risentimenti, la paura rende deboli. Paradossalmente - e irreversibilmente - le crude realtà del mondo che ispirano queste paure, questa nostalgia dell' indipendenza di un tempo, sono a loro volta interdipendenti. E non sembrano neppure scalfite dall' orgoglio sovranista dei governi o dalle varie forme di nazionalismo di cittadini arrabbiati scaturite dalla nuova politica della paura. Stiamo così affrontando la realtà del XXI secolo, che è quella dell' interdipendenza, con istituzioni «sovrane» indipendenti di tipo settecentesco. Ma per fermare il riscaldamento globale non bastano le risposte isolate di poche nazioni virtuose: in un campo in cui ogni risposta è essenziale, tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Allo stesso modo, il terrorismo non può essere imputato a qualche stato - canaglia o nazione ostile, ma nasce da Ong patologiche come Al Qaeda: formazioni che non appartengono a nessuno Stato, e stanno già mettendo in pratica l' interdipendenza nella sua forma più nefasta.

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Una logica consimile si ravvisa nella crisi finanziaria globale: come si è visto, i mercati finanziari globali si sottraggono alla vigilanza e alle regole dei singoli Stati, o delle loro banche nazionali e tesorerie. Non è più possibile scindere i problemi ambientali da quelli della disuguaglianza economica, e allo stesso modo i problemi della disuguaglianza non si possono disgiungere da quelli del terrorismo. Il quadro è planetario, l' intreccio globale. Come potevamo sperare di battere questi nuovi nemici con le antiquate strategie e istituzioni di tipo unilaterale? Le invasioni dell' Afganistan e quindi dell' Iraq, per quanto valorose, altro non erano che risposte futili della vecchia scuola (inchiodare lo Stato aggressore!) alle nuove realtà.

L' America ha perso l' occasione di trarre un insegnamento proficuo dalle nuove forme interdipendenti dell' antagonismo globale. E tuttavia alcuni, che chiameremo cittadini globali - americani, europei, africani- hanno deciso di approfondire questi insegnamenti. In risposta alla logica nuova e non ancora familiare dell' interdipendenza, nel primo anno dopo l' 11 settembre un gruppo di studiosi, artisti, intellettuali, ma anche di leader politici, religiosi e civili hanno concepito un progetto nuovo: quello di convocare ogni anno una riunione in una «città globale», mostrando come i rappresentanti dei cittadini del mondo possono incontrarsi al di là delle frontiere e delle generazioni per immaginare e costruire un mondo di interdipendenza e cooperazione, non meno flessibile e dinamico di quello antagonista, di interdipendenza distruttiva, cui gli stati - nazione non possono più far fronte. Abbiamo esordito con una «Dichiarazione di interdipendenza» (consultabile on line).

Il nostro primo incontro si è svolto nel 2003 a Philadelphia, capitale dell' indipendenza americana. Quelli successivi hanno avuto luogo annualmente - sempre il 12 settembre, «Giorno dell' Interdipendenza» - a Roma, Parigi, Casablanca, Città del Messico, Bruxelles e infine, lo scorso anno, a Istanbul, per discutere sui temi specifici che costituiscono le sfide dell' interdipendenza: come riconciliare le religioni che spesso, anziché unirci, hanno aperto spaccature laceranti; come trasformare problemi come quelli delle migrazioni di forza lavoro e dei capitali in risorse al servizio di un' economia globale giusta; come far leva sui quanto accomuna e collega tra loro le città globali per controbilanciare ciò che divide le nazioni sovrane alle quali appartengono. Il 12 settembre 2010, questo convegno si terrà per l' ottava volta consecutiva, con la partecipazione di oltre 150 delegati di decine di Paesi e la presenza contemporanea di una quarantina di giovani, nell' ambito di un colloquio parallelo. Stavolta la sede sarà Berlino, la città

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che due decenni fa ha abbattuto il suo muro. Tema di quest' anno: il cambiamento climatico e l' interdipendenza.

Più che porre in rilievo le responsabilità dell' uomo in questo processo, i convegnisti si interrogheranno sulle possibili risposte dei cittadini ai rischi che esso comporta, al di là degli ostacoli frapposti dal sovranismo degli Stati. Parleremo dei muri psicologici eretti nelle nostre teste, nel momento stesso in cui svanivano anche le tracce del muro fisico di Berlino. Ispirati come sono dalla paura, questi nuovi muri servono solo a isolare, non certo a dare sicurezza. Imprigionano il bene senza riuscire ad escludere il male, segnando la demarcazione tra un «dentro» e un «fuori» che ormai non esistono più.

Gli avvenimenti del 1989 a Berlino e quelli dell' 11 settembre 2001 a New York fanno presagire una nuova realtà: quella dell' interdipendenza come condizione della sopravvivenza umana. A Berlino, il 12 settembre, inaugureremo un movimento proteso verso ogni singolo cittadino, oltre i confini evanescenti del nostro mondo, volto a conseguire ciò che è ormai fuori dalla portata delle nazioni, comprese le più potenti: la possibilità di un' esistenza giusta e pacifica. La quale, di necessità, non potrà che essere comune e fondata sulla cooperazione.

Da La Repubblica del 12 settembre 2010

Bibliografia• Aa.Vv., Geografia dello sviluppo, UTET, Torino 2002• Bauman Z., Dentro la globalizzazione, Laterza, Roma 1999• Beck U., Cos'è la globalizzazione, Carocci, Roma 1999• Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Nord-Sud. Predatori, predati

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Emi, Bologna 2003• Sassen S., Fuori controllo, Il Saggiatore, Milano 1998• Stiglitz J., La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, Torino

2002

Sitografia

• www.scuolaacolori.it• www.unimondo.org• www.volint.it• www.focsiv.it• www.undp.org• www.ifg.org

CAMBIA...MENTI: Progetto sulla cittadinanza attiva

Percorso 1 - Globalizzazione e fraternità 22