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Fruizione pubblica dei litorali A cura di: Roberto Andrea Bobbio Franca Balletti, Silvia Soppa – Riprogettare le passeggiate a mare Relatori: Marina Caviglione – Riqualificazione e fruizione pubblica del litorale a Genova Massimo Clemente, Stefania Oppido – Luoghi sul mare: cultura marittima e identità urbana Vittoria Crisostomi – Arenile, così pubblico, così privato Elena De Capua – Ridare senso ai luoghi: le piazzette tematiche per ricostruire a Messina Roberto Gerundo, Isidoro Fasolino – Strategie per la fruizione pubblica di ambiti costieri alla scala vasta intermedia Barbara Lino – Il progetto per il Waterfront centrale di Palermo come motore di rigenerazione urbana Francesco Marocco, Marianna Simone – Qualità e fruizione degli spazi nelle nuove sistemazioni del litorale barese Giovanna Piga - Riqualificazione ambientale e sostenibile del fronte mare di Palau Mosè Ricci, Emanuele Sommariva – Il progetto PICity: Ponente Intelligent Coast Daniele Virgilio, Andrea Vergano – Forme dello spazio pubblico nel litorale urbano alla Spezia

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SESSIONE TEMATICA A5 FRUIZIONE

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Fruizione pubblica dei litorali

A cura di: Roberto Andrea Bobbio

Franca Balletti, Silvia Soppa – Riprogettare le passeggiate a mare Relatori:

Marina Caviglione – Riqualificazione e fruizione pubblica del litorale a Genova Massimo Clemente, Stefania Oppido – Luoghi sul mare: cultura marittima e identità urbana Vittoria Crisostomi – Arenile, così pubblico, così privato Elena De Capua – Ridare senso ai luoghi: le piazzette tematiche per ricostruire a Messina Roberto Gerundo, Isidoro Fasolino – Strategie per la fruizione pubblica di ambiti costieri alla scala vasta intermedia Barbara Lino – Il progetto per il Waterfront centrale di Palermo come motore di rigenerazione urbana Francesco Marocco, Marianna Simone – Qualità e fruizione degli spazi nelle nuove sistemazioni del litorale barese Giovanna Piga - Riqualificazione ambientale e sostenibile del fronte mare di Palau Mosè Ricci, Emanuele Sommariva – Il progetto PICity: Ponente Intelligent Coast Daniele Virgilio, Andrea Vergano – Forme dello spazio pubblico nel litorale urbano alla Spezia

Fruizione dei litorali e qualità degli spazi

pubblici sul mare

Relazione del coordinatore della sessione tematica

Roberto Bobbio

La costa è il più grande degli spazi pubblici: una

cintura virtuale che contorna l’Italia per 8.000 km e

lambisce molte aree metropolitane, nelle quali svolge

un ruolo fondamentale: ospita servizi di ogni genere, e

in particolare installazioni per il tempo libero e lo sport

– complessivamente scarse nelle nostre città; offre la

possibilità di godere della natura in contesti urbani

densi e circondati da ambienti spesso impoveriti e

degradati.

Sino all’età moderna la costa è stata soprattutto un

confine scarsamente difendibile: in vasti territori

periferici, la scarsa accessibilità delle coste rocciose e

l’impaludamento di quelle pianeggianti, che

ostacolavano la formazione di insediamenti,

costituivano protezioni naturali che era prudente

mantenere. A margine o nelle immediate vicinanze

delle città la costa era invece soggetta a molteplici usi:

quelli, ovviamente, che riguardavano l’esercizio della

pesca, la costruzione delle imbarcazioni e il

commercio, ma anche piccole produzioni, attività

estrattive o pastorali (come, ad esempio, la sosta delle

greggi durante lo svernamento). Si trattava spesso di

usi abituali ma non permanenti, che determinavano

occupazioni temporanee o stagionali.

Con la modernità la costa è diventata uno spazio

strategico: lo Stato ne ha rivendicato il controllo non

solo perché tenuto a difendere i propri cittadini e a

stabilire la propria autorità sul territorio assai più

rigorosamente degli antichi regimi, ma anche perché la

rivoluzione dei sistemi di produzione e dei commerci

stavano facendo aumentare enormemente la

dimensione, il numero e l’importanza degli impianti

stabili collocati in fregio alla costa: mentre gli scali

marittimi si trasformavano in bacini artificiali sempre

più estesi, grandi impianti produttivi, siderurgici e

chimici in primo luogo, si andavano collocando

laddove più facilmente e a costi inferiori potevano

giungere e ripartire ingenti quantità di materie prime e

di prodotti finiti. Questo sviluppo di occupazioni stabili

ha portato a escludere usi promiscui e temporanei e a

suddividere i litorali urbani in zone funzionalmente

specializzate, accessibili solo agli operatori.

Infrastrutture portuali, fabbriche, aree doganali

recintate iniziarono a formare una barriera spessa e

impenetrabile tra la città e il mare, precludendo ai

cittadini la libera fruizione del litorale. Nella memoria

collettiva di molte città, la distruzione delle spiagge

continua a significare non solo perdita di un orizzonte e

di bellezza, ma sottrazione di aree pubbliche che

rivestivano valenza sociale, come luoghi di incontro e

di attività collettive, e individuale, come spazio di

libertà. Sono rari i casi in cui a questa sottrazione sono

state trovate compensazioni che non siano quella della

costruzione, in qualche porzione di costa, delle

passeggiate a mare, cui quasi sempre però corrisponde

l’assegnazione del litorale a concessionari che ne

organizzano l’accesso controllato e la fruizione a

pagamento.

D’altro canto, fuori dalle aree urbane o comunque nelle

aree costiere rimaste sgombre da impianti strategici, la

tutela dello Stato non è servita a garantire la fruizione

pubblica del litorale, a volte neppure a consentirne

l’accesso libero. In quanto bene demaniale scarsamente

vigilato, la costa è stata molto spesso considerate alla

stregua di res nullius: grandi porzioni (in genere quelle

di maggior valore paesaggistico e ambientale) ne sono

state saccheggiate, asservite alle limitrofe proprietà

private o esse stesse occupate da edifici e installazioni

(non sempre) abusive.

Negli ultimi decenni, sebbene l’aggressione e la

devastazione non siano affatto cessate, è grandemente

aumentata l’attenzione alla tutela delle coste,

considerate un ambiente ecologicamente sensibile e di

peculiare valore paesaggistico; non si è sviluppata nella

stessa misura l’attenzione a garantire l’accessibilità e

favorire la fruizione pubblica del litorale.

Nelle città o nelle loro immediate vicinanze le coste

sono soggette a trasformazioni che aprono la strada

all’inserimento di nuove funzioni (ricreative, sportive,

commerciali, residenziali) e che acquistano

un’eccezionale rilevanza ai fini della riqualificazione

dei contesti urbane, specie se densamente abitati e

poveri di servizi, e anche perché spesso la fascia

litoranea costituisce l’unica porzione consistente di

suolo di proprietà pubblica.

Ma le novità non vanno in una sola direzione: negli

attuali tempi di crisi - e di incerto senso dello Stato - la

demanialità della costa viene spesso interpretata come

opportunità di monetizzare un bene per il vantaggio

immediato di bilanci pubblici disastrati. Sicché non

solo l’uso esclusivo prolungato, ma la permanente

alterazione della costa potrebbe venir concessa in

cambio di denaro e (a ottobre 2011) si riaffaccia

l’ipotesi di un ennesimo condono edilizio che,

superando ogni vincolo, sancisca per sempre il diritto

all’occupazione privata di aree costiere trasformate

abusivamente.

Anche laddove l’attenzione verso la costa produce

progetti d’interesse pubblico e strumenti di governo del

territorio dedicati, la riqualificazione della costa

sembra per lo più leggersi in termini di ulteriore

artificializzazione, specializzazione, uso regolamentato.

Sulla base di tali premesse, mi è sembrato opportuno

proporre, nel contesto della 1a Biennale dello spazio

pubblico, il tema della costa come area pubblica di

particolare rilevanza e dotata di caratteri speciali.

Ai partecipanti alla sessione Fruizione dei litorali e

qualità degli spazi pubblici sul mare è stato proposto di

considerare sia i litorali “artificiali”, modellati da

banchine e moli (ma non adibiti a usi trasportistici o

produttivi che escludano la possibilità di renderli

accessibili al pubblico), sia i litorali che possiamo

considerare “naturali” (anche se non lo sono, in quanto

risultato di interventi manutentivi o ricostruttivi), ossia

quei tratti di costa che presentano una prevalente

connotazione di spiaggia o scogliera. Questi luoghi,

generalmente di notevole qualità ambientale e

paesaggistica e fortemente caratterizzati sul piano

architettonico e formale, costituiscono una quota

notevolissima delle aree pubbliche in un Paese

peninsulare e insulare.

Negli ultimi decenni, in Italia come pressoché ovunque

nel Mediterraneo e nel mondo, l’urbanizzazione delle

coste è andata intensificandosi e le infrastrutture

portuali si sono ingigantite; contemporaneamente però

(almeno nei Paesi ad economia avanzata), con il

declino dell’industria pesante e l’obsolescenza dei

vecchi porti, porzioni crescenti di litorale “costruito” si

sono rese disponibili per nuovi utilizzi. Inoltre in tutte

le aree urbanizzate costiere permangono fasce litoranee

libere da infrastrutture o impianti che pongono

l’elemento naturale alla portata di quote notevoli della

popolazione. Per molte città costiere, questa è la

maggiore, se non l’unica occasione di sviluppare un

ambizioso progetto pubblico di riqualificazione

complessiva.

Nel trattare di questi di luoghi particolari, si sono

invitati i relatori a dare specifico rilievo ad alcune

questioni. La prima concerne il diritto dei cittadini alla

libera fruizione del litorale in quanto bene pubblico: un

diritto primario che non è mai messo in discussione in

linea di principio ma che nei fatti raramente è garantito

e, per lunghi tratti delle nostre coste, è impedito dagli

ostacoli frapposti dai proprietari dei suoli retrocostieri,

del frequente prevalere di usi privati concessi in

cambio di vantaggi pubblici modesti o, semplicemente,

dalla mancata sistemazione di accessi al mare. Una

seconda questione concerne il tipo, la qualità e le

prerogative del progetto in ambienti che presentano

problematiche specifiche, derivanti dalla prevalenza

dell’elemento naturale anche in aree densamente

urbanizzate, dalle particolari condizioni

microclimatiche, dalla frequente presenza di manufatti

singolari e di testimonianze rilevanti di architettura e

cultura materiale.

La pianificazione e la progettazione di ambiti così

delicati e complessi implica una terza questione: quella

della gestione dei conflitti in un contesto fortemente

attrattivo per un vasto pubblico e caratterizzato da

elevati valori, d’uso e immobiliari, e, quindi, dello

sviluppo di forme di governance atte ad assumere

scelte condivise.

I casi illustrati e discussi hanno evidenziato diverse

declinazioni delle questioni poste e fornito una

rassegna variegata delle occasioni di progetto, alle

diverse scale, che oggi si presentano lungo i nostri

litorali; ne è risultato uno spaccato significativo della

situazione attuale, dal quale emergono alcuni temi

prevalenti, che cercherò qui di sintetizzare anche

ricorrendo a parole chiave.

Percorribilità. La fruizione della costa è anzitutto

possibilità di percorrerla liberamente, godendo del

panorama del mare. Il rifacimento delle passeggiate

“storiche” (Balletti, Soppa) chiama in causa problemi

manutentivi ma anche questioni che riguardano la

gestione del patrimonio e il delicato rapporto con le

progettualità del passato. Oggi infatti la realizzazione

di nuovi percorsi (Piga) si richiama a principi e logiche

che si diversificano notevolmente da quelli seguiti fino

a pochi decenni fa: l’imperativo è produrre minori

impatti ricercando un maggior grado di naturalità. Si

tratta comunque di esperienze innovative nel quadro di

un settore della progettazione (ambientale e

paesaggistica) che trova nel nostro Paese scarsa pratica

anche in presenza di cospicua letteratura.

Accessibilità e fruizione. I fronti marittimi delle città

sono luogo privilegiato per lo sport, il relax e per molte

attività sociali; è quindi essenziale garantirne

l’accessibilità e organizzarne la fruizione (Marocco e

Simone, Caviglione, De Capua). La necessità di

consentire e promuovere il loro uso da parte di un vasto

pubblico porta a sperimentare processi innovativi di

partecipazione e di governance; mentre le loro

particolarità invitano a riflettere sul senso e gli

obbiettivi di una progettazione che richiede attenzioni e

sensibilità specifiche (Clemente, Oppido). La gestione

delle spiagge (Crisostomi) rappresenta un tema di

particolare rilevanza, nel quale sono chiamati in causa

principi fondamentali di equità e di gestione della cosa

pubblica.

Riuso della aree portuali. Il recupero delle aree portuali

dismesse vanta in Italia una progettualità ricchissima e

di lunga data, ma poche realizzazioni interessanti

(Genova resta l’unico caso davvero rilevante e in grado

di richiamare attenzione anche dall’estero); tuttavia

alcuni processi recentemente avviati o rilanciati (Lino,

Virgilio e Vergano) determinano attese di interessanti

sviluppi operativi.

Progetti integrati di litorali urbani. In una fase di scarsa

intraprendenza dell’attore pubblico, la riqualificazione

dei litorali urbani (Marocco e Simone, Caviglione,

Fasolino e Gerundo) costituisce una delle poche

occasioni per riprendere l’iniziativa del disegno degli

spazi collettivi e per sviluppare progetti integrati a

valenza urbana.

Il progetto d’area vasta costiera. Il valore ambientale e

la rilevanza strategica della costa richiedono uno

sguardo comprensivo che stimola a sviluppare

strumenti di pianificazione e progetti alla scala

territoriale (Ricci e Sommariva, Fasolino e Gerundo).

Dai casi discussi è emerso che la frammentazione degli

usi e delle iniziative richiederebbe un più puntuale

inquadramento degli interventi entro un quadro

unitario, con una regia consapevole che si dia finalità

precise.

A conclusione della sessione di lavoro, si è convenuto

sul fatto che gli strumenti tecnici e concettuali per

sviluppare la riprogettazione in chiave pubblica dei

litorali esistono e possono essere resi operativi a

condizione che (oltre ad esistere un’effettiva volontà

politica) il regime della concessioni demaniali sia tale

da consentire agli enti locali di sviluppare le opportune

strategie di gestione, sulla base del principio che

l’accesso al mare e la fruizione libera del litorale sono

diritti fondamentali dei cittadini e che, come tali,

vanno riconosciuti e salvaguardati.

Ma per conseguire i risultati attesi occorre uscire dalla

logica che fa dipendere la riprogettazione della costa

all’incremento degli usi riservati e delle occupazioni

private. Per fare l’esempio più diffuso, quella logica

che interpreta come riqualificazione la costruzione di

nuove infrastrutture per la nautica, che alterano le

dinamiche delle spiagge e il profilo della costa, ne

interrompono la percorribilità, riservano ampi specchi

acquei alla sosta delle imbarcazioni e vengono

finanziate tramite la parallela costruzione di seconde

case che sfruttano a proprio vantaggio la rendita di

posizione e riducono il valore paesaggistico

complessivo.

Occorre riutilizzare l’esistente e togliere, piuttosto che

aggiungere, volumi, recinzioni, zone specializzate e

monofunzionali. Occorrono meno progetti di nuovi

insediamenti e più idee circa le possibilità di rendere

fruibili le coste senza metterne a repentaglio il valore e

circa le nuove forme che ne possono derivare; spazi

meno definiti e più elastici, adeguati ad un ambiente in

continua evoluzione come il margine terra-acqua;

nuovi regimi d’uso che permettano appropriazioni

temporanee e modifiche reversibili, formate in base alla

domanda di fruizione del pubblico piuttosto che

progettate per soddisfare i consumi di potenziali utenti.

Immagini del Porto Antico di Genova recuperato come

spazio pubblico e per usi misti.

Riprogettare le passeggiate a mare

FRANCA BALLETTI, SILVIA SOPPA

Le aree costiere sono da sempre uno dei temi più

complessi della pianificazione territoriale ligure, per le

pressioni insediative – di diversa natura: residenziale,

turistica, produttiva, infrastrutturale – che si sono

concentrate in questi territori “strategici”. Solo in

questi ultimi decenni, nei quali i problemi paesaggistici

ed ambientali che le affliggono sono aumentati

parallelamente allo sviluppo delle attività antropiche, si

sta dedicando attenzione verso politiche e progettualità

volte alla riqualificazione del litorale.

In particolare due strumenti di pianificazione

territoriale della Regione Liguria (Ptr e Ptc della Costa)

hanno messo in evidenza l’intenzione di dar avvio a

numerose progettualità legate alla rivalorizzazione

della fascia costiera. Da questi strumenti emerge la

necessità di affrontare in modo organico e a scala vasta

il tema del rilancio del turismo costiero, inquadrando

l’argomento nelle differenti dinamiche che

caratterizzano l’arco ligure, e di proporre nuove

politiche relative alla fruizione del litorale, indirizzate

alla conservazione e valorizzazione delle risorse

naturali, storiche ed antropiche dei territori.

Questa rinnovata attenzione è un segnale di un diverso

approccio al tema del turismo e del loisir, in risposta ad

esigenze di maggiore qualità anche in relazione alla

dimensione globale della competizione tra le località

turistiche.

Sono diventate, così, oggetto di nuova attenzione

progettuale tematiche quali: la realizzazione di percorsi

ciclabili lungo il litorale o di collegamento tra il litorale

e le aree interne; il recupero di spazi marginali (slarghi,

aree interstiziali tra gli edifici) attraverso la loro

pedonalizzazione o la mitigazione delle interferenze

stradali; la realizzazione di sistemi del verde urbano;

l’apertura degli accessi a mare a garanzia

dell’accessibilità pubblica.

Un tema importante che sta caratterizzando l’azione

progettuale sulla costa ligure è quello relativo alla

realizzazione o all’ammodernamento delle sistemazioni

urbane lungo il fronte mare, in particolare delle

passeggiate esistenti1.

Diversi sono gli obiettivi perseguiti dalla ri-

progettazione del fronte mare: da quello della

valorizzazione dell’immagine della città in relazione

soprattutto alla riscoperta della sua identità storica; a

quello di proporre la passeggiata come elemento

unificante del tessuto urbano attraverso la

predisposizione di un disegno organico della fascia

costiera; a quello della realizzazione di un nuovo

assetto urbano che ricerchi soluzioni volte a migliorare

la fruizione legata al turismo e al loisir spesso

ostacolata da usi promiscui del litorale e da

interferenze stradali.

Un forte impulso a questo tipo di interventi è stato

dato dal progetto per il riuso della linea ferroviaria

dismessa del ponente ligure tra San Lorenzo al Mare e

Ospedaletti, elemento portante del Prusst promosso

dalla Regione Liguria (1999), che ha portato alla

realizzazione di una pista ciclabile che si sviluppa

lungo la costa per 24 chilometri. La finalità è stata

quella di dare vita ad un vero e proprio parco litoraneo,

accompagnando la realizzazione della pista ciclabile

con la progettazione di nuovi percorsi pedonali,

giardini, parcheggi, strutture per la ricettività, queste

ultime attraverso il recupero di edifici ferroviari, oltre

che predisponendo azioni di protezione e di

ripascimento delle spiagge.

Foto 1 – Il parco costiero del ponente – gli esiti del

Prusst

Questo primo tema di riqualificazione progettuale ha

avuto altri esempi sul territorio ligure che hanno

coinvolto ulteriori tratti di ferrovie dismesse,

proponendone il riutilizzo soprattutto come piste

ciclabili e reinterpretando quindi l’originaria funzione

di collegamento trasversale della ferrovia attraverso lo

sviluppo di forme di “mobilità dolce”. Esperienze

1 Il presente contributo riporta alcuni esiti della Ricerca di

Dottorato condotta da Silvia Soppa sul tema “Il paesaggio

costiero di Bergeggi, Spotorno, Noli e le trasformazioni

provocate da turismo. Proposte di riqualificazione e

valorizzazione per un paesaggio sostenibile”, Tutor Prof.

Annalisa Calcagno Maniglio – Facoltà di Architettura –

Università degli Studi di Genova.

In Liguria vi sono segnali di un diverso approccio ai

temi del turismo, in risposta ad esigenze di

maggiore qualità che la dimensione globale della

competizione tra le località turistiche comporta,

richiedendo di andare oltre la mera riqualificazione

fisica dello spazio, ma di impostare nuove forme di

fruizione sociale del territorio.

I casi riportati nel presente contributo sono

rappresentativi solo di alcuni dei molteplici stimoli

che si stanno affermando riguardo alla

sensibilizzazione sui temi del paesaggio costiero e

nei quali rientrano a pieno titolo le passeggiate a

mare e i cambiamenti d’uso che le stanno

caratterizzando; per tutti gli esempi vale il principio

della necessità di impostare una “conoscenza

profonda” dei luoghi per dare vita a forme di

progettualità efficaci e rispondenti al mutare dei

tempi e dei modi di vita.

rilevanti sono il nuovo tratto di passeggiata a mare -

lungo 5 km - tra Cogoleto e Varazze, il cui interesse è

accentuato dal prolungamento del percorso fino ad

Arenzano e da qui verso Genova, realizzando la

connessione con le piste ciclabili previste per la città, e

la passeggiata a mare Levanto – Bonassola, che ha

impostato la trasformazione del fronte a mare

attraverso la riconversione dell’ex viadotto ferroviario,

utilizzando la struttura per nuovi spazi a parcheggio,

artigianali e commerciali e progettando l’integrazione

con il tessuto urbano attraverso una nuova passeggiata

e una pista ciclabile.

Foto 2 – Tratto della passeggiata a mare di Levanto

Queste azioni di riqualificazione si caratterizzano per la

complessità dell’operazione legata alla dismissione, al

passaggio di proprietà e all’acquisto del patrimonio

delle ferrovie, alla pluralità di soggetti pubblici

coinvolti, alla necessità di impegno di importanti

finanziamenti pubblici, all’estensione territoriale

oggetto delle riconversione.

Oltre a questo tipo di progettualità si possono

richiamare altri modelli di intervento, differenti per

tipologia ed estensione, volti alla riqualificazione e

valorizzazione dei fronti mare. Molto importante è

quello legato all’utilizzo delle infrastrutture portuali e

di difesa dei litorali come occasione per realizzare

nuovi spazi pubblici, pedonali o ciclabili. Si tratta di

progettualità che si confrontano con la necessità di

operare significative azioni di valorizzazione della

costa in ambiti che presentano forti criticità dovute ad

usi pregressi. L’esempio più noto in Liguria è la

passeggiata a mare di Prà, inserita nel Parco urbano

della fascia di rispetto di Genova-Prà (27.000 mq), di

fronte all’area portuale, ottenuto dalla popolazione

come risarcimento a fronte delle opere di ampliamento

del porto industriale. Inoltre, il recente progetto di

riorganizzazione e di riqualificazione della viabilità

urbana costiera esistente (P.O.R. Prà Marina), che

insiste sullo stesso tratto di costa e che verte sul

principio di concepire l’infrastruttura quale occasione

per la progettazione di un “parco lungo” per la

configurazione di un nuovo paesaggio urbano, rafforza

ulteriormente le azioni volte alla salvaguardia e alla

valorizzazione, anche sociale, dell’abitato di Prà. Altri esempi sono il Molo di Varatella a Borghetto

Santo Spirito – il maggiore della fascia litoranea della

cittadina – diventato una grande piazza che si sviluppa

perpendicolarmente alla passeggiata a mare; la Marina

di Loano con due lunghe passeggiate che si dipartono

dall’ingresso pedonale del porto, l’una realizzata sulla

sommità del muro paraonde, l’altra che si innesta e

prolunga la passeggiata a mare esistente; la passeggiata

a mare Lavagna-Cavi, nata con la realizzazione della

imponente massicciata posta a protezione della ferrovia

litoranea dalle violente mareggiate.

Foto 3 – Molo Varatella a Borghetto Santo Spirito

Numerosi, e con esiti qualitativi diversi, sono gli

interventi che hanno portato al rinnovamento delle

passeggiate esistenti della Liguria; tra i principali

progetti di riqualificazione si richiamano le passeggiate

di Chiavari e di Deiva Marina. Ambedue i progetti

sono volti a mutare il rapporto tra l’abitato e il suo

litorale, ridistribuendo gli spazi funzionali, potenziando

l’offerta di servizi per la fruizione pubblica, con

particolare attenzione ai parcheggi, e sviluppando una

continuità anche estetico-funzionale attraverso un

nuovo sistema di pavimentazioni, illuminazione, spazi

a verde, sedute.

L’obiettivo di questi interventi – il primo meglio

riuscito, il secondo di qualità minore – è quello di

valorizzare le caratteristiche locali del territorio, di

ammodernare l’appeal turistico, di razionalizzare l’uso

pedonale e veicolare del fronte mare, di introdurre

nuove forme di fruizione del litorale.

I lungomare sono oggetto anche di progettazione ex

novo, come il litorale di Bergeggi, che recuperando

spazio alla viabilità stradale dell’Aurelia realizza una

continuità di fruizione lungo il litorale prima assente,

oppure la nuova passeggiata a mare della Stazione

Marittima e la passeggiata della Lanterna, a Genova;

progetti che cercano di rompere l’isolamento di parti

simbolo della città, offrendo la possibilità di godere di

punti di vista alternativi sul porto commerciale e

industriale. Tra i risultati conseguiti va evidenziata

l’estensione dell’accessibilità pubblica al fronte mare;

il recupero di spazi interstiziali tra l’edificato urbano;

la pedonalizzazione di aree limitando le

sovrapposizioni con il sistema della viabilità veicolare.

Foto 4 – Veduta dall’alto della nuova passeggiata a

mare di Bergeggi

Infine, un’altra tipologia di progettualità riguarda

l’attuazione di interventi di dimensione minore, ma di

forte portata in termini di riqualificazione e di grande

apertura alla fruizione, quale quello del percorso

pedonale pensile realizzato nella zona di accesso

all’area parco di Portofino, lungo la litoranea che da

Santa Margherita Ligure conduce fino a Paraggi,

oppure il percorso costiero di Zoagli con il recupero di

un’ampia piazza sul mare che diviene snodo di

collegamento tra il levante e il ponente del litorale.

Il senso di questi progetti è quello di rinunciare a

programmi “straordinari” a favore di un’ordinaria

gestione del territorio, dove la cura si traduce in

progettualità, i progetti in realizzazioni, la

realizzazione in manutenzione.

Foto 5 – Il percorso costiero tra Santa Margherita

Ligure e Paraggi

In conclusione, si può affermare che le peculiarità

locali diventano risorsa turistica, volano di un nuovo

modello di sviluppo fondato sulla capacità di

progettare forme condivise di rigenerazione delle

risorse locali. Il ridisegno delle passeggiate a mare

mette in evidenza l’importanza di non proporre solo

progetti alla scala del singolo comune, ma di produrre

“reti territoriali e di comunicazione” attorno al

patrimonio culturale (inteso in senso lato, come forme

economiche, stili di vita, stratificazione della storia,

natura, …), per creare le condizioni utili a costruire

uno scenario futuro di evoluzione “virtuosa” del

territorio e della società.

In questo senso, con molto ritardo, si dà concretezza

alle direttive internazionali in tema di turismo, in

particolare alla Carta di Lanzarote, del 1995, che

sottolinea proprio la necessità nella formulazione delle

strategie turistiche di valutarne gli effetti sul

patrimonio storico, culturale e ambientale e di

rispettare e sostenere l’identità, la cultura e gli interessi

delle comunità locali.

PRIMA BIENNALE DELLO SPAZIO PUBBLICO INU, Roma, 12-14 maggio 2011 Sessione tematica: Fruizione dei litorali e qualità degli spazi pubblici sul mare

Riqualificazione e fruizione pubblica del litorale a Genova:

il parco litoraneo della città

Marina D’Onofrio Caviglione La riqualificazione del litorale di Genova ha preso avvio nei primi anni ’90 con la

riconquista del rapporto tra il Centro Storico e il Porto Antico. All’esterno del fulcro centrale

produttivo, costituito dalla macchina portuale, le aree costiere si presentano in un quadro

estremamente composito: ambiti naturali di particolare valore paesaggistico e di grande

interesse ambientale, nuclei storici minori intercalati da zone storicamente sfruttate per la

cantieristica minore, appartenenti oggi alla categoria delle aree produttive dismesse.

Alla varietà dei luoghi e dei caratteri morfologici profondamente diversi, si affianca una

costante comune costituita dal profondo senso di appartenenza dei cittadini ai luoghi

costieri. Riconoscere come patrimonio collettivo il mare, la battigia, le scogliere, le piccole

baie e anche le insenature più nascoste, ha fatto emergere la richiesta da parte degli

abitanti non solo di azioni volte alla protezione del valore dei luoghi costieri, ma soprattutto

l’aspirazione alla valorizzazione della costa in quanto luogo identitario riconosciuto come

vasto parco litoraneo.

La costa cittadina che si estende a levante e a ponente del porto, è caratterizzata dal

succedersi di piccole o ampie baie con spiagge, separate da piccoli o grandi promontori a

scogliera. Questo susseguirsi di spiagge di ciottoli grigi e di scogliere di forme e colori

variati, connota ed identifica la costa genovese.

Il litorale, un tempo sfruttato unicamente da pescatori, piccoli cantieri di riparazione delle

imbarcazioni, ha iniziato ad essere utilizzato anche per i “bagni di mare” solo a partire da

fine Ottocento, con modeste attrezzature stagionali in legno, che venivano smontate dopo

la stagione estiva. Attraverso una graduale trasformazione, è oggi diventato luogo per

funzioni essenzialmente balneari e per il tempo libero. Negli ultimi decenni, in particolare, il

litorale ha subito gli effetti di due fenomeni contrapposti:

- la trasformazione delle attività da solo balneari stagionali a stabili per il tempo libero,

fruibili durante tutto l’anno;

- la riduzione delle spiagge per naturale erosione marina.

La trasformazione, episodica e disorganica, ha pesantemente compromesso la fruibilità

pubblica di un bene riconosciuto come quello costituito dal litorale cittadino, sia nella sua

diretta agibilità (accessibilità e percorribilità pubblica delle spiagge), sia nella sua presenza

nelle visuali panoramiche che qualificano Genova quale “città di mare” (perdita dell’identità

nelle visuali panoramiche).

È emersa pertanto la necessità del mantenimento del valore paesaggistico della costa che

può essere perseguito non tanto con un’azione vincolante, bensì innescando processi volti

alla riqualificazione paesaggistica dei luoghi.

L’obiettivo principale è giungere a riqualificare l’area costiera che ha un’estensione di circa

20 chilometri, in base a previsioni possibili di sviluppo sostenibile e, al tempo stesso,

valorizzare le opportunità che gli interventi possono offrire alla città, verso un nuovo

modello di sviluppo del parco litoraneo urbano, riconoscendo il suo valore fondamentale in

quanto luogo di aggregazione per tutte le fasce di età. L’approccio pianificatorio e

l’attenzione primaria alla qualità progettuale degli interventi si fondano quindi sul concetto

di valorizzazione del paesaggio costiero dove ogni singolo arco diviene l’unità di misura

con la quale rapportarsi per la definizione della disciplina degli interventi.

Le proposte di riqualificazione del nuovo fronte mare dovranno tendere ad aprire la città al

mare attraverso la demolizione della barriera visiva costituita dagli esistenti volumi, la

creazione di nuovi spazi a fruizione pubblica, la realizzazione di nuovi accessi pubblici alla

battigia e di collegamento tra le contigue spiagge. Inoltre, sarà necessario prevedere una

maggiore fruizione della costa lungo l’intero arco dell’anno attraverso l’inserimento di un

mix funzionale che integri le funzioni esistenti (strutture balneari, pubblici esercizi, negozi),

cercando di eliminare rendite di posizione e offrire nuovi spazi al turismo.

Si è quindi provveduto ad elaborare gli indirizzi pianificatori per la riqualificazione del parco

litoraneo, in modo tale da definire la disciplina di riqualificazione specifica per ogni arco

costiero che stabilisce su quali tratti e in che modo sia possibile ed opportuno intervenire

con opere di riordino o d’innovazione.

Per ogni arco viene predisposto il livello di approfondimento puntuale che risulta costituito

dai seguenti contenuti:

- vengono definiti gli elementi che rendono riconoscibile il tratto di litorale in quanto

testimonianza di una permanenza nel tempo degli elementi rimasti invariati e quindi

ancora chiaramente percepibili;

- viene definito il grado di valore paesaggistico, costituito dalla sommatoria dei seguenti

fattori: visibilità dei luoghi, presenza di elementi naturali, materiali, e di verde di pregio,

panoramicità delle visuali, presenza di emergenze esteticamente rilevanti e di tracce

storico-artistiche;

- vengono definiti i contenuti essenziali dell’assetto futuro dei luoghi, anche in riferimento

alla situazione patrimoniale e demaniale.

Lo scopo è quello di ricreare un profondo rapporto tra città e mare, verso un nuovo

modello di sviluppo urbano realisticamente sostenibile, secondo nuove strategie

ambientali tese ad attenuare l’impatto dell’agglomerato esistente riciclando, ove possibile,

gran parte dei materiali smantellati e impiegando materiali naturali o eco compatibili,

improntati alla riduzione delle emissioni inquinanti e orientati al contenimento dei

fabbisogni energetici, attraverso diversi dispositivi.

Gli indirizzi pianificatori per la riqualificazione del parco litoraneo possono essere

sintetizzati secondo i principi di seguito riportati:

1. Spiaggia urbana

Estensione di spazi urbani sul mare: recupero delle coperture dei depuratori e di parcheggi

come spazi flessibili di belvedere idonei ad accogliere anche eventi;

2. Avvicinamento della città al mare

Creazione di nuovi spazi pubblici tra la quota della città e il mare, mediante nuovi percorsi

paralleli alla costa caratterizzati da successivi traguardi visivi sul paesaggio;

3. Giardino lineare

Le coperture dei nuovi interventi saranno modellate per diventare un giardino lineare

continuo tra città e mare, costituito da percorsi pedonali e nuovi spazi verdi;

4. Discesa al mare

Gli interventi di nuova realizzazione dovranno garantire percorsi perpendicolari alla linea di

costa, di accesso alla battigia, con carattere di belvedere sul paesaggio;

5. Percorribilità della battigia

Gli accessi pubblici dovranno essere collegati tra loro per garantire la libera percorribilità

della battigia, realizzando nel complesso un sistema continuo della fruizione pubblica della

costa;

6. Valorizzazione dei percorsi esistenti di accesso al mare

Caso per caso si valuterà la riqualificazione dei percorsi di accesso al mare, attraverso

interventi mirati alla valorizzazione del paesaggio e della fruizione pubblica;

7. Visuali libere

Gli interventi di riqualificazione dovranno valorizzare le visuali verso mare, eventualmente

anche attraverso la demolizione degli elementi esistenti;

8. Eliminazione delle barriere fisiche

Dovranno essere evitati recinti o barriere fisiche emergenti, ricorrendo invece all’uso di

dispositivi vegetali che sfruttino o accentuino i dislivelli naturali;

9. Mix funzionale

Gli interventi dovranno prevedere una maggiore fruizione del lungomare durante l’intero

arco dell’anno e della settimana, attraverso un sostenibile mix funzionale che integri e

riorganizzi le funzioni esistenti

10 Qualità architettonica e materiali

Gli interventi dovranno prevedere il recupero dell’uso di tecniche utilizzate per le strutture

balneari quali il legno, la tela ecc…anche in sostituzione di elementi cementizi e

prefabbricati estranei ai caratteri della costa ligure. La progettazione dovrà consentire

interventi di qualità architettonica e verranno premiate le iniziative che coinvolgeranno

l’opera di associazioni e volontari già attivi sul territorio.

LUOGHI SUL MARE: CULTURA MARITTIMA E IDENTITÀ URBANA Il contributo proposto nasce nell’ambito delle attività della Commessa “Strategie urbanistiche per la città contemporanea: multiculturalismo, identità, recupero e valorizzazione” (responsabile scientifico arch. Massimo Clemente) del CNR-IRAT, in relazione alla tematica di ricerca riguardante le città di mare come luogo storicamente multi-culturale e multi-connesso. L’idea, la suggestione alla base della ricerca è l’osservazione della città di mare “dal” mare, ovvero attraverso il filtro della cultura marittima, delle navi, della navigazione, della marineria. Nella storia, le rotte marittime hanno collegato le città portuali di tutto il mondo, favorendo il confronto-scontro tra popoli e culture diverse. Ciò ha reso le città di mare il luogo d’incontro di uomini, scenario di storie di vita e di popoli diversi, espresse e trasmesse nella matericità e nella configurazione di architetture e spazi urbani e nella ricchezza della multiculturalità che caratterizza le aree costiere. La storia dell’uomo sul mare, allora, può essere letta come storia delle relazioni tra culture marittime che entrano in contatto attraverso la rete dei traffici sul mare. Per questo motivo, le imbarcazioni assumono la

valenza di elementi di mediazione tra la terraferma e l’acqua, tra la città e il mare, e le rotte rappresentano il ponte tra popoli che vivono su coste lontane. In questa ottica, architetture e luoghi urbani nelle città costiere appaiono come espressione della memoria collettiva di un’unica grande comunità del mare e, allo stesso tempo, materializzazione delle specifiche identità locali e delle diverse culture urbane. La cultura marittima è, infatti, un patrimonio comune, il substrato – storico, culturale, economico…. – che unisce le comunità di mare e che si riflette nella città, nelle forme e nelle funzioni, il fattore unificante nello spazio e nel tempo, nelle diverse regioni del mondo. L’arte della navigazione, nel corso dei secoli, ha influito e interagito con l’arte di costruire le città, attraverso il dialogo tra cultura marittima e cultura urbana. Le città d’acqua, infatti, sono l’espressione urbana di quelle comunità che hanno fondato la propria identità sul rapporto con il mare e la navigazione; le antiche architetture confermano questa ipotesi, come evidenzia l’analisi dei valori espressi e la decodificazione dei linguaggi adoperati dagli architetti del passato. La storia delle città ci ha trasmesso luoghi urbani che, attraverso il rapporto con l’acqua, esaltano le proprie valenze semantiche e, dal mare, acquistano la propria forza espressiva.

Fig. 1 - La darsena turistica e il Monumento alle scoperte a Belém (Lisbona).

Attraverso questa chiave interpretativa, gli spazi pubblici sul mare si configurano come luoghi proiettati verso l’orizzonte e verso porti lontani, aperti fisicamente e simbolicamente verso le altre culture, dotati di una ricchezza semantica e simbolica fonte di fascino e di suggestione per urbanisti e architetti. È possibile, in altre parole, partire dalla cultura marittima per approfondire le culture urbane che sono rappresentate nelle città di mare e, più in generale, nelle città d’acqua. L’analisi degli spazi urbani lungo le coste ne evidenzia la molteplicità di elementi primari che dialogano e interagiscono in questi luoghi: l’acqua, l’habitat marino e quello costiero, la linea di costa, le architetture ma anche le forme create attraverso la costruzione di navi e imbarcazioni. Questa diversa prospettiva, posta alla base della ricerca, costituisce un fertile campo di indagine per riflessioni e approfondimenti originali e innovativi delle città, delle architetture e dei luoghi urbani sul mare, aprendo opportunità di sviluppo nell’ambito della pianificazione urbanistica e della progettazione architettonica. Osservazioni e riflessioni, valide per le città d’acqua del passato, possono assumere una valenza propositiva se trasposte nelle contemporaneità, offrendo il background per realizzare architetture e luoghi urbani di grande qualità, ricercandone i caratteri identitari proprio nel rapporto con il mare. Nella città contemporanea, infatti, si pone con urgenza la necessità di affrontare questioni come la perdita d’identità dei luoghi urbani, l’omologazione dei linguaggi architettonici, la caduta semantica degli spazi urbani. A ciò si aggiunga che l’evoluzione delle navi, della navigazione e della portualità ha reso disponibili, nelle principali città-porto del mondo, grandi aree dismesse: la riconversione di tali aree è diventata tema ricorrente con il quale si sono confrontati politiche urbane e progettisti, dando luogo a buone e cattive pratiche. (Hoyle and Pinder, 1981) (Meyer, 1999) Esempi di successo dimostrano che il recupero e la valorizzazione del rapporto di una comunità con la propria cultura marittima possono contribuire, in maniera determinante, alla costruzione di percorsi innovativi di riqualificazione urbana. In questi casi, le città sembrano tornare ad affidare al mare la propria identità attraverso il confronto tra cultura urbana e cultura marittima, tra tradizione e innovazione. Il processo di rigenerazione urbana si dimostra efficace, infatti, quando il progetto è in grado di tessere relazioni con il tessuto urbano esistente, di interpretare le specificità locali, i caratteri consolidati e identitari del luogo, la cultura marittima locale.

Caso “storico” ed emblematico è quello di Baltimora, esperienza di valenza territoriale e culturale che è diventata il riferimento per i progetti di riqualificazione delle aree costiere in tutto il mondo (Wallace, 2004). La chiave di successo di Baltimora risiede soprattutto nella capacità di fondarsi sul rapporto consapevole della comunità con il suo mare, fondamento delle scelte di intervento per valorizzare le potenzialità della lunga e articolata fascia costiera. Negli stessi anni, questa volontà di recupero e valorizzazione della relazione storica tra città e mare è evidente nel piano di Boston, testimonianza di una consapevole sensibilità verso la cultura marittima come elemento fondamentale per la rivitalizzazione del fronte a mare. (Reed Clark,1980) Da allora, la moltiplicazione di progetti e realizzazioni nei cinque continenti ha dato luogo ad orientamenti e approcci diversi che hanno caratterizzato le esperienze di riqualificazione dei waterfronts. (Fisher et al., 2004) (Marshall, 2001) Tuttavia, nella contemporaneità, il riferimento al rapporto con il mare sembra spesso piuttosto debole, a volte completamente assente, nei numerosi piani per il recupero dei waterfronts ed il linguaggio architettonico e urbanistico sembra aver smarrito la capacità di interpretare ed esprimere le identità locali. L’approccio proposto dalla ricerca sulle città di mare ha, pertanto, mirato a rileggere sotto una diversa luce gli interventi di trasformazione degli spazi urbani che si sono succeduti numerosi, nell’arco negli ultimi cinquant’anni. In particolare, la disamina di esperienze internazionali di riqualificazione, concluse o in atto, finalizzate a recuperare il rapporto tra città e acqua ha arricchito la riflessione, alla base della ricerca, sul rapporto tra cultura urbana e cultura marittima. I casi studio analizzati mostrano un rinnovato interesse per il recupero del ruolo dell’acqua nella storia di alcuni territori e la riqualificazione dei luoghi urbani si rivela un tema emergente nei processi di rivitalizzazione delle aree costiere e portuali. Gli esiti migliori si registrano nei casi in cui gli interventi sono supportati da adeguate politiche di sviluppo urbano, in grado di apportare importanti ricadute economiche, sociali e culturali, determinando non solo la trasformazione fisica del confine tra terra e acqua ma l’opportunità di realizzare veri e propri programmi di valorizzazione del territorio. Da Anversa a Barcellona, da Valencia a New York, da Lorient a Montréal, le operazioni di recupero dei waterfronts viste “dal mare” assumono nuove valenze e i luoghi urbani sul mare si offrono a nuove interpretazioni conoscitive e progettuali.

Fig. 2 - La cultura marittima negli spazi pubblici sul waterfront al Pier 17 (New York City).

Fig. 3 - Fruizione pubblica lungo la spiaggia di Barceloneta (Barcellona).

Fig. 4 - La fruizione pubblica del molo dell’Italsider a Bagnoli dopo l’intervento di recupero (Napoli).

In molti casi analizzati, il rinnovamento urbano lungo la linea di costa ha restituito ai luoghi sul mare la valenza di spazi di aggregazione e di incontro, dove si sviluppano relazioni sociali e culturali, in una dimensione multiculturale che storicamente e geneticamente caratterizza la città d’acqua. (Clemente e Esposito de Vita, 2008) Ciò è da imputare certamente alla forza attrattiva che da sempre il mare esercita sull’uomo ma soprattutto alla capacità di urbanisti e architetti di interpretare le aspettative di una comunità, la sua memoria collettiva e la vocazione storica di un territorio. Gli interventi di recupero e valorizzazione di preesistenze lungo la costa, inoltre, possono contribuire alla riappropriazione di un luogo ed alla sua restituzione alla fruizione pubblica, come nel caso del vecchio molo dell’Italsider a Bagnoli (Napoli), un’area

la cui vocazione marittima era stata negata dal lungo passato industriale. In questa prospettiva, l’approccio metodologico proposto intende riportare al centro della riflessione l’uomo e il suo rapporto con il mare per immettere nuovi valori semantici nel ridisegno degli spazi pubblici lungo i litorali e valorizzare l’identità delle città d’acqua.

MASSIMO CLEMENTE STEFANIA OPPIDO

Consiglio Nazionale delle Ricerche,

Istituto di Ricerche sulle Attività Terziarie, Strategie Urbanistiche.

Riferimenti Clemente M. e Esposito de Vita G. (2008), Città interetnica. Spazi, forme e funzioni per l’aggregazione e per l’integrazione, Collana Città e Architettura, Editoriale Scientifica, Napoli (I). Fisher B. et al. (2004), Remaking the urban waterfront, Urban Land Institute, Washington D.C. (USA).

Hoyle B.S. and Pinder D.A. (1981), Cityport industrialization and regional development. Spatial analysis and planning strategies, Pergamon Press, Oxford (UK). Marshall R. (ed.) (2001), Waterfronts in Post Industrial Cities, Spon, London (UK).

Meyer H. (1999), City and Port: Urban Planning as a Cultural Venture in London, Barcelona, New York, and Rotterdam: Changing Relations between Public Urban Space and Large-scale Infrastructure, International Books, Utrecht (NL). Reed Clark F. (1980), Boston Downtown Waterfront Project, Boston Educational Marine Exchange, Boston, Massachusetts (USA), http://www.archive.org/stream/bostondowntownwa00bost#page/n3/mode/2up (data di consultazione 20/4/2011) Wallace D.A. (2004), Urban planning/my way: from Baltimore's inner harbor to Lower Manhattan and beyond, Planners Press, American Planning Association, Chicago (USA).

1

ARENILE: COSI’ PUBBLICO COSI’ PRIVATO.

(Roma un possibile caso di studio)

SOMMARIO:

1. La natura delle competenze sulle aree del

demanio marittimo

2. Le ragioni dell’esigenza di uno strumento

urbanistico

3. I contenuti dello strumento urbanistico e le

prospettive di applicazione

1. La natura delle competenze sulle aree del

demanio marittimo

La competenza Statale sul Demanio marittimo

nasce centrata essenzialmente sulle attività

commerciali e di navigazione. Le concessioni per uso

turistico ricreativo, affacciatesi alla fine del secondo

dopoguerra, sono state amministrate attraverso le

norme presenti nel Codice della Navigazione 1 senza

alcuna modifica, utilizzando quanto stabilito

relativamente alle regole per la concessione di aree e

quanto stabilito sul principio di appartenenza allo Stato

dei beni immobili insistenti sulle aree medesime.

In quella fase di competenza esclusiva dello

Stato, il governo amministrativo dell’argomento si

appoggiava per quasi tutti gli aspetti funzionali

all’allora Ministero della Marina Mercantile 2 , per gli

aspetti dominicali all’allora Ministero delle Finanze e

per gli aspetti tecnici all’allora Ufficio Genio Civile per

le Opere Marittime. 3

Il DPR 616/77 comincia a sgretolare la

competenza esclusiva statale, delegando alle Regioni i

poteri relativamente alle finalità turistico- ricreative del

Demanio Marittimo. La materia si evolve in un

accidentatissimo percorso, per chiudersi in

corrispondenza della 112/98 (Bassanini due) e della

modifica del Titolo V della Costituzione che attribuisce

1 Del 1877 e poi 1942, con Regolamento del 1952. 2 Oggi Ministero II.TT. direzione porti con le relative Capitanerie di Porto, oggi Agenzia del Demanio, oggi Provveditorato Interregionale

per le opere marittime (art. 12 Cod. Nav.). 3 A questo quadro si sono andate affastellando altre competenze come quella dell’autorizzazione preventiva delle Dogane (1990) che

può generare inutili duplicazioni di procedure o come la

regolamentazione del commercio ambulante su suolo pubblico.

potere legislativo concorrente alle Regioni in materia e

attribuzione della generalità delle funzioni

amministrative ai Comuni.4

Ad un evidente riconoscimento di poteri, tuttavia, non

hanno fatto riscontro insiemi articolati di indirizzi di

gestione: Capitanerie di Porto, Provveditorato Opere

Marittime, Agenzia delle Dogane, Guardia di Finanza,

Agenzia del Demanio , Ministero I.T. non hanno visto

riordinato il rispettivo quadro delle competenze rispetto

alle nuove attività di Regioni e Comuni, ma solo

ritagliato di alcune parti il potere precedentemente

vigente, mentre il quadro normativo è rimasto identico

e spesso praticato allo stesso modo.

Il groviglio inestricabile dei poteri pubblici e dei

controlli ostacola le attività di gestione corretta ed

efficiente delle spiagge su cui si applicano

contemporaneamente regole e poteri spesso di natura

opposta.

Serve quindi un provvedimento (legge nazionale e

regionali) che svolga una rilettura organica dei poteri e

delle competenze ed elimini sovrapposizioni ed

incoerenze.

2. Le ragioni dell’esigenza di uno strumento

urbanistico

Uno degli effetti più evidenti di tali interferenze è la

difficoltà di ricostruire la regolarità urbanistico edilizia

dei manufatti esistenti.

Nella fase di competenza esclusiva dello Stato,

il titolare di concessione demaniale non aveva alcuna

esigenza di titoli abilitativi all’edificazione rilasciati dal

Comune per realizzare le opere previste, in quanto lo

schema tripartito di governo amministrativo

dell’argomento consentiva di operare in un regime

autoreferenziato, con riferimenti tecnico edilizi volti

alla corretta attribuzione delle categorie di facile e

difficile rimozione dei manufatti, senza neanche porre

4 Tale processo nel Lazio diventa realmente operativo con

una produzione legislativa regionale che dal 1998 arriva al 2001 (L.R. 1161) e conferisce ai Comuni la competenza gestionale e

amministrativa della materia.

2

in argomento la rilevanza e l’esigenza di un titolo

edilizio rilasciato dai Comuni.

Il Codice della Navigazione ignora totalmente

l’esigenza di titoli urbanistico edilizi ed ha come

preoccupazione centrale l’esigenza della catalogazione

dei manufatti in facile e difficile rimozione per due

esigenze fondamentali: individuare con certezza la

corrispondenza tra la tipologia delle opere realizzate e

la forma dell’atto con cui disciplinare le differenti

concessioni5, individuare con precisione i manufatti dal

lato del valore economico e commerciale curando gli

interessi dello Stato nel momento in cui acquisisce i

beni situati sul suolo demaniale, prescindendo da

qualunque cura di garantire legittimità urbanistico

edilizia ai fabbricati.6

In realtà l’evoluzione della normativa

urbanistica aveva prodotto l’affiancamento di un

principio di soggettività dell’Ente locale nell’abilitare

l’edificazione anche sulle aree del demanio marittimo

iniziato nel 1967 (art. 10 comma 3 legge 765/67 che

sostituisce l’art. 31 legge 1150/42), proseguito e

confermato fino nel dpr 380/2001 art.8.

Tuttavia questo parallelismo di poteri, spesso

dichiarato in linea di principio, non ha avuto una chiara

demarcazione né ha visto un pieno esercizio della

facoltà di rilascio dei titoli edilizi da parte dei Comuni,

ai quali probabilmente non venivano richiesti o almeno

non venivano richiesti in maniera sistematica7.

5 Per licenza o per atto formale ( art.. 36 Cod. Nav. e artt. 8 /9 del Regolamento Cod. Nav.) 6 Anzi in qualche sede si sostiene che unico riferimento logico

rimangono le circolari e che vadano esclusi riferimenti analogici derivanti da altre fonti, tra le quali, si suppone, l’urbanistica. Per altro

verso mai sono stati trasferiti ai Comuni i poteri dell’art. 12 Cod.

Nav. tuttora in capo al Provveditorato alle opere pubbliche. 7 In una sede più specialistica si potrebbe studiare come venivano

autorizzati gli stabilimenti in muratura che, nella situazione romana,

erano edificati in forma stabile fin dagli anni ’30; dopo il 1942 erano autorizzati dal Ministero dei LL.PP. fino al 1967 (legge ponte); poi

autorizzati con licenza del Comune approssimativamente fino al

1998.. Infatti alcuni stabilimenti sicuramente storici non hanno reperibile il titolo edilizio, alcuni sono riportati in letteratura

citandone gli archivi ma non sono reperibili i documenti, alcuni

hanno titoli edilizi per alcune parti, alcuni hanno porzioni condonate.

1) Roma, lungomare di Ostia: Elmi, fronte principale

2)Roma, lungomare di Ostia: Delfino il fronte mare

3) Lungomare di Ostia: Punta Ovest. spiaggia

attrezzata

I manufatti cosiddetti “di facile rimozione” da

asportare teoricamente al termine del periodo

balneare, sono in materiali assai assortiti, ubicati

secondo la regola delle convenienze della stagione,

incrementati, deformati, spostati, accorpati e

producono un immagine di improvvisazione, al di

fuori di qualunque controllo urbanistico.

3

Una volta che le facoltà gestionali delle trasformazioni

per usi ricreativi del demanio marittimo sono confluite

nei Comuni, titolari anche delle facoltà urbanistiche di

governo delle trasformazioni del territorio, il problema

è risultato di tutta evidenza.

In tal senso va precisato che all’atto dei conferimenti o

deleghe ai Comuni, quasi tutte le Regioni hanno

imposto, per il corretto esercizio dei poteri,

l’approvazione di un Piano di Utilizzo degli Arenili -

PUA- quale guida e coordinamento per il rilascio delle

concessioni e l’individuazione delle attività consentite

sul demanio marittimo.8.

La Regione Lazio nel 1998 ha previsto un PUA

Regionale ed i PUA comunali, conferendo ad essi una

collocazione intermedia tra uno strumento di dettaglio

sul rispetto delle norme paesistiche ed uno strumento di

regolamentazione delle attività esercitabili sulle

concessioni demaniali9. Tant’è che le procedure di

approvazione sono svolte nell’ambito del settore

turistico, l’approvazione è con decreto del Presidente

della Regione e il PUA non può avere contenuti, né

tantomeno efficacia, urbanistici.

Ne consegue che continua a rimanere fuori controllo

l’aspetto relativo al rispetto delle regole sulle

trasformazioni del territorio, che ha prodotto da una

parte alcuni casi eclatanti di edilizia non autorizzata,

dall’altra una produzione edilizia assai ambigua di

manufatti cosiddetti “di facile rimozione” da asportare

teoricamente al termine del periodo balneare, nelle cui

pieghe spesso si nascondono aumenti di superfici e

8 Le peculiarità territoriali ed i caratteri politici delle amministrazioni

hanno determinato la collocazione del PUA in aderenza stretta o in

autonomia dalla disciplina urbanistica: come una “struttura portante del trasferimento” (Abruzzo), di stretta competenza regionale

(Basilicata), con forte valenza pianificatoria e con stretta dialettica

Regione/Comuni (Calabria), con valenza amministrativa e contemporaneamente pianificatoria (Emilia Romagna, Puglia), un

robusto controllo all’autonomia dei Comuni attenta non solo

all’urbanistica ma all’assetto idrogeologico delle coste (Liguria, Molise), una totale aderenza agli strumenti di pianificazione del

territorio esistenti (Toscana) o da redigere (Sardegna). 9 Tali attività sono fissate dalle legge 494/93, e reinterpretate, con alcuni adeguamenti, dalla L.R. 13 /2009 e sono: a) stabilimenti

balneari b) spiagge attrezzate c) spiagge libere attrezzate d) punti di

ormeggio e) esercizi di ristorazione e somministrazione di bevande e cibi precotti e generi di monopolio f) esercizio del noleggio di

imbarcazioni e natanti in genere g) gestione di strutture ricettive ed

attività ricreative e sportive.

volumetrie al di fuori di qualunque controllo

urbanistico.

Vanno superate le due categorie di facile e difficile

rimozione. E’ del tutto evidente che oggetti posati

stabilmente sull’arenile, quand’anche amovibili,

appartengono alla categoria della nuova edificazione

secondo l’art. 3 punto e 5) del DPR 380/01e quindi

necessitano di un robusto titolo edilizio secondo l’art

10 comma 1 a) del medesimo DPR.

4) Roma lungomare di Ostia: Il Capanno fronte

principale

5) Roma lungomare di ostia: Lega Navale fronte

Questo titolo, nei Comuni non dotati di pianificazione

particolareggiata di valenza paesistica, può essere

rilasciato solo in conformità di ptp, o nel rispetto delle

norme generali di tutela del vincolo paesistico imposto

In molti casi edificazioni stabili comportanti SUL e

volumetrie presentano una miglior qualità di

definizione dello spazio e rappresentano opere di

notevole interesse architettonico.

4

ope legis su territori entro i trecento metri dalla

battigia: ossia quasi mai.10

Quindi con ancor maggiore evidenza si pone l’esigenza

di disporre di un strumento urbanistico di valenza

paesistica e di regole certe per l’edificazione che non

possono essere aggirate con la qualificazione di

“manufatti di facile rimozione” né regolate nel PUA.11

3. I contenuti dello strumento urbanistico e le

prospettive di applicazione

Insomma in assenza di guida questo spazio pubblico

particolarissimo rischia di venire parcellizzato,

privatizzato, privato delle peculiarità dell’orizzonte

paesistico.

Esattamente in questo scenario è necessario intervenire,

in affiancamento al PUA, con uno strumento

dall’evidente efficacia urbanistica: da una parte per

dare una forma organizzativa ad un territorio che finora

si è trasformato, in modi assai poco proceduralizzati,

solo attraverso occasionali titoli edilizi, dall’altra per

rendere operative le prescrizioni dei ptp ai fini della

tutela ambientale e paesistica, dall’altra ancora per

garantire che l’esercizio delle attività turistico

ricreative sia svolto secondo un progetto unitario e

garantendo pari opportunità ai cittadini di usare il mare

secondo i modi più graditi.

Che cosa deve fare questo strumento urbanistico:

Disegnare l’uso degli arenili non come una

lunga campitura di aree a diverso titolo

10 Peraltro va precisato che, nel caso di Roma, eventuali volumetrie

degli stabilimenti venivano autorizzate (con molta attenzione) in

coerenza con gli strumenti urbanistici almeno fino al 1998: infatti sia il PRG del 1962, per le zone N di PRG, sia il nuovo PRG per le zone

a verde e servizi pubblici di livello locale non precludono

l’edificazione. La data del 1998 segna lo spartiacque con gli effetti urbanistici delle leggi di tutela del paesaggio(431 /85 e s.m.i.), e

l’efficacia della legge Regionale 24/’98 che detta norme

generalizzate di tutela dei beni paesistici e di approvazione dei ptp, in particolare per gli effetti sui territori compresi entro i trecento metri

dalla battigia. 11 Anche alla luce di una ricognizione svolta a livello nazionale, quindi con casi di studio assoggettati allo stesso panorama

normativo, ancora lo spartiacque tra codice della navigazione e uso

del bene demaniale con le regole del disegno del territorio non è ancora chiarissimo.(Comune di Roma. Dipartimento

programmazione attuazione urbanistica. Uo Promozione Territoriale

“15 casi di studio sui progetti di riqualificazione del lungomare e degli stabilimenti balneari “ a cura di Antonella Parisi Presicce.

Roma, dicembre 2009)

concesse a soggetti pubblici o privati, ma

secondo un progetto territoriale unitario che

prevede anche forme articolate e complesse di

uso delle aree lungo il mare: parco acquatico,

aree attrezzate e ombreggiate per i giochi,

particolari punti di belvedere da attrezzare e

connettere,…

Fare una ricognizione dello stato di fatto,

superando le due categorie di facile e difficile

rimozione, ridefinendo completamente i

manufatti presenti secondo le categorie

urbanistico edilizie: sul, volumi, pertinenze e

accessori, altezze e distacchi e, se possibile,

stabilire come conferire titoli edilizi a

manufatti autorizzati finora come facile

rimozione che in realtà necessitano, in quanto

nuova edificazione, di un robusto titolo

edilizio.

A seguito del precedente passaggio diviene

possibile pianificare i manufatti secondo tre

categorie urbanistico edilizie: quelli edificati e

da computare in termini di SUL, quelli che

costituiscono accessori con le caratteristiche

fisiche e prestazionali che secondo il PRG

possono legittimamente essere realizzati senza

essere computati in termini di SUL, le opere

realmente stagionali e di facile rimozione

anche secondo le categorie urbanistiche, che

possono essere oggetto di SCIA vista la

presenza limitata nel tempo,

L’organizzazione fisica secondo le tre

precedenti categorie rende possibile calcolare

in maniera adeguata e corretta gli oneri di

urbanizzazione finora applicati in modo non

sistematico,

Diviene così possibile definire indici medi di

edificabilità esistenti (mai finora calcolati a

fronte di evidenti fabbricati in muratura),

stabilire norme per l’edificato cui assoggettare

l’esistente, consentire l’eventuale capacità

insediativa residua,

5

Definire regole comuni per alcune funzioni

chiave per l’uso del mare, quali:

1. La definizione spaziale dei varchi di

libero accesso al mare: essi non devono essere

banali corridoi ma percorsi attrezzati e di

fruizione paesistica funzionali anche a mezzi

di soccorso e di cantiere,

2. Il posizionamento e la densità delle

attrezzature ludico ricreative, cercando di

favorire forme consortili di gestione e utilizzo

delle stesse e cercando di minimizzare gli

impatti visivi,

3. Il posizionamento delle funzioni di

servizio in grado di favorire la

destagionalizzazione

Stabilire le forme di premialità edilizia e

fiscale per chi adegua gli impianti alle nuove

regole

Tale tipo di strumento urbanistico, un vero piano

particolareggiato degli arenili, deve sicuramente

stabilire le norme di dettaglio per il rispetto degli

strumenti di tutela. In particolare nel Lazio il ptpg

adottato prevede espressamente, anche con

rappresentazione grafica, i piani di dettaglio con

valenza paesistica (art. 59 nta) e quindi il piano

attuativo va condiviso con la Regione, con un serio

esercizio di governance a tutto vantaggio del progetto

di qualificazione del paesaggio della costa.

L’ intervento dell’urbanistica serve non solo come

tecnica di disegno urbano, ma anche come possibilità

di messa in campo di misure di contenimento della

rendita.

Sebbene sia rimasto fisso il principio generale che gli

arenili non sono privati e non possono essere edificati

con le stesse regole dei suoli urbani, in quanto demani

sottratti alla rendita, tuttavia nel momento in cui lungo

di essi si attiva l’uso turistico ricreativo si attiva il

mercato e nasce la pressione a volgere a fini solo

privati l’uso di un bene comune. In questo contrasto di

fondo tocca all’urbanistica stabilire i valori d’uso ed i

differenziali di rendita che vengono assegnati alle

singole porzioni di suolo in modo proporzionale ai

benefici collettivi.

Pertanto la spirale di sovrapposizioni dei poteri e dei

controlli Istituzionali a difesa dello spazio pubblico con

il mercato e le funzioni di servizio alla popolazione,

deve trovare un percorso stabile di decisioni al quale

l’urbanistica può offrire adeguati strumenti, cui si

offrono vasti spazi di sperimentazione soprattutto in

vista delle assegnazioni con gara da avviare dal

dicembre 2015.

1

“Ridare senso ai luoghi: le piazzette tematiche per

ricostruire a Messina le relazioni tra il mare e la

città”.

Il fronte a mare di Messina

Perché parlare del waterfront della città di Messina? Città

che ormai solo geograficamente si affaccia per svariati

chilometri sul mare, ma che praticamente da un secolo

cresce e si trasforma voltandogli continuamente le spalle?

Diversi e continui sono stati e restano tuttora i tentativi di

ridarle quella perduta dignità di città di costa che un

tempo la caratterizzava e che rendeva noto nel mondo il

suo elegante affaccio a mare, però si intuisce come tutti

gli sforzi fin qui intrapresi permangano ancora

esclusivamente e limitatamente come dei meri puntuali

esperimenti che ancora purtroppo, stentano a prendere

realmente corpo.

Le dimensioni del territorio comunale messinese e

soprattutto la sua particolare posizione al vertice orientale

dell’isola fanno sì che la città possa vantare un fronte

marittimo di ben 40 km per buona parte sviluppato lungo

lo Stretto di Messina e, oltre la spiaggia di Capo Peloro,

lungo il Tirreno, costituendo un sistema naturale

composito, unico e di incomparabile bellezza,

indubbiamente uno dei luoghi più suggestivi del

Mediterraneo. Se il mito lo ha reso ancor più singolare ed

evocativo nell’immaginario collettivo, lo sviluppo della

città e il disordine urbanistico che ne è conseguito lo ha

profondamente trasformato, per alcuni versi banalizzato

ed assimilato ad altri brani costieri dell’isola afflitti da

un’incalzante urbanizzazione che sembra non voler

risparmiare la varietà morfologica, le valenze paesistiche

e le unicità floro-faunistiche che ancora per poco

rappresentano la specificità della regione.

Seppure la città storicamente è cresciuta sviluppandosi

attorno al suo Porto antico (cesura e cerniera di questo

complesso sistema di fronte a mare), riparato dal vento e

dai marosi dalla Falce – altro unicum delle coste

mediterranee – lungo le rive del braccio di mare serrato

tra Aspromonte ed i Monti Peloritani si sono localizzati

piccoli borghi marinari e centri rurali che dalla città si

sgranavano verso nord e verso sud. Piccoli centri con

povere attività economiche che negli anni della

ricostruzione post-terremoto hanno orientato

un’edificazione lenta ma progressiva – fatta spesso di

eleganti villini liberty – che ha trasformato questi borghi

dai nomi romantici ed evocativi (Paradiso, Pace,

Contemplazione…) in luoghi di villeggiatura; poi

l’urbanizzazione ne ha ispessito i tessuti e li ha convertiti

in una sorta di appendice urbana lineare senza soluzione

di continuità (e senza particolare qualità) lungo tutta la

costa. Intanto a sud del Porto storico, la conferma della

linea ferroviaria e le scelte del piano regolatore post-

terremoto di collocarci la zona industriale della città

ricostruita creavano una netta ed incontrovertibile

separazione tra la città ed il mare. Quindi, laddove si

stempera l’urbanizzazione, prende forma la città lineare

jonica che consuma l’esigua striscia di terra stretta tra

mare e montagne e che dà origine a quel continuum

urbanizzato che giunge sino a Taormina e a Catania.

Pertanto, il primo tratto contraddistintivo del fronte a

mare di Messina è innanzitutto la sua profonda diversità

morfologica e marina e la grande varietà delle

componenti paesistiche, dei paesaggi naturali e

antropizzati, delle emergenze storico-culturali, tracce di

una lenta trasformazione di un territorio particolarmente

complesso, che non a caso ha fatto parlare de «i

waterfront» di Messina (La Spada, 2008). Infatti per

quanto Messina, per le caratteristiche del suo territorio,

presenti una struttura urbana compatta, lo sviluppo

edilizio nel corso degli ultimi anni, rafforzato dalle

generose previsioni di densificazione della Variante

generale al Prg (2004), ha progressivamente travolto il

territorio che per secoli ha fatto da cornice alla città,

2

proiettandone pezzi sulle colline erte e spoglie, sulle

propaggini rimboschite dei Peloritani e sulle ali costiere.

Il punto di partenza necessario, dunque, sembra essere

quello di riconoscere specificità e valenze (e di

conseguenza anche le peculiari problematiche) delle

diverse componenti di questo waterfront così esclusivo,

ma molto spesso negato nelle riflessioni di

riqualificazione: un primo passo che possa condurre ad

una generale integrazione e valorizzazione del sistema

nel suo complesso, ricostruendo le originarie relazioni tra

terra e mare e dando nuovo senso ai processi di

riqualificazione urbana in una chiave strategicamente

territoriale. Le istituzioni locali, infatti, nel corso di

questi ultimi anni, sembrano aver cercato di individuare

alcune soluzioni soprattutto per i luoghi “topici” del

waterfront, come Capo Peloro (dove si sono concentrati

molti degli interventi del programma Urban Italia, del

Prusst «Messina per il 2000», del Pit «Eolo, Scilla

Cariddi »), che rappresenta il punto più suggestivo e

rappresentativo del territorio e sicuramente uno dei più

caratteristici e mitici della Sicilia, dove incombe la

realizzazione del Ponte sullo Stretto, che dovrebbe

ridisegnare completamente l’area assieme alle

infrastrutture stradali e ferroviarie di adduzione, o

piuttosto la Zona falcata del Porto storico, mentre altri

strumenti urbanistici dovrebbero provvedere alla

riqualificazione di alcuni tratti della lunga costa

messinese (come il Ppe Tono-Mortelle, il Ppe di Capo

Peloro o il Piau per il waterfront meridionale), senza però

quella visione d’insieme che risulterebbe determinante

per un processo di concreta valorizzazione della linea di

costa, da intendere come un’unica risorsa ambientale su

cui puntare.

Queste diverse azioni non sembrerebbero rientrare in una

strategia coerente ed univoca, ma piuttosto improntate a

cogliere alcune opportunità congiunturali e finanziamenti

pubblici episodici, e il fil rouge degli interventi è dato

solo dalla concentrazione degli interventi nei luoghi più

significativi del territorio, per rimediare al

depauperamento delle valenze paesistiche e simboliche

che hanno sempre contraddistinto questo sistema, la cui

unicità è andata stemperandosi nella banalità della

contemporaneità. Dunque non rimane che sperare in un

coerente progetto per l’intero litorale messinese, piuttosto

che temere una gestione della costa improvvisata e

contingente.

Fig. 1: La lunga costa messinese

Piccoli interventi sullo spazio pubblico

Risulta pertanto quanto mai opportuna, seppure si tratti di

un intervento limitato nelle dimensioni, la recente

inaugurazione di sette, delle nove piazzette tematiche,

come le province che la rappresentano, previste nelle aree

pedonali lungo la Cortina del Porto - più volte

protagonista di grandi scelte che hanno determinato

l’immagine della città di Messina vista dal mare - e che

rientra tra le ultime operazioni operate

dall’Amministrazione Comunale per rimediare al

crescente degrado dello spazio pubblico, soprattutto nelle

aree urbane più centrali. Si tratta di spazi esigui, che

sorgono però in una posizione strategica, là dove un

tempo prima del catastrofico terremoto del 1908 sorgeva

3

la famosa Palazzata1 che – per la rigida normativa

imposta per la ricostruzione – non potrà essere riedificata

e verrà sostituita da più edifici, prevalentemente terziari,

cadenzati però da interruzioni, che presto si trasformano

in “vuoti”, privando la città sia di quella cortina che

storicamente l’aveva caratterizzata sia di un lungomare.

Questi spazi con il trascorrere del tempo sono diventati

dei generici luoghi di risulta tra un edificio e l’altro, aree

di parcheggio, zone comunque segnate dal degrado,

contribuendo alla dissoluzione delle relazioni tra la città

ed il mare. Città e porto, storicamente integrati, si

ritrovano, dunque, fisicamente e funzionalmente separati.

Piuttosto, quello che sembra nel tempo spegnersi è il

rapporto sociale immediato tra i cittadini ed il porto, in

una città dove la popolazione sembra vivere poco ed in

modo fugace (comunque non più intenso come nel

passato) le proprie relazioni con i luoghi di appartenenza.

L'obiettivo del progetto, nonostante si tratti di interventi

di piccole dimensioni, è innanzitutto quello di recuperare

questi "non luoghi”, restituire alla città uno spazio

simbolico importante, ma anche proporre un tentativo di

ridisegnare il waterfront urbano. I vuoti tra i palazzi della

1 La ricostruzione del «Teatro marittimo» è stato un tema a lungo discusso nelle fasi della ricostruzione. Alle speranze dei messinesi di vedere ricostruito il complesso architettonico «com’era dov’era» si opposero le indicazioni della l. 12/1909 e del successivo r.d. 193 del 18 apr. 1909, con le quali la Regia Commissione insediata all’indomani del terremoto introduceva limiti di altezza e indicazioni rigorose per la costruzione dei nuovi edifici. Infatti, per motivi di sicurezza, le nuove disposizioni imponevano nella cortina edilizia portuale ampi varchi che ne avrebbero rotto l’armonica ritmicità. Lo stesso Borzì, estensore del piano di ricostruzione, dovette rinunciare ad una sua personale proposta per una soluzione omogenea e unitaria della Palazzata, per quanto anch’essa molto diversa dalla precedente struttura. La ricostruzione si concluse, quindi, con la demolizione dei resti sopravissuti al sisma e al maremoto e con l’edificazione di una fascia edilizia composta da più edifici di differente architettura; i primi realizzati in stile più eclettico (la sede dell’Ina oggi Banco di Sicilia, ad esempio) per concludere con edifici più “razionalisti” e moderni, realizzati tra gli anni 30 e gli anni ’50. Tra questi spiccano i due possenti edifici costruiti durante il fascismo: la sede del Catasto (già Casa del fascio costruita nel 1936-38) e la sede dell’Inail (già sede dell’Infail, realizzata nel 1939) su progetto di G. Samonà e G. Viola, indubbiamente tra le architetture più interessanti della città, che ancora oggi segnano significativamente il fronte del porto.

Cortina sono stati così trasformati in piccole piazze,

ovvero punti di socializzazione, oltre che spazi di

ingresso in città per i croceristi e per quanti vi accedono

dal lungo porto e non solo quindi, semplici aree pedonali

per congiungere la via Garibaldi con la Cortina del Porto,

assicurandovi una "continuità" simbolica ma anche

estetica, ma soprattutto tentando di offrire alla

cittadinanza un luogo che nell'immaginario collettivo

rappresenti un elemento di forte identità e di

appartenenza. Le piazzette, che presentano tutte la

medesima pavimentazione costituita da lastre di pietre

locali e dalla forma triangolare, rappresentando un

richiamo metaforico della Trinacria, contengono

tematiche che dalle bellezze della natura (simboleggiate

dai quattro elementi terra, fuoco, acqua e aria) ai temi

della memoria, della cultura, del mistero, dei sapori e

delle città, intendono produrre richiami alle principali

prerogative dell’isola.

Appare evidente dunque, quanto sia necessario far

convogliare tutta questa serie di nuovi progetti per la città

e i dispersi pezzi di una riqualificazione urbana

frammentata in un quadro generale coerente, per

intervenire in maniera organica e rigorosa affinché si

possano seguire delle precise linee di riassetto urbano e

di riqualificazione complessiva, e favorire lo sviluppo

armonico dei luoghi atti ad ospitare le differenti variabili

di un’idea di comunità. La predisposizione di questi

nuovi progetti, quindi deve costituire l’occasione per

definire delle attente guide per la riqualificazione della

città di Messina e del suo contesto ambientale.

4

Fig. 2: Piazzetta della Cultura

Fig. 4 Piazzetta del Fuoco

Fig. 5: Piazzetta della Terra

Fig. 3: Piazzetta dell’Acqua

1

Strategie per la fruizione pubblica di ambiti costieri alla scala vasta intermedia Robero Gerundo, Isidoro Fasolino Abstract Lungo l’arco di costa che va da Salerno a Eboli sono in corso di realizzazione o programmati gli elementi di un articolato complesso di infrastrutture pubbliche di rilievo. La filosofia di fondo del processo di pianificazione che ha riguardato Salerno negli ultimi venti anni si basa su progetti per porzioni di città, con ampio ricorso a interventi d’autore, destinati a rafforzare il ruolo di centro di servizi del capoluogo con particolare riferimento al turismo diportistico. Intanto, interventi di notevole rilevanza investono il sistema urbano di Salerno e la Piana del Sele (PdS), tra cui si impone come di assoluto rilievo, seppure di lungo periodo, l’ipotesi di delocalizzazione del porto commerciale di Salerno sul litorale a sud della città. In tale quadro, il Comune di Eboli, nel redigendo piano urbanistico comunale (Puc), definisce una forma nuova e più ordinata di fruizione del proprio litorale1

Si propone lo stato dell’arte di un’area vasta intermedia alla ricerca della propria vocazione e di un suo specifico ruolo all’interno del territorio regionale, in grado di porre le basi per uno sviluppo duraturo e sostenibile.

.

La filosofia urbanistica per Salerno L'impostazione complessiva del processo di pianificazione per Salerno, avviato nel 1994, definisce un particolare rapporto tra piano urbanistico e progetto urbano. Il processo di pianificazione si incentrava, infatti, su ipotesi di progetto per ben circoscritte porzioni di città, le aree di attuazione puntuale urbanistica (Aapu), il cui complesso sarebbe andato a costituire il futuro piano regolatore generale (Prg) della città2

Il Puc di Salerno

. Le trasformazioni urbane puntuali avrebbero contaminato le aree limitrofe, con un successivo effetto di città. Tale filosofia di fondo sottende il ricorso alle archistar, alle trasformazioni d’autore. Si è così dato corso ad una serie numerosa di interventi e, a partire dal 1997, sono state avviate anche procedure concorsuali finalizzate ad elevare il livello qualitativo delle trasformazioni architettoniche in città.

3 assume, tra gli obiettivi prioritari, il recupero del rapporto della città con il mare. Gli stessi progetti redatti anteriormente alla definizione del Puc, segnalavano l’importanza di ridefinire e riqualificare il fronte di mare, anche al fine del miglioramento dell’offerta turistica e balneare. Gli interventi riguardano: la razionalizzazione dell’uso del porto commerciale, con netta separazione delle funzioni commerciali dalle funzioni turistiche; la riconversione ad uso turistico del molo Manfredi; la realizzazione di una stazione marittima di testata per navi da crociera4; l'ampliamento e la modernizzazione dei porti Masuccio Salernitano e Santa Teresa e la costruzione di due nuovi porti turistici sulla litoranea orientale e sul litorale di Pastena5

La città di Salerno è assurta a ruolo di protagonista nello scenario internazionale per la sua capacità di promuovere scelte di trasformazione urbana di particolare risonanza.

; il ripascimento degli arenili; il potenziamento del lungomare mediante la creazione di una successione di piazze e giardini che rafforzino il valore urbano dell’intero litorale.

Un interrogativo, tuttavia, riguarda la stessa reale fattibilità di tali grandi interventi, visto che tutte le più importanti trasformazioni avviate non sono ancora state ultimate, come nel caso della cittadella giudiziaria di David Chipperfield o della stazione marittima di Zaha Hadid. Sono recentemente iniziati i lavori della nuova piazza della Libertà, definita dal gigantesco Crescent di Ricardo Bofill, che ha anche presentato il progetto per il ridisegno di piazza della Concordia, dove è prevista una torre a forma di Vela. Oggi, dinanzi ad una realtà demografica che si caratterizza con un progressivo decremento della popolazione, la prospettiva urbanistica della città capoluogo deve finalmente acquisire una chiara e convinta consapevolezza della necessità di dover assumere un ruolo, a livello territoriale, di città di servizi di alta qualità verso il proprio territorio provinciale, capace di restituire slancio e

2

competitività alla città, eliminando le diseconomie e ponendo le basi per uno sviluppo duraturo e di ampio respiro. La città costiera nel Puc di Eboli La città costiera, riguarda la parte del territorio di Eboli situata al limite della zona pianeggiante, a ridosso della fascia pinetata e della spiaggia. Si tratta di 8 km di arenile con retrostante pineta antropica. Il Puc prevede la costruzione di una dimensione urbana della costa, mediante la riqualificazione degli insediamenti esistenti, da integrare con interventi finalizzati al complessivo miglioramento urbanistico dell’area, arginando l’edificazione diffusa e disordinata di seconde case e nuclei edificati spontanei e di scarsa qualità. Le zone alberghiere sono ri-organizzate in alternanza ai preesistenti nuclei insediativi, oggetto di riqualificazione, anche attraverso integrazione di funzioni turistiche e residenziali nonché di attrezzature e servizi, allo stato assai carenti. E’ prevista, in coerenza con il denso sistema vincolistico operante, una innovativa organizzazione urbanistica del litorale ai fini dell’equipaggiamento e della fruizione della spiaggia, elevando il livello qualitativo dei servizi attraverso una gestione, in forme imprenditoriali di qualità, di interi blocchi modulari integrati (insieme di spiaggia, pineta e servizi), denominati comparti turistici unitari (Ctu) ai fini della balneazione, di cui il Puc fornisce apposito progetto urbanistico di dettaglio. Si consolida la presenza di un’area adibita a centro di formazione e sperimentazione naturalistico-ambientale, di cui si potenziano tutele e funzioni pertinenti, quali arricchimento avifauna, sentieri-natura, vivaistica forestale. Si prevede la realizzazione di un porto turistico alla foce del fiume Sele da integrare con il sistema turistico del territorio6

Il progetto della fascia costiera prevede il declassamento della Sp 175 Litoranea, che assume la funzione di strada di servizio della città costiera, e il potenziamento della Sp 417 Aversana, quale asse di elevata accessibilità, costituendo il miglioramento del sistema infrastrutturale una condizione imprescindibile per la riqualificazione e il riordino insediativo.

. E’ previsto l’ampliamento della vicina area per campeggio esistente, in quanto funzione compatibile con la fascia di esondazione del Sele.

Il Puc definisce gli elementi del progetto urbanistico finalizzato alla costruzione di una nuova immagine di turismo per la costa ebolitana, con la destagionalizzazione della domanda di servizi turistici mediante l’integrazione fra turismo balneare, culturale e ambientale e una più organica e unitaria gestione delle risorse. Una innovazione di processo per la Piana del Sele La proposta di Ptcp di Salerno, nella costruzione e nel rafforzamento di un sistema di città in rete, recepisce e mette a sistema alcuni interventi di notevole rilevanza programmati, o in corso di realizzazione, nel sistema urbano di Salerno e nella PdS: l’aeroporto di Pontecagnano, l’interporto e la stazione dell’Av/Ac di Battipaglia e altre importanti infrastrutture. Nel Ptcp assume assoluto rilievo l’ipotesi, seppure di lungo periodo, di delocalizzazione del porto commerciale di Salerno, di cui si prevede la localizzazione, nella forma del porto-isola con retrostante area logistica, sul litorale della PdS. Tale scelta, per le enormi dimensioni in gioco, contrasta con la vocazione della PdS, che, in forza dei caratteri paesaggistici e ambientali dell’area, come dichiarato negli ultimi venti anni da tutti gli atti di pianificazione e programmazione territoriale, riposa su agricoltura, zootecnia e turismo balneare e culturale. Numerosi, peraltro, sono gli aspetti che ne sconsigliano la localizzazione lungo il litorale a sud di Salerno: il rischio di erosione costiera; il grado di protezione ambientale formalmente operante sulla costa; gli effetti circa i fenomeni di frammentazione del territorio rurale; l’interferenza con aree di pregio naturalistico e agrario; il rischio di saturazione e congestione producibili dalle aree di retro-porto, a causa di un denso sistema di preesistenze infrastrutturali, produttive e logistiche.

3

Si evidenzia, altresì, come una scelta di tale portata debba necessariamente discendere da autorevoli decisioni sovraordinate7

Il sistema urbano Eboli-Battipaglia è caratterizzato da una condizione di stretta interdipendenza delle due città, la cui reciproca prossimità, unitamente alla elevata accessibilità e alla presenza integrata di importanti infrastrutture, ne fanno una forte polarità di potenziale riequilibrio rispetto alla limitrofa area urbana del capoluogo.

. Si ritiene, inoltre, necessario un apposito studio di fattibilità che ne accerti la sostenibilità e la concreta realizzabilità normativa, tecnica, finanziaria, economica e sociale, nonché su una necessaria valutazione di impatto ambientale (Via).

Mutuando una consolidata terminologia aziendale, si profilano due ipotesi alternative per la PdS: una innovazione di prodotto e una innovazione di processo. La prima ritiene il grande polo logistico che si prefigura all’interno del Ptcp, incentrato sulla dirompente ipotesi di delocalizzazione del porto commerciale di Salerno, sia in grado di modificare la vocazione dell’area nella direzione di una accelerazione nei processi di localizzazione di luoghi della produzione e dello scambio merci. La seconda ipotesi, per la quale si opta, non presuppone una modifica radicale nella vocazione dell’area, ma è orientata alla valorizzazione delle attività agricole e della fascia costiera in funzione turistica e balneare, alla fruizione dei beni culturali e al tempo libero, con il mantenimento degli equilibri dell’attuale assetto paesaggistico-ambientale e urbanistico. 1 Il piano urbanistico comunale (Puc) di Eboli (SA) è redatto con la consulenza tecnico-scientifica del Gruppo di Tecnica e pianificazione urbanistica del Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Salerno: prof. Ing. Roberto Gerundo (responsabile scientifico), prof. ing. Isidoro Fasolino (coordinatore). 2 Il Prg/Puc di Salerno, pur in presenza di un evidente decremento demografico, da 149.000 al 1999, immagina una città da 180.000 abitanti. 3 Approvato il con Dpgp del 28.12.2006. 4 La stazione marittima, progettata da Zaha Hadid, consiste in un edificio simile a un’ostrica, formato da un involucro robusto che racchiude spazi e camminamenti dedicati all’approdo per i traghetti e le navi da crociera, con ristorante, sala d’attesa e uffici amministrativi. 5 Le dimensioni di tali porti, in termini di posti barca, sono le seguenti: porto di S.Teresa: 560 posti barca (di cui 50 per pescherecci); porto Masuccio Salernitano: 1.050 posti barca; porto di Pastena: 450 posti barca (di cui 50 per pescherecci); porto Litoranea Orientale: 1.000 posti barca. 6 L’area oggetto dell’intervento è situata lungo la sponda destra, in corrispondenza della foce, a ridosso della strada Sp 175 Litoranea e della fascia pinetata, in una zona pianeggiante, della superficie di circa 150 ha. L’intervento riguarda la progettazione di un attracco per circa 450 posti barca. 7 decisioni sovraordinate in ambito Ue e di governo nazionale o, quantomento, far parte del piano infrastrutture per il Mezzogiorno ed essere promosso e sostenuto dalla Regione nei propri piani generale (Ptr) e di settore (piano regionale dei trasporti).

Il progetto per il waterfront centrale di Palermo come motore di rigenerazione urbana Barbara Lino* * Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura di Palermo Abstract La rigenerazione del waterfront di Palermo è parte di un più ampio programma innovativo “Porti&Stazioni” finanziato dal Ministero delle Infrastrutture e che vede il partenariato attivo dell’Autorità Portuale e del Comune. La visione guida proposta individua nell’area di trasformazione integrata del Waterfront Centrale, strettamente connessa con la città storica e con le antiche borgate, una delle aree più feconde di creatività urbana che con il suo addensarsi di valori e contraddizioni alimenta il progetto complesso della rigenerazione della città. Attraverso la descrizione di un’esperienza di “sperimentazione riflessiva” condotta nell’ambito del progetto per il waterfront della città ed il nuovo Piano Regolatore Portuale, si intende mettere in evidenza opportunità e criticità che le trasformazioni dei waterfront urbani pongono in rapporto tanto alle relazioni che si delineano, all'interno di processi di pianificazione, tra i diversi soggetti competenti e strumenti urbanistici, quanto alle ricadute dei progetti in relazione alla possibilità di favorire l’interazione funzionale tra città e porto, la creazione di aree di “interfaccia” e definire, attraverso il progetto del micro-tessuto connettivo degli spazi pubblici, nuove relazioni spaziali, funzionali e identitarie in grado di rispondere alla domanda di stili di vita contemporanei.

Dal dibattito sul recupero del rapporto città-porto al nuovo Piano regolatore portuale Il Waterfront Centrale di Palermo è un’estesa fascia costiera di circa cinque chilometri che comprende le antiche borgate marinare a nord della città, connette il porto industriale, commerciale e crocieristico, ingloba l’antico porto della Cala, cuore storico della antica città portuale e il parco urbano del Foro Italico, oggi fronte a mare del Centro Storico fino ad arrivare alla foce del fiume Oreto. Lungo questo tratto di costa si propongono con evidenza le problematiche derivate negli anni da un negato rapporto tra la città, il suo porto e il suo fronte a mare e dalla concentrazione e sovrapposizione di molteplici interessi e funzioni che richiedono strumenti che mettano in campo azioni complesse e integrate tra le diverse autorità gestionali.

Figura 1 Il waterfront centrale di Palermo (foto di Sandro Scalia)

Il processo di recupero del waterfront che ha preso avvio con la riqualificazione dell’area del Foro Italico nel 2004 e ha poi trovato un ulteriore impulso nel 2006 con la sezione speciale della 10. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, ha trovato nel nuovo Piano regolatore portuale redatto dall’Autorità Portuale uno strumento capace di integrare e facilitare entro un quadro di coerenza generale molti dei più importanti processi di pianificazione della città. La Legge n. 84/1994 ha dato ai piani regolatori dei porti una nuova prospettiva: questi non si pongono più come semplici programmi di opere marittime e infrastrutturali, ma vanno intesi come articolati e complessi processi di pianificazione e gestione per contribuire allo sviluppo delle economie portuali e territoriali.

Figura 2 Il nuovo layout del waterfront Il PRP (fig. 2), oggi completato e in corso di approvazione, si propone non più come un piano settoriale, come un più ampio piano strutturale che

mira ad una nuova Palermo “liquida” alimentata da un efficace sistema portuale ma anche da una rinnovata interazione tra città e waterfront. Il suo dimensionamento è fatto da un duplice ragionamento. Da un lato esso mira a non espandere la superficie complessiva dell’area portuale puntando ad una migliore razionalizzazione delle aree destinate alle attività portuali commerciali e industriali; l’unificazione dei porti di Palermo e Termini Imerese infatti consentono di individuare aree di espansione per le attività commerciali nel porto di Termini, alleggerendo il ruolo commerciale e industriale del porto urbano di Palermo. Dall’altro lato esso mira ad aumentare le superfici delle aree destinate alla nautica da diporto, ai servizi, al tempo libero in modo da “aprire” il porto alla città e ad aumentare la quantità e la qualità di spazi di “waterfront urbano”. Questo obiettivo è perseguito grazie alla riqualificazione complessiva dei tessuti urbani che si relazionano al mare e la progettazione dei nuovi “innesti” città-porto e ad azioni capaci di fare interagire le due parti alimentando questo rapporto di un reciproco e positivo effetto di riverbero. Il PRP articola l'aerea portuale attraverso tre tipologie di porti, indispensabili alla definizione dei successivi progetti esecutivi e del progetto urbano: il “porto liquido”, totalmente immerso e ramificato entro il tessuto urbano, identificato dalla nautica da diporto e dai servizi culturali e per il tempo libero, interconnesso alla città; la seconda tipologia è il “porto permeabile”, cioè l'area per la crocieristica e per il traffico passeggeri con una stretta relazione di interscambio con la città e con il sistema stradale sebbene filtrato dalla separazione delle funzioni; infine la terza tipologia è quella del “porto rigido”, cioè della “macchina portuale” impermeabile alle contaminazioni urbane (se non quelle funzionali) e protetta nel suo perimetro per consentirne l'efficienza e la sicurezza.

Figura 3 Le aree bersaglio e le aree di interfaccia

L’interazione città-porto si concretizza attraverso l’identificazione delle aree di “interfaccia” urbano-portuale (fig. 3). La destinazione d’uso in termini di funzioni primarie, secondarie e compatibili delle aree d’interfaccia è stabilita dal PRP ma la loro realizzazione dovrà essere sottoposta ad una pianificazione particolareggiata e progettazione urbana

capace di sottrarre queste aree a dinamiche immobiliari incontrollate, di approfondire la progettazione nella direzione di un maggiore controllo della qualità dello spazio pubblico e delle architetture di progetto. Il Comune invece, nell’ambito territoriale di sua giurisdizione e competenza e in sinergia con l’Autorità portuale, ha individuato alcune aree definite “Aree bersaglio” per le quali sono proposti alcuni indirizzi strategici relativi alle funzioni e alle configurazioni in modo da orientare la nascita di nuove centralità urbane coerenti e integrate rispetto alle funzioni portuali ed urbane prescritte per l’area portuale di immediata interfaccia.

Figura 4 Riqualificazione dell’antico porto della Cala

In attesa della adozione del piano, nelle aree che il PRP individua come “Aree di interfaccia” sono stati avviati alcuni primi tasselli di trasformazione compatibili con lo strumento vigente. L’Area Crociere che secondo il nuovo piano vedrà arretrare il recinto portuale e creare una fascia di interfaccia con funzioni miste città-porto è stata oggetto di un progetto di restyling interno della stazione Marittima, mentre, l’area dell’antico porto della Cala, ha visto la razionalizzazione ed il recupero degli spazi del porticciolo esistente e la creazione di alcuni servizi di supporto alla nautica (fig. 4)1. L’area archeologica del Castello a mare, adiacente al porto della Cala e il cui futuro secondo il PRP dovrà essere quello di un parco archeologico la cui fruizione possa essere strettamente legata all’incremento delle attività da diporto della Cala oggi è in uno stato avanzato di recupero e sede di attività culturali. Nonostante l’avvio di alcuni progetti2 compatibili con il PRP vigente, la rallentata fase attuativa del piano

1 In base al layout definito dal PRP l’attuale bacino della Cala sarà modificato in seguito al prolungamento del molo a nod est diventando una darsena in grado di accogliere1.000 posti barca. 2 Oltre al progetto di sistemazione della Cala e della Stazione Marittima è stato indetto un concorso di idee per il recupero e la rifunzionalizzazione per usi ricreativi connessi alla nautica e alla croceristica di due Gru poste sul Molo Trapezoidale, in adiacenza all’attuale parco archeologico del Castello a mare e, a maggio 2011, è stato consegnato alla città un edificio portuale per ospitare mostre di arte contemporanea e attività culturali, denominato “DOCK 7” e situato in un’area prossima ai Cantieri Navali in quello che il PRP destina a diventare un nuovo polo culturale della città.

lascia irrisolte molte questioni complesse che richiedono di essere ricondotte entro visioni ampie e condivise quali l’alleggerimento del traffico pesante sulla viabilità, la questione della permeabilità tra l’area portuale vera e propria ed i tessuti urbani adiacenti e integrate in altri strumenti di pianificazione della città. Considerazioni conclusive Le riflessioni maturate chiedono con sempre maggiore evidenza che gli strumenti analitici e progettuali messi in gioco nei processi di trasformazione di aree di waterfront portuali siano in grado di produrre tanto efficienza infrastrutturale e opportunità economiche quanto qualità degli spazi pubblici, sostenibilità ambientale, controllo delle pressioni di valorizzazione immobiliare e coesione sociale. Gli interventi di trasformazione di queste aree sono in grado di rimettere in gioco aree “marginali” e di cambiare profondamente equilibri e dinamiche urbane determinando assetti capaci di influire profondamente sui modelli di funzionamento e sugli scenari di sviluppo della città nel suo complesso. Emerge l’importanza del superamento di approcci esclusivamente settoriali e la necessità di una gestione delle trasformazioni urbane e delle aree di waterfront che assuma un’ottica sinergica e integrata. Le diverse competenze in tema di regime dei suoli tra autorità portuali e comunali mettono al centro delle riflessioni la natura degli strumenti urbanistici, nonché il tema della conflittualità di ambiti di competenza e soggetti in gioco nei processi di gestione. L’elevato potenziale speculativo delle aree in gioco determinano spesso un approccio che tende a massimizzare la redittività degli investimenti e a prevedere assetti spaziali e funzionali che prediligono forme di spazio controllato o “parzialmente pubblico” (servizi per la diportistica, spazi commerciali chiusi, club house, etc.). I processi che accompagnano la formazione e l’approvazione degli strumenti urbanistici dovrebbero essere in grado di mediare il delicato nodo tra pubblico e privato, favorendo la restituzione di aree di waterfront alla città ove non fondamentali rispetto alle logiche di sviluppo commerciale della infrastruttura portuale. Il PRP di Palermo attraverso l’individuazione delle “aree di interfaccia” e delle “aree bersaglio” da un lato e gli interventi sul riassetto del sistema dell’accessibilità all’altro, assume un’ottica “strutturale” che abbandona la settorialità mirando a integrare le politiche attinenti la mobilità e l’interazione porto-città, inquadrando le visioni di progetto in scenari più ampi, nell’intento di gestire la complessità del sistema urbano in un progetto integrato e sostenibile di territorio. Bibliografia

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Sessione tematica: Fruizione dei litorali e qualità degli spazi pubblici sul mare Qualità e fruizione degli spazi nelle nuove sistemazioni del litorale barese Francesco Marocco, Marianna Simone* * Quantunque esito di una riflessione comune, tuttavia è da ascrivere a Francesco Marocco la stesura del paragrafo 1, e a Marianna Simone quella del paragrafo 2.

1. Bari e la costa: la necessità di una transcalarità dello sguardo per riconoscere un carattere identitario

La questione della qualità e fruizione degli spazi nelle nuove sistemazioni del litorale barese è vicenda complessa e interessante che va inquadrata attraverso uno sguardo che faccia dell’interscalarità dell’osservazione un presupposto fondamentale per comprendere appieno le relazioni tra Bari e il suo fronte marittimo. Non si può parlare delle trasformazioni che si sono condensate sul litorale barese negli ultimi vent’anni, senza ampliare l’estensione dello sguardo fino a inquadrare la sponda opposta dell’Adriatico. L’ambiziosa visione di Gateway City, punto fondamentale delle Reti Transeuropee e Paneuropee nel collegamento con i paesi dell’area Balcanica e dell’Europa Orientale, è l’immagine con la quale Bari si confronta e dalla quale trae il senso che sottende alcune delle sue trasformazioni e direttrici di sviluppo degli ultimi decenni. E’ opportuno specificare che non si tratta solo di trasformazioni fisiche, ma anche di quei processi culturali e politici di partecipazione civile, di rinascita e inclusione sociale che trovano il proprio simbolico avvio proprio nel drammatico confronto con il versante balcanico dell’Adriatico, in occasione dello sbarco della Vlora nel Porto di Bari dell’8 agosto 1991: l’arrivo in città dei ventimila profughi albanesi in fuga dalla dittatura, accolti dal popolo e dalle Istituzioni baresi con un inedito e spontaneo senso di solidarietà, viene infatti sempre più frequentemente considerato come il primo seme di quella Primavera Pugliese che germoglierà nel 2004 e che proprio dell’apertura verso il Mediterraneo farà un suo tratto distintivo. Da quel momento in poi, Bari si mostra più cosciente della propria posizione geografica e della vocazione di Porta d’Oriente che negli anni le politiche comunitarie rafforzano e a cui corrispondono la dotazione e il potenziamento infrastrutturale (ampliamento del porto, realizzazione dell’interporto e del nuovo aeroporto, tra gli altri) che la rendono più competitiva nel confronto con il bacino del Mediterraneo. Pur con la correzione di tiro dovuta alla recente crisi economica dell’area Euro che ha portato al ridisegno

delle geografie di collegamento tra i paesi europei e alla conseguente chiusura di alcuni dei Corridoi, Bari, assieme a Taranto e Brindisi, continua invece a costituire un elemento strutturante per il nuovo assetto trasportistico nazionale ed internazionale previsto, dando vita, anche nel disegno del Programma Operativo FESR 2007-2013, a una piattaforma logistica di estrema rilevanza in ambito euro-mediterraneo, in grado di intercettare, servire, distribuire, e trasformare merci che si muovono sulle rotte intercontinentali grazie ad una consistente disponibilità di porti e aeroporti interconnessi efficacemente tra loro. A questa visione di larga scala che rinsalda il rapporto tra Bari e il suo fronte litorale come “porta”, se ne affianca un’altra, più mirata, che mette a fuoco una città capace di cogliere nei finanziamenti comunitari (PIC Urban) e persino in alcune operazioni di marketing urbano (Bari ospita i Giochi del Mediterraneo 1997) l’occasione per ripensarsi, soprattutto nel rapporto che il territorio comunale, la cui estensione costiera sfiora i trenta chilometri (pur a fronte di una superficie complessiva tutto sommato contenuta di circa undicimila ettari) instaura con il proprio litorale. La linea di costa diventa l’elemento unificante delle esperienze di rigenerazione urbana e il catalizzatore degli investimenti di risorse trasferiti sul capoluogo barese, con gli esiti descritti nel secondo paragrafo. Questa visione del mare come qualità primaria e distintiva del territorio barese diventa fondante anche in tutti gli strumenti di pianificazione che alle diverse scale, hanno investito il territorio barese negli ultimi anni, nel seno di una rivoluzione culturale riformista avviata dal Governo Regionale, per una pianificazione integrata, partecipata e pattizia. Tra il Piano Paesaggistico Territoriale Regionale, il Piano Strategico di Area Metropolitana Bari 2015 e la redazione del Documento Programmatico Preliminare in ottemperanza alla nuova Legge Urbanistica che disciplina il passaggio dai vecchi Piani Regolatori ai nuovi Piani Urbanistici Generali, si sta finalmente producendo quella necessaria discontinuità urbanistica con l’eredità lasciata dal Piano Generale ancora vigente di disegno quaroniano: un piano che, pur nella sua ambiziosa grandezza e nell’importanza esemplificativa di una intera stagione dell’urbanistica italiana, mai aveva colto nel rapporto tra città e mare il senso di un carattere identitario del territorio barese. Se nell’intero testo della Relazione di Piano redatta da Ludovico Quaroni, la parola mare non viene menzionata neanche una volta, il PPTR, il Piano Strategico e il DPP interpretano invece la litoraneità del comune barese come un elemento patrimoniale identitario e da valorizzare alle diverse scale: da uno dei cinque progetti territoriali dello scenario strategico del PPTR (figura 1), dalla istituzione del progetto Perle del Mediterraneo nel Piano Strategico Bari 2015 (figura 2) e dalla Carta dello Schema Strutturale Strategico del DPP del Comune di Bari (figura 3).

(figura 1 – PPTR Puglia: La valorizzazione e la riqualificazione integrata dei paesaggi costieri)

(figura 2 - MTB2015_Le perle del Mediterraneo)

(figura 3 – DPP Bari_Carta dello Schema Struttural Strategico)

2. La città e il mare: 15 anni di trasformazioni Il volto di Bari verso il mare è stato protagonista dei più rilevanti interventi di trasformazione urbana che hanno

avuto luogo a partire dalla fine degli anni ’90, fino ai giorni nostri (figura 4).

(figura 4 – Le nuove sistemazioni del litorale barese_XIIGdM e PIC URBAN 1)

I XII Giochi del Mediterraneo, che Bari ha ospitato nel 1997, sono stati occasione non solo per potenziare la dotazione di infrastrutture a carattere sportivo della città (lo Stadio della Vittoria con la Piazza Mediterranea, le Piscine Comunali, il Centro Universitario Sportivo, il Bacino per gli Sport Nautici), peraltro site sul litorale o nelle sue immediate prossimità, ma anche per riqualificare e attrezzare segmenti di costa in abbandono e restituirli alla cittadinanza. Si tratta delle Spiagge Comunali di Pane e pomodoro e Torre Quetta, costa sud di Bari, che, forti della loro ubicazione quasi nel centro cittadino e, dunque, della loro accessibilità, costituiscono attualmente i più affollati siti di balneazione, nonché luoghi di ritrovo con discrete capacità attrattive tutto l’anno. Pressoché contemporanei ai GdM, gli interventi messi in atto con il Programma di Iniziativa Comunitaria URBAN 1, che hanno completamente recuperato il Borgo Antico, un quartiere a forte degrado infrastrutturale e sociale. In aggiunta alla sistemazione delle piazze Mercantile e del Ferrarese (con la Sala Murat e il Mercato Ortofrutticolo che vi si affacciano) ad oggi centri della movida barese, sono stati riqualificati la Muraglia fino al Fortino di Sant’Antonio, il Mercato Ittico di Sant’Antonio, lo Scalo di alaggio San Nicola. Se si riflette su come, nel cluster di Bari. Dossier statistico a cura di RUR e CENSIS (2011), la città sia salvata dalla marginalità essenzialmente grazie alla sua qualità di piazza commerciale (oltre che alla densità della sua popolazione) e su come, nel ranking di Les villes europèenne. Analyse comparative (2003), faccia un balzo in avanti in virtù della presenza del porto (oltre che delle dimensioni delle sue istituzioni universitarie), appare di cruciale importanza il modo in cui Bari si relaziona alla risorsa porto.

Il Piano Strategico MTB2015 inserisce Bari nel sistema portuale integrato dei principali comuni costieri della sua area metropolitana, attribuendo al capoluogo una preminenza di rango e di compresenza di funzioni. Il sistema portuale barese mostra, infatti, due vocazioni, commerciale e turistica, con quella turistica in un trend saldamente positivo negli ultimi anni. In seno ai PIAU (Programmi Innovativi in Ambito Urbano per la ‘Riqualificazione di zone adiacenti alle stazioni ferroviarie delle grandi città e delle zone limitrofe alle maggiori aree portuali’) è stata condotta la terziarizzazione di alcune aree e strutture del porto: la riconversione del Palazzo della Dogana in un Centro Congressi, la realizzazione del nuovo Terminal Crociere e della Colmata di Marisabella. Resta tuttora da sciogliere il nodo della portualità turistica. Rispetto a una prima proposta, che vedeva l’approdo turistico collocato in corrispondenza di Piazza Diaz, verso sud, sembra ora prevalere la prospettiva della strutturazione di un porto turistico attrezzato a nord, presso il Molo di San Cataldo. Scenario quest’ultimo attualmente più verosimile, poiché sostenuto anche dagli Studi di Fattibilità per l’area nordoccidentale di Bari, che il Comune ha commissionato nel 2010 al Politecnico di Bari, a partire da un finanziamento del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per l’implementazione delle reti infrastrutturali. Tali Studi di Fattibilità hanno ancora una volta per oggetto progetti, a diverso livello di definizione e stato di attuazione, che insistono sull’area litoranea urbana e sul suo immediato retroterra: Waterfront del Quartiere San Girolamo, Approdo turistico di San Cataldo, Viabilità Camionale di collegamento fra porto e autostrada, Centro Congressi alla Fiera del Levante, Parco della Vittoria, Nuovo Palazzo di Città. Analoga irrisolutezza mostrano gli esiti della nota vicenda legata alla costruzione dell’ecomostro di Punta Perotti (figura 5).

(figura 5 – L’abbattimento di Punta Perotti) Più delle vicissitudini giudiziarie, concluse con l’abbattimento del complesso nel 2006, appare rilevante la destinazione d’uso che è stata data al sito successivamente alla spettacolare demolizione dei palazzi. Il ‘Parco della Legalità’ se da un lato contribuisce a risarcire Bari della sua cronica mancanza di aree verdi e parchi, appare, tuttavia, come una soluzione a metà, un tentativo timido ed elusivo di strutturare il fronte a mare della città a sud, per il quale il PS MTB2015 prevede, oltre all’istituzione del parco, la creazione di un polo museale dedicato all’arte contemporanea. Meritano una citazione anche i concorsi internazionali di progettazione che sono stati promossi negli ultimi anni per il nuovo Museo Archeologico nel complesso del Monastero di Santa Scolastica, nel Borgo Antico, e per la riqualificazione del fronte a mare del quartiere San Girolamo, oggetto, peraltro, di un Piano di Rigenerazione Urbana.

3. Riflessioni conclusive A fronte di un’innegabile sinergia dei diversi livelli di pianificazione, in quella che si suole definire come ‘la nuova stagione urbanistica pugliese’, va ribadita la necessità di tutelare le rare discontinuità nel costruito e gli elementi naturali che strutturano il paesaggio e ne caratterizzano l’identità, quali le lame e gli spazi della periurbanità. Occorre, inoltre, che Bari operi un chiarimento di identità, che si interroghi sulla ‘vocazione’ di alcune sue aree e persegua strategie univoche. La riqualificazione dell’esistente, l’affiancamento di iniziativa pubblica e privata, lo stretto controllo della qualità dei progetti che le procedure concorsuali consentono, la determinazione nel portare a compimento le iniziative di progettazione e pianificazione che si intraprendono, appaiono, alla luce delle esperienze sin qui illustrate, le strategie vincenti praticabili.

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RIQUALIFICAZIONE AMBIENTALE E SOSTENIBILE DEL FRONTE MARE DI PALAU

Committente Comune di Palu (OT)

Architetto incaricato: Giovanna Piga _ Professore Aggiunto presso la Philadelphia University di RomaGruppo di progettazione: Alessandro Lanzetta, Alexsios Tzompanakis, Lucia Sorrentino

Palau è sicuramente il paese della Gallura costiera, nella Sardegna nord-orientale, che presenta gli aspetti paesaggistici più interessanti.La particolare conformazione della costa, il lungomare che si snoda fra due pinete creando un'affascinante insenatura naturalmente protetta e circondata dalla collina, lo splendido scenario in cui è inserito e di cui è il privilegiato punto di osservazione, sono sicuramente gli elementi morfologici più rilevanti che consentono al paese di mantenere il suo fascino e la sua attrattiva turistica a livello internazionale.Questi caratteri idrogeologici, geomorfologici e paesaggistici unici al mondo, insieme alla qualità morfologica, architettonica e spaziale del tessuto urbano consolidato, sono alla base del presente studio che si pone l’obiettivo generale di individuare una strategia progettuale per la riqualificazione del fronte mare con l'intento di avvicinare il centro urbano al porto e al lungomare, completando e arricchendo la sua struttura. Obiettivo da raggiungere attraverso la valorizzazione e qualificazione del patrimonio edilizio esistente e degli spazi urbani di uso pubblico e privato e attraverso la diversificazione tipologica degli edifici e degli spazi intermedi sotto il profilo architettonico e formale.

Stato attuale vista aerea

STORIA DEI LUOGHI - INSERIMENTO URBANISTICO E AMBIENTALE

L’analisi urbana e ambientale ha evidenziato la permanenza dell’impianto insediativo originale; il vecchio nucleo si è costituito a ridosso di una strada

provinciale, l’attuale via Nazionale.In prossimità del molo sulla sinistra della strada principale sorse nel 1875 palazzo Fresi, il primo edificio importante, determinando gli indirizzi insediativi iniziali e lo sviluppo del paese su questo lato della strada. Sul lato destro la particolare conformazione della costa generava uno "stagno" che fu necessario bonificare prima di potere avviare qualsiasi forma di insediamento.La strada provinciale terminava a mare con un molo sul quale confluivano i binari della ferrovia proveniente da Tempio Pausania.

Il paese ha continuato a svilupparsi lungo i due lati della strada che tutt'oggi conserva le caratteristiche di strada provinciale senza riuscire a diventare "corso" o arteria urbana.Il vecchio molo è stato sostituito nei primi anni '60 dall'attuale porto commerciale, la bonifica dello stagno ha portato all'utilizzo a vario titolo dell'ampia area a disposizione e attualmente, in attesa di una soluzione migliore, adibita a parcheggio. Lungo i bordi è stato realizzato il porto turistico, incuneato nell'ambiente urbano e in un'insenatura naturale riparata dai venti principali.Le aree che caratterizzano il profilo costiero nel tratto di costa tra le due pinete sono da nord a sud: la spiaggia di Palau Vecchio e il lungomare su cui affaccia parte del paese più antico, dominato da spettacolari formazioni granitiche, il porto commerciale e il porto turistico.

Questa sequenza di spazi assume nelle città di mare un ruolo fondamentale sia dal punto di vista urbanistico, per le relazioni spaziali che si creano tra il tessuto cittadino e il suo limite a mare, sia dal punto di vista sociale ed economico, per le innegabili occasioni e prospettive turistiche che si offrono.A Palau il lungomare si presenta frammentato e isolato dal proprio contesto urbano, indifferente alla presenza del mare e di un paesaggio marino irripetibile.Due importanti episodi urbani lo caratterizzano: piazza del Molo e lo stagno.Piazza del Molo è oggi uno spazio di risulta, parte terminale di via Nazionale che si allarga per ospitare disordinatamente alcuni edifici che un tempo erano i servizi del porto, riutilizzati per attività commerciali. Spicca la tipologia lineare del vecchio magazzino del porto, segno forte in grado di sostenere da solo la continuità con via Nazionale. La peculiarità di questo spazio è quella di chiudersi rispetto al mare, gli edifici presenti sono rivolti verso l'interno, nessuno di essi sembra preannunciare l'esistenza, così vicina, di un porto. Oltrepassata la piazza del Molo sulla destra alla linearità del porto turistico si contrappone il margine urbano di via di Fonte Vecchia. Questo margine, un tempo limite del paese attorno allo stagno, si presenta oggi sfrangiato, casuale e totalmente privo di relazioni con l'ampio spazio riconquistato al mare, che mette in evidenza la mancanza di relazione sia fisica sia percettiva tra il centro urbano e il porto turistico.

IL PROGETTO DEL LUNGOMAREIl progetto di riqualificazione del lungomare intende promuovere la fruizione del paesaggio naturale ed urbano attraverso spazi e percorsi pubblici, pedonali e ciclabili in grado di colmare la distanza tra il paese ed il mare.

Modello generale1. Lungomare pedonale, 2. Pista ciclo-pedonale, 3. Piazza del Molo, 4. Piazza dello Stagno, 5. Ampliamento Porto Turistico, 6. Ampliamento Porto Commerciale, 7. Nuova Darsena barche da traffico, 8. Nuovo Molo navi da crociera

Le scelte progettuali si possono così riassumere:

1. integrazione del Centro Urbano con il Lungomare mediante una sequenza di spazi ed edifici pubblici che consentano la compenetrazione del tessuto edilizio esistente con il nuovo;

2. realizzazione di due importanti spazi pubblici/piazze: la nuova piazza del Molo e una grande piazza urbana nell'aria dell'ex stagno;

3. realizzazione di attrezzature culturali e del tempo libero di forte richiamo, mediante il recupero di alcuni edifici storici di rilievo e la progettazione di nuovi;

4. ampliamento del porto turistico per l'ormeggio di grandi yacht e barche di rappresentanza che aumentino la capacità e qualità ricettiva della marina di Palau;

5. realizzazione di un nuovo molo per l'attracco dei traghetti per La Maddalena;

6. realizzazione di una nuova darsena con pontile panoramico per l'ormeggio delle barche per le isole minori;

7. collegamento delle due pinete Palau Vecchio e Punta Nera mediante una passeggiata pedonale/pista ciclabile sul bordo del mare lungo la quale si snodino i nuovi spazi pubblici;

8. collegamento del Lungomare con l'entroterra attraverso una "linea verde" che riprenda il percorso dei binari ferroviari in dismissione;

9. eliminazione del traffico automobilistico da e per La Maddalena mediante un sottovia che segua parallelamente il lungomare dello Stagno, per proseguire sotto Piazza del Molo e poi ancora sotto l'attuale tracciato stradale del Lungomare di Palau Vecchio per sbucare sullo svincolo in uscita dal paese;

10. verifica della fattibilità e coerenza di possibili sistemazioni delle aree pubbliche per attività di servizio pubblico, verde e parcheggi;

11. studio di tutte le possibili connessioni con la viabilità locale del retrostante centro abitato.

Piazza del MoloNella piazza, l'edificio dei vecchi magazzini del porto prosegue il fronte degli edifici di via Nazionale. Insieme all'edificio della vecchia stazione costituiscono le uniche emergenze architettoniche di pregio esistenti.La nuova piazza si imposta concettualmente sull'edificio degli ex magazzini assegnandogli il ruolo di fondale di una nuova scena offerta dal mare e da tutto l'arcipelago.Dal fronte dei magazzini si allunga un asse, un percorso, una rampa che diventa pontile panoramico, elemento di connessione tra la piazza e il mare. Tutta la piazza mantiene la quota attuale dell'imbocco con via Nazionale e si collega alla quota più bassa del porto con alcune rampe.Questo permette di creare una terrazza affacciata sul mare in due direzioni: verso nord, lungo l'asse del pontile, e verso est, utilizzando come quinte gli esistenti edificio dell'ex dogana e del bar.La differenza di quota tra la nuova piazza e il porto, permette di ricavare un basamento che ospita servizi per il porto e per la darsena delle barche da traffico e un piccolo parcheggio.Si prevedere inoltre di utilizzare questo spazio seminterrato per l'attraversamento di un percorso veicolare per il traffico locale non diretto a La Maddalena.

Piazza del Molo - vista dal mare

Piazza del Molo - vista verso La Maddalena

Piazza dello StagnoLe dimensioni, la particolare morfologia e la storia di questo luogo lo rendono determinante per il futuro assetto urbano dell'intero paese.Il progetto interpreta lo schema viario imperniato su via Nazionale che nel tratto tra l'incrocio con via Capo d'Orso e la chiesa è parallelo all'asse principale del porto turistico a cui si collega attraverso l'asse di via Sportiva. Proseguendo questo asse si forma un secondo "pontile panoramico" su cui è impostata una trama che regolarizza e misura lo spazio, definisce gli elementi di penetrazione e di sfondo, ricuce il margine indefinito e sfrangiato di via Fonte Vecchia, organizza una serie di vuoti e di pieni fra loro concatenati e proporzionati.Il pontile panoramico in questo caso è un edificio lungo con un tetto praticabile che si protende in aggetto verso il porto turistico; divide senza interromperlo l'enorme spazio creando su un lato uno spazio leggermente ribassato e in parte verde che ospita un parco giochi e sull’altro una piazza urbana che si apre verso il mare.La delimitazione verso il mare è costituita da una quinta urbana, margine estremo dell'ambiente costruito e contemporaneamente fronte attrezzato a disposizione e servizio del porto turistico.

Piazza dello Stagno - vista da nord

Il porto turisticoL'ampliamento del porto turistico è il punto di partenza per la riqualificazione di tutto il lungomare. Lo studio prevede interventi di ampliamento e di nuova realizzazione, utilizzando l'insenatura naturale e l'aggiunta di una darsena a nord, in prosecuzione di una esistente banchina del porto commerciale. L’impianto generale deriva dal rispetto dell’insenatura naturale e della spiaggia adiacente e dalla volontà di attribuire al lungomare una valenza compositiva, un ruolo guida nella riconfigurazione fisica del luogo e nella ricostruzione del rapporto terra-mare.Morfologicamente e funzionalmente l’elemento che caratterizza l'ampliamento del porticciolo è certamente la difesa a mare, immaginata come una lunga barriera al moto ondoso che favorisce la permanenza di grandi imbarcazioni da diporto e l'ormeggio di navi da crociera Una diga foranea si svilupperà perpendicolarmente alla banchina commerciale esistente delimitando lo spazio acqueo riservato alle imbarcazioni. Sarà percorribile ed attrezzata come una vera passeggiata accessibile dal lungomare. Questo percorso sulla difesa a mare offrirà

uno scenario unico da un punto di osservazione privilegiato, un panorama amplissimo verso il promontorio dell'Orso, la pineta di Punta Nera, la spiaggia dell'Isolotto e le isole dell'arcipelagoLa scelta formale è dettata dalle notevoli caratteristiche naturali e paesaggistiche del sito, che richiedono un intervento a basso impatto ambientale e dalla volontà di proteggere la marina dai venti e dalle correnti permettendo eventualmente la separazione delle due darsene, vecchia e nuova.

Il porto commercialeIl porto commerciale dovrà in futuro servire unicamente il traffico da e per La Maddalena e l'eventuale ormeggio di navi da crociera.Per l'ampliamento si prevede l’estensione dell'attuale molo di 30 m verso nord dalla quale si diparte un pennello lungo 80 m e la predisposizione ad est una nuova banchina di 70 m in grado di ospitare fino a cinque ormeggi per traghetti. Lo sdoppiamento della nuova diga foranea del porto turistico fornisce inoltre una banchina di 120 m per l'attracco di navi da crociera.

Darsena OvestLa realizzazione di una diga foranea a nord consentirà un migliore utilizzo dell'insenatura naturale esistente sul lato ovest del molo commerciale, come darsena per le barche da traffico. La sua organizzazione ruota intorno al nuovo pontile panoramico, estensione a mare del percorso pedonale che si imposta su Piazza del Molo. Sul pontile si prevede la realizzazione di un bar panoramico e di servizi per le barche da traffico.

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Ponente Intelligent Coast

SPAZIO PUBBLICO E QUALITA’ DELLA CITTA’ MEDITERRANEA I paesaggi della Riviera ligure tra continuità, modificazioni e permanenze «La Riviera dei Fiori è stata uccisa, e i morti non risorgono. I cantieri edili hanno ripreso in pieno i lavori, a centinaia e più probabilmente a migliaia, ovunque. La bara di cemento sta diventando sempre più mastodontica. La grande maggioranza dei cittadini rivieraschi la guarda con soddisfazione: una grande bara monumentale, alta, imponente, moderna, come si conviene ai ricchi. Qualcuno ha anche detto e scritto che anche questo è il progresso...»1

Con queste parole, nel 1961, il giornalista de L'Europeo Gianni Roghi, introduce un’inchiesta sull’allarmante situazione della costa ligure di ponente, con lo scopo di documentare «...la porzione tra centro urbano e zona non abitata compresa tra Sanremo ed Arenzano...» Da questo curioso esperimento, condotto negli anni più dirompenti della frenetica e dissennata attività edilizia che trasformerà profondamente il paesaggio costiero di una delle aree più straordinarie del Mediterraneo, si evince che su un totale di 124 chilometri, quelli non abitati sono solo 35. Da cui la constatazione definitiva che «...La costa della Riviera dei Fiori é una muraglia di case per quasi 90 chilometri, ovvero il 72% del panorama complessivo...». La città continua, sgranata nelle sue pause, comincia a delinearsi, invasiva in un paesaggio costiero che disperde il proprio carattere nei tratti ordinari di una forma che non gli è più propria.

Tuttavia, sorge spontaneo chiedersi se la Riviera ligure sia morta davvero e il suo carattere peculiare irrimediabilmente perduto, o se tra le pieghe di un paesaggio antropizzato non risaltino ancora, tra Io scorrere ordinario dei caseggiati, frammenti incompiuti, aree in attesa di una definizione e pause eloquenti in grado di esprimere ancora grandi valori ambientali? Si dovrebbe partire da qui per rimuovere e riscattare in una nuova inquadratura, nell’inquietante analogia con l'inchiesta condotta nei primi anni '60, la prossima ondata speculativa che minaccia, ancora una volta, la Riviere, come riportano i dati di Legambiente che vede la Liguria al sesto posto della classifica

1 G. ROGHI, 'Inchiesta sulla costa ligure di ponente' , in

'L'Europeo', n.53, 1961

nazionale nella cementificazione costiera, con 1027 infrazioni accertate nel 2009.2

La sequenza della città che scorre lungo il mare è di ordine complesso. Alterna insediamenti strutturati nel tempo con grappoli di edilizia diffusa, incombenti intensivi con spazi sospesi nel limbo del residuale. Riordinare il paesaggio svariante lungo la linea che lambisce la riva. Ricucire le orditure sconnesse che collegano la costa elevata e il litorale. Aprire verso visuali più ampie le inquadrature ristrette degli insediamenti che si addensano lungo il mare. Questi sono alcuni dei presupposti che la ricerca, qui descritta, si è data per indagare continuità, modificazioni e permanenze di quei caratteri peculiari di un tratto di costiero che deve saper rileggere se stesso per non smarrire la propria riconoscibilità.

(PIC)ITY _ Ponente Intelligent Coast City (PIC)ITY è una ricerca universitaria finanziata dalla Regione Liguria, dalla Provincia di Savona e da 8 Comuni del ponente ligure, coordinata dal Prof. Arch. Franz Prati, dal Prof. Arch. Mosé Ricci e dall' Arch. Gianluca Peluffo, che studia le dinamiche ed esplora gli scenari tendenziali di sviluppo di un sistema costiero di 25 km compreso tra Arenzano e Vado Ligure. Obiettivo fondamentale del lavoro è quello di costruire un modello interpretativo di città non più riferita ai singoli contesti locali, ma ad una conurbazione lineare di 25 km che si inserisce in un sistema territoriale, morfologicamente complesso e ben più ampio, denominato ‘Arco latino’, in cui le dinamiche insediative della città infinita3

2 Rapporto 'Mare Mostrum' LEGAMBIENTE 2009

entrano in conflitto con realtà più deboli e instabili. Dare visione ai processi di trasformazione in atto e costruire scenari di partecipazione fra le diverse amministrazioni fa si che proprio i contesti marginali, le realtà periferiche, i vuoti urbani o le aree dismesse diventino occasioni importanti per lo sviluppo sostenibile del territorio. Vengono così indagati il rapporto tra la popolazione, il tessuto urbano e il paesaggio naturale, tra le attività

3 A. BONOMI, A. ABRUZZESE, 'La città infinita', Milano, Bruno Mondadori, 2004

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economiche insediate - specialmente del settore nautico - e la città, tra le infrastrutture, i tempi di percorrenza, l'accessibilità alle spiagge e il turismo - inteso sia in termini di dotazioni offerte, che di stagionalità degli usi - nonché le relazioni tra la costa e l'immediato entroterra. Un ruolo centrale è dedicato al progetto dello spazio pubblico quale elemento di connessione, strutturante e significante, sia alla scala urbana che a quella territoriale. L'esito della prima fase di lavoro è stato quello di descrivere quel sistema di invarianti territoriali su cui poter costruire, non tanto modalità d'intervento predefinite, ma visioni strategiche di sviluppo possibile.Ripensare la natura della proposta progettuale significa, anche, concepire uno strumento che proponga un'immagine esplorativa del cambiamento, su cui misurare gli effetti e gli impatti indotti dagli tutti gli attori principali del territorio: dai soggetti attuatori ai gestori finali, dalle imprese private agli enti pubblici. L’esercizio della visione rappresenta un’alternativa concreta alle pratiche comuni: tende a lavorare nel merito della qualità dei contesti analizzati in maniera

interscalare, prefigurando la definizione degli spazi a partire dalle interazioni tra i luoghi dell’abitare, gli stili di vita e i modi della produzione. Le immagini al futuro, in definitiva, servono per mettere a fuoco le questioni strategiche, per orientare le scelte insediative, per uscire dalla forma sorda del piano tradizionale che non riesce quasi mai a governare i processi di mutamento e che sempre ne subisce gli effetti. Le quattro visioni messe a punto - GREENCITY, METROCITY, BRICKCITY e LEISURECITY - rappresentano gli obiettivi ecologici di qualità, a seconda di quale trend prenda il sopravvento sugli altri. Sono punti di non ritorno per la gestione del cambiamento degli spazi urbani e più in generale interpretano una strategia di accompagnamento dello sviluppo che non teme le accelerazioni di processo, poiché costruite sulla base di quanto sta già accadendo nel territorio. Se gli scenari descritti rappresentano i paesaggi che si susseguono in sequenza lungo i 25km di (PIC)ITY, incrociando le diverse narrazioni, è evidente come per molte realtà il futuro sia già chiaro, mentre per altre questo sia fortemente in dubbio.

Fig. 1 - Esempi di alcune tavole grafiche della fase analitica e di visione progettuale della ricerca (PIC)ITY (scala 1:50.000)

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La seconda fase della ricerca si sviluppa, così, sullo studio di quelle zone strategiche dal destino ancora incerto che, sospese tra il fluire veloce dell'autostrada e il più tortuoso tracciato della vecchia via Aurelia, lambite dai rilievi delle valli che tagliano trasversalmente la costa, tra dismissioni annunciate e nuovi progetti vagheggiati, definiscono un insieme strategicamente articolato di punti sensibili. Dalla sovrapposizione degli scenari che descrivono le trasformazioni della costa con i progetti previsti per gli spazi pubblici lungo mare, emergono alcune situazioni tipo riconducibili a macrocategorie - VUOTI URBANI, AREE DI CONFINE, SISTEMI VALLIVI - ricorrenti più volte all'interno del territorio analizzato. Dislocate in punti indubbiamente cruciali dell’intero sistema paesaggistico, queste aree restano, tuttavia, sospese nell'indefinitezza di un quadro di riferimento preciso. Lavorare su queste zone sensibili, definirne l’importanza e il ruolo nell’ampia prospettiva di un nuovo paesaggio riformato, fornendo indicazioni, anche alla scala architettonica, per rimodellare e tradurre l’incompiuta figura di quelle situazioni, è stato l’approccio conclusivo di questa ricerca. Savona Central Park: un masterplan di riassetto lungo il torrente Letimbro La recente crisi finanziaria ha dato maggior forza al dibattito, da tempo aperto, per trovare nuovi indicatori oltre al PIL, in grado di descrivere in maniera più profonda le trasformazioni in atto nelle società. I parametri elaborati da Legambiente nel Rapporto Ecosistema Urbano 20094

4 Ecosistema Urbano 2009 - XV Rapporto sulla qualità ambientale

dei comuni capoluogo di provincia

fotografano uno scenario del tutto inconsueto che premia in particolar modo le città di mezzo. I dati sulla vivibilità sono stati analizzati in base a tre aspetti principali: la pressione sull’ambiente delle attività umane (i consumi), la qualità dell’ambiente fisico (gli inquinamenti), le politiche attivate dalle amministrazioni (le azioni). Ai vertici della classifica si trovano città intermedie, come Bolzano, Trento, Forlì, Mantova, Parma e Savona. Ciò che emerge è il numero considerevole delle prestazioni urbane eccellenti che queste città riescono ad offrire in termini di dotazione di servizi urbani, occupazione, qualità dell'abitare e sviluppo sostenibile, incentivando, al contempo, politiche efficaci per la competitività urbana.

In quest'ottica, Savona rappresenta un caso emblematico: un contesto urbano eterogeneo, non privo di contraddizioni, in cui il recupero delle grandi aree ferroviarie dismesse e dei vuoti urbani, accomunati dalla stretta relazione con il torrente Letimbro, diventa una scelta strategica per la rigenerazione urbana dell'intero centro. La dilatazione d’interessi anche ai drosscape urbani5, emersa dalla Convenzione Europea del Paesaggio6

In questo scenario operativo, è quindi lecito chiedersi quali siano i ruoli della città storica, intesa come matrice identitaria di territori e società, e quali siano le reciproche relazioni con le aree periferiche o quelle realtà marginali che hanno contribuito all'omologazione dei contesti e all'alterazione di equilibri secolari. Equilibri che a Savona perduravano dalla fine del XIX secolo, nella lenta stratificazione della città solida compresa tra la vecchia darsena e il corso del torrente Letimbro, e che solo a partire dal 1868 trovavano una nuova ridefinizione nell'assetto regolare che vede il suo segno più significativo con l'apertura dell'asse di Via Paleocapa. Con il nuovo Piano Regolatore del 1938, la città cerca di trovare una nuova dimensione insediativa nell’Oltreletimbro attraverso lo spostamento del parco ferroviario cittadino, realizzato solo a partire dal secondo Dopoguerra. La successiva recessione dell'industria siderurgica e dei traffici portuali resero, quindi, appetibili per il mercato immobiliare ampie aree centrali della città, precedentemente cristallizzate dal settore produttivo. Gli interventi previsti nell’ambito della vecchia darsena e su Piazza del Popolo, ai quali hanno fatto seguito rispettivamente i masterplan di R. Bofill (2003) e di M. Botta (2008), non danno, tuttavia, risposte a lungo termine rispetto ai programmi di rigenerazione previsti dai PRUSST del 1998. La recente approvazione (marzo 2009) del nuovo PUC ribadisce la necessità di un cambiamento radicale, nonostante si riconfermi buona parte della struttura del vecchio PRG, concepito per zone omogenee e il cui regime vincolistico favorisce più le iniziative private considerate come unico motore per lo sviluppo e il rinnovamento urbano.

, ha promosso una nuova visione processuale equilibrata tra interessi collettivi, misure premiali e forme di compensazione ambientale, all’insegna di una migliore qualità dell’abitare.

5 A. BERGER, 'Drosscape : wasting land in Urban America',

Princeton Architectural Press, New York 2006 6 Convenzione Europea del Paesaggio, Comitato dei Ministri della

Cultura e dell'Ambiente del Consiglio d'Europa (adottato il 19 luglio 2000, sottoscritto a Firenze, 20 ottobre 2000)

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La necessità di ricoesione delle due sponde urbane, offerta dalla mancata definizione delle aree in fregio al torrente, rappresenta un occasione ambientale di notevole importanza. In quest'ottica 'Savona Central Park' è strutturato come un unico sistema verde lineare, che rilegge le giaciture principali della maglia urbana ottocentesca e le proietta oltre il Letimbro. Il progetto configura un'area di nuova centralità urbana che annulla il divario tra la città consolidata e la città diffusa e si pone come una matrice connettiva sensibile al paesaggio, disposta ortogonalmente al corso del torrente. E’ un parco ecologico, che contiene nei volumi sospesi lungo fiume residenze, uffici e spazi commerciali, così come le grandi funzioni pubbliche della città - come il nuovo palasport negli Orti Folconi, o l’auditorium e la biblioteca in Piazza del Popolo - recuperando, al contempo, le emergenze esistenti - come il palazzo di giustizia di L. Ricci e la stazione ferroviaria di P. L. Nervi - ad oggi isolate nel contesto savonese. E’ un parco tecnologico, poiché grazie alla nuova topografia, accoglie due grandi parcheggi d'interscambio, permettendo di sgravare il centro cittadino dal traffico veicolare e riconvertendo il servizio di trasporto pubblico cittadino per mezzo di

una tramvia leggera. E’ un parco sostenibile, che contiene spazi di aggregazione collettiva, zone verdi attrezzate per lo svago, giardini e orti urbani, collegati da una grande promenade lungo fiume e una pista ciclabile dotata di un servizio di bike sharing. Il progetto, oltre a rispondere alle esigenze per una migliore qualità della vita di tutti i savonesi, si adatta anche agli obiettivi preposti dal nuovo PUC su quest’area: progettare un parco urbano del Letimbro e collegare la stazione ferroviaria con il centro ottocentesco attraverso la prospettiva urbana di via Paleocapa. La forza della proposta non sta, quindi, nella forma sorda del piano, ma nelle sue scelte strategiche fondanti che possono essere attuate nel pieno rispetto della programmazione vigente.

MOSÈ RICCI Professore Ordinario di Urbanistica

Facoltà di Architettura di Genova

EMANUELE SOMMARIVA Dottorando XXV ciclo in Urbanistica,

Facoltà di Architettura di Genova

Fig. 3 - Vista a volo d'uccello del progetto Savona Central Park (foto: R. Merlo - 2004)

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Fig. 2 - Masterplan urbanistico del progetto Savona Central Park per le aree centrali della città (scala 1:1.000)

Le forme dello spazio pubblico nel litorale urbano della Spezia Le forme del litorale urbano della Spezia sono l’esito di un processo di pianificazione e di accumulazione di funzioni industriali portuali e militari che nel tempo hanno intasato il fronte marino, occludendo e recidendo i nessi tra città e mare. Nel periodo dell’industrializzazione e deindustrializzazione della città è possibile leggere un’alternanza di progetti di valorizzazione, di situazioni di intensa occupazione produttiva e di rapidi abbandoni. Lungo questo processo, che ha modellato un litorale completamente artificiale, lo spazio pubblico si sviluppa ad intervalli irregolari, in forme consolidate e tematizzate solamente nell’area centrale (oggi interessata dal progetto di waterfront) e in modo frammentario nelle aree periferiche. Il contributo esplora le forme che sono l’esito del processo e del progetto di ridisegno della linea di costa, soffermandosi sui momenti che hanno accompagnato la definizione planivolumetrica e architettonica del nuovo waterfront della Spezia e sui significati del disegno dello spazio pubblico, che costituisce (o dovrebbe costituire) un importante riferimento nella valutazione della qualità dei progetti. La riflessione sull’evoluzione del progetto consente di delineare, leggendola in trasparenza, una possibile vicenda delle forme dello spazio pubblico nel passaggio dai modelli ereditati dalla modernità all’incertezza del disegno contemporaneo.

Le forme del litorale La Spezia ha un litorale completamente artificiale, modellato - come in un gioco di incastri - sulle grandi funzioni militari (con la costruzione dell’Arsenale nel corso della seconda metà dell’800), industriali e portuali (nel corso del ‘900). Questo sviluppo artificiale del litorale ha finito per limitare e compromettere in maniera significativa le relazioni tra la città e il mare, soprattutto in corrispondenza delle piccole marine storiche periferiche che cadenzano ad intervalli irregolari, in modo molto frammentato ed episodico, lo spazio pubblico del litorale. Solamente nell’area centrale, lo spazio pubblico del fronte a mare è tematizzato nelle forme consolidate della storica passeggiata ottocentesca. Il tentativo di razionalizzare il disegno della linea di costa matura negli ultimi dieci anni del ‘900 attraverso un intenso processo di pianificazione1 reso plausibile da un accordo tra enti (Comune, Autorità Portuale, Provincia), nel quale si prevedeva una sorta di compensazione tra nuovi ampliamenti portuali nel Levante urbano (circa 18 ha) e la dismissione, non determinata da motivi di obsolescenza tecnologica come in altre realtà portuali, dell’area del primo bacino (circa 15 ha), collocata in posizione strategica e baricentrica per gli sviluppi futuri della città (Figura 1).

1 Questo processo ha una sua prima prefigurazione - quasi un’intuizione - nel PTC La Spezia Val di Magra elaborato da Bernardo Secchi tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 e la successiva maturazione e ratifica nel piano urbanistico comunale (2003) e nel piano regolatore portuale (2006).

Questa scelta comporta la rimodulazione di tutto lo spazio pubblico del litorale urbano, in un’ottica che privilegia ancora una volta le aree centrali rispetto a quelle periferiche, con il raddoppio dello storico affaccio a mare ottocentesco della città e con il sacrificio delle piccole marine storiche del Levante (Canaletto e Fossamastra), che vengono cancellate dagli ampliamenti portuali e ricollocate davanti ad una darsena di nuova costruzione. Il processo di ridefinizione della linea di costa si inserisce all’interno di un più ampio disegno di

trasformazione dell’area centrale con la dismissione e riconversione ad usi urbani dell’area dell’ex raffineria IP, con il previsto trasferimento e trasformazione ad usi terziari dell’area dell’Ospedale e con la previsione di una nuova destinazione integrata turistico-residenziale nello scalo merci di Valdellora. Un complesso disegno di trasformazione connesso al rafforzamento del sistema infrastrutturale della mobilità sovra-locale con la previsione di una nuova stazione ferroviaria (e il conseguente declassamento di quella esistente) e con il nuovo progetto viario della variante Aurelia. Il waterfront costituisce dunque il punto di condensazione di questo scenario di trasformazione, ponendosi come perno di una doppia cerniera, longitudinalmente rispetto alla ridefinizione della linea di costa, trasversalmente rispetto al sistema delle aree di trasformazione e al sistema infrastrutturale ed intermodale, e intersecando differenti livelli scalari: un livello globale, che pone il waterfront come potenziale nodo capace di intercettare i flussi del turismo internazionale, un livello di area vasta, che lo pone come nuova centralità comprensoriale in grado di consolidare il ruolo di città capoluogo, e infine un livello locale, inteso come nuovo spazio urbano riconsegnato alla cittadinanza che permette di recuperare il rapporto, storicamente ambiguo e conflittuale per La Spezia, tra la città e il mare (Figura 2).

Figura 2. Lo scenario della trasformazione dell’area centrale

Figura 1. L’area del Primo bacino portuale, interessata dal progetto di waterfront

Le forme del progetto Il disegno e la qualità dello spazio pubblico si manifestano soprattutto alla scala del progetto urbano. I momenti che hanno accompagnato la definizione planivolumetrica e architettonica del nuovo waterfront corrispondono a tre diverse elaborazioni progettuali in cui è possibile evidenziare differenti significati nel disegno dello spazio: la redazione del piano d’area del primo bacino portuale (1998), recepito dal Puc con valore di indicazione per la definizione del bando concorsuale del waterfront; il progetto vincitore del concorso internazionale di idee bandito nel 2006 da Comune della Spezia, Regione Liguria e Autorità portuale; la successiva riconfigurazione del progetto in un nuovo masterplan, presentato nel 2010. Nel progetto del Piano d’Area (Figura 3) è evidente il tentativo di interpretare le forme della città consolidata, prolungando la passeggiata a mare (passeggiata Morin) rispettandone l’andamento rettilineo, e proiettando - perpendicolarmente a quest’asse - la maglia ortogonale della città novecentesca, assecondandone il passo e gli allineamenti. L’“impianto a tessuto” permette di articolare, attraverso tipologie a corte aperte verso il mare, una mixité di usi che integra le destinazioni residenziali con i temi del nuovo waterfront: strutture alberghiere, espositive, commerciali, culturali, a cui si affianca la nuova stazione crocieristica. Il progetto vincitore del concorso internazionale d’idee (Figura 4) si muove su registri antitetici rispetto a quelli formulati nel piano d’area. L’elemento naturale costituisce il presupposto per una ridefinizione radicale della linea di costa che a contatto con l’acqua assume un andamento irregolare - caratterizzato da sporgenze, rientranze e isole artificiali - contraddicendo in maniera intenzionale il paradigma dell'angolo retto e richiamando quasi istintivamente il profilo indefinito e

sabbioso della città premoderna. Le nuove architetture, in cui sono previste le funzioni specialistiche del waterfront, gravitano ancora sulla linea di costa, ispessendone il profilo e disegnando sul mare una nuova spazialità decostruita, che non genera più nessuna forma tessuto. Nella parte centrale del progetto (in corrispondenza dell’isola del terminal crociere), queste nuove architetture costituiscono quasi un pezzo unico, essendo messe in relazione tra loro attraverso una piastra pedonale che definisce uno spazio pubblico centrale articolato su più livelli: allo stesso tempo nodo logistico dell’intermodalità rispetto ai flussi pedonali, passeggeri, marittimi e veicolari e nodo funzionale dal quale si accede alle architetture simbolo della nuova immagine urbana. La continuità con la città consolidata non è più garantita dalla forma tessuto, ma dallo spazio dei flussi pedonali che plasmano un ampio spazio pubblico, aperto sul mare. Il Masterplan (Figura 5) si muove alla ricerca di modalità attuative più efficaci, smontando e ricomponendo il progetto di concorso come sommatoria di progetti distinti, di più facile gestione e attuazione. Viene confermato il profilo obliquo e frammentato della linea di costa, con l’eliminazione dell’isola davanti a passeggiata Morin e viene parzialmente recuperato lo schema ortogonale del Piano d’Area, con l’allineamento dei nuovi volumi residenziali a “stecca”, sia pure con un andamento intenzionalmente sfrangiato, rispetto alla dorsale di Viale Italia. I volumi, che nel progetto concorsuale erano posti orizzontalmente sulla linea di costa, sono concentrati e verticalizzati in due alte torri poste in posizione centrale. Il ruolo dello spazio pubblico sembra decisamente sbilanciarsi in favore degli oggetti, che si fanno Bigness, lasciando sullo sfondo il sistema delle relazioni tra la città e il mare. Il disegno dello

Figura 3. Planivolumetrico del Piano d’Area, 1998

Figura 5: vista prospettica del Masterplan, 2010

Figura 4. Planivolumetrico del progetto vincitore del concorso internazionale di idee bandito nel 2006

spazio pubblico rimane come sospeso in una condizione intermedia tra la riproposizione delle forme della città consolidata, attraverso la parziale conferma delle regolarità del tessuto, e l'esaltazione del valore simbolico degli elementi verticali, che sovrastano uno spazio aperto indefinito che sembra quasi di cornice. Conclusioni Nella sequenza di questi progetti, che si concentrano nell’arco di poco più di un decennio, è possibile scorgere significative mutazioni nella concezione dello spazio pubblico, nel passaggio dai paradigmi morfologici con la riproposizione della forma-tessuto, allo spazio della delocalizazzione dei grandi contenitori e dei flussi che si contrappone e sostituisce allo spazio gerarchico della localizzazione2, fino allo spazio della Bigness che si nutre letteralmente del contesto3. Queste mutazioni di significato si riflettono sulla qualità del disegno dello spazio pubblico e sulla sua capacità di ritessere alla piccola scala i nessi tra città e acqua.

DANIELE VIRGILIO Pianificazione territoriale, Comune della Spezia

ANDREA VERGANO Facoltà di Architettura di Genova

2 M. Foucault, Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, Mimesis, Milano, 2001. 3 R. Koohlaas, Bigness. Ovvero il problema della grande dimensione, in Junkspace, Quodlibet, Macerata, 2006.