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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) PRELIMINARI I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI 1 - PRELIMINARI a) La retta reale estesa Nel seguito utilizzeremo l’insieme e R =[-∞, +]= R ∪ {-∞, +∞}. L’insieme e R viene di solito chiamato retta reale estesa. L’ordinaria relazione di su R pu` o essere prolungata a e R ponendo -∞ ≤ x +, x e R . Anche le ordinarie operazioni di somma e prodotto possono essere prlungate a e R con le posizioni -∞ + x = -∞ , ++ x =+, x R . -∞ x = -∞ , +x =+, x R con x> 0 , -∞ x =+, +x = -∞ , x R con x< 0 , lasciando indeterminate le espressioni del tipo ++(-∞), ±∞ 0. Si verifica immediatamente che in e R vale l’Assioma dell’estremo superiore nella forma se- guente: ogni insieme A e R ammette estremo superiore in e R. Con ci` o si intende che il minimo dei maggioranti di A in e R ` e dato da -∞ se A = , da +se A non ` e limitato superiormente ed ` e dato dall’ordinari sup(A) nei casi rimanenti. b) Famiglie notevoli di funzioni Dati a, b e R con a b, qui e nel seguito indicheremo con (a, b) l’intervallo della retta reale i cui estremi sono a,b, senza precisare se tale intervallo ` e chiuso, aperto o semi-aperto. Utilizzeremo la notazione pi` u precisa ([a, b] , ]a, b[ , [a, b[ , ]a, b]) solo quando ne avremo bisogno. Data f :(a, b) R diremo che f ` e di classe C 0 su (a, b) (o, pi` u brevemente, f C 0 su (a, b)) se ` e continua in ogni punto di (a, b). Diremo che f C 0 ((a, b)) se f ` e continua e limitata su (a, b). Analogamente, data f :(a, b) R e k N, diremo che f ` e di classe C k su (a, b) (o, pi` u brevemente, f C k su (a, b)) se f ammette tutte le derivate continue fino all’ordine k. Diremo invece che f C k ((a, b)) se f ` e di classe C k su (a, b) e tutte le derivate fino all’ordine k sono limitate su (a, b). I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 1

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) PRELIMINARI

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI

1 - PRELIMINARI

a) La retta reale estesa

Nel seguito utilizzeremo l’insieme R = [−∞,+∞] = R ∪ −∞,+∞. L’insieme R viene di

solito chiamato retta reale estesa. L’ordinaria relazione di ≤ su R puo essere prolungata a R

ponendo

−∞ ≤ x ≤ +∞ , ∀x ∈ R .

Anche le ordinarie operazioni di somma e prodotto possono essere prlungate a R con le posizioni

−∞+ x = −∞ , +∞+ x = +∞ , ∀x ∈ R .

−∞x = −∞ , +∞x = +∞ , ∀x ∈ R con x > 0 ,

−∞x = +∞ , +∞x = −∞ , ∀x ∈ R con x < 0 ,

lasciando indeterminate le espressioni del tipo +∞+ (−∞), ±∞ 0.

Si verifica immediatamente che in R vale l’Assioma dell’estremo superiore nella forma se-guente: ogni insieme A ⊂ R ammette estremo superiore in R. Con cio si intende che il minimodei maggioranti di A in R e dato da −∞ se A = ∅, da +∞ se A non e limitato superiormente ede dato dall’ordinari sup(A) nei casi rimanenti.

b) Famiglie notevoli di funzioni

Dati a, b ∈ R con a ≤ b, qui e nel seguito indicheremo con (a, b) l’intervallo della rettareale i cui estremi sono a , b, senza precisare se tale intervallo e chiuso, aperto o semi-aperto.Utilizzeremo la notazione piu precisa ([a, b] , ]a, b[ , [a, b[ , ]a, b]) solo quando ne avremo bisogno.

Data f : (a, b) → R diremo che f e di classe C0 su (a, b) (o, piu brevemente, f ∈ C0 su(a, b)) se e continua in ogni punto di (a, b). Diremo che f ∈ C0((a, b)) se f e continua e limitatasu (a, b).

Analogamente, data f : (a, b) → R e k ∈ N, diremo che f e di classe Ck su (a, b) (o, piubrevemente, f ∈ Ck su (a, b)) se f ammette tutte le derivate continue fino all’ordine k. Diremoinvece che f ∈ Ck((a, b)) se f e di classe Ck su (a, b) e tutte le derivate fino all’ordine k sonolimitate su (a, b).

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 1

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) CONVERGENZA DELLE SUCCESSIONI DI FUNZIONI

Infine, data f : (a, b) → R, diremo che f e di classe C∞ su (a, b) (o, piu brevemente, f ∈ C∞su (a, b)) se f ammette tutte le derivate continue (di qualunque ordine) fino all’ordine k. Talifunzioni vengono anche dette indefinitamente differenziabili.

Nel presente capitolo studieremo il concetto di convergenza di una successione (o di unaserie) di funzioni. Le nozioni introdotte estenderanno la nozione (gia nota) di convergenza di unasuccessione (o di una serie) di numeri reali.

2 - CONVERGENZA DELLE SUCCESSIONI DI FUNZIONI

a) Definizione e prime proprieta

Introduciamo due elementari definizioni di convergenza di successioni di funzioni (estensioniulteriori di tali concetti verrano date nei prossimi capitoli).

2.1 Definizione. Sia A un arbitrario insieme non vuoto e fn : A→R una successione di funzioni.Sia inoltre f : A→ R una funzione assegnata. Si dice che

i) la successione fn converge puntualmente alla funzione f , se

∀x ∈ A , ∃ limn→∞

fn(x) = f(x) ; (2.1)

ii) la successione fn converge uniformemente alla funzione f , se

∃ limn→∞

sup|fn(x)− f(x)| , x ∈ A = 0 . (2.2)

E facile verificare che la convergenza uniforme implica la convergenza puntuale, in quantose e verificata l’ipotesi (2.2), si ha in particolare che, per ogni x ∈ A, limn→∞ |fn(x)− f(x)| = 0.Piu avanti constateremo che la convergenza puntuale non implica la convergenza uniforme.

2.2 Osservazione. Le Definizioni (2.1) e (2.2) possono essere equivalentemente espresse (sem-plicemente ricordando le definizioni esplicite di lim e di sup) dalle seguenti scritture:

∀x ∈ A , ∀ε > 0 , ∃n ∈ N : ∀n ∈ N si ha che (n > n⇒ |fn(x)− f(x)| < ε) (conv.puntuale)(2.3)

∀ε > 0 , ∃n ∈ N : ∀n ∈ N , ∀x ∈ A si ha che (n > n⇒ |fn(x)− f(x)| < ε) (conv.uniforme)(2.4)

Si ha dunque che le due definizioni differiscono solamente per il fatto che i due quantificatori∀x ∈ A e ∃n ∈ N sono stati invertiti. Nella definizione di convergenza puntuale compare prima ilquantificatore ∀x ∈ A e successivamente il quantificatore ∃n ∈ N. Nella definizione di convergenzauniforme i due quantificatori compaiono in ordine invertito.

Sfruttando queste considerazioni si puo facilmente ancora verificare che la convergenza uni-forme implica la convergenza puntuale.

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La situazione qui descritta e analoga a quella che si trova confrontando le nozioni di continuitapuntuale e continuita uniforme.

2.3 Osservazione. Nel seguito, la relazione (2.3) sara spesso espressa, piu sinteticamente, nelmodo seguente:

∀x ∈ A , ∀ε > 0 , si ha che |fn(x)− f(x)| d<ε ,

dove l’espressioned< signica che il < e verificato definitivamente, cioe da un certo indice in poi.

Analogamente la relazione (2.4) sara spesso espressa nel modo seguente:

∀ε > 0 , si ha che |fn(x)− f(x)| d<ε , uniformemente rispetto a x ,

in cui la relazione < e valida definitivamente e uniformemente rispetto a x, cioe da un certo indicein poi, che e uniforme rispetto a x, cioe indipendente da x.

2.4 Osservazione. La convergenza uniforme ammette una specie di interpretazione geometrica.Dati A ⊂ R

N , f : A→ R e ε > 0, chiameremo “budello” di centro il grafico di f e ampiezza ε ilseguente insieme

β(f, ε) = (x, y) ∈ A×R : f(x)− ε < y < f(x) + ε .

Il fatto che una successione fn : A→ R converga uniformemente a f : A→ R, significa che fissatoε > 0 si ha che (definitivamente rispetto a n ∈ N) il grafico delle funzioni fn e contenuto nel“budello” di centro il grafico di f e ampiezza ε.

2.5 Osservazione. Sia la convergenza puntuale che quella uniforme possono essere caratterizzatemediante il comportamento di opportune successioni di Cauchy.

Si verifica facilmente infatti che fn : A → R converge puntualmente se e solo se per ognix ∈ A la successione reale fn(x) e di Cauchy su R. In simboli l’ultima condizione si puo scrivere

∀x ∈ A , ∀ε > 0 , ∃n ∈ N tale che : ∀n,m ∈ N (n,m > n⇒ |fn(x)− fm(x)| < ε) . (2.5)

Si verifica anche che fn : A→R converge uniformemente se e solo se

∀ε > 0 , ∃n ∈ N tale che : ∀n,m ∈ N , ∀x ∈ A (n,m > n ⇒ |fn(x)− fm(x)| < ε) . (2.6)

Notare che le relazioni (2.5) e (2.6) differiscono soltamto per l’inversione di due quantificatori.Per completezza, verifichiamo che la convergenza uniforme e equivalente alla condizione (2.6).Verifichiamo che la condizione e necessaria. L’ipotesi (la convergenza uniforme) ci dice che

esiste f : A→ R in modo tale che, dato ε > 0, si puo determinare n ∈ N in modo tale che

|fn(x)− f(x)| < ε/2 uniformemente rispetto a x ∈ A .

Se ora prendiamo n,m > n, si ha che

|fn(x)− fm(x)| < |fn(x)− f(x)|+ |fm(x)− f(x)| < ε uniformemente rispetto a x ∈ A ,

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da cui si ricava la condizione (2.6).Verifichiamo anche che la condizione e sufficiente. Si ha intanto che esiste f : A → R in

modo tale che fn → f puntualmente. Si ha inoltre che (passando al limite per n→∞)

∀ε > 0 , ∃n ∈ N tale che : ∀n ∈ N , ∀x ∈ A (n,m > n ⇒ |fn(x)− f(x)| < ε) ,

che coincide con la nozione di convergenza uniforme secondo la formulazione introdotta nell’Os-servazione 2.2.

Controlliamo con alcuni contro-esempi che la convergenza puntuale non implica la conver-genza uniforme.

2.6 Esempio. Data la successione fn : [0, 1] → R definita da:

fn(x) = xn , x ∈ [0, 1] ,

e facile verificare che fn converge puntualmente (ma non uniformemente) alla funzione f : [0, 1] →R definita da:

f(x) =

0, se x ∈ [0, 1[,1, se x = 1.

2.7 Esempio. Consideriamo ora la seguente successione fn : R →R definita da:

fn(x) =

senx, se x ∈ [2nπ, 2(n+ 1)π],0, altrove;

e facile verificare che tale successione di funzioni converge puntualmente (ma non uniformemente)alla funzione identicamente nulla.

2.8 Esempio. Un altro esempio si puo costruire nel modo seguente: sia fn : [0, 1] → R definitada

fn(x) =

nx, se x ∈ [0, 1/n[,2− nx, se x ∈]1/n, 2/n[,0, se x ∈ [2/n, 1].

Anche in questo caso si ha che tale successione di funzioni converge puntualmente (ma nonuniformemente) alla funzione identicamente nulla.

b) Proprieta della convergenza uniforme

La convergenza uniforme ha preziose caratteristiche di conservazione della regolarita dellafunzione limite che ora descriveremo. Incominciamo con il seguente risultato:

2.9 Teorema di conservazione della continuita. Sia A ⊂ RN , fn : A→ R e f : A→ R. Se

le funzioni fn sono continue su A e se le funzioni fn convergono uniformemente alla funzione f ,allora anche la funzione f e continua su A.

Dimostrazione: Per semplicita consideremo solo il caso in cui N = 1. Dimostreremo che lafunzione f e continua in ogni punto x0 ∈ A fissato in modo arbitrario. Per ogni x ∈ A e ognin ∈ N si ha:

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|f(x)− f(x0)| ≤ |f(x)− fn(x)|+ |fn(x)− fn(x0)|+ |fn(x0)− f(x0)| . (2.7)

Fissato ε > 0, grazie alla convergenza uniforme, si ha che esiste un indice m sufficientementegrande in modo tale che:

|f(x)− fm(x)| < ε , ∀x ∈ A ; |fm(x0)− f(x0)| < ε .

Fissato tale indice m per cui valgono tali relazioni e grazie al fatto che la funzione fm e continua,scegliamo un δ > 0 in modo tale che:

|fm(x)− fm(x0)| < ε , ∀x ∈ A ∩B(x0, δ) .

Grazie alla (2.7) con n = m, si ha allora, per tutti gli x ∈ A ∩ B(x0, δ), che |f(x)− f(x0)| < 3ε,che implica la continuita di f nel punto x0, cioe l’asserto.

2.10 Osservazione. Notiamo che la convergenza puntuale non e sufficiente a conservare lacontinuita, come si puo controllare con l’Esempio 2.6.

2.11 Osservazione. Il fatto che, sotto le ipotesi del Teorema 2.9, si abbia che:

limx→x0

f(x) = f(x0) ,

per ogni x0 ∈ X, puo essere interpretato anche nel modo seguente:

limx→x0

limn→∞

fn(x) = limn→∞

limx→x0

fn(x) , (2.8)

cioe che si possono scambiare fra loro due complicate operazioni di limite.

Vediamo un’altro risultato di questo tipo, che si dimostra con tecniche simili a quelle soprautilizzate:

2.12 Proposizione. Dato A ⊂ R, supponiamo che x0 ∈ X non sia un punto isolato di A, chef , fn : A→ R e che:

i) fn → f uniformemente,ii) per ogni n ∈ N, esista finito limx→x0

fn(x),si ha allora che esiste limn→∞ limx→x0

fn(x), esiste limx→x0f(x), e si ha:

limx→x0

limn→∞

fn(x) = limx→x0

f(x) = limn→∞

limx→x0

fn(x) .

In altre parole, con le suddette ipotesi, vale ancora una relazione del tipo (2.8).

Un altro importante risultato e dato dal:

2.13 Teorema di conservazione dell’integrale. Dati fn : [a, b] → R (n ∈ N, a, b ∈ R cona < b) funzioni continue su [a, b], f : [a, b]→ R con fn → f uniformemente, si ha:

limn→∞

∫ b

a

fn(x) dx =

∫ b

a

f(x) dx =

∫ b

a

limn→∞

fn(x) dx . (2.9)

Dimostrazione: Siccome la successione di funzioni continue fn converge uniformente alla fun-zione f , si ricava che f e continua (grazie al Teorema 2.9) e dunque ha senso l’integrale di f su[a, b].

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Dato ε > 0, si ha che (definitivamente rispetto a n)

∣∣∣∣∣

∫ b

a

f(x) dx−∫ b

a

fn(x) dx

∣∣∣∣∣ ≤∫ b

a

|f(x)− fn(x)| dx ≤ (b− a)ε ,

da cui l’asserto.

2.14 Osservazione. Il Teorema di conservazione dell’integrale e usualmente considerato unTeorema di passaggio al limite sotto il segno di integrale (tale fatto e espresso dalla relazione (2.9)).Analogamente alla Osservazione 2.11, esprime il fatto che, grazie alla convergenza uniforme, dueoperazioni complesse (limite e integrale) possono essere invertite fra loro.

2.15 Osservazione. Osserviamo che la convergenza puntuale non e sufficiente per ottenere laformula di passaggio al limite sotto il segno di integrale. come si puo verificare esaminando ilseguente esempio:

fn : [0, 1] → R , definita da: fn(x) =

n2x, se x ∈ [0, 1/n[,2n− n2x, se x ∈]1/n, 2/n[,0, se x ∈ [2/n, 1].

E facile verificare che fn converge puntualmente (ma non uniformemente) alla funzione f identi-camente nulla e che:

∫ 1

0

fn(x) dx = 1 ,

∫ 1

0

f(x) dx = 0 .

2.16 Osservazione. Il Teorema 2.13 rappresenta un risultato di notevole interesse, anche se piuavanti sara generalizzato da molti punti di vista.

Dimostriamo infine il:

2.17 Teorema di conservazione della derivata. Sia ]a, b[ un intervallo aperto di R, fn :]a, b[→ R (n ∈ N) e f, g :]a, b[→ R. Supponiamo inoltre che fn ∈ C1 su ]a, b[, che fn → funiformemente su ]a, b[ e che f ′n → g uniformemente su ]a, b[.

Si ha allora che f ∈ C1 su ]a, b[ e che

f ′ = g . (2.10)

Dimostrazione: Osserviamo che f , g sono funzioni continue su ]a, b[ (essendo limite uniformedi funzioni continue su ]a, b[).

Fissato x ∈]a, b[, si ha che (grazie alla Formula Fondamentale del Calcolo Integrale)

fn(x)− fn(x) =

∫ x

x

f ′n(s) ds .

Utilizzando le ipotesi di convergenza uniforme (in particolare il Teorema di conservazione dell’in-tegrale) si ricava che:

f(x)− f(x) =

∫ x

x

g(s) ds .

Ricordando il Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale si ottiene che f e derivabile su ]a, b[.Derivando rispetto a x, si ricava infine che

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f ′ = g ,

da cui l’asserto.

2.18 Osservazione. Il Teorema 2.17 e un risultato di conservazione della continuita delladerivata. La relazione (2.10) puo infatti anche essere riscritta nel seguente modo:

(lim

n→∞f ′n(x)

)′= lim

n→∞f ′n(x) .

In tali condizioni si ha dunque che la derivata del limite coincide con il limite della derivata. IlTeorema 2.17 permette cosı di invertire due operazioni molto complesse.

Con pochissima fatica in piu, si puo ottenere facilmente ottenere la seguente estensione delprecedente risultato

2.19 Teorema di conservazione della derivata parziale. Siano dati Ω aperto di RN ,

fn : Ω → R (n ∈ N) e f, g : Ω → R. Fissato k = 1, . . . , N , supponiamo che le funzioni fn

siano continue, che esista continua ∂fn/∂xk su tutto Ω, che fn → f uniformemente su Ω e che∂fn/∂xk → g uniformemente su Ω.

Si ha allora che f e continua, con derivata parziale continua rispetto a xk, su Ω e che

∂f

∂xk= g .

3 - CONVERGENZA DELLE SERIE DI FUNZIONI

a) Considerazioni preliminari

Introduciamo le seguenti generalizzazioni della nozione di serie numerica:

3.1 Definizione. Sia (a, b) un intervallo di R e fn : (a, b) → R (n ∈ N). Si dice che la serie∑∞n=0 fn converge puntualmente su (a, b) se per ogni t ∈ (a, b) si ha che la serie (numerica)∑∞n=0 fn(t) converge. La funzione S : (a, b) → R definita da S(t) =

∑∞n=0 fn(t) viene chiamata

somma della serie di funzioni.

3.2 Definizione. Sia (a, b) un intervallo di R e fn : (a, b) → R (n ∈ N). Si dice che la serie∑∞n=0 fn converge assolutamente su (a, b), se per ogni t ∈ (a, b) si ha che la serie (numerica)∑∞n=0 |fn(t)| converge.

3.3 Osservazione. Nella precedente Definizione 3.1, il fatto che fissato t ∈ (a, b), si pretendache la serie numerica

∑∞n=0 fn(t) converga verso la somma S(t), significa ovviamente che la

successione numerica delle somme parziali sn(t) =∑n

k=0 fk(t) ammette limite finito per n→∞e che tale limite e S(t).

Un’analoga precisazione si deve fare per quanto riguarda la Definizione 3.2.

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Grazie a un noto risultato della Teoria delle serie numeriche, si ha ovviamente che la con-vergenza assoluta implica la convergenza puntuale (non vale, pero, l’implicazione inversa).

Le precedenti Definizioni sono ovviamente di carattere puntuale. Nel seguito avremo anchebisogno di nozioni piu complesse:

3.4 Definizione. Sia (a, b) un intervallo di R e fn : (a, b) → R (n ∈ N). Si dice che la serie∑∞n=0 fn converge uniformemente su (a, b) alla funzione S : (a, b) → R, se le somme parziali

sn(t) =∑n

k=0 fk(t) convergono uniformemente alla funzione S su (a, b).

Ovviamente la convergenza uniforme implica la convergenza puntuale. Si ha anche che laconvergenza uniforme non implica la convergenza assoluta come risulta dal seguente

3.5 Esempio. Dati a, b ∈ R, con a < b, sia fn : (a, b)→ R (n ∈ N) definita da

fn(t) =(−1)n+1

n+ 1, t ∈ (a, b) .

Si ha ovviamente che la serie∑∞

n=0 fn converge uniformemente, ma non assolutamente.

Data f : (a, b) → R funzione limitata, poniamo

‖f‖ = sup|f(t)| , t ∈ (a, b) .

3.6 Definizione. Sia (a, b) un intervallo di R e fn : (a, b) → R (n ∈ N) una successione difunzioni limitate. Si dice che la serie

∑∞n=0 fn converge totalmente su (a, b) se e convergente la

serie numerica a termini non negativi

∞∑

n=0

‖fn‖ .

3.7 Osservazione. Fissato t ∈ (a, b), indichiamo con sn(t), la successione delle somme parzialiassociate alla serie numerica delle fn(t). Poniamo cioe

sn(t) =

n∑

k=0

fn(t) , t ∈ A .

Si ha allora che la serie di funzioni∑∞

n=0 fn converge puntualmente se e solo se:

∀t ∈ (a, b) , si ha che sn(t) e una successione di Cauchy ,

o anche

∀t ∈ (a, b) , ∀ε > 0 , |sn(t)− sm(t)| d<ε , (3.1)

dove la notazioned< significa che la maggiorazione deve essere valida definitivamente, cioe da un

certo indice in poi.

Analogamente, fissato t ∈ (a, b), indichiamo con sn(t), la successione delle somme parzialiassociate alla serie numerica delle |fn(t)|. Poniamo cioe

sn(t) =n∑

k=0

|fn(t)| , t ∈ A .

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Si ha allora che la serie di funzioni∑∞

n=0 fn converge assolutamente se e solo se:

∀t ∈ (a, b) , ∀ε > 0 , |sn(t)− sm(t)| d<ε . (3.2)

Se indichiamo con

sn =

n∑

k=0

‖fn‖ ,

si ha allora che la serie di funzioni∑∞

n=0 fn converge totalmente se e solo se:

∀ε > 0 , |sn − sm|d<ε . (3.3)

Si ha infine che la serie di funzioni∑∞

n=0 fn converge uniformemente se e solo se:

∀ε > 0 , |sn(t)− sm(t)| d<ε , uniformemente rispetto a t ∈ (a, b) . (3.4)

Osservare che le condizioni (3.1) e (3.4) differiscono, come prevedibile per uno scambio deiquantificatori.

3.8 Teorema. Sia (a, b) un intervallo di R e fn : (a, b) → R (n ∈ N) una successione di funzionilimitate. Se la serie di funzioni

∑∞n=0 fn converge totalmente su (a, b), allora si ha che converge

assolutamente e uniformemente (e dunque puntualmente); si ha inoltre che la somma della serieS e una funzione limitata e che

‖S‖ ≤∞∑

n=0

‖fn‖ . (3.5)

Dimostrazione: Con le notazioni dell’Osservazione 3.7, e immediato verificare che

|sn(t)| ≤ sn(t) ≤ |sn| , ∀n ∈ N , ∀t ∈ (a, b) . (3.6)

|sn(t)− sm(t)| ≤ |sn(t)− sm(t)| ≤ |sn − sm| , ∀n,m ∈ N , ∀t ∈ (a, b) . (3.7)

Ricordando le considerazioni dell’Osservazione 3.7, grazie all’ipotesi della convergenza totale ealla maggiorazione (3.7), segue che sono verificate le relazioni (3.3) e (3.4) e dunque abbiamoprovato la convergenza assoluta e uniforme.

Infine, passando al limite per n→∞ nella relazione (3.6), si ottiene facilmente la stima (3.5).

3.9 Osservazione. Il Teorema 3.8 e interessante in quanto riconduce il problema della conver-genza (puntuale, assoluta e uniforme) di una serie a quello della convergenza di una serie numericaa termini non negativi.

Conseguenza immediata del Teorema 3.8 e del criterio del confronto fra serie numeriche atermini non negativi, e il seguente:

3.10 Teorema - (Criterio di Weierstrass). Sia data una successione fn : (a, b) → R. Seesiste una successione an di numeri reali tale che:

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 9

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) CONVERGENZA DELLE SERIE DI FUNZIONI

∞∑

n=1

an <∞ ,

|fn(t)| ≤ an , ∀n ∈ N , ∀t ∈ (a, b) ,

allora la serie∑∞

k=1 fn converge totalmente su (a, b) e, dunque, uniformemente e assolutamentesu (a, b).

Dimostrazione: Si ha infatti che

‖fn‖ = sup|fn(t)| , t ∈ (a, b) ≤ an ,

da cui, per il criterio del confronto per serie numeriche, si ricava la convergenza totale su (a, b).

3.11 Osservazione. Il Criterio di Weierstrass significa dunque che, se il termine generale dellaserie fn(t) e maggiorato (in valore assoluto e uniformemente rispetto a t ∈ (a, b)) dal terminegenerale di una serie numerica convergente, allora la serie

∑∞k=1 fn converge totalmente su (a, b)

e, dunque, uniformemente e assolutamente su ]a, b[.Il Criterio di Weierstrass e utile in molte situazioni concrete. Se, ad esempio, dobbiamo

studiare la serie di funzioni:

∞∑

n=0

1

1 + nte−n , t ∈ [0,∞[ ,

osservando che il termine generale di tale serie e maggiorato (indipendentemente da t) dal terminee−n, si ricava che tale serie di funzioni converge uniformemente nell’intervallo [0,∞[.

Se traduciamo nel linguaggio delle serie i risultati relativi alla convergenza uniforme dellesuccessioni di funzioni, si ottengono i seguenti importanti risultati:

3.12 Teorema. Data la successione di funzioni continue fn : (a, b) → R, se la serie∑∞

n=0 fn

converge uniformemente alla funzione S :]a, b[→R, allora la funzione S e continua.

3.13 Teorema - (Teorema di integrazione per serie). Data la successione di funzionicontinue fn : [a, b] →R, se la serie

∑∞n=0 fn converge uniformemente alla funzione S : [a, b] →R,

allora:

∞∑

n=0

∫ b

a

fn(t) dt =

∫ b

a

(∞∑

n=0

fn(t)

)dt =

∫ b

a

S(t) dt .

3.14 Teorema - (Teorema di derivazione per serie). Data la successione di funzioni diclasse C1 fn :]a, b[→R, se la serie

∑∞n=0 fn converge uniformemente alla funzione S :]a, b[→R e

se la serie delle derivate∑∞

n=0 f′n converge uniformemente alla funzione W :]a, b[→R, allora S e

di classe C1 su ]a, b[ e W = S′, cioe a dire:

W (t) =∞∑

n=0

f ′n(t) =

(∞∑

n=0

fn(t)

)′= S′(t) , ∀t ∈]a, b[ .

3.15 Osservazione. Ovviamente, anche i precedenti teoremi ammettono una interpretazionecome risultati che permettono l’inversione di operazioni molto complesse.

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 10

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) SERIE DI POTENZE.

4 - SERIE DI POTENZE.

a) Aspetti preliminari

Nella precedente Sezione abbiamo visto le proprieta piu importanti relative alle genericheserie di funzioni. Per avere ulteriori proprieta significative e necessario prendere in considerazioneserie di funzioni particolari.

Sia an ∈ R una successione assegnata e x0 ∈ R. La serie di funzioni:

∞∑

n=1

an(x− x0)n (4.1)

viene chiamata serie di potenze con centro il punto x0. Nella presente sezione studieremo ilcomportamento di tali serie di funzioni per approfondirne alcune fondamentali tematiche: carat-terizzazione dell’insieme di convergenza, la regolarita della funzione somma, la rappresentabilitadi funzioni generiche mediante serie di potenze,. . . .

Mediante una traslazione, si puo ridurre lo studio della serie di potenze (4.1) a una unanuova serie di potenze con centro il punto 0: nel seguito ci limiteremo dunque solo allo studiodelle serie di potenze con centro 0, cioe del tipo:

∞∑

n=1

anxn . (4.2)

4.1 Osservazione. Notare che la nozione di serie di potenze e una estensione del concetto dipolinomio.

b) Massimo e minimo limite

Data una successione λn ∈ R, l’estremo inferiore L ∈ R = R ∪ −∞,∞ della famiglia deimaggioranti definitivi della successione si dice il massimo limite di λn quando n → ∞ (si scrivemax limn→∞λn = L).

Proviamo a dare una definizione piu esplicita della nozione di massimo limite. Se la succes-sione λn e non limitata superiormente (in R) si ha che max limn→∞λn = +∞. Nel caso in cuiL ∈ R, se L = max limn→∞λn, allora per ogni ε > 0 si ha che L+ ε e un maggiorante definitivoper la successione, mentre L − ε non lo e. Se esprimiamo queste considerazioni in simboli siha che devono essere verificate le due condizioni (che complessivamente costituiscono una nuovadefinizione del massimo limite nel caso in cui L ∈ R)

∀ε > 0 , ∃n ∈ N : ∀n ∈ N (n > n⇒ λn < L+ ε) , (4.3)

∀ε > 0 , ∀n ∈ N : ∃n ∈ N : (n > n e λn > L− ε) . (4.4)

Procedendo in modo analogo, data una successione λn ∈ R, l’estremo superiore L ∈ R =R ∪ −∞,∞ della famiglia dei minoranti definitivi della successione si dice il minimo limite diλn quando n→∞ (si scrive min limn→∞λn = L).

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 11

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) SERIE DI POTENZE.

Ovviamente il massimo e minimo limite esistono sempre (al contrario dell’usuale limite) e siha che

min limn→∞

λn ≤ max limn→∞

λn ,

max limn→∞

(−λn)= −min limn→∞

λn .

Vediamo ora alcune ulteriori proprieta di massimo e minimo limite.Si puo intanto caratterizzare l’esistenza del limite mediante il massimo e minimo limite.

4.2 Proposizione. Data una successione λn ∈ R e L ∈ R, si ha che ∃ limn→∞ λn = L se e solose

min limn→∞

λn = L = max limn→∞

λn .

Non e vero in generale che il il massimo (o il minimo) limite di una somma (o un prodotto)di successioni e uguale alla somma (o al prodotto) dei massimi (o dei minimi) limite. Valgonopero i seguente risultati:

4.3 Proposizione. Date due successioni λn , ηn ∈ R, si ha che

max limn→∞

(λn + ηn) ≤ max limn→∞

λn + max limn→∞

ηn ,

Se esiste finito il limn→∞ λn, allora la precedente disuguaglianza diventa una uguaglianza.

4.4 Proposizione. Date due successioni λn , ηn ∈ R, se esiste finito e positivo il limn→∞ λn,segue che

max limn→∞

(λnηn) = (max limn→∞

λn) (max limn→∞

ηn) .

Un’ulteriore definizione di massimo limite e contenuta nel seguente:

4.5 Esercizio. Data una successione λn ∈ R, dimostrare che

max limn→∞

λn = infsupλn , n > k , k ∈ N = limk→∞

supλn , n > k , k ∈ N .

c) Il Teorema della convergenza

Data la serie di potenze (4.2), indichiamo con C l’insieme su cui essa converge puntualmente,cioe l’insieme degli x ∈ R tali che la serie numerica

∑∞k=0 anx

n converga. E immediato provareche C non e mai vuoto in quanto 0 ∈ C.4.6 Osservazione. L’insieme di convergenza puo effettivamente ridursi a 0. Se consideriamoinfatti la serie di potenze

∑∞n=0 n

nxn si verifica immediatamente che (per ogni x ∈ R− 0) taleserie e non convergente in quanto il termine generale non e infinitesimo.

L’insieme di convergenza puo anche essere dato da tutto R, come nel caso della serie espo-nenziale

∑∞n=0(1/n!)xn (e ben noto che che tale serie e convergente su tutto R e che la somma

di tale serie e data da ex).

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 12

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) SERIE DI POTENZE.

Se consideriamo infine la cosiddetta serie geometrica∑∞

n=0 xn, e ben noto che l’insieme di

convergenza e dato dall’intervallo ]− 1, 1[ e che∑∞

n=0 xn = 1/(1− x) per ogni x ∈]− 1, 1[.

Il seguente risultato riassume le proprieta piu importanti dell’insieme di convergenza C:4.7 Definizione. Data la serie di potenze (4.2), poniamo

L = max limn→∞

n√|an| . (4.5)

Viene allora chiamato raggio di convergenza della serie il reciproco (generalizzato) del numero L,cioe il numero:

R =

1/L, se L ∈]0,+∞[,+∞, se L = 0,0, se L = +∞.

La precedente Definizione 4.7 e giustificata dal seguente:

4.8 Teorema. Se R e C sono (rispettivamente) il raggio di convergenza e l’insieme di convergenzadella serie di potenze (4.2), si ha allora che:

i) ]−R,R[⊂ C ⊂ [−R,R],ii) se 0 < r < R , allora la serie

∑∞n=0 anx

n converge totalmente su [−r, r] e, dunque,uniformemente e assolutamente in [−r, r].

iii) nell’intervallo ]−R,R[ la convergenza della serie di potenze e assoluta.

Dimostrazione: Supponiamo che il valore definito in (4.5) sia reale e strettamente positivo. Fis-siamo inoltre ε > 0. Grazie alla caratterizzazione del massimo limite espressa nelle relazioni (4.3)e (4.4), si ha che:

∀ε > 0 , ∃n ∈ N : ∀n ∈ N(n > n⇒ n√|an| < L+ ε) , (4.6)

∀ε > 0 , ∀n ∈ N : ∃n ∈ N : (n > n e n√|an| > L− ε) . (4.7)

Proviamo intanto la asserzione ii). Grazie alla (4.6), si ha (definitivamente) che |an| ≤(L+ ε)n, da cui (se r ∈]0, R[):

|an xn| = |an| |xn| ≤ (L+ ε)n rn = [(L+ ε) r]

n, ∀x ∈]− r, r[ (definitivamente) . (4.8)

Siccome 0 < r < R = 1/L, si ha che Lr < 1. Esiste allora ε > 0 (sufficientemente piccolo) taleche (L+ ε) r < 1. Per il Criterio di Weierstrass e utilizzando la relazione (4.8), si ha che la seriedi potenze

∑∞n=0 anx

n su ] − r, r[ (avendo il termine generale maggiorato dal termine generaledella serie geometrica

∑∞n=0 [(L+ ε) r]

n, di ragione minore di 1) converge totalmente su [−r, r]

e, dunque, uniformemente e assolutamente sull’intervallo [−r, r]. Cio dimostra la parte ii) delTeorema.

Data l’arbitrarieta di r ∈]0, R[, la asserzione iii) e l’inclusione ]−R,R[⊂ C sono conseguenzaovvia della ii).

Completiamo la dimostrazione della i). Grazie alla (4.7), per infiniti valori di n, si ha che|an| ≥ (L− ε)n (0 < ε < L), da cui:

|an x|n = |an| |x|n ≥ (L− ε)n|x|n = [(L− ε)|x|]n , x ∈ R . (4.9)

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 13

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) SERIE DI POTENZE.

Se |x| > R = 1/L, esiste ε ∈]0, L[ tale che |x|(L − ε) > 1. Utilizzando la relazione (4.9), siottiene che il termine generale della serie (4.2) non tende a zero. Anche l’inclusione C ⊂ [−R,R]e dunque dimostrata. Segue la asserzione i).

I casi in cui L = 0 oppure L = +∞ si trattano in modo simile.

4.9 Osservazione. La parte ii) del precedente Teorema ci dice che la serie∑∞

n=0 anxn converge

uniformemente su ogni sotto-insieme la cui chiusura sia un compatto contenuto in ]−R,R[.

4.10 Osservazione. Il Teorema appena provato ci dice che l’insieme di convergenza contienel’intervallo aperto ] − R,R[ ed e contenuto nell’intervallo chiuso [−R,R], ma non dice alcunchesul comportamento della serie (4.2) sui punti di frontiera −R , R. La sola informazione del raggiodi convergenza R della serie non puo dare risultati piu precisi.

Se consideriamo infatti la serie geometrica∑∞

n=0 xn, si ha che R = 1, ma si ha C =]− 1, 1[.

Considerandone la serie (delle primitive formali)∑∞

n=0 xn+1/(n+1), si ha ancora che R = 1,

ma C = [−1, 1[.Considerando la serie (delle primitive formali) della serie precedente

∞∑

n=0

xn+2

(n+ 1)(n+ 2),

si ha ancora che R = 1, ma C = [−1, 1].

d) Il Teorema della regolarita della somma

Il seguente risultato da alcune informazioni relative alla regolarita della somma di una seriedi potenze:

4.11 Teorema. Data la serie di potenze (4.2), sia R il suo raggio di convergenza. Si ha allorache la funzione:

f :]− R,R[→R definita da f(x) =

∞∑

n=0

an xn

e indefinitamente differenziabile su ]− R,R[. Si ha inoltre (k ∈ N):

f (k)(x) =

∞∑

n=k

n(n− 1) . . . (n− k + 1) an xn−k , ∀x ∈]−R,R[ , (4.10)

ak =f (k)(0)

k!, (4.11)

cioe lo sviluppo in serie di potenze di f coincide con la sua serie di Taylor.

Dimostrazione: Dimostriamo intanto che f ∈ C0 su ]−R,R[. Se 0 < r < R, grazie al Teoremadella Conservazione della continuita, la serie di potenze (4.2) converge uniformemente in ]− r, r[.Utilizzando poi il Teorema 3.12, si ha che f ∈ C0(]− r, r[) (per ogni 0 < r < R) e dunque f ∈ C0

su ]− R,R[.

Dimostriamo ora che f ∈ C1 su ]−R,R[ e che f ′ puo essere rappresentato dalla (4.10) (conk = 1). Consideriamo la cosiddetta serie derivata della serie (4.2) (che non e altro che la seriedelle derivate)

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 14

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) SERIE DI POTENZE.

∞∑

n=1

n an xn−1 . (4.12)

Tale serie coincide con la serie (4.10) (nel caso k = 1). Tale nuova serie e ancora una serie dipotenze il cui insieme di convergenza coincide con quello della seguente:

∞∑

n=1

n an xn = x

∞∑

n=1

n an xn−1 . (4.13)

Il raggio di convergenza di quest’ultima serie e dato (grazie al Teorema 4.8) dal reciproco gener-alizzato del numero:

L′ = max limn→∞

n√n|an| = max lim

n→∞

n√n n√|an| .

Dato che limn→∞n√n = 1, utilizzando la Proposizione 4.4) si ricava che il raggio di convergenza

della serie (4.13) (e dunque della serie (4.12)) coincide allora con il raggio di convergenza Rdella serie di partenza. Grazie al Teorema 4.8, sia la serie di partenza che la serie derivataconvergono uniformente in ogni intervallo ] − r, r[ con 0 < r < R. Utilizzando il Teorema diderivazione per serie si ottiene che f ∈ C1 su ]− r, r[ e che f ′ (nell’intervallo ]− r, r[), ammettela rappresentazione (4.10) (con k = 1). Siccome r e arbitrario, si ha che la relazione (4.10) everificata per k = 1 in ]− R,R[.

Per completare la dimostrazione, basta ragionare per induzione su k.

4.12 Osservazione. Il precedente teorema ci dice che le derivate successive della funzione fsono anch’esse rappresentabili come la somma di una serie di potenze. Si ha inoltre che la seriedi potenze che compare nella (4.10) converge puntualmente su ]− R,R[ e totalmente (e dunqueassolutamente e uniformemente) su ]− r, r[ (dove r ∈]0, R[).

4.13 Osservazione. I Teoremi 4.8 e 4.11 si estendono facilmente al caso generale della serie dipotenze (4.1) nel senso che valgono sull’intervallo aventi estremi x0±R. Il legame fra i coefficientidella serie di potenze e le derivate della funzione somma diventa:

an =f (n)(x0)

n!, (4.14) .

e) Rappresentabilita di una funzione come somma di una serie di potenze

Data una serie di potenze abbiamo gia studiato le principali proprieta della somma (insiemedi definizione, regolarita, rappresentazione delle derivate, . . . ). Adesso studieremo il problemainverso:

4.14 Definizione. Data una funzione f :]a, b[→R e x0 ∈]a, b[, diciamo che f e esprimibile vicinoal punto x0 come la somma di una serie di potenze, se esiste R > 0 ed esiste una successionean ∈ R in modo tale che:

f(x) =∞∑

n=0

an(x− x0)n , ∀x ∈]x0 −R, x0 + R[ .

Immediata conseguenza del Teorema 4.11 e il seguente:

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 15

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4.15 Teorema. Data una funzione f :]a, b[→ R e x0 ∈]a, b[, se f e esprimibile vicino al puntox0 come la somma di una serie di potenze, allora esiste R > 0 in modo tale che f ∈ C∞ su]x0 − R, x0 + R[. Si ha anche che f coincide con la sua serie di Taylor su ]x0 − R, x0 + R[ (cioean = f (n)(x0)/n!).

4.16 Osservazione. Il precedente Teorema costituisce anche un risultato di unicita della rapp-resentazione di una funzione come somma di una serie di potenze.

4.17 Osservazione. Il Teorema 4.15 non puo essere invertito, in quanto esistono funzioni diclasse C∞ che non possono essere espresse come somma di una serie di potenze. Vediamo ilseguente contro-esempio:

f : R → R definita da f(x) =

exp(−1/x2), se x > 0,0, se x ≤ 0.

Si verifica che f ∈ C∞ su R. Verifichiamo che tale funzione non e pero somma di una serie dipotenze (di centro 0). In caso contrario, si avrebbe: f(x) =

∑∞n=0 anx

n (an ∈ R). Siccomef(x) = 0 (x ≤ 0), si ha che f (k)(x) = 0 (x < 0, k ∈ N). Dato che f ∈ C∞ su R, si haf (k)(0) = limx↑0 f

(k)(x) = 0. Segue allora che i coefficienti an dello sviluppo in serie di potenzedevono essere tutti nulli (grazie alla relazione (4.11)). Tale risultato implica che f ≡ 0 in unintorno di 0, che ci da una contraddizione.

Grazie al Teorema 4.15, affinche una funzione f :]x0 − R, x0 + R[→ R si possa esprimerecome somma di una serie di potenze, dobbiamo supporre che f sia indefinitamente derivabile.Vale allora il Teorema della formula di Taylor che afferma che f puo essere cosı rappresentato(per ogni n ∈ N)

f(x) =n∑

k=0

f (k)(x0)

k!(x− x0)

k + Rn(x, x0) , (4.15)

dove Rn e il resto n − esimo. Lo studente dovrebbe sapere che esiste limx→x0Rn(x, x0) = 0.

Piu precisamente si sa che Rn(x, x0) = o(x − x0)n, cioe che Rn e una funzione infinitesima per

x → x0 di ordine superiore a (x − x0)n. Dovrebbe anche essere noto che Rn ammette diverse

rappresentazioni, fra cui quella di Lagrange:

Rn(x, x0) =f (n+1)(ξ)

(n+ 1)!(x− x0)

n+1 , (4.16)

dove ξ e un punto intermedio fra x0 e x.Vale ovviamente il seguente risultato:

4.18 Teorema. Una funzione f ∈ C∞ su ]x0−R, x0 +R[ e esprimibile come somma di una seriedi potenze se e solo se:

∀x ∈]x0 −R, x0 + R[ , limn→∞

Rn(x, x0) = 0 ,

dove Rn e il resto n− esimo della serie di Taylor (4.15) (cioe se e solo se limn→∞ Rn(x, x0) → 0puntualmente).

Il precedente risultato permette di dimostrare alcuni utili criteri sufficienti per la sviluppa-bilita in serie di potenze di una funzione.

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 16

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4.19 Teorema. Sia f ∈ C∞ su ]x0 −R, x0 +R[, dove x0 ∈ R e R > 0. Se:i) esiste M > 0 tale che ∀x ∈]x0 +R, x0 + R[ , |f (n)(x)| ≤M n!/Rn,

oppure se:ii) esiste M > 0 tale che ∀x ∈]x0 +R, x0 + R[ , |f (n)(x)| ≤Mn,

allora f si puo esprimere come somma di una serie di potenze (di centro x0) nell’intervallo]x0 − R, x0 + R[.

Dimostrazione: Sotto la ipotesi i), utilizzando la forma di Lagrange di Rn, si ha (dove ξ e unpunto intermedio fra x0 e x):

|Rn(x, x0)| ≤∣∣∣∣f (n+1)(ξ)

(n+ 1)!(x− x0)

n+1

∣∣∣∣ ≤M

( |x− x0)|R

)n+1

, ∀x ∈]x0 −R, x0 +R[ ;

siccome |x− x0)| < R, si ha che |Rn(x, x0)| e maggiorato da una costante per il termine generaledi una serie geometrica di ragione minore di 1. Segue che limn→∞Rn(x, x0) = 0.

Sotto la ipotesi ii) si ha inoltre:

|Rn(x, x0)| ≤(M R)n+1

(n+ 1)!, ∀x ∈]x0 − R, x0 + R[ ,

e conseguentemente si ha che |Rn(x, x0)| e maggiorato dal termine generale di una serie esponen-ziale. Segue che limn→∞ Rn(x, x0) = 0.

Il Teorema e cosı dimostrato.

4.20 Esempi. Dato R > 0, le derivate successive della funzione exp(x) verificano le seguentirelazioni:

|Dn exp(x)| = exp(x) ≤ exp(R) ≤ [exp(R)]n , ∀x ∈]−R,R[ , ∀n ∈ N .

Cio vuol dire che possiamo applicare alla funzione exp(x) (ristretta all’intervallo ] − R,R[) ilTeorema 4.19 ii), scegliendo M = expR. Esiste dunque una successione an ∈ R tale che:

exp(x) =∞∑

n=1

anxn , ∀x ∈]− R,R[ .

Ricordando la relazione (4.11), si ha che an = 1/n!, da cui:

exp(x) =∞∑

n=1

1

n!xn , ∀x ∈]− R,R[

e dunque (dato che R e arbitrario):

exp(x) =∞∑

n=1

1

n!xn , ∀x ∈ R . (4.17)

Analogamente si verificano le seguenti rappresentazioni (per ogni x ∈ R):

sen x =

∞∑

n=0

(−1)n

(2n+ 1)!x2n+1 , cosx =

∞∑

n=0

(−1)n

(2n)!x2n , ∀z ∈ R . (4.18)

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 17

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E ben nota anche la seguente relazione:

1

1− x=

∞∑

n=0

xn , ∀x ∈]− 1, 1[ . (4.19)

Se sostituiamo x con −x nella precedente relazione si ha:

1

1 + x=

∞∑

n=0

(−1)n xn , ∀x ∈]− 1, 1[ (4.20)

e sostituendo x con x2 in quest’ultima si ha:

1

1 + x2=

∞∑

n=0

(−1)n x2n , ∀x ∈]− 1, 1[ . (4.21)

Osserviamo che:

(log(1− x))′= − 1

1− x= −

∞∑

n=0

xn , ∀x ∈]− 1, 1[

da cui:

log(1− x) =

∫ x

0

(log(1− s))′ds = −

∫ x

0

(∞∑

n=0

sn

)ds , ∀x ∈]− 1, 1[ .

Supponiamo, per semplicita, che x ≥ 0. Siccome la serie di potenze∑∞

n=0 sn converge uniforme-

mente sull’intervallo [0, x], utilizzando il Teorema di integrazione per serie, si ricava la seguenterappresentazione:

log(1− x) = −∞∑

n=0

xn+1

n+ 1= −

∞∑

n=1

xn

n, ∀x ∈]− 1, 1[ . (4.22)

Dimostriamo infine la seguente relazione (detta identita della serie binomiale):

(1 + x)α =∞∑

n=0

n

)xn , ∀x ∈]− 1, 1[ , ∀α ∈ R , (4.23)

dove:

n

)=

α(α−1)...(α−n+1)

n! , se n 6= 0,1, se n = 0.

Poniamo:

f(x) =

∞∑

n=0

n

)xn ,

e dimostriamo che:

(1 + x)f ′(x) = αf(x) , ∀x ∈]− 1, 1[ . (4.24)

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 18

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) SERIE DI POTENZE.

Si ha intanto che:

(1 + x)f ′(x) = (1 + x)

∞∑

n=1

n

n

)xn−1 =

∞∑

n=1

n

n

)xn−1 +

∞∑

n=1

n

n

)xn

e, ponendo n− 1 = m nella prima sommatoria del membro di destra,

(1 + x)f ′(x) =

∞∑

m=0

(m+ 1)

m+ 1

)xm +

∞∑

n=1

n

n

)xn

e facile verificare che:

(m+ 1)

m+ 1

)= (α−m)

m

)

e dunque:

(1 + x)f ′(x) =

∞∑

m=0

(α−m)

m

)xm +

∞∑

n=1

n

n

)xn = α+ α

∞∑

n=1

n

n

)xn = αf(x)

cioe la (4.24). Si ha ancora:

(f(x)(1 + x)−α)′ = f ′(x)(1 + x)−α − αf(x)(1 + x)−α−1

e utilizzando la (4.24)

(f(x)(1 + x)−α)′ = αf(x)

1 + x(1 + x)−α − αf(x)(1 + x)−α−1 = 0

che significa che:

f(x)(1 + x)−α = costante .

Valutando la costante per x = 0, si ha che f(x)(1 + x)−α = 1, da cui, finalmente, la re-lazione (4.23).

f) Il caso complesso

Nel caso in cui si supponga che i coefficienti siano numeri complessi, la serie (4.1) diventa:

∞∑

n=0

an(z − z0)n (4.25)

dove z0 e un punto fissato del piano complesso e z e la variabile complessa. Nella presente Sezionedaremo (molto velocemente) alcuni risultati relativi alle serie di potenze in campo complesso,senza alcuna pretesa di completezza e limitandoci, per gran parte, ad enunciati informali.

I risultati contenuti nel Teorema 4.8 si possono estendere facilmente nel senso che l’insiemedi convergenza e intermedio fra la bolla complessa aperta B(z0, R) (di centro z0 e raggio R) ela sua chiusura, dove il raggio di convergenza R e ancora dato dal reciproco generalizzato delnumero:

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 19

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) SERIE DI POTENZE.

L = max limn→∞

n√|an| .

Si ha anche che la convergenza della serie (4.25) e uniforme su ogni compatto contenuto inB(z0, R).

Prima di dare un cenno relativo alla estensione del Teorema 4.11, introduciamo la seguente:

4.21 Definizione. Sia Ω una regione (cioe un aperto connesso) di C, f : Ω → C e z0 un puntodi Ω. Si dice che la funzione f e derivabile (in senso complesso) in z0, se esiste λ ∈ C in modotale che:

∃ limz→z0

f(z)− f(z0)

z − z0= λ

Il valore λ viene chiamato derivata (in senso complesso) di f nel punto z0 e viene indicato conf ′(z0). Se inoltre f e derivabile in ogni punto z ∈ Ω, allora si dice che f e analitica (o olomorfa)in Ω.

Si dimostra che una funzione f : Ω → C olomorfa su Ω, cioe derivabile (in senso complesso) inogni punto di Ω, e automaticamente indefinitamente derivabile in senso complesso in ogni puntodi Ω.

La versione complessa del Teorema 4.11, coincide allora formalmente con la versione reale.Si ha infatti che la somma della serie di potenze (4.25) e olomorfa su B(z0, R) e dunque indefini-tamente derivabile (in senso complesso) nella bolla B(z0, R) e che le sue derivate possono essererappresentate dalla formula (4.10) (opportunamente adattata).

Il precedente risultato puo essere in un certo senso invertito. Si ha infatti che se f : Ω → C

e olomorfa su Ω, allora puo essere espressa localmente come la somma di una serie di potenze.

4.22 Esempio. E di particolare importanza il problema della estensione delle funzioni realidi variabile reale a funzioni complesse di variabile complessa. Data, ad esempio, la funzioneexp(x) definita su R a valori in R, si vuole trovarne una estensione come funzione complessadi variabile complessa. Una buona proposta e la seguente (che generalizza la rappresentazionedell’esponenziale reale dato dalla (4.17)):

exp(z) =

∞∑

n=1

1

n!zn , ∀z ∈ C . (4.26)

Grazie alle considerazioni condotte sopra, la funzione sopradefinita, chiamata esponenziale incampo complesso, e olomorfa su tutto C. Si dimostra anzi che e l’unica funzione olomorfa su C

che coincida con expx sull’asse reale.

Analogamente si possono definire le funzioni seno e coseno (in campo complesso) mediantele formule:

sen z =

∞∑

n=0

(−1)n

(2n+ 1)!z2n+1 , cos z =

∞∑

n=0

(−1)n

(2n)!z2n , ∀z ∈ C , (4.27)

che sono una estensione delle relazioni (4.18). Le funzioni seno e coseno (in campo complesso) intal modo definite sono ancora funzioni olomorfe su tutto C e sono l’unica estensione olomorfa suC del seno e del coseno in campo reale.

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 20

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) SERIE DI POTENZE.

Un sorprendente legame fra le funzioni esponenziale, seno e coseno (in campo complesso) edato dalla:

4.23 Formula di Eulero. Si ha che:

exp(ix) = cosx+ i senx , ∀x ∈ R .

Dimostrazione: Grazie alla definizione 4.26 si ha:

exp(ix) =∞∑

n=0

(i x)n

n!=∑

n pari

(i x)n

n!+

n dispari

(i x)n

n!=

∞∑

n=0

i2nx2n

(2n)!+

∞∑

n=0

i2n+1x2n+1

(2n+ 1)!

da cui, ricordando le definizioni 4.27 e il fatto che i2 = −1, si ha:

exp ix =

∞∑

n=0

(−1)n x2n

(2n)!+ i

∞∑

n=0

(−1)n x2n+1

(2n+ 1)!= cosx+ i sen x .

Ricordando le formule di rappresentazione (4.18), la formula di Eulero e cosı dimostrata.

Si puo dimostrare che l’esponenziale in campo complesso soddisfa (come in ambito reale) laseguente relazione:

exp(z + w) = (exp z) (expw) , ∀z, w ∈ C . (4.28)

Se z = x + iy e un generico numero complesso la cui parte reale e x e il coefficiente dell’im-maginario e y, si puo calcolare facilmente exp(z) mediante la seguente formula (che e una ovviaconseguenza della formula di Eulero e della relazione (4.28)):

exp(x+ iy) = (cos y + i sen y) expx .

Tale relazione e particolarmente interessante perche ci permette di provare numerose proprietadell’esponenziale complesso:

i) si ha che exp z 6= 0 , ∀z ∈ C,ii) si ha che exp z = exp(z + 2πi) , ∀z ∈ C.

La prima di tali proprieta afferma che l’esponenziale non si annulla mai, proprio come in camporeale. La seconda afferma che l’esponenziale e una funzione periodica di periodo 2πi. L’esponen-ziale complesso non e dunque una funzione iniettiva. Tale fatto ci dice che avremo dei problemiper definire il logaritmo in campo complesso.

Per concludere questo argomento, approfondiamo il legame fra la nozione di derivabilita insenso complesso e derivabilita in senso reale.

Osserviamo che C puo essere identificato a R2 e che un generico numero complesso z puo

essere equivalentemente rappresentato

z = x+ iy = (x, y) , dove x = Re z , y = Im z .

Se, dato Ω aperto di C e data f : Ω → C, si ha che f puo essere considerata come definitasull’aperto Ω (come aperto di R

2) a valori in R2. E anche lecito introdurre le funzioni reali di

variabile reale

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 21

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) SERIE DI POTENZE.

u , v : Ω ⊂ R2 → R , dove u = Re f , v = Im f .

Vale l’importante risultato:

4.24 Teorema. Dato z0 ∈ Ω si ha che f e derivabile in senso complesso in z0 = x0 + i y0 se esolo se valgono le due condizionii) le funzioni u , v sono derivabili parzialmente in (x0, y0),ii) valgono le cosiddette relazioni di Cauchy-Riemann:

∂u

∂x(x0, y0) =

∂v

∂y(x0, y0) ,

∂u

∂y(x0, y0) = −∂v

∂x(x0, y0) .

I - SUCCESSIONI E SERIE DI FUNZIONI (23 - 1 - 2004) 22

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) MISURA DI RETTANGOLI E PLURIRETTANGOLI

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE

Queste pagine costituiscono essenzialmente una riduzione del libro di Giusti E., ANALISIMATEMATICA 2, cap.5 e 6 e sono state redatte per facilitare lo studio dello studente il qualetrova sul libro del Giusti una trattazione un po’ troppo complessa e articolata e in ogni casotroppo gravosa perche si possa inserire integralmente in un normale corso di Analisi Matematicadel II anno.

L’esposizione degli argomenti trattati risultera molto stringata: mancheranno alcuni esempinotevoli (che lo studente trovera nel libro del Giusti) e le “chiacchere” che vengono date a lezione.Raccomando dunque la frequenza delle lezioni e, soprattutto, delle esercitazioni al corso, perchepossa disporre di maggiori dettagli e di ulteriori complementi.

Lo studente si dovra affidare al sopra-citato libro del Giusti, per un eventuale approfondi-mento della materia trattata.

1 - MISURA DI RETTANGOLI E PLURIRETTANGOLI

a) Misura dei rettangoli

Introduciamo la famiglia R dei rettangoli:

1.1 Definizione. Un sottoinsieme R di Rn si dice un rettangolo se e il prodotto cartesiano di n

intervalli chiusi e limitati di R. La famiglia di tutti i rettangoli di Rn verra, nel seguito, indicata

con Rn o, piu semplicemente con R.

Ad esempio, nel caso n = 2, la famiglia R2 e formata da tutti i rettangoli chiusi a lati paralleliagli assi coordinati. Sugli elementi di R definiamo elementarmente una misura, cioe una funzionemR : R → R, ponendo mR(R) = volume (R) dove R ∈ R: cioe, se R = Πn

i=1 [ai, bi], si ponemR(R) = Πn

i=1(bi − ai). Si ha, ovviamente, che tale misura e sempre non negativa e che:

∀R1, R2 ∈ R (R1 ⊂ R2 ⇒ mR(R1) ≤ mR(R2)).

b) Misura dei pluri-rettangoli

Introduciamo ora una famiglia piu vasta di insiemi su cui definire una misura:

1.2 Definizione. Un sottoinsieme P di Rn si dice un pluri-rettangolo se e unione finita di

rettangoli R1, . . . , Rm ∈ Rn, tali che

Ri ∩

Rj = ∅ , (i 6= j). In tal caso si pone:

mP (P ) =

m∑

i=1

mR(Ri).

La famiglia di tutti i pluri-rettangoli di Rn verra, nel seguito, indicata con Pn o, piu semplice-

mente, con P.

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 23

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) MISURA DEGLI APERTI E DEI COMPATTI

E facilmente comprensibile (anche se laborioso da giustificare correttamente) che la definizio-ne di misura di pluri-rettangolo e coerente, cioe e indipendente dalla particolare decomposizionein rettangoli. Importante e anche il concetto di raffinamento di un pluri-rettangolo: cio vuol direche dato ε > 0, si puo dare, a un assegnato pluri-rettangolo P ∈ P, una rappresentazione comeunione di una famiglia finita di elementi di R aventi un diametro minore di ε. Anche la nozionedi raffinamento e molto intuitiva e non verra approfondita dal punto di vista formale. Notiamoinoltre che R ⊂ P (cioe la famiglia dei pluri-rettangoli e piu ricca di quella dei rettangoli), chemP e una estensione di mR e che P ha buone proprieta insiemistiche (ad esempio, intersecando oriunendo due pluri-rettangoli si ottiene ancora un pluri-rettangolo). Si ha, infine, che mP (P ) ≥0 , ∀P ∈ P e che valgono le seguenti ovvie proprieta:

∀P1, P2 ∈ P (P1 ⊂ P2 ⇒ mP (P1) ≤ mP(P2)), (1.1)

∀P1, P2 ∈ P (mP(P1 ∪ P2) ≤ mP (P1) +mP (P2)), (1.2)

∀P1, P2 ∈ P (

P 1 ∩

P 2 = ∅ ⇒ mP (P1 ∪ P2) = mP (P1) +mP(P2)). (1.3)

2 - MISURA DEGLI APERTI E DEI COMPATTI

Nel seguito indicheremo con A (risp. K) la famiglia degli aperti (risp. compatti) di Rn.

Indicheremo inoltre con R l’insieme R ∪ −∞,+∞, estendendovi in modo abituale la relazionedi ≤.

a) Misura degli aperti

Incominciamo a introdurre una misura definita su A:

2.1 Definizione. Dato Ω ∈ A, si pone mA(∅) = 0 e, se Ω 6= ∅,

mA(Ω) = supmP(P ) , P ∈ P , P ⊂ Ω.

La funzione mA e definita su A a valori in R. Ovviamente tale misura puo assumere anche ilvalore +∞ (ad esempio se A = R

n).

2.2 Esercizio. Verificare che se Ω ∈ A e limitato, allora mA(Ω) e un numero reale non negativo.

Consideriamo la ordinaria distanza euclidea in Rn:

d(x, y) =

√√√√n∑

k=1

|xk − yk|2 , x , y ∈ Rn ,

dove xk e yk sono le componenti di x e y. E ben nota la seguente disuguaglianza triangolare:

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 24

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) MISURA DEGLI APERTI E DEI COMPATTI

d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y) , x , y , z ∈ Rn .

Prima di dimostrare le prime proprieta della misura degli aperti, verifichiamo i seguentielementari risultati:

2.3 Lemma. Sia M ⊂ Rn con M 6= ∅. Consideriamo, inoltre, la funzione definita in R

n a valorireali non negativi: d(x,M) = infd(x,m) , m ∈M. Si ha che:

∀x, y ∈ Rn , |d(x,M)− d(y,M)| ≤ d(x, y)

e, dunque, in particolare, tale funzione e continua su Rn.

Dimostrazione: Fissiamo x , y ∈ Rn. Dato ε > 0, esiste m ∈M tale che:

d(x,M) ≤ d(x,m) ≤ d(x,M) + ε ,

e dunque (utilizzando la disuguaglianza triangolare)

d(y,M) ≤ d(y,m) ≤ d(y, x) + d(x,m) ≤ d(y, x) + d(x,M) + ε.

Sottraendo d(x,M) da tale relazione, si ottiene:

d(y,M)− d(x,M) ≤ d(y, x) + ε

e, scambiando x con y,

|d(y,m)− d(x,M)| ≤ d(y, x) + ε.

Dato che ε e arbitrariamente piccolo, si ha l’asserto.

2.4 Lemma. Supponiamo che Ωi ∈ A , (i = 1, . . . , k) e K ∈ K siano tali che K ⊂ ∪ki=1 Ωi. Si

ha allora che esiste r > 0 tale che per ogni x ∈ K, esiste i ∈ 1, . . . , k tale che B(x, r) ⊂ Ωi.

Dimostrazione: Il caso in cui uno degli aperti Ωi = Rn e banale. Negli altri casi possiamo

considerare la funzione f : Rn → R+ definita da f(x) =

k∑

i=1

d(x,Rn − Ωi). Grazie al Lemma 2.3

tale funzione e continua e non negativa su Rn. Sia ora x ∈ ∪k

i=1 Ωi: in tal caso, esiste i ∈1, . . . , k in modo tale che x ∈ Ωi. Segue che, scegliendo h > 0 sufficientemente piccolo, si hache che B(x, h) ⊂ Ωi e dunque d(x,Rn − Ωi) ≥ h, cioe f(x) > 0. Siccome K e compatto eK ⊂ ∪k

i=1 Ωi, si ha che f(x) > 0 , ∀x ∈ K. Dato che una funzione continua su un compattoammette minimo, si ha che esiste x0 ∈ K tale che f(x) ≥ f(x0) > 0 , ∀x ∈ K. Ponendor = f(x0)/k, cio vuol dire che esiste un indice i tale che d(x,Rn−Ωi) ≥ r e dunque B(x, r) ⊂ Ωi.Il Lemma e dunque provato.

2.5 Lemma. Supponiamo che Ωi ∈ A , (i = 1, . . . , k) e K ∈ K siano tali che K ⊂ ∪ki=1 Ωi. Si

ha allora che esiste r > 0 tale che per ogni R ∈ R, tale che R ∩ K 6= ∅ e diam (R) < r, esistei ∈ 1, . . . , k tale che R ⊂ Ωi.

Dimostrazione: Determinati r > 0 ed i in base al precedente Lemma, sia R ∈ R tale cheR∩K 6= ∅ e che diam (R) < r. Se x0 ∈ R∩K, si ha che R ⊂ B(x0, r) ⊂ Ωi. Il Lemma e dunqueprovato.

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 25

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) MISURA DEGLI APERTI E DEI COMPATTI

Siamo ora in grado di dimostrare il:

2.6 Lemma. Dati Ω1,Ω2 ∈ A si ha che:(i) Ω1 ⊂ Ω2 ⇒ mA(Ω1) ≤ mA(Ω2),(ii) mA(Ω1 ∪ Ω2) ≤ mA(Ω1) +mA(Ω2).

Dimostrazione: La asserzione (i) e conseguenza immediata della definizione di mA. Verifichi-amo la asserzione (ii). Sia P un pluri-rettangolo contenuto in Ω1 ∪ Ω2. Siccome P e compatto,grazie al Lemma 2.5, si puo rappresentare P , dopo un eventuale raffinamento, mediante rettangoliRi ciascuno contenuto in Ω1 o in Ω2. Indichiamo con Pi (i = 1, 2) l’unione di tutti i rettangoliRi contenuti in Ωi. Si ha che:

P1 ⊂ Ω1 , P2 ⊂ Ω2 , P = P1 ∪ P2 ⊂ Ω1 ∪ Ω2 .

e dunque (grazie alla (1.2) e alla definizione di misura di un aperto):

mP (P ) ≤ mP(P1) +mP (P2) ≤ mA(Ω1) +mA(Ω2),

da cui:

mP (P ) ≤ mA(Ω1) +mA(Ω2) , ∀P ∈ P con P ⊂ Ω1 ∪ Ω2,

che, ancora per la definizione di misura di un aperto, dimostra l’asserto.

2.7 Osservazione. Se P ∈ P, si ha allora che0

P ∈ A. Si verifica allora facilmente che:

mA(0

P ) = mP (P ) , ∀P ∈ P .

b) Misura dei compatti

Introduciamo ora la nozione di misura per K, cioe sulla famiglia dei compatti di Rn:

2.8 Definizione. Dato K ∈ K, si pone:

mK(K) = infmP(P ) , P ∈ P , P ⊃ K.

Dato K ∈ K, si ha che K e limitato e dunque contenuto in un rettangolo sufficientementegrande: cio vuol dire che mK(K) ∈ R o, anche che mK non assume mai il valore +∞. Osserviamoche la famiglia P dei plurirettangoli e contenuta nella famiglia K dei compatti e che:

mP (P ) = mK(P ) , ∀P ∈ P .Usando una dimostrazione analoga a quella utilizzata nel Lemma 2.6, si verifica anche il:

2.9 Lemma. Dati K1, K2 ∈ K si ha che:(i) K1 ⊂ K2 ⇒ mK(K1) ≤ mK(K2),(ii) se K1 ∩K2 = ∅ allora: mK(K1 ∪K2) ≥ mK(K1) +mK(K2).

2.10 Osservazione. Nella conclusione dell’asserzione (ii) del precedente lemma, si potrebbe (conun supplemento dimostrativo) sostituire ≥ con =. Tale enunciato (piu forte) non verra utilizzatopiu avanti e, in ogni caso, costituisce un caso particolare di un risultato che dimostreremo inseguito.

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 26

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) INSIEMI MISURABILI

c) Relazioni fra le misure degli aperti e dei compatti

c) Dimostriamo infine il seguente legame fra le misure mK e mA:

2.11 Lemma. Dati K ∈ K e Ω ∈ A, se K ⊂ Ω allora mK(K) ≤ mA(Ω).

Dimostrazione: Grazie alle ipotesi e al Lemma 2.5 (con k = 1) esiste r > 0 tale che per ognirettangolo R ∈ R, con diam (R) < r e che abbia intersezione non vuota con K, allora R ⊂ Ω. Siaora Q ∈ P tale che K ⊂ Q. Eventualmente raffinando Q, si puo supporre che Q sia rappresentatoda una famiglia finita di rettangoli Ri con diametro < r. Se P e l’unione dei rettangoli Ri aventiintersezione non vuota con K, si ha evidentemente che K ⊂ P ⊂ Ω. Grazie alle definizioni dimK e di mA, si ha che: mK(K) ≤ mP (P ) ≤ mA(Ω), che implica l’asserto.

3 - MISURA INTERNA E ESTERNA

Introduciamo la seguente

3.1 Definizione. Sia E ⊂ Rn e poniamo:

m(E) = infmA(Ω) , Ω ∈ A , Ω ⊃ E,

m(E) = supmK(K) , K ∈ K , K ⊂ E.

La funzione m (risp. m) viene chiamata misura esterna (risp. interna).

3.2 Osservazione. Se tutti gli aperti contenenti E hanno misura infinita, si pone m(E) = +∞.Notiamo inoltre che, se E e limitato, si ha che m(E) ∈ R e m(E) ∈ R.

Dimostriamo qualche proprieta della misura esterna e di quella interna:

3.3 Lemma. Si ha che:(i) Per ogni E,F ⊂ R

n, se E ⊂ F allora m(E) ≤ m(F ) e m(E) ≤ m(F ),(ii) Per ogni E ⊂ R

n si ha che m(E) ≤ m(E).

Dimostrazione: La asserzione (i) e immediata. Verifichiamo ora la proprieta (ii). Sia E ⊂ Rn.

Osserviamo che se K ∈ K e Ω ∈ A, con K ⊂ E ⊂ Ω, si ha (grazie al Lemma 2.11) che:mK(K) ≤ mA(Ω). Si ha allora che le classi numeriche

mK(K) , K ∈ K , K ⊂ E , mA(Ω) , Ω ∈ A , Ω ⊃ E

sono separate. Ricordando le definizioni di m e di m, si ha l’asserto.

4 - INSIEMI MISURABILI

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 27

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) INSIEMI MISURABILI

a) Misura di Lebesgue sugli insiemi limitati

Introduciamo finalmente la seguente definizione di misurabilta secondo Lebesgue, limitan-doci, per ora, al caso di sotto-insiemi limitati di R

n:

4.1 Definizione. Un sottoinsieme limitato E di Rn si dice misurabile secondo Lebesgue, se

m(E) = m(E). La famiglia dei sottoinsiemi di Rn misurabili secondo Lebesgue verra, nel seguito,

indicata con Mn, o, piu semplicemente, con M. Se E ∈ M, indicheremo con m(E) il valorecomune della misura interna e della misura esterna di E (tale valore verra chiamato misurasecondo Lebesgue dell’insieme E).

Osserviamo che, nelle ipotesi della precedente definizione, il valore di m(E) e reale (cioe nonassume mai il valore +∞). Tenendo presente tale definizione, si dimostra allora facilmente ilseguente:

4.2 Teorema. Dati E,F ∈ M, se E ⊂ F , allora m(E) ≤ m(F ).

Nel seguito indicheremo con A∗ la famiglia degli aperti limitati di Rn. Vale il:

4.3 Lemma. Si ha che:(i) ogni aperto limitato Ω di R

n (cioe ogni Ω ∈ A∗) appartiene a M e m(Ω) = mA(Ω),(ii) ogni compatto K appartiene a M e m(K) = mK(K).

Dimostrazione: Sia Ω ∈ A∗. Osserviamo che, grazie al Lemma 2.6 (i) e alla definizione dimisura esterna, si ha che m(Ω) = mA(Ω) Dato che mA(Ω) e l’estremo superiore delle misure deipluri-rettangoli contenuti in Ω e che m(Ω) e l’estremo superiore della famiglia (piu numerosa)delle misure dei compatti contenuti in Ω, si ha che mA(Ω) ≤ m(Ω). Ricordando il Lemma 3.3, siha allora:

mA(Ω) ≤ m(Ω) ≤ m(Ω) = mA(Ω)

e, dunque, la parte (i) e dimostrata. La parte (ii) puo essere dimostrata in modo analogo (anchese con qualche piccola complicazione in piu).

4.4 Osservazione. Abbiamo dimostrato che la famiglia M dei sottoinsiemi limitati di Rn mis-

urabili secondo Lebesgue e molto vasta, in quanto essa contiene tutti i compatti e gli aperti(non troppo “grandi”). In realta tale famiglia e effettivamente “ricchissima”, dato che per lacostruzione di un’insieme limitato non misurabile secondo Lebesgue, sono necessarie tecnichenon costruttive e molto raffinate che utilizzano, in modo essenziale, l’assioma della scelta.

4.5 Osservazione. Un’altra classica Teoria della misura e dovuta a Peano-Jordan: essa consistenell’approssimare, per eccesso e per difetto, i sottoinsiemi di R

n direttamente con pluri-rettangoli.Per un assegnato sottoinsieme E di R

n vengono cosı costruite ancora una misura esterna µ(E)ed una interna µ(E). La famiglia J dei sottoinsiemi di R

n misurabili secondo Peano-Jordam e

costituita dagli insiemi E tali che µ(E) = µ(E). E facile verificare che:

∀E ⊂ Rn , µ(E) ≤ m(E) ≤ m(E) ≤ µ(E),

e dunque J ⊂ M (cioe a dire un sottoinsieme di Rn misurabile secondo Jordan e anche mis-

urabile secondo Lebesgue). In realta la misura secondo Peano-Jordan e effettivamente tropporudimentale per molti capitoli dell’Analisi Matematica, in quanto non consente una adeguataTeoria dell’integrale (soprattutto per quanto riguarda i risultati di passaggio al limite sotto ilsegno di integrale).

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Piu avanti descriveremo un esempio di insieme misurabile secondo Lebesgue, ma non mis-urabile secondo Jordan.

b) Prime proprieta della misura di Lebesgue

Immediata conseguenza della definizione di misura secondo Lebesgue e la seguente:

4.6 Proposizione. Sia E un insieme limitato di Rn. Si ha allora che E ∈ M se e solo se:

∀ε > 0 , ∃Ω ∈ A∗ , ∃K ∈ K , in modo tale che K ⊂ E ⊂ Ω e m(Ω)−m(K) < ε . (4.1)

Dimostrazione: Dimostriamo che se E ∈ M allora vale la relazione (4.1). Sia h > 0 tale cheE ⊂ B(0, h). Dato ε > 0, grazie alla Definizione 4.1, esistono Λ ∈ A , K ∈ K in modo tale cheK ⊂ E ⊂ Λ e mA(Λ)−m(K) < ε. Se poniamo Ω = Λ ∩ B(0, h), si ha subito la relazione (4.1).Il viceversa e banale.

Dimostriamo ora il:

4.7 Lemma. Se E1, E2 ∈ M, con E1 ∩ E2 = ∅, si ha che E1 ∪E2 ∈ M e:

m(E1 ∪E2) = m(E1) +m(E2) .

Dimostrazione: Dati E1, E2 ∈ M, dato ε > 0, grazie alla Proposizione 4.6, si possono deter-minare Ω1,Ω2 ∈ A∗ e K1, K2 ∈ K tali che (i=1,2):

Ki ⊂ Ei ⊂ Ωi ,

m(Ki) ≤ m(Ei) ≤ m(Ωi) , m(Ωi)−m(Ki) < ε . (4.2)

Osserviamo che:

Ω1 ∪ Ω2 ∈ A∗ , K1 ∪K2 ∈ K , K1 ∪K2 ⊂ E1 ∪E2 ⊂ Ω1 ∪ Ω2 . (4.3)

Siccome K1 ∩K2 = ∅, grazie alla (4.2) e ai Lemmi 2.6 e 2.9, si ha che:

m(Ω1 ∪ Ω2) ≤ m(Ω1) +m(Ω2) ≤ m(E1) +m(E2) + 2ε , (4.4)

m(K1 ∪K2) ≥ m(K1) +m(K2) ≥ m(E1) +m(E2)− 2ε , (4.5)

e dunque 0 < m(Ω1∪Ω2)−m(K1∪K2) < 4 ε: tale relazione implica che E1∪E2 ∈ M (utilizzandoanche la (4.3)). Grazie alla monotonia della misura secondo Lebesgue, si ha che:

m(K1 ∪K2) ≤ m(E1 ∪E2) ≤ m(Ω1 ∪ Ω2) .

Utilizzando anche le relazioni (4.4) e (4.5), si ottiene che:

m(E1) +m(E2)− 2ε ≤ m(E1 ∪ E2) ≤ m(E1) +m(E2) + 2ε ,

che, data l’arbitrarieta di ε, completa la dimostrazione dell’asserto

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Con un facile ragionamento per induzione, si puo dimostrare la seguente generalizzazionedella Proposizione 4.7:

4.8 Proposizione. Dato un numero finito di insiemi E1, . . . , Ek ∈ M, con Ei ∩Ej = ∅, se i 6= j,si ha che:

k∪i=1

Ei ∈ M , m(k∪

i=1Ei) =

k∑

i=1

m(Ei) .

4.9 Lemma. Sia Ω ∈ A∗ e K ∈ K con K ⊂ Ω. Si ha allora che Ω−K ∈ M e che:

m(Ω) = m(Ω−K) +m(K) .

Dimostrazione: Osserviamo che Ω−K = Ω ∩ (−K) ∈ A∗ ⊂M dato che e intersezione di dueaperti. L’asserto e dunque conseguenza del Lemma 4.7.

Alla luce di tale risultato, possiamo enunciare una variante della Proposizione 4.6:

4.10 Proposizione. Sia E un insieme limitato di Rn. Si ha allora che E ∈ M se e solo se:

∀ε > 0 , ∃Ω ∈ A∗ , ∃K ∈ K , in modo tale che K ⊂ E ⊂ Ω e m(Ω−K) < ε .

A tale punto siamo in grado di dimostrare la seguente:

4.11 Proposizione. Dati E1, E2 ∈ M, si ha che E1 − E2 ∈ M.

Dimostrazione: Dati E1, E2 ∈ M, dato ε > 0, si possono determinare Ω1,Ω2 ∈ A∗ e K1, K2 ∈K verificanti (i = 1, 2):

Ki ⊂ Ei ⊂ Ωi , m(Ωi −Ki) < ε . (4.6)

Osserviamo inoltre che:

Ω1 −K2 ∈ A∗ , K1 − Ω2 ∈ K , K1 − Ω2 ⊂ E1 − E2 ⊂ Ω1 −K2 . (4.7)

Dimostriamo ora che:

(Ω1 −K2)− (K1 − Ω2) ⊂ (Ω1 −K1) ∪ (Ω2 −K2), (4.8)

Per dimostrare tale relazione utilizzeremo le seguenti semplici regole insiemistiche (A,B,C es-sendo insiemi generici):(a) A−B = A ∩ (−B),(b) −(A ∩B) = (−A) ∪ (−B),(c) A ∩ (B ∪ C) = (A ∩B) ∪ (A ∩ C).

Si ha allora (specificando anche le giustificazioni dei passaggi):

(Ω1 −K2)− (K1 − Ω2)(a)=(Ω1 ∩ (−K2)

)∩(− (K1 ∩ (−Ω2)

) (b)=(Ω1 ∩ (−K2)

)∩((−K1) ∪ Ω2

) (c)=

=((

Ω1 ∩ (−K2))∩ (−K1)

)∪((

Ω1 ∩ (−K2))∩ Ω2

)⊂(Ω1 ∩ (−K1)

)∪(Ω2 ∩ (−K2)

).

e, dunque, grazie alla proprieta (a), la relazione (4.8) e dimostrata. Si ha allora che (utilizzandoil Lemma 2.6 e le relazioni (4.6)):

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m((Ω1 −K2)− (K1 − Ω2)

)≤ m

((Ω1 −K1) ∪ (Ω2 −K2)

)≤ m(Ω1 −K1) +m(Ω2 −K2) < 2ε .

Ricordando anche la (4.7), si ha l’asserto.

Si ha anche che:

4.12 Proposizione. Se E1, E2 ∈ M, allora E1 ∩E2 ∈ M e E1 ∪E2 ∈ M. Si ha inoltre che:

m(E1 ∪E2) +m(E1 ∩E2) = m(E1) +m(E2)

e, in particolare,

m(E1 ∪E2) ≤ m(E1) +m(E2) .

Dimostrazione: Dato che E1 ∩ E2 = E1 − (E1 − E2), utilizzando la Proposizione 4.11, si hache E1 ∩ E2 ∈ M. Si ha inoltre che:

E1 = (E1 ∩ E2) ∪ (E1 −E2) , (E1 ∩ E2) ∩ (E1 −E2) = ∅ .

Si ha allora (grazie al Lemma 4.8) che:

m(E1) = m(E1 ∩E2) +m(E1 −E2) . (4.9)

In modo analogo si ricava che:

m(E2) = m(E2 ∩ E1) +m(E2 −E1). (4.10)

Osserviamo che:

E1 ∪ E2 = (E1 ∩ E2) ∪ (E1 − E2) ∪ (E2 −E1) . (4.11)

Dato che E1 ∩ E2 ∈ M e dato che la differenza di insiemi misurabili e misurabile, si ha cheE1 ∪E2 e rappresentabile come unione di insiemi misurabili disgiunti: cio implica che E1 ∪E2 emisurabile. Si ha allora che:

m(E1 ∪ E2) = m(E1 ∩E2) +m(E1 −E2) +m(E2 −E1). (4.12)

Sottraendo alla (4.12), le relazioni (4.9) e (4.10), l’asserto e dimostrato.

c) Estensione della definizione di misura di Lebesgue

c) Per gli scopi che ci prefiggiamo e bene generalizzare ulteriormente la definizione di insiememisurabile prendendo in considerazione anche i sottoinsiemi non limitati di R

n:

4.13 Definizione. Dato E insieme non limitato di Rn, supponiamo che per ogni r > 0, si abbia

che Er = E ∩B(0, r) ∈ M. In tale caso diciamo che E e misurabile secondo Lebesgue e si pone

m(E) = limr→+∞m(Er) (tale limite esiste in R dato che la funzione r → m(Er) e monotona nondecrescente).

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4.14 Osservazione. D’ora in poi indicheremo con Mn (o, piu semplicemente con M) la famigliadei sottoinsiemi di R

n verificanti la vecchia Definizione 4.1 oppure la nuova 4.13.

4.15 Osservazione. Grazie alla precedente Definizione si ricava facilmente che ogni aperto Ω diR

n (limitato o non limitato) appartiene a M e m(Ω) = mA(Ω).

d) σ-additivita

La famiglia M degli insiemi misurabili e la misura m hanno ottime proprieta formali, chesono riassunte dal seguente fondamentale risultato (di cui abbiamo dato solo alcune tappe delladimostrazione):

4.16 Teorema della σ-additivita. Si ha che, se E1, E2 ∈ M, allora E1 − E2 ∈ M e, seE1 ⊂ E2, si ha che m(E1) ≤ m(E2). Se inoltre Ei , i ∈ N, e una famiglia numerabile di insiemiappartenenti a M, si ha che:

∞∪i=1

Ei ∈ M ,∞∩

i=1Ei ∈ M ,

e che:

m(∞∪

i=1Ei) ≤

∞∑

i=1

m(Ei) .

Se, inoltre, gli insiemi Ei sono a due a due disgiunti, allora:

m(∞∪

i=1Ei) =

∞∑

i=1

m(Ei) .

Se si ha che Ei ⊂ Ei+1 , i ∈ N, allora:

m(∞∪

i=1Ei) = lim

i→∞m(Ei) = supm(Ei) , i ∈ N .

Se infine si ha che m(E1) < +∞ e che Ei ⊃ Ei+1 , i ∈ N, allora:

m(∞∩

i=1Ei) = lim

i→∞m(Ei) = infm(Ei) , i ∈ N .

4.17 Osservazione. Siccome Rn ∈ Mn, si ricava che E ⊂ R

n appartiene a Mn se e solo se−E = R

n −E appartiene a Mn.

4.18 Osservazione. Il fatto che una unione numerabile di insiemi misurabili sia ancora misura-bile, e una proprieta molto importante (chiamata σ-additivita) che ci permettera di costruire,piu avanti, una Teoria dell’integrale molto efficiente. Si puo verificare che la σ-additivita none valida per la Teoria della misura secondo Jordan, come risultera dall’Esempio che fra pocodescriveremo.

4.19 Osservazione. La definizione di misura secondo Lebesgue e stata introdotta attraversomolte tappe. Se avessimo impiegato direttamente la Definizione 4.1, senza imporre la restrizioneche l’insieme E sia limitato (e dunque saltando la fase descritta nella Definizione 4.13), avremmoottenuto una misura che non soddisfa le fondamentali proprieta contenute nel Teorema della σ-additivita.

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4.20 Osservazione. E immediato verificare che Rn ∈ Mn. Si verifica allora immediatamente che

un sottoinsieme E di Rn e nisurabile se e solo se e misurabile il suo complementare −E = R

n−E.

4.21 Esempio. Consideriamo l’insieme:

E = x ∈ [0, 1] : x ∈Q .

Tale insieme e unione numerabile di insiemi costituiti da un solo punto. Grazie al Teorema dellaσ-additivita, si ha che E ∈ M1 (cioe E e misurabile secondo la misura di Lebesgue su R) e inoltrem1(E) = 0. Si verifica inoltre facilmente che la misura interna (risp esterna) secondo Jordan diE e data da µ(E) = 0 (risp. µ(E) = 1).

Dunque E e un insieme misurabile secondo Lebesgue, ma non secondo Jordan. In tal modoabbiamo verificato che la σ-additivita non e valida per la misura secondo Jordan.

L’insieme:

F = x ∈ [0, 1] : x ∈ R−Q ,

e ancora misurabile secondo Lebesgue (con m(F ) = 1), ma non e misurabile secondo Jordan.

4.22 Esempio. Dato l’insieme E = (x, y) ∈ R2 : y = 0, si verifica facilmente che, posto

Er = E ∩ B(0, r) ∈ M2, si ha che m2(Er) = 0. Utilizzando la Definizione 4.13, si ottiene che Ee misurabile secondo Lebesgue con m2(E) = 0.

In modo analogo si verifica che ogni retta di R2 parallela a uno degli assi coordinati e

misurabile secondo Lebesgue e ha misura nulla.

4.23 Esempio. L’insieme:

E = (x, y) ∈ R2 : y ∈Q ,

e unione numerabile di rette parallele all’asse x. Utilizzando l’Esempio 4.22, si ottiene che E emisurabile secondo Lebesgue e ha misura nulla.

Si vede inoltre che E non e misurabile secondo Jordan.

4.24 Esercizio. Dati E,F ⊂ Rn con F ⊂ E, se E ∈ M e m(E) = 0, dimostrare che F ∈ M e

m(F ) = 0.

e) Misura prodotto

d) Un aspetto della Teoria della misura che non abbiamo studiato e che, invece, dovrebbecontenere risultati interessanti, riguarda il legame fra le varie misure n-dimensionali. Dato, ad es-empio, un rettangolo di R

2, sappiamo che la sua misura bi-dimensionale e data dal prodotto dellemisure uni-dimensionali dei lati. Tale argomento verra discusso piu esaurientemente quando trat-teremo il Teorema di Fubini, che, fra l’altro, ci permettera di ridurre una misura n-dimensionale,a misure di dimensione inferiore. Per il momento, ci limitiamo a enunciare, senza dimostrazione,il seguente elementare risultato:

4.25 Proposizione. Se E ∈ Mn e F ∈ Mk, allora E × F ∈ Mn+k e:

mn+k(E × F ) = mn(E)mk(F ) .

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5 - DEFINIZIONE DI INTEGRALE

Abbiamo costruito, per gradi successivi, una Teoria della misura per la famiglia dei sot-toinsiemi di R

n. Anche la definizione di integrale verra introdotta gradualmente. A tale scopo,ricordiamo che se E ⊂ R

n, la funzione χE : Rn → R che e uguale a 1 nei punti di E e 0 altrove,

viene chiamata funzione caratteristica di E. Introduciamo ora una famiglia molto rudimentale difunzioni:

5.1 Definizione. Si dice funzione semplice definita in Rn, una combinazione lineare (finita) di

funzioni caratteristiche di insiemi misurabili e limitati di Rn a due a due disgiunti. Cio vuol dire

che, se ϕ e una funzione semplice di Rn, allora esistono un numero finito di insiemi limitati e

disgiunti E1, . . . , EN ∈ Mn e un numero finito di costanti λ1, . . . , λN ∈ R tali che:

ϕ(x) =N∑

i=1

λi χEi(x) .

dove χEie la funzione caratteristica dell’insieme Ei. Con tale rappresentazione, il numero:

N∑

i=1

λim(Ei).

viene chiamato integrale (su Rn) della funzione (semplice) ϕ. Tale numero viene di solito indicato

con le notazioni:

Rnϕ(x) dx ,

∫ϕ(x) dx ,

∫ϕ.

Nel seguito indicheremo con Sn, o piu semplicemente con S, la famiglia delle funzioni semplicidefinite in R

n.

5.2 Osservazione. Se ϕ ∈ S, allora si dimostra facilmente che l’integrale di ϕ e indipendentedalla particolare rappresentazione di ϕ come combinazione lineare di funzioni caratteristiche diinsiemi misurabili.

Lasciamo al lettore la verifica della seguente proprieta di monotonia dell’integrale per lefunzioni semplici:

5.3 Proposizione. Per ogni ϕ , ψ ∈ S si ha che:

ϕ(x) ≤ ψ(x) , ∀x ∈ Rn ⇒

Rnϕ(x) dx ≤

Rnψ(x) dx .

Sia ora f : Rn → R. Introduciamo le sotto-famiglie di Sn cosı definite:

S+n (f) = ϕ ∈ S : ϕ(x) ≥ f(x) , ∀x ∈ R

n,

S−n (f) = ϕ ∈ S : ϕ(x) ≤ f(x) , ∀x ∈ Rn;

S+n (f) (risp. S−n (f)) e la famiglia delle funzioni semplici che maggiorano (risp. minorano) la

funzione f . Quando non ci sia pericolo di ambiguita, scriveremo, piu semplicemente, S+(f) eS−(f). Tali famiglie possono essere anche vuote (ad esempio, nel caso in cui la funzione f sia unacostante non nulla oppure una funzione non limitata). Nel seguito avremo bisogno della seguente:

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5.4 Definizione. Data f : Rn → R, viene chiamato supporto di f la chiusura in R

n del seguenteinsieme:

x ∈ Rn : f(x) 6= 0.

Il supporto di f verra indicato con supp (f).

Daremo ora la definizione di integrale secondo Lebesgue in un caso particolarmente semplice,riservandoci piu avanti di darne una estensione. Diamo ora la fondamentale:

5.5 Definizione. Sia f : Rn → R una funzione limitata e a supporto compatto. Definiamo

integrale superiore (risp. inferiore) il numero reale:

∫ ∗

f dx = inf

∫ϕdx , ϕ ∈ S+(f)

, (risp.

f dx = sup

∫ϕdx , ϕ ∈ S−(f)

).

Se l’integrale superiore e quello inferiore di f coincidono, la funzione f si dice integrabile secondoLebesgue (o, piu semplicemente, integrabile) e il valore comune dell’integrale superiore e di quelloinferiore viene chiamato integrale secondo Lebesgue che viene indicato con le notazioni:

Rnf(x1, . . . , xn) dx1 . . . dxn ,

∫f(x) dx ,

∫f .

La famiglia delle funzioni integrabili secondo Lebesgue verra, nel seguito, indicata con I.

5.6 Osservazione. Notiamo che l’ipotesi supp (f) compatto equivale ad imporre che la funzionef sia nulla fuori da un limitato di R

n.E facile inoltre verificare che, se f : R

n →R e limitata e a supporto compatto, allora S+(f)e S−(f) sono entrambe non vuote. Cio significa che la Definizione 5.5 ha senso.

5.7 Osservazione. Se f : Rn → R e una funzione limitata e a supporto compatto, e facile

verificare che (utilizzando la Proposizione 5.3):

f dx ≤∫ ∗

f dx .

5.8 Osservazione. E immediato provare che ogni funzione semplice ϕ ∈ S e integrabile secondoLebesgue e che il suo integrale (secondo Lebesgue) coincide con il valore dato dalla Definizione5.1. Come caso particolare, osserviamo inoltre che, se E ∈ Mn e un sottoinsieme misurabilelimitato di R

n, allora la funzione caratteristica χE , essendo una funzione semplice, e integrabilee inoltre si ha:

RnχE(x) dx = mn(E) .

La definizione di integrabilita puo essere espressa in molti modi equivalenti. Immediata e ladimostrazione del seguente risultato:

5.9 Proposizione. Sia f : Rn → R limitata e a supporto compatto. Si ha che f e integrabile se

e solo se

∀ε > 0, ∃ϕ ∈ S+(f), ∃ψ ∈ S−(f) :

∫ϕ−

∫ψ) < ε .

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5.10 Osservazione. Facciamo ora un confronto fra la presente Teoria dell’integrale e la Teoriadi Riemann. Osserviamo che nella costruzione dell’integrale secondo Riemann si sfruttava lamedesima idea quı utilizzata, ma a partire da una famiglia di funzioni semplici estremamente piupovera, in quanto era costituita dalle combinazioni lineari di funzioni caratteristiche di intervalli(invece che di insiemi misurabili). Una famiglia piu ricca e, evidentemente, in grado di approssi-mare meglio: a partire da questo elementare principio si verifica facilmente che ogni f : R → R,limitata e a supporto compatto, che sia integrabile secondo Riemann, e anche integrabile secondoLebesgue. Cio significa che vengono conservati, dalla nuova teoria, tutti i risultati riguardanti laTeoria dell’integrale secondo Riemann per le funzioni di una variabile (integrabilita delle funzionicontinue,. . . ).

Si possono costruire facilmente esempi di funzioni integrabili secondo Lebesgue e non inte-grabili secondo Riemann. Ad esempio la funzione f : R → R definita da:

f(x) =

1 , se x ∈ [0, 1] ∩Q ,0 , altrove.

non e integrabile secondo Riemann, ma essendo f funzione caratteristica dell’insieme [0, 1] ∩Q,che e misurabile, limitato e di misura nulla (secondo Lebesgue), si ricava che f e integrabile suR e che il suo integrale e uguale a zero (vedere anche la Osservazione 5.8).

Analogamente si verifica che la funzione f : R →R definita da:

f(x) =

1 , se x ∈ [0, 1] ∩ (R−Q) ,0 , altrove.

non e integrabile secondo Riemann, ma e integrabile (secondo Lebesgue) e il suo integrale e ugualea uno.

Il seguente Teorema descrive le prime proprieta dell’integrale secondo Lebesgue:

5.11 Teorema. Per ogni f, g ∈ I e λ ∈ R si ha che:

f + g , λ f , f+ , f− , |f | , f ∨ g , f ∧ g ∈ I ,

Rnλ f(x) dx = λ

Rnf(x) dx ,

Rn

(f(x) + g(x)) dx =

Rnf(x) dx+

Rng(x) dx ,

f(x) ≤ g(x) , ∀x ∈ Rn ⇒

Rnf(x) dx ≤

Rng(x) dx .

∣∣∣∣∫

Rnf(x) dx

∣∣∣∣ ≤∫

Rn|f(x)| dx .

Dimostrazione: Diamo solo un cenno della dimostrazione in quanto questa puo essere condottasecondo schemi molto abituali.

Si dimostra l’enunciato per le funzioni semplici. Utilizzando poi la definizione di integrale 5.5oppure la Proposizione 5.9, si arriva facilmente all’asserto.

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6 - FUNZIONI MISURABILI

a) Definizione di funzione misurabile

Introdurremo ora una famiglia di funzioni che avra un ruolo importante nella Teoria dell’in-tegrale di Lebesgue.

Sia f : Rn → R = R∪−∞ , +∞ e t ∈ R. Poniamo (con la convenzione che −∞ < t < +∞

per ogni t ∈ R):

f(>)t = f−1 (]t,+∞]) , f

(≥)t = f−1 ([t,+∞]) ,

f(<)t = f−1 ([−∞, t[) , f

(≤)t = f−1 ([−∞, t]) .

Ricordiamo che abbiamo indicato con Mn la famiglia dei sottoinsiemi misurabili secondoLebesgue di R

n. Diamo ora la importante:

6.1 Definizione. Data f : Rn → R, si dice che f e misurabile secondo Lebesgue se, per ogni

t ∈ R, si ha che f(>)t ∈ Mn, cioe f

(>)t e un sottoinsieme di R

n misurabile secondo Lebesgue. La

famiglia delle funzioni f : Rn → R misurabili secondo Lebesgue, verra nel seguito indicata con

Mn.

6.2 Proposizione. Se f : Rn → R e continua, allora f ∈ Mn.

Dimostrazione: Se f : Rn → R e una funzione continua, si ha che l’immagine inversa degli

aperti di R sono aperti di Rn. Dato che gli aperti di R

n sono misurabili secondo Lebesgue, si hafacilmente l’asserto.

La definizione di misurabilita puo essere formulata in molti modi differenti, come risultaanche dalla seguente:

6.3 Proposizione. Se f : Rn → R, allora le proprieta seguenti sono equivalenti:

(a) f ∈ Mn,

(b) ∀t ∈ R , f(≤)t ∈ Mn,

(c) ∀t ∈ R , f(<)t ∈ Mn,

(d) ∀t ∈ R , f(≥)t ∈ Mn,

Dimostrazione. Sia t ∈ R. Osserviamo che:

f(≤)t = R

n − f(>)t , f

(≥)t = R

n − f(<)t .

Ricordando che un sottoinsieme di Rn e misurabile se e solo se lo e il suo complementare (vedere

l’Osservazione 4.20), si ricava che (a) ⇐⇒ (b) e che (c) ⇐⇒ (d). Osserviamo inoltre che (t ∈ R):

f(>)t = ∪

k∈Nf

(≥)t+1/k , f

(<)t = ∪

k∈Nf

(≤)t−1/k.

Cio significa, grazie al Teorema della σ-additivita, che (b) =⇒ (c) e che (d) =⇒ (a). L’asserto delTeorema e dunque provato come risulta dal seguente schema dei risultati ottenuti:

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 37

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(a) ⇐⇒ (b)⇑ ⇓

(d) ⇐⇒ (c)

b) Proprieta delle funzioni misurabili

Prima di dimostrare le principali proprieta delle funzioni misurabili, proviamo il seguente:

6.4 Lemma. Se h, ` ∈ Mn, allora:

E = x ∈ Rn : h(x) > `(x) ∈ Mn.

Dimostrazione: Poniamo:

F =⋃

r∈Q

[x ∈ Rn : h(x) > r ∩ x ∈ R

n : `(x) < r] =⋃

r∈Q

[h(>)

r ∩ `(<)r

].

Grazie al fatto che h, ` ∈ Mn e al Teorema della σ-additivita, si ha che F ∈ Mn. Se dimostriamoche E = F , allora l’asserto e provato. Se x ∈ E, allora esiste r ∈ Q tale che h(x) > r > `(x): siha allora che:

x ∈ ∪r∈Q

x ∈ Rn : h(x) > r > `(x)

e, dunque, x ∈ F , da cui E ⊂ F . Viceversa, e facile verificare che, se x ∈ F , allora esiste r ∈ Q

tale che h(x) > r > `(x), da cui x ∈ E. Si ha dunque che E = F .

Nel seguito la seguente nozione avra una notevole importanza

6.5 Definizione. Date f, g : Rn → R, si dice che f = g q.o. in R

n (o anche che f = g quasiovunque in R

n), se l’insieme in cui le due funzioni sono diverse e misurabile con misura nulla.

Riassumiamo ora le principali proprieta della famiglia delle funzioni misurabili:

6.6 Teorema. Si ha che:(a) se f ∈ Mn e c ∈ R, allora f + c , c f ∈ Mn,(b) se f, g ∈ Mn, allora f + g , f g ∈ Mn,(c) se fi ∈ Mn (i ∈ N) e se poniamo:

m∗(x) = supi∈N

fi(x) , m∗(x) = infi∈N

fi(x),

allora m∗ , m∗ ∈ Mn,(d) se f , g ∈ Mn, allora f ∨ g , f ∧ g ∈ Mn,(e) se f ∈ Mn, allora f+ , f− , |f | ∈ Mn,(f) se fi ∈ Mn (i ∈ N) e se poniamo:

n (x) = max limi→∞

fi(x) , n (x) = min limi→∞

fi(x),

allora n , n ∈ Mn.

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 38

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(g) se fi ∈ Mn (i ∈ N) e f : Rn → R sono tali che:

∀x ∈ Rn , ∃ lim

i→∞fi(x) = f(x) ,

allora anche f ∈ Mn.(h) se f, g : R

n → R con f = g q.o. in Rn, allora si ha che f ∈ Mn se e solo se g ∈ Mn.

Dimostrazione: La proprieta (a) e di verifica immediata.

Date f , g ∈ Mn, verifichiamo che f + g ∈ Mn. Se t ∈ R, si ha che:

x ∈ Rn : f(x) + g(x) > t = x ∈ R

n : f(x) > t− g(x)e utilizzando il Lemma 6.4 con h(x) = f(x) e `(x) = t − g(x), si ottiene che f + g ∈ Mn.Verifichiamo ora che, se f ∈ Mn, allora f2 ∈ Mn. Dato t ≥ 0, se f2(t) > t, segue che |f(t)| >

√t.

Dunque

x ∈ Rn : f2(x) > t = x ∈ R

n : f(x) >√t ∪ x ∈ R

n : f(x) < −√t ∈ Mn;

se, invece, t < 0, allora:

x ∈ Rn : f2(x) > t = R

n ∈ Mn ,

e dunque f2 ∈ Mn. Grazie alla seguente identita:

f g = [(f + g)2 − (f − g)2]/4,

si ottiene anche che, se f , g ∈ Mn, allora f g ∈ Mn. La affermazione (b) e dimostrata.

Dimostriamo la asserzione (c). Dato t ∈ R, si ha che:

x ∈ Rn : sup

i∈Nfi(x) > t = ∪

i∈Nx ∈ R

n : fi(x) > t;

infatti x appartiene al primo insieme se e solo se esiste i ∈ N tale fi(x) > t e cio equivaleall’appartenenza di x al secondo insieme: siccome il secondo insieme appartiene a Mn (grazieal Teorema della σ-additivita) si ha che m∗ ∈ Mn. In modo del tutto analogo si prova chem∗ ∈ Mn.

Le asserzioni (d) sono conseguenza di (c).Supponiamo ancora che f , g ∈ Mn. Dato che f+ = f ∨ 0 e f− = −(f ∧ 0), si ha che

f+ , f− ∈ Mn. Ricordando che |f | = f+ + f−, e dimostrata anche la asserzione (e).Osserviamo infine che:

max limi→∞

fi(x) = infk∈N

[ supi>k

fi(x)]

e dunque anche il massimo limite (analogamente il minimo limite) di una successione di funzionimisurabili e una funzione misurabile (abbiamo dunque provato la parte (f)).

La parte (g) del Teorema e conseguenza della parte (f).

Si ha che (per ogni t ∈ R):

(f(>)t − g

(>)t ) ∪ (g

(>)t − f

(>)t ) ⊂ x ∈ R

n : f(x) 6= g(x) .

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La parte (h) del Teorema e allora conseguenza immediata dell’Esercizio 4.24.Il Teorema e completamente dimostrato.

6.7 Osservazione. Il Teorema appena dimostrato, ci dice che la classe Mn delle funzioni misu-rabili e chiusa rispetto alle principali operazioni che possiamo eseguire su di essa. In particolare,sottolineiamo che, grazie alla parte (g), si ottiene che il limite puntuale di funzioni misurabili eancora una funzione misurabile.

c) Funzioni misurabili e integrabilita

Discuteremo ora i legami fra la nozione di funzione misurabile e quella di integrale secondoLebesgue. Sara trattato, per semplicita, solo il caso in cui:

f : Rn →R , f ≥ 0 , limitata e a supporto compatto. (6.1)

Per tali funzioni poniamo inoltre:

Γ(f) = (x, t) ∈ Rn ×R : 0 < t < f(x),

cioe Γ(f) e il sottografico di f . Premettiamo il:

6.8 Lemma. Se ϕ : Rn → R e una funzione semplice non negativa, allora il sottografico Γ(ϕ) di

ϕ e misurabile e inoltre:

mn+1(Γ(ϕ)) =

Rnϕ(x) dx.

Dimostrazione: Si ha che ϕ =∑m

k=1 λk χEkcon λk ∈ R+ e gli insiemi Ek sono sotto-insiemi

misurabili e limitati di Rn a due a due disgiunti. Si ha che

Γ(ϕ) = (x, t) ∈ Rn+1 : 0 < t <

m∑

k=1

λk χEk(x) =

=m∪

k=1(x, t) ∈ R

n+1 : x ∈ Ek : 0 < t < λk =m∪

k=1Ek×]0, λk[.

Dato che il prodotto cartesiano di insiemi misurabili e ancora misurabile (vedere la Proposizio-ne 4.25), si ha che Γ(ϕ) ∈ Mn+1. Dato che gli insiemi Ek×]0, λk] sono a due disgiunti, si hainoltre che:

mn+1(Γ(ϕ)) =m∑

k=1

λk mn(Ek) =

Rnϕ(x) dx .

Vale il:

6.9 Teorema. Se f e una funzione verificante la condizione (6.1), le seguenti condizioni sonoequivalenti:(a) f ∈ Mn, cioe f e misurabile,(b) f ∈ In, cioe f e integrabile,(c) Γ(f) ∈ Mn+1, cioe il sottografico e misurabile.

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Sotto una di tali condizioni, si ha inoltre:

Rnf(x) dx = mn+1(Γ(f)) . (6.2)

Dimostrazione: (a) ⇒ (b) . Siccome f e limitata, esiste H > 0 tale che 0 ≤ f(x) < H pertutti gli x ∈ R

n. Dato r ∈ N, suddividiamo l’intervallo ]0, H] in r intervalli uguali dati da:

I1 =]0,H

r], . . . , Ik =](k − 1)

H

r, kH

r], . . . , Ir =](r − 1)

H

r,H] .

Poniamo inoltre Ek = f−1(Ik). Dato che, per ipotesi, f e misurabile, si ha che Ek ∈ Mn, inquanto

Ek = f−1(](k − 1)H

r,+∞])− f−1(]k

H

r,+∞])

e dunque Ek ∈ Mn, come differenza di insiemi misurabili. Si ha inoltre che Ek ⊂ supp(f) , chegli Ek sono a due a due disgiunti e che:

(k − 1)H

r< f(x) ≤ k

H

r, ∀x ∈ Ek . (6.3)

Consideriamo le funzioni:

ϕ(x) =r∑

k=1

kH

rχEk

(x) , ψ(x) =r∑

k=1

(k − 1)H

rχEk

(x).

Grazie alla (6.3), si ha che ϕ ∈ S+(f) e ψ ∈ S−(f). Si ha ancora:

Rn(ϕ− ψ) =

H

r

r∑

k=1

m(Ek).

Siccome gli insiemi Ek sono a due a due disgiunti e sono contenuti nel supporto di f (che peripotesi e compatto e dunque limitato), utilizzando la Proposizione 5.9 e scegliendo r sufficiente-mente grande, si ottiene che (a) ⇒ (b) .

(b) ⇒ (c) . Grazie alla integrabilita di f , dato ε > 0, si possono determinare due funzionisemplici ϕ, ψ ∈ Sn(f) tali che:

Rn

(ϕ− ψ) < ε, (6.4)

ψ ≤ f ≤ ϕ , da cui Γ(ψ) ⊂ Γ(f) ⊂ Γ(ϕ). (6.5)

Si puo supporre che ψ ≥ 0, perche, altrimenti, si potrebbe sostituire ψ con ψ ∨ 0, mantenendoil comportamento dato dalle (6.4) e (6.5). Per la monotonia della misura interna e della misuraesterna, si ha allora:

mn+1(Γ(ψ)) ≤ mn+1(Γ(f)) ≤ mn+1(Γ(f)) ≤ mn+1(Γ(ϕ)).

Ricordando il Lemma 6.8, si ha anche:

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 41

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) FUNZIONI MISURABILI

Rnψ ≤ m(Γ(f)) ≤ m(Γ(f)) ≤

Rnϕ.

Grazie alla (6.4), si ha che 0 ≤ m(Γ(f)) − m(Γ(f)) < ε. Dato che ε e arbitrario, si allora chem(Γ(f)) = m(Γ(f)) e cosı abbiamo dimostrato la implicazione (b) ⇒ (c) e la relazione (6.2).

(c) ⇒ (a) . Sapendo che Γ(f) ∈ Mn+1, si deve dimostrare che f e misurabile.Siccome Γ(f) e misurabile e limitato, dato N ∈ N esiste un compatto KN tale che:

KN ⊂ Γ(f) , 0 ≤ m(Γ(f))−m(KN ) < 1/N . (6.6)

Eventualmente sostituendo KN con ∪Nj=1K

j , si puo supporre che:

KN ⊂ KN+1 , N ∈ N . (6.7)

Dato x ∈ Rn, poniamo:

KNx = t ∈ R : (x, t) ∈ KN , (6.8)

fN : Rn → R definita da : fN (x) =

0 , se KN

x = ∅,maxKN

x , se KNx 6= ∅. (6.9)

Si ha ovvianente che:

fN (x) ≤ fN+1(x) ≤ f(x) , x ∈ Rn , N ∈ N , (6.10)

KN ⊂ Γ(fN ) ⊂ Γ(f) , (6.11)

Si ha anche che le funzioni fN sono misurabili. Osserviamo infatti che, se a ≤ 0, si ha che:

f−1N ([a,+∞[) = R . (6.12)

Sia π : Rn+1 → R

n definita da π(x, t) = x. Dimostriamo che, se a > 0, si ha che:

f−1N ([a,+∞[) = π

(KN ∩ (Rn × [a,+∞[)

). (6.13)

Si ha infatti che:

x ∈ π(KN ∩ (Rn × [a,+∞[)

)⇔ ∃t ∈ R : (x, t) ∈ KN ∩ (Rn × [a,+∞[) ⇔

∃t ∈ R : (x, t) ∈ KN e t ≥ a ⇔ ∃t ≥ a : (x, t) ∈ KN ⇔∃t ≥ a : t ∈ KN

x ⇔ fN (x) ≥ a ⇔ x ∈ f−1N ([a,+∞[) .

Siccome KN e un compatto, si che KN ∩(Rn× [a,+∞[) e un compatto. Siccome π e una funzionecontinua, si ricava che π

(KN ∩ (Rn× [a,+∞[)

)e un compatto (e dunque un insieme misurabile).

Grazie alle relazioni (6.12) e (6.13), si ricava che fN e misurabile.

Grazie alla (6.10), esiste f : Rn → R tale che:

limN→∞

fN (x) = f(x) ≤ f(x) , x ∈ Rn (6.14)

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 42

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) ESTENSIONE DELLA NOZIONE DI INTEGRALE

Si ha allora che la funzione f e misurabile e, grazie alla parte del teorema gia provata, si ha cheΓ(f) e misurabile.

Grazie alla (6.11), si ha che:

KN ⊂ Γ(f) ⊂ Γ(f)) , N ∈ N

e dunque

m(KN ) ≤ m(Γ(f)) ≤ m(Γ(f)) .

Grazie alla (6.6), si ha che

m(Γ(f)) = m(Γ(f)) . (6.15)

Dimostriamo che f ≡ f q.o. A tale scopo, dato λ ≥ 0, poniamo

Eλ = x ∈ Rn : f(x)− f(x) > λ .

Si ha che:

f(x) + λχEλ(x) ≤ f(x) , x ∈ R

n (6.16)

e dunque

Γ(f + λχEλ) ⊂ Γ(f) . (6.17)

D’altra parte si ha che f + λχEλe integrabile e che

m(Γ(f)) ≥∫

(f + λχEλ) =

∫f + λm(Eλ) = m(Γ(f)) + λm(Eλ) .

Si ha dunque che m(Eλ) = 0 per ogni λ > 0. Siccome E0 = ∪∞k=1E1/k, si ricava che E0 emisurabile e che m(E0) = 0. Utilizzando la relazione (6.14), si ha che l’insieme

x ∈ Rn : f(x) < f(x)

e vuoto. Si ha dunque che f ≡ f q.o. Grazie alla asserzione (h) del Teorema 6.6 si ha che f emisurabile, da cui l’asserto.

6.10 Osservazione. Con le ipotesi del Teorema 6.9 si ha che le condizioni (a) e (b) sono equiv-alenti fra loro senza imporre la condizione f ≥ 0. Infatti se f e misurabile anche le funzionif± sono misurabili (grazie al Teorema 6.6), da cui (grazie al Teorema 6.9) le funzioni f± sonointegrabili e dunque f = f+ = f− e integrabile (grazie al Teorema 5.11).

In modo analogo si verifica che se f e integrabile, allora f e misurabile.

7 - ESTENSIONE DELLA NOZIONE DI INTEGRALE

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) ESTENSIONE DELLA NOZIONE DI INTEGRALE

a) Prima estensione

a) Per ora abbiamo definito la nozione di integrabilita e di integrale nel caso in cui la funzionef : R

n → R sia limitata e a supporto compatto. La estensione, che ora daremo, verra effettuatacon un procedimento abituale di troncatura. Dati f : R

n → R e λ ∈ R+, poniamo

fλ(x) =[f(x) ∧ λ

]χB(0,λ)(x) =

f(x) ∧ λ se x ∈ B(0, λ)0 se x 6∈ B(0, λ)

cioe fλ e nulla fuori dalla bollaB(0, λ) e uguale al minimo fra f e λ nella bollaB(0, λ). Osserviamoche, se f ≥ 0, allora la funzione fλ e limitata e a supporto compatto e, dunque, ad essa possiamoapplicare la definizione di integrabilita (5.5). Possiamo ora dare la seguente estensione dellaDefinizione 5.5:

7.1 Definizione. La funzione f : Rn → R viene detta integrabile secondo Lebesgue su R

n se:

(f+)λ , (f−)λ ∈ In , ∀λ ∈ R+

e sono finiti i seguenti limiti:

L+ = limλ→+∞

Rn

(f+)λ dx , L− = limλ→+∞

Rn

(f−)λ dx . (7.1)

Nel caso in cui almeno uno di questi limiti sia finito si dira che f e integrabile in senso generalizzato(o, piu semplicemente, che f e g-integrabile).

Si pone inoltre (con le convenzioni +∞− a = +∞, a− (+∞) = −∞, per ogni a ∈ R):

Rnf(x) dx = L+ − L−. (7.2)

Nel caso in cui L+ = L− = +∞, diremo che f e non integrabile.

7.2 Osservazione. Notiamo che i due limiti L+ , L− esistono grazie alla monotonia rispetto aλ degli integrali che compaiono nella relazione (7.1)

7.3 Osservazione. La g-integrabilita deve essere intesa come una estensione della integrabilita(ogni funzione integrabile e anche g-integrabile). Si ha infatti che le funzioni integrabili possonoessere caratterizzate come le funzioni g-integrabili con integrale reale.

b) Seconda estensione

Consideriamo ora l’estensione al caso in cui la funzione f sia definita su un sottoinsiemeproprio di R

n.

7.4 Definizione. Sia E ∈ Mn e f : E → R. Diciamo che f e integrabile (risp. g-integrabile, nonintegrabile) su E se la funzione:

f(x) =

f(x) se x ∈ E0 se x 6∈ E (7.3)

e integrabile (risp. g-integrabile, non integrabile) su Rn. In tal caso, si pone:

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 44

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) ESTENSIONE DELLA NOZIONE DI INTEGRALE

E

f(x) dx =

Rnf(x) dx .

7.5 Osservazione. L’Osservazione 7.3 si generalizza alla presente situazione.

7.6 Esercizio. Sia E ∈ Mn e f : E → R. Se mn(E) = 0 allora f e integrabile su E e

E

f(x) dx = 0 .

c) Prime Proprieta

A partire dalle precedenti Definizioni si ha facilmente il seguente

7.7 Teorema. Dati E ∈ Mn e f : E → R, si ha che f e una funzione integrabile su E se e solose f+ e f− sono funzioni integrabili su E.

Estendiamo anche la nozione di funzione misurabile:

7.8 Definizione. Sia E ∈ Mn e f : E → R. Si dice che f e misurabile su E se f ∈ Mn dove lafunzione f e definita in (7.3).

E facile la verifica della:

7.9 Proposizione. Se E ∈ Mn si ha allora che f : E → R e una funzione misurabile, se e solose:

∀λ ∈ R , x ∈ E : f(x) > λ ∈ Mn .

7.10 Osservazione. Si estendono, con gli opportuni adattamenti, i risultati contenuti nel Teo-rema 5.11 e nel Teorema 6.6.

Anche i risultati contenuti nel Teorema 6.9 si possono generalizzare. Diamo un enunciatopreciso, omettendone la dimostrazione:

7.11 Teorema. Supponiamo che E ∈ Mn e f : E → R, con f(x) ≥ 0 , ∀x ∈ E. Allora lecondizioni seguenti sono equivalenti:(a) f e misurabile su E.(b) f e g-integrabile su E,(c) il sottografico di f

Γ(f) = (x, t) ∈ E ×R : 0 < t < f(x)appartiene a Mn+1. Sotto una di tali condizioni, si ha inoltre:

E

f(x) dx = mn+1(Γ(f)) .

7.12 Osservazione. Nell’enunciato del precedente Teorema la condizione f ≥ 0 e essenzialeperche si abbia equivalenza fra misurabilita e g-integrabilita. Se prendiamo infatti la funzionef : R → R definita da f(x) = x, si verifica facilmente che f e misurabile, ma non e g-integrabile.

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 45

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) ESTENSIONE DELLA NOZIONE DI INTEGRALE

Conseguenza immediata del precedente Teorema e il seguente:

7.13 Corollario. Se E ⊂ Rn, allora le seguenti condizioni sono equivalenti:

(a) la funzione χE e misurabile,

(b) la funzione χE caratteristica di E e g-integrabile,

(c) E e misurabile rispetto alla misura di Lebesgue in Rn.

Sotto una di tali condizioni, si ha inoltre:

RnχE(x) dx =

E

1 dx = mn(E) .

Se la funzione f non verifica la condizione f ≥ 0, e spesso utile applicare il Teorema 7.11separatamente a f+ e f−. Utilizzando tale metodo, il seguente risultato stabilisce un legame framisurabilita e g-integrabilita senza la restrizione f ≥ 0.

7.14 Lemma. Sia E ∈ Mn, f , g : E → R, con g integrabile su E e f(x) ≤ g(x) per ogni x ∈ E.Sono allora equivalenti le condizioni: a) f misurabile, b) f g-integrabile.

Sotto una di tali condizioni si ha inoltre che∫

Ef(x) dx < +∞.

Dimostrazione: Se f e misurabile, si ha f+, f− sono misurabili e dunque, grazie al Teo-rema 7.11, si ha che f+, f− sono g-integrabili. Si ha inoltre che f+(x) ≤ g+(x) per ogni x ∈ E.Per la monotonia dell’integrale si ha allora

E

f+(x) dx ≤∫

E

g+(x) dx < +∞ .

Dunque f e g-integrabile e

E

f(x) dx ≤∫

E

f+(x) dx < +∞ .

In modo simile si verifica che se f e g-integrabile allora f e misurabile.

In modo completamente analogo si dimostra anche il seguente criterio

7.15 Lemma. Sia E ∈ Mn, f , g : E → R, con g integrabile su E e f(x) ≥ g(x) per ogni x ∈ E.Sono allora equivalenti le condizioni: a) f misurabile, b) f g-integrabile.

Sotto una di tali condizioni si ha inoltre che∫

Ef(x) dx > −∞.

Conseguenza immediata dei precedenti Lemmi e la seguente importante condizione sufficienteper la integrabilita:

7.16 Teorema. Sia E ∈ Mn e f : E → R una funzione misurabile su E. Se esiste una funzioneg : E → R integrabile su E, in modo tale che |f(x)| ≤ g(x) per ogni x ∈ E, allora anche f eintegrabile su E.

E fondamentale anche la seguente caratterizzazione dell’integrabilita:

7.17 Teorema. Sia E ∈ Mn e f : E → R una funzione misurabile su E. Si ha allora che lafunzione f e integrabile su E se e solo se la funzione |f | e integrabile su E.

Dimostrazione: Grazie al Teorema 7.16, se |f | e integrabile, si ottiene subito che anche f eintegrabile.

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 46

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) ESTENSIONE DELLA NOZIONE DI INTEGRALE

Viceversa, se f e integrabile (grazie alla definizione di integrabilita data nella presenteSezione) si ricava che sono integrabili le funzioni f+ e f− e dunque e integrabile la funzionef+ + f− = |f |.7.18 Osservazione. Il precedente risultato costituisce una importante differenza fra l’integralesecondo Riemann e quello secondo Lebesgue. E facile infatti verificare che la funzione:

f : [0, 1] → R definita da : f(x) =

1 se x ∈Q,−1 se x ∈ R−Q,

non e integrabile secondo Riemann, mentre la funzione |f | ≡ 1 e invece integrabile secondoRiemann. La equivalenza asserita nel Teorema 7.17 non e dunque vera nel caso dell’integralesecondo Riemann.

7.19 Teorema. Siano E , E1 , E2 ∈ Mn tali che E1 ∪E2 = E e E1 ∩E2 = ∅. Si ha allora che lafunzione f : E → R e integrabile su E se e solo se le funzioni fi = f χEi

(i = 1, 2) sono integrabilisu Ei. Si ha inoltre che:

E

f =

E1

f +

E2

f .

Dimostrazione: Come nella dimostrazione del Teorema precedente non e limitativo supporreche: f : R

n → R e che f(x) ≥ 0 per ogni x ∈ Rn. Si ha allora che f = f1 + f2. Se la funzione

f e integrabile (e dunque misurabile), si ricava che le funzioni fi sono misurabili (i = 1, 2) e che0 ≤ fi ≤ f . Si ha allora (grazie al Teorema 7.16) che le funzioni fi sono integrabili e che:

Rnf =

Rnf1 +

Rnf2 .

La asserzione inversa viene condotta in modo simile.

d) Funzioni uguali quasi ovunque

Introduciamo la definizione seguente (che generalizza quella data in 6.5):

7.20 Definizione. Sia E ∈ Mn e f, g : E → R. Si dice che f = g (q.o. in E) (o anche che f = gquasi ovunque in E), se l’insieme in cui le due funzioni sono diverse e misurabile con misura nulla.

Dati E ∈ Mn e f, g : E → R, la relazione f = g (q.o. in E) e ovviamente una relazione diequivalenza. Si puo inoltre osservare che molte proprieta sono invarianti rispetto a tale relazione.Vale, ad esempio, il seguente risultato di facile dimostrazione:

7.21 Proposizione. Sia E ∈ Mn e f, g : E → R, tali che f = g (q.o. in E). Se f e g-integrabilesu E, allora anche g e g-integrabile su E e inoltre:

E

f(x) dx =

E

g(x) dx .

Come evidente conseguenza di tale risultato, si ha che se f = 0 (q.o. in E), allora f eintegrabile su E con integrale uguale a zero. Non vale evidentemente il viceversa. Si ha pero:

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 47

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) PASSAGGIO AL LIMITE SOTTO IL SEGNO DI INTEGRALE

7.22 Proposizione. Sia E ∈ Mn e f : E → R, con f(x) ≥ 0 per ogni x ∈ Rn. Se f e integrabile

su E e∫

Ef(x) dx = 0, allora f = 0 (q.o. in E).

Dimostrazione: Sia λ ≥ 0 e si ponga Hλ = x ∈ E : f(x) > λ = f−1(]λ,+∞]). Grazie allaProposizione 7.9 e al Teorema 7.11, si ha che per ogni λ ∈ R, Hλ ∈ Mn. Se dimostriamo chem(H0) = 0, l’asserto e provato. Si ha che f(x) ≥ λχ(Hλ) per ogni x ∈ E, da cui (λ > 0):

0 =

E

f dx ≥ λ

Rnχ(Hλ) dx = λm(Hλ) ≥ 0

e dunque m(Hλ) = 0, per ogni λ > 0. Siccome H0 = ∪k∈N H1/k, grazie al Teorema della

σ-additivita, si ha che m(H0) = 0 e dunque l’asserto.

Abbiamo ammesso che una funzione integrabile possa assumere valori ±∞. Come e preve-dibile, vale, pero, la seguente:

7.23 Proposizione. Sia E ∈ Mn e sia f : E → R una funzione integrabile su E. Se si pone:

F+∞ = x ∈ E : f(x) = +∞ , F−∞ = x ∈ E : f(x) = −∞,

si ha allora che F+∞ , F−∞ ∈ Mn e che m(F+∞) = m(F−∞) = 0.

Dimostrazione: Al solito si puo supporre che f ≥ 0. Dato che f e integrabile su E, si ha,grazie al Teorema 7.11, che f e misurabile su E. Si ha inoltre che F+∞ ∈ Mn in quanto (vedereil Teorema della σ-additivita e la Proposizione 7.9):

F+∞ = ∩k∈N

Fk , dove Fk = x ∈ E : f(x) > k .

Siccome f e integrabile su E, grazie al Teorema 7.19, si ha che la funzione f e integrabile su F+∞

e dunque:

F+∞

f < +∞ . (7.4)

Se per assurdo si avesse che m(F+∞) > 0, si dimostrerebbe facilmente che:

F+∞

f =

F+∞

(+∞) = +∞ ,

che, confrontata con la (7.4), ci da una contraddizione.In modo analogo si verifica che F−∞ e misurabile ed ha misura nulla.

7.24 Osservazione. Se f = g q.o. non e detto che il supporto di f coincida con il supporto dig. Ci sono anzi funzioni quasi ovunque nulle in R

n il cui supporto coincide con tutto Rn.

8 - PASSAGGIO AL LIMITE SOTTO IL SEGNO DI INTEGRALE

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 48

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) PASSAGGIO AL LIMITE SOTTO IL SEGNO DI INTEGRALE

a) Preliminari

Consideriamo il seguente:

8.1 Problema. Sia E ∈ Mn e f, fk : E → R e supponiamo che fk(x) → f(x) , ∀x ∈ E, cioeche la successione fk converga puntualmente a f . Se le funzioni fk sono integrabili (risp. g-integrabili) su E, ci si puo chiedere sotto quali condizioni (i) f e integrabile (risp. g-integrabile)su E, (ii) vale una formula di passaggio al limite sotto il segno di integrale del tipo:

limk→∞

E

fk(x) dx =

E

f(x) dx =

E

limk→∞

fk(x) dx , (8.1)

cioe quando l’operazione di limite commuta con l’operazione di integrale.

E ben noto che la formula (8.1) non e sempre valida. Lo studente dovrebbe gia conoscere ilseguente risultato:

8.2 Teorema. Sia fk ∈ C0([a, b]), con a < b, e f : [a, b]→ R. Se fk → f uniformemente in [a, b],allora f ∈ C0([a, b]) e inoltre:

limk→∞

∫ b

a

fk(x) dx =

∫ b

a

f(x) dx .

Nell’ambito della Teoria dell’integrale secondo Riemann, il suddetto risultato e essenzial-mente l’unico disponibile per quanto riguarda il passaggio al limite sotto il segno di integrale. LaTeoria dell’integrale secondo Lebesgue, invece, e estremamente potente da tale punto di vista.Un poco semplicisticamente, si puo affermare che la Teoria della misura e dell’integrale secondoLebesgue e stata concepita per avere a disposizione i risultati di passaggio al limite sotto il segnodi integrale che ora verranno esposti.

b) I teoremi fondamentali

8.3 Teorema di B. Levi. Sia E ∈ Mn e fk : E → R , k ∈ N, una successione di funzionig-integrabili su E. Se

∫f0 > −∞ e se fk(x) ≤ fk+1(x) , ∀k ∈ N , ∀x ∈ E, allora esiste f : E → R

g-integrabile su E tale che fk → f puntualmente su E e in modo tale che valga la formula dipassaggio al limite sotto il segno di integrale (8.1).

Dimostrazione: Supponiamo per il momento che f0(x) ≥ 0 (x ∈ E).

L’esistenza di una funzione f : E → R tale che fk → f puntualmente in E, e ovvia dato chela successione fk(x) e monotona non decrescente in k. La funzione f e una funzione non negativae (grazie al Teorema 6.6,(g)) misurabile. Si ponga:

Γ(fk) = (x, t) ∈ E ×R : 0 < t < fk(x) , Γ(f) = (x, t) ∈ E ×R : 0 < t < f(x),

cioe, dato che fk ≥ 0 e f ≥ 0, l’insieme Γ(fk) (risp. Γ(f)) e il sottografico di fk (risp. f).Grazie al Teorema 7.11, si ha che Γ(fk) ∈ Mn+1. Si ha d’altra parte che Γ(fk) ⊂ Γ(fk+1) e cheΓ(f) = ∪k∈N Γ(fk). Utilizzando il Teorema della σ-additivita, si ottiene che Γ(f) ∈ Mn+1 e che

limk→∞

m(Γ(fk)

)= m

(Γ(f)

)

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 49

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) PASSAGGIO AL LIMITE SOTTO IL SEGNO DI INTEGRALE

e dunque, utilizzando ancora il Teorema 7.11, si ha l’asserto nel caso in cui f0 ≥ 0.Nel caso generale si puo applicare il precedente risultato alla successione fn − f0, ottenendo

facilmente la conclusione della dimostrazione.

8.4 Osservazione. La condizione∫

Ef0 > −∞ contenuta nel precedente Teorema e effettiva-

mente essenziale, come si verifica facilmente con il seguente contro-esempio:

E = Rn , fk = − 1

k.

Si ha infatti che fk → f ≡ 0. D’altra parte:

Rnfk = −∞ ,

Rnf = 0 ,

che significa che non vale la formula di passaggio al limite sotto il segno di integrale.

Il Teorema di B. Levi, nella formulazione data sopra, da una condizione di g-integrabilitasulla funzione limite f . Nel caso in cui si pretendesse, invece, una condizione (piu forte) diintegrabilita, potrebbe essere utilizzato il seguente enunciato (la cui dimostrazione e molto facilea partire dal Teorema di B. Levi):

8.5 Teorema. Sia E ∈ Mn e fk : E → R , k ∈ N, una successione di funzioni integrabili su E.Se fk(x) ≤ fk+1(x) , ∀k ∈ N , ∀x ∈ E e inoltre esiste λ ∈ R, tale che:

E

fk dx ≤ λ , ∀k ∈ N ,

allora esiste f : E → R integrabile su E tale che fk → f puntualmente su E e in modo tale chevalga la formula di passaggio al limite sotto il segno di integrale (8.1).

Un altro risultato importante e il seguente:

8.6 Lemma di Fatou. Sia E ∈ Mn e fk : E → R , k ∈ N, una successione di funzionig-integrabili su E. Si supponga inoltre che esista una funzione ϕ : E → R integrabile su E, inmodo tale che:

fk(x) ≥ ϕ(x) , ∀x ∈ E , ∀k ∈ N . (8.2)

Si ha allora che:

E

(min limk→∞

fk(x)) dx ≤ min limk→∞

E

fk(x) dx.

Dimostrazione: Poniamo gi(x) = infh≥i fh(x). Osservando che la successione i → gi(x) enonotona non decrescente, si ha che:

min limk→∞

fk(x) = limi→∞

gi(x) = supgi(x), i ∈ N .

Se i ≤ k, si ha che gi ≤ fk e dunque∫

Egi dx ≤

∫Efk dx, da cui:

E

gi dx ≤ min limk→∞

E

fk(x) dx , ∀i ∈ N (8.3)

e dunque

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 50

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) PASSAGGIO AL LIMITE SOTTO IL SEGNO DI INTEGRALE

limi→∞

E

gi dx ≤ min limk→∞

E

fk(x) dx . (8.4)

Grazie alla ipotesi (8.2), si ha che g0(x) ≥ ϕ(x) per ogni x ∈ E, da cui, ricordando il fatto che ϕe una funzione integrabile su E,

E

g0 ≥∫

E

ϕ > −∞ .

Dato che la successione gk e non decrescente, grazie al Teorema di B. Levi si ha allora:

E

min limk→∞

fk(x) dx =

E

limi→∞

gi(x) dx = limi→∞

E

gi(x) dx .

Ricordando anche la disuguaglianza (8.4), si ha inoltre che:

limi→∞

E

gi(x) dx ≤ min limk→∞

E

fk(x) dx,

cioe l’asserto.

8.7 Osservazione. Una ovvia variante del Lemma di Fatou consiste nella sostituzione dellacondizione (8.2) con la seguente:

fk(x) ≤ ϕ(x) , ∀x ∈ E.dove ϕ e una funzione integrabile su E. In tale caso si ha:

E

(max limk→∞

fk(x)) dx ≥ max limk→∞

E

fk(x) dx.

Abbiamo infine il seguente teorema dovuto allo stesso Lebesgue:

8.8 Teorema della convergenza dominata. Sia E ∈ Mn, fk : E → R, k ∈ N, una successionedi funzioni g-integrabili su E e f : E → R, in modo tale che fk → f puntualmente in E. Sisupponga inoltre che esista una funzione ϕ : E → R integrabile su E, in modo tale che:

|fk(x)| ≤ ϕ(x) , ∀x ∈ E . (8.5)

Si ha allora che f e integrabile su E e che vale la formula di passaggio al limite sotto il segno diintegrale (8.1).

Dimostrazione: Grazie al fatto che fk → f puntualmente in E, si ha (cfr. il Teorema 6.6 el’Osservazione 7.10) che f e misurabile su E. Si ha inoltre che |f(x)| ≤ ϕ(x) per ogni x ∈ E.Utilizzando il Teorema 7.16, si ricava che f e integrabile. Utilizzando il Lemma di Fatou (tenendopresente anche la versione formulata nella Osservazione 8.7), si ha che:

E

f(x) dx =

E

limk→∞

fk(x) dx =

E

min limk→∞

fk(x) dx ≤ min limk→∞

E

fk(x) dx ≤

≤ max limk→∞

E

fk(x) dx ≤∫

E

max limk→∞

fk(x) dx =

E

limk→∞

fk(x) dx =

E

f(x) dx

e dunque l’asserto.

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 51

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) PASSAGGIO AL LIMITE SOTTO IL SEGNO DI INTEGRALE

8.9 Osservazione. Nei teoremi di passaggio al limite sotto il segno di integrale sopra enunciati,compaiono alcune condizioni che debbono valere su tutto E: tali teoremi possono essere riformu-lati intendendo tali condizioni nel senso che basta supporre che esse valgano solo q.o. in E. Adesempio la condizione (8.5) del Teorema della convergenza dominata puo essere intesa q.o. in Econservando la validita del risultato.

c) Un teorema di integrazione per serie

Terminiamo questa Sezione con alcune considerazioni relative ai risultati di integrazione perserie. Vale intanto il seguente:

8.10 Lemma. Sia E ∈ Mn, fk : E → R, k ∈ N, una successione di funzioni g-integrabili su Etali che fk(x) ≥ 0 (x ∈ E). Si ha allora che la funzione x ∈ E →∑∞

k=0 fk(x) ∈ R e g-integrabilesu E e inoltre:

E

[∞∑

k=0

fk(x)

]dx =

∞∑

k=0

E

fk(x) dx .

Dimostrazione: Se poniamo

sN (x) =

N∑

k=0

fk(x),

si ha che la successione N → sN (x) monotona non decrescente e dunque la serie x ∈ E →∑∞k=0 fk(x) ha senso in R ed e anche misurabile, come limite puntuale di funzioni misurabili ed

e dunque g-integrabile grazie al Teorema 7.11. Si ha ancora che:

∞∑

k=0

E

fk(x) dx = limN→∞

N∑

k=0

E

fk(x) dx = limN→∞

E

[N∑

k=0

fk(x)

]dx = lim

N→∞

E

sN (x) dx .

Con una facile appllicazione del Teorema di B. Levi, si ha infine

limN→∞

E

sN (x) dx =

E

limN→∞

sN (x) dx =

E

[∞∑

k=0

fk(x)

]dx ,

da cui l’asserto.

Possiamo ora dimostrare il seguente importante Teorema di integrazione per serie:

8.11 Teorema. Sia E ∈ Mn, fk : E → R, k ∈ N, una successione di funzioni integrabili su E.Se:

E

∞∑

k=0

|fk(x)| dx <∞ , (8.6)

allora si ha che la serie di funzioni

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 52

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) TEOREMA DI FUBINI

∞∑

k=0

fk(x)

converge q.o. in E a una funzione f : E → R integrabile su E. Valgono inoltre le relazioni

E

f(x) dx =

E

[∞∑

k=0

fk(x)

]dx =

∞∑

k=0

E

fk(x) dx . (8.7)

∣∣∣∣∫

E

f(x) dx

∣∣∣∣ =∣∣∣∣∣

E

[∞∑

k=0

fk(x)

]dx

∣∣∣∣∣ ≤∞∑

k=0

E

|fk(x)| dx . (8.8)

Dimostrazione: Consideriamo la funzione:

g : E → R definita da g(x) =

∞∑

k=0

|fk(x)| .

Grazie alla (8.6), si ha che g e integrabile su E e dunque (grazie alla Proposizione 7.23) si ha che∑∞k=0 |fk(x)| < +∞ (q.o. in E). Siccome la convergenza assoluta implica quella semplice, si ha

che la serie∑∞

k=0 fk(x) converge (q.o. in E) e che (∀N ∈ N):

∣∣∣∣∣

N∑

k=0

fk(x)

∣∣∣∣∣ ≤N∑

k=0

|fk(x)| ≤ g(x) q.o. in E . (8.9)

Siccome

∞∑

k=0

E

fk(x) dx = limN→∞

E

[N∑

k=0

fk(x)

]dx

e, ricordando le maggiorazioni (8.9) dove g e integrabile su E, applicando il Teorema della con-vergenza dominata si ha che:

∞∑

k=0

E

fk(x) dx =

E

limN→∞

[N∑

k=0

fk(x)

]dx =

E

[∞∑

k=0

fk(x)

]dx .

Anche la maggiorazione (8.8) si ricava facilmente. L’asserto e cosı provato.

8.12 Osservazione. Grazie al Lemma 8.10, l’ipotesi (8.6) puo essere equivalentemente sostituitadalla seguente:

∞∑

k=0

E

|fk(x)| dx <∞ . (8.10)

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 53

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) TEOREMA DI FUBINI

9 - TEOREMA DI FUBINI

a) Preliminari

Nelle precedenti sezioni abbiamo visto alcuni risultati relativi ai legami fra la g-integrabilitasecondo Lebesgue e altre nozioni (come la misurabilita del sottografico, etc . . . ). Non si hanno,pero, per ora, strumenti per il calcolo concreto degli integrali, salvo nel caso di funzioni reali di unavariabile reale, in quanto, come abbiamo gia osservato, i risultati relativi alla Teoria dell’integralesecondo Riemann rimangono validi nel nuovo ambiente. I teoremi che saranno illustrati duranteil corso e che facilitano il calcolo degli integrali sono essenzialmente tre :

(1) un teorema di riduzione (Teorema di Fubini) che verra illustrato nel presente paragrafo: essopermette di ridurre un integrale n-dimensionale a piu integrali di dimensione inferiore (inparticolare riduce un integrale n-dimensionale a n integrazioni uno-dimensionali);

(2) un teorema di integrazione per cambiamento di variabili, che e una generalizzazione delteorema di integrazione per sostituzione gia conosciuto dallo studente. (tale risultato saraesposto nella successiva sezione);

(3) il teorema di Gauss-Green, che e una generalizzazione della ben nota formula di integrazioneper parti (tale teorema non sara esposto in questa sede).

Introduciamo una notazione che ci sara utile nel seguito. Sia E ⊂ Rn+k con n, k interi

positivi. Se x ∈ Rn, si pone:

Ex = y ∈ Rk : (x,y) ∈ E.

b) Il teorema di riduzione nel caso delle misure

Introduciamo ora il Teorema di Fubini nel caso (particolare) in cui si voglia ridurre il calcolodella misura di un sottoinsieme di R

n+k.

9.1 Teorema. Se E ∈ Mn+k, allora si ha:

(i) Ex ∈ Mk (q.o.) in x ∈ Rn,

(ii) la funzione x → mk(Ex) e g-integrabile su Rn,

(iii) si ha che:

mn+k(E) =

Rnmk(Ex) dx . (9.1)

Dimostrazione: Per semplicita, esporremo la dimostrazione solo nel caso in cui n = k =1. Il Teorema e ovvio nel caso in cui E sia un rettangolo a lati paralleli agli assi coordinati.Conseguentemente la (9.1) e valida anche nel caso in cui E sia un pluri-rettangolo P ∈ P2: in talcaso avremo che Px e un pluri-rettangolo (o meglio un pluri-intervallo) e che:

(a) m2(P ) =

Rm1(Px) dx.

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 54

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) TEOREMA DI FUBINI

Consideriamo ora il caso in cui E sia un aperto di R2, che indicheremo con Ω. Si puo allora

facilmente determinare una successione di pluri-rettangoli Pm ∈ P2 tali che:

(b) Ω = ∪m∈N

Pm ; (c) Pm ⊂ Pm+1 , ∀m ∈ N .

Si puo, ad esempio, fissato m ∈ N, considerare la reticolazione di R2 costituita dai rettangoli

Qmij =

[i

2m,i+ 1

2m

]×[j

2m,j + 1

2m

], i, j ∈ Z

e definire Pm come la famiglia dei Qmij contenuti in Ω. Grazie alle relazioni (b) e (c) e al Teorema

della σ-additivita si ha allora:

(d) m2(Ω) = limm→∞

m2(Pm) .

(e) Pmx ⊂ Pm+1

x , ∀m ∈ N , ∀x ∈ R ; (f) m1(Pmx ) ≤ m1(P

m+1x ) , ∀m ∈ N , ∀x ∈ R .

Si ha inoltre:

(g) Ωx = ∪m∈N

Pmx ,

in quanto:

y ∈ Ωx ⇔ (x, y) ∈ Ω ⇔ (x, y) ∈ ∪m∈N

Pm ⇔

⇔ ∃m ∈ N : (x, y) ∈ Pm ⇔ ∃m ∈ N : y ∈ Pmx ⇔ y ∈ ∪

m∈NPm

x .

Grazie alle relazioni (e) e (g) e al Teorema della σ-additivita si ha allora che:

(h) limm→∞

m1(Pmx ) = m1(Ωx) .

Specificando le motivazioni dei passaggi (B.L.=Teorema di B. Levi), si ha ora:

m2(Ω)(d)= lim

m→∞m2(P

m)(a)= lim

m→∞

Rm1(P

mx ) dx =

(f)+B.L.=

Rlim

m→∞m1(P

mx ) dx

(h)=

Rm1(Ωx) dx .

La formula (9.1) e dunque dimostrata nel caso in cui E sia un aperto.Il caso in cui E e un compatto si tratta in modo simile.Avendo a disposizione la formula (9.1) nei casi in cui E sia un aperto oppure un compatto,

si puo dimostrare tale relazione in generale, superando qualche complicazione tecnica, che nonaffronteremo.

9.2 Osservazione. Nella condizione (ii) del Teorema 9.1 si considera la g-integrabilita su Rn

della funzione x → mk(Ex) che, per la condizione (i) e definita solo quasi ovunque. Questadifficolta si supera definendo tale funzione in modo arbitrario (ad esempio uguale a zero) dove

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) TEOREMA DI FUBINI

non e definita. Tale metodologia e coerente grazie alla proprieta di invarianza contenuta nellaProposizione 7.21.

c) Il teorema di Fubini

Diamo ora l’enunciato generale del Teorema di Fubini:

9.3 Teorema di Fubini. Dato E ∈ Mn+k, sia f : E → R una funzione integrabile. Si haallora che:(i) per quasi tutti gli x ∈ R

n la funzione y ∈ Ex → f(x,y) ∈ R e g-integrabile su Ex, cioe esistel’integrale ∫

Ex

f(x,y) dy , (q.o.) in x,

(ii) la funzione x ∈ Rn →

∫Ex

f(x,y) dy e integrabile su Rn,

(iii) si ha che: ∫

E

f(x,y) dx dy =

Rn

[∫

Ex

f(x,y) dy

]dx

Dimostrazione: Per semplicita supponiamo che n = k = 1 (cio significa che x e y sono variabiliscalari che indicheremo con x e y) e che f sia non negativa. Sia ancora:

Γ(f) = (x, y, z) ∈ E ×R : 0 < z < f(x, y)il sottografico della funzione f . Grazie al Teorema 7.11, si ha che Γ(f) ∈ M3 e che:

E

f(x, y) dx dy = m3(Γ(f)). (9.2)

Tenendo presente il Teorema 9.1, si ha che Γ(f)x e un insieme misurabile q.o. in x ∈ R e che:

m3(Γ(f)) =

Rm2(Γ(f)x) dx, (9.3)

dove:

Γ(f)x = (y, z) ∈ R2 : (x, y, z) ∈ Γ(f) .

Dimostriamo che:

Γ(f)x = Γ(fx) , (9.4)

dove, ovviamente,

fx : Ex = y ∈ E : (x, y) ∈ E → R

e la funzione definita da: fx(y) = f(x, y).Si ha infatti che

Γ(fx) = (y, z) ∈ Ex ×R : 0 < z < fx(y) = f(x, y) .D’altra parte

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) TEOREMA DI FUBINI

Γ(f)x = (y, z) ∈ R2 : (x, y, z) ∈ Γ(f) = (y, z) ∈ R

2 : (x, y) ∈ E , 0 < z < f(x, y) ,

da cui

Γ(fx) = (y, z) ∈ Ex ×R : , 0 < z < f(x, y) = Γ(f)x .

La relazione (9.4) e dunque provata.Si ha dunque che Γ(f)x e il sottografico della funzione fx (la variabile x avendo un ruolo diparametro). Sfruttando ancora il Teorema 7.11, si ha che (q.o. in x ∈ R) fx e una funzioneg-integrabile su Ex (cioe vale la relazione i)) e che:

m2(Γ(f)x) = m2(Γ(fx)) =

Ex

fx(y) dy. (9.5)

Ricordando le relazioni (9.2), (9.3) e (9.5), si verificano facilmente le rimanenti relazioni ii) e iii).

9.4 Osservazione. Le condizioni (i) e (ii) del Teorema di Fubini sono quelle che danno sensoall’integrale iterato contenuto nella condizione (iii) dello stesso Teorema.

9.5 Osservazione. Nell’enunciato del Teorema di Fubini, se f e integrabile, non solo vale ilteorema di riduzione, ma vale ovviamente la formula relativa alla invertibilita dell’ordine delleintegrazioni:

E

f(x,y) dx dy =

Rn

[∫

Ex

f(x,y) dy

]dx =

Rk

[∫

Ey

f(x,y) dx

]dy , (9.6)

tutte le operazioni effettuate in tale relazione essendo automaticamente lecite a partire dalla solaipotesi che f sia integrabile.

Il Teorema di Fubini non puo essere invertito nel senso che esistono funzioni f : Rn+k → R

misurabili, per le quali ha senso ed e finito l’integrale iterato contenuto nella condizione (iii) delTeorema di Fubini che pero non sono integrabili. Il Teorema di Fubini non puo essere dunqueutilizzato, senza aggiustamenti, come criterio sufficiente per l’integrabilita. Si dimostra pero che,se ha senso ed e finito il seguente integrale iterato:

Rn

[∫

Ex

|f(x,y)| dy]dx , (9.7)

allora f e integrabile (e conseguentemente vale la formula di riduzione contenuta nella con-dizione (iii) del Teorema di Fubini). Per completezza diamo un enunciato esplicito di tale risultato(attribuito a L. Tonelli):

9.6 Teorema. Dato E ∈ Mn+k, sia f : E → R una funzione misurabile. Si ha allora che per

quasi tutti gli x ∈ Rn la funzione y ∈ Ex → |f(x,y)| ∈ R e g-integrabile su Ex.

Se inoltre la funzione x ∈ Rn →

∫Ex

|f(x,y)| dy e integrabile su Rn (in modo tale che le

operazioni descritte in (9.7) abbiano senso e diano un risultato reale), allora la funzione f eintegrabile su E.

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) CAMBIAMENTO DI VARIABILI

10 - CAMBIAMENTO DI VARIABILI

Introduciamo la nozione seguente:

10.1 Definizione. Dati due aperti Ω e Λ di Rn, una applicazione λ : Ω → Λ si dice un diffeo-

morfismo (di classe C1) fra Ω e Λ, se: (i) λ e biunivoca, (ii) λ ∈ C1(Ω) e (iii) λ−1 ∈ C1(Λ).

Se x ∈ Ω, indicheremo con Jλ(x) la matrice jacobiana di λ nel punto x. Il seguente fon-damentale risultato e una generalizzazione del Teorema di integrazione per sostituzione per lefunzioni di una sola variabile:

10.2 Teorema. Siano dati due aperti Ω e Λ di Rn e un diffeomorfismo λ fra Ω e Λ. Siano,

inoltre, E ∈ Mn tale che E ⊂ Λ e f : E → R una funzione g-integrabile su E. Si ha allora cheλ−1(E) ∈ Mn, che la funzione (f λ) | det (Jλ)| e g-integrabile su λ−1(E) e inoltre:

E

f(y) dy =

λ−1(E)

(f λ)(x) | det (Jλ(x))| dx .

La dimostrazione di tale Teorema e estremamente lunga e verra tralasciata. Condurremoinvece alcune considerazioni utili nella applicazione del Teorema.

10.3 Osservazione. Sia λ un diffeomorfismo fra Ω e Λ. Si ha λ−1 λ = identita in Ω. Siccomela matrice jacobiana di una applicazione composta si ottiene componendo le matrici jacobianidelle funzioni componenti, si ha che Jλ−1(λ(x)) Jλ(x) coincide con la matrice identica e dunque

det (Jλ−1(λ(x))) det (Jλ(x)) = 1 , x ∈ Ω .

Cio, evidentemente, significa che la matrice Jλ(x) non e mai singolare o anche che det (Jλ(x)) 6=0 , ∀x ∈ Ω. Si ha dunque che:

Se λ un diffeomorfismo fra Ω e Λ, allora det (Jλ(x)) 6= 0 , ∀x ∈ Ω.

Si dimostra (come conseguenza del Teorema delle funzioni implicite) che il suddetto risultatopuo essere parzialmente invertito, nel senso che se det (Jλ(x)) 6= 0, allora λ e localmente undiffeomorfismo. Non puo essere invece essere invertito globalmente, come si puo constatare conil seguente contro-esempio. Sia:

λ : R2 → R

2 − (0, 0) definita da λ(x, y) = (exp(x) cos y, exp(x) sen y) .

E facile verificare che la funzione λ e suriettiva e che det (Jλ(x, y)) = exp(2x) 6= 0 (dunque laapplicazione λ e un diffeomorfismo locale). Non e un diffeomorfismo globale in quanto:

λ(x, y) = λ(x, y + 2π) , ∀(x, y) ∈ R2 .

E utile verificare che la funzione λ sopra definita, puo essere interpretata come l’esponenziale incampo complesso.

10.4 Osservazione. Coordinate polari in R2.

Consideriamo la applicazione che ci fa passare dalle coordinate polari % , ϑ alle coordinate carte-siane x , y:

λ(%, ϑ) = (% cosϑ, % sinϑ) , 0 ≤ % < +∞ , 0 ≤ ϑ < 2π.

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 58

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) INTEGRALE DIPENDENTE DA UN PARAMETRO

Tale applicazione non e ovviamente un diffeomorfismo perche l’insieme di definizione non e apertoe perche non e iniettiva. Si puo inoltre osservare che det (Jλ(%, ϑ)) = % e dunque si puo annullare.Il cambiamento di variabili definito dalla funzione λ non puo essere, dunque, utilizzato (diretta-mente) nelle applicazioni del Teorema 10.2. Se, pero, poniamo

Ω = (%, ϑ) : 0 < % < +∞ , 0 < ϑ < 2π ; Σ = (x, y) ∈ R2 : y = 0 , x ≥ 0 , Λ = R

2 − Σ,

allora la restrizione di λ all’aperto Ω e un diffeomorfismo fra Ω e Λ. Sia ora E ∈ M2, cioe E eun insieme misurabile di R

2. Se f : E → R e integrabile su E, si ha (grazie al Teorema 10.2):

E−Σ

f(x, y) dx dy =

λ−1(E−Σ)

f(% cosϑ, % sinϑ) % d% dϑ. (10.1)

Dato che E = (E−Σ)∪ (E ∩Σ) e dato che m2(E ∩Σ) = 0, si ha (grazie anche al Teorema 7.19):

E−Σ

f(x, y) dx dy =

E

f(x, y) dx dy.

Si ha anche che λ−1(E) = λ−1(E − Σ) ∪ λ−1(E ∩ Σ). E facile verificare che per ogni (%, ϑ) ∈λ−1(E∩Σ) si ha che % = 0 oppure ϑ = 0, da cui m2(λ

−1(E∩Σ)) = 0. Cio implica (grazie ancoraal Teorema 7.19) che:

λ−1(E−Σ)

f(% cosϑ, % sinϑ) % d% dϑ =

λ−1(E)

f(% cosϑ, % sinϑ) % d% dϑ. (10.2)

Tenendo presente le relazioni (10.1) — (10.2), si ha infine che, se E ∈ M2 e se f : E → R eintegrabile su E, allora vale la utile l’utile formula:

E

f(x, y) dx dy =

λ−1(E)

f(% cosϑ, % sinϑ) % d% dϑ.

11 - INTEGRALE DIPENDENTE DA UN PARAMETRO

Sia E ∈ Mn e A un sotto-insieme di Rm. Sia inoltre

f : E × A→ R (11.1)

tale che per ogni y ∈ A, la funzione x ∈ E → f(x, y) ∈ R sia g-integrabile su E. Cio vuol direche ha senso introdurre la funzione:

F (y) =

E

f(x, y) dx , y ∈ A . (11.2)

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 59

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) INTEGRALE DIPENDENTE DA UN PARAMETRO

Tale funzione viene, abitualmente, chiamata integrale dipendente dal parametro y. Studieremoora le condizioni da imporre alla funzione f affinche la funzione F sia regolare (cioe continua oderivabile) e affinche si possano invertire le operazioni di integrale e di derivata.

Il primo risultato, relativo alla continuita di f , e il seguente:

11.1 Teorema. Sia E ∈ Mn, Ω un aperto di Rm e f : E × Ω → R. Se

(a) per ogni y ∈ Ω la funzione x→ f(x, y) e g-integrabile su E,(b) per ogni x ∈ E la funzione y → f(x, y) e continua su Ω,

(c) esiste una funzione g : E → R integrabile su E tale che |f(x, y)| ≤ g(x) in E × Ω,

allora la funzione F , definita in (11.2), e continua su Ω.

Dimostrazione: Sia y , yk ∈ Ω (k ∈ N), tali che yk → y. Grazie alla condizione (b), si hache, per ogni x ∈ E, limk→∞ f(x, yk) = f(x, y). Utilizzando la condizione (c) e il Teorema dellaconvergenza dominata, si ha ancora che:

limk→∞

E

f(x, yk) dx =

E

f(x, y) dx,

che, grazie alla arbitrarieta di y e della successione yk, ci da l’asserto.

Studiamo ora il problema della derivabilita di F e quello dell’inversione delle operazioni diderivata e di quello di integrale. Il seguente risultato (la cui dimostrazione non e molto piucomplessa di quella del precedente Teorema) e chiamato Teorema di derivazione sotto il segno diintegrale:

11.2 Teorema. Sia E ∈ Mn, Ω un aperto di Rm e f : E × Ω → R. Se

(a) per ogni y ∈ Ω la funzione x→ f(x, y) e g-integrabile su E,(b) per ogni x ∈ E la funzione y → f(x, y) e derivabile parzialmente (con derivate parziali

continue) su Ω,

(c) esiste una funzione g : E → R integrabile su E tale che ((x, t) ∈ E × Ω):

|f(x, y)| ≤ g(x) , | ∂ f∂ yk

(x, y)| ≤ g(x) , k = 1, . . . ,m ,

allora la funzione F , definita in (11.2), e di classe C1 su Ω e:

∂F

∂yk(y) =

E

∂ f

∂ yk(x, y) dx, k = 1, . . . ,m .

11.3 Osservazione. Un problema interessante e quello dello studio di funzioni del tipo:

F (y) =

E(y)

f(x, y) dx .

Noi ne prenderemo in considerazione solo un caso molto particolare. Consideriamo prima di tuttola seguente situazione. Sia f : [c, d]×]a, b[→R di classe C1. Poniamo (t ∈]a, b[ , u, w ∈ [c, d]):

Λ(t, u, w) =

∫ w

u

f(x, t) dx.

Si ha (grazie al Teorema fondamentale del calcolo integrale e al Teorema di derivazione sotto ilsegno di integrale):

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 60

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) INTEGRALE DIPENDENTE DA UN PARAMETRO

∂ Λ

∂ t(t, u, w) =

∫ w

u

∂ f(x, t)

∂tdx ,

∂ Λ

∂ u(t, u, w) = −f(u, t) ,

∂ Λ

∂ w(t, u, w) = f(w, t) . (11.3)

Siano ora date anche due funzioni α, β ∈ C1(]a, b[) tali che: c < α(t) < β(t) < d , ∀t ∈]a, b[ econsideriamo la funzione:

G(t) =

∫ β(t)

α(t)

f(x, t) dx = Λ(t, α(t), β(t)).

Utilizzando il Teorema di derivazione delle funzioni composte si ha che:

G′(t) =∂ Λ

∂ t(t, α(t), β(t)) +

∂ Λ

∂ u(t, α(t), β(t))α′(t) +

∂ Λ

∂ w(t, α(t), β(t)) β′(t) ,

da cui, grazie alle relazioni (11.3), si ottiene infine l’utile formula:

d

dt

[∫ β(t)

α(t)

f(x, t) dx

]=

∫ β(t)

α(t)

∂ f

∂ t(x, t) dx+ β′(t) f(β(t), t)− α′(t) f(α(t), t) , t ∈]a, b[ .

II - MISURA E INTEGRALE SECONDO LEBESGUE (23 - 1 - 2004) 61

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) SPAZI VETTORIALI

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT

1 - SPAZI VETTORIALI

La nozione di spazio vettoriale reale dovrebbe essere gia nota. Ricordiamo solo alcune nozionidi base.

Dato X spazio vettoriale reale, gli elementi xk ∈ X , k = 1, . . . , N si dicono linearmentedipendenti se esistono λk ∈ R non tutti nulli in modo tale che:

N∑

k=1

λk xk = 0 .

Altrimenti si dicono linearmente indipendenti. Se vi e un massimo numero (intero) di elementilinearmente indipendenti in X, tale numero viene chiamato dimensione di X. Se tale numeronon esiste, si dice allora che la dimensione di X e ∞.

Dato uno spazio vettoriale di dimensione N , una famiglia di N elementi elementi linearmenteindipendenti di X viene chiamata una base di X. Il concetto di base e molto importante, datoche le combinazioni lineari finite degli elementi di una base di uno spazio vettoriale di dimensionefinita, generano (univocamente) tutti gli elementi dello spazio. Nel caso particolare in cui X =R

N , la base costituita dagli elementi ek = (0, . . . , 0, 1, 0, . . . , 0) (dove 1 e posto al k-esimo posto)e chiamata base canonica di R

N .Dato uno spazio vettoriale reale X, si indica con X∗ lo spazio duale (algebrico) di X, cioe lo

spazio vettoriale dei funzionali lineari su X ossia delle applicazioni lineari definite su X a valorireali. Si verifica facilmente che lo spazio duale (algebrico) ha dimensione pari a quella dello spaziodi partenza.

Un esempio di base in (RN )∗ e dato dagli elementi:

ek(x1, . . . , xN ) = xk , k = 1, . . . , N .

Tale base speciale e chiamata base canonica duale di (RN )∗. Gli elementi ek sono spesso indicaticon d xk, in quanto sono il differenziale della funzione R

n →R che associa a ogni (x1, . . . , xn) ∈ Rn

la componente k-esima xk.

1.1 Esempio. Lo spazio RN (N ∈ N) e uno spazio vettoriale (reale) di dimensione N .

1.2 Esempio. Se E e un insieme non vuoto, lo spazio L(E) delle funzioni reali limitate definite suE puo essere dotato di una struttura di spazio vettoriale definendo la addizione e la moltiplicazioneper uno scalare nel seguente modo:

∀f, g ∈ L(E) (f + g)(x) = f(x) + g(x) , x ∈ E ,

∀f ∈ L(E) , ∀λ ∈ R (λ g)(x) = λ f(x) , x ∈ E .

Poniamo (y ∈ E):

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 62

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) SPAZI DI BANACH

fy(x) =

1 , se x = y,0 , altrimenti.

Vale inoltre l’identita per ogni (f ∈ L(E)):

f(x) =∑

y∈E

f(y) fy(x) .

Nel caso in cui E sia un insieme finito si ha dunque che fy , y ∈ E costituisce una base per E.Si ha dunque che la cardinalita e la dimensione di E coincidono.

Se E e un insieme infinito (cioe ha un numero infinito di elementi), e evidente che ognifamiglia finita estratta dalla fy , y ∈ E e costituita da elementi linearmente indipendenti inL(E). Lo spazio vettoriale L(E) ha dunque dimensione infinita.

1.3 Esempio. Se E ⊂ Rn e un insieme non vuoto, lo spazio C0(E) delle funzioni reali limitate

e continue definite su E puo essere dotato di una struttura di spazio vettoriale definendo laaddizione e la moltiplicazione come nel precedente esempio.

In particolare, nello spazio vettoriale C0(]0, 1[) possiamo considerare la famiglia di funzioni(k ∈ N): fk(x) = xk. Osserviamo che se una combinazione lineare di tali funzioni (che ci da ovvi-amente un polinomio) fosse nulla identicamente, si avrebbe che i coefficienti della combinazionelineare dovrebbero essere tutti nulli (per il Teorema fondamentale dell’Algebra). Anche lo spaziovettoriale C0([0, 1]) ha dunque dimensione infinita.

2 - SPAZI DI BANACH

Introduciamo la seguente definizione:

2.1 Definizione. La coppia (X, ‖ ‖) dove X e uno spazio vettoriale (reale) e ‖ ‖ : X →R e unaapplicazione (chiamata norma) verificante le condizioni seguenti:

i) ∀x ∈ X , ‖x‖ ≥ 0 ,ii) ‖x‖ = 0 se e solo se x = 0,iii) ∀x ∈ X , ∀λ ∈ R , ‖λx‖ = |λ| ‖x‖ ,iv) ∀x, y ∈ X , ‖x+ y‖ ≤ ‖x‖+ ‖y‖ (subadditivita),viene chiamato uno spazio normato (reale).

Notiamo che in uno spazio normato la subadditivita puo essere espressa in maniera legger-mente differente:

2.2 Proposizione. Se (X, ‖ ‖) e uno spazio normato, si ha allora

∀x, y ∈ X ‖x− y‖ ≥ |‖x‖ − ‖y‖| .

Dimostrazione: Si ha infatti che

‖x‖ = ‖x− y + y‖ ≤ ‖x− y‖+ ‖y‖e dunque

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 63

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) SPAZI DI BANACH

‖x− y‖ ≥ ‖x‖ − ‖y‖ , ∀x , y ∈ X .

Scambiando i ruoli di x e y, si ha l’asserto.

La definizione di spazio normato e ovviamente una estensione della nozione di valore assolutosulla struttura vettoriale dei numeri reali. Riflettendo su tale punto di vista, viene spontaneogeneralizzare agli spazi normati alcune nozioni relative alla struttura reale, semplicemente sos-tituendo il valore assoluto con la norma. Vediamo alcuni esempi:

2.3 Definizione. Se (X, ‖ ‖) e uno spazio normato e x , y ∈ X, la quantita d(x, y) = ‖x − y‖viene chiamata distanza fra x e y.

2.4 Osservazione. Se (X, ‖ ‖) e uno spazio normato, la funzione d(x, y) definisce una strutturadi spazio metrico, che viene chiamata struttura metrica definita dalla norma ‖ ‖.2.5 Definizione. Se (X, ‖ ‖) e uno spazio normato, la successione xn ∈ X (n ∈ N) si diceconvergente a x ∈ X se

∀ε > 0 , ∃n ∈ N : ∀n ∈ N (n > n⇒ ‖xn − x‖ < ε) .

In simboli scriveremo che ∃ limn→∞ xn = x (o, piu semplicemente, xn → x se n→∞).

2.6 Definizione. Se (X, ‖ ‖) e uno spazio normato, la successione xn ∈ X (n ∈ N) si dice unasuccessione di Cauchy in X se

∀ε > 0 , ∃n ∈ N : ∀n,m ∈ N (n , m > n⇒ ‖xn − xm‖ < ε) .

E facile dimostrare che ogni successione convergente e anche di Cauchy. Non vale in generaleil viceversa. Tale fatto ovviamente giustifica l’introduzione della seguente fondamentale:

2.7 Definizione. Uno spazio normato (X, ‖ ‖) in cui ogni successione di Cauchy e convergentesi dice uno spazio di Banach.

Diamo un primo elementare esempio di spazio di Banach (gli Esempi piu complessi sarannodescritti in un successivo paragrafo):

2.8 Esempio. Lo spazio RN con la norma:

‖X‖ = ‖(x1, . . . , xN )‖ =

√√√√N∑

k=1

x2k

e uno spazio di Banach. In particolare (R, | |) e uno spazio di Banach.

Sottolineamo nuovamente il fatto che le precedenti definizioni sono state costruite a partireda quelle elementari dedicate a R sostituendo il valore assoluto con la norma. Cosı si potrebbecontinuare definendo le bolle, gli intorni, i sotto-insiemi aperti, chiusi,... di uno spazio normato.Per brevita, diamo solamente la definizione di funzione continua fra spazi normati:

2.9 Definizione. Se (X, ‖ ‖1) e (Y, ‖ ‖2) sono spazi normati, E ⊂ X, f : E → Y e x ∈ E, si diceche f e continua in x se

∀ε > 0 , ∃δ > 0 : ∀x ∈ E (‖x− x‖1 < δ ⇒ ‖f(x)− f(x)‖2 < ε) .

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 64

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) SPAZI DI HILBERT

2.10 Osservazione. Se (X, ‖ ‖) e uno spazio normato, si puo dimostrare facilmente che laapplicazione da X a valori nello spazio di Banach (R, | |) definita da x ∈ X → ‖x‖ ∈ R econtinua.

3 - SPAZI DI HILBERT

Introduciamo la seguente definizione:

3.1 Definizione. La coppia (X, ( , )) dove X e uno spazio vettoriale (reale) e ( , ) : X×X → R

e una applicazione (chiamata prodotto scalare) verificante le condizioni seguenti:j) ∀x ∈ X , (x, x) ≥ 0,jj) (x, x) = 0 se e solo se x = 0,jjj) ∀x , y ∈ X , (x, y) = (y, x) , (simmetria),jv) ∀x, y, z ∈ X , ∀λ, µ ∈ R (λx+ µy, z) = λ(x, z) + µ(y, z) (bilinearita).viene chiamata uno spazio pre-hilbertiano (reale).

In ogni spazio prehilbertiano si puo definire una struttura naturale di spazio normato, comerisulta dal seguente:

3.2 Teorema. Se (X, ( , )) e uno spazio prehilbertiano, la applicazione:

‖ ‖ : X → R definita da ‖x‖ =√

(x, x) (3.1)

e una norma su X. Valgono inoltre le seguenti relazioni:

∀x, y ∈ X |(x, y)| ≤ ‖x‖ ‖y‖ (disuguaglianza di J. Schwartz), (3.2)

∀x, y ∈ X ‖x+ y‖2 + ‖x− y‖2 = 2(‖x‖2 + ‖y‖2

)(relazione del parallelogramma). (3.3)

(x, y) =1

4

(‖x+ y‖2 − ‖x− y‖2

). (3.4)

Dimostrazione: Si verificano intanto facilmente gli assiomi i), ii), iii) della Definizione 2.1. Siha inoltre per ogni x , y ∈ X:

0 ≤ ‖x± y‖2 = (x± y, x± y) = ‖x‖2 + ‖y‖2 ± 2(x, y) (3.5)

e dunque

2 |(x, y)| ≤ ‖x‖2 + ‖y|2 , ∀x , y ∈ X . (3.6)

Supponiamo ora che x0, y0 ∈ X con ‖x0‖ = ‖y0‖ = 1. Si ha allora (grazie alla (3.6)) che|(x0, y0)| ≤ 1. Osserviamo che la disuguaglianza di Schwartz e ovvia se x = 0 o y = 0. Negli altricasi si ha (dato che x/‖x‖ e y/‖y‖ sono elementi di X di norma unitaria):

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 65

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) ESEMPI NOTEVOLI DI SPAZI DI BANACH E HILBERT

|(x, y)| = ‖x‖ ‖y‖∣∣∣∣(

x

‖x‖ ,y

‖y‖

)∣∣∣∣ ≤ ‖x‖ ‖y‖ ,

cioe la disuguaglianza di Schwartz. Grazie alla (3.5)) (con il segno +) e alla disuguaglianza diSchwartz si ricava che

‖x+ y‖2 ≤ ‖x‖2 + ‖y‖2 + 2‖x‖ ‖y‖ = (‖x‖+ y‖)2

che prova l’assioma iv) della Definizione 2.1. Sommando e sottraendo le due relazioni (3.5), siricavano subito le relazioni (3.3) e (3.4).

3.3 Osservazione. La relazione del parallelogramma e una proprieta che generalizza il fatto chein un parallelogramma elementare la somma delle aree dei quadrati costruiti sui lati e uguale allasomma delle aree dei quadrati costruiti sulle diagonali. Notiamo che la relazione del parallelo-gramma e una proprieta degli spazi pre-hilbertiani che viene espressa senza l’uso del prodottoscalare. Tale proprieta e in realta caratteristica degli spazi pre-hilbertiani in quanto si dimostrache gli spazi normati reali, che verificano la relazione del parallelogramma, possono essere dotatidella struttura di spazio pre-hilbertiano con il prodotto scalare definito dalla relazione (3.4).

Diamo infine la:

3.4 Definizione. Uno spazio prehilbertiano (X, ( , )) che sia uno spazio di Banach rispetto allanorma (3.1), si dice spazio di Hilbert.

3.5 Esempio. RN con il prodotto scalare:

(X,Y ) =

N∑

k=1

xk yk

e uno spazio di Hilbert.

3.6 Osservazione. Se (X, ( , )) e uno spazio prehilbertiano, si puo dimostrare facilmente che laapplicazione prodotto scalare e continua rispetto a entrambi i suoi argomenti. Piu precisamentesi dimostra senza difficolta che, fissati x , y ∈ X, vale la relazione:

∀ε > 0 , ∃δ > 0 : ∀x, y ∈ X (‖x− x‖+ ‖y − y‖ < δ ⇒ |(x, y)− (x, y)| < ε) ,

dove ovviamente abbiamo posto (ad esempio) ‖x‖ =√

(x, x).

4 - ESEMPI NOTEVOLI DI SPAZI DI BANACH E HILBERT

Nella presente sezione introdurremo alcuni esempi di spazi normati e pre-hilbertiani, cioealcuni esempi dei piu elementari spazi funzionali. Stiamo dunque entrando in un ambiente inter-medio fra l’Analisi Matematica e l’Analisi Funzionale.

Prima di iniziare la descrizione di alcuni spazi, diamo un risultato di carattere generale:

4.1 Proposizione. Dati due spazi normati (X, ‖ ‖X) e (Y, ‖ ‖Y ), sia T : X → Y una applicazionelineare. Si ha allora che T e continua su tutto X se e solo se esiste una costante c > tale che

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 66

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‖Tx‖Y ≤ c ‖x‖X , ∀x ∈ X . (4.1)

Dimostrazione: Dimostriamo che la condizione e sufficiente. Sapendo cioe che vale la (4.1),dimostriamo la continuita di T . Grazie alla struttura lineare degli spazi e alla linearita di T bastadimostrare la continuita nel punto 0 ∈ X. Data una successione xn ∈ X tale che ∃ limn→∞ xn = 0in X, si ha che ‖xn‖X → 0, da cui:

‖T xn − T0‖Y ≤ ‖T xn‖Y ≤ c‖xn‖Y .

Si ha dunque che limn→∞ T xn = 0 in Y , cioe l’asserto.Dimostriamo che la condizione e necessaria. Sapendo cioe che la funzione T e continua

dimostriamo la (4.1). Sia V la bolla unitaria aperta di Y di centro 0. Siccome T e continua,si ha che T−1(V ) e un aperto di X contenente l’elemento nullo di X. Dunque esiste r > 0 taleche il sottoinsieme U di X costituito dalla bolla aperta di centro 0 e raggio r sia contenuto inT−1(V ). Avremo allora che ‖Tx‖Y ≤ 1 per ogni x ∈ U . Si avra infine (se x 6= 0), osservando chel’elemento u = r x

‖x‖X∈ U :

‖T x‖Y = ‖T(‖x‖X

ru)‖Y =≤ ‖x‖X

r,

cioe l’asserto con c = 1/r.

Si dimostrano intanto facilmente i seguenti risultati:

4.2 Lo spazio L(E). Dato E insieme non vuoto, lo spazio L(E) delle funzioni reali limitatedefinite su E con la struttura vettoriale descritta nell’Esempio 1.2 e con la norma

‖f‖0 = sup|f(x)| , x ∈ E , (4.2)

e uno spazio normato.

4.3 Lo spazio C0(E). Dato E ⊂ Rn insieme non vuoto, lo spazio C0(E) dato dal sotto-spazio

vettoriale di L(E) costituito dalle funzioni reali continue e limitate su E con la norma definitain (4.2), e uno spazio normato.

4.4 Osservazione. Osserviamo che lo spazio C0([−1, 1]), con la norma (4.2), non e uno spazionormato derivato da uno spazio pre-hilbertiano, dato che, se poniamo f ≡ 1 e g ≡ x, si ottienefacimente che:

‖f + g‖20 = ‖f − g‖20 = 4 , ‖f‖20 = ‖g‖20 = 1 ,

e dunque non e soddisfatta la condizione del parallelogramma.

4.5 Teorema. Lo spazio L(E) sopra definito e uno spazio di Banach.

Dimostrazione: Verifichiamo la completezza di L(E). Se fn e una successione di Cauchy inL(E), si ha che fissato ε > 0, esiste n ∈ N tale che, se n,m > n, allora

‖fn − fm‖0 = sup|fn(x)− fm(x)| , x ∈ E < ε

e dunque

∀x ∈ E si ha che: |fn(x)− fm(x)| < ε . (4.3)

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 67

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Osserviamo che tale relazione vale uniformemente rispetto a x ∈ E (cioe l’intero n, tale chen,m > n, e indipendente da x ∈ E).

La relazione (4.3) significa, fissato x ∈ E, che la successione reale n→ fn(x) e di Cauchy inR, Essendo R uno spazio di Banach, si ha che per ogni x ∈ E esiste f(x) ∈ R in modo tale chefn(x) → f(x).

Passando al limite per n→∞ nella (4.3), si ricava che

∀x ∈ E si ha che: |f(x)− fm(x)| ≤ ε , (4.4)

da cui

∀x ∈ E si ha che: |f(x)| ≤ |fm(x)|+ ε ,

che, essendo ciascuna fm limitata, ci dice che f ∈ L(E). Essendo la (4.4) valida uniformementerispetto x ∈ E, si ricava che (m > n)

sup|f(x)− fm(x)| , x ∈ E < ε ,

che significa che fn → f in L(E), cioe l’asserto.

4.6 Osservazione. E facile verificare che la convergenza in L(E) equivale alla convergenzauniforme.

4.7 Teorema. Lo spazio C0(E) definito in 4.3 e uno spazio di Banach.

Dimostrazione: Se fn e una successione di Cauchy in C0(E), fn e di Cauchy in L(E). Grazie allacompletezza di L(E), esiste f ∈ L(E) in modo tale che fn → f in L(E). Siccome la convergenzain L(E) equivale alla convergenza uniforme (come abbiamo rilevato nella Osservazione 4.6) esiccome la convergenza uniforme conserva la continuita, si ricava che f ∈ C0(E) e che fn → f inC0(E). Vale dunque l’asserto.

4.8 Esempio. Dati a, b ∈ R con a ≤ b, se nello spazio vettoriale C0([a, b]) si introduce la norma:

‖f‖∗ =

∫ b

a

|f(x)| dx , (4.5)

si ottiene uno spazio normato, ma non uno spazio di Banach. Se infatti consideriamo la succes-sione di funzioni fn ∈ C0([−1, 1]) definita da:

fn(t) =

0, se t ∈ [−1, 0[,nt, se t ∈ [0, 1/n[,1, se t ∈ [1/n, 1],

si verifica facilmente che fn e una successione di Cauchy con la metrica integrale definita cioedalla norma (4.5), in quanto si ha:

‖fn − fm‖∗ =

∫ 1

−1

|fn(t)− fm(t)| dt =1

2

∣∣∣∣1

n− 1

m

∣∣∣∣ .

Supponiamo, per assurdo, che esista f ∈ C0([−1, 1]) in modo tale che fn → f con la metricaintegrale. Si avrebbe che:

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 68

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∫ 1

−1

|f(t)−fn(t)| dt ≥∫ 0

−1

|f(t)−fn(t)| dt+∫ 1

1/n

|f(t)−fn(t)| dt =

∫ 0

−1

|f(t)| dt+∫ 1

1/n

|f(t)−1| dt ,

e dunque, fissato ε > 0 e per n sufficientemente grande:

∫ 1

−1

|f(t)− fn(t)| dt ≥∫ 0

−1

|f(t)| dt+∫ 1

ε|f(t)− 1| dt ,

da cui, passando al limite per n→∞, si ha che:

∫ 0

−1

|f(t)| dt+∫ 1

ε|f(t)− 1| dt = 0 ,

dunque (ricordando che la funzione f e continua):

f(t) = 0 , t ∈ [−1, 0[ , f(t) = 1 , t ∈]ε, 1[

da cui, data l’arbitrarieta di ε, la funzione f sarebbe uguale a 1 nell’intervallo ]0, 1]. Abbiamocosı trovato un assurdo perche in tal caso la funzione f non puo essere continua.

Osservare infine che vale la maggiorazione

‖f‖∗ ≤ (b− a)‖f‖0 , ∀f ∈ C0([a, b]) .

tale maggiorazione ci dice, grazie alla Proposizione 4.1, che e continua la applicazione identicafra lo spazio normato C0([a, b]) con la norma ‖ ‖0 e lo stesso spazio C0([a, b]) con la norma ‖ ‖∗.

I due spazi sono pero profondamente differenti, in quanto il primo e uno spazio di Banach eil secondo non lo e.

4.9 Esempio. Lo spazio C0([−1, 1]) con il prodotto scalare:

(f, g) =

∫ 1

−1

f(t) g(t) dt

e uno spazio prehilbertiano, ma non uno spazio di Hilbert. Infatti si ha che la norma definita dalprodotto scalare e data da:

‖f‖ =

[∫ 1

−1

|f(t)|2 dt]1/2

.

Adattando le considerazioni contenute nell’Osservazione 4.8, si verifica che esistono successionidi Cauchy non convergenti.

4.10 Esempio. Dati a, b ∈ R con a ≤ b, lo spazio C1([a, b]) con la norma (4.2) (dove abbiamoposto E = [a, b]) e uno spazio normato, ma non uno spazio di Banach. Consideriamo ad esempiola successione di funzioni fn ∈ C1([−1, 1]) definite da:

fn(t) =

|t|, se |t| ≥ 1/n,12n(t2 + 1

n2

), se |t| < 1/n;

si verifica che le funzioni fn costituiscono una successione di Cauchy in C1([−1, 1]) (con lanorma (4.2)) e che convergono uniformemente alla funzione f(t) = |t|, che non e derivabile

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 69

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nel punto 0. Cio porta subito al fatto che fn e una successione di Cauchy non convergente inC1([−1, 1]), rispetto alla norma (4.2).

L’esempio 4.10 indica, fra l’altro, che la convergenza uniforme non conserva la continuitadella derivata. Anzi sappiamo che per conservare la continuita della derivata abbiamo bisogno diuna struttura piu raffinata. Vediamo il seguente

4.11 Teorema. Dati a, b ∈ R con a ≤ b, lo spazio C1((a, b)) con la norma:

‖f‖1 = sup|f(s)| , s ∈ (a, b)+ sup|f ′(s)| , s ∈ (a, b)

e uno spazio di Banach.

Dimostrazione: Se fn e una successione di Cauchy in C1((a, b)) con la norma ‖ ‖1, si ricava chefn e f ′n sono di Cauchy in C0((a, b)) con la norma (4.2). Utilizzando il Teorema 4.7, si trovanof, g ∈ C0((a, b)) tali che fn → f e f ′n → g con la norma (4.2). Utilizzando il Teorema 2.17 delcap. I di conservazione della derivata, si ha che f ∈ C1((a, b)) e che f ′ = g. A tale punto e facileverificare che fn → f con la norma ‖ ‖1, da cui l’asserto.

Nel seguito il seguente risultato ci sara utile:

4.12 Lemma. Sia (X, ‖ ‖) uno spazio normato e xn ∈ X una successione di Cauchy in X. Siha allora che successione reale n → ‖xn‖ e convergente in R. Conseguentemente si ha che lasuccessione xn e limitata in X.

Dimostrazione: Sia xn ∈ X di Cauchy in X. Dato ε > 0, se n,m ∈ N sono sufficientementegrandi si ha che ‖xn − xm‖ < ε e (ricordando la Proposizione 2.2) dunque |‖xn‖ − ‖xm‖| < ε.Si ha dunque che la successione n → ‖xn‖ e di Cauchy in R, cioe e convergente in R. Seguel’asserto.

4.13 Teorema. Lo spazio vettoriale `2 costituito dalle successsioni reali λ : N →R soddisfacentila condizione:

∞∑

k=0

λ2(k) <∞ ,

con il prodotto scalare

(λ, η) =∞∑

k=0

λ(k) η(k) (4.6)

e la norma

‖λ‖`2 =

√√√√∞∑

k=0

λ2(k) , (4.7)

e uno spazio di Hilbert.

Dimostrazione: Osserviamo che, se t ∈ R e λ ∈ `2, allora t λ ∈ `2. Se λ, η ∈ `2, allora

|λ(k) + η(k)|2 ≤ 2(λ(k)2 + η(k)2)

e dunque λ+ η ∈ `2. Lo spazio `2 e dunque uno spazio vettoriale.

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 70

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Dimostriamo ora che se λ, η ∈ `2, allora la serie che compare al secondo membro della (4.6)e convergente e dunque ha senso il prodotto scalare (λ, η). Osserviamo infatti che

|λ(k) η(k)| ≤ 1

2

(λ2(k) + η2(k)

)

e dunque

∞∑

k=0

|λ(k) η(k)| ≤ 1

2

(∞∑

k=0

λ2(k) +

∞∑

k=0

η2(k)

).

Dato che su R la convergenza assoluta implica la convergenza semplice la serie che compare alsecondo membro della (4.6) e convergente.

Si verificano facilmente gli assiomi j)-jv) della Definizione 3.1 di spazio pre-hilbertiano.Dimostriamo infine che `2 e completo. Sia λn una successione di Cauchy in `2. Si ha intanto

che (per ogni n , m , k ∈ N):

|λn(k)− λm(k)|2 ≤∞∑

k=0

|λn(k)− λm(k)|2 = ‖λn − λm‖2`2 ,

da cui (fissato k ∈ N) si ha che la successione n → λn(k) e di Cauchy in R. Dunque esiste unvalore reale λ(k) tale che ∃ limn→∞ λn(k) = λ(k), per ogni k ∈ N.

Verifichiamo ora che la successione k → λ(k) e un elemento di `2. Grazie al Lemma 4.12, siha che esiste L > 0 in modo tale che ‖λn‖`2 ≤ L per ogni n ∈ N. Fissato N ∈ N, segue che:

N∑

k=0

|λ(k)|2 = limn→∞

N∑

k=0

|λn(k)|2 ≤ limn→∞

∞∑

k=0

|λn(k)|2 = limn→∞

‖λn‖2`2 ≤ L2 ,

da cui λ ∈ `2.Verifichiamo infine che λn → λ in `2. Si ha intanto che (per ogni n, k ∈ N):

|λn(k)− λ(k)|2 = limm→∞

|λn(k)− λm(k)|2 .

Fissato N ∈ N, segue allora che:

N∑

k=0

|λn(k)−λ(k)|2 = limm→∞

N∑

k=0

|λn(k)−λm(k)|2 ≤ limm→∞

∞∑

k=0

|λn(k)−λm(k)|2 = limm→∞

‖λn−λm‖2`2 ,

da cui

‖λn − λ‖2`2 ≤ limm→∞

‖λn − λm‖2`2

e dunque

limn→∞

‖λn − λ‖ = 0 .

Segue l’asserto.

4.14 Osservazione. Dato n ∈ N, consideriamo la successione

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 71

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en : N →R definita da en(k) =

1 , se k = n,0 , se k 6= n.

E evidente che en ∈ `2 e che ogni famiglia finita estratta dalla en , n ∈ N e costituita daelementi linearmente indipendenti in `2. Lo spazio vettoriale `2 ha dunque dimensione infinita.

Nel seguito ci saranno utili i seguenti:

4.15 Lemma. Dato (X, ‖ ‖) spazio normato e xn successione di Cauchy in X, se una successionexnk

estratta dalla xn e convergente verso x ∈ X, si ha allora che tutta la successione xn convergeverso x in X.

Dimostrazione: Per ogni n , k ∈ N, si ha che ‖xn − x‖ ≤ ‖xn − xnk‖+ ‖xnk

− x‖. Dato ε > 0,scegliendo n , k sufficientemente grandi si ha che ‖xn − x‖ ≤ ε. Segue l’asserto.

4.16 Lemma. Dato (X, ‖ ‖) spazio normato e xn successione di Cauchy in X, esiste una succes-sione xnk

estratta dalla xn tale che

∞∑

k=0

‖xnk+1− xnk

‖ ≤ 1 .

Dimostrazione: Grazie al fatto che xn e successione di Cauchy in X, dato ε > 0, scegliendon,m ∈ N sufficientemente grandi si ha che ‖xn − xm‖ < ε. Fissando allora ε = 1/2, si puodeterminare n0 ∈ N in modo tale che ‖xn− xn0

‖ < 1/2 per ogni n > n0. Analogamente, fissandoε = 1/22, si puo determinare n1 ∈ N (con n1 > n0) in modo tale che ‖xn − xn1

‖ < 1/22 per ognin > n1. Procediamo ora per induzione su k. Supponiamo di aver determinato n0, n1, . . . , nk ∈ N,con n0 < n1 < . . . < nk in modo tale che (h = 0, 1, . . . , k) ‖xn − xnh

‖ < 1/2h+1 per ognin > nh. fissando ε = 1/2k+2, si puo determinare nk+1 ∈ N (con nk+1 > nk) in modo tale che‖xn − xnk+1

‖ < 1/2k+2 per ogni n > nk+1. Si avra che

‖xnk+1− xnk

‖ < 1

2k+2, ∀k ∈ N ,

da cui l’asserto.

4.17 Nota. Nel seguito prenderemo in considerazioni spazi di funzioni f : E → R = R∪+∞,dove E ⊂ R

n e un insieme misurabile secondo Lebesgue. Molto spesso, quando si lavora in talispazi, si identificano fra di loro le funzioni che sono uguali quasi ovunque in E. Cio evidentementeequivale a un passaggio al quoziente (in genere sottinteso) rispetto alla relazione di equivalenzadi uguaglianza quasi ovunque. Gli elementi di tali spazi sono, a rigore, classi di funzioni.

Tenendo presente quanto detto nella precedente Osservazione, introduciamo l’importante

4.18 Definizione. Sia p ∈ R con p ∈ [1,+∞[ e E ⊂ Rn un insieme misurabile secondo Lebesgue.

Definiamo spazio Lp(E) come la famiglia delle (classi di) funzioni f : E → R misurabili su E edi potenza p-esima integrabile su E.

4.19 Teorema. Dati p ∈ [1,+∞[ e E ⊂ Rn insieme misurabile secondo Lebesgue, Lp(E) e uno

spazio di Banach con la norma

‖f‖p =

(∫

E

|f |p(x) dx)1/p

. (4.8)

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 72

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In particolare L2(E) e uno spazio di Hilbert con il prodotto scalare

(f, g) =

E

f(x) g(x) dx . (4.9)

Dimostrazione: Non dimostreremo in tutta la sua generalita il precedente Teorema, ma ciaccontenteremo del controllo nel caso in cui p = 1. Dovremo verificare che L1(E), cioe la famigliadelle (classi di) funzioni integrabili su E, con la norma

‖f‖ =

E

|f(x)| dx ,

e uno spazio di Banach.

Osserviamo che, se λ ∈ R e f ∈ L1(E), allora λ f ∈ L1(E). Siccome la somma di duefunzioni integrabili e ancora integrabile, si ha che, se f , g ∈ L1(E), allora f + g ∈ L1(E). Lospazio L1(E) e dunque uno spazio vettoriale.

Si verificano facilmente gli assiomi i)-iv) della Definizione 2.1 di spazio normato.

Dimostriamo infine che L1(E) e completo. A tale scopo sia fk ∈ L1(E) una successione diCauchy che (grazie ai Lemmi 4.15 e 4.15) non e limitativo supporre che verifichi la condizioneaggiuntiva

∞∑

k=0

‖fk+1 − fk‖1 ≤ 1 , (4.10)

da cui

∞∑

k=0

E

|fk+1(x)− fk(x)| dx =

∞∑

k=0

‖fk+1 − fk‖1 ≤ 1 .

Siamo dunque in condizione di applicare il Teorema di integrazione per serie del cap. II. Segueallora che la serie di funzioni

∞∑

k=0

(fk+1(x)− fk(x))

converge q.o. in E a una funzione integrabile su E (dunque appartenente a L1(E)). Poniamo

f : E → R definita da: f(x) = f0(x) +

∞∑

k=0

(fk+1(x)− fk(x)) .

Si ha ovviamente che f ∈ L1(E). Si ha inoltre che

fn(x) = f0(x) +n−1∑

k=0

(fk+1(x)− fk(x)) , x ∈ E .

Dimostriamo ora che fn → f in L1(E). Si ha

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 73

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) IL TEOREMA DELLE PROIEZIONI

‖f − fn‖1 =

E

∣∣∣∣∣f0(x) +

∞∑

k=0

(fk+1(x)− fk(x))− f0(x)−n−1∑

k=0

(fk+1(x)− fk(x))

∣∣∣∣∣ dx

=

E

∣∣∣∣∣

∞∑

k=n

(fk+1(x)− fk(x))

∣∣∣∣∣ dx ≤∫

E

∞∑

k=n

|fk+1(x)− fk(x)|dx .

Applicando ancora il Teorema di integrazione per serie, potremo invertire le operazioni di serie edi integrale, ottenendo la seguente stima

‖f − fn‖1 ≤∞∑

k=n

E

|fk+1(x)− fk(x)|dx =∞∑

k=n

‖fk+1 − fk‖1 .

Ricordando l’ipotesi (4.10), si ricava che ‖f − fn‖ → 0, da cui fn → f in L1(E), cioe l’asserto.

4.20 Osservazione. Con il precedente Teorema abbiamo visto che avendo a disposizione unateoria della misura e dell’integrale piu evoluta, si sono potuti introdurre gli spazi delle funzionidi p-esima potenza integrabile. Tali ambienti sono particolarmente utili nello studio di numerosiproblemi.

Avendo a disposizione anche una buona Teoria della derivazione (essenzialmente la Teo-ria delle distribuzioni dovuta a Laurent Schwartz), (superando mille complicazioni) si possonocostruire gli spazi delle funzioni aventi tutte le derivate (distribuzionali) fino a un certo ordine kche sono di p-esima potenza integrabile. Tali spazi (di norma indicati con W k,p) sono chiamatispazi di Sobolev e sono per gli Analisti di enorme importanza.

5 - IL TEOREMA DELLE PROIEZIONI

5.1 Definizione. Dato X spazio normato, K ⊂ X si dice convesso se

∀x, y ∈ K , ∀t ∈ [0, 1] si ha che: tx+ (1− t)y ∈ K .

5.2 Osservazione. La precedente Definizione esprime il fatto che un sotto-insieme K di unospazio di Hilbert e convesso se e solo se, per ogni x, y ∈ K, il segmento congiungente x e y econtenuto in K.

Vale l’importante risultato

5.3 Teorema delle proiezioni sui convessi. Dati X spazio di Hilbert e K sotto-insiemeconvesso, chiuso e non vuoto di X, si ha che per ogni x ∈ X esiste uno e uno solo x ∈ K tale che

‖x− x‖X = min‖x− y‖X , y ∈ K = d(x,K) = inf‖x− y‖X , y ∈ K . (5.1)

Dimostrazione: Poniamo d = d(x,K).

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 74

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) IL TEOREMA DELLE PROIEZIONI

Unicita: Dato x ∈ X, supponiamo ora che x1, x2 ∈ K siano tali che ‖x−x1‖ = ‖x−x2‖ = d.Bisogna dimostrare che x1 = x2.

Siccome K e convesso si ha che (x1 + x2)/2 ∈ K e dunque

‖x− (x1 + x2)/2‖ ≥ d . (5.2)

Osserviamo che

‖x− (x1 + x2)/2‖ = ‖2x− x1 − x2‖/2 = ‖(x− x1) + (x− x2)‖/2 .Dunque

‖(x− x1) + (x− x2)‖2 ≥ 4 d2 . (5.3)

Utilizzando la relazione del parallelogramma, si ha che

‖(x− x1) + (x− x2)‖2 + ‖x1 − x2‖2 = 2(‖x− x1‖2 + ‖x− x2‖2) = 4 d2 .

Ricordando la (5.3), si ha infine che

4 d2 + ‖x1 − x2‖2 ≤ 4 d2 ,

da cui ‖x1 − x2‖ = 0, cioe x1 = x2. L’unicita e provata.Esistenza: Sia xn ∈ K una successione minimizzante la (5.1), cioe, ad esempio tale che

d ≤ ‖xn − x‖ ≤ d+ 1/n . (5.4)

Incominciamo dimostrando che la successione n→ xn e di Cauchy in X.Dati n.m ∈ N, siccome K e convesso, si ha che (xn + xm)/2 ∈ K e dunque

‖x− (xn + xm)/2‖ = ‖(x− xn) + (x− xm)‖/2 ≥ d , ∀n,m ∈ N . (5.5)

Ricordando la (5.4) e utilizzando ancora la relazione del parallelogramma si ha che

‖(x−xn) + (x−xm)‖2 + ‖xn−xm‖2 = 2(‖x−xn‖2 + ‖x−xm‖2) ≤ 2([(d+ 1/n)2 + (d+ 1/m)2] .

Ricordando la (5.5), si ha

4 d2 + ‖xn − xm‖2 ≤ 2(‖x− xn‖2 + ‖x− xm‖2) ≤ 2([(d+ 1/n)2 + (d+ 1/m)2] .

Dunque

‖xn − xm‖2 ≤ 2([(d+ 1/n)2 + (d+ 1/m)2]− 4 d2 .

Segue allora che

∃ limn,m→∞

‖xn − xm‖2 = 0

e dunque la successione n→ xn e di Cauchy in X.

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 75

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) IL TEOREMA DELLE PROIEZIONI

Siccome X e uno spazio di Hilbert e K e chiuso, esiste x ∈ K in modo tale che xn → x.Dunque (ricordando la (5.4)):

‖x− x‖ = limn→∞

‖x− xn‖ = d .

Anche l’esistenza e provata.

5.4 Definizione. La applicazione x ∈ X → x ∈ K del Teorema delle proiezioni sui convessiviene chiamata proiezione su K e viene indicata con πKx.

Lo studio delle proiezioni sui convessi e particolarmente semplice nel caso speciale in cui ilconvesso sia un sottospazio vettoriale. Vale allora il

5.5 Teorema. Sia X uno spazio di Hilbert e M ⊂ X un sottospazio vettoriale chiuso di X. Siha allora che

(x− πMx, y) = 0 , ∀x ∈ X , y ∈M .

Dimostrazione: Grazie al fatto che πMx e il punto di minima distanza di x da M , si ha che

‖x− πMx‖ ≤ ‖x− πMx+ t y‖ , ∀t > 0 , y ∈M ,

da cui

‖x− πMx‖2 ≤ ‖x− πMx+ t y‖2 = (x− πMx+ t y, x− πMx+ t y) , ∀t > 0 , y ∈M

e dunque, svolgendo i facili conti,

0 ≤ 2 t(x− πMx, y) + t2‖y‖2 , ∀t > 0 , y ∈M .

se ora dividiamo per t e facciamo il limite per t→ 0, si ha

(x− πMx, y) ≥ 0 , ∀y ∈M .

Se, nella precedente relazione, sostituiamo y ∈M con −y ∈M , si ricava l’asserto.

5.6 Osservazione. Il Teorema 5.5 estende agli spazi di Hilbert, il risultato, ben noto nel casoelementare, che x− πMx e ortogonale a M .

Un’altra nozione elementare puo essere estesa agli spazi Hilbert

5.7 Definizione. Sia X uno spazio di Hilbert e M ⊂ X un sottospazio vettoriale di X. Si diceallora che x ∈ X e ortogonale a M se

(x, y) = 0 , ∀y ∈M .

Il seguente risultato e di facile controllo

5.8 Teorema. Sia X uno spazio di Hilbert e M ⊂ X un sottospazio vettoriale di X. Si ha allorache il sottoinsieme di X

M⊥ = x ∈ X : (x, y) = 0 , y ∈M

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 76

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) LO SPAZIO DUALE

e sottospazio vettoriale chiuso di X.

5.9 Definizione. Se X e uno spazio di Hilbert e M ⊂ X un sottospazio vettoriale di X, ilsottoinsieme M⊥ viene chiamato sottospazio ortogonale di M .

5.10 Osservazione. Sia X uno spazio di Hilbert e M ⊂ X un sottospazio vettoriale di X. Sex ∈ M e x ∈ M⊥, si ha che x = 0, in quanto (essendo x ortogonale a M) si deve avere che(x, x) = 0, cioe x = 0.

5.11 Teorema di decomposizione ortogonale. Sia X uno spazio di Hilbert e M ⊂ X unsottospazio vettoriale chiuso di X. Se x ∈ X allora esistono y ∈ M e z ∈ M⊥ in modo tale chex = y + z. Si ha inoltre che tale rappresentazione e unica.

Dimostrazione: Dato x ∈ X si ha che x = πMx+ (x− πMx). Siccome πMx ∈ M e (grazie alTeorema 5.5) x− πM ∈M⊥, abbiamo provato che x ammette la rappresentazione richiesta.

Verifichiamo anche l’unicita della rappresentazione. Dato x ∈ X, se si ha che

x = y + z = y′ + z′ con y , y′ ∈M , z , z′ ∈M⊥ ,

si ottiene che y− y′ = z− z′. Siccome y− y′ ∈M e z− z′ ∈M⊥, utilizzando l’Osservazione 5.10,si ha che y = y′ e che z = z′ e dunque l’asserto.

6 - LO SPAZIO DUALE

6.1 Definizione. Dati X e Y spazi normati, una applicazione lineare L : X → Y viene dettalimitata se esiste una costante c > 0 tale che

‖Lx‖Y ≤ c ‖x‖X , ∀x ∈ X .

Nella Proposizione 4.1 abbiamo provato che L : X → Y e continua se e solo se e limitata.

6.2 Definizione. Dati X e Y spazi normati, la famiglia delle applicazioni lineari e continueL : X → Y e uno spazio vettoriale che viene indicato con L(X,Y ).

Dato L ∈ L(X,Y ) si dimostra che la seguente espressione

|||L||| = sup‖L(x)‖Y /‖x‖X , x ∈ X − 0

definisce su L(X,Y ) una norma che rende L(X,Y ) uno spazio di Banach (anche nel caso in cuiX o Y non siano completi).

Osserviamo che vale la disuguaglianza:

‖L(x)‖Y ≤ |||L||| ‖x‖X , x ∈ X , L ∈ L(X,Y ) .

6.3 Definizione. Dato X spazio normato reale, una applicazione lineare e continua x′ : X → R

viene chiamata funzionale lineare e continuo su X.Come per la precedente Definizione, la famiglia dei funzionali lineari e continui su X e uno

spazio vettoriale che viene chiamato spazio duale di X e viene indicato con X ′.

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 77

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) LO SPAZIO DUALE

Dato x′ ∈ X ′, si ha allora che

‖x′‖∗ = sup|x′(x)|/‖x‖X , x ∈ X − 0definisce su X ′ una norma che rende X ′ uno spazio di Banach (anche nel caso in cui X non siacompleto). Vale anche la disuguaglianza:

|x′(x)| ≤ ‖x′‖∗ ‖x‖X , x ∈ X , x′ ∈ X ′ .

La caratterizzazione del duale di uno spazio e molto importante. Il risultato piu semplice, inquesto ordine di idee, e il seguente che caratterizza gli elementi dello spazio duale di uno spaziodi Hilbert:

6.4 Teorema di Riesz. Dato X spazio di Hilbert e x′ ∈ X ′, esiste unico y ∈ X in modo taleche

x′(x) = (y, x) , ∀x ∈ X . (6.1)

Si ha inoltre che ‖x′‖∗ = ‖y‖.Dimostrazione: a) Esistenza: Sia N il nucleo di x′, cioe

N = x ∈ X : x′(x) = 0 .Se N = X, segue che x′ ≡ 0, da cui y = 0 verifica la (6.1). Consideriamo ora il caso in cui N eincluso strettamente in X. Grazie al Teorema di decomposizione ortogonale 5.11, esiste z ∈ N⊥

con z 6= 0. Scegliamo ora

y =x′(z)

‖z‖2 z

e verifichiamo che effettivamente soddisfa la (6.1). Si ha infatti (per ogni x ∈ X):

(y, x)− x′(x) =x′(z)

‖z‖2 (z, x)− x′(x) =1

‖z‖2 [x′(z)(z, x)− (z, z)x′(x)] =1

‖z‖2 (x′(z)x− x′(x) z, z)

ossia

(y, x)− x′(x) =1

‖z‖2 (x′(z)x− x′(x) z, z) . (6.2)

Osserviamo anche che

x′(x′(z)x− x′(x) z) = x′(z)x′(x)− x′(x)x′(z) = 0 ,

cioe x′(z)x− x′(x) z ∈ N . Siccome z ∈ N⊥, ricordando la relazione (6.2), si ricava che (y, x)−x′(x) = 0, cioe la relazione (6.1) e soddisfatta.

b) Unicita: Supponiamo che esistano y1, y2 ∈ X in modo tale che:

x′(x) = (y1, x) = (y2, x) , ∀x ∈ X .

Si ha allora

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 78

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) LO SPAZIO DUALE

(y1 − y2, x) = 0 , ∀x ∈ X .

Scegliendo x = y1 − y2, si ottiene che ‖y1 − y2‖ = 0, da cui y1 = y2.

c) Uguaglianza delle norme: Il caso in cui x′ ≡ 0 e banale.Se x′ 6≡ 0, segue che y 6= 0. Si ha allora che ‖y‖2 = (y, y) = x′(y) ≤ ‖x′‖∗‖y‖ e dunque,

dividendo per ‖y‖, si ha che ‖y‖ ≤ ‖x′‖∗.D’altra parte si ha

‖x′‖∗ = sup

|x′(x)|‖x‖ , x ∈ X − 0

= sup

|(y, x)|‖x‖ , x ∈ X − 0

e, per la disuguaglianza di Schwartz,

‖x′‖∗ ≤ sup

‖y‖ ‖x‖‖x‖ , x ∈ X − 0

= ‖y‖ ,

cioe ‖x′‖∗ ≤ ‖y‖ e dunque l’asserto.

6.5 Osservazione. il Teorema di Riesz 6.4 afferma che ad ogni funzionale lineare e continuo suX (cioe ad ogni x′ ∈ X ′) si puo associare in modo univoco un elemento y = λ(x′) ∈ X in modotale che x′(x) = (y, x) per ogni x ∈ X. Cio vuol dire che x′(x) puo essere espresso medianteun prodotto scalare. La applicazione λ : X ′ → X e dunque iniettiva. Si verifica anche che λ elineare.

Viceversa e facile controllare che, fissato y ∈ X, la applicazione x ∈ X → (y, x) definisce unfunzionale lineare e continuo su X. Cio significa che λ e suriettiva. Siccome, grazie al Teoremadi Riesz, ‖x′‖∗ = ‖λ(x′)‖, si ricava che λ e un isomorfismo isometrico fra X ′ e X.

Ogni spazio di Hilbert puo dunque essere identificato al suo duale. Tale fatto e di fondamen-tale importanza nel campo dell’Analisi Funzionale e delle sue applicazioni.

Concludiamo questa sezione con due fondanentali teoremi dell’Analisi Funzionale. Le di-mostrazioni di questi risultati sono abbbastanza complesse.

6.6 Teorema di Hahn-Banach. Sia (X, ‖ ‖) uno spazio normato, V un sottospazio vettorialedi X non necessariamente chiuso, λ : V → R una applicazione lineare tale che

sup|λ(x)| , x ∈ V , ‖x‖ ≤ 1 = K < +∞ .

Esiste allora x′ ∈ X ′ in modo tale che

x′(x) = λ(x) , ∀x ∈ V ,

‖x′‖∗ = K .

Il Teorema di Hahn-Banach afferma in pratica che un funzionale lineare e continuo su unsottospazio di X puo essere prolungato su tutto lo spazio X conservando il valore della norma.

6.7 Teorema di Banach-Steinhaus. Siano (X, ‖ ‖X) e (Y, ‖ ‖Y ) spazi di Banach, A uninsieme non necessariamente numerabile e Tα : X → Y con α ∈ A e una famiglia di operatorilineari e continui. Se per ogni x ∈ X esiste L(x) ∈ R tale che

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 79

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‖Tα(x)‖Y ≤ L(x) , ∀α ∈ A , (6.3)

si ha allora che esiste K ∈ R tale che

|||Tα||| = sup|Tα(x)| , ‖x‖X ≤ 1 , α ∈ A ≤ K . (6.4)

Il Teorema di Banach-Steinhaus e anche chiamato Teorema della uniforme limitatezza inquanto, a partire da una ipotesi di limitatezza puntuale espressa dalla (6.3), si dimostra unastima uniforme rispetto a α ∈ A.

III - SPAZI DI BANACH E HILBERT (23 - 1 - 2004) 80

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IV - SERIE DI FOURIER

1 - Serie di Fourier astratte

La seguente definizione e fondamentale:

1.1 Definizione. Un sottoinsieme Γ di uno spazio di Hilbert X si dice un sistema ortonormaledi X se per ogni ϕ , ψ ∈ Γ si ha che

(ϕ, ψ) =

1 , se ϕ = ψ,0 , se ϕ 6= ψ;

(1.1)

si dice che Γ e un sistema ortonormale completo di X se inoltre si ha che

∀x ∈ X, se ∀ϕ ∈ Γ si ha che (x, ϕ) = 0 , allora x = 0 . (1.2)

1.2 Esempio. La famiglia dei vettori di Rn data da:

(1, . . . , 0) , . . . , (0, . . . , 1)

e un sistema ortonormale completo di Cn.

1.3 Esempio. La famiglia ϕi : N → R, i ∈ N, definita da

ϕi(k) =

1 , se i = k,0 , se i 6= k,

e ovviamente un sistema ortonormale completo il `2.

Per semplicita, nel seguito prenderemo in considerazione solo il caso di sistemi ortonormalinumerabili. La presente teoria e infatti abbastanza banale nel caso dei sistemi ortonormali finiti.Con qualche complicazione ulteriore (che non affronteremo) puo essere studiato anche il caso deisistemi ortonormali non numerabili.

Siccome nel seguito prenderemo solo il caso di sistemi ortonormali numerabili, nel seguito unsistema ortonormale di uno spazio di HilbertX potra dunque essere definito come una successionedi elementi ϕi ∈ X tale che

(ϕi, ϕj) =

1 , se i = j,0 , se i 6= j;

(1.3)

si dira inoltre che tale sistema e completo se inoltre si ha che

∀x ∈ X, se ∀i ∈ N si ha che (x, ϕi) = 0 , allora x = 0 . (1.4)

1.4 Definizione. Sia X uno spazio di Hilbert. Dati x ∈ X e ϕi , i ∈ N un sistema ortonormaledi X, le quantita x(i) = (x, ϕi) vengono chiamate coefficienti di Fourier (astratti) di x.

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 81

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) Serie di Fourier astratte

1.5 Osservazione. Sia X uno spazio di Hilbert. e ϕi , i ∈ N un sistema ortonormale completodi X. Se x ∈ X ha tutti i coefficienti di Fourier nulli, si ricava (banalmente) che x = 0.

Un modo alternativo di vedere tale fatto puo essere espresso nel seguente modo: se dueelementi X hanno gli stessi coefficienti di Fourier, allora coincidono.

Nel seguito avremo bisogno della nozione di serie in uno spazio di Banach:

1.6 Definizione. Sia X uno spazio di Banach e xn , n = 0, . . . , una successione a valori in X.Viene chiamata successione delle somme parziali la nuova successione sn =

∑nk=0 xk. Se esiste

s ∈ X in modo tale che ∃ limn→∞ sn = s con la metrica definita dalla norma dello spazio X,allora si dice che la serie delle xn e convergente in X e che la sua somma e data da

∑∞k=0 xk = s

(o anche che la serie converge a s in X). Altrimenti si dice che la serie delle xn e non convergentein X.

Un risultato molto interessante e il seguente:

1.7 Teorema di Fischer e Riesz. Sia X uno spazio di Hilbert e ϕi , i ∈ N un sistemaortonormale completo di X. Si ha allora che la applicazione Λ : X → `2 che associa a f ∈ X lasuccessione definita da:

Λf (i) = (f, ϕi) = f(i) , i ∈ N ,

e un isomorfismo isometrico, cioe e lineare, biunivoca e conserva il prodotto scalare (e dunque lanorma). Si ha inoltre che:

∞∑

i=1

f(i)ϕi = f in X .

Per dimostrare il Teorema di Fischer e Riesz abbiamo bisogno di alcuni risultati preliminari.

1.8 Lemma. Sia X uno spazio di Hilbert, e ϕi (i ∈ N) un sistema ortonormale di X. Se aj

(i = 0, 1, . . . ,m) sono numeri reali assegnati ed nj ∈ N (con n0 < n1 < . . . < nk < . . . < nm), siha allora:

∥∥∥∥∥∥

m∑

j=1

aj ϕnj

∥∥∥∥∥∥

2

X

=

m∑

j=1

|aj |2 .

Dimostrazione: Si ha che (dato che la somma e finita):

∥∥∥∥∥∥

m∑

j=1

aj ϕnj

∥∥∥∥∥∥

2

X

=

m∑

i=1

ai ϕni,

m∑

j=1

aj ϕnj

X

=m∑

i=1

m∑

j=1

ai aj (ϕni, ϕnj

)X =m∑

i=1

|ai|2 .

1.9 Lemma. Sia X uno spazio di Hilbert, ϕi (i ∈ N) un sistema ortonormale di X e µ ∈ `2. Siha allora che la seguente serie converge in X

∞∑

i=1

µ(i)ϕi ∈ X . (1.5)

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 82

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) Serie di Fourier astratte

Si ha inoltre che:

(∞∑

i=1

µ(i)ϕi , ϕj

)

X

= µ(j) , j ∈ N , (1.6)

∥∥∥∥∥

∞∑

i=1

µ(i)ϕi

∥∥∥∥∥

2

=∞∑

i=1

|µ(i)|2 = ‖µ‖2`2 . (1.7)

Dimostrazione: Per dimostrare che la serie (1.5) ha senso in X, basta verificare che esiste illimite delle somme parziali

limn→∞

n∑

i=0

µ(i)ϕi ∈ X .

Per verificare che esiste tale limite, possiamo utilizzare la condizione di Cauchy che, nel presentecontesto, assume la forma:

∀ε > 0 , ∃n∗ ∈ N : ∀i, j ∈ N

(n∗ < i < j =⇒

∥∥∥∥∥

j∑

k=i+1

µ(i)ϕi

∥∥∥∥∥ < ε

). (1.8)

Siccome µ ∈ `2, allora la serie∑∞

i=0 |µ(i)|2 e convergente. Se riapplichiamo il criterio diCauchy a quest’ultima somma, si ricava che

∀ε > 0 , ∃n∗ ∈ N : ∀i, j ∈ N

(n0 < i < j =⇒

j∑

k=i+1

|µ(i)|2 < ε2

). (1.9)

Osserviamo che (grazie al Lemma 1.8) si ha

∥∥∥∥∥

j∑

k=i+1

µ(i)ϕi

∥∥∥∥∥

2

=

j∑

k=n+1

|µ(i)|2 .

Ricordando le relazioni (1.8) e (1.9) si dimostra la prima parte del Lemma.Osserviamo che (grazie alla continuita del prodotto scalare)

(∞∑

i=1

µ(i)ϕi , ϕj

)

X

=

(lim

N→∞

N∑

i=1

µ(i)ϕi , ϕj

)

X

= limN→∞

(N∑

i=1

µ(i)ϕi , ϕj

)

X

= µ(j) , j ∈ N .

La relazione (1.6) e dunque verificata.Si ha infine che (sempre grazie alla continuita del prodotto scalare)

∥∥∥∥∥

∞∑

i=1

µ(i)ϕi

∥∥∥∥∥

2

=

∞∑

i=1

µ(i)ϕi ,

∞∑

j=1

µ(j)ϕj

X

=

∞∑

i,j=1

µ(i)µ(j) (ϕi , ϕj) =

∞∑

i=1

|µ(i)|2

Anche la relazione (1.7) e dimostrata.

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 83

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1.10 Osservazione. Con i dati del precedente Lemma, osserviamo che se x ∈ X e la sommadella serie

∑∞i=1 µ(i)ϕi, allora (grazie alla relazione (1.6)) si ha che

x(j) = µ(j) , j ∈ N .

1.11 Osservazione. Sia X uno spazio di Hilbert, ϕi (i ∈ N) un sistema ortonormale di X. Seponiamo

V =

∞∑

i=1

µ(i)ϕi , µ ∈ `2,

si verifica facilmente che V e un sottospazio di X. Dimostriamo che V e un sottospazio chiusodi X. Supponiamo infatti che y ∈ X e che µk ∈ `2 (con k ∈ N) sia una successione di elementi di`2 in modo tale che

limk→∞

∞∑

i=1

µk(i)ϕi = y , in X .

Siccome X e uno spazio completo si ricava che la successione approssimante y e di Cauchy.Dunque (con una scrittura un po’ formale)

limk,h→∞

∥∥∥∥∥

∞∑

i=1

µk(i)ϕi −∞∑

i=1

µh(i)ϕi

∥∥∥∥∥ = limk,h→∞

∥∥∥∥∥

∞∑

i=1

(µk(i)− µh(i))ϕi

∥∥∥∥∥ = 0 , in X .

Grazie alla la relazione (1.7), si ricava che

limk,h→∞

‖µk − µh‖`2 = 0

e dunque (essendo µk di Cauchy in `2), esiste µ ∈ `2 in modo tale che µk → µ. Si verifica infinefacilmente che

limk→∞

∞∑

i=1

µk(i)ϕi =

∞∑

i=1

µ(i)ϕi = y , in X .

Abbiamo cosı provato che V e un sottospazio chiuso di X.

1.12 Teorema della migliore approssimazione. Sia X uno spazio di Hilbert e ϕi (i ∈ N)

un sistema ortonormale di X e f ∈ X. Si ha allora che la successione f : N → R definita dai ∈ N → f(i) appartiene a `2.Si ha inoltre (utilizzando anche il Lemma 1.9) che per ogni µ ∈ `2 si ha:

0 ≤∥∥∥∥∥f −

∞∑

i=1

f(i)ϕi

∥∥∥∥∥

2

X

= ‖f‖2X −∞∑

i=1

|f(i)|2 ≤∥∥∥∥∥f −

∞∑

i=1

µ(i)ϕi

∥∥∥∥∥

2

X

. (1.10)

Dimostrazione: Ricordando che il sistema ϕi (i ∈ N) e ortonormale su X, si ha (per ogniµ ∈ `2)

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 84

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) Serie di Fourier astratte

∥∥∥∥∥f −m∑

i=1

µ(i)ϕi

∥∥∥∥∥

2

X

=

f −

m∑

i=1

µ(i)ϕi, f −m∑

j=1

µ(j)ϕj

=

= ‖f‖2X +m∑

i=1

m∑

j=1

µ(i)µ(j)(ϕi, ϕj)− 2m∑

i=1

µ(i)(f, ϕi) = ‖f‖2X +m∑

i=1

|µ(i)|2 − 2m∑

i=1

µ(i)f(i)

e dunque (sempre per ogni µ ∈ `2)∥∥∥∥∥f −

m∑

i=1

µ(i)ϕi

∥∥∥∥∥

2

X

= ‖f‖2X −m∑

i=1

|f(i)|2 +m∑

i=1

[|f(i)|2 + |µ(i)|2 − 2µ(i)f(i)

]

da cui

0 ≤∥∥∥∥∥f −

m∑

i=1

µ(i)ϕi

∥∥∥∥∥

2

X

= ‖f‖2X −m∑

i=1

|f(i)|2 +m∑

i=1

|µ(i)− f(i)|2 . (1.11)

Scegliendo µ(i) = f(i) si ricava che

m∑

i=1

|f(i)|2 ≤ ‖f‖2X

e dunque la successione i ∈ N → f(i) appartiene a `2. Se nella relazione (1.11) si pone ancora

µ(i) = f(i) (i ∈ N) e si passa al limite per m→∞, si ha che

∥∥∥∥∥f −∞∑

i=1

f(i)ϕi

∥∥∥∥∥

2

X

= ‖f‖2X −∞∑

i=1

|f(i)|2 .

Se nella relazione (1.11) si lascia invece indeterminata µ ∈ `2 e si passa al limite per m→∞, siha che

∥∥∥∥∥f −∞∑

i=1

µ(i)ϕi

∥∥∥∥∥

2

X

= ‖f‖2X −∞∑

i=1

|f(i)|2 +∞∑

i=1

|µ(i)− f(i)|2

e dunque (trascurando l’ultimo termine)

∥∥∥∥∥f −∞∑

i=1

µ(i)ϕi

∥∥∥∥∥

2

X

≥ ‖f‖2X −∞∑

i=1

|f(i)|2 =

∥∥∥∥∥f −∞∑

i=1

f(i)ϕi

∥∥∥∥∥

2

X

.

Si ottiene cosı il risultato richiesto.

1.13 Osservazione. Il precedente risultato e chiamato Teorema della migliore approssimazione inquanto fra le serie del tipo

∑∞i=1 ai ϕi, quella che approssima meglio f ∈ X si ottiene ponendo ai =

f(i). Se interpretiamo tale risultato in termini di proiezioni ortogonali si ricava che∑∞

i=1 f(i)ϕi

e la proiezione ortogonale di f sul sottospazio chiuso V (definito nella Osservazione 1.11) di X.

Un’altra importante conseguenza del Teorema della migliore approssimazione e:

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 85

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) Serie di Fourier astratte

1.14 Disuguaglianza di Bessel. Sia X uno spazio di Hilbert e ϕi (i ∈ N) un sistemaortonormale di X. Per ogni f ∈ X si ha

∞∑

i=1

|f(i)|2 ≤ ‖f‖2X .

1.15 Teorema. Sia X uno spazio di Hilbert e ϕi (i ∈ N) un sistema ortonormale di X. Leseguenti condizioni sono allora equivalenti:

i) ϕi (i ∈ N) e un sistema ortonormale completo di X.ii) Per ogni f ∈ X si ha che

‖f‖2X =∞∑

i=1

|f(i)|2 = ‖f‖2`2 , (Uguaglianza di Bessel) . (1.12)

iii) Per ogni f ∈ X si ha che

f =

∞∑

i=1

f(i)ϕi . (1.13)

iv) Per ogni f, g ∈ X si ha che

(f, g)X =∞∑

i=1

(f, ϕi)X (g, ϕi)X = (f , g)`2 , (Relazione di Parseval) . (1.14)

Dimostrazione: Grazie al Teorema della migliore approssimazione si ha che ii) ⇔ iii).

Proviamo che iii) ⇒ i). Se (f, ϕi) = f(i) = 0 (i ∈ N), grazie alla (1.12) si ricava che f = 0.Dunque ϕi (i ∈ N) e un sistema ortonormale completo di X.

Proviamo che i) ⇒ iii). Dato f ∈ X, poniamo (cio ha senso grazie alla disuguaglianza diBessel e al Lemma 1.9)

g =

∞∑

k=1

f(k)ϕk . (1.15)

Utilizzando ancora il Lemma 1.9, si ha che f(i) = g(i) (i ∈ N). Utilizzando l’Osservazione 1.5,segue che g = f . Grazie alla (1.15), la iii) e dimostrata.

A tale punto abbiamo provato che le condizioni i), ii), iii) sono equivalenti fra loro.Proviamo che iii) ⇒ iv). Dati f, g ∈ X, si ha (grazie alla continuita del prodotto scalare):

(f, g)X =

(∞∑

i=1

f(i)ϕi,∞∑

k=1

g(k)ϕk

)

X

=∞∑

i=1

∞∑

k=1

f(i) g(k) (ϕi, ϕk)X =∞∑

i=1

f(i) g(i) .

La relazione iv) e provata.Se poniamo f = g ∈ X nella (1.14), si ottiene subito che iv) ⇒ ii).L’asserto e provato.

Dimostrazione del Teorema di Fischer e Riesz: La applicazione f → Λf e ovviamentelineare. Grazie alla uguaglianza di Bessel si ha che Λf ∈ `2 per ogni f ∈ I. Dimostriamo ora lasuriettivita di Λ. Data µ ∈ `2, utilizzando il Lemma 1.9, si puo porre:

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 86

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) Ortonormalizzazione

f =∞∑

i=1

µ(i)ϕi ∈ X .

Grazie alla relazione (1.6), si ha che f(i) = µ(i) (i ∈ I). La suriettivita e dunque provata.

Proviamo la iniettivita. Dati f, g ∈ X, se Λf = Λg, si ottiene che f(i) = g(i). Utilizzandol’Osservazione 1.5, segue che g = f . La iniettivita e dunque provata.

Infine, utilizzando ad esempio l’Uguaglianza di Bessel, si ha che Λ e un’isometria e dunqueconserva norma e prodotto scalare.

2 - Ortonormalizzazione

2.1 Definizione. Sia X uno spazio di Hilbert e S un sottoinsieme di X. La famiglia dellecombinazioni lineari (finite) degli elementi di S, cioe degli elementi aventi rappresentazione (doveK e il corpo degli scalari di X)

m∑

k=1

ak xk , ak ∈ K , xk ∈ S ,

definisce il sottospazio di X generato da S, che verra indicato con il simbolo span(S).

Estendiamo alle famiglie numerabili la nozione di lineare indipendenza:

2.2 Definizione. Dato X spazio di Hilbert, un sotto-insieme numerabile S di X, si dice lin-earmente indipendendente, se ogni sotto-insieme finito di S costituisce una famiglia di elementilinearmente indipendenti di X.

2.3 Teorema della ortonormalizzazione di Schmidt. Sia X uno spazio di Hilbert ex1, . . . , xk, . . . una famiglia numerabile di elementi di X linearmente indipendenti. Si ha allorache esiste un sistema ortonormale w1, . . . , wk, . . . di X in modo tale che, posto

Xn = xk , k = 1, . . . , n , Wn = wk , k = 1, . . . , n ,si abbia che

span(Xn) = span(Wn) , ∀n ∈ N ,

span(x1, . . . , xk, . . .) = span(w1, . . . , wk, . . .) .

Dimostrazione: Definiamo per induzione su n la seguente successione

y1 = x1 , (2.1)

yn+1 = xn+1 −n∑

j=1

(xn+1, yj)

‖yj‖2yj . (2.2)

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 87

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) Ortonormalizzazione

Osserviamo che la famiglia y1, . . . , yk, . . . e ortogonale (cioe elementi diversi sono ortogonali). Siha infatti intanto che

(y2, y1) = (x2 −(x2, y1)

‖y1‖2y1, y1) = (x2, y1)−

(x2, y1)

‖y1‖2(y1, y1) = 0 .

Ragionando per induzione su n, si ha (se k ≤ n)

(yn+1, yk) = (xn+1, yk)−n∑

j=1

(xn+1, yj)

‖yj‖2(yj, yk) = (xn+1, yk)− (xn+1, yk)

‖yk‖2(yk, yk) = 0 .

Poniamo

Yn = yk , k = 1, . . . , n , n ∈ N

Grazie alle relazioni (2.1) e (2.2), si ha che ogni xn e combinazione lineare di y1, . . . , yn e dunque

span(Xn) ⊂ span(Yn) , ∀n ∈ N . (2.3)

Ragionando per induzione su n si ricava anche che ogni yn e combinazione lineare di x1, . . . , xn

e dunque (grazie alla (2.3))

span(Yn) = span(Xn) , ∀n ∈ N .

Con un facile ragionamento segue immediatamente anche che

span(x1, . . . , xk, . . .) = span(y1, . . . , yk, . . .) .Sempre ragionando per induzione su n, si verifica infine che yn 6= 0 per ogni n ∈ N. Si ha infattiche y1 = x1 6= 0 grazie alla lineare indipendenza della famiglia x1, . . . , xk, . . .. Se poi, perassurdo, yn+1 = 0, grazie alla (2.2), si otterrebbe che

0 = xn+1 −n∑

j=1

(xn+1, yj)

‖yj‖2yj .

Siccome abbiamo gia provato che yj puo essere rappresentato come combinazione lineare dix1, . . . , xj , si ottiene un assurdo dovuto alla lineare indipendenza della famiglia x1, . . . , xk, . . ..Il sistema ortonormale richiesto si puo allora costruire ponendo wk = yk/‖yk‖.

A tale punto possiamo introdurre un’altra condizione necessaria e sufficiente affinche unsistema ortonormale sia completo.

2.4 Proposizione. Sia X uno spazio di Hilbert e ϕi (i ∈ N) un sistema ortonormale di X. Leseguenti condizioni sono equivalenti:

i) ϕi (i ∈ N) e un sistema ortonormale completo di X.

ii) spanϕi , i ∈ N = X .

Dimostrazione: Verifichiamo che i) ⇒ ii). Se vale la i), grazie al Teorema 1.15, segue che ognif ∈ X e cosı rappresentabile:

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 88

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) Ortonormalizzazione

f = limn→∞

n∑

i=1

f(i)ϕi

e dunque segue la ii) in quanto ogni elemento di X e approssimabile mediante una combinazionelineare finita delle ϕi.

Verifichiamo che ii) ⇒ i). Dato f ∈ X, tale che (f, ϕi) = 0 per ogni i ∈ N, dobbiamodimostrare che f = 0. Si ha intanto che

(f ,

n∑

i=1

ai ϕi

)= 0

comunque si siano scelti gli scalari ai. Siccome, per ipotesi, le combinazioni lineari degli elementiϕi sono dense in X, segue che (f, x) = 0 per ogni x ∈ X (utilizzando la continuita del prodottoscalare). Segue allora che (f, f) = ‖f‖2 = 0, cioe f = 0.

Introduciamo una nozione che ha una certa rilevanza:

2.5 Definizione. Uno spazio normato X si dice separabile se esiste U ⊂ X numerabile e densoin X.

Si verifica facilmente che tutti gli spazi normati di dimensione finita sono separabili. Vale la

2.6 Proposizione. SeX e uno spazio normato di dimensione infinita, allora le seguenti condizionisono equivalenti:

i) X e separabile;ii) esiste V ⊂ X numerabile in modo tale che span(V ) = X;iii) esiste W ⊂ X numerabile e costituito di elementi linearmente indipendenti in modo tale che

span(W ) = X.

Dimostrazione: i) ⇒ ii).Si ha infatti che, se esiste U ⊂ X numerabile e denso in X, allora U ⊂ span(U) ⊂ X e

dunque

X = U ⊂ span(U) ⊂ X

da cui span(U) = X. cioe l’asserto.

ii) ⇒ i).Per dimostrare tale asserzione introduciamo il seguente sottoinsieme di span(V ):

H =

m∑

i=i

qi vi , dove m ∈ N , qi ∈Q , vi ∈ V.

H e ovviamente la famiglia delle combinazioni lineari a coefficienti razionali degli elementi di V .Non e inoltre limitativo supporre che v 6= 0 per ogni v ∈ V . E facile verificare che H e numerabile.Verifichiamo inoltre che

span(V ) ⊂ H . (2.4)

Infatti, se w ∈ span(V ) allora ammette la rappresentazione

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 89

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) Ortonormalizzazione

w =m∑

i=i

ai vi , dove ai ∈ R , vi ∈ V .

Si ponga

zn =m∑

i=i

qi vi , con qi ∈Q , |qi − ai| <1

nm‖vi‖.

Si ha che

‖w − zn‖ =

∥∥∥∥∥

m∑

i=i

(ai − qi) vi

∥∥∥∥∥ ≤m∑

i=i

|a1 − qi|‖vi‖ ≤ 1/n ,

e dunque zn ∈ H → w in X. La relazione (2.4) e dimostrata. Se utilizziamo la (2.4), si ottieneanche che

X = span(V ) ⊂ H ⊂ X ,

da cui H = X, cioe l’asserto.iii) ⇒ ii). Tale parte della dimostrazione e banale.ii) ⇒ iii).Supponiamo che

span(x1, . . . , xn. . . .) = X .

Non e ovviamente limitativo supporre che xi 6= 0 per ogni i ∈ N. Poniamo ora n1 = 1. Ragionandoper induzione, sia nk+1 il piu piccolo numero naturale tale che

xnk+16∈ span(xn1

, . . . , xnk) .

La successione xnk, per costruzione, e costituita da elementi linearmente indipendenti e, si ha

che U = xnk, k ∈ N verifica la condizione richiesta.

Siamo ora in grado di provare il:

2.7 Teorema. Se X uno spazio di Hilbert di dimensione infinita allora esiste un sistema ortonor-male completo ϕk , k ∈ N se e solo se X e separabile.

Dimostrazione: Dimostriamo che la condizione e necessaria. Se ϕk , k ∈ N e un sistemaortonormale completo, grazie alla Proposizione 2.4, si ha che

spanϕk , k ∈ N = X .

Se ora utilizziamo la Proposizione 2.6, si ottiene che X e separabile.Dimostriamo che la condizione e sufficiente. Se X e separabile, utilizzando ancora la Propo-

sizione 2.6, si ha che esiste un U ⊂ X numerabile e di elementi linearmente indipendenti in X inmodo tale che

span(U) = X .

Grazie al Teorema di ortonormalizzazione si puo supporre che U sia un sistema ortonormale.Ricordando la Proposizione 2.4, si dimostra che U e un sistema ortonormale completo.

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 90

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) Serie Trigonometriche

2.8 Esempi di Spazi Separabili. Ovviamente lo spazio `2 e separabile.Se E un insieme misurabile di R

n e p ∈ R tale che 1 ≤ p < +∞, si dimostra che gli spaziLp(E) sono tutti separabili eccetto che per p = 1. Si dimostra inoltre che se E e limitato, alloraanche L1(E) e uno spazio separabile.

Sia ora K un compatto di Rn. Si ponga

C0(K) = f : K →R , f continua , con la norma ‖f‖ = max|f(t)| , t ∈ K .

Si ha allora che lo spazio C0(K) e uno spazio di Banach separabile.

2.9 Osservazione. Grazie alle considerazioni appena svolte e al Teorema 2.7, si ricava che se Ee un insieme misurabile di R

n, allora L2(E) ammette un sistema ortonormale completo.

3 - Serie Trigonometriche

a) Gli spazi Lp(T)

Nel seguito indicheremo con Lp(T) (p ∈ [1,+∞[) lo spazio delle (classi di) funzioni f : R →C,periodiche di periodo 2π tali che la funzione t → |f(t)|p sia integrabile su [−π, π[ rispetto allaordinaria misura di Lebesgue. Se poniamo

‖f‖p =

[1

∫ π

−π

|f(t)|p dt]1/p

,

si ottiene uno spazio di Banach complesso. Nel caso particolare in cui p = 2, si ha che lo spazioL2(T) e uno spazio di Hilbert complesso con il prodotto scalare

(f, g)2 =1

∫ π

−π

f(t) g(t)dt .

Grazie alla invarianza per traslazione della misura di Lebesgue, Lp(T) puo essere equivalen-temente definito come la famiglia delle (classi di) funzioni definite su un assegnato intervallo dilunghezza 2π a valori in C (prolungate per periodicita di periodo 2π su tutto R) e che ancora sianodi p-esima potenza integrabile su tale intervallo rispetto alla ordinaria misura di Lebesgue. Ciocorrisponde al fatto che, per tali funzioni, ogni intervallo di lunghezza 2π puo essere consideratouna copia (equivalente) dell’intervallo [−π, π[.

In modo analogo indicheremo con C0(T) lo spazio delle funzioni f : R → C, continue eperiodiche di periodo 2π. Se poniamo

‖f‖0 = max|f(t)| , t ∈ [−π, π[ ,si ottiene uno spazio di Banach complesso.

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 91

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) Serie Trigonometriche

Grazie ancora alla invarianza per traslazione della misura di Lebesgue, se f ∈ Lp(T) (p ∈ R)e ϑ ∈ R, si ha che fϑ ∈ Lp(T), avendo posto fϑ(t) = f(t− ϑ).

Se f ∈ L1(T) si ha inoltre che:

∫ 2π

0

f(t) dt =

∫ ϑ+2π

ϑ

f(t) dt =

∫ 2π

0

f(t− ϑ) dt =

∫ 2π

0

fϑ(t)dt , ∀f ∈ Lp(T) , ∀ϑ ∈ R .

Non essendoci pericolo di ambiguita, nel seguito la notazione∫f(t) dt indichera l’integrale di una

assegnata f ∈ L1(T) esteso a un arbitrario intervallo di lunghezza 2π.Le idee sopra esposte ci permettono di rappresentare T come un insieme su cui la famiglia

delle funzioni qui introdotte sono definite. Si puo, ad esempio, scegliere come modello di T

l’intervallo [−π, π[ (o un qualunque intervallo di R di lunghezza 2π) oppure la circonferenzaunitaria di C. Ancora T puo essere pensato come la retta reale in cui abbiamo identificato puntiche differiscono per multipli di 2π. Si scegliera concretamente il modello da usare nei singoli casi,in base alla migliore comprensibilta dell’argomento da trattare.

Vale il seguente risultato:

3.1 Proposizione. Si ha che C0(T) ⊂ L2(T) ⊂ L1(T), tutte le immersioni essendo lineari econtinue. Si ha inoltre che

‖f‖2 ≤ ‖f‖0 , ∀f ∈ C0(T) . (3.1)

‖f‖1 ≤ ‖f‖2 , ∀f ∈ L2(T) . (3.2)

Dimostrazione: Se f ∈ C0(T) si ha che

‖f‖22 =1

∫ π

−π

|f(t)|2 dt ≤ 1

∫ π

−π

‖f‖20 dt ≤ ‖f‖20 < +∞

e dunque l’immersione C0(T) ⊂ L2(T) e la relazione (3.1) sono dimostrate.Se f ∈ L2(T) si ha che (dato che la funzione identicamente uguale a 1 appartiene a L2(T))

‖f‖1 =1

∫ π

−π

|f(t)| dt = 2π(|f |, 1)2 .

Siccome L2(T) e uno spazio di Hilbert, utilizzando ora la disuguaglianza di Schwartz si ricava che

2π(|f |, 1)2 ≤ 2π‖f‖2 ‖1‖2 = 2π‖f‖2 < +∞e dunque si ha che L2(T) ⊂ L1(T) e che vale la relazione (3.2).

E facile verificare che tutte le immersioni sono lineari. Le relazioni (3.1) e (3.2) ci diconoinoltre che tali immersioni sono continue (basta utilizzare la Proposizione 4.1 del cap. III)

Nel seguito utilizzeremo anche il seguente risultato (di cui saltiamo la dimostrazione)

3.2 Teorema. Lo spazio C0(T) e denso in L2(T).

b) Polinomi e Serie Trigomometriche

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 92

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A. Torelli: Complementi di Analisi Matematica di base (a.a. 2002/3) Serie Trigonometriche

La dimostrazione del seguente risultato e facile:

3.3 Proposizione. La famiglia di funzioni eikt con k ∈ Z e un sistema ortonormale nello spaziodi Hilbert L2(T).

Piu avanti dimostreremo che la famiglia delle eikt con k ∈ Z e un sistema ortonormalecompleto nello spazio di Hilbert L2(T). Per semplicita nel seguito si porra eikt = ek(t).

3.4 Definizione. Viene chiamato polinomio trigonometrico una espressione della forma:

p =

n∑

j=−n

ajej , aj ∈ C .

3.5 Definizione. Viene chiamata serie trigonometrica una espressione della forma:

S ∼∞∑

j=−∞

ajej , aj ∈ C . (3.3)

3.6 Definizione. Data f ∈ L2(T) i seguenti numeri:

f(j) = (f, ej)2 =1

∫f(t)e−j(t)dt , j ∈ Z , (3.4)

vengono chiamati coefficienti di Fourier di f . Inoltre la serie trigonometrica:

S[f ] ∼∞∑

j=−∞

f(j)ej , (3.5)

viene chiamata serie di Fourier di f . Una serie trigonometrica viene chiamata serie di Fourierse e la serie di Fourier di una funzione f ∈ L2(T).

3.7 Osservazione. Osserviamo che se f ∈ L2(T), gli integrali in (3.4) hanno senso in quanto|f(t)e−j(t)| = |f(t)| e una funzione integrabile su T (grazie alla Proposizione 3.1).

Il simbolo ∼ utilizzato nelle relazioni (3.3) e (3.5) non significa in alcun modo che la seriedi funzioni converga (in qualche senso) e tanto meno che converga alla funzione f nel caso dellarelazione (3.5). Dunque non e opportuno (in generale) sostituire il simbolo ∼ con =.

Per studiare meglio il problema della convergenza, introduciamo ora una precisa terminolo-gia:

3.8 Definizione. Data la successione aj ∈ C (j ∈ Z), si dice che la serie trigonometrica:

∞∑

j=−∞

ajej

converge (puntualmente, uniformente, quasi dappertutto,...) per n→∞ alla funzione f : T → C

se le sue somme parziali:

Sn =

n∑

j=−n

ajej

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 93

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convergono (puntualmente, uniformente, quasi dappertutto,...) alla funzione f .

3.9 Definizione. Data f ∈ L2(T) e un polinomio trigonometrico

p =n∑

j=−n

ajej , aj ∈ C , (3.6)

si consideri il nuovo polinomio trigonometrico

p ? f =

n∑

j=−n

aj f(j) ej .

Il polinomio trigonometrico p ? f viene chiamato prodotto di convoluzione di p e f .

3.10 Teorema. Data f ∈ L2(T) e un polinomio trigometrico p si ha che

(p ? f)(t) =1

∫f(s) p(t− s) ds =

1

∫f(t− s) p(s) ds .

Dimostrazione: Supponiamo che p abbia la rappresentazione (3.6). Si ha che

(p ? f)(t) =

n∑

j=−n

aj eijt 1

∫f(s) e−ijs ds =

n∑

j=−n

aj1

∫f(s) eij(t−s) ds ,

e dunque

(p ? f)(t) =1

∫f(s) p(t− s) ds .

Mediante la sostituzione τ = t− s si completa facilmente la dimostrazione dell’asserto.

c) Serie di coseni e seni

Utilizzeremo ora le note formule di Eulero:

eit = cos t+ i sen t , cos t =eit + e−it

2, sen t =

eit − e−it

2i. (3.7)

Una serie trigonomertrica (in forma esponenziale) S ∼∑∞j=−∞ aje

ijt puo essere (almeno formal-mente) riscritta nel seguente modo (come serie di coseni e seni):

S ∼∞∑

j=−∞

ajeijt ∼

∞∑

j=−∞

aj (cos jt+ i sen jt) ∼

∼ a0 +

∞∑

j=1

[(aj + a−j) cos jt+ i(aj − a−j) sen jt]

e dunque si ha (tale rappresentazione giustifica meglio la terminologia delle serie trigonometriche):

S ∼ A0

2+

∞∑

j=1

(Aj cos jt+ Bj sen jt) , (3.8)

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 94

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dove:

Aj = aj + a−j , Bj = i(aj − a−j) . (3.9)

Viceversa, se abbiamo una serie trigonometrica (come serie di coseni e seni) avente la rappresen-tazione (3.8), si puo recuperare la sua forma esponenziale ponendo:

aj =Aj − iBj

2, a−j =

Aj + iBj

2, ∀j ∈ N0 .

In particolare, se f ∈ L2(T), la sua serie di Fourier puo essere (almeno formalmente) riscritta nelseguente modo:

S[f ] ∼ A0

2+

∞∑

j=1

(Aj cos jt+ Bj sen jt) ,

dove:

Aj = f(j) + f(−j) , Bj = i(f(j)− f(−j)) .

Si puo anche facilmente dimostrare che:

Aj =1

π

∫f(t) cos jt dt , Bj =

1

π

∫f(t) sen jt dt ;

se f e a valori reali, si ricava dunque che i coefficienti Aj e Bj sono reali. Se f e pari (cioe sef(t) = f(−t), t ∈ [0, π]), allora si ha che Bj = 0 (∀j ∈ N0): tali serie sono ovviamente chiamateserie di coseni. Se invece f e dispari (cioe se f(t) = −f(−t), t ∈ [0, π]), allora si ha che Aj = 0(∀j ∈ N0): tali serie sono ovviamente chiamate serie di seni.

Si dimostra facilmente che la famiglia delle funzioni

1 , cos kt , sen kt (k ∈ N)

costituisce un sistema ortonormale di L2(T).

d) Il nucleo di Dirichlet

Prenderemo ora in considerazione alcune successioni di polinomi trigonometrici che si pre-sentano naturalmente nello studio delle serie di Fourier.

Viene chiamato nucleo di Dirichlet la seguente successione di polinomi trigonometrici:

Dn =n∑

j=−n

ej .

Ricordando la Definizione 3.9, si ha che dato f ∈ L2(T)

Dn ∗ f =

n∑

j=−n

ej

∗ f =

n∑

j=−n

f(j)ej ; (3.10)

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 95

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cioe Dn ∗ f coincide con la somma parziale n-esima della serie di Fourier di f nel senso dellaDefinizione 3.8.

e) Il nucleo di Fejer

Il nucleo di Dirichlet purtroppo non ha buone proprieta formali. Piu facile da trattare e ilcosiddetto nucleo di Fejer dato dalla seguente successione di funzioni:

Kn =D0 + · · ·+Dn

n+ 1.

Si ha allora che Kn e la media aritmetica di D0, . . . , Dn. Data f ∈ L2(T), si ha che σn(f) = Kn∗fe la media aritmetica delle corrispondenti somme parziali della serie di Fourier definite in (3.10),cioe si ha che

σn(f) =D0 ∗ f + . . .+Dn ∗ f

n+ 1.

Si dimostrano le seguenti ulteriori rappresentazioni di Kn(t):

3.11 Proposizione. Si ha che:

Kn(t) =

n∑

j=−n

(1− |j|

n+ 1

)eijt , t ∈ T , (3.11)

Kn(t) =

1n+1

sen 2((n+1)t/2

)sen 2(t/2)

, se t ∈ [−π, π]− 0,

n+ 1 , se t = 0.

(3.12)

Dimostrazione: Si ha infatti che:

Kn(t) =1

n+ 1

[0∑

k=0

eikt + . . .+n∑

k=−n

eikt

](3.13)

e dunque:

Kn(t) =(n+ 1)ei0t + ((n+ 1)− 1)(eit + e−it) + . . .+ ((n+ 1)− n)(eint + e−int)

n+ 1=

=ei0t +

n∑

k=1

(1− k

n+ 1

)(eikt + e−ikt) ,

(3.14)

da cui segue la rappresentazione (3.11) di Kn(t).

Osserviamo che:

sen 2(t/2) =1

2(1− cos t) =

1

2

(1− eit + e−it

2

)=

2− eit − e−it

4. (3.15)

Analogamente si ha che:

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sen 2

(n+ 1

2t

)=

2− ei(n+1)t − e−i(n+1)t

4. (3.16)

Calcoliamo i coefficienti aj del seguente polinomio trigonometrico:

Pn(t) =

n+1∑

j=−n−1

ajeijt = 4(n+ 1)Kn(t) sen 2(t/2) . (3.17)

Si ha che:

Pn(t) = (n+ 1)(2− eit − e−it)

n∑

j=−n

(1− |j|

n+ 1

)eijt =

= 2n∑

j=−n

(n+ 1− |j|)eijt −n∑

j=−n

(n+ 1− |j|)ei(j+1)t −n∑

j=−n

(n+ 1− |j|)ei(j−1)t =

= 2

n∑

j=−n

(n+ 1− |j|)eijt −n+1∑

j=−n+1

(n+ 1− |j − 1|)eijt −n−1∑

j=−n−1

(n+ 1− |j + 1|)eijt =

= An(t) + Bn(t) ,

dove:

An(t) =n∑

j=−n

[2(n+ 1− |j|)− (n+ 1− |j − 1|)− (n+ 1− |j + 1|)] eijt ,

Bn(t) =[(n+ 1− | − n− 1|)e−int − (n+ 1− |n+ 1− 1|)ei(n+1)t

]+

+[−(n+ 1− | − n− 1 + 1|)e−i(n+1)t + (n+ 1− |n+ 1|)eint

].

Osserviamo intanto che:

An(t) =

n∑

j=−n

[−2|j|+ |j − 1|+ |j + 1|] eijt

e dunque:

An(t) = 2 .

Eseguendo le opportune semplificazioni si ha inoltre:

Bn(t) = −ei(n+1)t − e−i(n+1)t .

Abbiamo cosı dimostrato la relazione:

4(n+ 1)Kn(t) sen 2(t/2) = 2− ei(n+1)t − e−i(n+1)t .

Ricordando la relazione (3.16), si ottiene subito la rappresentazione di Kn data dalla (3.12).

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 97

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Utilizzando il precedente risultato si ottiene il:

3.12 Teorema. Il nucleo di Fejer Kn verifica le proprieta seguenti:

Kn ∈ C∞(T) , Kn(t) ≥ 0 , t ∈ T , (3.18)

Kn(t) = Kn(−t) , t ∈ [−π, π] , (3.19)

1

∫ π

−π

Kn(t) dt = 1 , (3.20)

∀ϑ ∈]0, π[ si ha che: limn→∞

supKn(t) , t ∈]− π,−ϑ[∪]ϑ, π[ = 0 , (3.21)

Dimostrazione: Le relazioni (3.18)-(3.20) sono ovvia conseguenza delle (3.11) e (3.12).Fissiamo un numero ϑ ∈]0, π[: si ha allora che sen ϑ/2 ≤ sen t/2 (t ∈ [ϑ, π[). D’altra parte

si ha (ancora utilizzando la (3.12)):

0 ≤ Kn(t) ≤ 1

n+ 1

1

sen 2(ϑ/2)= cϑ

1

n+ 1, |t| ∈ [ϑ, π[ , (3.22)

dove cϑ = sen−2(ϑ/2). Anche la (3.21) e provata.

3.13 Osservazione. La relazione (3.21) significa che la successione Kn converge uniformementea 0 su ]− π,−ϑ[∪]ϑ, π[, comunque si sia scelto a priori il valore ϑ ∈]0, π[.

3.14 Teorema. Se f ∈ C0(T) allora Kn ? f → f in C0(T) (cioe uniformemente).

Dimostrazione: Ricordando le proprieta di Kn si ha:

(Kn ∗ f)(t)− f(t) =1

∫Kn(τ)f(t− τ)dτ − f(t) =

1

∫Kn(τ)

(f(t− τ)− f(t)

)dτ .

Dato che K(t) = K(−t) e mediante la sostituzione τ = −s, si ha:

1

∫ 0

−π

Kn(τ)f(t− τ)dτ =1

∫ π

0

Kn(s)f(t+ s)ds

e dunque:

(Kn ∗ f)(t)− f(t) =1

π

∫ π

0

Kn(τ)

[f(t+ τ) + f(t− τ)

2− f(t)

]dτ

da cui (per ogni ϑ ∈]0, π[):

|(Kn ∗ f)(t)− f(t)| ≤ In(ϑ) + Jn(ϑ) , (3.23)

dove:

In(ϑ) =1

π

∫ ϑ

0

Kn(τ)

∣∣∣∣f(t+ τ) + f(t− τ)

2− f(t)

∣∣∣∣ dτ ,

IV - SERIE DI FOURIER (23 - 1 - 2004) 98

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Jn(ϑ) =1

π

∫ π

ϑ

Kn(τ)

∣∣∣∣f(t+ τ) + f(t− τ)

2− f(t)

∣∣∣∣dτ .

Grazie alla uniforme continuita di f , dato ε > 0, si puo determinare ϑ ∈]0, π[ (indipendente dat) tale che:

|τ | ≤ ϑ =⇒∣∣∣∣f(t+ τ) + f(t− τ)

2− f(t)

∣∣∣∣ < ε (3.24)

e corrispondentemente (grazie alla (3.21)) si puo determinare n ∈ N (dipendente solo da ϑ) taleche, per ogni n ≥ n, si abbia:

|Kn(τ)| < ε , τ ∈ [ϑ, π] . (3.25)

Si ha allora che (grazie alle (3.20) e (3.24)), per ogni n ≥ n:

0 ≤ In(ϑ) ≤ ε1

π

∫ ϑ

0

Kn(τ)dτ ≤ 1

π

∫ π

0

Kn(τ) dτ = ε1

∫Kn(τ) dτ = ε

e (grazie alla (3.25)):

0 ≤ Jn(ϑ) ≤ ε1

∫ π

ϑ

|f(t+ τ)− f(t)|dτ + ε1

∫ π

ϑ

|f(t− τ)− f(t)|dτ ≤

≤ ε1

∫ π

0

|f(t+ τ)− f(t)|dτ + ε1

∫ π

0

|f(t− τ)− f(t)|dτ ;

mediante la sostituzione s = t+ τ e s = t− τ (rispettivamente), si ha:

0 ≤ Jn(ϑ) ≤ ε1

∫ t

t−π

|f(s)− f(t)|ds+ ε1

∫ t+π

t

|f(s)− f(t)|ds = ε1

∫|f(s)− f(t)|ds

e dunque (ricordando la Proposizione 3.1)

0 ≤ Jn(ϑ) ≤ ε

[1

∫|f(s)|dτ + |f(t)|

]≤ ε (‖f‖2 + ‖f‖0) .

Ricordando la relazione (3.23), si ha che (definitivamente rispetto a n ∈ N):

|(Kn ∗ f)(t)− f(t)| ≤ ε (1 + ‖f‖1 + ‖f‖0) ≤ ε (1 + ‖f‖2 + ‖f‖0) ,da cui l’asserto.

Conseguenza immediata del precedente Teorema e del fatto che Kn ∗ f e un polinomiotrigonometrico, e il seguente:

3.15 Corollario. La famiglia dei polinomi trigonometrici e densa in C0(T) rispetto alla metricadello spazio normato C0(T).

Possiamo ora provare il

3.16 Teorema. La famiglia di funzioni eikt con k ∈ Z e un sistema ortonormale completo nellospazio di Hilbert L2(T).

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Dimostrazione: Utilizzando la Proposizione 2.4, basta dimostrare che

L2(T) = span(ek , k ∈ Z)la chiusura essendo intesa nel senso dello spazio normato L2(T). Basta dunque dimostrare chedata f ∈ L2(T) e dato ε > 0, esiste un polinomio trigonometrico p in modo tale che ‖f −p‖2 < ε.

Grazie al Teorema di densita 3.2, esiste g ∈ C0(T) tale che ‖f − g‖2 < ε/2.Ricordando il Teorema 3.14, esiste un polinomio trigonometrico p in modo tale che ‖g−p‖0 <

ε/2. Siccome (grazie alla Proposizione 3.1) si ha che ‖h‖2 ≤ ‖h‖0 (∀h ∈ C0(T)). otteniamo

‖f − p‖2 ≤ ‖f − g‖2 + ‖g − p‖2 ≤ ‖f − g‖2 + ‖g − p‖0 < ε .

3.17 Osservazione. In modo completamente analogo si dimostra che la famiglia delle funzioni

1 , cos kt , sen kt (k ∈ N)

costituisce un sistema ortonormale completo di L2(T).

3.18 Osservazione. Grazie al fondamentale Teorema 3.16, si possono applicare tutti i risultatidella Teoria di Fischer e Riesz trattati nel primo paragrafo del presente capitolo. In particolaresi ha che ogni elemento f ∈ L2(T) puo essere espresso come la somma della sua serie di Fourier,cioe

f =

+∞∑

k=−∞

f(k) ek ,

la convergenza essendo intesa nel senso dello spazio di Hilbert L2(T).

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