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LE S T ORIE D I AMMIANO MARCELLINO TRADOT T E DA FRANCESCO AMBROSOLI CON NOTE VOL. II MILANO PER ANTONIO FONTANA M.DCCC.XXX

Ammiano Marcellino - Le Storie Vol. 2

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LE ST ORIEDI

AMMIANO MARCELLINOTRADOTT E

DA FRANCESCO AMBROSOLI

CON NOTE

VOL. II

MILANOPER ANTONIO FONTANA

M.DCCC.XXX

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LE STORIEDI

ÀMMIANO MARCELLINO

LIBRO VENTESIMOSECONDO

SOM M ARTÓ

I. Giuliano Augusto per timore di Costanzo fermasi nella Dacia, e di nascosto consulta gli aruspici e gli auguri. — IL Saputa la morte dell’ Imperatore scorre le Tracie, entra in Costantinopoli pacificata , e riceve senza combattere sotfo di sé tutto 1* Imperio romano. — IIL Aleuni fautori di Co-stanzo sono condannati, parte a ragione, parte ingiustamen-te. — IV. Giuliano Angusto scaccia dal palano tatti gli eunu-chi , i barbieri e i cuochi. Vizii degli spadoni di corte; e cor-

rotta disciplina militare. — V. Giuliano apertamente • libe-ramente professa 1*idolatrìa fino allora dissimulata * ed aizza* discordia i vescovi cristiani. —• TI. Con «piai arte obbligò• rimpatriare parecchi litiganti egiziani, dai quali era mole-stato. — VII. G iuliano in Costantinopoli rende spesse volte ragione nella Curia %e mentre quivi attende ad ordinare le  cose delle Tracie, vengono a lui parecchie ambascerìe di estere nazioni. — V il i. Descrizione delle Tracie, del seno Ponti co, e dei luoghi • delle nazioni circonvicine al Ponto. — IX. Giu-liano Augusto dopo avere accresciuta ed ornata Costantino-poli * si trasferisce ad Antiochia. Camtnin facendo dà » quelli di Ni comedi* il danaro occorrente per riparar le rovine della

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6 AMMIANO MARCELLINOcittà; ed in Ancira attende a render ragione. — X. Lo stesso fa in Antiochia, svernando; nè molesta alcuno per roptivo di religione. — XI. Gregorio, vescovo di Alessandria dai pagani di quella città viene con due altri impunemente strascinato per le contrade, dilaniato e abbruciato. — XII. Giuliano apparecchia una spedizione contro i Persiani; e per conoscere innanzi tratto il (ine a cui quella guerra riuscirebbe consulta gli oracoli » e uccide innumerevoli vittime , abbandonandosi tutto all’ arti degli aruspici e degli auguri. — XIII. Ingiù* statuente attribuisce ai Cristiani l’ incendio del tempio di A pollo Dafneo, e comanda di chiudere la maggior chiesa di Antiochia. — XIV. Giuliano sagrifica a Giove nel monte Ca-

sio. Perchè egli, sdegnato contro quei d*Antiochia, scrivesse il  M isopogone. — XV. Descrizione delle cose egizie : del Ni-lo , del Coccodrillo , dell’ ib i, delle Piramidi. — XVI, Delle cinque province d’ Egitto, e delle illustri loro città.

An.dell’£.V. I. IMentre i volubili casi della fortuna maturano

361 questi fatti in diverse parti del mondo , Giuliano inmezzo alle molte faccende cbe aveva da ordinar nellalUiria9 assiduamente attendeva a scrutar viscere; eguardando agli uccelli, sforzavasi di presapere il finedelle cose future: ma essendo i responsi ambigui edoscuri se ne stava incerto dell’ avvenire. Pur final-mente l’oratore Aprunculo, gallo di nazione, promosso

poscia a governatore della Gallia Narbonese, siccomeuomo perito nell’ aruspicina, gli annunziò quel cheavterrebbe \  saputolo ( com’ egli diceva ) dalla investi-gazione di un fegato da lui veduto coperto di dupliceintegumento. Ma temendo Giuliano che queste cosesi fingessero forse a compiacenza del desiderio suo,

stava tuttora afflitto } quando egli medesimo vide unaugurio, il quale mostravagli chiaramente la morte diCostanzo. Perocché nel medesimo punto in cui questimoli nella Cilicia, il soldato che colla destra ajutava

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Giuliano a montare a cavallo sdrucciolò e cadila rolAn.defl’E.V ,terreno: ed egli subitamente esclamò sì che molti Fu*dirono, esser caduto colui che lo aveva innalzato.Tuttavolta costante nel suo proposito, si tenne den

tro ai confluì della Dacia , siccome timorosissimo an-cora. Perocché non. reputava prudente consiglio il cre-dere a congetture che forse potevan riuscire a contra-rio fine.

IL In queste dubbiezze arrivarono d’ improvviso gliambasciadori Teolaifo ed Aliguldo 1, i quali gli an-

nunziarono che Costanzo era morto ; e soggiunseroche colle ultime sue parole aveva nominato lui suc-cessore nella propria podestà. Per la qual cosa Giulia-no , essendo tolto di mezzo il timor dei pericoli e ces-sate le turbolenze delle guerresche sollecitudini ond’eraminacciato, sollevò P animo : e come colui che credevanei vaticini!,.ed aveva più volte sperimentata giove-vole a’ suoi affari la celerità, ordinò di muovere versole Tracie3 e levate sollecitamente le insegne, e scorsoil declivio dei Succi, se n’ andò a Filippopoli che èPantica Eumolpiada a; seguitandolo prontamente tutticoloro che seco aveva condotti. Perocché osservavanocome quelF imperio cui s’ erano accinti a rapire, non

senza timore di gravissimi pericoli, fuor d’ ogni spe-ranza era a lui presentemente concesso per diritto dieredità. E perchè suole la fama aumentare le cose nuo-ve , Giuliano sublimatosi più che mai s’ affrettava ;quasi come s1 ei fosse sul carro di. Trittolemo a cui

1' V. Lib. x x i, c. i 5 , dove però nomina  Aligildo.

a La fondò Filippo di Macedonia, e dicesi ancora  FSlibe nella Romania.

3 Dicon le favole che Cerere, grata ai servigi prestati a lei da Eleusino padre di Trittolemo, fece trasportare eetaremente

LIBRO VEN TESIMOSECONDO 7

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AB.dtU’E.V.la favolosa antichità, per significarne i rapidi viaggi,361 aggiogò serpenti aerei e volanti : e temuto per terra

e. per mai;e, senta che verun muro gli potesse resi-stere entrò in Eraclea detta Perinto *. Della qual cosa

essendosi avuta notizia a Costantinopoli, tutti d’ ognietà e d1 ogni sesso n’ uscirono in folla, quasi a vedereun disceso dal cielo. Quivi adunque fu ricevuto nelgiorno undici di dicembre fra gli onorevoli ufficii delSenato e gli unanimi applausi del popolo: e circondatoall’ intorno da schiere d’ uomini armati e togati, pro-

cedette quasi in mezzo a regolare ordinanza. Gli occhidi tutti erano fissi in lui, non solo costantemente,ma si ancora con ammirazione. Perocché sembrava cosasomigliantissima a un sogno, che un principe ancorasì giovane di picciola persona, ma già illustre pergrandi fatti, dopo sànguinose vittorie sopra re e na-zioni , passando con incredibil prestezza d’ una in al-tra città, avesse a guisa di fiamma occupata ogni co-sa , crescendogli sempre lungo la via le ricchezze ele forze ; e che finalmente poj senza alcun pubblicodanno avesse ricevuto l’ imperio conferitogli da celestevolere.

UI. Poco dipoi commise a Secondo Salustio (creato

da lui Prefetto del. Pretorio, è nel quale egli moltosi fidava ) i processi che far si dovevano } aggiun-gendogli Mamertino, Arbezione, Agitone, Nevitta, edanche Giovino, promosso di recente alla carica dimaestro dei cavalli nell’ IUiria. Tutti costoro adunque

quest’ ultimo per tutto il mondo da alati serpenti, affinché 

vedesse i diversi generi di agricoltura.1 Gli antichi chiamavan  Perinto la città che si disse poi 

 Eraclea.a Giuliano aveva allora 3i anni.

8 AMMANO MARCELLINO

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trasferì lisi a Calcedonia, presenti i capi e i triboni An.d#irE.V.«Ielle legioni Gioviana ed Erculiana, trattaron le causepiù acremente che non richiedevano la giustizia e larettitudine ; fuor poche, nelle quali appariva manife-sta la colpa degli accusati. E primamente confinarononella Brilannia Palladio, già Maestro degli officii, nond'altro sospetto, die d’avere falsamente accusato Gallopresso Costanzo, mentre teneva sotto quel Cesare lacarica già mentovata. Quindi mandarono in esilio aVercelli Tauro * già Prefetto del Pretorio, la cui con-

dotta appo giudici che avesser distinto il giusto dalr ingiusto avrebbe potuto parere degnissima di perdo-no. Perocché qual delitto commise egli mai, se te-mendo il tuibine di’era nato ricoverò sotto la tuteladel proprio principe? Non si potevano leggere senzagrande orrore i processi a lui fatti, perchè questo erail principio di quel volume:  Nel consolato di Tauro e dì Florenzio, Tauro fu citato dai banditori. A somi-gliante sciagura traevasi anche Pentadio a, a eui si ap-poneva , che, spedito a ciò da Costanzo, avea scritto lerisposte date da Gallo alle molte cose che gli furonodomandate quando era già vicino alla morte : ma es-sendosi egli regolarmente difeso, uscì sano e salvo da

quel processo. Con ugnale ingiustizia fu confinato inBoa, isola della Dalmazia, anche Florenzio figliuolodi Nigriniano, ed allora Maestro degli officii. PerocchéP altro Florenzio, già Prefetto del Pretorio ed alloraconsole, atterrito dal subito mutamento delle cose, sisottrasse colla moglie ai pericoli, e si tenne lunga-

mente nascosto, nè potè ritornare prima che morisse

f V. Lib. xxteap. 6 0 9 .a V. Lib. xx , cap. 8 .

LIBRO VENTES IMOSECONDO 9

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Ad. de!PE.V. Giulianoj che aozi fu condannato nel capp sebbene361 assente. Con pari destino furon cacciati in esilio Èva

grio Tesoriere del principe, e Saturnino stalo Maestrodel palazzo, e Cirino segretario di, Stato. La morte

poi di Ursulo conte delle largizioni a me pare chefosse compianta dalla stessa giustizia , rimproverante ,siccome ingrato, l’imperatore. Perocché quando Giu-liano ancor Cesare era stato spedito nell’Occidente, eper concitare 1’ esercito a ribellarseli, era tenuto siscarso di denaro, che non avrebbe potuto fare a’suoi

soldati nessun presente, questo Ursulo scrisse all’ am-ministratore dei tesori di Gallia, ordinandogli di som-ministrare a Giuliano stesso senza alcuna esitanza tuttociò che domandasse. Dopo la cui morte l’ Imperatoreconoscendosi esposto alle maledizioni ed esecrazioni dimolti ( quasi potesse scusarsi di quell’ imperdonabiledelitto ) andava dicendo che Ursulo era stato uccisosenza sua saputa } e volea dare ad intendere che 1’ avea tolto di mezzo la rabbia della soldatesca, ricorde-vole di quello che noi dicemmo avere costui esclama-to al vedere la rovina di Amida *. Ed apparve anchetimido o mal conoscente di quello che a lui conve-niva, preponendo a questi processi Arbezione, uomo

sospetto sempre ed altiero quant’ altri mai ( chè gli al-tri coi capi delle legioni v’ intervenivano solo apparen-temente ), e eh’ ei ben conosceva essersi travagliato piùdi tutti contro alla sua fortuna, com’ era naturale inchi aveva partecipato sì ampiamente delle vittorie ci-vili a. Ma se queste cose che abbiamo fin qui riferite

i V. Lib.  x t , cap. iv.3 II Wagner giudica guasto il testo : v* aggiunge il nome di

Costauzo, e traduce: il quale (Arbezione), come Giuliano sapeva,  tin stato da Cosiamo adoperato più che ogni altro, siccome ga*

IO AMMANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESMOSECONDO 11 

dispiacquero anche ai fautori di Giuliano, qùest’ altreAn.deirE.V.che ora diremo furono fatte con giusta severità. Pe 361 

rocchè quell’ Àpodemio agente di Stato che noi di-cemmo essersi sfrenatamente condotto nell9 eccidio diSilvano e di Gallo, e quel Segretario Paulo, detto ilCatena, che non può nominarsi senza che molti négemano, abbruciati vivi, finirono di quella morte cheloro si conveniva. Oltre costoro fu condannato a penacapitale anche quel superbo e crudele Eusebio, primoCiambellano di Costanzo. Costui sollevato dall9 infima

condizione a tanto da padroneggiar quasi l’ Imperato-re , e divenuto perciò* insopportabile, non volle ascol-tare Adrastea, che susurravagli, come suol dirsi, alPorecchio e avvertivalo di vivere più castigatamente;e però fu precipitato dal suo grado non altrimentiche da una rupe eccelsa 1.

IV. Giuliano si rivolse dopo di ciò a riformare tuttequante le persone di Corte; ma non comportossi comefilosofo che fa professione d’ indagare la verità. Pe-rocché sarebbe stato lodevole se avesse ritenuti almenocoloro, comunque pochi, i quali erano moderati econosciuti per probità di costumi : chè del resto sivuol confessare che la maggior parte di costoro era

un seminario di tutti i vizii, per modo che infesta-vano la repubblica di malvagi costumi, e co1tristi esem-pli più ancora che colla licenza del peccare nuocevanoalla moltitudine. Molti di essi impinguati colle spogliedei templi, e cercando a gran cura tutte le occasionidi vantaggiarsi, sollevandosi dalP ultima povertà al

 gliardo compagno delle sue vittorie nelle guerre civili,  a rovi-  tiare lui stesso.

1 Di Adrastea veggasi quello che dice l* Autore nel lib. xiv., cap. 11 .

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Ad. driPE.V. colmo delle grandi ricchezze, non ebbero modo nè nellelargizioni, nè nel rapire, nè nel consumare, avvezza-tisi ad usurpar sempre le cose altrui. Di qui poi iprimi cominciamenti di un vivere più rilasciato, e gli

spergiuri, e la noncuranza della buona riputazione,ed una pazza, superbia che prostituiva la fede a igno-miniosi guadagni. In mezzo a questi disordini crebberole voracità e i bagordi delle mense, e i convivalitrionfi, in luogo di quelli che si celebravano già perle vittorie : e crebbe P uso della seta , e si amplia-

rono le arti del tessere, e maggiore divenne la curadelle cose spettanti alla cucina, e si cercarono cosìlarghi spazii ai sontuosi palagi, che se il consoleQuinzio avesse posseduta altrettanta estensione di cam-pi , anche dopo essere stato già dittatore, avrebbeperduta la gloria della povertà. A queste cose, già persè stesse cattive, aggiungevansi i disordini della militardisciplina ; perchè i soldati modulavano cantilene dagiubilo e troppo molli; e non più, come per l’addie-tro , il letto de9 guerrieri era un sasso . *ma piume e

 J  morbidi stramazzi; i loro bicchieri erano più pesantidelle spade; si recavano a vergogna di bevere in vasidi terra ; cercavano i palagi marmorei : mentre nelle

antichità è scritto che un soldato spartano fu acre-mente punito, perchè in tempo di guerra osò di la-sciarsi vedere al coperto. E tanto era in quegli anniferoce e rapace la soldatesca a danno de’ proprii con-cittadini , e ignava e fiacca per lo contrario verso inemici, che essendo arricchita nell’ozio e nelle bri-ghe, sapeva ottimamente discernere le varietà dellepietre preziose ; contra quello che si racconta dei sol-dati romani anche in tempi vicini ai nostri. Imperoc-ché sappiamo che sotto Massimiano, essendosi posto a

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LIBRO VENTESIMOSECONDO i 3  

ruba il campo del re dei Persiani, un gregario deiAn.tleirE.V.nostri a cui era venuto alle mani un sacchetto partico 361 

pieno di margarite, gittò via I? gemme delle qualinon conosceva il valore, e se n’andò contento di por-

tarsene quella lucida pelle. Ma in questi giorni deiquali ora parliamo avvenue che essendo chiamato uubarbiere perché tagliasse la barba all’ Imperatore, en-trò a lui un uomo sontuosamente abbigliato. Alla vi-sta del quale essendosi Giuliano maravigliato, io,disse , ho mandato per un barbiere, non già per un

procuratore *. Domandato poscia quell’ uomo quantoguadagnasse dell’ arte sua, rispose che gli era datoogni giorno quanto bastava a nutrire venti persone ealtrettante bestie, poi un considerevole stipendio an«>nuo , oltre a quello che gli fruttavano gli straordina*rii servigi. Di che sdegnato Giuliano scacciò tutta que-sta genia coi cuochi e con quanti altri solevano averesomiglianti pensioni; e come a persone non necessariefece loro podestà di andarsene dove amassero meglio.

V. Sebbene poi Giuliano fin dalla puerizia fosse in-clinato all’ idolatria 7 e col* crescere dell’età se ne fossesempre più acceso, nondimeno, da molte cagioni infre-nalo, avea sempre tenuto occultissimo quanto egli in

questo proposito meditava. Ma quando, tolto di «mezzotutto ciò che gli dava timore, vide eh’ era venuto iltempo da poter compiere a suo senno quanto eragliin grado, fece palesi gli arcani del proprio petto, econ chiari ed assoluti decreti ordinò che si aprisseroi templi, e si guidassero all’ are le vittime pel cultodei Numi. E per invigorire l’effetto di queste sue di-sposizioni , chiamando nel proprio palazzo i capi dei

 j  Ratiorudis.

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ÀndelTE. V. Cristiani discordi fra loro e la plebe divisa con essi in361 fazioni, ammonivali tu tti, che , lasciate le civili di-

scordie 1 , ciascheduno sicuramente servisse alla propriareligione9 nè altri potesse impedirlo. Nel che si por-

tava tanto più fermamente, affinchè moltiplicandosicolla licenza le dissensioni, non avesse egli poi più datemere la concordia della plebe : conoscendo per espe-rienza non esservi belve tanto infeste agli uomini,quanto i più de9 Cristiani sono esiziali a sé stessi. Espesso andava dicendo:  Ascoltate me, cui ascoltarono 

gli Alemanni ed i Franchi : stimando con ciò d’ imitare l’antico detto di Marco Aurelio. Ma non co-nobbe la diversità delle circostanze. Perocché si dieeche quell' imperatore attraversando la Palestina pertrasferirsi nell’ Egitto, nojato de1 Giudei graveolentie sempre inclinati ai tumulti y esclamò : O  Marcomanni, o Quadi, o Sarmati t finalmente ho trovati alcuni pià inerti di voi ! ».

VI. Verso quel tempo medesimo parecchj egiziimossi da varii rompri se ne vennero a Giuliano; razzad’ nomini contenziosi, e per consuetudine lietissimine’litigi, e avidi sopra tutto di ridomandare due volteciò che per caso avessero dato all’ esattore; e per li-

berarsi dal debito, o per pagare col vantaggio di qual-che dilaziono più comodamente ciò che loro vien do

1 Secondo un manoscritto citato dal Valois, sarebbe da dirsi : ammonivali tutti per bella maniera, che, lasciate le discor-  die, ciascheduno ec: e forse questa lezione dovrebb* essere pre* ferita.

a Quindi il Valois osserva che Giuliano volle forse imitare quel detto d* Augusto ai giovani tumultuanti contro le leggi Giulie: O giovani, date ascolto a me fatto vecchio, cui giovane 

 ancora ascoltarono i vecchi.

i4 AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMOSECOEIDO i5mandato, o per evitare un processo, pronti sempre a chiaAm<feirE.V.mare i ricchi in giudizio, come rei di aver male am 361 

ministrato il pubblico denaro. Tutti costoro insiemeraccolti, e strepitando come cornacchie, disordinata

mente interrogavano il principe e i prefetti del Pre«torio ridomandando quello eh’ essi affermavano di averdato o per diritto od ingiustamente a parecchj circa ,settanta anni prima. E non permettendo costoro chesi trattasse verun altro affare, Giuliano pubblicò uneditto col quale ordinava che tutti si trasferissero a

Calcedonia, promettendo eh’ egli medesimo si porte-rebbe presto colà per finire tutte le loro faccende.Ma come si fiiron partiti, mandò ai padroni di naviche sessuno ardisse più traghettare un egizio : ed essen-dosi questo comando osservato con grande cura, uscìa vóto l’ostinato loro proposito di muover processi, etutti caduti della loro speranza tornarono alle propriecase. Di qui poi fu promulgata una legge, dettata dallastessa Equità, colla quale vietossi di ridomandare dachicchessia ciò che si sapesse essere stato da lui ret-tamente percepito.

VII. Venuto frattanto il primo dì del gennajo, inAn.delTE

cui le pagine consolari ricevettero i nomi di Mamer 363 

tino e di Nevitta, fu veduto Giuliano umiliarsi a se-gno da intervenire a piedi insieme cogli altri ragguar-devoli cittadini a quella cerimonia: il che da talunifu lodato, da alcuni fu invece biasimato siccome cosaaffettata ed abbietta. Celebrando poi Mamertino i giuo-chi c i rcens i , ed essendo secondo il costume introdottidal sottomaestro delle cerimonie coloro che si dovevan francare *, egli medesimo (•ichiarò legittima quella

i Solevano i Consoli nel principio della loro magistratura

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An. <?<*WE.V. manumissione : ma avvertito poi subito che in quel963 giorno la giurisdizione apparteneva ad un a ltro , si

multò da sò stesso, come colpevole, in dieci libbre dioro. Frequentava frattanto la curia, dove trattava le

varie cose a cui le molteplici divisioni dello Stato da-vano luogo. Ma un giorno mentre stava attendendoad alcune cause, essendogli annunziato 1’ arrivo dal1’ Asia del filosofo Massimo, si diede indecorosamentea saltare *, e dimentico del suo grado, correndo, si di-lungò per gran tratto dal vestibolo, e baciollo e rac-

colse con segni di reverenza e seco il condusse: ondeparve che egli con intempestiva ostentazione volesseacquistarsi un* inane gloria , immemore di quel pre-claro dettato di Tullio, dove parlando appunto de-gli uomini così fatti disse: I filosofi anche iu queMibri che intitolano  Del dispregiare la gloria inscrivonoil proprio nome, come desiderosi che si parli di loroe di sentirsi encomiati ivi stesso ove dispregiano la ce-lebrità e la nobiltà. Non molto dopo, due Intendentidi Stato fra quelli ch'egli aveva deposti se ne ven-nero a lui profferendosi audacemente di mostrarglidove Florenzio celavasi, quando loro restituisse^il gradomilitare perduto. Ma Giuliano rimproverandoli e chia-

mandoli delatori, soggiunse non esser cosa da impe-ratore il lasciarsi condurre da obblique denuncio atrarre del suo asilo un uomo nascostosi per pauradella morte, e che forse non sarebbe costretto di starnascosto più a lungo senza speranza di ottenere per

concedere la libertà ad alcuni servi. Il dichiarar poi legittimo o /a lto secondo la legge uu allo qualunque, apparteneva a co-lui che iu quella tale occasione era investilo della giurisdi zioue.

i6 AMMIÀNO MARCELLINO

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dono A latte queste cose era presente Pretestato, A».JeirE.V.senatore <Tindole illustre e di antica gravità ; cui Giù*liano ( trovatolo a caso io Costantinopoli per qualchesua privata faccenda ) aveva di propria elezione pre-

posto all’Acaja con podestà consolare. Sebbene poi at-tendesse con sì gran diligenza a corregger le cose ci-vili, non omise per questo le militari; dando alle sol-datesche ufficiai; lungamente sperimentati , fortificandoancora tutte le città della Tracia nejjli estremi confini,e pigliando sollecita cura affinchè non mancassero nè

te armi) uè gli abiti, nè lo stipendio, nè gli alimentia quelle milizie stanziate lungo le rive deU’ Istro, edopposte alle scorrerie dei barbari, le quali aveanvoce di vigilanti e di forti; Mentre egli così dividevale sue .cure, non permettendo che niuna cosa fossenegligentata, alcuni de9suoi cortigiani lo persuadevanodi assalire i Goti, vicini spesse volte ingannevoli e

perfidi : ma egli rispose che cercava più degni nemi-ci, e che ai Goti bastavano i mercatanti Galati, Aiquali erano in ogni luogo e senza distinzione di gradovenduti. Per questa sua condotta poi la fama lo ce-lebrava presso le nazioni straniere, siccome uomo ec-celso per fortezza d1 animo , sobrietà , scienza militare

e continuo progresso in tutte le virtù ; e a poco apoco stendendosi quella (ama aveva empiuta (utta lacirconferenza del mondo. Però essendosi ampiamentediffuso il timore de9 suoi assalti, concorrevano a luida ogni parte ambascerie più frequentemente del so-lilo : ed ora imploravano la pace i popoli d’oltre ilTigri e gli Armeni : ora le nazioni indiane comincian

LIBRO VENTESIMOSECONDO 17

v Vedrassi in falli Florenzio crealo Prefetto della Città.  L ib» ixvn, cap. 9 , e xxviu, cap. 1.

MABCELUKO, tl »

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An.A*irE.V. dosi fioo dai Divi e dai Serendivi 1 mandavano a garai loro oltimati con doni : ora i Mauri dalla regionemeridionale venivano ad offerirsi soggetti alla romanarepubblica : e dalle regioni del Nord e dell’ Oriente,per le quali il Fasi discorre a gittarsi nel mare, iBosforani ed altri popoli ignoti prima d1 allora invia-vano supplichevoli ambascerie, affinchè pagando un an-nuo tributo , fosse loro permesso di vivere tranquilla-mente dentro ai ^confini de9 loro paesi natii.

VIIL Qui, se non erro, è opportuno che noi, essendo

condotti dalla storia del nostro gran principe a parlaredi queste parti del mondo, riferiamo fedelmente quelloche abbiamo o veduto o letto intorno ai confini delleTracie ed al sito del seno Pontico 3. L’ Ato ^ monteeccelso nella Macedonia, attraversato una volta dallenavi persiane 4; e lo scoglio euboico Cafareo 5 , doveNauplio padre di Palamede rovinò la flotta argiva ;sebbene siano di lungo spazio disgiunti, dividono dalmar di Tessaglia FEgeo; il quale a poco a poco am-pliandosi sempre più, nella destra dove più largamentesi stende è popolato dalle isole Sporadi e Cicladi 6 ,nominate così, perchè tutte circondano Deio famosa

i I  Divi corrispondono ai  Diverti abitanti nell’ isola Dice, sulla foce dell' Indo. I Serendivi si crede che siano gli abi-tanti di Ceylan. Altri legge  Jndis et Serindis, gl* Indiani e i Cinesi. Cosi nota il Wagner.

a II Mar Nero.3  Monte Santo nella Turchia Europea.

' 4 Nella spedizione di Serse. V. Erod. lib. v ii , cap. a i . Quindi Giovenale disse vetificaius Athos*

5 È questo il capo più occidentale dell* isola di Negroponte nell’ arcipelago.6 Cioè  seminate o sparse, e  poste in cerchio.— In Deio poi

 t ( ora Sditi ) Latoua partorì Apollo e Diana.

•8 AMMIANO MARCELLINO

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per gli Dei che vi nacquero: nella sinistra bagna ImAn.dcirE.V.bro e Tenedo e Lenno e Taso ; e quando è più signo ^reggiato dai venti rompesi contro Lesbo con maggiorviolenza *. Coi flutti che ne rimbalzano tocca, passan-

do, il tempio di Apollo Sminteo e la Troade ecUlio,chiaro per eroici casi ; e forma il seno Melana oppo-sto a zefiro : sul principio del quale vedesi Abdera »,già stanza di Protagora e di Democrito; e le sangui-nose sedi di Diomede tracio e le convalli per lequali r Ebro 4, si rimescola rientrando più volte in sé

«tesso, e Maronea ed Ene; cui Enea con tristi auspid i cominciò a fondare, poi lasciolla ben presto per.affrettarsi, dietro la scorta dei Numi, all9antica Auso*nia. Quindi a poco a poco si stringe, e quasi per na-turale unione girandosi nel Ponto, con parte di quel-lo, si forma in sembianza del greco 4>. Appresso poiseparando l’Ellesponto da Rodope 5, scorre oltre Cinos

sema (dove si crede che sia la sepoltura di Ecuba)e Cela e Sesto e Callipoli ; mentre dal lato oppostofra i sepolcri di Achille e di Ajac$ tocca Dardano eAbido, dove' Serse, congiuugendo le rive co9 ponti,passò il mare a piedi : poi Lampsaco donata dal rede9 Persiani a Temistocle, e Pano 6, fondata da Giasone

1 De* luoghi qui citati il primo ora dicesi  Embro o Lembroj il secondo conserva il suo nome; gli altri sono Statimene,Thasos e  Metelino.

a Ora  Asperosa.3 Costui nutriva di carni umane i proprii cavalli, finché 

Ercole poi l'uccise. È Cucii cosa conoscere il vero in questa narrazione.

4  Mariiia gran fiume di Romania. Alle due città accennate subito dopo corrispondono  Marogna ed Eno pur nella Romauia.5 Ora V'alita o  Monte Argentaro nella Romania.6   Camanar nell* Auatolia.

LIBRO VENTESIMOSECONDO 19

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An. tkU'&V.Pai'ia. Quivi <Tambo i lati curvandosi in un semicir*363 colo, e separando ampiamente le terre, va per gli on-

dosi spazii della Propontide a bagnare dal lato d’ o*dente Cizico e Dindima, religioso delubro delia Gran

Madre », poi Aparaia e Ciò ed Astaco a, in progressodi tempo denominata Nicomedia da un re di tal no

■ me: e da quel lato che volge a occidente batte ilChersoneso ed Egospotamos, dove Anassagora predisseche caderebbero pietre dal cielo $ e la città di Lisimachia fondata da Ercole e dedicata da lui alla me-

moria del suo compagno Perinto. E per osservare pie*naracnte la figura del $ 9 proprio nel mezzo della ro-tondità sorgono V isola Proconeso 3, di forma oblunga, eBestico. Alla estremità di quella figura si assottiglia dinuovo stringendosi, e, scorrendo fra l1 Europa e la Bitinia, passa per Calcedonia e Crisopoli 4, ed altre oscurestazioni. Perocché il sinistro suo margine è dominato

dal porto di Atira, da Selimbria e da Costantinopoli( anticamente Bisanzio, colonia attica ), e dal promon-torio di Ceras 5 , su cui sta costrutta una torre chesplende da lontano alle navi : d’ onde si nomina Ce-rata 6, il gelido vento che suol soffiare da quella parte.Di questa maniera dunque interrotto 6 chiuso fra l’uno

a P altro mare , quel flutto procelloso si vien miti-gando, poi si apre di nuovo in Oceano, diffondendosi(ila ogi*i lato quanto può vedere lo sguardo. A navigar

« Ci belaa  Apami * Dschemblict IsmUf.5 Credesi sia l'isola  Aionia nel mare 4i Marmora. Besiiso , 

poi è Colomia verso l*Anatolia.4 Cioè  KadirKui e Scutari.5 Si crede che risponda al borgo 4i  Pem c|e’ nostri giorqj,6 I più leggono  Elcla.

ao AMMANO MARCELLINO

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poi basente la sponda tutto còde6to mare, come dii Àn.dólKE.V,andasse intorno ad un’ isola , sì percorrono venLtlremilastadii, secondochè affermano Eratostene, Ecateo j To-lomeo ed altri diligentissimi investigatori di tali no-tizie } e per consenso di tutti i geografi piglia la formadi un arco scitico congiunto dalla sua corda* E daquella parte donde il sole sorge deir oeeano orientale

chiqso dalla palude meolidc ; e da quella ov’ essodeclina all’ oeeaso è terminato dalle province romane 1 

dove,guarda all’ orsa è popolato da uomini diversi fra

loto di lingue e di costumi x c il suo lato di mezzo-giorno lievemente s’incurva» In quésti amplissimi spazìi s’ incontrano di tempo io tempo alcune città gre-che tutte fondate in varie età da’ Milesii ( fuor po»che d’origine ateuiese ), i quali insieme con altri Jonii(urono stabiliti molto antics^nente nell' Asia da Nilfeofigliuolo di quel Codro ; di Ctii si racconta che nellaguerra Dorica si consacrasse alla patria. Le estrèinitàpoi dell7 arco sono rappresentate dai due Bosfori , ilTracio e il Cimmerio, opposti fra loro} i quali cliia*maronsi Bosfori perchè una volta, Come dicono ipoeti * la figliuola d’ Ioaco mutata, in vacca attraversòin quelle parti il mar ionio. La destra incurvatura del

Bosforo tracio forma quel Iato della Bitiàia che da*gli antichi fa nominata Migdonia 3 dove sono i paesidi Tinia e Mariandena, e i Bebricii sottratti dal valor

«di.Polluce alla crudeltà di Amico} e quel remarlo sag>•giorno dove il fatidico Fineo ebbe a temere le arpie«he minacciose gli volavano intorno* Per. queste spiaggeRicurve in seni oblunghi i fiumi Sangario> Filli, Bize

1 Da  BdZs vaeeat t da «apcia  strddm%'La Bitinta dicevasi anticamente  Belrricid*

LIBRO TENTESIMOSECONDd »t

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V.e Reba », si versan nel mare. Rimpetto a questi fiumisorgono le Simplegadi 5 due scogli che, da ogni partescoscesi, s’ elevano a grandi altezze, e ne7 prischi tempisolevano con orrendo fragore sos pingersi e urtarsi l’uno

incontro dell’altro, e rimbalzati risospingersi con forteinipeto agli urti di prima. E questo urtarsi e riurtarsispesseggiava per modo, che se mai avveniva che qual-che uccello volasse in mezzo a’quegli scogli, non v’eracelerità di penne che potesse camparlo. Ma quando lanave Argo prima d’ ogni altra vi fu passata senza al-

cun danno per mezzo, navigando a Coleo per farrapina del vello d’ oro, rotto quel turbo che loroaggiravasi intorno, si rimasero immobili ed incorpo-rati fra loro $ per modo che a guardarli presentementenessuno più crederebbe che un tempo siano stati di-sgiunti , se non 1’ attestassero concordemente tutti gliantichi poemi. Dopo la Bitinia distendonsi le provincó

del Ponto e della Paflagonia, nelle quali sono Eracleae Sinope e Polemonione ed Amiso, ampie città, eTio ed Amastri, tutte originariamente fondate dalladiligenza dei Greci }e Ceraso, d’onde Lucullo trasportòquell’ albero che ne porta il nome, e due isole ec-celse *, esovr’ esse Trapezunte e Piliunte, città non

oscure. Al di là di questi luoghi è lo speco Acberusio,che i vicini appellano mucopontio ; il pprto Acone, eparecchi fiumi, come a dire , l’Acheronte, l’Arcadio9 

l’Iri, il Tybro, e quivi appresso il Partenio, che tutticon rapido corso vanno a gettarsi nel mare. A <questaè vicinissimo il Termodonte che discende dal monte

1 Ora Sakarìa ,  Fenesia ,  Ribas.a Fu notato che gli Autori antichi confusero spesso i nomi 

d* isola e penisola.

2* AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMOSECONDO *3Armonio T, ed attraversa 1  boschi Temiscirei, ai quali Àu.HrirE.V. 

una volta le Amazzoni furon necessitate di emigrare 561 

per la seguente cagione. Abbattati con assidui danni iTicini, le antiche Amazzoni che li saccheggiavano con

sanguinose scorrerie, cominciarono ad aspirare a cosepiù alte 5 e considerando che le proprie forze prevale*vano a quelle de7 popoli confinanti e da loro spessevolte assaliti, lasciaronsi vincere da una sconsideratacupidigia } sicché sforzate parecchie nazioni vennero allemani cogli Ateniesi a : ma quivi pienamente sconfitte

in un ostinato combattimento, e rimaste le loro alisenza cavalleria, tutte morirono. Laonde quelle altreche per essere imbelli eran rimaste nel proprio paese,quando riseppero la costoro rovina, trovandosi a pes-simo stato, temendo P impeto dei vicini che forse▼orrebbono vendicarsi di quanto avevan da loro sof-ferto , si tramutarono, come in luogo più pacifico, alTermodonte: ma la loro progenie' poi cresciuta in grannumero, con fortissimo esercito si ricondusse a7 primisuoi luoghi, rendendosi in processo di tempo tremenda* parecchie nazioni. Non quindi lontano s’ innalzaF erto 3 colfe Carambi, e suvvi a settentrione Elice,

qual parte è Criometopone 4, promontorio delta

Taurica, lontano duemila e cinquecento stadi i. Par-tendo da questo luogo, tutta la spiaggia marittima ,

i Forse dovrebbe leggersi  Amazonio.a Per vendicarsi dei danni ad esse recati da Ercole e da 

Teseo.3 11 testo dice  placide ailollitur, ina il Valois, seguitato poi 

anche dal Wagner, ci avverte che ‘questo è contro il vero , e che forse dee leggersi  rapide aUoHUur. Carambi poi è tl Capo  Pisello.

4 Ora  Famar nella Tartaria Crimea.

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*4 AMMIANO MARCELLINOàn.deU'E.V.comiaciandosi dal fiume Halis e stendendosi in una li*

562 nea retta, rende immagine di una *corda legata alledue estremità di un arco. A queste regioni confinanoi Dahi , gènte più bellicosa di ogni altra $ e i Calibi

dai quali fu primamente disotterrato il ferro e lavo-rato. Appresso i Bizari, i Sapiri, i Tibareni, i Mossineci, t  Macroni e i Filiri, popoli non conosciuti danoi cbe non abbiamo con loro consuetudine alcuna,abitano terre aperte. A breve spazio da costoro sor-gono monumenti di nobili personaggi, dove sono se-

polti Stendo, Idmone e Tifi} de’ quali il primo, com-pagno di Ercole, fu mortalmente forilo nella guerracolle Amazzoni l’ altro fu augure degli Argonauti5 eil terzo espertissimo reggitore di quella n ve. Quandos’abbiano oltrepassate le parti già dette trovasi 1’ an~tro Aulione, e le correnti del Callicoro eh’ ebbe quetsto nome, perchè Bacco , avendo superate ra tre auni

le nazioni dell’ India, rivoltosi a quei paesi, in sulleverdi ed opache rive di quel fiume ripristinò, le orgieed i cori; le quali sacre cerimonie pensano alcuni 1chesiano una cosa, stessa colle Trieteriche f. Dopo questitermini sono celebri i paesi de’ Camariti} e il Fasi consonante corso bagna i Colchi, antica progenie degli

JQgizii : dove fra le altre città avvi Fasi così detta dal. nome del fiume, e Dioscuria 2, conosciuta anohe al pre-sente , e della quale si dice che fossero fondatori dueSpartani, Amfito e Ccrcio, aurighi di Castore, e Poiluce, dai quali ebbe origine la nazione degli Eniochi 3. Da costoro son di poco disgiunti gli Achei, iquali in una ccrta guerra combattutasi anticamente

1 Cioè feste che celebravansi ogni tre anni. a lskuriah.3  Enioco (  hvtox0') significa appunto  auriga.

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appo Troja ( ma non, come aflermtao alcuni autori ,An.<1<4rE.V.io quella che si fece per Elena ) , sbattuti nel Ponto  963 

dai venti che lóro traevano avversi, non. trovandovifiMH stabile sede, per esser tutti di colà intorno ne*

mici, ’fermarónsi sulle1 cime di alcuni monti semprecoperti di néve *, dove indurati dal rigore del .clima,«vvezzaronsi a vivere di rapine in mezzo ai pericoli ;e cosi passarono i termini di ogni ferocia. In quantoai Ceree ti loro vicini non trottisi cosa alcuna che siadegna di ricordanza*. Da tergo a costoro stanno i Cam*

inerii abitanti del Bosforo, dove sono le città Milesie^e Panticapea ( che è cfbaai madre di tutte ) altea ver-sata dal fiume Hìpane, gonfio di acque sue pròprie edi straniere. Qùiiidi per Inngo cammino itendeadoaile Amazzoni fino al mar .{Caspio abitano intorno alTanai^ il qual fiume, nascendo fra le rupi Caucasie ,cade per siouofci sentieri , e , dividendo 1’ Asia dall9Eu-ropa , si perde nella palude* JVfeotide. Vicino a questaè il fiume Rha 1, lutte cui sponde alligna usta radicedel medesima nome proficua in kuolti usi d i , medi-cina. Oltre il Tanpi « »stendono languente i Sauron a ti , fra i quali scorrono )il Marocco, il Rombito e

. il Teofane e il Totordane^ fiumi .perenni. Ed: avvi

( sebbene disgiunta'da immensi intervalli ) un’ altra na-zione di Sauromati sa quella terra che ricevendo insè il fiume Corace lo scarica nel mare. Ivi presso è lapalude Meotide d1 amplissimo circuito} dalle, cui ric-chissime vene uscendo una gran piena di acque e at-traversando lo stretto dei Palari 3, prorompe nel Pon

LIBRO VENTfiSlMOSECONDO *5

i n Volga, a II Rabarbaro.3 Nome sconosciuto.

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An.dell|E.V.to. Sul destro lato di questo sono le isole Panegoro ed Er*monassa , fondate dalla diligenza dei Greci. Intorno poia questi ùltimi e lontanissimi stagni abitano parecchiegenti, differenti fra loro per varietà di linguaggi ed’ istituzioni, i Jassamati e i Meoti, i Jazigi, i Roa* 

solatii, gli Alani, i Melaocleni e coi Geloni gli Agatirsi, presso i quali abbonda il diamante 1 : ed altri an-cora al di là, sconosciuti, e più addentro di tutti. Maal lato sinistro «della Meotide è vicino il Chersonesopieno di greche Colonie. Però gli uomini vi sono quieti

e pacifici} danno opera all’ agricoltura, e sostentan lavita colle produzioni del suolo. Da costoro son pocolontani.i Tauri, divisi in vani regni} fra i quali perinunme barbarie sono terribili gli Arinchi, i Sinchi ei Napei, che diedero il nome d’ inospitale a quel'ma-re, dacché una lunga licenza ne accrebbe a dismisurala ferocia $ ed aU’ opposto per antifrasi dicesi Euxino »,in quella guisa che noi Greci diciamo eveten uno stolto,eufrone la notte, ed eumenidi le Furie. Perocché ere»tlendo propiziarsi gli Dei con sagrifizii umani, ed im-molando gli stranieri a Diana ohe presso di loro dicesiOreileche, appiccavan le teste degli uccisi alle paretidel tempio, quasi perpetui monumenti di forti gesle.

Io quest’ isola Taurica v’ ha Leuce ^ senza abitatori, ededicata ad Achille. Sé accade che qualche straniero vi

1  Àpud quos adamanti* est copia ìapidis. Il Wagner con-serva la parola  adamante (adamastein ), e vuole che s in-tenda ferro piuttostochè  diamante. Il De Moulioes dubita che voglia significare  calamita.

2

Cioè Ospitale da et/ e *s7vo:. Le voci greche poi eveten (ìojjtwc), eufrone (tvtyfwv), eumenidi ( kvpivlfos) significano propriamente  di buon ingegno , favorevole ,  benevoli.

3  Fidonisi.

%6  AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMOSECOWDO * 7  

sia per caso portato, dopo aver visitati gli avanzi del An.drfrE.V.P antichità e il tempio ed i doni a quell’ eroe consacrati, 50 sol far della sera suol ripararsi alle navi : perchè si diceche nessuno vi può pernottare senza perìcolo della vita.

Quivi sono sorgenti d’acqua •, e vi nascono certi uccellicandidi e simili agli Alcioni: della cui origine, non menoche delle guerre ellespontine parleremo a suo tempo. Sono poi nella Tauride alcune città, fra le quali maggioreggia*do Eupatoria e Dandace e Teodosia a, ed altre di minorconto, non bruttate dal sangue di vittime «mane. Fin

qui si crede che stendasi il colmo dell’arco già detto,del quale ora descriveremo per ordine le altre partilievemente incurvate, e distese di sotto all’ orna celestefino al manco lato del Bosforo Tracio ; avvertendo peraltro che, dove gli archi di tutte le altre genti s’ in-curvano dall’uno all’altro capo, soltanto gli Sciti odi Parti, facendo da ameudue i lati ripiegare all’ in-

dentro i larghi e ricurvi corni, presentano l’ aspettodella luna decrescente. Adunque dove principia questamassa di paesi, e dove finiscono i monti Rifeiabitanogli Arimfei, uomini giusti e celebrati per mitezza, inpaesi attraversati dai fiumi Cronio e Bisula : quivi pyressostanno i Massageti, gli Alani, i Sargoti c molti altri

popoli sconosciuti, dei quali nè i nomi ci sono noti uèle costumanze. A non mediocre distanza apresi il golfoCorcinite 3 dov’ è un fiume dello stesso nome, e il bo-sco di Trivia 4 «acro per tutte quelle regioni. Quiudiil Boratene 5 si disserra dai monti dei Neuri, copioso

s 11 Testo dice  aquae, ma perchè trattandosi di un* isola 

non pare cosa notabile, alcuni sostituirono  aquilae. .< * Kajfa.3 Golfo di  Necropoli.

*4 Piana.5  N iepet

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An.deir£.V.d’acque fio dal suo nascere; poi pel concorso di moltf fiumi ingrossando, s’insinua nel mare Con rapidi e vor-ticosi flutti. Sovra le sue sponde coperte di boschi s o r -gono le città di Boristene e Cefaloneso, e le are sacread Alessandro Magno ed a Cesare Augusto. Da lungointervalla disgiunta è la penisola .abitata dai Stadi, pò-poli d’ignobile origine, i quali dopo le avventure deiloro padroni ‘ ne usurparon ke mogli e le sostanze'Ivi presso è un1angusta linea di terra ( cui gli abitantichiamano corsa d’ Achille), degnad’essere menzionata

per gli eserciti che un tempo vi fece quel tessalo eroe*Vicinissima è la città di Tiro colopia dei 'Fenici, ba-gnata dal fiiime Tira. In quello spazio poi eh’ è ilmezzo dell’arco, 6 che noi già dicemmo essere di am*pia rotondità *, sicché da buon viaggiatore si1compirebbein quindici giorni, stanno gli Alani e Gostobaci etifo*pei, e innumerevoli genti di Scizia che stendonsi finoa certe teite delle quali non son conosciuti i confini.Di costoro una picciolissima parte si nutre di biade }gli altri tutti vagando per vaste solitudini, che nob sen-tirono mai nè' aratro nè sententi, ma squallide sempree coperte di brina, sostengono duramente la vita aguisa di ‘fiere. Costoro hanno le mogli e i figliuoli e

le abitazioni e le poche loro suppellettili poste su carricoperti da cortecce: è quando lor piace emigrano senza

x  Post herìles casus. Secondò Giustino, lib. II , cap. 5 , le mogli stanche della lunga assenza de* propri» mariti e dispe-randone oramai il.ritorno, si sposarono coi servi: i quali poi al ritorno de’ loro padroni furon ridotti alla condizione dì 

prima.,a È fama che Achille entrato con una flotta nel Ponto'eseix citasse in quest* isola i suoi soldati e sé stesso, celebrandovi eoa un certame la sua vittoria.

28 AM&WANO MARCELLINO

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ostacolo alcuno, dirigendo. dovunque sia loro in grado An ,deIPÉ.V.quei carri. Quando poi si viene all’altro golfo portuoso, che segna l’ultima parte dell’arco, presentasi PisolaPeuce, abitata all’intorno dai Trogloditi, dai Peuci e

da*altre genti minori} ed avvi Istro, città potentissimann tempo, e Tomi e Apollonik e Ànchialo e Odisso,e molte altre ancora dalla parte dei Traci. Il fiume Da-nubio poi nascendo presso i monti Rauraci * che confinan coi Reti ti estende molto a di lungo, e ricevendoin sé ben sessanta fiumi quasi tutti da portar navi,

eon sette i>ocche da quella parte della Scizia si gettanel mare. E 1» prima di queste bocche è l’ isola diPcuce già detta ( giusta le loro denominazioni traspor-tate nel greco idioma)} la seconda è Naracustoma} laterza Calonstoma} la quarta Pseudostoma} Boreonstoma e Stononstoma la quinta e la sesta molto minoridelle altre} e la settima &grande.e nera a somiglianza

di una palude. Tutto poi il Ponto che stendesi all’ in-torno è nebbioso, e d’acque più dolci che gli altrimari, e guadoso} perchè l’ aere vi si rappiglia, con-densato spesse volte dalle esalazioni vaporose} l’acquavien temperata dalle molto che vi mettonQ foce} e vis’ innalzano piccioli banchi, per tesservi strascinati den-

tro e fango e sassi dai molti filimi che vi traggono daidintorni. E consta che dagli ultimi confini del nostromare i pesci concorrono a schiere io questo recessoper figliare, acciocché possano quivi per la soavitàdelle acque esporre i loro parti con migliore successoe con più sicurezza dalle belve voraci, a cagione dellemolte cavità eh’ ivi sono numerosissime. Perocché nelPonto non si vide mai nessun mostro, ma solo delfini

LIBRO VENTESIMOSECONDO 29

I Vicino a Basilea,

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An.deH'E.V. che uon fan mille alcuno e tono di picciola mole. Io363 quelle  parti poi di questo seno marittimo che sono

esposte all’ Aquilone ed alle brine, indurisce il ghiac-cio per modo che nè i fiumi, per quanto si crede} scor

ron sott’ esso, nè però sull’ infido e labile suolo possonfermare il passo o gli uomini o le bestie : difetto a cuinon soggiacciono i veri mari, ma quelli soltanto aiquali frammischia osi troppe acque di fiumi. Ma essen-doci oramai dilungali più che non credevamo, ci con-viene ricondurci alla nostra narrazione. Al cumulo delle

allegrezze già dette se n’ aggiunse un’altra sperata giàda gran tempo, ma ritardata da molta varietà di casi.Perocché giunse avviso che Agitone e quel Giovio chefu poi fatto Questore, i quali difendevano Aquileja,tediati dal luogo assedio, e per avere sentita la mortedi Costanzo, avevano spalancate le porte, e consegnatigli autori delle turbolenze : e che dopo essere stati arsìvivi costoro, come già si è detto >, tutti avevano ot-tenuto grazia e perdono dei loro delitti.

IX. Ma GiiflTano esaltato dalle prosperità agognavaad esser da più degli altri uomini *, avendo in assiduipericoli sperimentato, che a lui, già placidamente si-gnore dell’orbe romano, la fortuna volgeva ogni cosa

gloriosa e prospera, portandogli quasi innanzi il cornu-copia delle mondane felicità. Ed alle precedenti vittorieaggiungeva anche questa cagione d’insuperbire, che daquando egli ebbe cominciato a regnar solo, nessunainterna sommossa aveva più perturbato l’ imperio,nè verun barbaro era stato ardito di uscire de’ propriiconfini : ma tutti i popoli, lasciato il loro costume di

biasimar sempre come dannoso e pericoloso a , con mi1 Lib. xxi, cap. 13.3 II Testo nou è senza difficoltà: Sed popoli omnes aridi-

3o AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VEJTTESIMOSECONDO Si

rabit fervore accendevansi nelle lodi di lai. Avendo perAn.<ÌctPE .V.tanto ordinata assai ponderatamente ogni cosa, secondo 362che richiedevano le varie circostanze ed i tempi, e in-coraggiate le milizie con frequenti discorsi e con degnistipendi! a sostenere animosamente i casi che potesseromai arrivare, favoreggiato da tutti, volendo trasferirsiin Antiochia abbandonò Costantinopoli grandemente ar-ricchita ed ampliata da lui : perocché essendo ivi nato,amava e venerava quella città come suo proprio paese.Avendo pertanto passato lo stretto rasentando Calce*

donia e Libissa, dov’ è sepolto il cartaginese Annibaie,se ne venne a Nicomedia, città già prima illustre, e tanto per lo addietro ampliata da grandi spese di prin-cipi, che a giudizio degl9intendenti, per la moltitudinedegli edifizii privati e pubblici, si reputava una partedella città eterna. Ora quando Giuliano ebbe vedutole mura di tanta città ridotte in cenere, manifestandocon tacite lagrime Fangoscia dell’animo suo, a lentopasso avviavasi verso la reggia : di questo principalmentepiangendo, che vedeva farglisi incontro pien di squal-lore quel Senato e quel popolo, che prima erano statigià fiorentissimi j ed egli fra costoro ravvisava alcunisuoi conoscenti, come colui che in quella città era stato

edocato dal vescovo Eusebio suo lontano parente. Aven-do pertanto liberalmente ordinate anche colà molte cosenecessarie a restaurar le rovine del terremoto, venne

 tate semper insectandi praeterita , ut dannata et noxia, in lau de* ejus studiis mirii accendebantur. Io sto col Wagner nel ri ferire il  praeterita e 1*ut damnosa et noxia all* aviditatc {prae

 terita aviditate insectandi). Ma il De Moulines ravvisò invece nella voce  praeterita un neutro plorale , e tradusse *  E i po- 

 po li, sempre inclinati a biasimare il passato , comunque dan nerei* e pericolosa sia tal libertà , si unirono per ammirarlo.

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Àa.tlrlFE.v.dalIa parte di Nicea ai confini della Gatlogreeia; poi^ declinando a destra si rivolse a Pessinunte per visitare

P antico delubro della Gran Madre (Cibele): di dovenella .seconda guerra punica, conformemente ad una ri*sposta della Sibilla Cumana ; il simulacro di quella Deaera stato trasferito a Roma da Scipione Nasica «. Enoi del suo arrivo in Italia e di poche altre cose aciò risguardanti abbiamo parlato per digressione nellastoria di Commodo. Donde poi sia venuto alla cittàcotal nome nòn sono gli scrittori d’ accordo. Perocché

alctmi asserirono chc fu detta così tóu irsavr comenoi diciamoci cadere, pér esser quivi caduta dal cielola statua della Dea. Altri raccontano che Ilo figliuolodi Troe re di Dardania le abbia dato tal nome. Teopompo afferma che ciò non da Ilo ma da Mida fu fatto ,già potentissimo re della Frigia. Giuliano adunque aven-do adorato quel Nume, e propiziatolo con ostie e convoti, si ricondusse ad Ancira. Di dove poi volendo par-tirsi per seguitar suo viaggio, fu angustiato da unagran moltitùdine di persone, delle quali alcune doman-davano che loro fosse. restituito quanto erasi loro, toltoper forza) altri dolevansi cP essere stati ingiustamenteascritti ai consorzi! delle curie 5 ed altri, non guardando

a pericolo, spingevan la rabbia sino ài punto di avvol-gere i proprii avversari! in accuse .di lesa maestà. Maegli siccome giudice più austero di Cassio * e di Li-curgo , ponderando con equa bilancia la giustizia dellecause, attribuiva a ciascuno ciò che gli spettava, non di

t V. T. Livio lib. xx ix , cap. io • l i -

ft Cassio fa un pretore romano illustre per la sua severità,  e menzionato anche da Cicerone. Si crede poi che il Licurgo qui nominato non sia il legislatore spartano, ma un oratorte ateniese.

3a AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTE5IMOSECONDO 33làogandosi mai dalla verità, e ' mostrandosi priacipàKAn.mente severo contro i calunniatori, cui egli odiava peraverne spesse volte sperimentato il furore e il pericoloquando erti umile ancora e privato. E della pazienza

da lui io questo incontro mostrata j sebbene ve n’ ab-biano molti esempi^ pur basterà addur questo solo.Qaalcuno venne ad annunziargli che un tale nemicodell’accusatore stesso ed in grande discordia con lui,conspirò va inquieto contro l’ imperio: e dissimulandoGiuliano cotesta accusa, e costui replicandola continua-

mente ogni giorno, venne alla fine interrogato chifosse costui eh’ egli •accusava. Rispose : Un ricco citta-dino. Ciò udito il Principe sorridendo gli disse : Perquali indizii sei tn giunto a saper queste eose? E quegli:Perchè di un pallio di seta sta facendosi un manto pur-pureo. Giuliano allora ordinò che costui, uomo danulla che accusava di cosa troppo . difficile un altrouomo pure da nulla, si partisse senz’altre parole, con-donandogli la pena della calunnia : ma quegli instava purtuttavia. Laonde Giuliano infastidito ' si volse al Teso-riere che gli era vicifco, dicendo : Fa che t» questo fa-stidioso garritore sta dato un manto purpùreo, che lorechi a quel suo nemicoj il quale egli dice (per quanto

ho potuto intendere) che sta acconciandosene unodi tal colore; affinchè possa conoscere di che gio-vamento sia un pezzo di panno senza grandissime forze.Ma come queste cose furon lodevoli e degne di essere imi-tate da’ buoni Principi, così fu invece grave e notabile,che sotto di lui chiunque fosse da’ cortigiani accusato

i Leggo:  a Cùriaìibus quisquam appetìtus. Piare che it Wa-gner leggesse invece e Curiaìibusj e ciascun vede'qual sia la dif-ferenza che viene a tutto il concetto da questa varia lezióne.

MARCELLINO, IX 3

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Àn.dcirE.V. per quanto stessero in favor suo o i privilegi o i miti3<5a tari servigi o la nascita, difficilmente poteva ottenere

che gli fosse accordato nè pur quello che era di ma-nifesta giustizia; sicché molti atterriti si riscattavanodalle molestie con segreti sagrifizii di danaro. Di que-sta guisa viaggiando Giuliano pervenne a Pile, che for-ma il confine tra i Cappadoci e i Cilici, e quivi ba-ciò il Rettore di quella provincia, per nome Celso, cuiegli aveva conosciuto fin da quando studiava in Ate-ne : e fattolo montare sul proprio cocchio, lo condusse

a Tarso con sé. Di quivi poi si parti colla solita sua ce-lerità, desideroso di veder presto Antiochia , sommo pre-gio d’ Oriente; ed appressandosi a quella città fu accoltocon pubblici voti a somiglianza di un nume, maravi-gliandosi egli medesimo ai gridi di quella gran molti-tudine , la quale andava esclamando che una salutiferastella risplendeva sulle contrade orientali. Ma accadde chein que’ medesimi giorni si celebrassero le feste Adoniesolite rinnovarsi ad ogni anno in onore di un amatoda Venere, ucciso (come finjgon le favole) dal feraldente di un Cinghiale, e simbolo delle messi recise nelfiore della lor maturanza. Laonde parve di tristo au-gurio che, entrando allora per la prima volta l’impe*

ratore in queir ampia città, e in quella stanza di Prin-cipi, si udissero dappertutto ululati di pianto e lamen-tevoli voci. E quivi pure apparve una prova lieve bensì,ma nonostante ammirabile, della pazienza e dolcezza diGiuliano. Egli odiava un certo Talassio stato poc’anziRicevitor delle suppliche, come colui che aveva tese in-sidie al fratello Gallo: ed avendo egli vietato che co-stui gli venisse innanzi per corteggiarlo e per fare 1’ of-ficio suo in compagnia degli altri Magistrati, alcuni coiquali aveva litigi nel foro, si congregarono insieme, «

34 AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTES1MOSECONDO 35

io grao tramerò se ne Teonero dall9Imperatore gridando: ▲n.ddPE.V.Talassio nemico della tua clemenza ci ha violentemente 369rapite le cose nostre. Ma Giuliano accorgendosi che co-storo coglievano forse quella occasione per opprimere

nn loro nemico, rispose: Conosco che Puomo di cui mi parlate m* ha offeso ingiustamente : e però è ragionevole che voi vi rimanghiate in silenzio > in fino a tanto eh3egli abbia soddisfatto a me che sono il più. ragguardevole fra* suoi avversari. E mandò al Prefettodie nou desse ascolto alle accuse di costoro, finchò egli

stesso non si fosse pacificato con Talassio; ciò che inbreve addivenne.X. Svernando poi in Autiochia, secondo che aveva

desiderato, non si lasciò trasportare a nessuna di quellevoluttà delle «piali abbonda tutta la Siria : ma sibbeneattendendo (come se questo fosse un riposarsi) allecause civili non meno ardue delle guerresché, era davarie care distratto; esaminando con somma esattezzacoiqe potesse attribuire a ciascuno le cose sue, e co-me con giuste sentenze i malvagi venissero da mode*rati castighi infrenati, e gP innocenti difesi conser-vassero intatte le proprie loro fortune. E sebbeneuscisse talvolta ne’ processi con intempestive domande,

interrogando fuor di proposito di che religione fosserok litiganti, pure non trovasi veruna sua sentenza dis-sonante dal vero; nè mai potè esser ripreso d’ avere oper la. religione o per qualsivoglia altro motivo deviatodal retto sentiero. Imperocché qnel giudicio è deside-rabile e retto che si fa discernendo con varii esami queleh’ è giusto da quello eli’ è ingiusto : ed egli fuggiva ditenere altra via, con quella cura medesima con cui P uomo procaccia di evitate gli scogli. E questo] ben potèconseguire, perchè conoscendo P indole troppo mobile

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An dell’E.V. àel proprio ingegno, permetteva *ai Prefetti ed allealtre persone di corte che gli eran vicine di frenare,senza riguardo, con opportune ammonizioni, i suoi im-peti, ogni qualvolta lo trasportassero a cosa che non

fosse conveniente ; e mostrava sempre che gl’ incresce-vano i proprii errori e piacevagli d’ esser corretto. Ecelebrandolo un giorno i difensori delle cause con gran-dissime lodi, come perfetto conoscitore del giusto , di-cesi aver lui risposto :  Io godetti certamente e mi re- 

 pittai sempre, quando era lodato da persone che mi po

tevano anche riprendere qualora io avessi fa tta o detta  pur qualche cosa che meritasse riprensione. Delle molteprove poi di clemenza eh’ ei diede nel giudicare le causebasterà l’addurne qui una sola, non lontana dai «ostroproposito nè ioopportuna. Una donna chiamata in giudiziovedendo il proprio avversario ( il quale era un Ufficialedi corte dimesso ) contro ogni sua aspettazione succinto

a modo de’ pubblici Magistrati, tumultuando si quere-lava di questa insolenza. E l’Imperatore iuvece : Prosegui (disse) o donna ad esporre se in qualche cosa ti credi offesa da cotestui : egli non s’è in questa guisa succinto se non per camminare più. espeditamente nel 

 fango : ma ciò poco può nuocere alle tue ragioni. E

per queste e simili altre cose stima vasi, com’ egli me*desimo continuamente diceva, che quell’ antica Giusti-zia la quale Arato afferma che, offesa dai vizii degliuomini, si è levata al cielo, sotto l’imperio di lui fossediscesa nuovamente sulla terra ; s’ egli non avesse inalcune cose seguitato l’arbitrio suo proprio anziché leleggi ; d’onde poi, traviando, offuscò qualche volta il

corso di tante sue glorie. Del resto corresse anche cmigliorò molte leggi, togliendone le ambiguità, e fa-cendo si che nettamente indicassero quel che comauda

56 AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMOSECONDO 37vano e quello che proibivano. Fu peraltro cosa incle An.den*E.V.mente e degna di esser sepolta in un perpetuo silenzio ^l’ aver egli vietato ai maestri di rettorica e di gram-matica d’ammaestrare i cristiani.

* XI. Sotto que’ medesimi giorni quel segretario Gau-denzio che già dicemmo 1, essere stato spedito daCostanzo nell’ Africa per opporlo al nuovo Impe-ratore , ’ed un certo Giuliano exVicario, troppo cal-do fautore della fazione avversaria, furono posti incatene e condannati alla morte. Anche Artemio, già

governatore dell’Egitto, accusandolo gli Alessandrinidi molti atroci delitti, fu condannato nel capo : edappresso, il figliuolo di Marcello stato Maestro de’ ca-valli e dei fanti, fu pubblicamente fatto morire : e Ro-mano e Vincenzo, tribuni della prima e seconda scuoladegli sentati ) convinti d’avere aspirato a cose maggioridel loro grado furon cacciati in esilio. Non guari dopo

gli Alessandrini, risaputa la morte di Artemio, e per-ciò liberati dal timore che avevan di lui ( non forseritornando potente fra loro si vendicasse, come aveaminacciato, delle accuse che gli erano state poste ), con-vertirono il proprio sdegno contro il vescovo Giorgio,il quale avevali spessé volte assaliti, per cosi dire, con

viperei morsi. Nato , com’ era fama, da un purgatoredi lana presso ad Epifania città della Cilicia, e cresciutoio mezzo alla rovina di molti, fu consacrato contral’ utilità sua propria e comune vescovo d’Alessandria,città che di per sè stessa e anche quando non v’ han-no cagioni da ciò, è agitata da s|>esse e turbolente se-dizioni ; secondochè attestano anche gli oracoli. Ora all#

menti efferate di cotali uomini a’ era aggiunto anche

i Lib.  ja is c. 7 .

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An.delPE .V.Giorgio, non lieve incentivo, accasando non pochi alleorecchie sempre aperte deir imperatore Costanzo, sic-come ricalcitranti ai comandi di lui: e dimentico delministerio suo proprio, il quale non consiglia se non

quello eh’è giusto e mite, abbassavasi ai ferali nfEcitdei delatori. E fra le altre cose dicevasi lui avere per-suaso a Costanzo anche questo, che in quella città tuttigli edifizii aderenti al suolo, siccome eretti a pubblichespese del fondatore Alessandro, dovevano per dirittoappartenere all’erario del fisco. A questi mali poi m

aggiunse un altro per cui poco dopo fu precipitatoio rovina. Tornando egli dalla corte del principe e pas-sando dinanzi ad un bel tempio del Genio, accerchiato secondo il costume suo da molte persone, rivolse aquell’ edificio lo sguardo e disse : Fino a quando starà in piedi questo sepolcro ? Di che molti, come percossida fulmine, temendo che non tentasse di rovesciare

anche quello, si diedero a macchinate quanto poteronocon segrete insidie alla rovina di lui: quando ad untratto essendosi divolgata la morte di Artemio, tuttala plebe levatasi in una gioja improvvisa, e fremendocon orribili grida, trasse alla volta di Giorgio; e strascinaronlo fuori pei piedi che gli ebbe? forati, con varie

maniere di tormenti opprimendolo e conculcandolo. Einsieme con lui furono morti anche Draconzio prefettodelle monete e un certo Diodoro già conte, ai qualipure foraronsi con corde le gambe: il primo perchèaveva rovesciata un’ ara elevata recentemente nella zec-ca : l’ altro perchè presiedendo alla costruzione di unachiesa toglieva insolentemente i ricci a’ fanciulli, sti-

mando che anche questi fossero indizio di culto paga-no '. Nè contenta di questo la moltitudine inferocita,

i  Id quoque ad Dcorum cultum existimans pertinere. Il si

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LIBRO VENTESIMOSECONDO 39posti i cadaveri sovra cammelli li condusse al lido; e quivi AnAIPB.V.abbruciatili oe giitò le ceneri al mare; per tema (sic* 369come andava gridando) che raccolte le loro reliquie^non si fabbricassero anche a costoro de?templi, come

erasi (atto ad alcuni altri : i quali violentati affinchè stpartissero dalla propria religione, vollero sostenere piut-tosto orribili pene, conservando intemerata la loro fe-de sino alla morte; ed ora si chiamano martiri. Que’miserabili uomini condotti a sì crudele supplicio avrebbon potuto esser difesi dal soccorso de* cristiani; se'tutti,

d’ogni religione, non fossero stati accesi dall’ odio con-tro di Giorgio. L’Imperatore come n’ebbe contezza simosse per vendicare l’atroce delitto; ma quando stavaper sottoporre i colpevoli agli estremi castighi, fu am-mansato dalle preghiere de’ suoi cortigiani: sicché poipromulgò soltanto un editto, nel quale con gravi pa-role disapprovò quant’erasi fatto; minacciando la morte

a chiunque per l’ avvenire tentasse pur qualche cosacontraria alla giustizia e alle leggi.

XII. In questo mezzo Giuliano apparecchiava una spe-dizione cootro i Persiani, e l’aveva già da gran tempodeliberata nel suo grand’ animo per vendicare le prete-rite offese; come colui il quale sapeva ed udiva dire che

quella crudelissima gente pel corso di circa sessant’ anniaveva lasciati nell’ Oriente orribili monumenti di stragie di rapine, e spesse volte aveva distrutti gli esercitanostri. Cuocevalo poi un doppio desiderio di guerreggiare:prima perchè essendo intollerante dell’ ozio sognava trom-be e battaglie: poscia perchè trovatosi esposto sino dalprimo fiore della sua età alle armi di nazioni feroci, ora

gni ficaio di queste parole non parve sicure a* Cementatori , •  parciò le versioni soa varie.

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An.déir£.V.<che si rinnovavano le preghiere *' di certi Re e Principi i^ qiiali ben si credeva che si potrebbono vincere, ma recarli

a stendere supplichevolmente le mani non mai, ardeva<li poter aggiungere il cognome di Partico allo splendore

delle illustri sue glorie* Alcuni detrattori oziosi e mali-gni reggendo affrettarsi a tal fine grandi apparecchi,andavano mormorando esser cosa indegna e dannosache per essersi cambiato un sol uomo a, si destasserotante intempestive turbolenze^ e ponevano ogni studioa differire quella spedizione: ed anche al cospetto di

chi credevano che fosse per riferire ogni cosa all’ Impe-ratore, andavan cianciando, che s’egli non si compor-tava più posatamente , per la troppa prosperità rovi-nerebbe sotto la' sua propria fortuna? a guisa di biadeche lussureggino per soverchia grassezza del suolo. Maindarno per lunga pezza e frequentemente andaron co-storo latrando siffatte cose intorno a quell’ uomo im*

mobile alle.occulte ingiurie, come i Pigmei, o comequel Lindio Tiomada, uomo agreste, contro Ercole 3.Egli frattanto, siccome uomo di animo superiore aglialtri, non rallentandosi mai dal considerare seco me-desimo la grandezza di quella spedizione, attendeva congran diligenza a preparatisi condegnamente. Pure con

i  Recaleniìbus precìbus. H De Moulines veramente traduce  fes haines commencoit a se réveillcr.

a Unius corporis mutationej cioè per essere succeduto Giu-liano a Costanzo.

3 De* Pigmei, fav olosa nazione, raccontasi che una volta abbiano mosso guerra ad Ercole» Rispetto a Tiomada poi ( pa-

store di Lindo città nell’ isola di R odi), si narra che veden-d o un giorno Ercole dar di piglio ad uno de’ suoi bu oi e man-giarselo, facesse ogni suo possibile per impedirlo, senta che quell’eroe si desse  punto pensiero di lui.

4o AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VEN TESIMOSECONDO 4‘itroppa frequenza bagnava Pare del sangue delle ▼ittiÀn.delTE.V.me, immolando qualche volta ben cento tori, e in nu-merabili greggi, di vario bestiame, e candidi uccelli cer-cati per terra e per mare: di sorte che poi i soldati

quasi ogni giorno mangiando e bevendo a ‘dismisura, ve*nivan portarti sulle spalle de* passaggieri dai templi ( do*v’ eransi abbandonati a banchetti da proibirsi piuttostochè da concedersi 1) ai loro quartieri ; e soprattuttoi Petulanti ed i Celti P audacia de’ quali allora passavaogni confine. Accrescevansi anche le sacre cerimonie con

un dispendio inusitato e assai grave. E non vi essendoproibizione di sorta, ciascuno, fino ai più ignoranti, pro-fessava la scienza de9vaticinii ; e senza che fossero inciò stabiliti o confini od ordini, tutti si permettevanod’ interrogare gli oracoli e le viscere, che manifestanopur qualche volta il futuro; e nel canto degli uccellie nel volo e negli altri prestigi, ogni qualvolta se ne

pote*ser trovare, indaga vasi con affettata varietà. Ormentre coteste cose procedono di tal maniera, Giulia-no ( come suole avvenir nella pace ) assecondando lacuriosa inclinazione eh’ egli medesimo aveva a siffatti og*getti, pensò di riaprire le sorgenti fatidiche della fon-tana Castalia, la quale dicevasi essere stata otturala dal*

l’ imperatore Adriano, per tema che siccome egli dallavirtù di quelle acque profetiche era stato avvertito dioccupar la repubblica, cosi anche qualche altro nonfosse da loro ammaestrato di fare lo stesso. Giulianopertanto ordiuò che i corpi stati sepolti intorno a quelfonte 3 si portassero via con quel rito col quale gli Ate-niesi altre volte avevan purgata P isola df Deio.

t Vìndicandis potius quam cedcndis conviviti indulgcbant: ma è lezione incerta.

2 Gli antichi convertivano in cimiterii que' luoghi ne* quali volevano che non si facesse mai più novità.

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An.delTE.V. XIII, In quel tempo e propriamente nel giórno a a363 di ottobre il vastissimo tempio di Apollo Dafneo fon-

dato da Antioco Epifàne re sdegnoso e crudele, e lastatua del Dio fatta a somigliànzà del Giove Olimpico

e di quella stessa grandezza, furon consunti dalla vio-lenza di un incendio improvviso. Del quale accidentel’imperatore fu tanto afflitto, che ordinò se ne faces-sero indagini più severe del solito} e si chiudesse lamaggior chiesa d’ Antiochia. Perocché sospetta vasi cheP incendio fosse stato opera de’ cristiani, stimolati a ciò

dall1invidia; da che vedevano che quel tempio venivasicircondando allora con sontuoso peristilio. Pur dicevasianche ( ma la fama n’ era incertissima ) essere il tem-pio abbruciato per questa cagione; che il filosofo Asclepiade ( del quale abbiam fetta menzione sotto Magnenzio) venendo per visitare Giuliano, come fu arrivatoa quel sobborgo, pose ai piedi del gran simulacro unapicciola statuetta d’argènto di Venere Celeste, cui: egliera solito portar seco; poi accesi come s’usa alcuni lumi,uscì fuori. D’ onde poi nel mezzo della notte, non vi sitrovando persona che potesse a ciò metter riparo, al-cune scintille spiccatesi da quei lumi andarono a cadere«opra materie aridissime; e così ampliandosi il fuoco

che vi trovò nutrimento acconcissimo, tutto fu incen-diato, spingendosi la fiamma financo alle parti più ele-vate del tempio. In quell’ anno poi, all’ appressarsi delverno v’ebbe una siccità sì tremenda, che i fiumi ina-ridirono , ed anche alcune sorgenti che per l’addietrosolevan essere copiosissime d’ acqua : pur tornarono poiàncora nel loro stato di prima. Finalmente nel secondodel dicembre, declinando già il giorno verso la sera,un tremuoto rovinò quel che restava ancora di Nicomcdia, ed una parte eziandio non piccola di Nicea.

4a AMMIANO MARCELLINO

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XIV. Le quali cose sebbene affliggessero l’imperatore, AndèlPE.non rimetteva egli per altro dai necessari apparecchi % 363finché venisse il tempo del combattere, a coi sospirava.Pare in mezzo alle importanti e serie sue occupazioni

questa pareva intempestiva e soverchia, che senza pròbabil motivo e sol per amore di popolarità, attendevaa far sì che ogni cosa spettante al vivere fosse a viiprezzo: la qoal diligenza, dove non sia ordinata comeconviensi, suoi poi spesse volte produrre l’ inopia e lacarestia. £ sebbene il Senato d’Antiochia gli dimostrasse

che per allora non si poteva eseguire ciò che comandava,non volle rimoversi dal suo proposito, imitando in que-sto l’ostinazione di Gallo, comunque non fosse sanguinario al pari di lui. D’onde poi irritato contro costoro,e chiamandoli detrattori e caparbj, compose quell’ in?vettiva che intitolò l’Antiochese ovvero il Misopogo*ne 1; nella quale enumerò con animo ostile i vizii diquella città, passando peraltro i confini del vero. Dopodi che accorgendosi che si vociferavano parecchi motticontro di lui, costretto a dissimulare, ardeva nel suo •segreto di sdegno. Veniva per derisione chiamato Cer-co pe * ; nomo di piccìolà statura, con grandi spalle, cheostentava una barba da becco, e con incesso.sì grave

da parere un fratello di Oto e di Efialte, de’ qualiOmero descrive l’ immensa persona. Dicevanlo inoltrevittimario invece di sagrificatore, alludendo alle moltevittime ch’egli immolava: e in questo poi ragionevolemente incolpavamo, ch'egli arrogandosi di portare per

i V odiator delia barba.a I Cercopi abiurali vicino alla Sicilia, e furon da Giove tramutati in Scimmie a motivo della loro malvagità. La parola del lesto Cereope significa  muso da scimmia.

LIBRO VENTESIMOSECONDO 43

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 A d.dcir£.v.pompa le coée sacre invece de’ sacerdoti, compiace vasidi vedersi circondalo da doonicciuole. E sebbene Giu-liano per queste ed altre somigliatiti cagioni sdegnasse,'

pure tacendo e serrando dentro di sé colla forza detTanimo suo I# collera, celebrava i consueti suoi sagrifizii. A1Vultimo in un certo giorno di festa ascesesul Casio, monte coperto di boschi il quale nella suarotondità spiogesi in alto per modo che al secondo cantodei galli già si comincia di quivi a vedere il nascer delSole: e sagrifìcando egli colà a Giove, vide improvvisa-

mente un uomo prostrato al suolo, il quale con sup-plichevole voce domandava che gli fosse perdonata lavita. E domandando egli chi fosse, gli fu risposto es-ser costui Teodoto già presidente della città di Jerapoli: il quale quindi partendosi con altri ufficiali checorteggiava a Costanzo, e smoderatamente adulandolo,quasi sicuro della vittoria, lo aveva pregato con lagri-me finte e con gemiti, di mandar loro la testa dell7in-grato e rivoltoso Giuliano, com’ egli si ricordava cheun tempo s’era portata in volta quella di Maguenzio*E Giuliano ciò udendo:  Altre volle, disse, lio sentite ripetere questa•cosa: tu per altro ritorna sicuro a?tuoi lariy sciolto da ogni timore per la clemenza del tuo 

Principe, il quale, secondo il precetto di un savio, ama e procura di menomare il numero de9nemici e d’accrescere quel degli (unici. Terminate poi quelle sacre ce-rimonie ed uscito Giuliano di là, gli f u r o n o presentatelettere del Governatore d’Egitto, il quale gli annuncia-va che dopo lunga e diligente ricerca s’ era finalmentetrovato un bue Api \  ciò che nell’ opinione di quegliabitanti è gran fortuna, e indizio d’ abbondanza e divarii beni. E di questo cade in acconcio di ragionarealcun poco. Tra gli animali consacrati dalle antiche oa

4 4   AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMOSECONDO 4*servante direligione il Mnevi e V Api sonò i più noti :An.

il : Mnevi; consacrasi al Sole, nè ci rimane intorno adesso alcuna memorabile' tradizione: 1’ akro alla Luna.È poi l’Api un bue segnato da diverse figure di mac-

chie naturali, e principalmente dalla immagine di unaIona cornata che gli campeggia sul destro lato: il qualedopo.esser vivalo il tempo che gli *ò prescritto, im-mersoinnosscto fonte si parte di questa vita ( chènon .debbo egli vivete oltre a quanto prescrive la se-greta autorità de’ libri mistici ; nè più di una sola volta

in un anno si conduce a lui una femmina con certemacchie detevminate ancor, essa) ; e con pubblico luttosi. va cercandone nn’altra E quando s’ è potuto tro-varlo fornito di tutti i suoi segni vien condotto a Memficittà popolosa ed illustre per la presenza del nume Escu-ta pio: dove poi, consacrato da un consesso di centosacerdoti, e introdotto siccome sacro nel tempio, è fa-

ma eh’ esso dimostri con. manifesti indizi! il futuro, eda sè respinga con segni di tristo augurio taluni chegli. s’accostano ; di che si legge che una volta respinseGermanico Cesare venuto a recargli del cibo, indican-do quello che poco dopo gli doveva arrivare.

XV. Qui dunque, poiché ciò sembra richiesto dal-

l’occasione, toccherò brevemente delle cose d’ Egitto}delle quali negli alti dei principi Adriano e Severo ab-biamo ampiamente parlato, narrando cose per la mag-gior parte da noi medesimi co’ proprii nostri occhi ve-dute. La nazione egizia, più antica di tutte l’altre ( chine tolga per avventura gli Sciti che le contendono que-sto vanto) a mezzo giorno è chiusa dalle Sirti mag-

giori 1 dal promontorio di Fico e di Borione, da’ Ga

i Fu notalo che le Sirti maggiori cioè il Golfo di Sidra so- tio invece ai Ponente dell’ Egitto. *

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il  deirE.V.ramanti e da altre varie genti: d’ onde guarda all’O*363 riente le si stendono intorno Elefantina e Meroe, città

degli Etiopi, e i Catadupi e il mar rosso, e quegliArabi Sceniti che noi chiamiamo al presente Saraceni:dalla parte Settentrionale confina con quell’immensospazio di terra d’onde hanno principio l’Asia e le prò*vince della Siria: a Ponente è terminata dal mare Is*siaco denominato da alcuni Partenio. Ma converrà par*lare brevemente del Nilo (fiume più d’ogni altro be-nèfico e da Omero chiamato Egitto) prima di farci a

descrivere alcune altre cose mirabili che trovano inquelle regioni*. Le scaturigini del Nilo mi penso cherimarranno ignote anche alle età avvenire, come s’igno-rano dalla presente. Tuttavolta perchè i poeti favoleg-giando, e i geografi abbracciando, contrarie opinioniaccrescono le difficoltà e rendono più oscura questa no-tizia, io toccherò brevemente quelle opinioni che piùmi sembran vicine alla verità. Affermano alcuni fisiciche ne’paesi «oggetti al Settentrione, quando il rigoredel freddo assidera e stringe ogni cosa, congelasi unagrande quantità di nevi; che queste nevi sciolte dallavampa del Sole s’alzano in nubi gravide di umori ; lequali poi spinte dai venti etesii alla parte meridionale,

e dal soverchio calore disciolte, si crede che siano ca-gione al Nilo di gonfiarsi ampiamente. Altri asserisco-no che le innondazioni di questo fiume in certi tempidell’anno determinati provengono dalle piogge abbon-danti , solite a cadere nell’ Eliopia durante il calor dellastate. Ma tutle e due queste opinioni pajonmi discor-dare dal vero. Perocché si dice che presso gli Etiopi

o non piove mai o le pioggie vi cadono al certo ra-rissime volte. Più accreditata è quell’altra opinione, chetraendo i venti così detti Prodromi, e poi per qua

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rantacinque giorni continui gli Etesii, nc contrariano An.ddTE.V.il corso per modo clie Tonda risospinta, si1gonfia estraripa: e per quel soffio contrario créscendo ognorpiù, e da una parte resistendo la forza dei venti, dal*

P altra incalzando il corso delle sorgenti perenni, il fiu*me sollevasi altissimo e copre ogni cosa, e facendo di-sparire la terra s’allarga sui campi e rende sembianzadi un mare. Il re Juba poi sulla fede di alcuni libripunici afferma che il Nilo nasce da nn certo monte si*tuato nella Mauritania e risguardante alPOceano: e que-

sto dice asserirsi perchè nelle paludi mauritane trovansipesci, erbe, e mostri simili a quelli del Nilo. Questopoi attraversata P Etiopia sotto varii nomi che gli sonoimposti nel suo passaggio dalle differenti nazioni, ar-riva fragoroso e gonfio di ricchissimi flutti alle cate-ratte (ciò son certi scogli scoscesi, dai quali cade»piuttostoché scorrere, precipitando) ; d’onde gli Ati cheuna volta abitavano colà intorno, perdendo pel conti-nuo fragore P udito, furon costretti di andar cercandopiù quieto paese. Da indi poi discorrendo più lenta-mente, e senza ricevere lungo P Egitto accrescimentoveruno d’ acque straniere, se n’ esce per sette boccheciascuna delle quali somiglia ad un fiume e ne offeri-

sce i vantaggi. Ed oltre a parecchi fiumi derivati dal*P alveo principale e che rientrano poi in alcuni suoirami, ve n’ ha sette navigabili e ricchi di acque aiquali gli antichi apposero nomi lor proprii, P Eraeleotico, il Sebennitico, il Bolbitico, il Fatnitico • il Men*desio, il Tanitico e il Pelusiaco. Il Nilo pertanto na-scendo da dove si è detto, si spinge dalle paludi finoalle pata ratte e forma parecchie isole, alcune delle qualisi credono di tanta estensione che il fiume appena lescorre in tre giorni. Fra queste ve n'ha due famose,

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A«i.ddfflE.V%Meroe e Delta ; così essendo chiamata quest9 ultima dalla363 forma triaiigolare che lia questa lettera *. Da quando

poi il Sole comincia a percorrere il seguo del cancro,finché trapassa in quel della libra, il Nilo volge sem-

pre rigonfio per lo spazio di cento giorni : appressodecresce e Tacque si abbassan per modo che i cavallicominciano a correr di nuovo pei campi dove primaveleggi&van le navi. Quando il fiume si gonfia, sover-chiamente *è dannoso del pari che quando vien tropposcarso:, perocché tenendo, per soverchio di flutti, ba-

gnate troppo a lungo le terre tarda la coltivazione deicampi 3 e se le acque traboccanti son poche !mio acciasterilità. I possessori dei campi soglion desiderare chenon s’alzi mai al di sopra di sedici cubiti: e quapdo>l’inoondazione stia dentro ai giusti confini accade tal-volta ,chc d’una semente gettata nel pingue terreno sene raccolgati sei tanta grani. Questo poi è il solo fiume

che non geueri vento di sorta. L’Egitto è ricchissimoauqhe di molti animali sì di terra come di acqua ; eve n’ ha di quelli eziandio che vivono parte all’ asciuttoe parte nell’ acqua , d’onde si dicooo ( àutyifiou ) anfibii. Ne’ luoghi asciutti vivono i Caprioli e i Bufali ele Sfingi di ridicola deformità, ed altri mostri che qui

non importa nominare. Fra le bestie acquatiche il paeseabbonda dovunque di Coccodrilli; quadrupede esiziale,abituato a tutti e due gli elementi. Non ha lingua, emove soltanto la mascella superiore; ha denti ordinatia foggia di un pettine; avido sempre di mordere tuttoquello che gli si para dinanzi; figlia per mezzo di ovi

i  Deità dicesi la quarta lettera dell* alfabeto greco, e seri,vesi A : e questa è appunto la figura dell* isola di cui qui siparla.

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sìmili a quelli delle oche. E se com’è armato di unAinleirE.V.ghie avesse anche i diti, basterebbe colle sue grandi 362forze a rovesciare fin le navi * perocché qualche voltacresce sino alla lunghezza di dieci cubiti : di notte si

riposa nell’ acque , e di giorno procacciasi nutrimentoall’ asciutto, confidando nella propria pelle, si forte,che il suo dorso come se fosse munito d’ una corazza,appena può esser focato da colpi scagliati con qual-che macchina. Con tutto che queste belve siano sem-pre efferate, abbandonano quasi in forza di un patto

ogni ferocia e diventano miti in qué* sette giorni neiquali i sacerdoti di Memfi celebrano il natale di Àpi.Ad alcuni de’ Coccodrilli poi, oltre a quelli che muojono naturalmente, vien lacerato il ventre eh’ è molledalle croste che portan sul dosso alcuni animali delNilo somiglianti a Delfini: ed altri finiscono in que-st’ altra maniera* U Trochilo, piccolo uccelletto, cer-

cando il proprio nutrimento, vola talvolta leggiermenteintorno al Coccodrillo che dorme sdrajato , e solletican-done le mascelle s’addentra fin dove comincia la gola.L’Idro eh’ è una specie dell’ Icneumone, ciò visto , sicaccia aneli1egli dentro la bocca , aperta a cagione delTrochilo*, e saccheggiato il ventre della belva si apre l’u-

scita dilacerandone le parti vitali. Il Coccodrillo è audaceverso chi fogge timidissimo dove trovi chi gli si op-ponga : ha vista acutissima quando, è sopra terra ; ed è fa-ma che pe’ quattro mesi d’inverno non si pasca di nessuncibo. Si generiino poi in quelle parti anche gl’ Ippo-potami , più astuti di tutti gli animali che non hannoragione, e somiglianti ai cavalli, ma colle unghie fesse

è colla coda corta. Dell’astuzia di questo animale ba •sterà addurre al presente due prove. Dove siano can-neti alti e foltissimi, ivi ^i appiatta, e con assidua vi

MARCLLLIKO , 1 1 4

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An.deirE/V.gilanza guatando attorno, come vede il buon destro,esce a divorare le messi. E quando, pasciuto, vuol ri-tornare al suo covo, camminando a ritroso segna pa-recchie deviazioni colle orme, affinchè i cacciatori non

possano, seguitando le tracce di un solo e distinto an-dare, trovarlo ed ucciderlo. Così parimente qualorasente impigrirsi per essersi con troppa avidità soprac-caricato il ventre, strascina le cosce e le gambe soprale canne recentemente tagliate, in modo da ferirle inpiù parti, affinchè il sangue che n’ esce gli allevii la

pesantezza ; poi ravvolge le carni ferite nel fango sic-ché le piaghe si chiudano in cicatrici. Queste belve raree mostruose le vide per la prima volta il popol romanonell1edilità di Scauro, padre di quello Scauro che fudifeso da M. Tullio; il quale allora consigliava ai Sardidi accordarsi con tutto il resto del mondo ad onorarequella nobil famiglia. Nelle età susseguenti poi ne furon

condotte a Roma parecchie; ed ora non si trovano piùnell1Egitto, perchè, secondo la congettura di quegliabitanti, infastidite dalla moltitudine* di colorò che da-vano ad esse la caccia, emigrarono nel paese dei Blemmj. Fra i volatili dell’ Egitto (de9quali è innumerevolela varietà ), è sacro ed amabile l’ Ibi ; ed anche è van-

taggioso per questo, che trasportando nei proprii nidiper cibo de9suoi piccini le uova de9serpenti, diminui-sce il numero di questi mortiferi animali. Quegli uc-celli affrontano anche le schiere degli alati serpenti cheemergono delle arabe paludi a diffondere il proprio vele-no; e superandoli in aeree battaglie li divorano primache abbiano oltrepassati i loro confini. Ci fu poi rac-

contato che l’ibi manda fuori i suoi ovi pel becco. L’E-gitto produce anche innumerevoli serpenti, oltre ognicreder feroci; basilischi, anfesibene, scitale, aconzii,

So AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMOSECONDO Si dipsadi, vipere ed altri parecchj; e P aspide inol tre,An. delTE. V. 

clie li supera tutti nella mole del corpo e nella bel 364lezza,*e non lascia mai di sua voglia le correnti delNilo. Molte altre cose si trovano in que’ paesi, le quali èpregio dell5opera raccogliere e brevemente spiegare.V }hanno dovunque templi di grandi moli, e piramidialte per modo che annoveratisi fra le sette meraviglie,e delle quali Erodoto ci ha descritta la lunga e diffi-coltosa costruzione. Sono torri condotte ad un’ altezzache supera tutto quello che possa mai farsi dagli uo-

mini } larghissime nella base, e finienti in acutissimecime. Questa figura chiamasi poi col nome di pi-ramide dai geometri, perchè a similitudine del fuoco(tov ropòc) innalzandosi si assottiglia in sembianza diun cono. E perchè la loro ampiezza, smisuratamenteelevandosi, impicciolisce, anche P ombra per meccanicaragione si perde *. V* hanno anche sotterranee siringfie> e sinuosi recessi, scafati, per quanto si dice, in di-versi luoghi e con grande fatica da alcuni nomini pra-tici de’ riti antichi ; i quali presaghi del futuro di-luvio, provvidero per tal modo che la memoria dellesacre cerimonie non cadesse in obblio; e intagliandonele pareti vi scolpirono molte specie di uccelli e di fiere, e

innumerevoli figure di animali, denominate da loro let-tere geroglifiche. Avvi poi Siene », dove il Sole nel tem-po del solstizio estivo, trovasi in direzione tanto per-pendicolare, che i corpi non gettano verun’ ombra. Peròse qualcuno pianta un bastone diritto, o guarda unuomo od un albero ritti in piedi , vedrà le om

i Ciò dee ralere soltanto per quel tempo in cui il Sole se*▼rastà a perpendicolo sulle piramidi.

a  Assuan.

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An.de)rE.V. bre di questi corpi svanire sui loro lineamenti , sicco36:4 me* è fama che avvenga in Meroe, sito d’ Etiopia vi-

cinissimo al cerchio equinoziale, dove pel corso dinovanta giorni, le ombre gittano in una direzione con-

traria alla nostra } d’ onde poi gli abitanti si chiamanoantischi *. Ma perchè queste meraviglie son tante cheeccedono i confini del nostro libro, noi vogliamo la-sciarle ad ingegni più eccelsi, per dire invece pochealtre cose intorno alle province di quel paese.

XVI. Dicesi che P Egitto ne’ tempi antichi avesse tre

province 5 P Egitto propriamente detto, la Tebaide ela Libia: alle quali poi altre due ne aggiunse la poste-rità, P Augustamnica e la Pentapoli, staccate quelladalP Egitto, e questa dalla Libia ardente. La Tebaidepertanto ha fra molte altre città Ermopoli, più illu-stre di tutte, e Copto ed Antinou, illustrata 3 da Adria-no in onore del suo Antinoo ; perocché Tebe dalle cinto

porte non è alcuno che non la conosca. Nell’Augustamfiica avvi Pelusio, nobil città, fondata (comesi narra)da Peleo padre di Achille, ammonito dagli Dei di pu-rificarsi nel lago che bagna le mura di quella città, al-lorché dopo P uccisione del fratello denominato Focotrovavasi esagitato dalle orrende immagini delle Furie.

Avvi anche la città ^di Cassio 3 dov’ è il sepolcro d<4Gran Pompeo^ e Ostracine 4 e Rinocolura 5. Nella Pen;tapoli di Libia è situata Cirene, città antica ma de-serta , fondata dallo Spartano Batto ; e Tolommàide 6,

1 Dalla preposizione <xm  conira , e dal nome  cxios ombra.2  CondidiL Prima chiamavasi Besa ; poi quell* Imperatore 

la abbellì e le mutò il nome.3  Katieh.4 Straki.5  El-Arisch.6  TolomeU*j e appresso Teukeraj Dente, Bemic.

5a AMMIANO MARCELLINO

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e Arsione detta anche Teuchira, e Danti e Berenice, An.d«ITE.V.denominate altresi Esperidi: Nella Libia ardente poi avviParetonio ' e Cberecla e Neapoli, oltre alcune poche epiccole città municipali. L’Egitto propriamente detto

(il quale daechè trovasi unito all’ imperio romano viengovernato da Prefetti ) , a tacerne alcune minori città,risplende per quelle grandissime di Atribo, di Ossiria-co 3 9 Thmui 3 e Memfi. Perocché Alessandria è il fioredi tutte le città, nobilitata di mólte cose dalla ma-gnificenza del suo sublime fondatore e dall’ ingegno

dell’ architetto Dinocrate : il quale, mancandogli la calcementre fondava le ampie e belle mura, ne segnò conferina la circonferenza: e così con questo accidente pre-sagì che quella città nel tempo avvenire sarebbe stataabbondevole di vettovaglie. Ivi spirano aure salubri, eil clima vi è tranquillo e benigno; e come insegnaP esperienza di molte età, non v’ ha quasi giorno in cui

gli abitanti di quel paese non veggano il Sole sereno.Siccome poi quella spiaggia fallace ed insidiosa .perlo addietro soleva condurre i naviganti in molti pe-ricoli , Cleopatra pensò d’ innalzare nel porto nn’ ec-celsa torre, denominata Faro dal luogo in eui tro-vasi 4, la quale di notte illuminasse la via alle na-

vi ; mentre prima d’ allora venendo queste dal marPartenio o dal Libico, e 'veleggiando per luoghi ora si-nuosi ora aperti senza scorgere dai monti o dai colliverun segnale che loro servisse di guida, davano inbanchi di sabbia e rompevausi. Quella stessa regina per

1  Al-Baretoun.

2  Behnesé.3 Tmoaé. Di Memfi si conoscono oggidì appena i campi ove stette.

4 Cioè dall'isola Faro su cui fu eretta.

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.V.una cagione conosciuta del pari che urgente costrutteanche 1’ Eptastadio 1, traendolo a mirabile altezza conquasi incredibile celerità. L’ isola di Faro , dove Omeroracconta con uno stile più elevato del solito che Proteo

dimorò col gregge delle Foche, è disgiunta dal lidodella città mille passi 3 e fu già tributaria de9 RodiottLI quali essendo una volta colà venuti e volendo esi-gere più di quanto era ad essi dovuto, quella reginaapparecchiata sempre alle frodi, sotto il pretesto d’al-cune feste solenni seco addusse que’ pubblicani nei sob-

borghi di Alessandria ; avendo intanto ordinato che conincessante lavoro si attendesse a compiere 1’ opera di-visata ; ,e in sette giorni, a forza di gittar nel mareenormi macigni, s’empiè lo spazio di sette stadii,d’ onde quell’ isola fu unita al continente. Nella qualepoi essendo ella entrata sopra un cocchio, proclamòche i Rodiotti pigliavano errore, siccome quelli che

dovevan cercare il tributo di un’ isola e non di un paesecontinentale. Sono oltre a ciò in Alessandria templi disublime altezza, fra i quali maggioreggia quello di Serapide; e sebbene a parole mal se ne possa aggua-gliar la grandezza, dirò nondimeno eh’ esso è or-nato di grandissimi atrii sostenuti da colonne, da sta-

tue somigliantissime al vero e da tante altre opere,che dopo il Campidoglio ( pel quale la veneranda Ro-ma si è fatta eternamente famosa ) non vede il mondopiù sontuoso edificio. Quivi furono, un tempo bibliote-che d’ inestimabil valore ; e la concorde testimonianzade’ monumenti antichi afferma che nella guerra Alessan-drina , essendo saccheggiata quella città sotto il dittator

1 Cioè Sette-stadii j   e U cagione di questo nome si Tedequi appresso.

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Cesare, furono abbruciati bea settecento mila volami, An.<felPE.T.raccolti dalle continue cure de’ re Tolomei. Sorge poilontano dodici miglia da Alessandria la città di Cano-po i , alla quale ( come raccontano le antiche tradizioni )

diede il nome il nocchiero di Menalao ivi sepolto:luogo fornito di allegri alberghi, e dominato dal soffiodi salutiferi venti; sicché all’uomo che vi si trova sem-bra di essere fuori di questo mondo, sentendo spessevolte il mormorio dei venti mentre chè ivi tutto itranquillo. In quanto alla città di Alessandria, essa non

crebbe a poco a poco siccome Paltre, ma fido da’suoipriooipii allargossi a grande circonferenza; se non chelungamente travagliata da gravi interne dissensioni, al-l’ ultimo poi, sotto Pimperio d’Aureliano, sospinte lecivili discordie fino a mortali combattimenti, e diroc-cate le mura, fu distrutta in quella parte che denominavasi Bruchio, ed era stata per lunga pezza soggiorno

di personaggi illustri. Quivi nacquero Aristarco eccellente grammatico, Erodiaoo indagatore diligentissimodelle arti, e Sacca Ammonio maestro di Plotino, edaltri molti scrittori che coltivarono i nobili studi; frai quali si rese illustre quel Didimo Calcentero, uotnmemorabile pei molteplici suoi scritti di scienze; il quale

in que’ sei libri dove talvolta riprende imperfettamenteCicerone, viene a giudizio dei dotti accusato d’avereimitati i sillografi a, scrittori maledici, a guisa di unpicciolo botolo che s’aggiri discosto latrando con mi-se rabil vocina intorno a un leone di tremendo rug-gito. Ma se un tempo con quelli de’ quali ho fatta men

i  Abukir.1  Sillografi da si chiamaron o gli scrittori di poeti»

mordaci.

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A” d36aE V ^ 0ne ^or*rono moM* àltr*, non tacion per altro nè alpresente in quella città le scienze d’ogni maniera. Pe-rocché vivono in essa i maestri del sapere, ed al rag-gio della geometria vi si fa chiaro tutto quello eh’ è piùriposto ; nè la musica è per anco presso di loro piena-mente disparsa, nè Parmonia vi tace; e presso alcuni,comunque rari, rivive lo studio del movimento delmondo e delle stelle, e non pochi sono maestri nelladottrina dei numeri: oltrecchè sono versati in quellascienza che mostra le vie dei Fati. In quanto alla me-

dicina poi, dalla quale in questa nostra maniera di vi*vere non sobria nè parca, abbiamo bisogno frequentisoccorsi, ne accrescono di giorno in giorno lo studio;per modo cbé ( sebbene gli effetti dovrebbon essere te-stimoni dell9arte) in luogo di ogni esperimento bastaad un medico il dire d’avere studiato in Alessandria,perchè si tenga autorevole la sua dottrina. Se poi qualcheduno con forte ingegno volesse investigare le variemaniere di accostarsi a intender le cose divine, e Pori-gine de9presentimenti, troverà che queste scienze fu-rono dall7Egitto portate intorno per tatto il mondo.Quivi gli uomini molto prima che altrove trovarono i cominciamenti delle religioni; e quivi si conservano

cautamente deposti in arcani scritti i primi principiidelle cerimonie sacre. Pitagora formatosi a questa sa-pienza, coltivando gP Iddìi più segretamente del con-sueto, ordinò che ogni suo detto, ogni suo volereavesse piena autorità ; e in Olimpia mostrava fre-quentemente la sua coscia d’ oro 1, e spesso ancora fuveduto trattenersi con un1aquila. Quivi Anassagora ap-

prese a predire che pioverebbono sassi dal cielo; e ma

i Di questa coscia d* or o parla Giamblico nella vita di Pi* tagora.

56 AMMIANO MARCELLINO

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neggìando la melma de’ pozzi presagì vicini tremuoti. E An.<WTE.V.Solone ajutato dalle sentenze dei sacerdoti d’Egitto, pro-mulgò leggi dotate di giusta moderazione, le quali agrgiunsero poi durevolissima stabilità anche al diritto ro-mano. Da questi fonti elevandosi a sublimi concettinell’ ampiezza 'de’ suoi discorsi, Platone emulo di Gio-ve , dopo aver visitato l’Egitto, militò per una gloriosasapienza 1. Gli abitatori dell’ Egitto poi sono quasi tutti<P un color bruno pendente al nero, d’ indole mesta •anzi che no , gtacili ed asciutti ,*impetuosi in ogni loro

movimento, litigiosi, ed acerrimi nel ripetere ciò.cheloro è dovuto; Si vergogna appo loro chiunque* nonpuò mostrare nel proprio corpo i segni delle battitureriportate per aver negati i tributi: nè si potè trovarefinora ^lcnna violenza di tormenti,, che in tutto quel-l’ostinato paese, traesse mai di bocca ad un ladro ilsuo nome. Questo poi è noto, e i vecchi annali ne fantestimonio, che tutto l’Egitto fu anticamente soggettoa Re nostri amici: ma vinti Antonio e Cleopatra,nella battaglia navale di Azzio, fu posseduto da Ot-taviano Augusto sotto nome di provincia. La Libia ar-dente l’abbiam conseguita per testamento del re Apione.Cirene colle altre città della Pentapoli Libica le avem-

mo dalla liberalità di Tolomeo 3. Ma essendo oramaitroppo digresso, ritornerò al seguito delle storie.

i La prima di queste singolari espressioni usate qui dal-l’autore rispetto' a Platone pare imitata da quelle parole di Cicerone: Quis uberior in dicendo Piatone? Jovem ajunt Philo* 

 sophi si Graece loquatur sic loqui.

a Si crede che qui 1*autore distingua in due persone uno stesso soggetto, cioè Tolomeo Apione.

LIBRO VENTESIMOSECONDO 57 

FINE DEL LIBRO VENTESIMOSECONDO

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LE STORIEDI

AMMIANO MARCELLINO

L I BRO VENTE SIMOTE RZO

SOMMARIO

I. Giuliano Augusto tenta indarno di rifabbricare il tempio di Gerusalemme. — II. Ordina che Arsace re d* Armenia si apparecchi alla guerra persiana; e passa 1*Eufrate col proprio esercit o e cogli ajuti degli Sciti. — Iti. I piccoli re Saraceni 

 offeriscono una corona d* oro e soccorsi a Giuliano : la flotta romana di mille e cento navi copre 1’ Eufrate. — IV. Descri-zione di varie macchine. — V. Giuliano passa coll’ esercito il 

fiume Abora presso Circesio : suo discorso ai soldati — VI. De-scrizione delle diciotlo province maggiori del regno persiano ; principali città di ciascuna di esse, e costumi delle nazioni.

An.deirE.V« I. C^ueste cose ( passando sotto silenzio quelle di563 troppo lieve importanza) furono fatte in quell’anno.

Giuliano poi essendo stato console già per la terza volta,entrò nel quarto consolato, creandosi collega Salustioprefetto delle Gallie: e parve strano che ad un Augu-sto ci associasse un privato; ciò che nessuno si ricor

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LIBRO VENTESIMOTERZO  5gdava che fosse arrenato dopo Diocleziano e Ariitobu AnJelTK.V.lo 1. E sebbene seriamente pensando alla varietà de-gli eventi, accelerasse con gran diligenza i molti ap»parecchi della imdninente spedizione, tuttavolta com-

partendo la sua diligenza a tutti gli oggetti, e deside-rando di propagar la memoria del proprio imperio eoagrandi edifizii, meditava di rifabbricare con immenso dispendio il grandioso tempio di Gerusalemme, cheappena dopo molti e mortali combattimenti (nell9asse-dio fatto da Vespasiano e poscia da Tito ) s’era po-

tuto espugnare: e dell9adempimento di questo consi-glio aveva incaricato Alipio Antiochese, che una voltaavea governata la Britannia in qualità di VicePrefetto.Mentre pertanto costui fortemente attendeva all’impre*sa, e la favoriva anche il Governatore della provin-cia, spaventevoli globi di fiamme, tratto tratto erom-pendo dalle' fondamenta, fecero inaccessibile quel luogo

agli operaj, de’ quali alcuni rimasero abbruciati : e cosiquell’impresa cessò, impedita ostinatamente dal fuoco a.Ne’ medesimi giorni Giuliano impartì parecchi onori ailegati eh’ erangli stati spediti dalla Città Eterna; uominidi chiara nascita, e conosciuti pei meriti di una lode-vole vita. Ordinò che Aproniano .fosse prefetto di Ro-

ma , e Ottaviano proconsole dell’ Africa ; commise a Ve-nusto il Vicariato di Spagna; e promosse Rufino Ara-dio ad esser conte dell’ Oriente in luogo del suo avo

i Osservano il Valois e il Corsini che qui l* Autore s’in-ganna , perchè Pomponio Januario fu console insieme con Massimiano. V. anche gli Annali del Muratori.

a Giuliano col rifabbricare quel tempio avrebbe voluto mo-strar fallace l’ antica profezia : e però questo luogo del nostro Autore è notabilissimo ; e l i testimonianza di un pagano su questo fatto è d* inestimabil valore.

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An,dHrE.V.(liuliano morto poc’anzi. Ordinate così queste cose,P Imperatore fa atterrito da un augurio chiarissimoed imminente, siccome poi l’effetto attestò. Imper-ciocché, morto in un subito per flusso di sangue Fe-

lice conte delle largizioni, ed avendolo non guari doposeguitato il conte Giuliano, il volgo leggendo nelle pub-bliche iscrizioni pronunciava zz; Felice Giuliano ed A ugusto ». n : Ed a questo era preceduto un altro sinistropresagio. Perocché salendo Giuliano nelle calende digennaio i gradini del tempio del Genio, il più vecchio

dei sacerdoti, senza che alcuno l’urtasse, cadde n mandòfuori P anima improvvisamente. Gli astanti, o fosse igno-ranza o fosse desiderio di adulare, dissero che quellamorte era un presagio inviato al più vecchio dei con-soli, cioè a Salustio; ma quell’accidente, come si fecepoi manifesto, significava avvicinarsi la morte al mag-giore non di età ma sì di potenza. Oltre di ciò anche

alcuni minori prodigi venivano indicando il futuro. Pe-rocché sui primi apparecchi della spedizione persianafu annunciato che in Costantinopoli avea Catto un tremuoto : la qual cosa i pratici di queste materie affer-mavano che non fosse di buono augurio ad un Impe-ratore che si apparecchiava d’.entrar negli Stati altrui:

e però lo persuadevano a desistere da quell’ impresa,dicendogli che questi e simili altri portenti si debbonodispregiare sol quando P uomo si trova assalito da armistraniere; perchè allora prevale quell’ unica e perpetualegge, di difendere in ogni maniera la propria salvez

i E ra questo un giuoco di parole con cui gli Antiochesi, mentre mostravano augurare felicità a Giuliano e onorarlo col nome di Augusto, gli auguravano la morte , mettendolo in Ùphiera con Felice e col conte Giuliano già spenti.

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LIBRO VENTESIMOTERfcO 6 1

za i. In que’ giorni medesimi gli fu annunciato in alAn.deU’lcune lettere che i libri Sibillini consultati in Roma per 3suo comando intorno a cfuesta guerra, proibivano ma-nifestamente all’imperatore di uscire in quell’ anno dei

proprìi confini.II. In questo mezzo vennero ambascerìe di molte na*

zioni ad offerire soccorsi ; le quali peraltro graziosamenteaccolte, venivano poi rimandate, rispondendo il Prin-cipe con generosa fidanza, non esser cosa convenienteche si difendesse con soccorsi stranieri l’ imperio roma-

no, dalle cui forze dovrebbon essere invece sostenutiamici ed i $ocj, ogni qual volta la necessità li ri-ducesse ad implorare soccorso. Solo avverti Arsaoè redell’ Armenia, affinchè raccolto un valido esercito, at-tendesse i comandi di lui: presto saprebbe e il luogoal quale dovesse avviarsi, e ciò che gli tìonverrebbedi fare. Quando poi conobbe d’aver già raccolto unsufficiente ùumero di soldati, agognando ad occuparele terre nemiche prima che vi arrivasse la fama della

i II testo aggi unge'qui : nihil remittente vi morìs * o secondo altri vi mortis. Il De Moulines pare che abbia seguitata la pri-ma lezione e tradusse :  allora è un dovere superiore ad ogni ecce- itone il difendersi senza punto di indugio. Il Wagner adottò in-

vece la lezione vi mortis e tradusse:  perchè il pensiero della  morte conserva però sempre una fo rza prevalente. Il traduttore italiano dice:  senza metter di mezzo alcuna tardanza. Forse 

. PAutore ha voluto dire che a questi presagi di morte si deb» be aver rispetto dove sia in nostr o potere il mettersi o no nel pericolo; ma thè si possono poi negligentare quando altri ci provoca e ci assalisce : perchè allora prevale la legge di 

difender la propria salvezza, e il timor della morte non può trattenerci, giacché in ogni modo siamo in pericolo d* incon-trarla. Ma queste cose ho volut o piuttosto accennarle in una nota, che introdurle nel testo.

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An.dtirE.V.saa spedizione, sul cominciar della primavera mandò363 1’ordine della partenza a’ varii corpi di milizia, e co-

mandò che tutti passassero 1’ Eufrate. Conosciuto que-st1ordine, tutti escono frettolosamente dei loro ^quar-

tieri d’ inverno; e passati oltre il fiume, secondo ch’eraordinato dagli scritti del Principe, Stettero ad aspet-tarne 1’ arrivo divisi in varie stazioni. Il quale essen-do già per uscir d’Antiochia prepose alla giurisdizio-ne siriaca un certo Alessandro di Eliopoli uomo tur-bolento e severo,; non già, com’egli diceva, perchè

costui avesse meritato quel grado, ma perchè si con-veniva un giudice così, fatto agli Antiochesi avari e in-solenti. Partendosi egli poi fu accompagnato da variamoltitudine che gli augurava un felice viaggio e unglorioso ritorno, e lo pregava ad essere per l’avvenireplacabile e mite: ma egli non avendo per anco am-mansata l’ira concetta per gli oltraggi e i sarcasmi, ri-

spondeva aspramente, e affermava che non verrebbemai più fra loro*, essere deliberato, di condursi dopola spedizione per la strada più breve a svernare in Tarsodi Cilicia; ed avere perciò scritto al governatore Me-morio, affinchè si apparecchiassero in quella città tuttele cose convenienti alla sua persona. E come disse, così

non guari dopo intervenne : perocché il corpo di Giulianotrasportato a Tarso fu sepolto in un sobborgo con umiliesequie, com’ egli stesso aveva ordinato. Ma intanto co-minciando oramai ad addolcirsi il cielo, nel quinto dimarzo si partì, e venne per la strada comune a Jerapoli 1; dove, nel mentre ch’egli varcava la soglia diquella grandissima città, un portico situato a sinistra

improvvisamente minando, oppresse sotto il gran peso

6 » AMMIANO MARCELLINO

i  Bambych, o  Bambuch»

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dei travi e delle tegole cinquanta soldati, oltre a paAn.detì’E.V.recchi che ne ri maser feriti. Di quivi, raccolte insiemetolte le sue milizie, prese con tanta celerilà la stradadella Mesopotamia, che non essendo precorsa ( ciò

eh1egli principalmente bramava ) nessuna fama di lui,occupò inaspettato l’Assiria. Finalmente avendo passatoaopra un ponte di navi P Eufrate col proprio esercitoe cogli ausiliari di Scizia, veone a Batoa », città munì*cipale delP Osdroene, dove fu colpito da un dolorosoportento.. Perocché essendosi fermata una gran molti-

tudine di coloro ai quali sou commessi i bagagli vicinoad un altissimo pagliajo (come soglionsi costruire inquelle regioni ), per raccogliere secondo il costume ilforaggio , a forza di strapparne chi di qua chi di là,quella gran mole scompaginata inclinossi, ed oppressecinquanta altri uomini sotto la sua sterminata ruina.

UL Partitosi adunque tutto afflitto di Batna, venne

sollecitamente a Carré, città antica e famosa per larotta di Crasso e dell’esercito romano} d’onde spie*cansi due strade maestre che conducono nella Persia:da sinistra attraversando l’ Adiabene ed il Tigri}da de*atra per gli Assirii e l’ Eufrate. Quivi Giuliano ristettealcuni giorni^ e mentre apparecchiava le cose neces-

sarie , e sagrificava secondo l’ usanza di que’paesi allaLuna religiosamente venerata in . que’ luoghi, si diceche dinanzi agli altari, rimosso ogni testimonio, con-segnasse il paludamento purpureo al suo congiunto Pro-copio, ordinandogli di prendere fidatamente l’imperio,qualora sentisse lui esser morto fra i Parti. Quivi poidormendo Giuliano, l’animo suo agitato da sogni ebbe

presentimento di qualche sventura: laonde a lui ed agli

LIBRO VENTESIMOTERZO 63

i Scrudch.

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An.delFE.^.interpreti delle visioni ? considerando le cose avvenute,parve opportuno di stare osservando il giorno seguente,ch’era il decimonono di mano. E ‘in quella notte (co-me si venne poi a sapere ) essendo Prefetto in Roma

Aproniano s’ incendiò il tempio di Apollo Palatino *, do-ve, se non fossero stati i grandi soccorsi, la violenzadelle fiamme avrebbe abbruciati anche i libri sibillini.Frattanto mentre Giuliano attendeva a mettere in or-dine e i soldati e le vettovaglie d’ ogni maniera, glifu annunziato da alcuni esploratori, venuti a lui con

tutta celerità, che alcune bande di cavalleria nemica,sforzato un confine ivi presso, se n’ erano subitamentepartite cariote di bottino. Dalla quale notizia colpitol’imperatore, commise tantosto (ciò che aveva pensatodi fare già prima ) trentamila soldati scelti a Procopio,aggiungendogli con pari potestà il conte, Sebastiano giàcomandante (Dux) dell’Egitto : impose ad entrambi di

stare al di qua del Tigri, osservando con gran vigilanzaogni cosa, affinchè non nascesse per negligenza qualcheinopinata sventura, come sapeva che spesse volte era oc-corso : cercassero, se tahto venisse lor fatto, di con-giungersi con Arsace re dell’Armenia*, e dopo aver deYasiato Chiliocomo, ubertosa provincia della Media, e

quegli altri luoghi ai quali toccassero nel loro viaggio,attraversando la Corduena e la Mossoena, si ricondu-cessero a lui nell’ Assiria per soccorrerlo all’ uopo* Or-dinate cosi queste oose, egli medesimo poi fingendo divoler attraversare il Tigri ( al quale effetto aveva anchè fatta provveder quella via di vettovaglie) piegò adestra^ e dopo essersi riposato una notte, 'la mattina

domandò un cavallo, com’era il suo solito: ed essen-dogliene presentato uno soprannominato il Babilonese,accadde che questo animale tormentato da mal d’ in

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testini accosciossi, ed a forza di contorcersi sotto la vio Ad.

lenza dei dolori, insozzò i suoi fornimenti, distinti dioro e di pietre preziose. Di che rallegrandosi Giuliano,fra gli applausi di tu tti coloro che gli erano intorno

esclamò: Esser caduta Babilonia, spogliata di tutti i suoi ornamenti. E soffermatosi alquanto, per confer-mar quel presagio con vittime e con sagrifizii, se nevenne al forte Da vana, dove nasce il fiume Belia chemette poi foce nell9Eufrate. Quivi ristorò i soldati dicibo e di riposo; e il di seguente procedette a Calli

nico i , paese forte e piacevolissimo per la ricchezza delsuo commercio; dove nel giorno ventesimosettimo dimarzo (oel quale a Roma si celebrano le annuali pompea Cibele, e si mena a layare neile acque deir Almone 2il carro su cui vien condotto il simulacro di quellaDea) compiuta secondo il costume antico la solennitàdi quelle sacre cerimonie, pieno di esultanza e di le-

tizia , passò dormendo la notte. Nel giorno appressopartitosi di colà prese il cammino lungo le rive delfiome, ma trovando che quello acquistava sempre mag-giore ampiezza per l’acqua che da tutti i lati vi con-correvano , fece alto in un certo luogo attendandosisotto le pelli: dove i piccioli Re delle nazioni saracene,

sopplichevolmente inginocchiandosi a lui ed offerendo-gli un9aurea corona, lo adorarono come padrone delmondo e delle loro genti : ed egli li accolse graziosa-mente conoscendoli esperti e opportuni alle astuzie dellaguerra. E mentre l’ Imperatore stava parlando a co-storo soprarrivò una flotta simile a quella del poten

1 Oggi  Raca o  Rocca.2 L* Alinone è un piccolo fiume dell’Agro Romano die dalla

via Appia andava a cadere nel Tevere.MA£C£ LL1K0 , It 5

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An.delFE .V. tinimo re Serse, guidata dal tribuno. Costanziaoo è dalconte Lucili iati 0} tale che l'ampio Eufrate pareva troppoaugusto per essa. Eranvi mille navi da carico varia-mente costrutte, e suvvi grande abbondanza di vetto-

vaglie , di arm i, e di macchine opportune agli assediiv9erano poi altri cinquanta legni da guerra, e altret-tanti destinati a comporne dei ponti.

IV. E qui la materia stessa mi avverte ch'io, perquanto può un mediocre ingegno », brevemente descrivale varie maniere di macchine a coloro che non ne hanno

contezza : e prima di tutte descriverò la balista. Fradue travi conficcasi un grosso ferro, che si distendea guisa di un gran regolo. Di mezzo alla sua roton-dità, con bell9arte levigata, sporge uno stilo qua-drato assai lungo incavato in linea retta da un an-gusto canale, e legato con molte corde di nervi at-torcigliati. Queste corde vengono tirate per mezzo

di due argani dì legno: dinanzi sta il balestriere, edestramente colloca nel cavo dello stilo uoa freccia dilegno armata con una gran punta di ferro; e ciò fattoalcuni giovani robusti situati da parte e parte volgonoprestamente gli argani. Quando la freccia è venuta allacorda, sospinta da interno impulso della balista, si di-

legua dagli occhi, e talvolta per soverchio ardore scin-tilla: e spesso avviene che il dolore accusi la mortale

i Quantum mediocre potest ingenium. Pare che Ammiano vò-glia eoo queste paiole domandare perdono ai lettor i della oscu»rilà che •' incontra nelle descrizioni alle quali si accinge. Ci$poi eh* era difficile a lui che pur aveva dinanzi agli occhi lecose debb’ essere difficilissimo a noi. Sarebbe peraltro più age*vole il riuscir chiari desumendo le descrizioni delle macchinequi mentovate da alpuue oper e rooderpe t  che traducendo,com* io debbo, i( nostro Autore,

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ferita prima che siasi veduta la freccia. Dello Scorpio An.delFE .Vne poi, presentemente chiamato Onagro, questa è la 363forma. Si puliscono due pali di quercia o d’ilice, es'incurvano alcun poco, sicché rendan figura di gob-

bo ; si congiungono come una macchina da sega, ed1ambo i lati si forano, legandoli con robuste cordeche passan pei buchi, a fine di tenere unita tutta lamacchina. Dal mezzo di queste corde s’ innalza obbliquouno stilo di legno, eretto come il timone di un carro,ed attaccato ai nodi delle corde predette in modo da

poterlo alzare od abbassare come si vuole. Alla suasommità si applicano alcuni uncini di ferro dai qualipende una fionda di canapa o di ferro anch’ essa ; e glisi prosterne *dinanzi un gran sacco, pieuo di minutepaglie. Si lega con forti nodi, e si colloca sopra un muc-chio di zolle o di mattoni : perocché dove siffatta molesi metta sovra un muro di pietre, scompagina tutto

quello che ha sotto di sé, non già col suo peso, macolla violenza delle sue scosse. Allorché dunque si vieneal combattere, si pone una pietra rotonda dentro lafionda, poi quattro gagliardi giovani posti dai lati gi-rano le ruote sulle quali eorron le corde, e ripiegatiindietro lo stilo fin che sia orizzontale. Allora il diret-

tore della macchina, che sta in luogo alquanto elevato,percote d’un forte martello in tal parte, che lo stiloliberato rivolgendosi con grande impeto va a batteresopra il sacco di paglia che gli soggiace, e lancia consi gran forza il sasso, da rovinar tutto quello che in*contra. E questa macchioa dicesi anehe Tormente per-ché opera a forza di torcer le corde. Dicesi eziandio Scor

 pione perché ha superiormente infissa una punta: e imoderni le diedero anche il nome di O n a g r o perchég li asini M ira tic i (onagri), quando sono cacciati, cal

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An.dfU’E.V.citranclo, gittano sassi così da lontano, che forano ilpetto a coloro onde sono inseguiti, o loro schiaccianoil capo. Ora veniamo all’Ariete. Pigliasi un abete ov-vero un orno altissimo all’estremità del quale si con-

giunse un ferro grosso e lungo che dove finisce abbiala figura di un ariete sporgente, da cui venne a questamacchina il nome. Questo abete, sotto un’ armaturadi assi collegate fra loro da travi posti a traverso ecoperte di ferro,'pende da uno di questi travi quasi inbilancia, ed è tirato in dietro da una moltitudine d’uo-

mini quanto comporta la sua dimensione, poi vien ri»sospinto di nuovo a fracassare con fortissimi colpi tuttoquello che gli si attraversa, a guisa di un ariete cheora assalisce, or retrocede. £ spesseggiando queste per»cosse, gli edificii, non altrimenti che sotto i colpi re»plica ti di un fulmine, fan pelo, e sciogliendosi le com-messure delle muraglie, rovinano. Con questa mac-

china, dov’ella sia vigorosamente sospinta, si privanod’ ogni riparo i difensori e si aprono le città più mu-nite. Invece per altro di questi arieti tenuti oggimai a.vile pel loro gran numero , si fa un’ altra macchinanota agli scrittori di §toria, e da noi Greci denomi-nata Elepoli y dal frequente uso della quale nell’ espu-

gnazione di Rodi e di altre città, venne il soprannomedi Poliorcete a Demetrio figliuolo del re Antigono. Sicostruisce poi in questa maniera. £i connette un’ im-mane testuggine fortificata da lunghissimi assi, legatada grossi chiodi di ferro e coperta con cuojo di buee con graticci di vimini recentemente tagliati, e suvvisparso del fango, acciocché non vi possano nè le fiam-

me nè altre materie scagliate contr’ essa. Inserisconsinella sua fronte acutissime punte trisulche, quali i pit-tori e gli scultori ci sogliono rappresentare i fulmini;

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sicché rompa tatto quello in che urta colle sue spor An.dclTE.V.genti estremità. Questa valida mole sospinta con cordee con ruote da numerosi soldati che stan sotto, s’av-venta con gran forza a quella parte dov’ è più deboleil maro; e se i propugnatori non valgono a riparar-ne gli effetti, essa rompe le mura e vi fa di grandiaperture. I Malleoli poi, sorta di dardi accesi, si fannodi questa figura. Pigliasi una freccia di canna, copertada sottil ferro attorcigliatole intorno, la quale a guisadell» conocchia con coi le donne filano il lino, é vòta

nel suo interno, ed ha qua e là sottili e varie aper-ture! nel vano poi si mette il fnoco con . materie chelo alimentino. Questa freccia scagliata dalP arco sicchénon vada troppo rapidamente ( ché in questo caso siestinguerebbe), abbrucia ostinatamente tutto quello acui si attacca, e se vi getti acqua eccita maggiore in-cendio , né altrimenti che a fona di polvere può es-sere estinto. Fin qui abbiamo parlato delle macchinemorali, e nondimeno poche n’ abbiam nominate. Ritor-niamo ora alla nostra narrazione.

V. Raccolti gli ausiliarii saraceni, che vennero conprontissimo' animo all’ invito, P Imperadore con rapidoviaggio entrò sul principio di aprile in Cercusio 1 for-

tezza monitissima e di bella architettura, cui lambonoP Abora > e P Eufrate, formandone quasi un' isola. Eradapprima picciola e mal sicura ; ma Diocleziano la cir-condò con mura e con torri eccelse, quando si diedea fortificar le frontiere dell' imperio sui confini dei bar-bari, acciocché i Persiani non corressero più la Siria,com'era intervenuto pochi anni prima con grave danno

1   Karkisia.9 Chabour.

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An.doirE.V. di quelle, province. Perocché mentre un giorno nella^ città d’Antiochia il popolo in gran silenzio stava nel

teatro osservando un mimo con sua moglie che reci-tavano non so qual cosa, e ne ammirava il bel garbo:

 Mia moglie (disse il commediante) se non è un sogno,ecco i Persiani: e il popolo guardatosi indietro levossia fuggire chi qua chi là per sottrarsi alle frecce chegià volavano a nembi sopra di lui. Quindi incendiatala città, e morta moltissima gente che andava (comesuol farsi in tempo di pace ) assai numerosa aggiran-

dosi per le strade, i nemici gravi di preda si ricon-dussero al proprio paese senza verun loro danno, dopoavere abbruciato vivo un certo Mareade che li avevastoltamente guidati a quell7eccidio dei proprii con-cittadini. Questo avvenne ai tempi di Galieno Mentrechè poi Giuliano soggiornava a Cercusio, aspettandoche P esercito suo e i bagagli e le macchine passassero

r Abora sopra un ponte fatto costruire di navi, rice-vette alcune* infauste lettere di Salustio prefetto delleGallie, il quale pregava che si sospendesse la spedi-zione contra i Parti, e lo scongiurava di non esporsiintempestivamente a inevitabil rovina prima di essersiassicurato il favor degli Dei. Ma non curandosi punto

di quel prudentissimo consigliere, Giuliano con granfiducia continuò P intrapreso viaggio ; perchè niuna forzao virtù umana potè mai conseguire che non avvengaquel eh' è prescritto dal Fato. E valicato subito il fiu-me ordinò che il ponte fosse levato via; affinchè nes-sun soldato abbandonasse mai il suo campo ~a fidanza

i Non è ben certo il tempo di questo fatto, perchè alcuniio riferiscono al principio del regno di Galieno, altri diconoche Antiochia e Cesarea furono espugnate prima della infelicebattaglia di Valeriano.

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An.deirE.V. Taltf è quel delfico vaticinio il quale aveva predettò363 che Creso, passato il fiume Ali, rovinerebbe un gran-

dissimo regno: tale quell9altro che con oblique paroledestinò il maire agli Ateniesi da combattervi contro ai

Persiani: e tale fu pure quel responso più recente degliaccennati, e vero bensì ma non però meno ambiguodegli altri:  Dico te , Eacide, poter vincere i Romani ».Tuttavolta gli aruspici etruschi, i quali seguitavano Giu-liano ^ siccome pratici ne1prodigi, poiché non eranomai stati creduti quando più volte avevan cercato di ri-

mover i’ Imperatore da quella spedizione, recarongli in-nanzi alcuni libri dell’arte loro , i quali mostravano chequel seguo era proibitivo, e contrario al Principeche invadesse, benché giustamente, le cose altrui. Mafurono oppressi dalla contraria sentenza dei Filosofi?dei quali allora tenevasi in gran riverenza l’autorità,sebbene errino anch’ essi, e sogliano ostinarsi ia cosemal conosciute. Costoro mettevano in campo come prò*babile argomento della loro opinione, essersi presentatonon guarì prima anche a Massimiano Cesare, quandoera appunto in 6ul venire alle mani con Narseo re dellaPersia, un léone ed un gran cinghiale uccisi amendue}e nondimeno superò quella gente e riuscì sano e salvo

della sua spedizione, Ma non osservarono punto costoroche anche quel prodigio aveva presagita la morte dichi assaliva le cose altrui} mentre Narseo pel primoaveva occupata PArmenia soggetti all’ imperio romano.Nel giorno seguente,, ch’ era il settimo di aprile, de

 ì  Ajo te , Madda* Romtmos vincere posse. Pirro a cui fu dato

il. responso discendeva da Eaco — Agli Ateniesi 1’ oracolo avqadetto che troverebbero salute nelle case di legno (le navi) —Creso rovinò in fatti un gran regno; ma fu questo il suo pro-prio e non quello di* Cito com’ egli pensava.

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clinaodo già il sole all’ occaso, da una picciola nuvoAn.dell1E. V.

letta fu addensata l’aria per modo che la Ilice dispar ve : 363e dopo un minaccioso succedersi di spessi tuoni e dilampi, nn soldato per nome Gioviano fu colpito dal ful-

mine ed uccisa con due cavalli che riconduceva dal fiumedove avevali abbeverati. A tale spettacolo furon chia-mati gl’interpreti di siffatti accidenti^ e interrogati af-fermarono risolutamente che questo ancora vietava quellaspedizione: quello essere un fulmine di consiglio (chiama-no essi così que’ portenti che dissuadono o persuadono di

far qualche cosa ): doversene tanto più pigliar cura perchèaveva ucciso un soldato di nome illustre * insieme concavalli da guerra: dirsi dai libri che trattan dei ful-mini non doversi nè guardare nè calcare que’ luoghiclje ne siano stati tocchi per cotal modo. Ma i Filo-sofi per lo contrario affermavano, che la candida lucedi quel sacro fuoco improvvisamente mostratosi nientesignificava, non essendo altro che sottili vapori stac-cati per qual che sì  fosse violenza dall’ etere e spintiallo ingiù: o se questo accidente doveva pure signifi-car qualche cosa, asserivano presagirsi un aumento difama all’ imperatore che s’accingeva a gloriosa spedi-zione, sapendosi che la fiamma di sua natura e mal-

grado di ogni ostacolo tende a innalzarsi. Compiutoadunque, Come già si è detto, il ponte, e tragittatosovr’ esso tutto l’ esercito, l’imperatore stimò che sa-rebbe opportunissima cosa il parlamentare ai soldati, ì  quali con gran fiducia in sè stessi e nel proprio con-dottiero, sollecitavano quel viaggio. Dato quindi colletrombe il segnale, tutte le centurie, le coorti e 1 ma-nipoli convennero insieme*, ed egli montato sopra un

LIBRO VENTESIMOTERZO 73

i Perchè Gioviamo venne da Giove.

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An.deITE.V,rialto di terra, e cinto, della corona, indizio del suo363 supremo potere, cosi con sereno volto si fece a par*

lare, favoreggiato dal concorde silenzio di tutti ^ V e -dendovi , o valorosi soldati, fiorenti per grandi forzee per buon volere, mi sono deliberato di tenervi que-sto discorso per dimostrarvi con molte prove 5 non es-ser questa la prima volta che i Romani entrano ai re*gni di Persia, come alcuni maledici van susurrando.Perocché, passando sotto silenzio Lucullo e Pompeo,il quale avendo attraversati gli Albani e i Massageti che

ora diconsi Alani, irruppe anche in questa nazione tantoche vide le acque del Caspio *, sappiamo che Ventidiolegato di Antonio menò in questi paesi innumerabilistragi. Ma per dipartirmi dalle cose antiche, ripeteròquelle, che ci son tramandate dalla storia a noi più vi-cina. Di qui sono partiti vittoriosi e trionfanti Traia-no , Vero e Severo, e con uguale splendore ne sarebbetornato anche quel giovane Gordiano di cui abbiamopoc’anzi onorato il sepolcro , dopo aver vinto e cac-ciato in fuga il Re dei Persi presso Resena a, se perl’empia fazione di Filippo prefetto del Pretorio e dipochi altri malvagi, non fosse stato iniquamente uc-ciso in quel luogo dov’egli è sepolto. Nè i mani di lui

errarono lungamente invendicati *, m a, come se a que-sto si fosse adoperata la stessa Giustizia, tutti coloro

•che in lui congiurarono, moriron di tormentosi supplicj.£ costoro eh’ io son venuto accennando furono spintia quelle memorabili imprese dalla loro propria volontàinclinata alle geste sublimi: ma noi, la miserabil rovina

delle città di fresco a noi tolte, e le ombre inulte degli

• i Vidil Caspios focus. a  Rces-Ain.

;4 AMMIANO MARCELLINO

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eserciti trucidati, e i gravi danni sofferti, e gli accam An.drlPE.V«

pamenti perdati, ad una voce ne spingono a compier. 363quello che ci siamo proposto ; sicché portiamo rimedioalle passate sventure; e fatta ooorevolmente sicura la

repubblica da questo lato, lasceremo argomento ai po-steri di parlare magnificamente di noi. Io vi sarò do-vunque presente, se il Giel mi soccorre*, Imperatore,antesignano, commilitone in tutte le imprese che iomi prometto propizie. Che se la volubil fortuna nellabattaglia mi vorrà vinto, mi basterà di essermi sagri

ficaio all’ imperio romano, come i Curzii e i Mucii an-tichi e la illustre prosapia dei Decii. Noi dobbiamo ster-minare una molestissima nazione, sulla cui spada nona’ è per anco asciugato il sangue dei nostri congiunti.Pel volgere di molte età attesero i nostri maggiori astrappare dalle radici quanto opponevasi alla loro gran-dezza. Con dubbia e lunga guerra fu debellata Car-

tagine; ma r inclito capitano che compiè quell9impresa,non credette sicuro partito il lasciarla sopravvivere allasua vittoria. Scipione dopo molti e varii casi di unlungo assedio rovinò dai fondamenti Numanzia. Romadiroccò Fidena per non avere in quella un1emola delproprio imperio : e oppresse i Falisci e i Veienti per

modo che la fede delle antiche istorie mal giunge apersuaderci che queste città siano state una volta po-tenti. Questo ho voluto mettervi innanzi, siccome co-noscitore dell9antichità. Resta ora che ciascuno di voi,lasciando da un lato quell9avidità di rapire che spessevolte ha nuociuto alle milizie romane, proceda sensamai dilungarsi dalla sua schiera, affinchè quando oc-corra la necessità del combattere possa seguitare le pro-prie insegne : e sappiate fin d1ora che chiunque rimarrà

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An JrlTE.V. add ietro sarà da noi medesimi sgherrettato ». Perocchénulla io temo fuorché gl’ inganni e le insidie dei troppoastuti nemici. Finalmente io prometto a tutti voi , che

dopo avere felicemente compiuta questa spedizione, ri-nunciando al*privilegio dei Principi, i quali valendosidell’autorità loro stimano giusto tutto quanto hannodetto o delibato, renderò conto a chiuoque ciò voglia delle cose bene o mal fatte. Voi dunque sollevate,vi  prego, frattanto, sollevate gli animi vostri, pro-mettendovi molte prosperità, e apparecchiatevi a so-

stenere di pari grado con me le difficoltà che potesserooccorrerci in questa impresa,  persuasi che la vittoriaè sempre compagna dell’equità». Conchiuso per talmodo il discorso, la soldatesca esultante d’ avere uncondottiero sì glorioso, e trasportata dalla speranza diprosperi eventi, sollevò in alto gli scudi, gridando,

non potervi essere nulla nò di pericoloso nè di arduosotto un capitano il quale riserbava a sè stesso mag-gior fatica che ai semplici soldati. Sopra tutti le schieredei Galli si distinguevan con fremiti d’ allegrezza, sic-come ricordevoli che altre volte, guidandoli Giuliano escorrendo per entro alle loro file, avean vedute alcunenazioni rimaner vinte, alcune altre arrendersi supplì

cando.VI. L’ occasione mi trae a fare una rapida digres-

sione per descrivere la postura, della Persia 5 giacché igeografi l’ hanno bensì descritta piacevolmente, ma po-chissimi poi ne dissero il véro. E se le mie parole saran-no alcun poco prolisse, gioveranno ad averne una coro

1 Cosi usavano di fare i Persiani con que'prigionieri dà*quali non parca loro di poter trarre verun vantaggio. V. Lib.XIX, c. 6.

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piata contezza: perocché chi è troppo sollecito dellaAn.delPE.V.brevità nel raccontare cose sconosciute suole aver P ani* ^mo non a quello che si convenga spiegare più segnalatamente, ma sibbene a quello che possa essere tra-

lasciato. Questo regno che anticamente fu piccolo, efu con molti nomi chiamato per quelle cagioni che ab-biamo già riferite, dopo che i Fati rapirono AlessandroMagno in Babilonia, cadde sotto il fcome del PartoArsace; uomo di oscura schiatta, che nella sua primagiovinezza fu capo di alcuni ladroni, ma poi col tempo,

avendo pigliato migliore consiglio, fu da una sequelad’ illustri fatti levato a sublime grandezza. Costui dopomolte gloriose e forti geste, superato quel Seleuco Nicatore 1 che succedette allo stesso Alessandro ( a cui lafrequenza delle vittorie aveva dato un tal soprannome )e cacciate le guarnigioni macedoni, condusse una vitatranquilla, esercitando un mite imperio sopra le genti

a lui sottoposte. Ed all’ultimo, dopo esserii soggettatitutti ì vicini, quali colla stima acquistata dalla suaequità, e quali colla forza; dopo avere empiuta la Per-sia di città, di fortificazioni e di castelli; dopo avereabituati a temerlo coloro dei quali egli medesimo so-leva prima stare in sospetto, a mezzo il corso dell1età

sua finì di placida morte. Ed accordandosi a questo igrandi ed il volgo con unanimi voti, egli pel primodi tulli fu divinizzato secondo il rito di que’ paesi, edascritto fcom5essi credono agli astri. D’ onde poi fattioltremisura superbi i Re di quella nazione, comincia-rono da quel tempo a non ricusare di esser chiamatifratelli del sole e della luna: e come ai nostri Impe-ratori è accetto e desiderato il nome d’Augusto; così

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1 Cioè Fillorioso.

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AndrlPELV.ai ReParti, che prima erano abbjetti éd ignobili, daifortunati auspicii d’Arsace d accrebbe grandissima di-gnità. Per questo lo venerano e P adorano in luogo diNume; e tanto Ponorano, che anche ai dì nostri non

si deflerisce la regai potestà, se non a chi nasce dallastirpe di Arsace; e in ogni civile contesa (chè assidua-mente ne succedon fra loro) ciascuno si guarda comeda cosa sacrilega dal ferire un Àrsacide che porti ar-me , quand’ anche sia di condizione privata. Tutti poisanno che questa gente, superati colla forza moltissimi po-

poli, aveva dilatato in antico 1 il suo regno fino alla Propontide ed alfa Tracia ; ma per la superbia de’ suoi capiche altieri fuor di misura si, diedero a depredare licen-ziosamente lontani paesi, fu sottoposta a gravissimi dan-ni: prima per opera di Ciro, il quale, avendo passato lostretto del Bosforo con incredibile moltitudine, fu mortocon tutti i suoi d& Tomiri regina di Scizia, acerrimavendicatrice de’ figli : poi quando Dario e dopo lui Ser-se, che mutò l’uso degli elementi, assaliron la Grecia;e perduto quasi tutto il loro esercito di terra e dimare, poterono a stento trovare come partirsi; pertrapassare in silenzio le guerre di Alessandro, e il te-stamento di lui che mise nell’arbitrio di un sol suc-

cessore tutta la nazione. Dopo le quali cose, e dopoun lungo corso di età , al tempo de’ consoli, e quandogià la repubblica era venuta nelle mani de’Cesari, quellanazione guerreggiò di quando in quando con noi; etalvolta la lotta fu pari; talvolta rimasero vinti; tal’al-tra partironsi vincitori. Ciò premesso, ora descriveròper sommi capi e con quella brevità eh’ è possibile la

i L ' Autore risale qui a tempi molto anteriori a quelli giàdescritti, senza punto avvertirne chi legge.

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situazione dei luoghi. Queste regioni ampiamente diAu.deirE.V.stese abbracciano il mar Persico celebrato e copioso ^cT isole in ogni parte. La bocca dt questo mare si diceche sia tanto angusta , che dal promontorio Armozonta

di Garamania si può vedere senza difficoltà l’altr o pro-montorio opposto, dagli abitanti denominato Macete *.Passate poi quelle angustie, s’apre un’ immensa lar-ghezza , e si naviga sino alla città di Teredona dove1’ Eufrate dopo aver già perduta molta parte delle sueacque si mischia col mare. Tutto quel seno si stende

per venti mila stadii di spiaggia piegata in guisa dicerchio, e da per tutto v’hanno molte città e borghie frequente coocorso di navi. Quando pertanto siansipassate le angustie predette si viene al seno d’Armeniasituato dalla parte orientale: da mezzogiorno apresi unaltro seno denominato Cantico: e non lungi da quel-lo , a ponente, un altro cui dicon Calite. Quindi toc-

cando molte isole, delle quali poche son conosciute, sieongiunge col mare degl’ Indi, il quale prima di tuttiriceve i ferventi raggi del sole, ed è soverchiamentecaldo esso medesimo. Secondo i segni poi da’ geografiadottati il circuito già detto si distingue in questa ma-niera. Dalla parte settentrionale sino alle porte Caspie

confina coi Cadusii e con molte nazioni della Scizia ecogli Arimaspi, nomini che hanno nn sol occhio e fe-roci. Dalla parte occidentale tocca gli Armeni, Nifatee gli Albani d’Asia, il mar rosso e gli Arabi Sceniti

1 Di questi promontori! il primo dicesi ora Gomron o Ban~ der Abassi *

l’altro Mocandon.

Il mar persico mentovato poc* anziè quella parte dell' Oceano orientale che si stende dal golfod* Ormus sino all* imboccatura dell1Indo.

a Se ne veggono alcune ruine presso  Balsonu

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An. delPE.V.che i posteri chiamarono poi Saraceni. A mezzogiorno363 risguarda la Mesopotamia: e di verso 1’ Oriente sten

desi al fiume Gange, il quale, dividendo per mezzo leterre degl’indi, si gitta nel mare australe. Sono poinella Persia queste regioni principali, governate da’ Vitaxi, cioè maestri de’ cavalli, 'e da’ Satrapi del Re ( chòle minori, e sono moltissime, sarebbe difficile ed anchesuperfluo enumerare): l’Assiria, la Susiana, la Media,la Perside, la Partia, la Caramania maggiore, l’Ircania, la Margiana, i Battriani, i Sogdiani, i Saci, la

Scizia al di là del monte Emo, la Sarica, l’Aria, laParoparaisade , la Drangiana, l’Aracosia e la Gedrosia.Più di tutte è vicina a noi l’Assiria, celebre e grande,e ricchissima per varia fertilità. Questa divisa già tempoin più popoli e in ampie borgate di varii nomi, si unìsotto questo solo vocabolo, con cui al presente tu tta

quanta si chiama. Quivi in mezzo a gran copia di fruttie di biade volgari nasce il bitume presso al lago no-minato Sosingite; dal cui alveo è ingojato il Tigri, sic-ché scorre sotterraneo, e solo dopo lungo camminoemerge di nuovo. Quivi si genera pur anco la nafta,sorta di pece glutinosa e somigliante aneli’ essa al bi-tume; sulla quale se mai si posa un qualche uccelletto

comunque leggiero, v’ invesca le ali, va sottosopra edispare. E quando quella specie di liquida materia co-mincia ad accendersi, l’uomo non potrebbe mai trovarnulla che potesse estinguer l’incendio, fuorché gittandovi sabbia. In que’ paesi vedesi anche un’ apertura delsuolo, d’onde esala si mortifero fiato, che uccide col

proprio fetore qualunque animale gli si avvicina. E cotal peste sorgendo da profondo pozzo, quand’ è uscitadall’ ampia sua bocca, se non poggiasse in alte, ren-derebbe inabitabili le terre situate all’intorno. Un foro

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fimile a questo dicono alcuni che si vedesse già tempo Aadell’E.V.presso Jerapoli nella Frigia ; del quale uscendo, come 3®3di questo, una dannosa esalazione, col suo continuoppzzo uccideva tutto ciò che Vi si accostava, tranne

 /i soli spadoni: ma lo spiegare come questo caso addi-venga si lasci alle fisiche scienze. Anche vicino al tem-pio di Giove Asbameo nella Cappadocia ( dove è famanascesse il chiarissimo filosofo Apollonio ) presso allacittà di Tyane si vede una fonte che si deriva da unostagno, il quale, sebbene gonfiato di molte acque, riassor-

bendo sé stesso, non trabocca però mai dalle sponde.Nello spazio già detto stassi PAdiabene, denominata Assi-ria negli antichi tempi ; e trapassata poi per lunga con-suetudine sotto codesto nome, perchè essendo situatafra l’Ona ed il Tigri, fiumi navigabili, niuno vi sipotè mai accostare a guado ( giacché noi Greci diciamoitaf&alvitv ciò che i tyini transire ) ; così almeno tengono

gli antichi. Noi poi diremo trovarsi in qàelle regionidue fiumi perenni (Diabas ed Adiabas) cui valicammopiù volte sopra ponti formati di navi; e di qui sti-miamo essersi detta PAdiabene, come per testimoniodi Omero da9loro massimi fiumi ricevettero il proprionome l’Egitto e PIndia; e come dicesi provincia Eu

fratese quella che prima nomavasi Comagena. Così pa-rimente si disse Iberia dal fiume Ibero quella che ornomasi Spagna; e dal Beto, illustre fiume, fu appel-lata la provincia Betica. In questa Adiabene è la cittàdi Nino, capitale anticamente della Persia,*che portain sé il nome di quel potentissimo re Nino che fu ma-rito di Semiramide ; ed evvi Ecbatana ed Arbella eGaugamela, dove Alessandro dopo varii casi di guerraprostrò Dario in una tremenda battaglia. Per tuttaP Assiria poi sono molte città ; fra le quali distinguopsj

MAUCILLINO , lf  6

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An.deU’R.V.Apaniia cognominata Mescne, e Teredone e Apolloniae Vologessia, e molte altre a queste somiglianti. Masplendidissime e di gran fama sono queste tre sole:Babilonia, di cui Semiramide costrusse con bitume le

mura; perchè la rocca fondolla Belo antichissimo re ;Ctesifonte che fu eretta ne’ prischi tempi da Vardane;poscia il re Pacoro avendola accresciuta di abitanti e dimura, e postole un nome greco la fece il più bellospettacolo della Persia ; e dopo di questa viene Seleuciaopera sontuosa di Seleuco Nicatore. I generali deir im

perator Vero avendola espugnata, come gii raccon-tammo , trassero dalle sue sedi il simulacrò di ApolloCorneo} e portatolo a Roma, i sacerdoti degli Dei collocaronlo nel tempio di Apollo Palatino. Dicesi poi che dopoaver rapito quel simulacro, essendo la città incendiata,i soldati saccheggiando il tempio trovarono un angu-sto forame, ed apertolo con la speranza di rinvenirvialcun che di prezioso, uscì da un certo adito cui la se*greta scienza dei Caldei avea sempre tenuto serrato, ilprincipio di un contagio, che diffondendo incurabilimorbi al tempo di Vero e di Marco Antonino conta-minò di malattie e di morti ogni cosa dai confini dellaPersia sino al Reno e alle Gallie. Quivi appresso poi

è la regione de9Caldei altrice deir antica filosofia, comedicono i Caldei stessi, ira i quali fu chiara la veracedottrina del vaticinare. Sono poi quelle terre bagnatedai fiumi'già detti che sono i principali; poi dal Màrse, dal Fiume Regio 1, e dall* Eufrate che avanza tuttigli altri : il quale ha tre correnti navigabili, e abbrac-ciando alcune isole, e irrigandone le terre per P indù

i Un canale artefatto, e chiamato Naturmalca dal nostroAutore lib. xxiv, c. a, e 6.

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84 AMMIANO MARCELLINOÀn.deirE.V.Paltra Media, e di borghi fabbricati a foggia di città

363 con gran moltitudine di abitanti. E per dir breve èquesta una doviziosissima stanza di Re. Quivi sono ifertili campi de’ Magi; della setta e degli studi de9quali,

posto che qui ne toccammo, converrà dire brevementequalcosa. Platone famosissimo ritrovatore d’ insigni opi-nioni c’insegna che la magia nel linguaggio mistico èla Macagistia ; cioè il più puro culto dei Numi ; scienzaalla quale ne’ secoli primitivi molte cose aggiunse il Battriano Zoroastro, desumendole da’ misterii de’ Caldei :

poi anche Istaspe, sapientissimo re e padre di Dario. Ilquale, essendo coraggiosamente penetrato ne’ luoghi piùriposti dell’ India superiore, giunse ad un certo boscosolingo, ne’ cui tranquilli silenzii hanno imperio i su-blimi ingegni de’ Bramani : e quivi istrutto da loro ,per quanto gli venne fatto d’intenderli, intorno aimovimenti del mondo e delle stelle, ed ai puri lor riti,

comunicò alcune delle cose da lui imparate ai Magi;i quali, ciascuno nella sua discendenza, le traman-darono ai posteri insieme coll’ arte d’ indovinare il fu-turo ; sicché d’ allora in poi per lo spazio di molti se-coli questa sola prosapia si dedica al culto degli Dei. Edicono, se pure è cosa da esser creduta, che presso

loro si custodisce in sempiterni focolari un fuoco ca-duto dal cielo, del quale affermano che una volta unapicciola porzione soleva precedere ai Re come indizio diprosperi eventi. Il numero di questi Magi presso gliantichi era picciolo, e i Principi della Persia si vale-vano del loro ministerio nelle divine solennità. Era cosasacrilega l’accostarsi all’ are o il toccar la vittima, pri-ma che il Mago, recitate le formole delle preghiere, nonavesse sparse le libagioni che soglion precedere a’sagrificii. Ma poi a poco a. poco cresciuti divennero sì nu

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meroti che formarono nna classe importante conosciuta AikddPE.Vsotto il loro nome. Abitano città non munite di muri.,si reggono con leggi lor proprie, e sono tenuti in onorepel rispetto portato alla religione. Alcuni libri antichi

insegnano che dopo la morte di Cambise sette di questiMagi occuparono il reguo di Persia; i quali poi furonooppressi dalla fazione di Dario, che dapprincipio ebbeil regno pel nitrito del proprio cavallo. In questo paesesi fa l’olio medo, col quale si ungon le frecce, e scaglian-dole con. impeto non troppo forte ( chè la soverchia

rapidità nuocerebbe all’effetto ) dovunque vanno a fe-rire recano un incendio tanto ostinato, che l’acqua loaccresce invece di estinguerlo, e contro a cui nullavale fuorché il gittarvi addosso della sabbia. Quest’olioviene dai pratici apparecchiato temperando l’olio co-mune con nna certa erba, poi lasciandolo quieto perlungo tempo ; e lo rendono quindi più spesso coll’ in-fondervi un liquidò che pullula in que; luoghi natural-mente e somiglia ad un olio più denso; e questo li-quido è quella Nafta che noi dicemmo trovarsi appo iPersiani. Sono in que’ luoghi parecchie città, sulle qualitutte primeggiano Zombri, Patigra e Gazaca; e perricchezza non meno che per grandi mura son ragguar-

devoli Eraclea, Arsacia , Europo, Ciropoli ed Ecbatana, poste sotto il monte Jasonio nelle terre de’Siromedi. Molti fiumi attraversano que’ paesi ; e i più grandisono il Coaspe, il Giode, l’ Amardo, il Carinda, ilCambise e il Ciro, grande e bella fiumana a cui Ciroil vecchio, amabil monarca, diede tal nome abolen-done l’ antico, quando meditava d’ entrare nel regnodegli Scili ; perch’ essa è forte come si teneva quel Re,e dopo essersi aperta con grande impeto là strada ( sic-come pensava anch’ egli di fare ) trabocca nel mar Ca

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An dell’E.V. spie. Passati questi confini, dalla parte di mezzo giornosi stende insino al mare P antica Persia, ricca di mi« . •oute biade e di palme, e lietissima per gran copia diacque. Perocché molti fiumi la scorrono per andarsi a

versare nel seno già detto: e principalissimi sono il Vatrachite, il Rogomani, il Brisoana, il Bagrada. Sonopoi nell’ interno del paese le più ampie città ( nè sap-piamo perchè lungo le spiagge marittime non n’ abbianfondata veruna che meriti d’esser notata ); fra le qualisono illustri Persepoli, Ardea, Obroate e Tragonice.

Di isole se ne contano quivi tre sole, Tabiana, Fara,Alessandria, A questi luoghi vicinano i Parti , situatial settentrione, in terre piene di nevi e di brine. 11loro paese è attraversato dal fiume Choatre più abbon-dante di tutti ; e le città prevalenti Sull’ altre sono Ge-noma, Mesia, Carace, Apamia, Artacana ed Ecatompile : da quest’ ultima fino alle porte Caspie costeggiando

il mare si contano mille e quaranta stadii. Feroci sonoe battaglieri gli abitanti di tutti que’ luoghi ; e tantopiacciono loro i combattimenti e le guerre eh’ è tenuto beato ira tutti colui che versa l’ anima nella battaglia :e coloro invece i quali finiscon di morte naturale, sonovituperati" siccome uomini degeneri e da nulla. A co-

storo dalla parte orientale e di mezzogiorno Confinanogli Arabi felici; così chiamati perchè sono ricchi dibiade, di bestiame, di palme, e di molti soavi profumi.Il loro paese tocea a mano destra il mar Rosso ed asinistra il mare Persiano, sicché sono accostumati a go-dere tutti i beni che l’acqua e la terra posson produrre.Quivi ha stazioni e porti tranquilli in buon numero ,«•frequenti emporii, e pomposi e begli edifizii de’ loroRe: saluberrime scaturigini d’acque naturalmente calde;gran moltitudine di rivi e di fiumi;; salubre tempera

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tura di ciclo; sicché a loro, chi ben considera, nulla Aj>.d«1l’fi. V.manca per essere compiutamente felici. In mezzo per 363altro alle molte città mediterranee e marittime, ai fer«tili campi e alle valli, sono principali nell’Arabia que*

ste città: Genpóli, Nascona, vBaraba, Nagara, Mefra?Tafra, e Dioscoriade. Ha poi moltissime isole a sé vi-cine nell’ uno e nell’altro mare; delle quali non mi parnecessario riferire qui i nomi. Pure è insigne fratutteTurgana, ove si dice essere situato il maggior tempiodi Serapide. Al di là di questa nazione s’innalza sopra

eccelse montagne la Caramania maggiore, e si stendasino all’ indico mare, ricca anch’ essa d’alberi fruttiferie d’animali, ma inalto più oscura e più picciok delJ’Arabia. Non è peraltro men di quella abbondante difiumi, o feconda di pingui prati. I fiumi più noti sonoil Sagario,'il Sagani e l’Idriaco. Vi sono anche città,sebbene in numero poche, di vitto però e d’ ogni al-

tra cosa abboudevolissime; fra le quali splende Caraxnatoa madre di tutte, e Portospana e Alessandria edErmopoli. Chi si fa poi più addentro nel paese trovagl’ Ircani, bagnati dal mare di questo medesimo nome.Presso costoro poco si attende al coltivare, perchè lamagrezza del terreno uccide le sementi ; ma vivono di

cacciagione, di che non è a dire quant’ essi abbondino.Quivi si veggono anche molte migliaja di tigri, e pa-recchie bestie feroci ; e noi abbiam già detto con qualiarti (mi sogliamo essere prese. Nè si creda però che que-ste genti ignorin l’ aratro : ma seminano anch’ essi quelleparti del loro paese dove il terreno è più pingue: nèmancano arbusti ne’ luoghi acconci alle piantagioni : ma

i più vivono del marittimo commercio. I due fiumi piùfamosi sono 1’ Oxo e il Maxera : qualche volta le tigriincalzate della fame li passano a nuoto, e improvvisa

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Aodell’EiV. Fra i molti fiumi poi che vanno per quest* torta 6sono naturai asente o confusi con altri maggiori ù dopòil loro cono guidati al mare, sono celebri il Renino,il Jassarte e il Talico. Di città non si conosce che neabbiano più che tre , Aspabota, Cauriaoa e Saga. Aldi là da questi luoghi delle due Sdzie, dalla parteorientale s’ innalzano alcune sommità che abbraccianoa guisa di cerchio i Seri, situati in regioni ubertoseed ampie, confinanti dal lato d? occidente cogli Sciti ;da quello del settentrione e dell’oriente uniti a solitu-

dine coperta di neve; da mezzogiorno distesi fioo all’ Iodia ed al Gange. Que’monti si chiamano Anni va,Nazavicio, Asmira, Emodone ed Opuroearra. Questoampio spazio di pianura circondata all’ intorno da rirpido declivio è attraversata da due fiumi di gran nor-me che lentamente vi passano, 1’ Occarda ed fl Beati.Differente è la condizione delle varie, parti :. qua ; pia-nura, là un insensibil pendio, fe*per questo vi fa esurberanza di biade, di bestiame e di arbusti Abitano laparte più feconda diverse genti, fra le quali gli Alitrofagi, gli Àunibi, i Sizigi ed i Cardi soggiacciono ai

' venti ed alle brine. Ricevono il sole nascente i Rabann i, gli Asmtri, e gli Essedoni celebri sopra tu tti; ai

quali dalla parte dell’ occidente si uniscono, gli Àtagorie gli Aspacari. 1 Beti abitano sul declivio di alcuni montidalla parte di mezzogiorno, e sono celebri per nonmolte, tri* grandi e ricche città; fra le quali sono graoridissime Asmira, Essedone, Asparata e Sera, nitide eceleberrime. Vivono poi i Seri pacifioamente, lontanisempre dall’ armi e dalle battaglie; e come ad uominiquieti e placidi, 1’ ozio è a loro gran diletto, nè sonomolesti mai a nessuno de’ confinanti. La temperie delcielo appo loro è gioconda e salubre, 1’ aere puro a

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guardarsi, mitissimo il soffio dei Tenti: vi abbondanoAft.MFE.VVinoltre lucide sei ve, dagli alberi delle quali gli abitanticolgono certi frutti, che mollificati a forza di aspergerlifrequentemente di aequa, si riducono a una specie di

lana: cardano poscia questa sottilissima e mollissimalanugine con umida com’ ella è, e filandola ne fatinouna stoffa di seta, della quale fino ai dì nostri usaronoi nobili soli; ma ora se né valgono sansa distinzioneanche quelli delle infime classi. Costoro sono più d iqualunque altra gente frugali, amano un viver pacato,

e fuggono la compagnia degli altri viventi. E qualorauomini stranieri passin oltre il lor fiume per compe*rare la detta seta od altri oggettr, senza scambio diparole, col solo sguardo accennano il prezzo dellemerci che hanno dinanzi; e sono tanto astinenti, checol frutto delle loro mercatanzie non cercano mai dàprocacciarsi cose. straniere. Dopo i Seri trovatisi gli

Ariani, volti al soffio del Nord: le loro terre sono ir*rigate da un fiume capace di portar navi, per nomeAria, che di sè forma un gran lago chilunato anch’essocol medesimo nome. Abbonda quella regione di città,fra le quali son celebri Bitaxa, Sarmattna, Sotera, Nisibi ed Alessandria, d’onde chi naviga al mar Caspio

conta mille e cinquecento stadii. A questi luoghi sonavicinissimi i Paropaoisati che guardano gl9Indi dallaparte orientale, e il Caucaso da occidente ; e sonoanch’essi sul declivio di monti: scorre di mezzo a lordil fiume Ortogordomari, maggiore di tutti gli altri chenasce fra i Battriani. Hanno anche alcune città ; e lepiù illuAra sono Àgazaca, Naulibo, e Ortopana, d’ondechi va. costeggiando sino ai confini della Media viciois*simi ai porti del Caspio, naviga duemila e duecentostadii. Tengono dietro a costoro i Drangiani, sparsi

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An.de I TE.Visopra alcuni colli bagnati dal fiume detto Arabio per-chè nasce in Arabia, e superbi principalmente per duecittà, Praftasia ed Ariaspe, siccome paesi ricchi ed il-lustri. Dopo di costoro Yedesi F Aracosia che dove pie-

gasi a destra è opposta agl’indi. Dall'Indo, maggioredi tutti i fiumi e da cui son denominate quelle regio-ni, esce un fiume molto minore, che si dilaga ampia-mente, e forma la palude Aracotoscrene. Quivi puresono fra l’altre buone città Alessandria, Arbaca e Goapsa.Ma nella parte più addentro della Persia è Gedrosia che

tocca a destra i confini degl’ Indi; e fertile come per altriminori, cosi pel fiume Artabio principalmente. Quivi fi-niscono i monti Barbitani, alle radici dei quali sgorganoaleuni altri fiumi che poi si mischian coll9Indo e in essoperdono i proprii nomi. Quivi pure si trovano alcune cit-tà $e fifa queste, a tacere delle isole, si tengon migliori Sedratira e il porto Ginecone. Ma per non traviare di troppodal proposito nostro descrivendo minatamente le spiaggemarittime nell’ estremità della Persia, ci basti dire, cheil mare si stende dai monti Gaspii dal lato settentrio-nale fino alle porte già dette per lo spazio di novemilastadi!} e dal lato di mezzodì dalle bocche del fiume Nilofin dove cominciano i Garamani per quattordicimila. In

queste nazioni sì numerose e sì varie, sono anche di-versità di uomini come di luoghi. Ma per descriverecosì in generale i corpi e i costumi, sono gracili quasitutti, pendenti al nero, o d’un c o l o r pallido e livido,con occhi caprini e di torvo sguardo, con sopraccigliricurvi a guisa di semicerchio che vanno ad unirsi fraloro, con barba di bell9aspetto é con lunga ed irta ca-pigliatura : tutti poi, anche nei banchetti e nei giornifestivi, si veggono armati di spada: la quale usanza pertestimonio credibilissimo di Tucidide furono primi gli

ga AMM1ÀN0 MÀKCELLINO

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LE STORIEDI

ÀMMIANO MA R CELLINO

LIBRO VENTESIMOQUARTO

SOMMARIO

I. Giuliano entra coll* esercito nell* Assiria; riceve a pattiAnatan castello sulla riva dell’ Eufrate, e 1*abbrucia. — Il  La-scia intentati altri castelli ed altre città; gli si dà Pirisabora,ed egli 1' abbrucia. — III. Giuliano promette a* suoi soldati unaricompensa di cento denari; essi sdegnano la tenuità di queldono, ed egli con assennato discorso li richiama al dovere. —.IV. Maozamalca è presa dai Romani ed incendiata. — V. Espu-gnano e incendiano un altro castello fortissimo. — VI. Giu-liano, uccisi duemila e cinquecento Persiani, perdendo solosettanta de* suoi, in una radunanza distribuisce corone a pa-recchi. — VIL Respinto dall' assedio di Ctesifonte, sconsidera-tamente comanda di abbruciare le sue navi, e si allontana dalfiume. — VIII. Non potendo nè costruir ponti, nè riannodarsicon una parte del proprio esercito, 1*Imperatore stabilisce diretrocedere attraversando la Corduena.

An.dell’E.V. JLJopo aver conosciuta la buona volontà dell’ eser363 cito, il quale con unanime ardore gridando chiamava

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Dio io testimonio, che P infaiicabil lor Principe non An.dell*E.V.potrebb’essere superato, Giuliano si persuase di doverprontamente recare ad effetto la divisata spedizione ; efinita la notturna quiete ordinò che le trombe suonas-

sero a partenza. £ così dopo avere predisposto già tuttoquello eh’ era richiesto dalle ardue difficoltà dell9im-presa , sull’ albeggiare entrò nei confini d’Assiria e eoagrande animo cavalcando per entro alle file, accendevacolla emulazione tutti i soldati a comportarsi da forti.£ come un condottiero sperimentato e riflessivo, te-

mendo di non essere preso «ad occulte insidie (da chei luoghi gli erano nuovi) cominciò a marciare coll’eser*cito disposto in ordinanza quadrata. Volle inoltre chemille e cinquecento scorridori andassero innanzi, i qualicautamente camminando da fronte e sui fianchi, guar-dassero che qualcheduno non desse loro addosso im-provvisamente. Egli medesimo poi guidava nel centro ipedoni, nerbo di tutto P esercito ; comandando chedalla parte destra alcune legioni costeggiassero con Nevitta le rive del fiume. Il corno sinistro colla cavalle-ria lo affidò ad Arinteo e ad Ormisda, affinchè lo gui-dassero a schiere serrate per luoghi piani ed agevoli.Avevano poi il retroguardo Daglaifo e Vittore; ed ul-

timo di tutti veniva Secondino governatore dell9Osdroena. Appresso poi, affinchè se mai i nemici saltasserofuori da qualche parte, impaurissero credendo vedereda lungi una moltitudine di soldati maggiore che non.era nel fatto, diradò le file della cavalleria e de’ fantisicché dalla prima all’ ultima insegna occupavan lo spa-

zio di dieci miglia. Con questo artificio si dice che spessevolte fece mirabili cose Pirro re dell’Epiro, accortis-simo nel porre gli accampamenti in luoghi opportuni,e nel far sì che l’esercito suo talvolta paresse maggiore

MARCZLUltO , 1 1 7

LIBRO VENT ESIMOQUARTO 9 7

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AtuMPE.V#tal’altra minore del vero, secondo die gli poteva tor^ nar vantaggioso. I bagagli, e tutta la turba imbelle,

ed ogni maniera d’ impedimenti volle che stessero fral’uno e 1’ altro lato del campo e procedesser con

quello ordinatamente, per evitare che non venissero darepentino assalto portati via ; come spesso intervienequando si lasciano senza custodia. Alla flotta poi, co-munque fosse portata dal fiume continuamente tortuo-so, non permetteva nè d! rimanersi a dietro, nè di pre-correre: e di questa maniera dopo un viaggio di due

giorni giugnemmo vicini a Dura, cittù deserta sui mar-gini di quel fiume. Quivi trovaronsi molte gregge di cer-vi ; de’ quali avendone noi saettati alcuni ed alcuni altriabbattuti a colpi di remi, ne fu morto cosi gran nu-derò che tutti ne mangiarono a sazietà: nondimeno ipiù d: quegli animali usi al nuotd attraversarono il fiume,e con inarrivabil prestezza fuggirono nelle consuete lorosolitudini. Di quivi poi facemmo un piccol viaggio diquattro giorni, e sul cader della sera fu imbarcato conmille soldati di leggiera armatura il conte Lucilliano,cui l’ imperizia rendeva arrischiato, affinchè espugnasseil forte di Anatan, bagnato come molti altri dalle cor-renti dell’Eufrate. Le navi disposte, secondo gli ordini

avuti, in luoghi opportuni assediarono l’isola, e la nottenebbiosa favorì quel segreto assalto. Ma quando si fecedi chiaro qualcuno che use) per acqua di Anatan, ve-duti all’improvviso i nemici, sollevò un grande remo-re} sicché i difensori desti a quel grido corsero all’ar-mi. L’ Imperatore scorto da u n ’ altissima vedetta il sitodell’ accampamento, passò velocissimamente il fiume condue navi, seguitato poi da molte altre che portavanomacchine opportune agli assedii. E fatto giù presso allemura, a vedendo che gli converrebbe combattere non

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senza molli pericoli, con parole ora miti, ora aspre e An.iIHI’E.V.minacciose esortava gl’ isolani ad arrendersi. I quali 363avendo richiesto'di parlar con Ormisda, persuasi dallepromesse e dai giuramenti di lui cominciarono a spe-

rar grandi cose dalla moderazione romana: e all’ ultimocacciandosi innanzi un bue coronato, che presso loroè indizio di pace accettata, discesero supplicanti. Fuallora subitamente incendiato quel forte; Poseo chen’ era Prefetto e che in progresso di tempo fu poi an-che Governatore dell’Egitto, fu fatto Tribuno; gli a!»

tri colle famiglio e colle cose loro furono tutti uma-namente trattati, e trasferiti a Calcide », città dellaSiria. Fra costoro fu condotto al nostro campo unsoldato il quale, lasciato infermo e ancor giovinetto diprimo pelo in que’ luoghi quando Massimiano assalì iconfini della Persia a, aveva pigliate più mogli secondoFusanza di quella nazione; ed ora vecchio, incurvato epadre di numerosa figliolanza aveva persuasi quegliabitanti ad arrendersi: e attestavano alcuni lui averepresaputo e predetto che quando fosse vicino ai centoanoi sarebbe sepolto in territorio romano. Dopo di ciòalcuni Saraceni trassero innanzi all’ Imperatore lietissi-mo certi esploratori nemici; e rimunerati del fatto fu-

rono spediti di nuovo alle loro scorrerie. Nel giornoseguente occorse un terribile caso. Sollevossi un turbinedi venti che in molte spire aggirandosi confuse tutti iluoghi coperti, e molte tende spiantò, atterrando parec-chi soldati quali bocconi, quali supini, sccondochè l’im-peto del vento toglieva loro di tenersi fermi sui piedi.

1   Kirtntsrin.a Diocleziano inviò Cnjo Galerio Massimiano, allora Cesa-

re, contro i Persiani l'anno 996 dell'E. V.

LIBRO VENTESIMOQUÀRTO 99

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LIBRO VENTESIMOQUARTO io i  

vaglie eh’ erano sulle navi. Solo uno fra tanti, fatto An.deirE.Y.soverchiamente audace dal vino, senza necessità passòil fium e} e preso dai nemici fu trucidato al nostrocospetto.

IL Dopo questi fatti così felicemente riusciti arri-vammo a Tiluta, fortezza situata nel mezzo del fiume,sopra un colle elevatissimo, e munito all’ intorno danatura non altrimenti che avrebbe potuto far 1’ arte.Gli abitanti sollecitati per bella maniera ad arrendersi,( e così conveniva di comportarsi con lo ro , perchè

1’ ertezza del sito rendeva inutile la forza dell’ armi )risposero che questo sarebbe stato allora fuori di tem-po^ che dove per altro i Romani procedendo nella lorospedizione avessero occupati i luoghi più addentro, sarebbonsi accostati ai vincitori anch’essi come una partedel vinto regno. Dopò di ciò stettero immobili e inrispettoso contegno osservando le nostre navi che pas-sarono lungo le loro mura. Di quivi giugnemmo adun’altra fortezza nominata Aca'iacala, guardata dal fiu-me che da ogni parte la chiude, e di malagevole ac-cesso z ne ricevemmo la stessa ripulsa, e partimmo. Neldì seguente trovammo un’altra fortezza, ma abbando-nata dagli abitanti, perchè i muri non eran da soste-

nere un assalto, e passammo oltre dopo averla incen-diata. Due giorni appresso, avendo percorsi duecento sta-dii, giugnemmo a Barasmalca, e passato il fiume, en-trammo nella città di Diacira che 11’ è sette migliadistante } vóta di abitatori, ma copiosa di frumento edi nitido sale, e dove vedemmo un tempio di grandealtezza piantato sopra la rocca. Incendiata quella città,e spente alcune poche donne che quivi furon trovate,attraversammo una sorgente di bitume per recarci adoccupare Ozogardana ( cui, atterriti dall’ esercito so

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An.dell'E.V. pravvegnente, gli abitanti lasciaron deserta ), dove si363 mostrava tuttora un tribunale dell9imperatore Trajano.

Abbruciata anche questa città, e dato uno spazio didue giorni al riposo del corpo, sul finir della notte

succeduta al secondo giorno, il Surena che presso iPersiani ha la priucipal dignità dopo il Re, e il Malech » Podosoce, filarca dei Saraceni A ssan ili, ladronedi gran fama che luoga pezza aveva con ogni maniera dicrudeltà imperversato sui nostri confini, tesero insidiead Ormisda , avendo non so per qual modo saputo

eh9egli uscirebbe a esplorare ; ma non riuscirono nelloro iutento, perchè non fu potuto passare il fiume chescorre angusto e profondo. Al primo albeggiare essendogià i nemici al nostro cospetto, noi li vedemmo allorala prima volta splendenti per gli elmi e terribili perle gravi loro armature: ma i nostri soldati con veloceimpeto movendosi alla zuffa, volarono coraggiosamente

contro di loro. E sebbene i Persiani con grandi forzeincurvassero gli archi, e lo splendore del ferro che bale-nava fra loro potesse accrescere il timore dei nostri; non-dimeno , accendendosi il valore nell7ira , si coperserocogli scudi e si fecero addosso ai nemici per modo darender loro impossibile il giovarsi degli archi. Incorag-

giati poi da questa quasi primizia della vittoria, i no-stri si spinsero fino al borgo di Macepratta; dove sivedevan tuttora i vestigi di certi m uri, coi quali èfama che ue’ prischi tempi si difendesse 1’ Assiria con-tro gli assalti stranieri. Quivi una parte dell7Eufratesi divide in grandi canali, che menano Tacque ai luo-ghi interni del babilonese in servigio dei campi e dellecittà che vi sono sparse. Un’ altra parte detta Naha

io» AMMIANO MARCELLINO

i  Malech significa  prìncipe.

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LIBRO VENTESIMOQUARTO io 3inalca ( vai quanto dire Fiume dei Re ) bagna la città Aa. 4effl.Y* di Ctesifonte ; ed ha, dov’ essa comincia, una torre ches’innalza a modo di faro : e questo canale fu attraver*iato da tutta la nostra fanteria sopra ponti ottima-

mente costrutti. La cavalleria poi colle bestie da somaarmata di tutto punto passò a nuoto e per isghembo dovei gorghi del fiume eran meno impetuosi. Alcuni diloro furono assaliti da un9improvvisa tempesta di freccenemiche : ma usciti gli ausiliari agilissimi al corso,piombarono sopra gli assalitori, e voltili in fuga prò*

straronli coll’ impeto di uccelli rapaci. E superato cosìgloriosamente anche quello scontro, si venne a Pirisabora, città ampia e popolosa, e circondala dall’acquea somiglianza di un’isola. L’Imperatore cavalcando in*torno alle m ura, e vedutone il sito, ne imprese consomma cautela V assedio, sperando rimovere col solospavento i cittadini dal proposito di contrastargli P in-gresso* Ma dopo averli spesse volte tentati con parla-menti , poiché non si lasciavan piegare nè da promessenè da minacce, si diede principio all’ espugnazione 'r  ecircondate le mura con triplice corona di armati, nelprimo giorno si combattè fioo a notte colle frecce. Idifensori dotati di grandi forze e di gran coraggio spie-

garono su tutti i baluardi alcune tende cedevoli nellequali andava a perdersi 1’ impeto delle frecce; e co-perti da studi intessutj con forti vimini, e vestiti dicrudi e grossi cuo}, opponevano gagliardissima resisten-za ; ed erano a vederli uomini tutti di ferro ; perchèalcune lamine di questo metallo informandosi dai lorpmembri, a quelli ottimamente aderivano, e con sicuracustodia ne coprivano tutta quanta la persona. Qual-che volta eziandio avendo istantemente cercato di par-lar con Ormiida loro compatriota e del sangue dei loro

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al cominciar della notte, e con pari successo le fu imÀn.dell'E.Vposto fine. Poi nel giorno seguente, combattendosi an-cora ostinatissimamente, e morendo parecchi da unaparte e dall9altra, e stando in sospeso la fazione per

uguaglianza di forze ; 1’ Imperatore deliberato di ten-tare ogni estremo in mezzo a quelle mutue stragi, cir-condato da molti de’ suoi ordinati a guisa di cuneo,e difeso contro i colpi delle frecce dagli scudi adden-satigli intorno, con rapido corso in compagnia de’ suoipronti soldati, se ne venne fino alla porta nemica tutta

coperta di fèrro. E sebbene fosse assalito da una furiadi sassi, di palle e di ogni altro saettarne, con peri-colo della propria salvezza, nondimeno gridando ed in-stando acciocché i suoi a forza di scavare dai latidelle imposte si aprissero un passaggio, non si partìfinché non vide che dalla gran 'quantità delle cose sca-gliate sopra di lui era per rimanere oppresso. Pur sisottrasse alla fine con tutti i suoi, de’ quali alcuni furon feriti. Egli n’ usci illeso, e solo un certo rossoregli s’era diffuso sul volto, perocché avea Ietto che Sci-pione Emiliano accompagnato da Polibio (storico diMegalopoli nell’ Arcadia) e da trenta soldati, con similimpeto rovesciò le porte di Cartagine. Ma la fede stessa

degli storici antichi difende il recente fatto di Giulia-no. Imperocché Emiliano accostossi ad una porta pro-tetta superiormente da una volta di pietra sotto la qualestette sicuro e nascosto ; e mentre i nemici attendevanoa tor via le grandi pietre che gli eran difesa, egli fece im-peto bella città rimasta senza propugnatori: dove Giu-liano per lo contrario avendo assalito un luogo scoverto,comunque fosse assalito da tante pietre e saette che lafeccia del cielo se ne oscurò, pure a stento poteronrespingerlo sicché partisse. Dopo queste cose operate in

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HI. Nel giorno che seguitò a queste cose, mentreAn.delVE.V.V Imperatore stava riposatamente mangiando, gli fu 365recata una trista notizia; che il persiano Surena con-dottiero degli esploratori, avendo inopinatamente assa-

lite tre bande de’nostri, benché non avesse potuto uc-ciderne che pochissimi, aveva peraltro atterrato unTribuno e rapito un vessillo. Laonde Giuliano da gran-dissima ira sospinto subitamente si mosse con una manode9suoi soldati, fidando sopra tutto nella celerità;ed avendo con vergognoso spavento respinti a die-

tro gli assalitori, licenziò i due Tribuni rimasti vivicome vili ed inerti, poi seguitando le antiche leggidigradò e punì colla morte dieci di que’ soldati cheeran fuggiti 1. Incendiata poi la città, come abbiamdetto, montò sopra un tribunale che fece costruire, edopo avere ringraziato Pesercito ivi raccolto, esortòtutti a dar prove di ugual valore, e promise a cia-scuno cento nummi d’ argento. Ma accorgendosi chei soldati mormoravano della picciolezza del dono, gra-vemente sdegnato « Eccovi (disse) dinanzi i Persianiabbondevoli d’ogni cosa : le spoglie di quella gente po-tranno arricchirvi, se noi tutti d’un animo adopreremoda forti. Ma da immense ricchezze è venuta, credete-

mi, a strettissima povertà la romana repubblica; colpadi coloro i quali per arricchire sé stessi insegnarono aiprincipi di comperar colP oro la pace dai barbari : d’onde1’ erario fu manomesso, le città impoverite, saccheggiatele province. A me poi non sono nè tesori, nè ricchicongiunti, comunque sia nato di nobile schiatta; e nulla

1 Se trattasi qui dell’ antica usanza di decimare per castigogli eserciti, bisognerà o supporre che i fuggiti fossero centosicché dieci appunto se ne dovessero punire, o leggere  punì  colla morte un soldate sopra  ogni decina cc..

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An.delTE.V. posseggo tranne un petto libero da ogni timore. Nèsia vergognoso che un Imperatore, il quale pone ognibene nella coltura dell’ animo, professi onesta povertàPerocché anche i Fabbrizii, poveri di domestici beni ?

amministrarono guerre gravissime, e furono ricchi digloria. Or tutto quello di che siete desiderosi potravviabbondare qualora voi fidandovi alla scorta del Cieloe, per quanto l’ umana ragione il comporta, alla m ia5vi conduciate tranquillamente. Ma se resistete, abban-donandovi al vituperio delle passate se dizioni, io non

v’impedirò. Bensì come a capitano si addice, io solo quirimanendo morrò dopo avere compiuto il corso dellemie grandi incombenze, dispregiando una vita che ognileggierissima febbre mi potrebbe rapire. Ovvero mi ri-trarrò , da che non sono vissuto per modo eh’ io nonpossa quando che sia ridurmi alla condizione di sem-plice privato. Di questo intanto son certo e m’allegro,che sono con noi ragguardevolissimi capitani e perfettiin ogni genere di militar disciplina ». Il modesto par-lare di quell’ Imperatore moderato mai sempre sì nellaprospera che nell’ avversa fortuna, ammansò per allorai soldati; i quali pigliando speranza di migliori suc-cessi , avendo tutti d’ un animo promesso a Giuliano di

comportarsi docilmente, ne levavano a cielo l’autoritàmansueta e 1’ altezza del cuore : le quali cose quandosi dicono veracemente e dall1animo, soglion manifestarsicon un lieve suono dell’ armi. Ritorna ti quindi alle tenderistoraronsi con quel cibo che poterono avere e col ri-poso della notte. Giuliano poi incoraggiava 1’ esercitoanche pel costume che aveva di giurare non già per lecose a lui più dilette, ma per la grandezza delle co-minciate spedizioni : Così io possa soggiogare i Persiani : Così io possa ravvivare V abbattuto imperio romano :

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LIBRO VENTESIMOQUARTO 109

come raccontasi che Trajano avesse in costume di c o n An.(WrE.V,fermare talvolta quel che diceva con questi giuramen-ti: Così io vegga la Dacia ridotta in provincia : Così  mi sia dato di passare su ponti al di là deW Istro e 

delT Eufrate : e simili altri. Dopo di ciò avendo per-corse quattordici miglia giuguemmo ad un certo luogodi campagne fecondate da acque abbondanti: e i Per-

miani avendo saputo che noi eravamo per far quellavia, levate le cateratte lasciaron che 1’ acqua si diffon-desse dovunque. Per il che essendo largamente inondato

il terreno , l’Imperatore ordinò che nel giorno seguenteT esercito si riposasse ; poi precedendolo egli stesso, egittando qua e là molti piccioli ponti con otri e connavi di cuojo, e congiungendo anche insieme alcunitravi di palme, non senza difficoltà, ne trasse Peseràcito in salvo. In quelle regioni sono parecchi campipieni di viti e di varie sorte di frutti; e quivi allignanole palme, che a guisa di grandi boschi si stendonolargamente sino a Mesene ed al Mar grande. E dovun-que T uomo si volga trova alcuni ramicelli del cui fruttosi trae gran copia di mele e di vino. Dicesi poi che lepalme maritansi fra di loro, e che facilmente se ne puòdiscernere il loro sesso. Aggiungono che le femmine si

fecondano ungendole col seme de’maschi, e che quellepiante dilettansi de’ loro amori ; ciò che si fa manife-sto dal vedere che inclinandosi le une verso delle al-tre , non si dividono per soffiare di venti. Che se lafemmina non è bagnata come suole dal seme del maschio;abortisce intempestivamente frutti immaturi. Qualorapoi s’ ignori di quale albero sia innamorata la palmafemmina, se ne bagna il tronco coll’umore di un ma-schio ; e quella naturalmente ingravida della dolcezzadi quell’ odore : e così da questi indizii si fa manifesta

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P accampamento, dove fu ricevuto con grande allegrezza An.delTE.T.di tutti. Torquato tolse già tempo dal collo di un ab-battuto nemico un aureo monile: Valerio sconfisse unsuperbissimo Gallo col soccorso di un corvo, d’ onde

fu poscia denominato Corvino : e tutti e due costoroper la gloria di tali geste passarono alla posterità. Noinon ricuseremo a siffatti uomini la loro lode, purchési aggiunga agli antichi monumenti anche questa bellaazione di Giuliano. Nel giorno seguente poi, costrutti iponti e fatto su quelli passare Pesercito, s’accampò in

luogo più vantaggioso, circondandosi di doppio vallo,perché temeva ( come dicemmo ) i luoghi piani \ e intra-prese P assedio della città; parendogli pericoloso partitoV  avanzarsi lasciandosi a tergo chi gli potesse mettertimore. Mentreché queste cose con gran diligenza siapparecchiavano, il condottier de’nemici Surena assalìil nostro bestiame che pascolava in alcuni boschi dipalme ; ma respinto dalle nostre coorti che v’ erano aguardia, colla morte di alcuni si ritrasse senza avereottenuto verun vantaggio. Gli abitanti di due città cir-condate per ogni parte dalle correnti del fiume, malconfidando in sé stessi, ricoverarono dentro le mura diC tesi fon te*, gli uni ancora si misero in dense boscaglie;

gli altri tentarono le vicine paludi dentro alcuni tron-chi di piante scavate, come unica via di salvamento;e cercando siti remoti si dispersero. E que’ pochi cheresistettero, i nostri li trucidarono; 1 quali scorrendoa neh’ essi con grandi e picciole barche 1 qua e là netraevano sempre de’ prigionieri. Perocché procedevasicon quest’ordine, che mentre i fanti striogevan le mura,la cavalleria divisa in drappelli attendesse contiuuo a far

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i Unirìbm et ejrmbis.

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An.clril’E.V. preda : d’onde poi senza alcun danno delle province la363 soldatesca pascevasi delle viscere proprie dei nemici. E

già T Imperatore avendo circondate le doppie muradella città con triplice schiera di scutati, *attendeva

con grandissime forze ad espugnarla, e sperava dicompiere quell’ impresa. Ma se grande era il deside-rio , era però difficilissimo l1effettuarlo : perocché daogni parte, le rupi alte, scoscese e sinuose rendevanpericoloso l’ avvicinarsi : massimamente che vi eranoalcune torri tremende pel numero de’ soldati che in

sé capivano e per 1’ altezza a cui si elevavano ugua-gliando quel monte su cui era fabbricata la rocca; equel piano che declinava al fiume era munito da ga-gliarde fortificazioni. Aggiungevasi a queste cose ungcircostanza non meno dannosa; che la scelta e nume

 josa soldatesca assediata, non lasciayasi per lusinghepiegare ad arrendersi; ma o persuasa di vincere, o de

> vota alle ceneri della patria, resisteva agli espugnatori.D’ altra parte mal si potevano infrenare i nostri chesospingevansi arditamente innanzi; e quando suonavasia raccolta, si mostravano più che mai accesi dal de-sider io d’ incalzare con animosi sf orzi il nemico. Allafine poi il prodente consiglio dei nostri vinse quella

grande opposizione. Furono ripartiti i lavori ; e cia-scuno si affrettò di por mano a quello che gli era asrsegnato. Chi da una parte elevava eccelsi terrapieni ;chi da un’ altra attendeva ad empier profondi f ossati ;altri apriva lunghi passaggi sotterra : gli artefici collo-cavano ne’ luoghi opportuni le macchine murali, chedovevano tra breve con funesto strepito adoperarsi.Nevitta e Dagalaifo. poi attendevano alle mine ed allefortificazioni : agli attacchi ed al difender le macchineda incendio o da scorrerie presiedeva lo stesso Giuliano.

u à AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMOQUARTO n 3Finito ogni apparecchio di quanto poteva esser me ÀnJde'PE V*stieri a diroccar la città, e domandando i soldati con 365grande istanza la battaglia, ritornò il General Vittoreannunziando che aveva esplorata ogni via fino a Cte

sifonte 5 nè s’era abbattuto in verun ostacolo. Al qualeavviso tutti i soldati, presi da feroce allegrezza, e piùche mai risoluti al combattere, aspettavano armati ilsegno della battaglia. E già sonando le trombe conmarziale fragore, dall9una e dall’ altra parte cominciavasi a strepitare: e furono primi i Romani ad assalir

con frequenti incursioni e con minaccioso schiamazzo ilnemico, il quale era tutto coperto con lamine di ferro so-vrapposte a foggia di lievi piume, e confidava in quell’ ar-matura che percossa dalle frecce le rimbalzava: e avanzan-dosi i nostri sotto i proprii scudi congiunti per modo daformare una testudine d’ informi volte, pel moversi chefacevano incessantemente lasciavano qualche apertura >.

E i Persiani dalla loro parte tenendosi ostinatamentefermi sulle mura, sforzava osi per quanto potevano dirender vani i rovinosi assalti dei nostri. Ma quando gliespugnatori recandosi innanzi graticci di vimini comin-ciarono a stringer le mura, i frombolieri e i sagit-tari! , ed altri ancora rovinando giù grandi pietre, e

scagliando sassi e maleoli ne li cacciavan lontani : le

i 11 testo dice : nonnunquam compage scutorum, qua veìut le- studine infigurabilium jomicwn operiebantur apUssime, adsiduis moiibus ìaxius dehiscente. Il Wagner che traduce presso a pocosiccome io ho tradotto dice che se mai non ha colto nel se-gno deve scusarlo la novità della fras ; cip che si riferisce

alla voceinfigurabilium

. li DeMoulines poi interpreta affattodiversamente. Quelquefois nos gens joignent leurs boucliers et en  form ent une espèce de tortue doni V inégale convéxtié se prète aux divers mouvemens qu* ih fonU 

MARCKUJNOj U 8

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Àn.dcir E.V. balest re armate di frecce di legno movevansi con ve*363 locità e stridore saettando spessissimi dardi; e gli scor-

pioni , dovunque eraa rivolti dalle persone esperte nelmaneggiarli, vibravano rotonde pietre. Così essendosi

spesse volte replicati gli assalti, il caldo che sul mezzogiorno era cresciuto , facendosi sempre più fervido il sa-le , li distolse tutti stanchi e bagnati di sudore com’era-no, dalla pugna e dalle macchine a cui erano più chemai volti. Collo stesso furore poi si batterono anche nelgiorno appresso le due contrarie parti ostinatamente e

in più maniere di combattimenti, e partironsi ancorasenza che gli uni o gli altri avessero riportato alcunnotabile vantaggio. Ma Giuliano che in ogni pericolo erasempre co’ suoi soldati, affrettava l’ espugnazione dellacittà , affinché il troppo indugiare d’ intorno a quellemura non lo impedisse dalle imprese più grandi chemeditava. Or nelle circostanze di maggiore angustianon v’ ha cosa tanto leggiere, la quale talvolta nonpossa, contra ogni speranza, riuscire di grande mo-mento. Però, mentre le due parti, già vicine a cessardalla pugua combattevano come suol farsi più rimes-samente di prima, un ariete condotto poc’ anzi sulcampo, e disordinatamente sospinto, fece cadere una

torre più alta di tutte le altre £ costrutta di pietrecotte; la quale, cadendo, rovinò seco con immenso fra-gore anche il contiguo lato del muro. Quivi alloranella varietà dei casi ed in belle faziooi si manifesta-rono l’ operosità e il valore degli, assedianti e degliassediati. Perocché nulla pareva grave ai nostri soldatiaccesi d’ ira e di dolore ; nulla spaventava gli oppugna-

tori intenti alla propria salvezza. Ala essendo poi ter-minata col cadere del giorno quella battaglia che fulungamente con pari fortuua agitata, e uella quale dal

i , 4 AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMOQUARTO n 5Tuiia é dall’altra parte s’era con molte stragi versato gran An.dèlP&V.sangue, finalmente pensarono a riposarsi dalla fatica. E 363mentrecchè queste cose facevano in pieuo giorno e all’ aperto *, fu annunziato all’imperatore, occupato da

vigilantissima cura, che i soldati legionarii ai quali avevadata incombenza di scavar mine, avevano aperte dellevie sotterranee sostenute de archi di legno; per modoche, penetrati già sotto le fondamenta, dov’egli ne desseloro il comando, potrebbono sbucar fuori all’ aperto.Quando per tanto fu passata già la maggior parte della

notte, dato da’trombettieri il segno della battaglia, sicorse all’ armi : e secondo il disegno fatto già innanzi,le mura furono da due parti assaltate : affinchè men-tre gli assediati correvano qua e là per riparare ai peri-coli , nè sentivano in quel trambusto il suono del ferroche scavava di sotto il terreno, la compagnia de9mi-natori potesse senza contrasto di sorta uscir fuori. Le

quali cose essendo per tal modo ordinate, mentre gliassediati attendevano a difendersi dagli assalitori, apertesile sotterranee latebre n’uscirono Esuperio, soldato delnnmero dei Vittoriosi, poi il tribuno Magno e Gioviano Segretario di Stato, ai quali tenne dietro nn’au-dace moltitudine. Uccisero primamente coloro che tro-

varono in quella casa nella quale per sorte sbucarono;e avviatisi con leggier passo ammazzarono tutte le sen-tinelle, mentre secondo il costume di quella gente ?cantando, esaltavano la giustizia e la felicità del Re loro.

i  Dumque haec luce agerentur oc palam I I DeMoulioes in-terpreta invece che questi scavi, (nifi durante la battaglia

del giorno, furono aunuuziati a Giuliano quando era già so-prarrivala la notte, e I’ I mperatore  pervigili cura dislenUts,non poteva dormire. La quale interpretazione ho voluto ri-ferire parendomi probabile assai.

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Àn.delfE.V. Già tempo fu creduto che Marte ( se la maestà degli^ Dei loro consente di frammischiarsi cogli uomini ) assi-

stesse a Luscino quando assalì il campo dei Lucani:e questo si credette, perchè nell’ ardor della mischia (u

veduto un uomo di tremenda statura in atto di por-tar scale, poi nel dì susseguente, per quanto si cercassedi lui nell’esercito, non si trovò; mentre se fosse.statouno dei soldati, conscio di quel lodevole fatto, sarebbesi presentato da sè >. Ma se allora s’ignorò chifosse l’ autore di quella bella azione, furono invece al

presente conosciuti coloro che si comportarono con piùvalore, sicché loro donaronsi corone ossidionali, e Ipdaronsi giusta il costume antico pubblicamente. All’ultimodunque, mancando già i difensori ed essendo apertimolti aditi, fu invasa quella città che pur doveva ca-dere: e senza distinzione di sesso o di età, V arbitriodelle sdegnate milizie distrusse tutto quello in cui s’ab-

battè: d’onde alcuni spaventati dalla morte imminente,( perchè da una parte l’ incendio , dall’ altra le armi incalzavanli) deplorando queU’ultimo fato, precipitaronsidalle mura; ma rotte le membra ebbero a sostenereuna vita peggior della morte finché non sopraggiunseche li finisse. Fu poi tratto fuori della città vivo Nab

date, capo della guarnigione, con ottanta satelliti; mapresentato insieme cogli altri all’ Imperatore, questi se-reno e clemente ordinò che fosse tenuto senza farglialcun danno. Appresso venne distribuita la preda se-condo i meriti e le fatiche ; e Giuliano, com’ era solitocontentarsi di poco, prese per sè un fanciullo mutoammaestrato nell’arte dei gesti, coi quali per graziosa

maniera significava le molte cose eh’ egli sapeva, e tre

116 AMMIANO MARCELLINO

i V. Val Mass. lib. i , c. 7.

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LIBRO VENTESIMOQUARTO 117

monete d’oro 1; premio, com’ egli stimava, giocondo An.dell’E.V.e gradito dell* acquistata vittoria. Delle vergini poi che ^furono prese assai belle, com’è naturale a pensarsi trat-tandosi della Persia dov’è somma la beltà delle fem-

mine', non volle nò toccarne, nè vederne veruna : imi-tando Alessandro e l’Africano, i quali le fuggivanoa neh’ essi, affinchè dopo essersi mostrati sempre invinci-bili alle fatiohe, non fossero poi abbattuti dalla sen-sualità. Durante l’ assedio nn nostro architetto, delquale non trovasi il nome, stando a caso dietro la mac-

china di ubo scorpione, fu colpito nel petto da unapietra che rimbalzò per essere stata mal collocata soprala fionda da chi n’aveva «incombenza}e cadendo supinoesalò l1anima essendosi lacerate le sue membra per mo-do , che di tutto il suo corpo non rimase alcun segno.Essendo poi l’imperatore già mosso al partire, vennepersona degna di fede ad annunziargli che in certe fosse

scavate vicino alle mura della espugnata città, delle qualiè gran numero per que’ luoghi, s’ era di nascosto ap-piattata una banda d’ insidiatori per uscir d’ improvvisoad assaltare le ultime file del nostro esercito. Furonoquindi mandati subitamente alcuni fanti *di provato va-lore, i quali costringessero gli appiattati a uscir fuori:

1 II testo è equivoco:  Multun puerum suscepit . . et tribus aurcis nummiSj parine victoriae proemimi ec.. I l Wagner dicendogegen Erlegung drejrer Goldstìlcke suppone che le tre moneted’ oro fossero pagate da Giuliano come prezzo del muto fanciullo. Il DeMoulines invece tradusse: UEmpereur prit pour  sa part trois pièces d or et un jeune enfant muet. Essendo evi*

dente che il latino, com* è , non d^ un senso sicuro, ho volutoseguitare il De*Moulines piuttosto che il Wagner, non pa-rendomi ragionevole che Giuliano pagasse la parte del bottino asè riserbata.

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An.delPE.V.ma non potendo n&> penetrare in que9nascondigli, nè363 costringere quei eh’erano dentro ad uscire, otturaron

gl’ ingressi di que’sotterranei con paglia e sarmenti,poi vi misero fuoco. Il fumo spingendosi addentro, piùi luoghi divenivano angusti, più facevasi denso e soffo-cante; sicché alcuni morirono, altri furon necessitatidi uscire a manifesto pericolo : e cosi i nostri dopoaverli tolti tutti di messo o col ferro.o col fuoco,*siricondussero prestamente alle insegne. Di questa ma-niera quella città ampia e popolosa distrutta dal valor

dei Romani cadde in polvere ed in rovine. Dopo iquali fatti si gloriosi, avendo attraversate su ponti lemolte fiumane che scorrono per que’ luoghi le unopresso delle altre, giugnemmo a due forti edificali as-sai opportunamente: dove il figliuolo del Re, partitosi daCtesifonte cogli Ottimati e con una moltitudine armataper impedire al conte Vittore il passaggio del fiume,poiché vide le caterve delle milisie che gli tenevano die-tro, si ritirò.

V. Continuando nel nostro viaggio arrivammo ad al-cuni boschi, ed a campi rallegrali da fiorente varietàdi biade ; dove essendosi trovato uu castello costruttoalla maniera dei Romani, pel piacere che provammo

di quella vista, fu lasciato intatto. Era pure in quelluogo uno spazio ampio e rotondo, tutto chiuso all’in-torno, dov’ erano le belve destinate al passatempo delRe; leoni con chiomate cervici, cinghiali ispidi di punte,ed orsi ( tali sono questi animali nella Persia ) quantomai si può dire feroci, ed altre bestie scelte d’ immanecorporatura : le quali i nostri cavalieri, rotte le sbarredelle porte, le uccisero tutte a colpi di laoce e di frecce.Quel paese è poi pingue per situazione del pari cheper coltura : nè molto è distante Coche nominata Se

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LIBRO VENTESIMOQUARTO 119

leacia 1: dove avendo piantato in nn subito 1’ accani àn.pamento, e ristorato per due giorni tutto V esercitoDell’ abbondanza di acqua e di pascolo, Giuliano pre-cedendo agli altri cogli esploratori, andò a visitare quella

città dall’ lui pera tor Vero abbattuta e deserta, doveun fonte perpetuo produce uno stagno che si scaricapoi nel Tigri ; e vide appèsi ai patiboli i corpi di moltifamigliar! di coliti il quale dicemmo avere tradita lacittà di Pirisabora. Quivi fu abbruciato vivo ancheNabdate, che insieme con ottanta compagni s’ era strap-

pato da’ nascondigli ( come già dissi ) quando si espu-gnò Maogamalca: perocché avendo nel cominciar del-l’assedio segretamente promesso di consegnare quellacittà, Paveva poi ostinatamente difesa^ ed avendo ot-tenuto fuor d’ ogni speranza il perdono di questa colpaera montato a tale insolenza, da lacerare Ormisda conogni sorta d’ ingiurie. Progrediti poi di quivi alcun poco

avemmo uno scontro di sinistro effetto : perocché essen-do tre coorti de’ nostri soldati di leggiera armatura ve-nuti alle mani con nn corpo di Persiani sortiti improv-visamente della città, alcuni altri nemici venendo dalV opposta riva del fiume assalirono e uccisero le bestieda soma che ci seguitavano accompagnate da pochi dei

nostri dispersi qua e là a foraggiare. L’Imperatore adi-rato e fremente si partì di quel luogo $e avvicinandosigià al paese di Clesifonte, s’abbattè in un castello ec-celso e munitissimo^ al quale avendo osato accostarsi

1 Si crede che un luogo distante il viaggio di un giornoda  Bagdad, e detto  Al- h odcùn s ( cioè  Le due città ) rappre-

senti Coche e Ctesifoute poste 1' una rimpelto all’altra sulleopposte rive del Tigri. Pare nondimeno che qui ai accenni Zochase, di cui parla Zosimo nel lib. in. Così il DfIHou*line*.

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An.cfcrt’E.V. per esplorarne la condizionò, mentre credendosi sco-nosciuto, cavalcava con pochi de’suoi intorno alle murafin dentro al trarre di un arco, non potè rimanerecelato: e subitamente assalito da una nube, di frecce

fu a risico d’essere ucciso da una macchina murale, mafu invece ferito lo scudiero che stava al suo fianco ; edegli coperto dagli scudi de’ suoi potè sottrarsi a quelgrande pericolo* Di che essendo Giuliano smisurata-mente sdegnato deliberò di assediare quel forte: e i ne-mici dalla lor parte si apparecchiarono di resistere osti-

natamente , si perchè confidavano nella natura del luogoquasi inaccessibile, e si perchè si credevano che il Re,il quale con numeroso esercito viaggiava a grandi gior-nate , dovesse arrivare quando che fosse a soccorrerli.E già erano in pronto i graticci e quant’ altro occor-reva all’ assedio, quando sul finire della seconda vigiliain una notte irradiata dallo splendore della luna per

modo che gli assediati vedevano chiaramente ogni co-sa, aperte in un subito le porte, una gran moltitu-dine stretta insieme sortì; e assalita inopinatamente lanostra coorte uccise molti soldati, fra i quali anche unTribuno che si sforzava di resistere a quell’assalto. Eintanto i Persiani piombati ( come avevano fatto già

prima) dall’altra riva su i nostri, alcuni ne uccisero e al-cuni ne presero vivi: perchè sulle prime credendo chei nemici fossero venuti in maggior numero che nel fattonon erano, combatterono poco valorosamente: ma quan-do poi ritornato agli animi il consueto coraggioj eprese in quel tumulto le armi, l’esercito si mosse gui-dato dal suon delle trombe, gli assalitori si ritrassero

spaventati, senza ricever però nessun danno. E l’impe-ratore .gravemente adirato contro quelli della coorte ches’eran mostrati sì,fiacchi all’impeto dei nemici, tolse

f ao AMMIANO MARCELLINO

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loro ogni grado e li fece tatti pedoni, milizia più faAn.ticosa *. Ardendo poscia del desiderio di abbattere quelcastello dov’egli aveva pericolato, rivolse a tale impresa ogni opera e diligenza, non partendosi mai dalle

prime file, sì per essere di esempio ai soldati combattendo egli stesso fra i primi, come per vedere e notarei fatti di ciascheduno. Dove essendosi lungamente ado-perato fra’ maggiori pericoli, dalla varietà delle mac-chine e delle armi, e dal concorde coraggio dei soldati *fu preso il castello e incendiato. Dopo di che avendo 

considerata la gravezza delle cose passate e delle im-minenti , riposò F esercito abbattuto dalla soverchia fa-tica, distribuendo vettovaglie in grande abbondanza. Faper altro munito il campo con dense palizzate e conalte fosse, perchè.si temevano repentine scorrerie daCtesifonte, ed altri pericoli occulti.

VI. Di quivi arrivammo poi ad un fiume scavato a

mano e detto Narmalca, cioè fiume dei Re y il qualeallora era asciutto. Trajano e poscia Severo facendoscavare il terreno avevano con grande studio atteso aformar questo fiume, affinchè poi traducendovisi le acquadell1Eufrate, le navi potessero per quell’ampio canalepassare nel Tigri. E parve a Giuliano sotto ogni ri-

spetto opportunissima impresa il purgare quei luoghi

t II testo;  Reìiquos... ad pedestrem miUtiam compegit* quae onerosior est* dignitatibus imminutis.  11 Wagner interpreta di*versamento queste ultime parole e dice : li abbassò ad esser  

 pedoni, milizia incomparabilmente più faticosa s e ciò non per  tanto meno stimata.

a Conspiratione oppugnatorunu Il Wagner traduce : Durchein geheimes Vérst&ndniss mit einigen Belagerten selbst, cioè : per una segreta intelligenza con alcuni anche degli assediati Everamente il latino sì presta a tutte e due le spiegazioni.

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i *4 AMMIANO MARCELLINOÀn.<MPE.V. gnosamente cedendo non istrascinassero seco per av-

ventura anche gli altri ; o che se li avesse invece cacciatinell’ ultima fila dopo tutte le centurie, dove non fossechi ritenerli, non voltassero impunemente le spalle. Edegli medesimo accompagnato da alcuni soldati di leg-giera armatura discorreva le prime e le ultime file. Quan-do poi i due eserciti si videro già da presso, i Romanicorruschi de’ crestati loro elmi ed agitando gli scudi pro-cedevano lentamente e quasi a cadenza di piedi anapestie scagliando le armi da ferir da lontano cominciaron la

pugna } d’ onde in un subito poi sollevossi gran pol-verio che veniva qua e là da rapido turbine trasportato.E mentre da ogni parte, secondo la solita usanza, gridavasi, e gli stromenti da guerra secondavano coi lorosuoni 1’ animosità de’ guerrieri, impugnate le aste e lespade, dall’una parte e dall’ altra si combattè da vi-cino^ e i nostri erano tanto più sicuri dai colpi dellesaette quanto più s’ affrettavano a spingersi innanzi. Giu-liano frattanto attendeva sollecitamente, come egregiocompagno e rettore, a soccorrere quei che vedeva re-spinti, ad esortare i pigri. Finalmente la prima schierade’Persiani si aperse^ e ritraendosi, da principio conlento, poscia con rapido passo, si volse alla vicina città.

E la incalzavano i nostri sebbene fossero stanchi essipure per aver combattuto in campi ardenti dall’ albaal finire del giorno: e stando lor sempre stretti allespalle, li cacciarono frettolosamente fino alle mura diCtesifonte insieme con Pigrane, il Surena e Narseo prin-cipalissimi loro capitani, ferendo le gambe e le tergade’ fuggitivi. Ed avrebbono rotto nella città insieme coi

i Velui pedi* anapaesti pntecinentibus modulis lenius proce• iebant 

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vinti, te il capitano Vittore ferito anch’ esso di saetta An.deH'E.V.363nell1omero alzando le mani e la voce non ne li avesse

impediti, per tema che quando fossero entrati sconsi-deratamente nel cerchio di quelle mura dette quali igno-rava n le uscite, non si trovassero poi oppressi dallamoltitudine degli avversari. Ora i poeti vadano puremagnificando le antiche pugne di Ettore ; innalzino lagagliardia del tessalo eroe ; e lunghe età ragionino diSofane, di Aminia, di Callimaco, di Cinegiro, fulminidella Grecia nella guerra dei Medi : ma per testimonio

di tutti è certissimo che in questa giornata il valoredi molti dei nostri s’ illustrò non meno che quel degliantichi. Per la quale essendo cessato ogni timore , lanostra soldatesca calcando i corpi degli uccisi nemici ecospersa di onorevole sangue , si raccolse d’ intorno allatenda dell’ imperatore, e loda vaio e rèndevagli grazie,perchè facendo indistintamente gli ufici di capitano edi soldato, aveva condotta quella battaglia con tantaprosperità, che nella uccisione di circa duemila e1cin-quecento Persiani, solo settanta dei nostri s’eran per-duti. Ed egli chiamando à nome parecchj veduti dalui medesimo operare con gran coraggio qualche no-bile impresa, li presentò di corone navali, civili e ca-

strensi: e sperando che a questo dovessero seguitaremolti altri somiglianti successi, ordinò molte vittime aMarte vendicatore. Ma di dieci bellissimi tori a cotaluopo condotti, nove caddero per sè stessi tristissimilungo la via; e il decimo che, rotti i legami, era fug-gito, ricondotto con grande stento alPaltare ed ucciso,diede segnali di sinistro augurio. Alla qual vista Giu-liano gravemente sdegnato gridò, chiamando Giove intestimonio, che non farebbe mai più verun sagrificioa Marte ; nè fu spergiuro : chè la morte lo tolse pre-stamente di mezzo.

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An.tóTE.V. VII. Consigliatosi quindi coi principali dell’ esercitointorno all’assedio di Ctesifonte, fu abbracciata l’opi-nione di coloro i quali affermavano che l’assalirla sa-rebbe impresa audace ed inopportuna; perchè la città

era dalla sua stessa posizione fatta inespugnabile, ecrede vasi che Sapore arriverebbe assai presto conesercito numeroso. Prevalse adunque la migliore sen-tenza, di cui Giuliano come accortissimo ben conob-be l’ utilità. Spedi Arinteo con una mano di fantileggieri a saccheggiare i luoghi circonvicini ricchi di

armenti e di biade, ed a perseguire nel tempo stessoanche i nemici dispersi che s’eran celati in sentieri enascondigli a loro ben noti. E il frutto di questa spe-dizione fu grande. Se non che poi, avido sempre di cosemaggiori, avendo a nulla le parole di chiunque a lui siopponeva, e rinfproverando i suoi uficiali come se perinerzia o per amore dell’ozio gli persuadessero di ab

• bandonare il regno della Persia già quasi acquistato,lasciò il fiume a sinistra , e seguitando iofauste guide 1,deliberò d’ inoltrarsi rapidamente nell* interno del paese.Ordinò ancora che posto il fuoco alle navi, quasi collafuoesta fiaccola di Bellona, fossero tutte abbruciate;fuorché dodici minori delle altre, le quali comandò che

si trasportassero sopra carri per valersene all’ uopo acostruire dei ponti. E in questo credeva di avere util-mente pensato, si per avere evitato che la flotta quivilasciata cadesse in man dei nemici, come per non es-sere più obbligato di occupare circa venti mila soldatia condur quelle navi, com’ erasi fatto sin dal prin

i G regorio Nazianzeno racconta che Giuliano fu ingannalo(la un nuovo Zopi ro che venne a lui come offeso dal re Per*siano.

126 AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMOQUARTO 129

gevast ancora ad accrescere la difficoltà la stagione del An.deirE.V.Tanno in cui per quelle regioni, accese dai vapori sol 363levati dal sole, tutto è ingombro da una gran molti-tudine di mosche e d’insetti, i quali volando oscurano

il giorno, e impediscono durante la notte il fulgore degliastri. Laonde poiché non bastava P umano ingegno aquesta deliberazione, dopo avere lungamente fluttuato neldubbio, eretti gli altari e scannate le vittime, interrogam-mo la mente dei Numi : se loro paresse bene che noi doves-simo tornare addietro attraversando PAssiria, o se invece

avanzandoci lentamente alle radici dei monti, ci convenis-se gittarci d’impr ovviso sopra Ghiliocomo presso a Cordueua e metterla a sacco. Ma guardando le viscere nonaccennavano nè alPuno nè all’ altro di questi partiti. Favinto nondimeno il consiglio, per non avere miglioresperanza, di occupare la Corduena 1: e nel sedicesimodi giugno, essendo già mosse le insegne e procedendo

Giuliane in sull’ alba, fu veduto apparire quasi un fu-mo od un turbine di polverio. Congetturarono alcuniche fossero greggie d’asini selvatici, de’ quali è innu-merevole la moltitudine per que’ paesi, e sogliono an-dare a torme per resistere col loro numero ai ferociassalti dei leoni. Altri credevano che i condottieri Sa-

raceni a venissero ad unirsi coi nostri, avendo sentitoper avventura che Giuliano assediava con grandi forzela città di Ctesifonte. Altri finalmente affermavano che1 Persiani venivano ad assalirci nel nostro viaggio. Peròin mezzo a queste dubbiezze, per evitare un qualche

1 È una ^arte dalla grande Armenia, ora compresa, secondoalcuui, nel paese dei Curdi.

a Così leggono il Valois, il Wagner e il DeMoulines seb-bene il testo abbia Sacenac duces.

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LE STORIEDI

AMMIANO MARCELLINO

LIBRO VEN TESIMOQUINTO

SOMMARIO

1. I Persiani assalgono i Romani tra via e ne sono valorommente respinti.— IL L'esercito è oppresso da mancanza divettovaglia e di pascoli : e Giuliano è atterrito dalle appari-zioni. — III. Per respingere i Persiani che incalzano da tutteparti , Giuliano si getta nella mischia senza lorica, e feritovien portato alla sua tenda. — IV. Mentre i Romani da unaparte son vincitori e dall* altra son vinti, Giuliano nella suatenda parla ai circostanti, e dopo una bibita fredda si muo-

re. — V. Virtù , vizii, e figura di lui. — VI. Gioviano , capodelle guardie del corpo, viene eletto tumultuariamente impe-ratore. — VII. E i Persiani e i Saraceni assalgono con frequentibattaglie i Romani mentre si affrettano per uscir della Persia, mane sono ributtati con grave lor danno. — VI1L Gioviano Au.gusto costretto da mancanza di viveri fa una pace necessa-ria ma vergognosissima con Sapore, consegnandogli cinqueprovince, oltre Nisibi e Singara. — IX. I Romani, passato il T i-

gri ydopo avere tollerata da forti una lunga e gravissima ine-dia, pervengono finalmente nella  M esopotamia. Gioviano or-dina alla meglio le cose dell’ Illiria e delle Gallie. — X. Bineses nobile persiano riceve da Gioviano a nome di Sapore

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i 3a AMMIANO MARCELLINOla inespugnabile città di Nisibi : i cittadini sono a forza cac-ciati e costretti di trasferirsi ad Amida. Secondo il patto si as-segnano agli Ottimati persiani cinque province colla città diSingara e con sedici castella. — XI. Gioviano , timoroso dinovità, attraversa celeremente la Siria , la Cilicia , la Capa*docia e la Galazia : assume in Ancira il consolato insieme conVarroniano suo figlio tuttora fanciullo , poi muore improvvisa-mente in Bastane.

I. E d anche questa notte, non irradiata da niunosplendore di stelle, fu passata da noi, come suole av-venire nei casi ardui e dubbiosi, senza che alcuno peltimore fosse ardito sedersi nè chiudere gli occhi al ri-poso. Tosto che il giorno poi cominciò a farsi chiaro,le raggianti loriche circondate da ferrei lembi, e le co-razze brillanti che si vedevan da lungi indicarono 1’ ar-rivo delle genti del Re. A tale aspettò i nostri soldati

mostraronsi desiderosi e solleciti di venire alle mani ;ma P Imperatore non assentì; e li tenne al di qua delpicciolo fiume che dividevaci dal nemico. V* ebbe peraltro non lungi dal nostro campo un ostinato combat-timento fra i nostri scorridori e i Persiani, dove moriMacameo capo di una delle nostre schiere. A difendercostui accorse il fratei suo Mauro che fu poi governa-tore (Dax) della Fenicia; il quale dopo avere tru-cidato il percussore di suo fratello e spaventato chiunquein lui s’abbatteva, indebolito anch’e so da una feritanell’ omero, ebbe tanta forza da sottrar dalla pugnaMacameo già pallido della morte vicina. Ma essendo poile due parti spossate già dal calore quasi insopporta-

bile delta stagione, e dai frequenti scontri, le turineostili furono all* ultimo gravemente respinte. Mentreposcia i nostri abbandonando quel sito si ritraevano

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An.delPE.V.prigioni} ma il loro capo, che solo fra tutti aveva com*363 battuto valorósamente, lo prepose ad un’ altra schiera,

il cui Tribuno era couvinto di avere vergognosamenteabbandonata la battaglia. Furon rimossi dal loro grado

per simile colpa anche quattro altri Tribuni di caval-leria : perocché l’ Imperatore considerando le difficoltàche già stavano per soprarrivare, volle contentarsi diquella moderata correzione. Essendo poi procedati set-tanta stadii, e venendo meno ogni cosa, per essere leerbe e i frumenti incendiati, ciascuno strappando alle

fiamme e biade e foraggi quanto poteva portarne, nefece conserva. Lasciato quindi anche quel luogo, essendogià tutto T esercito pervenuto ad un altro denominat o Maranga, presso allo spuntare del giorno ci apparveun’ immensa moltitudine di Persiani sotto Merene gene-rale della cavalleria, con due figliuoli del Re e parecchjOttimati. Ed erano quasi una milizia di ferro, con tutte

le persone coperte da grosse lamine per tal modo chele giunture si adattavano alle articolazioni delle mem-bra : e sul capo si avevano acconciate certe maschere diferro con tal diligenza , che le frecce respinte da que’solidi corpi, non trovavano dove fermarsi se non incerte anguste e profonde aperture corrispondenti agli

occhi, per le quali que’ soldati guardavano, o dov’ era dato spazio alle nari da respirare. Quella partedi costoro che doveva combattere colle lance stava siimmobile che li avresti creduti da catene di bronzofermati : vicino a costoro gli arcieri ( nella qual artequella nazione confida e prevale fino ab antico ) ten-devano con aperte braccia i pieghevoli archi, sicché i

nervi toccavan loro la destra poppa, e le punte dellefrecce accostavansi alla mano sinistra : quindi le freccetocche con somma perizia dalle loro dita volavano via

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LIBRO VENTESIMOQUINTO i 35fischiando e portando pericolose ferite. Dietro a costoro AndelPE V.

stavano fulgidi elefanti di terribile aspetto e con gole 363si spalancate che i nostri intimoriti appena potevanotener fermo ; e i cavalli principalmente erano spaven

tati dal barrito, dall1odore e dall9insolito aspetto diquegli animali. Coloro che vi sedevano per governar-li , ricordevoli del danno ' che ne avevan patito appoNisibi , portavan legato alla destra un coltello con ma-nico: e qualora quelle belve inferocite non ubbidisseropiù al loro governo, per impedire che volgendosi a

dietro non {schiacciassero i pedoni com' era avvenutoin quel caso , eran presti a forare con un gran colpola vertebra che disgiunge la testa dal collo : essendosifatta sperienza da Asdrubale fratello di Annibale chedi tal modo si possono prontamente uccidere quellebelve1 . L’Imperatore veduti non senza grande orrorequegli elefanti, ma nondimeno fidando moltissimo nelle

armate coorti e negli uficiali che lo circondavano, e cre-scendogli tanto più la diligenza quanto più eran grandie le forze dei nemici e il pericolo, ordioava i suoi inmanipoli colle ali sinuose a somiglianza di luna crescente.Ed affinchè le scorrerie degli arceri non iscompigliasserole ordioanze dei nostri, fece avanzare frettolosamente le

insegne per render vani i colpi delle frecce : e dato so-lennemente il segno della battaglia, i fanti romani strettìfra loro gittandosi con grande impeto sulle prime filenemiche le rovesciarono. E fervendo la mischia, il so-nar degli scudi, e il lugubre mormorio degli uomini edelle armi sibilauti venne sempre' più aumentandosi, ei campi furon coperti di saogue e di cadaveri, cadendo

in gran numero i Persiani. I quali essendo ordinaria

i V. T. Livio lib. xxvn,c. 39.

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An.delPE.V,quella sostanza, pel cui troppo attrito si accese. Di su-bito dunque e prima che spuntasse la luce del giorn o furono chiamati aruspici etruschi: e interrogati che cosasignificasse quella nuova apparizione, risposero che bi-sognava cou grande cautela guardarsi dal tentar cosaalcuna per allora, dimostrando che nei libri Tarquiziani 1 sotto il titolo  Delle cose divine s1insegna che nonconviene nè ingaggiare battaglia nè fare verun’altra cosaconsimile quando siasi veduta una face nel cielo. E di-sprezzando Giuliano questa dottrina del pari che molte

altre, gli aruspici lo pregavano che differisse almeno dialcuna ora la partenza ; ma non ottennero nè purquesto : perchè l’ Imperatore teneva a niente tutta lascienza dei vaticinii. E però quando fu surto il giorn o levò il suo campo.

III. I Persiani che per le rotte frequenti temevanole formali battaglie dei nostri fanti, come ci videromossi, postisi in agguato venivano seguitandoci aifianchi, e osservavano da eccelsi colli il nostro viag-gio; affinchè stando noi in sospetto non osassimo pertutto P intiero giorno nè erigere un vallo, nè fortifi-carci con palizzate. E mentre si guardavano i fianchi,e Pesercito procedeva in ordinanza quadrata, ma (co-

me voleva la natura del luogo) alquanto scomposta, eP Imperatore non per anco vestito delle suo armi erasispinto innanzi per esplorare, gli fu annunziato che ilretroguardo era stato assalito improvvisamente dai ne-mici. Al quale annunzio, dimentico della lorica, e datodi piglio in quel tumulto a uno scudo, affrettava*! dicorrere in soccorso delle ultime schiere, quando fu ri

i Tarquizio avea scritto intorno all* arte etrusca d’ indovi*nare ; e ne tanno menzione Plinio , Macrobio ed altri.

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LIBRO VENTESIMOQUINTO i 39

chiamato da un altro avviso, che anche gli antesignani An.deirE.V.d’ onde s’ era partito, trovavansi nello stesso pericolo. 363E mentre, non si curando punto di sè medesimo, pensadi rimediare a questi disordini, ecco una banda di co-

razzieri persiani assalire da un’altra parte le nostre cen-turie di mezzo: e gittandosi aspramente sopra l’ala si-nistra che già si piegava, nè poteva resistere alla puzzaed allo stridore degli elefanti, combattere colle aste econ gran numero di frecce. Ma volando l’ Imperatorein mezzo^ ai maggiori pericoli della battaglia, si mos*

sero anche i nostri fanti di leggiera armatura, e fe-rivano nelle gambe e nelle spalle i Persiani e gli elefantiche fuggivano dinanzi a loro. Giuliano non ricordan-dosi punto di sè e colla voce e colle mani andava mo-strando a’ suoi che i nemici fuggivano spaventati, eincoraggiavali ad inseguirli, abbandonandosi egli me-desimo ardentemente al combattere. Gridavangli da

tutte parti i cavalieri della guardia sbandati già dalterrore, che declinasse la foga di que’ fuggitivi, pericolosacome la frana di un colle che si scoscende; ma intantol’aataxl’un cavaliere, d’onde ch’ella venisse, sfiorandogliimprovvidamente la pelle del braccio, si cacciò fra lecoste e puntassi nell’ estremità inferiore del fegato. E

sforzandosi egli colla destra mano di svellerla, sentìche quel ferro a due tagli avevagli recisi i nervi deiditi : però cadde dal suo cavallo ; é coloro che gli eranopresso concorsi prontamente lo trasportaron nel cam-po , dove fu ajutato cogli ufici della medicina. Poco dipoi essendosi mitigato alcun poco il dolore, e cessandogià di temere, lottando con grande coraggio contro il

suo fine chiedeva armi e cavallo ; affinchè ricondottosialla battaglia ridejdasse la fiducia de’suoi, e si vedessech’egli già sicuro di sè, pensava sollecitamente a prò

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An ell’KV. d el fratello Costantino era stato tolto  d i mezzo con altri parecchj da quella turba che agognava all’imperiò *.Aveva pure perduta Basilina sua madre uscita di famigliad’antica nobiltà.

V. Giuliano fu senza dubbio un personaggio da au«noverarsi fra gl’ingegni eroici; illustre per la chiarezzadelle imprese e per la abituale sua maestà. Perocchéquattro sono ( come i sapienti dimostrano ) le virtù principali, Temperanza, Prudenza, Giustizia e For-tezza ; alle quali poi se ne aggiungono altre dal di

fuori, la scienza delle cose militari, l’autorità, la buonafortuna e la liberalità ; ed egli con sollecito studio le col-tivò tutte come se fossero una sola. £ primamentes plendette di tal castità, che dopo avere perduta la moglienon s’impacciò mai più di amori, ricordandosi ciò chesi legge presso Platone, cioè che Sofocle scrittore ditragedie interrogato quand’era già vecchio, se mischia

vasi ancora con femmine, rispose che no, e soggiunseeh’ egli era lieto di essersi sottratto all’ amore di sif-fatte cose come ad un padrone rabbioso e crudele. Ea sempre più confermarsi in questo proposito ripetevaspesso quel detto di Bachillide lirico, cui egli si dilet-tava di leggere, ove dice che siccome l’egregio pittore

fa il volto avvenente, così la pudicizia adorna la vita d ell’ uomo che sollevasi al di sopra del volgo. E eoatanta cautela nel fiore della sua giovinezza fuggì la mac-chia del vizio contrario a questa virtù, che gli stessiministri della sua vita domestica non l’accusarono (comeaccade sovente) né di un sospetto pure di libidine. E

i Costantino Magno avea diviso 1*imperio fra’ suoi tre fi-gliuoli Costantino, Costante e Costanzo : 1’ ultimo dei qualjfece uccidere tutti i parenti ( eccettuati i giovani Gallo e Giu-liano) per assicurarsi tutta intiera la successione.

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AnxMTE.V. tato : primamente perchè secondo te cose e le persone563 era terribile senza crudeltà : poi perchè sapeva infrenare

i vizii con danno di pochi : ed anche perchè del ferrovai evasi a minacciare più che a punire. Finalmente,

per tacere molte altre cose, consta eh’ egli contro al-cuni suoi nemici e insidiatori manifesti usò una som-ma mitezza, e coll’ ingenita sua benignità mitigò 1’ asprezza delle punizioni. Le molte battaglie e la praticadelle guerre ne mostrarono poi la fortezza e la pa-zienza con cui tollerava gli eccessi del verno e della

state. Ma gli ufici corporali soglionsi domandare al sol-dato; al capitano quelli dell9animo sono richiesti: enondimeno Giuliano venendo arditamente alle mani rup-pe spesso coll1impeto proprio superbi nemici; e talvoltaegli solo opponendo loro il suo petto li sostenne men-tre i nostri soldati cedevano : e, o rovesciasse i regnide’ furenti Germani, o camminasse fra i nembi della

polvere persiana, combatteva fra.i primi, aumentandoil coraggio de9suoi. La sua perizia oelle cose militarila manifestano molti e conosciuti fatti : espugnazioni dicittà e di castelli io mezzo a sommi pericoli : ordinanze▼ariamente composte: accampamenti piantati in luoghisalubri e con gran prud enza : presidii e stazioni ordinate

con sicuro consiglio. L’autorità sua fu grande; ma, inmezzo al rispetto che ne avevano, i suoi lo amavano for-temente siccome un compagno dei pericoli e delle fati-che, sebbene talvolta nelle più gravi fazioni ordinasse dicastigare gl1inerti ; e sebbene, finché fu Cesare, non avessedi che pagar lo stipendio all’esercito che combattevacontro feroci nazioni, come abbiamo già detto. Talvolta

parlamentando a’ soldati irrequieti minacciava di ripi-gliare il suo viver privato se non cessavano dai tumulti.Finalmente basterà il conoscere in vece di molte altre

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LIBRO VENTESIMOQUINTO \4 j  cose questa sola : che avendo egli esortata con un sem An.ddTE.T.plice discorso la milizia dei Galli avvezza ai ghiacci ed ^al Reno, la condusse a traverso d1immense regioni edeli’ ardente Àssiria sino ai confini dei Medi. La feli-

cità poi di Giuliano fu tanta che portato, per cosàdire, sulle ali proprie della Fortuna dispensatrice dei be-ni, in vittoriosi viaggi, superò immense difficoltà. E daquando si partì dai paesi occidentali, fi neh’ egli stette nelmondo, tutte quelle nazioni si riposarono senza piùsoggiacere a turbolenza di sorta, come s’egli con qual-

che suo caduceo avesse pacificato le umane cose. Dellasua liberalità sussistono parecchj testimoni e verissimi;tributi molto leggieri : perdonato il  coronario >; rimettii debiti accresciuti da molta lunghezza di tempo; ugna*gliati i diritti del fisco a que’ dei privati ; restituite allecittà le gabelle ed i fondi, tranne quelli eh9erano stativenduti con qualche diritto da chi vi aveva comandat o prima di lui. Non avido mai di arricchire, perchò sti-mava che il danaro stesse in migliore custodia pressoi suoi padroni; e però spesso diceva che Alessandr o Magno interrogato dove avesse i tesori rispose piace-volmente:  Presso gli amici. Ora avendo così ricordate,benché brevemente, le buone sue qualità che noi ab-

biamo potuto sapere, veniamo a dirne le viziose. Fud’instabile ingegno; ma pur ammendava questo difettocon un’ottima istituzione, permettendo che altri lo

i Chiamavasi coronario ( aurum coronarium ) quello che dallavinte nazioni si dava in ricompensa della vita a loro Usciata;o quello che le città soggette all'imperio romano offerivano

eonBgurato in corone o altrimenti, per significare l'allegrezzadi qualche tributo a loro rimesso o di qualche prosperità del*Y imperio di cui fosse data loro notizia. V. Cod. Thtod. leg. 4, de  tour, coron..

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Àn.detl'E V. correggesse quand’ egli deviava dal buon sentiero. Ebbeparole abbondevole, e rarissime volte taceva: fu sover-chiamente dedito alla investigazione dei presagi, sicchéin questa parte uguagliava il principe Adriano : come

osservatore piuttosto superstizioso che legittimo dellecerimonie sacre, immolava senza parsimonia di sorta in-numerevoli pecore : tanto che già si diceva che s’ eglifosse tornato dalla spedizione dei Parti gli sarebberoforse mancate le vittime} somigliando in questo a MarcoCesare contro del quale troviamo quel detto: oì \svxot   

 f ióts Màpxup tcu Ka/Vatj»/. Av ffu v t x h f  a I buoi bianchi a Marco Cesai'e. Se tu virici noi siamo Spacciati. Si compiacque degli applausi del v olgo} cercòlode intemperantemente anche dalle cose più piccole }e per desiderio di popolarità spesse v olte affettava ditrattenersi anche con persone indegne di lui. Tutta volta'póteva ben credersi , com1egli soleva dire? che quel

Pantica Giustizia cui Arato immagina risalita nel cie-lo, come offesa dai vizii degli uomini, fosse nei tempidel suo imperio calata di nuovo sopra la terra} s’egliqualche volta comportandosi troppo arbitràriamente nonsi fosse mostrato dissimile da sé stessò. Perocché stabil\ giuste leggi, le quali chiaramente comandavano o

proibivano, tranne poche eccezioni: fra le quali fu in-demente il decreto con cui vitftò ai maestri di Tettorica e di grammatica d5instruire i cristiani se non ab-bracciavano V idolatria. Fu pure assai grave quell’ al-tro, con cui permetteva che si ascrivesse qualcuno for-zatamente ai corpi municipali, comunque per essereforestiero o privilegiato, gli competesse l’ esenzione daquell1uficio. La figura poi della sua persona fu questa.Fu di statura mediocre: ebbe i capegli morbidi comese li avesse di contiuuo pettinati : irsuta la barba e

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LIBRO VENTESIMOQUINTO' i53dei Vittoriosi soccorrendo a’ proprii compagni atterra An.ddl’E.V.rono due elefanti e con quelli gran numero di nemici :ma nell’ ala sinistra perirono alcuni valorosissimi com-battenti , Giuliano e Macrobio e Massimo tribuni di

quelle legioni che allora si reputavano il nerbo di tuttoF esercito. Sepolti costoro io quel modo che le circo-stanze permisero, mentre sul cader della sera ci affrettavamo di giungere ad un castello denominato Sumere,ci venne riconosciuto il corpo di Anatolio che giacevalungo la strada ^ e di subito lo seppellimmo. Quivi poi

ci si unirono sessanta soldati con alcuni uficiali di corte,i quali abbiam detto che avevano riparato nel castelloVaccato. Nel giorno seguente ci accampammo in una val-le, secondo che ce la offerse la condizione dei luoghi, cin-ta quasi all’ intorno da un muro fuorché in una parte soladov’ era aperta , e dove noi piantammo molti pali acutinell’ estremità a guisa di spade. Ciò vedendo i nemici

dalle alture ove stavano si diedero a saettare sopra dinoi, ed a provocarci con ingiuriose parcje, chiaman-done perfidi ed uccisori d’ottimo principe : perocchéqualche fuggiasco aveva portata anche fra loro la vocecorsa presso di noi, che Giuliano fosse perito sotto unafreccia romana. AH’ ultimo alcune bande di cavalleria,

sforzando la porta .pretoria , osarono avvicinarsi fino allatenda dell’ Imperatore } nia ne rimasero uccisi molti e feriti, e furono con grande impeto ributtati. Usciti poidi quel luogo nella pròssima notte occupammo Carca,dove eravamo sicuri } perchè essendo state distrutte le vipdegli argini per impedire che i Saraceni corressero aloro posta l’ Assiria, nessuno più dava noja, comeper lo passato, alle schiere dei nostri. Colle qualiavendo nel primo di luglio camminati ben trenta stadii ?

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An.ddl’E.V. mentre ci accostavamo ad una città denominata Dura >,363 •e le bestie da soma erano affaticate per modo che i

condottieri viaggiavano a piedi, furono d’ improvvisocircondati da una moltitudine di Saraceni, e ne sareb-

bero stati uccisi , se la cavalleria leggiera dei nostri nonfosse accorsa loro in ajuto. E que' Saraceni ci erano in-festi, perchè Giuliano aveva loro tolto di ricevereque9molti doni che da gran tempo eran soliti avere} equando se ne richiamarono presso di lui n’ ebbero que.sta sola risposta : Che un Imperatore bellicoso e vigi-

lante ha ferro e non oro. In quel luogo adunque, con-trastati dai Saraceni, si consumarono quattro giorni :perocché quando noi ripigliavamo il viaggio costoro citenevano dietro e tardavanci con frequenti assalti} equando poi ci fermavamo disposti a combattere, essi apoco a poco si ritraevano, e così ci travagliavano conlunghi indugi. E già ( perchè agli uomini che temono

gli ultimi danni soglion piacere anche le illusioni) cor-rendo una voce che non eran lontani i nostri confini, P esercito senza rispetto di sorta chiedeva con grande istan-za che gli fosse data licenza di valicare il Tigri. Al chesi opponendo P Imperatore insieme cogli altri capi, mo-stravano il fiume rigonfio sotto il calore della canicola,

e scongiuravano i soldati a non volersi pericolare inque9gorghi: ammonendoli che molti di loro non eranesercitati nel nuoto, e soggiungendo eziandio che nume-rose bande nemiche erano sparse qua e là sulle rive. Mapoiché queste preghiere, ancorché replicate più volte,riuscivano a nulla, e la soldatesca ostinatamente gri-dando con gran fracasso minacciava di venire a qnal

i Si vuol distinguere dall* altra dello stesso nome che PAu-tore ha già detto trovarsi nella Mesopotamia.

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An.dcirE.V . vittoria, o con una morte che fosse degna di ricor363 danza. Però gli andavan per l’ animo molti e terribili

pensieri : potersi assai facilmente raccogliere la nostrasoldatesca allora diffusa per le province: essere i suoi

eccessivamente atterriti dalle sofferte uccisioni : aver noilasciato nella Mesopotamia un esercito non m olto mi-nore di quello che avevamo colà. Ma sopra tutto lotenevano poi in gran dubbio que' cinquecento, i qualiavendo guadato tutti uniti il fiume a malgrado dellasua gonfiezza, n’ eran o usciti sani e salvi^ e, trucidate

le stazioni de’ suoi, eccitavano i proprii compagni atentar quel passaggio. F rattanto non essendo possibile dimettere insieme i ponti perché la violenza delle acquenon li pativa, ed essendo già consumato tutto ciò chepoteva mangiarsi, si perdettero miserabilmente daegiorni: e la soldatesca sospinta dall’ inedia e dall’ irainGeriva, volendo finire di ferro piuttostochè di fame }ignobilissimo genere di morte. Stava nondimeno pernoi P eterno consiglio della celeste Divinità : e i Per-siani pei primi, fuor d’ ogni nostra aspettazione , in-viarono Surena con un altro Ottimate a trattare di pace»essendosi anch’ essi perduti d’ animo, perchè i n ostrisuperandoli quasi in ogni scontro, di giorno io giorno

li tormentavano sempre più gravemente. Proponevaoper altro condizioni dure e dubbiose, dicendo che ilclementissimo loro Monarca, ptrr sentimento di uma-nità, consentiva il ritorno agli avanzi del nostro eser-cito , qualora P Imperatore e i suoi principali consi-glieri adempiessero ciò eli’egli ordinava. A trattar concostoro furon mandati Arinteo e il Prefetto Salustio} ementre stavano ponderatamente esaminando quello checonvenisse di fare, si cbnsumarono quattro altri giornitormentosissimi a noi per la fame, e più dolorosi di

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LIBRO VENTESIMOQUINTO 161

giovarsi. Con prudente consiglio mandò inoltre a MaAn.larico, che di que9teinpi si trovava in Italia per pri-vate facende, le insegne di Maestro delle armi nelleGallie, affinchè succedesse iu quella carica a Giovino:

e se ne prometteva un doppio vantaggio ; 1’ uno chesi libererebbe da un uomo assai ragguardevole e perciòappunto sospetto a lui ; l’altro che Malarico uomo dipoche speranze, trovandosi sollevato a quell’alto grado,attenderebbe con somma diligenza a consolidare lo Statoancora mal certo all’autore della sua fortuna. Fu in-

giunto eziandio a quei messi di esaltare tutto quantoerasi fino allora operato: dovunque andavano sparges-se ro voce che la spedizione persiana si era prosperamentefi nita : viaggiando a gran fretta il giorno e la notte con-segnassero ai capi delle province e della milizia le let-tere del nuovo principe: e scrutati' segretamente glianimi di tatti ritornassero a lui al più presto, affinchè

poi conoscendo egli lo stato delle cose lontane potessepigliare consigli maturi e prudenti ad assicurarsi l’im-perio. Ma precorrendo a costoro la fama, rapidissimaannunziatrice delle triste avventure, volava per le pro-vince e per le genti : e sopra tutti percosse con acerbodolore gli abitanti di Nisibi, quando compresero die la

loro città era stata ceduta a Sapore $ del quale teme-vano 1’ ira e il risentimento, pensando ai molti dannieh’ egli aveva sofferti nel tentare più volte di espugnarla.Perocché non.si dubitava che l’Oriente sarebbe passatogià prima nella signoria de’ Persiani se questa città collasua buona posizione e colle sue grandi mura non li avesseimpediti. Laonde sebbene que’ miseri fossero oppressi

dalla paura del vicin danno, tuttavolta erano sostentatida una leggiera speranza, cioè che V Imperatore o disua voglia o placato dalle loro preghiere conserverebbe

MABCEkLIKO, Il

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An.<MrE.V. questo dire si profittava , perchè il Principe ostinata363 mente allegava la santità del giuramento;: laonde il cau-

sidico Silvano, quando egli finalmente accettò a forzala corona offertagli e ricusata più volte, con grande

audacia esclamò : Così sii coronato imperatore dalle re stanti città. 1Al qual motto sdegnandosi l’Imperatore or-dinò che tutti dolenti già della propria fortuna, nello spa-zio di tré giorni uscissero delle mura. Ed appostò alcunisoldati che li sospingessero alla partenza e minacciasserola morte a chiunque indugiasse \ sicché le mura si con-

fusero di lamenti e di lutto, e per tutte le parti della cittàera una sola voce di tutti che si lamentavano : qua la ma-trona vicina ad esser cacciata esule dai proprii lari dov’ eranata e cresciuta laceravasi i crini ; là le madri orbatedei figli, o le mogli vedovate, cacciavansi lungi daisepolcri de’loro perduti: e tutta una flebile turba ab-bracciando le imposte e le soglie delle proprie case

piangeva. Appresso furono piene le vie de’cittadini cbesi disperdevano qua e colà dove ciascuno poteva. Moltiaflrettavansi di sottrarre a’ nemici le proprie sostanze ;quelle almeno che presumevano di potere portar via,non si curando di molta altra preziosa suppellettile chesi lasciavano a dietro per manco di bestie 4^ traspor-

tarla. Tu, o Fortuna dell1imperio romano, puoi esseremeritamente in questo luogo accusata ; perché mentrechè le procelle soffiavano avverse alla repubblica,tolto il governo di mano a chi sapeva guidarla, lo con-segnasti ad un giovine non per apco maturo} il qualecome colui che prima di questi tempi non s’ era fattoconoscere in pubblici affari, non poteva essere né vi-

tuperato con giustizia, nè lodato. Questo poi feri sin

i64 AMMIANO MARCELLINO

i Cioè, ne sii coronato nell’atto di abbandonarle.

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LIBRO VENTESIMOQUINTO i65nell* intimo i buoni, che mentre Gioviano teme cheAn.<WVEA.gli si levi incontro un qualche eraolo; mentre tien1’ animo volto alle Gallie e all’ Illiria dove frequente-mente s’ era trovato chi agognasse a sublime altezza,

per avanzare colla celerità del viaggio la fama del suoarrivo, commise un’azione indegna dell’imperio sotto ilpretesto di evitar lo spergiuro, e abbandonò Nisibi, laquale fino dai tempi di Mitridate impedì con grandis-sima resistenza che 1’ Oriente non fosse occupato daiPersiani. Perocché rileggendo gli annali sin dall’ ori-

gine della città non può trovarsi a mio credere cheda un Imperatore o da nn Console sia stata ceduta alnemico veruna parte delle nostre terre; nè questo so-lo, ma anche la gloria del trionfo solevasi deferire nona coloro che avessero ricuperato ciò che prima si fosseperduto, ma a coloro che ampliavano il regno. Quindia P. Scipione che ricuperò le Spagne, a Fulvio che

soggiogò Capoa dopo lunghi combattimenti, e ad Opimio che dopo varie e pericolose battaglie costrinse adarrendersi i Fregellani, allora esiziali nemici, fu negatoil trionfo. E le antiche memorie c’ insegnano eziandio,che i trattati disonorevoli conchiusi nelle estreme ne-cessità solevansi rompere, e si rinnovava la guerra,

sebbene le parti avessero giurato P accordo colle for-inole solenni. Così accadde nei tempi antichi quandole nostre legioni nel territorio di Sannio presso le For-che Caudine furono fatte passar sotto il giogo ; o quandoAlbino vituperosamente trattò la pace nella Numidia ;o quando Mancino autore di un accordo precipitosa-mente conchiuso e con vergogna della repubblica , fucongegnato ai Numantiui. Tratti fuori adunque i citta-dini e consegnata la città, e mandato inoltre il tribu-no Costanzo per dare in mano degli Ottimati persiani

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An.dcll’E.V. le fortezze e i paesi pattuiti , fu spedito Procopio colle363 reliquie di Giuliano, a seppellirle (come aveva ordinato

egli stesso vivendo) nel suburbano di Tarso. 11 qualepartitosi a compiere quell’ uficio, quando ebbe se-

polto* quel corpo disparve j nè mai potè ritrovarsi, co-munque fosse con grande studio cercato, se non chepoi molto dopo mostrossi inopinatamente a Costanti-nopoli colla porpora indosso.

XI. Avvenute così queste cose, e continuando il no-stro viaggio, giugnemmo ad Antiochia dove per molti

giorni, come se il cielo fosse sdegnato con noi si vi-dero molti e crudeli portenti } e gl1interpreti de9pro-digi affermavano che gli effetti ne sarebbero luttuosi.Perocché e la statua di Massimiano Cesare collocata nelvestibolo della reggia perdette improvvisamente quellasfera di rame eh9essa portava a simiglianza di un glo-bo: e i travi nella camera del consiglio mandarono nn

orrendo stridore : e si videro di chiaro giorno alcune comete, sulla natura delle quali variamente discorronoi fisici. Alcuni stimano eh’ esse chiaminsi con questonome, perchè diffondono una striscia di fuoco in sem-bianza di chioma, formata da molte stelle insiemeraccolte. Altri sono di opinione che si accendano da

aride esalazioni del suolo, le quali a poco a poco sollevansi alle sublimi regioni. Alcuni tengono che i raggidel sole incontrandosi in qualche nube opaca che loroimpedisca di passar oltre a diffondersi, inducano ilproprio splendore in quel corpo, e così generino unaluce che all’ occhio dell’ uomo pare formata di stelle.Ad altri sembra invece che questo fenomeno non appaja se non quando una nube sollevatasi a maggiorealtezza del solito risplende per la vicinanza dell’eternofuoco: o che siano veramente certe stelle non diverse

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An.drTPEV. minato • e mentre nessana cosa per anco poteva dirsisicura, intempestivamente aveva chiamato al rendimentode’conti il precedente Attuario; il quale siccome con-scio delle proprie frodi e ingiustizie, si rifugiò pressol’esercito, e quivi diede voce che Giuliano fosse ancorvivo, e che un uomo di ordinaria condizione si eralevato contro di lui a tentar novità. Dai quali inganniacerrimamente concitata la soldatesca uccise Lucillianoe Seniauco : perocché Valentiniano, che poco di poifu imperatore, tutto tremante e dubbioso dove potesse

ricoverare, era stato posto in sicuro da un cotal Primiti-vo suo ospite. A queste lugubri notizie ne aggiungevanopoi una lieta; ciò era, che s’ appressavano alcuni soldatispediti da Giovino, di quelli che negli ordini militarisi chiamano Capi delle guardie 1, per annunciare chel’ esercito di Gallia accettava con animo volonterosol’ imperio di Gioviano. Saputesi queste cose fu com-messa a Valentiniano, eh’ era tornato insiem con costoro,la direzione della seconda compagnia f'scholaj degli Scutarii ; e Vitaliano fu ascritto alle guardie domestiche(costui era fra i soldati degli Eruli, e molto più tardiinsignito della dignità di Conte non diede buone provedi sé nell’ Illiria ) ; e subitamente fu mandato nelle

Gallie Arinteo con lettere per Giovino nelle quali eragli confermato il suo grado a : continuasse a portarsicolla mostrata costanza: punisse chi aveva suscitato iltumulto, e mandasse incatenati al giudizio gli autoridella sedizione. Quando poi furono così ordinate que

i Quos capita scholarura  orda castrensis appellai.

a Ut constanter ageret suum obiinens locum. Pare che il PeMoulines abbia qui male inteso il testo, giacché tradusse cheA rinteo fu mandato nelle Gallile  avec des lettres pour Jovin* 

 doni il devoti occuper et remplir avec fermeté le poste.

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An.delPE.V. trattaudo talvolta affari importanti dopo il mezzodì, e^ suol e va scherzare palesemente co9suoi cortigiani. Favorì

la legge cristiana; fu talvolta liberale, mediocrementeerudito, di buon cuore, e se dobbiam gi adica re dai

pochi ch’egli promosse sarebbe proceduto pensatamentenello eleggere i magistrati : era però mangiatore ; incli-nato al vino ed a Venete : vizii che forse avrebbe cor-retti con quel sentimento di verecondia che inspira la di-gnità imperiale. Dice vasi che Varroniano suo padre avesseper un certo sogno presaputo gran tempo innànzi tutto

quello che avvenne, e lo comunicasse a due fidatissimiamici, soggiungendo però che sarebbe fatto console eglistesso. Ma di queste predizioni l’una avverossi, l’ altranon potè conseguire. Imperocché avendo sentita la som-ma fortuna a cui era venuto suo figlio fu colpito dallamorte prima di averlo potuto vedere. Pare per esserestato in sogno predetto a quel vecchio che al nome di

Varroniano si apparecchiava la più ragguardevole ma-gistratura, perciò Varroniano suo nipote, come abbianigià riferito, fu dichiarato console insieme col padreGioviano.

: 7o AMMIANO MARCELLINO

FINE DEL LIBRO VENTESIMOQUINTO

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LE STORIE

DI

AMMIANO MARCELLINO

LI 

BRO VENTE 

SI 

MOSESTO

SOMMARIO

I. Per c omune consenso de* magistrati civili e militari viene

offerto 1*imperio a Yalentiniano tribuno della seconda scuoladegli scutarìi. Dell'anno bisestile. — IL Yalentiniano trasferitosicéleremente da Ancira a Nicea viene di nuovo unanimementeelett o Imperatore, ornat o della porpora e del diadema, e chia-mato Augusto. Suo discorso ai soldati. — III. Della Prefetturadi Aproniano in Roma. — IV. Yalentiniano si associa nell’im-perio il proprio fratello Valeitfe — V. I due imperatori dividonsi i Conti e le milizie, e poco appresso, 1' uno in Mi-

lano l’altro in Costantinopoli cominciano il loro primo conso-lato. Gli Alamanni devastano leGallie; Procopio suscita nuoveturbolenze in Oriente----YL Patria, schiatta , costumi e di-gnità di Procopio : suo ritiro sotto Gioviano, e come in C o-stantinopoli fosse ncyninato Imperatore* — VII. Procopio riducein suo potere le Trape senza spargimento di sangue, e si gua-dagna con promesse le milizie che attraversavano que* paesi,

nff meno che i Giovii e i Vittoriosi mandati da Valente con-tro di lui. — VIII. Nicea e Calcedona son liberate dall* asse-dio.: la Bitinia viene in poter di Procopio; poi, espugnalaCizico, anche 1*Ellesponto. — IX.. Procopio abbandonato da* suoi

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An.dell'E.V. nella Bitinia, nella Licia e nella Frigia, e consegnalo tivo a334 Valente è condannato nel capo. — X.  M arcello, guardia della

persona, parente di Procopio e molti altri partigiani di lui sonocondannati alla morte.

»7a AMMIANO MARCELLINO

I. U opo avere con diligente cura narrato l’ordinedelle cose sino a toccare i confini de’tempi nostri, sa-rebbe stato conveniente ritrarre il piede dai fatti oggimai troppo noti, sì per declinare i pericoli spesse

volle congiunti colla verità, c ome per non dover sog-giacere a quegl’ importuni censori , i quali soglionostrepitare come se fosse recato loro alcun danno, qua-lora si tralasci di riferire o ciò che l’imperatore dissecenando, o per qual cagione chiamaronsi i soldati alleinsegne. E dicono che non conveniva nella varia de-scrizione di un paese tacersi di alcuni piccioli castelli;

e si dolgono che non fossero espressi tutti i nomi dicoloro i quali furono invitati all’ officio del Pretoreurbano ; e molte altre consimili cose vorrebbero, di-scordando così dai precetti della storia, solita aggi-rarsi fra gli oggetti più eccelsi, non già ad indagarele umili cagioni d’ ogni più picciolo fatto : le quali chi

volesse indagare potrebbe sperar di enumerare ancheque’minutissimi corpi od atomi,come noi li chiamiamo,i quali volan pel vóto. Per tema di così fatte censurealcuni non pubblicarono, mentrechè vissero, la notiziadi varii fatti da loro eleganteménte descritti ; di chefa testimonianza anche Tullio in*una lettera a Corne-lio Nipote : ma noi dispregiando la volgare ignoranza

procederemo al restante della nostra narrazione. Riu-scita pertanto a quest’esito luttuoso l’avversità de’vo-lubili casi, e morti io breve intervallo di tempo tre

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i ;4 AMMIANO MARCELLINO

An.delPE.V. appresso poi fu severissimo Maestro degli ofHcii ), siccome Pannooi e fautori del Principe designato, atte-sero con ogni cura e con ogni sforzo a raffermare ilgiudizio di tutto P esercito, per impedire che non si ten-

tasse veruna novità contraria alla presa deliberazione,o che i soldati facilissimi a cambiar di consiglio nonsi volgessero a favorire qualcuno di quei eh’eran presen-ti. Quando poi Valentiniano fu arrivato, o per presagi,come credevasi, o per sogni, non volle per due giorninè esser veduto nè comparire in pubblico, evitando il

bisesto di febbraio, perchè sapeva che altre volte eratornato infausto a’ Romani. Di questo io darò qui unasicura notizia. Gli antichi conoscitori del moto del mondoe delle stelle, fra i quali primeggiano Menone, Euctemone, Ipparco e Archimede, lo definiscono quello spa-zio del girare di un anno, in cui il sole, dopo averepercorso secondo la perenne legge dei corpi celesti

(in trecento sessantacinque giorni con altrettante notti)quella parte del cielo in cui sono le costellazioni, dettain greco linguaggio Zodiaco, torna allo stesso puntodi prima ; rientrando , per cagione di esempio , dopocompiuto il suo corso, al sccondo grado delP ariete,da cui si fosse tolto nel cominciarlo. Ma il vero spa-

zio di un anno si compie soltanto col volgere dei giornigià detti, e colP aggiunta di sei o re , per modo chetermina a mezzo giorno : talché P anno seguente si stendefino alla sesta ora di sera : il terzo pigliando le mossedalla prima vigilia tocca fino alla mezza notte: il quartoda mezza notte fino a dì chiaro. Affinchè dunque siffattocomputo ( variando sempre il cominciare degli anni

per modo che P uno principia dopo la sesta ora delgiorno, P altro dopo la sesta di notte ) non confon-desse tutta la scienza , e qualche volta un mese autun

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naie non venisse a cadere nel verno, parve opportuno An.drlT E.V.che di quelle sei ore, le quali in quattro anni ascendonoa ventiquattro, si componesse nn giorno e una notteda aggiungersi all’ ordinaria misura. E così dopo essersi

profondamente considerata questa materia, per comuneconsenso di ^molti dotti, si fece in modo che il corsoannuale ridotto ad un termine solo e distinto, non fossepiù vago nè incerto; nè la computazione celeste si tro-vasse più offuscata da nessun errore ; ed i mesi con-servassero i tempi a loro prestabiliti. Queste cose furono

dai Romani ignorate mentrechè nou avevano ancoraampiamente distesi i loro dominii; e quindi pel volgerdi molti secoli inviluppati in oscure difficoltà, ondeg-giarono tanto più in una profonda caligine di errori,in quanto che avevano data ai sacerdoti la podestàd’ intercalare : i quali gratificando ai comodi de1pub-blicani e dei litiganti, abbreviavano od allungavano ar-

bitrariamente i tempi. Di qui nacquero molle altre ca.gioni di errori, dei quali reput o inutile fare menzio-ne. Ma Ottaviano Augusto, abolite le pratiche prece-denti , sull’ esempio dei Greci, corresse 1’ incostanza ela confusione di prima; e con profondo consiglio ri-dusse l’anno dentro lo spazio di dodici mesi e sei ore,

nel quale il sole scorrendo con movimento perpetuo »dodici alberghi delle costellazioni, termina appunto ilvolgere di un anno intiero. E così col soccorso del cielofondò in Roma, destinata a vivere finché durino i se-coli, questa ragionevol dottrina del bisesto. Ora pas-siamo alle altre cose.

II. Scorso quel giorno, male adattato (siccome sti-mano alcuni) al cominciamcnto di grandi imprese, edavvicinandosi già la sera, per consiglio del Prefetto Salustio a cui tutti prontamente assentirono, si bandì sotto

LIBRO VENTESIMOSESTO i 75

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An.deI1’E.V.pena della morte, che nella mattina seguente non timostrasse in pubblico niun nomo che fosse o insignitodi qualche notabile autorità^ o sospetto di aspirare acose più alte del suo grado. Quando poi finita la notte

giunse la luce fastidiosa a que1molti eh’eran crucciatidalla vanità delle loro speranze, essendosi insieme rac-colta tutta la soldatescà, Valentiniano si presentò nelcampo ; ed essendogli data licenza di salire sopra untribunale elevato, in una specie di comizii, con favo-revolissimo assenso di quei che gli erano intorno, come

a personaggio autorevole, fu proclamato reggitor dell’im-perio. Quindi ornato dell9abito principesco e della co-rona , e gridato Augusto con quelle ampie lodi che ladolcezza delle novità potè suscitare, si dispose a pro-ferire il discorso che aveva già meditato. Ma in quellaeh’ ei si svolgeva dagli abiti il braccio per poter re-citare più agiatamente la sua orazione, nacque un grave

mormorio ; sussurando le centurie e i manipoli e laplebe di tutte le coorti, che si dichiarasse subitamenteun altro Imperatore. E sebbene alcuni credettero checiò si facesse da pochi, a grado di coloro eh’ erano statiesclusi, si vide per altro eh1essi in questo pigliavanoerrore; perchè si conobbe che quelle non erano grida

comperate e di pochi, ma unanimi e di tutta la mol* titudine volta ad un medesimo desiderio, ed ammae-strata dal recente esempio a temere la fragilità delle su-blimi fortune. Appariva poi che lo schiamazzo dell’eser-cito strepitante accennava a più violento tumulto ;e si temeva 1’ insolenza militare che . talvolta trapassaad opere di più dannoso effetto. Di questo avendo so-

pra tutti gli altri timore Valentiniano, sollevata felice-mente la destra colla forza di un principe già pien difiducia, pigliò ardimento di rimproverare alcuni come

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UBRO VEFJTESDIOSESTO i 77

sediziosi e ostinati, e senza essere interrotto da chi che si Àn.d^PE.V.fosse, parlò in questa sentenza. « Esulto, o fortissimi ^difensori delle province, e mi reco e recherò sempre agloria, che i vostri virtuosi suffragi a me, senza eh9io

ciò nè sperassi nè domandassi, come a migliore di tutticommisero il governo del mondo romano* Voi avete utìU  mente e gloriosamente adempiuto ciò che stava in manvostra mentre non V era chi reggesse 1’ imperio ; é michiamaste al sommo* degli onori, conoscendo per provach’io sono vissuto splendidamente e virtuosamente dalla

prima adolescenza fino a questa età già inatvr^ Ed oracon placidi orecchi ascoltate, vi prego, in semplici pa-role quello eh’ io stimo dover condurre al eoranne van*faggio. Io nè dubito, nè ripugno che non convengaper molte ragioni pigliarsi in tutti i casi nn collega dipari potestà^ perchè io pure; come nomo ch’io sono»temo la moltiplicità delle cure e le varie mutazioni deicasi : ma vuoisi con tutte le forze studiar la concordia,per la quale si assolidano anche le cose più incerte. Equesta potrà di leggieri ottenersi qualora concorrendola vostra pazienza coll’equità, concediate di buon gradoa me quello che a me s’appartiene. La fortuna soccor-ritrice de’ buoni consigli mi darà, com’ io spero, un

prudente collega, se noi lo andremo con diligenza cerndocai . Perocché, giusta il dettato dei savii, non so-lamente nell* imperio dóve i pericoli sono stragrandi efrequentissimi, ma anche nelle faccende private e quo-tidiane, l’uomo prudente dee giudicare di colui ch’egli▼noi farsi amico prima di eleggerlo, n«m dopo averlogià eletto. Questo io mi riprometto, e ne spero unlieto successo. Voi frattanto fermandovi in quello che

i Cosi s’interpreta il testo qui visibilmente corrotto.MABCXLUKO, U 15*

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cani segreti dàlie leggi vietati, affinché poi senza saputa An.deirE.V.d’ alcuno potesse giovarsi di domestici ajuti, lo con ^dannò nel capo. Costui, essendo negligentemente te-nuto dal carnefice, scappatogli di mano, ricoverò in

un luogo sacro al culto cristiano ; e nondimeno strap-patone a forza, gli fu tagliata di presente la testa. Tuttavolta è da confessare che queste e simili altre coseche allora si perseguivano come degne d’ esser repres-se, di sorte che niuno o pochissimi almeno insultavanoil pubblico rigore abbandonandosi a tali delitti, negli

anni che vennero dopo furono invece tanto accresciutedall9impunità lungamente goduta ,,che persino un Sena-tore fu convinto d’avere imitato Ilarino affidando, quasidiremmo, con formale contratto un proprio servo a unmaestro di maleficii, perchè lo iniziasse in que9se-greti sacrileghi; e si riscattò dal supplicio pagando unaconsiderevole somtoa, secondochè ne disse la fama. 11

quale poi, assoluto in questa maniera, mentre avrebbedovuto vergognarsi di vivere con quella macchia, nonattese punto a purgarsene ; ma come se io mezzo a molticolpevoli fosse egli solo innocente da ogni delitto, ca-valcando un palafreno riccamente addobbato correva levie della città e strascinavasi dietro molte schiere di

servi, quasi cercando che a lui si guardasse curiosamentecome a nuovo prodigio. Così sappiamo che l’ anticoDnillio, dopo i suoi gloriosi combattimenti navali, erasiarrogato il diritto di farsi precedere da un suonatore 'di flauto che dolcemente suonasse, quando la sera tor-nava alla propria casa. Sotto questo medesimo Aproni^po poi v’ ebbe tale abbondanza che non insorse mai

nemmanco il più picciol tumulto per timore di care-stia, come accade continuamente in Roma.

IV. Ma Valentiniano dichiarato Imperatore nella Bi

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Àn.ddl’E.V. tinia, come abbiadi detto, determinò che nel dì se364 gueute si dovesse muover l’ esercito ; e convocati i

personaggi più ragguardevoli, come se fosse deliberatodi seguitarne di buona voglia il consiglio, veniyali in-

terrogando chi potesse egli pigliarsi a collega nell’ im-perio. E tacendo tutti, Dagalaifb capo allora dellamilizia equestre fidatamente rispose:  $e tu3 ottimo Im

 peratore9 ami i tuoi} hai un fratello /  se ami la Re pubblica cerca cui tu debba vestire delle insegne im periali. Dalle quali parole esacerbato PImperatore, pur

tacque occultando i proprii pensieri ; e venuto a grandigiornate in Nicomedia per le calende di Marzo, feceGrande Scudiero con dignità di tribuno il proprio fra-tello Valente. Trasferitosi poscia a Costantinopoli, dopoavere seco medesimo variamente deliberato, vedendoche la moltiplicità degli affari urgenti oramai lo vin-ceva, pensò di non indugiare più oltre, e nel dì ven-ticinque del mese già detto, avendo condotto in un sob-borgo Valente, colP unanime assenso di tutti ( perchènessuno fu ardito di contrastare ) lo dichiarò Augusto :lo vestì decorosamente delPabito imperiale: gli cinse letempia col diadema, e seco lo ricondusse in città nelsuo proprio cocchio; compagno a dir vero per legge

della sua potestà, ma pieghevole e sottomesso a guisadi un semplice Apparitore, come la nostra storia faràmanifesto. Compiute così queste cose senza che alcunole perturbasse, amendue gP Imperatori vennero subita-mente assaliti da febbri ch*e durarono lunga pezza; equando si furon rassicurati di poter vivere, essendo piùinclinati al suscitare processi che al metterli in silen-zio, commisero al dalmatino Ursazio, uomo crudele al-lora Maestro de’ cavalli, ed al Questore Iuvenzio Si-giano d’ investigare acerrimamente le sospette cagioni

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di quell» l ofrò malattia. E corse un ostinato romoré, An.<l«lPE.V.éf»e volessero di questo modo sfogare l1invidia che avevano cóntro la memoria dell’ Imperatore Giuliano éconvo gli amici di quello*, dando a credere di essere

stati offesi da clandestini prestigi. Ma questo loro con-scio facilmentè svanì, non essendosi trovata nè puretona sola pa róla che attestasse quelle insidie. Frattanto,òóme sé per tutto l’orbe romano le trombe sonas-sero a guerra, ferocissime nazioni levaronsi ad àssalirne i confìtti. Gli Alamanni saccheggiavan le Gallié

è le Rezié; i Sarmati e i Quadi le Pannonie; i Pitti, ì Sassoni, gl? Scolti e gli Atacotti travagliavano coriincessanti Vessazioni i Britanni ; gli Austoriani con àltre nazioni Mauritane correvano l’Africa più acrementedel solito*; e alcune bande di predatori Goti metteva-no a ruba le Tràcie. Il Re della Persia manometteval’ Armenia, e con grande sforzo' aflrettavasi di' rivo-garla det tùlio a sè, ma ingiustamente ; sotto preite*sto che dòpo la morte di Gioviano, con cui egli avevafatta e trattata la pace, ùulla poteva più impedirlo' dalricuperar quélle cose che prima erano state de' 4uoimaggiori, com’ egli mostrava.

V. Dopo aVere pertanto tranquillamente passato P in-

verno , i due concordissimi Principi, de’ quali •uno' erastato eletto , 1* altrò aggiùntogli iolo sotto specie dionore, percorse le Tracie, trasferironsi a NèSo : dóvein un sobborgo detto Mediana e distante tre miglia dàliaéittà essendo oggi mai vicini a dividersi 1’ uno dall* al-tro, ài partiron fra loro i Conti. A Valentihiàno, dalcui arbitrio tutto ciò dipendeva, toccarono Giovino ?promosso già prima da* Giuliano a< Maestro delle arminelle Gallie, e quel Dagalaif  o che Gioviauo aveva fattogovernatore. A seguitar poi Valente ne’ paesi orientali

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An.delPE.V.fu nominato Vittore promosso anch’egli da Gioviano;^ e gli si aggiunse Arinteo. Perocché Lupicino, fatto da

quel medesimo Imperatore Maestro de’cavalli difendevale parti d’ Oriente. Allora fa anche preposto all’ eser-

cito illirico Equizio, sebbene non fosse per anco mae-stro , ma conte; e Sereniano che aveva già preso con-gedo, fu nuovamente vestito, per esser Pan nonio, delsuo grado, e preposto alle guardie di Valente. Appressopartironsi poi le milizie. Quindi entrati amendue i fra-telli in Sirmio , si divisero anche il palazzo ; e come

si conveniva al più potente, Valentiniano si mosse allavolta di Milano, Valente a quella di Costantinopoli. E^Oriente lo governava Salustio con autorità di prefetto;Mamertin o l’Italia coll’Africa e coll’IUiria; Germanianole province di Gallia. Soggiornando adunque i Principi

An.deirG.V.pelle mentovate città, pigliarono per la prima volta gli365 abili consolari; e tutto quell’ anno travagliò con gravi

perdite la romana repubblica. Perocché gli Alamannisforzarono i limiti della Germania, movendosi più infe-stamente del solito per la seguente cagione. Agli amba$ciadori eh’essi avevan mandati alla corte, ed ai quali dovevansi dare, secondo il costume, certi determinati regali,ne furono dati invece altri di minor pregio ed abbietti:

ed essi pigliatili, in gran furore li gittarono via, cometroppo indegni di loro. Ed essendo inoltre aspramentetrattali da Ursazio, uomo iracondo e severo, quando tor-narono ai proprii paesi, esagerando il fatto, concitaronole immanissime loro genti, rappresentando loro com’ erantenute a vile e ingiuriate. E verso quel tempo, o nonmolto dopo, Procopio si era levato nell’ Oriente a ten-

tar novità : sicché queste due notizie furon recate a unsol tratto, verso il cominciar di novembre, a Valentianoquand’ egli stava per trasferirsi a Parigi. Allora egli ordi

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nò cbe'Dagaiaifo movesse s ollecitamente per farsi contro: Aa.MrR V.agli Alamanni, * qual» d opo aver devastati i luoghi piùvfeittr, éeqza soffrire aleuti datino, c’erano di lungotratto partiti. In quanto poi al reprimere la cupidira di Pr oeopio prima che si fortificasse, stava in;più fpen«ieri dubbioso $ principalmente perchè non sapeva se costui affettasse t’ imperio essendo ancor vivo*il fratello Valente, o se lo avesse spacciato, Peroc-ché Equinio informato* oscuramente e per. udita daAntonio tribuno e capo allora della milizia nella Da**

eia mediterranea, ne avéva data ataeh* egli >contattoa4F'Imperatore con generali parole,' come colui cheno» era' per anco ben chiarito del vero. Tutta*Tolta’ Valentiniano quando ebbe ciò risaputo, pròmosse lo «tesso Equiriò atta dignità di generale^ e*destinava di rjtornar nell’llliria, per impedire cke quel

ribelle divenuto già formidabile, dopo avere attràvertsate le Tracie, non invadesse anche le Panaonie nellasua ostile spedizione. Perocché gli davfc grande ternanaun recente esempio ^ ricordandosi che Giuliano , spne»giato l’imperatore Costanzo comunqué vittorioso in tuttele guerre civili, era passato oon velociti incredule im provvisamente e quando nèssuno se l’aspetta vb di città

in città. Ma l’ impeto con cui s’ era deliberato1di ri-tornare venivagli nwtigdt o da’ consigli delle persone aIni aderenti, che lo persuadevano e lo pregavano di nonlasciare le Gallie esposte ai barbari che nriéacciavan o stragi, e di non abbandonare per tal motivo quelleprovince bisognose di moki soccorsi. A c ostoro si *g>

giunsero. le ambasciate d’illustri città, pregantir di naalasciarle in quella dubbia e scabrosa condizionagli ooaesenza difesa, 'mentre egli trattenendosi c olà* potrebbesottrarle ai più grandi pericoli, spaventaédd<4el «w*

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A&.deO’E.V. nome i Germani. Dop o essere stato pertanto in forse365 considerando qual fosse più «til consiglio 4 piagatosi

alla sentenza de’ molti che lo piegavano, ripetèche volta a sè stesso, Proeopio esspr nemico suo,pro-prio e di suo fratello, ma gli Alamanni invece di tutto*Torbe r oman o: e stabili di moo uscire de* confini delle,GalUe. Essendo pertanto ventilo sino a Remi, e standogli l’Africa a cuore, non forse, improvvisamente ve*inisse occupata , : dispose che v’ andasse a difenderla.Neoterio che fu poi console e allora era segretario di.

Sta to , e con lui anche Masaucione c omandante deltaguardie, come colui che per essere stato lunga pezza:educato sotto Creasene suo padre, già conte, conosceva iluoghi meno sicuri. A costoro poi aggiunse anche Gati*denrio, uomo a lui noto e fedele. Poiché dunque in:Un medesimo tempo si accesero da. due parti funesta*,limi turbini, noi ordineremo ciascuna cosa in iuogoasè competente t e prima narreremo quella parte di coseche fa nelF Oriente ; poscia I* guerre barbariche: per-ché essendo insorte queste guerre ne9paesi occidentalied orientali negli stessi mesi, dobbiamo evitar di con-fondere la nostra narrazione e di rendere.intricato.bor-dine dei <fatti, a forza di saltare di luogo in Luogo.

VL Procopio nato da insigne schiatta nella Cìiida equivi educato, fu. illustre fino da’suoi furimi passi perquella !consideratone che da/vagli l’ esser parente diGiuliano <db*diventò poi imperat ore. E come uomo divita e di costumi assai; castigati, ma chiuso j>erò e ta-citurno <y servì lungamente e si rese chiara in qua.liAà di {Jegwtano e di Tribuno^, e già vicinissimo aisommi gradi. Dopo la morte di Costanzo, per esser pa,ré ri te dell1Imperatore, in quella mutazione di cose aspi-rava a piìt.elevata fortuna: fu aggiunto al consonil o dei

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Aji.«|<flPp V. g|o suo fidatissimo amico che di soldato della =guàrdia^ era divenuto .senatore; e andava spesse volte a Costan-

tinopoli il più celatamente che per!lui si poteva. Questasi chiarì pqr testimonio dello stesso Strategioy quandft

col tempo si fecero frequenti indagini intorn o «i com*plici di quella fazione. A somiglianza pertant o '<& undiligentissimo esploratore, e sconosciuto per lor squaU[ore e per la magrezza del volto, raccoglieva tatto*quanto diceyasi da que1molti i quali, Come suole av-venire nei tempi di oppressione, a ocusavan Valente di'

aspirare a far proprie le cose akrui» Alla ; citodeltà ;dfrquel principe si aggiungevano le moétali istigazioni di.Petroni o suo suocero, il quale promòsso ceto repentinasalto da Capo de'soldati Marteusi alla qiialitàd^ pa-trizi?, deforme d’ animo come di corpo, e dmdelmente acceso nel desiderio di. spogliar tutti senzastintone di sorta, condannava del parf i colpevoli egl’ innocenti alla multa del quàdruplo dopo averli sot*>toposti, a studiati tormenti, investigando i debiti oon<*tratti già fin dai tempi di Aureliano , e rattristandosi:gravemente qualora gli occorreva di assolvere chi chesi fosse senza recargli alcun danno. Alla intolleranzader costumi siNaggiungeva in costui anche quest9altro

male, che siccome egli arriochivasi degli altrui danni,così era inesorabile e crudele, e nel feroce suo cuoredurissimo, nè capace di render mai nè di asccpltar mairagione: più,odioso anche di quel Oleandro,, del qualeleggiamo che, essendo Prefetto sotto F Imperator Co-modo , manomise svergognatamente le sostanze di molti :più oneroso di quel Plauziano il quale, essendo anch’egliPrefetto sotto Severo, gonfio di eccessiva superbia, avreb-be confusa ogni cosa, se non fosse mort o sotto una spada

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AndeffEV .conosciuti fece sollecitare le coorti Divitense e Tènerim *eana, le quali stando già per avviarsi alla im mi rientespedizione dolevano attraversare le Tracie e fernlàrsicom9era costume due giorni a Costantinop oli. 11 trat-

tare con •tutti sarebbe stato pericoloso e difficile • eperò elesse di commettersi alla fede di pochi. E que-sti, sedotti dalla speranza di grandi premri, giuraronodi fere tutto quello eh’ egli volesse : e promisero an-che la fede dei loro commilitoni, coi potevano fa-cilmente persuadere, per essere eglino soldati d’ an-

tico servizio e stimati. Poi secondo P intelligenza,all’alba del giorno prefìsso, n’[andò egli medesimoai bagni detti Anastasiam dal nome della sorella diCostantino, dove sapeva che sperano collocate lè in-segne. Ect informato da’ consci! de5suoi. segréti, chetutti avevano cousentito a favore di lui in una not-turna adunanza , sotto fede della propriat sélvezza, fu

ricevuto *e tolto in mezzo da que’venali soldati, do?’egliera bensì tenuto còn apparehfca di onore, ni a netfetto poteva anche dirsi assediato': e , come una voltai Pretoriani dopo l1uccisione di Pertinace avevan pro-mosso Didio Giuliano che comperò all’ incanto l'imperio,così anche Costoro, studiosi dr Ogni guadagno, difesero

Procopio* su quel principio dell’ infausta sua dominazione.Apparve dunque macilente sì che l’ avresti dettò evo-cato dall1à verno, e vestito (per non essersi mai potutotrovare un paludamento) di una tunica ricamata d* oro,a guisa di un regio ministro ; nella1parte inferiore dellapersona addobbato a modo di un paggio, e con calzaripurpu rei^ nella destra avea 1’ asta; nella manca teneva

un picciolo pezzo di porpora ; di qualità che lo avre-sti creduto un fantoccio improvvisamente apparso so-pra la scena per qualche artifieio. Sollevato pertanto in

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qgmta ridicola guisa a tal vituperio di lutti gli  onori f An4éffE.V.dopo avere parlato con servile adulazione. agli autori 'della sua fortuna promettendo loro ampie ricchezze edignità come primizie del principato, usd in pubblic o 

circondato da gran moltitudine di armi; e sollevate leinsegne sforzavasi di camminare con alto volto, in mezzoall’orrendo fragore che mettevaa toccand osi con lu«gubre suono gli scudi che i soldati innalzavano sopra lecreste degli elmi per non essere tempestati dai tetticon sassi o con rottami di tegole. U popolo nè resi*

steva nè (lavori va a lui che tìmidamente avanza vasi; purs’accendeva di quella letizia eh’ è naturale alla mag-gior parte del volgo nelle novità, principalmente per*diè tutti a una voce detestavan Petronio, il quale co-me dicemmo arricchiva a forza di violenze, risuscitavagli affari già seppelliti, e contro tutte le classi ravvivavasospetti di debiti antichi. Essendo pertanto Procopie

montato sulla tribuna, e tutti come dallo stupore oc*cupati tacendogli intorno in un tristo silenzio, gli parvedi essersi posto sopra una strada che a precipizio locondurrebbe alla morte ; gli si diffuse per tutte le mem-bra un tremore che lo impediva dal favellare, e si stettelungamente silenzioso. Pur cominciatosi a dir qualche cosa

con voce interrotta e moribonda, per dimostrare P affinità sua colla stirpe reale, prima da un lieve mormo-rio di pochi guadagnati a forza di danaro, poi da ungrido tumultuoso di tutta la plebe fu proclamato con-fusamente imperatore ; ed egli a rotta se n’ andò allacuria : dove non avendo trovato nessun ragguardevolepersonaggio, ma sol pochi ignobili, confuso affrettossi

di entrare nel palazzo imperiale. Alcuni si maraviglianodie questi ride voli comincia menti sì incauti e sconsi-derati riuscissero poi a tanto miserabil rovina della re

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An.deir£<V. messi a dìtersi tifici nel palazzo, non meno che ad**** amministrar le province ; parie contro 1?animo loro,

parte «invece perchè si offerivano essi medesimi e com*peravano a prezzo gli ufici. E come suole avvenire nelle

intestine discordie, di fra la feccia del volgo emerge-vano alcuni guidati dalla disperazione e da ciechi con-sigli; mentre per lo contrario alcuni altri di spleodidanascita precipitavano da9sommi fastigi sino alP esilio ealla morte. Per che poi parendo che per queste e si-mili altre vie la fazione già fosse' fermamente compo-

sta, restava soltant o che si raccogliesse una forte ma-no di soldati ; e questa volta ciò pure agevolmente siconseguì; sebbene nelle pubbliche turbolenze quest o soglia talvolta impedire le grandi imprese comun-que siano ben, cominciate. Furono dunque sollecitatealcune bandé di cavalleria che passavano per le Tra-cie, le quali vedendosi accolte bene e liberalmente,

e congregate insieme per modo che avevano già l’ aspetto di un esercito compiuto, allettate dalla speranzadi conseguire quanto era loro largamente promesso, «giurarono con orrende forinole nelle parole di Proco-pio, promettendogli di difenderlo colle proprie armi.E ad allettar costoro fu trovata un9occasione opportu-

nissima; perchè Procopio portandosi in braccio una fi-glioletta di Costanzo la cui memoria era in onore, vaotavasi anche parente di Giuliano. Approfittò eziandiod’ un altro accidente favorevole a quella circostanza ;ciò fu che trovandosi a caso presente Faustina, madreddla fanciulla, avea ricevute alcune delle insegne im-periali. A tutto questo aggiunse un altro partito chedomandava di essere con diligente prestezza mandatoad effetto. Elesse alcuni uomini di sconsiderato ardi-mento che andassero incontanente ad occupare P Illirìa

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An.drir E.V. S&ngario. Quivi mentre le legioni appressavansi per co365 minciare a combattere, e saettando da una parte e dal

T altra invitavansi alla pugna, balzò in mezzo egli solo.E guidato da propizia fortuna, salutando piacevolmente

in latina favella un certo Valentiniano ( s’ ignora s’ etlo conoscesse ) della schiera avversaria, lo trasse a sè ;e porgendogli la destra, con grande maraviglia di tutti Ecco, disse, la candida fede degli eserciti romaniy e i giuramenti solennemente confermati dalla religione l   A voi place y o valorosi soldati > che tante armi de? con* 

 cittadini s* impugnino in prò di sconosciute persone :  che un vile uom di Pannonia vituperando e concul cando ogni cosa s*impadronisca dell 9imperio a cui non  avrebbe osato giammai nè pur di ispirare s e che noi  gemiamo delle vostre non meno che delle nostre ferite! Che non proteggete piuttosto la discendenza de9sommi vostri imperanti che muove giustissime armi, non già 

 per rapire le cose altrui9 ma per esser riposta nel pos sesso di tutta P antica sua maestà l  La placidezza diqueste parole ammansò tutti coloro i quali eran venuti4con animo di combattere acremente, per modo cheabbassate le insegne e le aquile, volonterosi s'accosta*rono £ lui. Poi con un terribile fremito, ehe i barbari

chiaman barrito, gridaronlo Imperatore; e secondo ilcostume gli si strinsero intorno, e tutti concordi loricondussero al campo, chiamando Giove ( siccomesogliono fare le soldatesche ) in testimonio, che Pro-copio sarebbe invincibile.

VIII. Alla prosperità di que’ ribelli si aggiunse ancheun’ altra fortuna, che il tribuno Rumitalca, il qual s’era

fatto compagno di Procopio ed avea presa la cura delpalazzo, dopo avere sollecitamente ordinato un consi*gito misto di persone militari, venne per mare a Dre

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LIBRO VENTESIMOSESTO 19$pano che ora si dice Elenopoli, e di quivi si mosse adAn.dèirE.V.occupare Nicea più rattamente che non si sarebbe po ^tato sperare. Però P imperatore Valente spedito ad as-sediare quella città Vidomario già condottiero e re degli

Alamanni 1con altri nomini pratici di tali imprese, con-tinuò il suo viaggio alla volta di Nicomedia. Partitosi poidi colà, attendeva con grandi forze alP espugnazione diCalcedonia ; dalle mura della quale città scagliavansi in-giurie contro di lui f fino a chiamarlo per fargli oltraggioSabajario : ed è la Sabaja nn liquore che si fa con orzo

o con frumento, e nelPIIliria serve ai poveri di bevanda.Abbattuto dalla mancanza delle vettovaglie e dalla troppaostinazione dei difensori apparecchia vasi già di partire >quando colorò eh9erano chiusi in Nicea d’ improvvison’ uscirono, e atterrata gran parte delle fortificazioni,sotto la scorta delP audacissimo Rumitalca avanzavansicon grande ardore per circondare da tergo Valente che

non s’era per anco mosso dai dintorni di Calcedonia • ed avrebbero senza dubbio effettuato il loro disegno,se alP Imperatore non fosse pervenuto innanzi trattonon so qualromore dell’ imminente pericolo; sicché le-vando subito il campo, ed avviandosi lungo il lagoSunoife e il corso sinuoso del fiume Gallo, non si fosse

sottratto al nemico che lo inseguiva. Di qui intantoanche la Bitinia venne in podestà di Procopio. Valentepoi essendosi a grandi giornate ricondotto in Ancira,e quivi avendo saputo che Lupieino ritornava dall’Oriente con ragguardevole esercito, rianimato da buonasperanza', mandò incontro ai nemici Arinteo abilissimocapitano. Il quale venuto a Dadastana , dove dicemmo

che mori Gioviano, si vide a fronte Ipercchio, già

1 V.  Lib. xxi, c. 3, e xxix, c. 1.

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An.drlPÈ.V*semplice oficiale nella milizia, a coi allora Procopio,365 come ad amico, aveva commessa la capitananza degli

ausiliari. E sdegnando di superare coll9armi quell9uo-mo spregevole, fidandosi nell’ autorità e nel proprio

aspetto, ordinò a’ nemici stessi che legassero il lorocondottiero; e così quel simulacro di capitano fu presoper le mani stesse de’ suoi. Mentre che queste cose avve-nivano, un certo Venusto addetto all’uficio delle largi-zioni sotto Valente, e mandato, già era buon tempo,in Nicomedia per distribuire separatamente a ciascun

soldato che si trovasse in Oriente, sotto nome di sti-pendio, il danaro che potrebbe raccogliere, com’ebbeintese queste triste notizie, prevedendo tempi contra-rii , si trasferì di subito a Cizico con quello che avevaammassato. Quivi trovò per avventura Sereniano alloraconte delle guardie ; il quale mandato colà per custo-dire i tesori presidiava con una guarnigione tumultuaria-

mente raccolta quella città fornita d’insuperabili ma*ra e celebrata anche per antichi monumenti; ed allacui espugnazione Procopio destinò buona mano disoldati affinché possedendo egli già la Bitinia potessecongiungerle l’Ellesponto. Ma da una parte gli assedianti colpiti da frecce, da palle di piombo te da

ogni maniera di saettamento venivano ritardati; dalP altra la diligenza degli assediati aveva chiusa la boc-ca del porto con una catena di ferro sì fermamenteassicurata alle due sponde, che non potevano smo-verla nè anche le navi rostrate. Pure dopo varie fati-che dei soldati e dei capitani affievoliti dalle acerrimepugne, un certo Tribuno Aliso, guerriero coraggioso

ed accorto, la ruppe di questo modo. Congiunte insiemetre navi, formò sovr’ esse una testuggine disponendo isoldati sì che i primi, armati di tutto punto, uniti gli

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scudi «opta le teste, trovavansi ritti sui banchi , i ÀmdelPE.V,secondi stavano alquanto incurvati, i terzi aticor più , ^e gli ultimi poi, essendo ginocchioni, rendevano im-magine di un edificio in volta. Questa specie di mac*

china suol conformarsi cosi quando si debbano assa*lir mura*, affinché le frecce ed i sassi battendo sullosdrucciolevol pendio, ne scorrano a guisa di pioggiasenza recare alcun danno. Aliso pertanto essendo cosiper qualche tempo difeso contro la tempesta dei dardi,collocò di sotto alla catena un9incudine, e datosi a bat*

terla colla gran forza di cui era dotato, la ruppe sifattamente che aperse un9ampia entrata } e così lacittà rimase senza difesa, esposta alt1impeto ostile. Perla quale cagione allorché poi, morto Pautore di tantaprotervia, si procedette contro i complici  d i quellacongiura ; questo medesimo tribuno in contempla*zione della illustre sua impresa conservò la vita ed

il grado, nè mori se non molto più tardi nelPIsauriatrucidato da uua banda di devastatori. Frattanto èssendoCizico aperta pel valor di costui, Procopio mosse ce*leremente alla volta di quella città }e conceduto il per*dono a tutti coloro che avevano resistito, ordinò cheil solo Sereniano carico di catene fosse condotto a Ni-

cea e quivi strettissimamente guardato. Subito poi com-mise la podestà di proconsole ad Ormisda, giovine giàmaturo, e figliuolo di quell’ Ormisda che discendeva daschiatta reale, perchè secondo Pantica usanza reggessee le cose civili e la guerra. Costui di sua natura be-nigno fu per essere preso dai soldati che Valente avevaa tal fine spediti per insolite vie della Frigia ; ma ne

campò con tanto valore che, montato sopra una navecui egli teneva sempre allestita in acconcio d’ ogni si-nistro, potè condor seco sotto una nube di frecce anche

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Àn.deirE.V. la moglie che lo seguitava e sarebbe caduta in mano365 dei nemici s’egli non la difendeva: matrona doviziosa

e. nobile, la quale colla sua verecondia sottrasse posciain progresso di tempo il marito da gravi pericoli. Proco-

pio intanto innalza vasi per la sua vittoria al di sopradegli uomini ; ignorando che il più beato, se la ruotadella fortuna volge in contrario, può essere miserissi-mo prima che annotti. Ordinò quindi che la casa diArbezione ( la quale aveva prima risparmiata non al-trimenti che la sua propria, siccome d1un uomo che

professava opinioni conformi alle sue ) piena com* eradi suppellettili preziose fosse distrutta; sdegnatosi per*chè, avendolo chiamato a sé alcune volte, aveva sem-pre indugiato scusandosi cogli acciacchi della vecchiezzae colle malattie. Sebbene poi quel presuntuoso stessein timore di qualche grave sommossa, nondimeno po-tendo entrare nelle province orientali sertza che al-

cuno gli si opponesse, anzi con favorevole consenti-mento di tutti ( perchè stanchi del duro imperio sottocui erano desideravano di pur vedere qualche novità ),si trattenne ivi assai lentamente per tirare a sè al-cune città delP Asia, e per trovare uomini esperti a fardanari, sperando di potersene vantaggiare nelle batta-

glie grandi e frequenti che prevedeva : e così fu comeun coltello spuntato. Di questa maniera anche Pcscennio Negro spesse volte chiamato dal pòpolo romanoperchè soccorresse alla Repubblica oramai disperata, aforza di indugiar nella Siria, fa superato da Severo nelseno Assico (in quel luogo della Cilicia dove Alessan-dro sconfisse Dario ) ; e posto in fuga morì in un sob-

borgo d’ Antiochia per mano di un semplice soldato.An.dolTE.V IX* Queste cose facevansi verso il finir dell9 inver

366 d o , sotto i consoli Valentiniano e Valente. Essendo

I9S AMMIANO MARCELLINO

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poi trasferita quella illustre magistratura in Graziano An.dHr E.V.tuttora privato e in Dagalaifo, all9aprirsi della prima 366vera, Valente raccolse le sue forze, e congiuntosi conlaipicino che aveva con sé forti sussidii, portò pre-

stamente le insegne a Pessinunte città della Frigia unavolta, ed ora della Galazia. Ed avendola in breve for-tificata sicché niun sinistro improvviso potesse accadereivi intorno, voleva partirsi; e radendo le radici delmonte Olimpo e battendo strade difficili assalir nellaFrigia il dubitoso re Gomoario. Ma gli si opposero

molti con grande ostinazione, ponendogli sopra tuttoin considerazione che il nemico suo (come abbiamo giàdetto) avea sempre seco la picciola figli uoletta di Co-stanzo e la madre Faustina, e le faceva portar seco inlettica ogni qual volta si stava per cominciare battaglia,e accendeva con quelle gli animi dei soldati, invitan-doli a combattere più coraggiosamente per quel germe

dell9imperiale famiglia a cui diceva di appartenereegli stesso. Così una volta i Macedoni dovendo com-battere con quei d9llliria collocarono dietro alle loroordinanze il proprio re tuttora bambino ; e per ancoredi lui, affinchè non avvenisse eh’ei fosse condotto viaprigioniero, percossero più fortemente i nemici. In

quell9incerto stato di. cose l’Imperatore per premunirsicontro queste arti della malignità pregò accortamenteArbezione, uom consolare che da gran tempo vivevanell9ozio, di venire presso di lui; pensando che il ri-spetto di un condottiero di Costantino ammansirebbequegli animi esasperati : nè altrimenti successe. Impe-rocché quell9uomo che tutti gli altri avanzava negli

anni e nella dignità, mostrando ai molti che già pen-devano al tradimento la propria canizie, chiamandoProcopio con nome di pubblico ladrone, ma i soldati

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An.delPE.V.che s’ erano a quello accostati, figliuoli invece e com^ pagni delle sue vecchie fatiche, prega vali a seguitar lui

non altrimenti che un padre già conosciuto p^r feli-cissime spedizioni, piuttosto che abbandonarsi ad §n

vagabóndo già sconfitto e vicino a rovinare del tutto.Gomoario quando ebbe notizia di queste cose, potendoeludere i nemici e ritornare senza verun suo danno alluogo donde s’era partito, colta l’opportunità del breveintervallo che lo disgiungeva dal campo dell’ Impe-ratore, volle passarvi sotto apparenza di prigioniero,

come se una moltitudine lo avesse circondato in nnsubito e preso. Di che rallegrandosi molto Valente mosseil campo alla volta di Frigia, e venne alle mani pressoNacolia^ dove mentre 1’ esito era tuttora dubbioso, AgiIone capo degli avversarli li abbandonò repentinamentecorrendo appo noi : e molti altri tenendogli dietro e bat*tendo le frecce e le spade passarono all’imperatore colle

insegne e cogli scudi rovesci, manifestissimo indizio didedizione. A quell’ inopinato spettacolo Procopio di-sperando oramai di salvarsi si mise a fuggire, cercandoi recessi dei boschi e dei monti all’ intorno : e lo seguivan Floreuzio ed il tribuno Barcalba, conosciuto giànelle atrocissime guerre dei tempi di Costantino, e

strascinato dalla necessità, non dal volere, al delitto.Consumata poi la maggior parte della notte, poiché laluna risplendendo dal principiar della sera fino a dichiaro gli accresceva il timore, vedendo di non aver

. via al fuggire, e senza consigli, ed immerso in variipensieri Procopio accusava ( come suol farsi nei casidifficili ) la sua grave e luttuosa fortuna } quando dai

suoi compagni medesimi fu incatenato e condotto neldì seguente al campo dell’ Imperatore a cui presentossi silenzioso e cogli occhi al suolo dimessi. Gli ven

200 AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMOSESTO aoi

ne subitamente troncalo il capo, e seppellì seco le An.deirE.V.turbolenze delle civili discordie e le guerre, come ac 366cadde altra volta dell9antico Perpenna ; il quale dopoche Sartorio era stato ucciso al banchetto, s'impadronì

per qualche tempo del supremo comando, ma trattofuori dei boschi dove s' era nascosto e presentato aPompeo, per comando di lui fu ucciso. In quell'impetopoi di sdegno, e senza punto di buona riflessione, furonotrucidati anche Florenzio e Barcalba che avevano con-segnato Procopio. Perocché se avessero tradito un prin-

cipe legittimo anche la stessa Giustizia direbbe che fu-rono nccisi a buon dritto ; ma se Procopio era, comesi diceva, un ribelle e perturbatore dell1interna quie-

t e , dovevasi invece dare a costoro ampia mercede delmemorabile fatto. Del resto Procopio uscì di vita d'anniquaranta e dieci mesi: fu di persona non affatto privadi dignità ; di mediocre statura ; alquanto incurvato, e

camminava guardando sempre il terreno ; e nella cu-pezza de' suoi mali costumi somigliava a quel Grasso,del quale Lucilio e Tullio affermano che ,rise una sciavolta in tutta la sua vita. Quello poi eh' è mirabile,non fu sanguinano.

X. Verso que' medesimi giorni Marcello oficiale delle

guardie che presidiava Nicea, quando seppe il tradi-mento delle milizie e la morte di Procopio suo paren-te, di notte tempo assalì ed uccise Sereniano nel pa-lazzo in cui stava guardato : e quella morte fu salvezza dimolti. Perocché se quell' uomo di rozzi costumi e tuttoacceso nel desiderio di nuocer e fosse sopravvissuto allavittoria *, entrando in grazia a Valente per la somi-

glianza dei costumi e la comunanza del paese nativo,

i Cioè alla r ovina di Procopi o.

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An.<MTE.V. interpretando gli occulti voleri del Principe già per sè366 stesso troppo inclinato alla crudeltà, avrebbe fatta molta

strage di persone innocenti. Frattanto, ucciso Sereniano, Marcello portossi celeremente ad occupar Calcedo-

nia, favoreggiandolo alcuni pochi cui la viltà e la di-sperazione strascinavano al delitto ^ e quivi usurpònn’ ombra di signoria, ingannato da doppia cagione :V una che sperava di potere con piccola mercede re-care al proprio servigio tremila Goti cui alcuni re gua-dagnati avevano già spediti a Procopio che si vantava

parente di Costanzo ; P altra eh’ eran tuttora ignoratele cose avvenute in Illiria. In mezzo per tanto a queifatti così dubbiosi essendo Equizio avvertito da esplo-ratori degni di fede che l’impeto della guerra conver-g a s i tutto contro P Asia, mosse per lo stretto di Succia Filippopoli che agli antichi fu Eumolpiada tenuta dapresidii nemici, e sforzavasi a suo potere di aprirsene

la via} città a lui opportuna, e tale che, lasciata allespalle senza impadronirsene, avrebbe potuto impedirglidi arrivare ad Emimonto qualora gli fosse occorso disoccorrere a Valente: perchè non sapeva per anco lecose avvenute a Nacolia. Ma conosciuta poco dipoi lavana presunzione di Marcello spedì alcuni soldati co-

raggiosi e pronti, i quali trattolo seco a guisa di unservo colpevole, lo gittarono in prigione. Ne fu poitratto fuori alcuni giorni appresso ; e dopo avere avutala persona aspramente solcata di battiture ( al che fu-rono sottoposti anche i suoi compagni ) morì. In que-sto solo fu lodevole, che tolse di mezzo Sereniano cru-dele al pari di Falaride, il quale aveva spesse volte

abusato delle magiche arti a lui conosciute, per muo-vere a crudeli consigli i principi Gallo e Valente, appo

ao* AMMIANO MARCELLINO

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i qaali poteva assai 1. Essendo cosi colla morte del capo An.delPE.Y.estirpate le stragi della guerra, si procedette contro 366molti più crudelmente di quello che fosse richiesto dailoro errori e delitti: €  principalmente contro ai difen-

sori di Filippopoli, i quali non vollero consegnare nèla città nè sè stessi, se non se dopo avere veduta latesta di Procopio che si portava nelle Gallie. Tuttavoltaper amore di alcuni che s'interposero parecchj altri fu-rono più mitemente puniti ; fra i quali era principa-lissimo Arassio che in mezzo a quel trambusto ed a

quell'incendio di cose aveva ottenuta a forza di lusin-ghe la Prefettura. Costui per le preghiere di Agilonesuo genero fu relegato in un' isola, d' onde fra brevefuggì Eufrasio poi e Fronemio, mandati nei paesi oc-cidentali, furono posti nell' arbitrio di Valentiniano :Eufrasio fu assoluto, Fronemio deportato nel Cbersoneso: e fu in uno stesso delitto punito più rigorosa-

mente, pe.rchè era stato favorito da Giuliano, alle cuimemorande virtù tutti e due que' fratelli imperanti, chenon gli somigliavano punto, sforzavansi di detrarre. Aquesti mali se ne aggiungevano altri più gravi, e moltopiù spaventevoli che le guerre. Imperciocché il car-nefice, gli uncini, le sanguinolenti torture senza veruna

differenza di età o di gradi mettevano sottosopra lefortune tutte e le classi de' cittadini, e sotto appareuzadi pace si agitava una detestabile inquisizione, e tuttimaledicevano quella vittoria infausta e più grave di ognimortifera guerra. Perocché fra le armi e le trombe1' essere tutti a una stessa condizione fa più leggieri i

i II testo, notato nelle edizioni come corrotto, legge : itti et illi fidum ad doctrinarum diriiatem >quam causis inanibus prae-  texebaL Io ho seguitato principalmente il Wagner, il quale citaa sostegno della sua interpretazione il Lib. xiv, c. 7.

LIBRO VENTESIMOSESTO ao*

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 An.dcirE.V. pericoli} e quivi o il valore marziale raggiunge quelli)366 a che aspira, od una subita morte ci coglie senza punto

d’ignominia, e finisce a un tempo la vita e il dolore:ma quando ad empj consigli si fa velo dei diritti e delle

leggi, e i giudici hanno bensì l’ apparenza della seve-rità di Catone e di Cassio, ma tutto poi si & a gradodi una superba potenza, ed a capriccio di questa sidecreta la vita o la morte de’processati, allora il dannoè capitale e improvviso. Quindi allora chiunque eraacceso dall’avidità di rapire l’altrui, portandosi alla reg-

gia e accusando qualcuno, comunque manifestamente in*nocente, e per qualsivoglia cagione, accoglievasi comepersona familiare e fidata e degna d’ arricchire coll’altrui rovina. Imperciocché l’imperatore inclinato alnuocere, aperto sempre agli accusatori, ed amante dellemortali delazioni soleva sfrenatamente esultare nella va-rietà dei supplizii ; ignorando il detto di Tullio che in-

segna, Essere infelici coloro i quali si sono persuasi cheloro sia lecita ogni cosa. Questa implacabilità di unacausa per vero giustissima, ma di troppo turpe vittoria 1,espose molti innocenti ai tormentatori, o fece loro cur-var la testa sotto l’eculeo, o li prostrò sotto i colpi di uncrudele carnefice: ai quali sarebbe convenuto versare, se

ciò fosse possibile, dieci anime in guerra, piuttostochè,senza veruna colpa, avere in quella comune sventurale membra afflitte, esser puniti quasi fossero rei di lesamaestà, ed aver prima dilaniati i corpi *, cosa peggioredi ogni morte. Quando poi la ferocia dell’ Imperatorevinta dalle stragi si fu alquanto svampata, molti prin

i Causae quidem piissimae * sed victoriae foedioris. Il Wagnere il DeMoulines interpretano : Questa implacabilità che quanàI* an che possa giustificarsi, brutterebbe peraltro anche la più bella vittoria.

ao4 AMMIANO MARCÉLtlNÒ

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LIBRO VENTESIMOSESTO 205 .

cipali personaggi furooo condannati con proscrizioni, An.delTE.V.esilii ad altre consìmili punizioni che ad alcuni pajono 366cose leggiere sebbene siano dolorose. Per arricchire quiàlcnno, cacciavasi a furia da’ proprii possedimenti e si

spingeva in esilio un cittadino* di nobile schiatta e forsepiù fornito di meriti, sicché o consuma vasi di tristezza ' o viveva all’altrui mercede: nè fu mai posto alcun modoa que’ rovinosi mali, finché le ricchezze e le stragi nonebbero saziato il Principe e i suoi cortigiani. 'Mentrepòi era ancor vivo il ribelle (Procopio) del quale ab-

biamo narrati i fatti e la morte, essendo console Va-lentiniano per la prima volta insieme col fratello, nelgiorno ventuno di luglio si sparsero d’ improvviso pertutto 1*orbe orrendi te rrori, quali non ci sono de-scritti nè dalle favole nè dalle veridiche antichità. Im-perciocché poco dopo il sorgere del sole, essendo pre-ceduto gran numero di fulmini fortemente scagliati fu

scossa e ne tremò tutta la mole terrena; e il mare re-spinto a dietro si divise per modo che discoperse ilprofondo suo letto , e si videro moltiformi specie dipesci nel fango: e grandi spazii di valli e di monti,confinati dalla natura sotto immensi flutti, allora, comepuò credersi, per la prima volta videro i raggi del

sole. Molte navi rimasero come confitte nell1arido ter-reno ; e molti aggirandosi sicuramente qua e là peiresti delle acque pigliavano colle mani i pesci e qtiant’ altro vi aveva. D’altra parte i flutti marini, fremendocome sdegnati della violenza sofferta, sollevaronsi allaloro volta, e cacciandosi ampiamente e con furore fra leisole e fra terra, rovesciarono innumerevoli edifizii nelle

città od altrove, dovunque n’ ebber trovati : oltrechépoi, come se gli elementi inferocissero per discordia,tu tta la faccia del mondo sossopra era piena di prò

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?o6 AMMIANO MARCELLINO LIB. XXVI

Àn.delPE.V. digi. Perocché la piena del mare ritraendosi allorchémeno aspettava», accise e strascinò seco molte migliajad’ domini : e cessata l’ inondazione, quando si appianòla gonfiezza del fango portata fuori, si videro molte

savi sommerse, e molti cadaveri di persone naufragatetrovaronsi qua e là variamente gittati. Alcune altre navidi gran mole rapite dal furioso soffiare dei venti anda-rono a fermarsi sulla sommità dei tetti ; come avvennein Alessandria : ed altre furono aggirate per ben duemigljf lontano dal lido ; di che noi medesimi passando

presso la città di Motone 1 vedemmo una nave spar-tana, oramai dalla carie disfatta.

x Nel Peloponneso.

FINE DEL LIBRO VEHTESDKOSSSTO

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LE STORIEDI

AMMIANO MARCELLINO

LIBRO  VENTESIMOSETTIMO

SOMMARIO

L Gli Alamanni, vinti in battaglia i Romani, uccidono Carieltone e Severiano.— I L Giovino Maestro della cavalleria nelle

Gallie coglie all’ impensata due parti dell’esercito alamanno ene fa strage: la terza parte la batte presso i Catalauni, ucci-dendone seimila e lasciandone quattromila feriti.— 111. Di trePrefetti della città, Simmaco, Lampadio e Juvei)zio. Gara di

 Dana aso e di Urtino pel vescovado di Roma. — IV. Si de-scrivono i popoli e le sei province delle Tracie, e le illustriloro città. — V. Valente Augusto move guerra ai Goti che

avevano mandatisoccorsi a Procopio contro di lui; e dopoire anni conchiude con loro la pace. — VI. Valentiniano colconsenso dell* esercito dichiara Aogusto il proprio figliuoloGraziano; a vestitolo, sebbene ancora fanciullo, di porporalo esorta a comportarsi valorosamente, e lo raccomanda ai sol-dati. — VII. Iracondia, fierezza e crudeltà di ValentinianoAugusto. — Vili. I Pitti, gli Attacotti e gli Scotti dopo avereucciso il loro capo devastano impunemente la Britannia : il

conte Teodosio li vince e ritoglie loro ogni preda. — IX. Al-cune genti dei Mauri corrono 1*Africa. Valente raffrena i la-dronecci degli Isauri. Prefettura urbana di Pretestato,—X. Va

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io8 AMMIANO MARCELLINOlentiniano passa il Reno, e vince e scaccia con una battagliasanguinosa d* ambe le parti gli Alamanni eh* eransi  riparatiad alcuni altissimi monti. — XI. Nobiltà , ricchezze, dignità'e costumi di Probo. — XIL I Romani e i Persiani combat*tono fra di loro per 1*Armenia e lf Iberia.

Ao.dell’E.V. I. IMentre diversi casi venivan compiendo nell’ Orientequello che abbiamo narrato, gli Alamanni che dopo 1gravi danni e le ferite sostenute combattendo con Giu-liano ancor Cesare, avevano ripigliate le forze comun-

que disuguali alle prime, cominciavano per la cagionegià detta * a scorrere temuti i confini di Gallia. E su-bito dopo le calende di gennajo mentre per que’paesiagghiacciati infieriva la rigida costellazione invernale,una moltitudine uscita in diversi drappelli andava li-cenziosamente vagando qua e là. Alla prima parte dicostoro si fece incontro Cariettone 3 allora Contè dell’ una e dell’ altra Germania con ùn esercito volonte-rosissimo di combattere, pigliando seco all’ impresa Severiano, Conte anch’ esso, ma infermo e già vecchio,stanziato presso Cabilona 3 colle legioni Divitense eTungritana. Raccolto quindi in uno l’ esercito, e pas-sato un picciolo fiume sovra un ponte frettolosamente

costrutto, e veduti i barbari anc ora discosti,! Romanicominciarono ad assalirli con frecce e con altro leggierosaettamento; a cui quelli saettando anch’essi fortementerisposero. Ma quando poi le soldatesche venute da pressocominciarono a combattere colle spade, 1’ ordinanzade’nostri sgominata dall’impeto dei nemici, non trovò

i Lib. xxvi, c. 5.a Lib. xvii , c. io.3 Chalons.

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LIBRO VENTESIMOSETTIMO ao9

più modo nè di resistere nè di operare valorosamente ; An.deir E.V,ma tutti furono dallo spavento cacciati a fuggire, ve-dendo Severiano che mal si reggeva a cavallo per es-sere stato ferito gravemente di freccia. Ed anche Ca

riettone, mentre e colla persona e colla voce minacciosaarditamente si oppone a’suoi che già fuggono, e con-fidasi col resistere di lavarsi da quella vituperevole mac-chia , cadde trafitto da mortifera freccia. Dopo la c ostuimorte fu rapito il vessillo degli Eruli e dei Baiavi, chei barbari tripudiando e insultando sollevavano spesso

a farne mostra, e solo dopo grandi combattimenti potèripigliarsi.II. Quando s’ ebbe notizia di questa dolorosa noci*

sione fa spedito da Parigi Dagalàifo che riparasse aquei danni. Ma avendo costui lungamente indugiatosotto pretesto che non poteva assaltare i barbari sparsiin diversi luoghi, ed essendo anche poco di poi ricbia

mato per assumere le insegne del consolato insiéiqe A.n.deirE.V.con Graziano tuttora uomo privato, fu eletto Giovino Maestro de' cavalli ; il quale provveduto di tuttociò ch’era d’uopo, e cautissimamente guardando amboi lati del proprio esercito venne ad un luogo nominatoScarponna 1: do v’egli piombando inaspettato sopra una

gran plebe di barbari prima che potesse armarsi, inpoco d’ ora tutti fino all’ ultimo li uccise. Guidandoposcia quell’ esimio generale ai danni di un’altra bandanemica i soldati esultanti per quella vittoria che loronon era costata perdita alcuna, seppe da un esplora-tore fidato, che una *mano di predatori nemici, avendosaccheggiato il paese all’ intorno, riposavasi presso ilfiume ; al quale accostatosi egli e nascostosi in ima

i Charpeigne.

MAllCSLUNO, li

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Au.rlrU’E.V. valle <5scurata dalla densità delle piante vedeva gli imi367 lavarsi, gli altri secondo il costume loro ungersi le

chiome, e alcuni attendere al bere. E colta quell9orasommamente opportuna, fece suonare le troròbe e dar

dentro in quel campo di ladroni ; sicché i Germani  j incalzati istantemente dal vincitore, non poterono nèraccogliere le armi disperse, nè comporsi in ordinanza)oè risorgere in forza, comunque vanitosamente alzas-sero inefficaci minacce, e fremessero. Quindi in grannumero caddero trafitti dalle aste e dalle spade; tranne

coloro che datisi tosto a fuggire furono celati dai sen-tieri flessuosi ed angusti. Per questo favorevol successoa cui jl valóre e la fortuna eran concorsi s’ accrebbe lafiducia del generale Giovino; il quale avendo mandataincanti una diligente compagnia di esploratori, indirizzò,subita diente il campo contro la terza banda di nemiciche rimaneva tuttora : ed affrettato il viaggio, trovolla

apparecchiatissima al combattere presso Catelauni ».Accampatosi quivi in luogo opportuno e ricreati i suoidi cibo e di sonno per quanto lo comportava la con-dizione del tempo, al primo nascere dell'aurora com-pose nell’aperta pianura un'ordinanza a bello studio alAmpia, che i Romani paressero uguagliare la moltitu-

dine dei nemici >, ai quali erano inferiori di numero co-munque poi di forze fossero pari. Dato pertanto colletrombe il segnale, quando gli eserciti si accostarono pervenire alle prove, i Germani a tte rrit i. dallo splendoredei nostri vessilli ristettero : ma riavutisi bentosto daquel breve stupore si produsse il combattimento finoall’estremo del giorno; e i nostri gagliardamente in-

calzando il nemico avrebbero colta una piena vittoria

aio AMMIANO MARCELLINO

i Ckalons sur Marne.

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JLIBRO VENTÉSIMOSETTIMO 211

senza vermi loro danno, se Balcobaude Tribuno (felleÀn.<U*irE.Varmi, millantatore codardo, in sul far della sera non si 367fosse disordinatamente ritratto. Se le altre coorti, segui-tando costui, si fossero anch9esse partite, la cosa eravenuta a tale da non rimanere nè pur uno dei nostriche portasse la notizia del fatto. Ma resistendo i  soU  dati con grande coraggio, tanto menaron le maùi,che ferirono quattromila nemici e seimila ne uccisero, enoi non perdemmo dei nostri più che mille e dugento*e dugento soli ne furon feriti. Terminata pertanto la

pngtla dal soprarrivar della notte, e rinfrescate le forze,quelP egregio capitano alP appressarsi del giorno trassefuori P esercito in bella ordinanza quadrata , sebbeneavesse saputo che i nemici col fayor delle tenebres’ erano di colà dileguati ; e sicuro così dalle insidieviaggiava per luoghi aperti e comodi, calcando tra viai corpi de9nemici semivivi e intirizziti, cui un eccessivodolore avea vinti, stringendo loro col rigor del freddole ferite che avevano tocche. Dopo essersi alquanto avan-zato senza trovare il nemico ritornò al luogo di prima,dove seppe che il Re di alcune schiere nemiche presocon pochi compagni dagli Ascarii (mandati da lui perun9altra via ad assaltare le tende degli Alamanni ) era

stato da loro impiccato. Sdegnato di questo fatto or*dinò fosse processato il tribuno Giovino che tant o si eraarrogato senza consultare la superiore autorità ; e loavrebbe punito, se non avesse provato con docu-menti non dubbj che quelP atroce delitto s7era com-messo per impeto militare. Ritornando poi Giovino dopo

queste cose a Parigi, gli venne incontro P Imperatorelietissimo di quelle chiare imprese, e poco appresso lodesignò console : ed aggi unge vasi alla somma allegrezza ✓del Prìncipe P avere in que? giorni ricevuta la testa di

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An.dell ’E.V. Proc opio inviatagli da Valente. Del resto oltre alle già367 dette si fecero nelle Gallie molte altre minori pugne ;

le quali però sarebbe superfluo descrivere, sì perchènon ebbero verun effetto di rilievo, e sì perchè nonconviene allungare la storia raccontando ignobili par-ticolarità.

III. In quel tempo o poco prima apparve una nuovamaniera di portento nella Tuscia Annonaria 1: e nonseppero dove potesse riuscire nè pure i pratici a inter-pretare prodigi. Perocché nella città di Pistoria a verso

la terza ora del giorno, alla vista di molti, un asinomontò sul tribunale, e quivi stette fortemente raglian-do. Tutti coloro eh’ eran presenti e quelli ai quali ilfatto fu raccontato da altri ne fecero le maraviglie, .senzache alcuno sapesse congetturarne il futuro \ ma avvennepoi ciò eh’esso presagiva. Perocché un uomo del volgoe di professione fornajo, per nome Terenzio, avendoaccusato di mala ammioistrazione l’ ex prefetto Orfito,aveva in premio Ottenuto di amministrare quella stessaprovincia con podestà di .Correttore: ma per troppafidanza in sè stesso, comportandosi poi in più cose ar-bitrariamente, fu convinto alla fine di avere commessaqualche ingiustizia in una causa di Naviculari», e finì

per man del carnefice sotto la Prefettura di Claudioin Roma. Molto prima per altro che questo avvenisseera succeduto Simmaco ad Aproniano, uomo degno di

1 V* erano due Toscane ( Tiisciae) 1* Annonaria e 1' Urbi-  carta. Il fatto dell* asino che qui si racconta debbe apparte-nere secondo le erudite congetture del Wagner agli anni

36o363. Il Prefetto Claudio poi sotto il quale Terenzio fupuuìto tenne la sua carica nell* anno 374 ; e di lui si pàrianel Lib. xxix, c. 6. 

a  Pistoja.

a ia AMMIANO * MARCELLINO

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LIBRO VBNTESIMOSETTIMO a i3esser* nominato fra ì maggiori esempi di dottrina e di ÀìudclV E.V.modestia, sotto la etti Prefettura la città di Roma go 367dette più che giammai quiete ed abbondanza : e fu ab-

bellita di un'ponte ^ricchissimo e solidissimo eoi eglifbttdò e dedicò con grande allegrezza de’ cittadini chepoi gli furono manìfestiftsimamente ingrati. Alcuni annidopo abbruciarono la sua bellissima casa posta nel Tran*le vere, perchè un uomo dell’ ultima plebe, senza re-care nè prove nè testimoni!, lovaccusò di aver detto cheavrebbe voluto estinguer la calce nel proprio vino «,

piuttosto che venderlo al prezzo al quale eragli doman-dato. Dopo costui fu Prefetto della città a Lampadio cheprima era stato Prefetto del Pretorio; uomo che forteAdonta vasi di non esser lodato persino quando sputa-l e , come se egli facesse anche questo molto meglioid6gll altri, ma qualche volta però austero e frugale. Co-

stui fece, mentre èra Pretore, magnifici giuochi conricchissime largizioni, ma non sapendo tollerare il tu-multo della plebe che spesso domandava dei premii an-che in prò di soggetti che n’ erano indegni, per mostrarsiad un tempo e liberale e dispregiatore della moltitu-dine, aveva arricchiti di grandi'sostanze alcuni poverichiamati a sè dal Vaticano 3. Della sua vanità poi, per

non diffonderci troppo ampiamente, ci basterà scriverequesto esempio, di poca importanza per verità, ma dafuggirsi cionondimeno dai giudici. Perocché in tuttique’ luoghi della città che furono abbelliti dalle spese di

1 Plinio lib. xxvi, c. & menzione di questa usanza dimescolare la calce col vino.

a Nell* anno 366.3 Eravi fin d’ allora una chiesa consacrata agli Apostoli,

sulle cui porte stavano alcuni poveri domandando 1*elemosi-na. Cosi il Valois ed il Wagner.

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An.Mr&y. varii Principi fece inscrivere il proprio nome, non co367 me restauratoto degli edifici già sussistenti, ma sì come

fondatore. E: questo vizio si dice che l’ ebbe ancheTrajano, d’onde p oi s oherzando .solevano denominarlo

erba paretaria. Questo Prefetto ebbe a sostenere pa-recchie pubbliche turbolenze: ma lar maggiore di tuttesi fu quando F infima plebe. insieme, raccolta con , fiati-nole e con Aialeoli iqcendiava la sua casa presso i ba-gni di Costautino, se non era oaoeiata via a colpi disassi e  di tegole dai vicini e dai sprvi accorsi pronta

mente a salvarlo. Ed egli allora per la prima,volta at-territo dalla violenza di quella sedizione che andava sep*ipre più aumentando, si ritirò al poajte MuWio (dùftjyche lo fabbricasse il vecchio. Seauro) quivi asp$it9pjie

. che cessasse quel tumulto eccitato da una gravegione. Perocché quando costui pigliava ■ ad erigere ObOViedifizii, od a restaurare qualcutf  o dei vecchj, non or-

dinava già che le spese si facessero nei soliti modi 4ma ogni qualvolta occorreva o ferro o piombo o rameo qualche altro simile oggetto, mandava fuori per , lacittà alcuni Apparitori j quali figgendo di comperar^.,tutto rapivano senza veruo pagament o : sicché poi astento colla fuga potè sottrarsi allo sdégno dei poveri

che si lamentavano dei frequenti loro danni. Vennea succedergli 1 Juveuzio nativo della Pannonia, giàCancelliere di Corte 3, Uomo incorrotto e prudente 9la cui amministrazione £u quieta e placida e con grandeabbondanza di tutte le cose: ma nondimeno lo spaven-tarono alcune sanguinose sedizioni del popolo discor-dante per la seguente cagione. Damaso ed Ursino amen

1 An, 366, 367*a Ex Quaesilore palatii.

n 4 AMMIANO MARCELLINO

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due faor di misura desiderosi di oecopale la sede Ad Aavescovado, aspramente se la contendevano, e i loro (ao* *** tori erano procedati già alle ferite ed alle uccisioni t lequali non potendo Juvensio né togliere né frenare r  

c ostretto da maggior forza, si ritrasse in un sobborgodella città. Nella predetta contesa poi rimase superioreDamaso per la grande ostinazione de’sooi partigiani. Econsta che nella basilica di Sicinio «, dove sogliotìsi icristiani adunare pel loro culto, trovaronsi io nu solgiorno trentasette cadaveri: nè sensa fatica fu poi po«

tota ammansare la plebe inferocita già da gran tempo.Nè io nego, considerando i vantaggi della città,  ohecoloro i quali sentono desiderio di questa carica nondebbano sforzarsi per quanto possonò di ottenerla} giaocbè quando l’abbiano conseguito* sono sicùri di arricthirerper le offerte delle matrone, vanno per la città in coc-chio splendidamente vestiti, ed attendono a mangiare

sì riccamente che né i banchetti pure dei Re vinconole loro mense. Tuttavolta costoro potrebbon essere ve*racemente beati se, dispreizando la .grandetta della città,di cui essi fan velo ai proprii difetti, imitassero nel viverloro alcuni vesc ovi delle province, i quali sono racoof mandati a Dio ed ai sinceri suoi coltivatori come pupi

le verecondi, dalla grande parsimonia che osservano nelmangiare e nel bere, dalla umiltà dei loro abiti e delportamento. Ma questa digressione ci basti, ed ora tor-niamo* all’ ordinata nostra narrazione*■ IV. Mentre le cose già dette avvenivano nelle Gal

lie e in Italia, preparavansi nuove spedizioni nelle Tra-cie. Imperciocché Valente com’era piaciuto al suo fra

i Fu chiamata anche  basilica di Liberio, e d ora (così il Wa*gnsr) debb’ essere Ift chiesa dì Santa Maria Maggiori*

LIBRO VENTESIMOSETTIMO a ì5

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An.deirE.V. tei lo a cui arbitrio reggevasi, rivolse le armi contro dei367 Goti mosso da giusta ragione, per aver [quelle genti

mandati soccorsi a Procopio che macchinava guerre ci-vili. Qui dunque mi conviene discorrere brevemente al-

cun poco sopra V origine e il sito di que1paesi. La de-scrizione delle Tracie sarebbe facile se gli antichi autorifossero d'accordo fra loro: ma poiché l'oscura varietàche in quelli si trova non può giovare ad nn libro nelquale pi faccia pr ofessione di verità, penso di limitarmia descrivere quelle cose che mi ricorda di avere vedute

io stesso. Che questi paesi fossero una volta una im-mensa estensione di campi e di colline fra loro alter-nate' ce lo insegna 1' immortale autorità di Omero,ove dice che di quivi soffiano i venti Aquilone e Zefi-ro: il che o debb'essere favoloso, o vuoisi dire che an-ticamente chiamavansi col nome di Tracie tu tti que-gl’ immensi tratti di paese i quali erano occupati da

selvagge nazioni. E parte ne abitarono gli Scordisci oradi gran tratto disgiunti da quelle province ; gente unavolta feroce e truce, come ne dice 1' antichità} chesagrificava a Bellona ed a Marte i prigionieri di gueisra, e beveva avidamente il sangue umano ne'cranii deimorti. I Romani lungamente travagliati dalla costoro

fierezza, dopo molte infelici battaglie, alla fine vi per-dettero tutto l’ esercito col generale 1 . Questi luoghipoi, quali ora li vediamo, disposti a guisa di luna cor-nuta, presentano il bell'aspetto di un teatro. Nellaestremità occidentale, in mezzo a monti scoscesi, s'aprelo stretto di Succi che divide le Tracie dalla Dacia.

1 Sappiamo dalla storia ( dice il Valois ) che 1*esercito diC. Porcio Catone fu dagli Scordisci inlieramente distrutto : nes

. suno afferma per altro che vi morisse Catone.

a i6 AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VBTfTESMOSETTIMQ * i7  

La parte sinistra, soggetta aHe costellàziom settenltrio AtulelPR.V.nali, è ohiitóa dai vertici emimontani ed anche dal* ^l’Istro, il quale dove larobe il territorio r omano, toccamolte città e stazioni militari e castella. Dal lato de*

stro che è quello del mezzodì si stendono gli scogU diRodope : dall’ orientale finisce nello stretto di maredove il Ponto Eusino con grandi onde si volge, e urtan-do e riurtando si apre un’angusta via all’Egeo. Dalla»parte orientale! si unisce aoehe coi vicini Macedoni pervie anguste e precipitose dette Àcontismi. Quivi presso

è Aretusa situata in una valle, in cui vedesi .il se»polcro di Euripide illustre per la sublimità delle suetragedie; è Stagira dove sappiamo che nacque Aristo-tele a diffondere, come dice Tullio, un aureo fiume. Edanche questi luoghi anticamente furono abitati da bar<bari diversi di costumi ? di favelle : fra i quali teme*vansi sopra tutti, come immensamente feroci, gli Gdri

sii; tanto avvezzi a versare il sangue umano, che quandonon avevano bastevol numero di nemici, essi medesi-mi banchettando, dopo essersi .saziati del mangiare e delbere, cacciavano il ferro nei proprii corpi come se fos-sero' altrui. Ma cresciuta poi la romana repubblica,mentre il governo dei consoli era in fiore, quei po-

poli stati sempre indomiti e vagabondi senza civiltà nèleggi, furono con grande fermezza da Marco Didio re-pressi : Druso li contenne dentro ai proprii confini :Minucio superandoli in una battaglia presso il fiume ,Ebro i che scorre giù dagli alti monti degli Odrisii,li prostrò } e quei pochi che ne rimasero furono •poidistrutti dal Proconsole Appio Claudio: perocché le

città situate sul Bosforo e nella Propontide furono oc

i  Marita*

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AiLdelF E.V. c opale dallo flótte romane. Venne dopo costoro il gè*^ ‘aerale Lucolto che primo di tutti combattè oolta du-

rissima gente dei Bessi, e còllo stesso impeto oppresseanche gli Emimontaoi comunque dicessero ostinatissima

resistenza. Durante quella sua spedizione tutte le Traciepassarono nella signoria dei nostri maggiori : e così dopoquesti dubbiosi fatti la Repubblica acquistò sei provin-ce. Fra le quali la prima, confinante coll’Mina, è dettaTracia con nome ad essa speciale, e rabbelliscono Filippopoli 1 (anticamente denominata Eumolpia) e Beree,

grandi città. Dopo di questa la provincia di Emimonteha Adrianopoli che dicevasi un tempo Uscudama, edAnchiàlo, città grandi ancor esse. Quindi si trova laMisia d ov’ è Marcianopoli * denominata cosà dalla so-rella dell9imperatore Trajano, e Dorostoro 3 e Nicopoli e Odisso. Appresso è la Scizia nella quale le cittàpiù fam ose sono Dionisopoli, Tornis 4r e Calati. L 'ulti-

ma di tutte è l’Europa, e splende (lasciandone alcune minori) per due città, Apri e Perinto che in processo ditempo fu poi denominata Eraclea. La provincia di Rodope che a questa è congiunta ha Massimianopoli eMaronea ed Eno, fondata da Enea, che poi 1' abban-donò per occupare dopo lunghi errori con perpetue

prosperità d’ auspicii l’ Italia. Consta poi da perpetuetradizioni, che quasi tutte quelle agresti popolazioni lequali abitano le alture dei monti nelle predette regionici vincono nella forza dei corpi e in una certa prer o-gativa di protrarre più lungamente la vita: e si credeche questo addivenga perchè si astengono dall1 abuso

x Phiìibia.a Presimi,3  DrysL4 Tomisvar.

218 AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESJMOSJ&TTIMO %i9  

dei cibi caldi *. e , mentite una perenne, rugiada rinvigo An.<!rtTE.V.risoe colle gelide sue aspersioni j loro corpi , e$si go* ^d oso la d olcezza di, un’$W>a< purissima, e,primi di tuttisentono i raggi del $olja, paturalpiente. vitali, non an

eora alterati dalcorjlatt ot delle cosfc terrestri. Q raa vend o,così descritti questi lutigli ritorniamo alla storia. . ., V. Superat o Procopio nella Frigia, e sopita ogni

materia di is^èroe . dis#$n#ioni, Vittore Maestro dellacavalleria fu mandalo, fr*’ Goti a , indagare.apertamente,per qual c^gio^e, queUa gtfnte, amica ai, Romani eie

gala ai pajti di <ouqrevpfe pape, aveuaprestatp ftocporsodii armi ad un .uomo, , che : portava guerra ai legittimispai .principi.,'Ed qspi agiw$t»ficare con ^.uopa difesa lapropria cqndptta .wctwno in n*ez«p le lettere dellostesso. Frocqpio,..il qviale afferna^va di. avere, pigliato;P iwpejpip eh* a lui, iWme a parente.deila schiatta diGof^ntipo,, era dovuj^; soggiungendo qhe,questo erTrore< pareva ad essi meritevole di perdono. Le qualicose .essendo da Vittorie riferite a Valente, n on fecequegli veruna stima, di quella vanissima scuspj.fi m ossele, insegne contro di loro cbe avevan.per aitilo già pre,veduto P assalto: quando, la primavera fju. alquantainoltrala%raccqlta in pna V esercito, pose gli accam

papnapti i s s o il fartedeqominato Dafne ; e costruttoun pqnte di. navi pawò ij fiupae Jstro sen#a trovare chigli ristesse» E levatosi a grande speranza,.poiché di-scorrendo a sufi voglia qua e là non. trovava nessunnemico.da superare o da; atterrire (perocché tutti spa^ventati dalP esercito che con grande, apparecchio si avnvicinava s’eran ritratti, alle montague dei Serri, ardueed inaccessibili tranne a coloro che. vi hanno gran pra-tica ), egli per non consumare inutilmente tutta la statee ritornarsene poi senza aver nulla ottenuto, mandò

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An.deirE.V. Arinteo Maestro dei fanti con alcune bande di preda^ tori; il quale*strascinò seco alcune famiglia prese er-

ranti per le pianure prima che aVessert) ■ potuto' arri-vare ai luoghi èrti e flessuosi. E dopo avere compinta'

questa impresa che sola gli era stata possibile, se neritornò sano e salvo co’ suoi senta avere nè fa tte nèsostenuto gran male. Nell’ anno susseguente tentò conugnale Coraggio di entrare nelle terre nemiche; inaimpedito dalle acque del Danubio largamente ; diffuse,se ne stette immobile fino alt’ autunno negli accampa1

menti di state eh’ egli avea posti vicino ai lnògo deiCarpi. Di qui poi senza poter nulla operare per legrandi correnti si trasferì in M&rcianopoli a svernare.Con uguale ostinatone anche nel ténfo anno avendocomposto un ponte di barche per valicare il fiumepresso a Noriduno * proruppe nel territorio dei bar-bari, e continuando sempre il viaggio assalì i Greu*

tungi, nazione bellicosa che abita molto addentro inquelle regioni: e dopo alcuni leggieri combattimenticapciò in fuga spaventato Atanarico, allora potentissi4mo fra quelle genti ; il quale aveva osato di opporgli»sicon una mano de’ suoi ch’ egli credeva sufficiènte'al bisogno : poscia con tutti i suoi si ricondusse a

Marcianopoli stimandola sito acconcio per isttrrìare inquelle regioni. Così dopo gli avvenimenti di questotriennio v’ eran cagioni di finir quella guerra : primaperchè dal lungo soggiornare colà dell’ Imperatore accrescevasi il timor dei nemici: poi perchè essendointerrotto ogni commercio, i barbari erano oppressi daestrema mancanza delle cose più necessarie ; sicché man-

dando frequenti ambasciadori domandavano il perdono

aao AMMIANO MARCE LLINO

i  Niwors nella  Bulgaria,

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LIBRO VENTESMOSETTIMO aai

e la pace. E l’Imperatore, uotno bensì di corto i ogeAn.<WPE.V.gno, ma giustissimo estimator delle cose, finché poi ^preso dalle dannose lusinghe dell1adulazione trasse laRepubblica in mali degni di esser compianti per sem*

pre , consigliandosi in comune co1suoi, decretò che sidovesse accondiscendere alla loro domanda. Furono perciò mandati a vicenda Vittore ed Arinteo capi alloradella cavalleria e dei fanti: i quali avendo poi riferitoper lettere che i Goti assentivano alle condizioni pro-poste, fu determinato un luogo conveniente a confer-

mare la pace. E perché Atanarico affermava di averegiurato sotto tremende esecrazioni di non calcar maisuolo romano, e che questo gli era anche vietato daicomandamenti di suo padre ; non si potendo da unaparte rimovere Atanarico da quel proposito, ed essendodall1altra sconveniente e vile che l'imperatore passasseappo lui, piacque ad alcuni prudenti consiglieri che lapace si confermasse com1era già stabilita sopra due navile quali portassero nel mezzo del fiume da una partePImperatore colle sue guardie, dall1altra il Principe deiGoti co1suoi. Ciò fatto, e ricevuti gli ostaggi, Valentese ne tornò a Costantinopoli : dove poi Atanarico scac-ciato de1suoi paesi nativi da una fazione di suoi pa-

renti morì di malattia, e fu sepolto con sontuose ese-quie secondo il nostro rito.

VL In questo mezzo essendo Valentiniano abbattutoda grandi malattie sicché era condotto agli estremi, iGalli che si trovavano nella milizia di lui in una se-greta loro congrega invitarono all1imperio Rustico Giu-liano allora Maestro de1conti 1; uomo avido del san-gue umano quasi per impeto di furor naturale, come

i  Magisier memorine.

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An.deirE.V. avvien nelle bestie : e n’ avea dato prove quando reg367 geva l’Africa con podestà di proconsole. Ma nella Pre-

fettura U rbana, durante la quale fu ucciso, temendo i dubbiosi eventi della tirannide pel cui arbitrio era sa-

lito a quel sommo grado, in mancanzd di soggetti pitidegni, sforzavasi di apparir mite e dolce più che non era.Frattanto contro questi suoi partigiani alcuni altri conmaggiore impegno sforzavarisi di preferirgli Severo al-lora Maestro dei fanti, come oomo opportuno ; il qualein (atti, comunque fosse aspro e temuto, era nondi«

meno per tutti i conti più desiderabile di Rustico e daessergli anteposto. Se non che poi, mentre queste cosesi andavano inutilmente macchinando, l’ Imperatore fudalle molteplici medicine che gli vennero date rinvigo-rito alcun poco; e tosto come si vide sottratto al pe-ricolo della morte, cominciò a meditare di ornar colleinsegne del principato Graziano suo figlio già quasi

adulto. Ed essendo già. in pronto ogni cosa, e dispo-sto P esercito a ricevere volonterosamente Graziano,alla venuta di lui, presentassi nel campo, montòsopra un tribunale, e circondato dallo splendore dellepiù illustri dignità, prese colla destra il figliuolo, emostrandolo all9esercito, così glielo raccomandò co-

me futuro imperatore: « Questo abito della dignitàprincipesca .ch’io porto è un fausto indizio del vostrofavore verso di me, pel quale fui preferito ad altrimolti ed illustri : ed ora se voi mi sarete compagnide’ miei consigli ed auspici de’ miei voti, eseguirò unopportuno oficio di pietà, dal quale mi promette felicisuccessi quella divinità pe’ cui sempiterni soccorsi la

romana Repubblica durerà inconcussa. Accogliete dun-que , vi prego, con placide menti, o fortissimi, ildesiderio nostro, pensando che queste cose le quali

a ia AMMIANO MARCEL LINO

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LIBRO VENTESIMOSETTIMO aa3tono richieste dai diritti della paterna carità noi ab Àa.cWTE.V*biamo voluto non solamente che vi fossero conosciu ^te , ma  A ancora che fossero approvate da voi, siceo*me convenienti e fruttuose. Sono dubque deliberato 9

per munire da tutte parti la pubblica tranquillità, dieleggermi a Collega questo mio Graziano oggimai adnl*to , il quale per essere lungamente versato co9vostrifigli è amato da voi non altrimenti che comun pegno*qualora la volontà del cielo e della màestà vostra as^secondi V am ore paterno che a questo fare m’ invita*

Egli non fu, come noi, educato sin dalla culla a rigidavita} nè s’ accostumò a tollerare aspre vicende, nè fi-nora è capace dèlia polvere di Marte, come vedete:ma crescerà ben presto ad aumentare ( dicasi pur senzatimore d’invidia) la gloria del suo casato e gl9illustrifatti de9suoi maggiori con imprese ancora più grandi.Perocché sTio non mi sono ingannato considerandoi suoi costumi e le sue inclinazioni, comunque nonancora mature, egli educato all9umanità ed allo studiodelle discipline migliori , tostochè sarà adulto, peseràcon puro giudizio i meriti delle buone e delle cattiveazioni : farà  A che i buoni conoscano di essere stimatida lui: precorrerà a tutti nelle illustri imprese, stando

sempre vicino alle insegne militari ed alle aquile: sop-porterà e sole e nevi e brine e sete e vigilie: difen-derà gli accampamenti dove a questo Io rechi la necessità : metterà a repentaglio la vita pe* suoi compa-gni: e ciò eh’è sommo e primo uficio di pietà, ameràla Repubblica come casa paterna ed avita ». Prima chequesta orazione liètamente asc oltata fosse finita, i sol-dati, ciascuno secondo il suo grado e il suo animosagara e come se fossero partecipi dell’ utilità e del gau-dio di quella scelta, dichiararono Augusto Graziano,

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a*4 AMMIANO MARCELLINO

An.delPE.V. frammischiando al fragor delle trombe un piacevole.suono delle armL A tal vista Valentiniano esultandoper maggiore fiducia, baciò il fanciullo già ornato dellacorona e degli abiti della suprema dignità, poi volse

il discorso a Ini stesso che in mezzo a quel nuovo,folgore mostravasi attento alle cose che gli erano dette.«Ed ecco, disse, tu hai, o Graziano, come sperammo tuttigli abiti imperiali a te conceduti con fausti auspicii daimio volere e da quello de9nostri commilitoni. Or tiprepara ad essere secondo il peso delle tue incombenze

collega del padre e dello zio: avvezzati a calcare im-perterrito colle schiere dei fanti i ghiacci dell9latro edel Reno; a star vicino de'tuoi soldati; a spandere,dove ciò torni bene, il tuo sangue pe’ tuoi soggetti;a non isti mare aliena da te ninna cosa che risguardil’ imperio romano. E per ora mi basti P averti datiquesti consigli: del resto non cesserò mai d’ammonirti.

Ora resta eh1io mi volga a voi, difensori principalissimidell9imperio : e vi prego e scongiuro che vogliate conferma affezione conservare questo crescente imperatorecommesso alla vostra fede». Confermate con ogni so-lennità queste parole, Euprassio di Cesarea nella Mau-ritania , allora scrivano 1, pel primo di tutti esclamò :

Questo è dovuto alla f  amiglia di Graziano : e subita-mente fu promosso alla carica di Questore; il quale poilasciò molti esempi di buona fede degni di essere imi-ta ti; non abbandonò mai l’ intrepida sua indole, mavisse sempre costante a’ suoi principii, come le leggile quali nelle varie cause vediamo parlare a tutti conuna medesima voce; ed allora più fermamente aderiva

alla parte della giustizia, quando più P Imperatore colle

i  Magisler memoriae.

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minacce sfbrzavasi di stmoverlo da’ suoi retti consiglii. n.delPE.V.Si venne poscia alle lodi d’ ambo i principi, e del fi 367gliuolo sopra tutto , cui rendevano amabile e il fuocodegli occhi, e il nitore piacevolissimo del volto e di

tutto il restante del corpo, e V indole egregia dell’ani-mo \ la quale avrebbe fatto di lui un imperatore degnodi essere paragonato a’ più illustri de9tempi andati, secosì fosse piaciuto ai destini ed alle persone che glierano intorno : ma queste invece con pessime azioni neannebbiarono la virtù, mentre era tuttora mal ferma*

Vuoisi poi notare che Valentiniano, trasgredendo l’ an-tico costume, non chiamò Cesari ma Augusti il fratelloe il figliuolo, come gli dettava la sua benevolenza. Nèalcuno mai prima di lui erasi nominato nn collega conpodestà pari alla sua \ eccetto 1’ imperator Marco, ilquale senza restrizione di sorta si fece socio della di-gnità imperiale Vero suo fratello adottivo.

VII. Pochi giorni dopo che queste cose furono così or-dinale a grado dell’ Imperatore é dell’ esercito, Avizianoex Vicario accusò di peculato Mamertiuo prefetto delPretorio reduce allora da Roma dov’ era stato spedito acorreggere alcuni abusi. A costui pertanto successe Rufi-no, uomo in ogni parte perfetto, e quasi immagine di vec-

chiezza sommamente onorata , sebbene non perdessemai peraltro le occasioni di guadagno quando speravadi rimanere occulto. Al primo abboccamento ch’egli ebbecol Principe ottenne che Orfito, stato prefetto di Ro-ma, fosse liberato dall’ esilio, e ritornasse ai propriilari con tutto il patrimonio che aveva perduto. MaAn(je|p^yquantunque Valentiniano, uomo notoriamente crudele, 368sul cominciare della sua dominazione si sforzasse tal-volta di tenere a freno le sue feroci inclinazioni, perisventare 1’ opinione eh’ era prevalsa di lui j nondimeno

makcelunoj 11

LIBRO VENTESIMO SETTIMO « 5

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A»fdc1VE.V. il vizio per qualche tempo represso e nascosto proruppe368 alla fine più disfrenato con danno di molti $ e lo ao*

crebbe P ira che occultamente gli bolliva nel cuore. Pe*rocchè i savii la definiscono una vecchia e talvolta in*

. sanabile piaga dell’animo , che nasce d’ ordinario da de*bolezza di mente ; argomentandolo da questo,  ohe gliinfermi sono più iracondi dei sani, e le femmine piùde1maschj, e i vecchi più dei giovani, e gli sventuratipiù dei felici. Fra le altre uccisioni di persone del po*polo fu notabile allora la morte di Diocle già conte

delle largizioni nell’ Uliria \ il quale egli ordinò che perleggieri delitti fosse abbruciato: e quella di Diodoro giàIntendente ■ , e quella di tre Apparito» del vicario inItalia 9t atrocemente fatti morire perchè il conte diquesta provincia si dolse presso V Imperatore che Dio-doro aveva implorato contro di lui il soccorso delle leggi,e che gli Apparitori, ubbidendo agli ordini del giudice,

avevano osato intimargli, quando stava per partirsi, di ri*tpondere secondo la legge. I Cristiani venerando ancorala costoro memoria in Milano 3 chiamano Piazza degli  pmocenti il luogo dove sono sepolti. Poco appresso nellacausa di un certo Massenzio pannone l’imperatore avevaordinato che fossero uccìsi i magistrati di tre città per-

chè avevano sollecitata P esecuzione della sentenza re*golarmente pronunciata del giudice 4; ma il QuestoreEuprassio si fece a dirgli:  Procediy o piissimo Prìn

 cipe f più mitemente ;  perchè costoro che tu fa i ucci*

i  Agen$ in rebus. Y. Ivib. xiv, c. 2 . in n ota,9  jipparUores potesfatis vicarine per Italiam.

5 Furono giustiziati in Milano  perchè qui risiedeva il Vi*cario della Provincia,^ Valentiniano si era sdegnat o di questa pronta esecuzione

perchè avrebbe voluto salvare Massenzio suo favorito,

**6 AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMOSETTIMO aa7

 dere come rei, la religione cristiana li venera comeAn.drll’E.V . màrtiri3 cioè come accetti alla divinità. £ il prefettoFlorenzio imitando poi questo salutare ardimento, aven-do sentito come in un affare degno di perdono l’im-

peratore aveva ordinato che fossero uccisi tre magistratidi parecchie città: Che faremo 3 disse,  se qualche città  non ne avesse un tal numero? Fra le altre cose  dunque bisognerebbe sospendere la sentenza ordinando  che siano uccisi quando li avrà. A questa inclemenzaun’altra cosa aggiungevasi crudele a dirsi ed a farsi;

che se gli si presentava qualcuno cercando di declinareda un giudice suo nemico e domandando che gliene fossedestinato alcun altro, per quante giuste cagioni addu-cesse, veniva nondimeno rimandato a colui del qualetemeva. £ un’altra orribile cosa soleva fare, ordinandola morte di quei debitori che, oppressi dalla povertà,non potevano restituire le cose altrui. Queste e simili

altre cose fanno per grande superbia que’’ Principi, iquali agli amici non danno arbitrio di ammonirli con-tro quanto o pensano o fanno di male, e col lorogrande potere spaventano i nemici dal favellare. Nonha luogo esame di giusto od ingiusto prèsso, coloro iquali stimano che sia 6omma virtù tutto quanto essi

vogliono.VilL Partitosi dunque Valentiniano da Ambiani 1?per andarsene sollecitamente a Tre ve ri , fu colpito daun grave annunzio ; che la Britannia da una cospira-zione di barbari era travagliata fino all’ estrema mi-seria : Nettando conte delle coste marittime essere statoucciso; e il generale Fullofaude, ingannato dai nemici,

condotto a cattivo partito. Spaventato da queste no

i  Amiens.

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An.delFE.V.tizie spedi Severo comandante delle guardie domestiche,affinché, se pur fosse in tempo, rimediasse agli altruierrori : ma richiamatolo poco appresso, fu destinatoa que1medesimi luoghi Giovino, il quale mandò su-

bito innanzi Provertuide, intanto che egli adunavail soccorso di un valido esercito, affermando che que-sto era domandato dalle urgenti necessità. All’ultimoper le molte e gravi notizie che venivano continuamenteda quell’isola fu eletto Teodosio, uomo illustre perbelle imprese marziali^ ed egli affrettandosi alla parten-

za, dopo avere adunata una coraggiosa gioventù dilegioni e di coorti, si mise in cammino, precedendoloquasi una probabil fi d ucia di buon successo. E poichéquando scrissi le cose dell1imperatore Costante chiarii ^per quanto mi fu conceduto dalle mie forze, il flussoe riflusso dell1Oceano *, e la situazione, della Brilannia, stimo superfluo il parlar nuovamente di quelle cose

delle quali ho già trattato ; siccome anche l1omericoUlisse paventa presso i Feaci la difficoltà di ripetere lastoria delle proprie avventure. Basterà quindi il direche di que1tempi i Pitti divisi in due genti ( Dicalidoni e Vetturioni ), e gli Attacotti guerresca nazione,e gli Scotti, depredavano vagabondi molti paesi } e i

paesi dei Galli erano desolati dai Franchi e dai Sas-soni confinanti $ i quali dovunque o per terra o permare potevano irrompere facevano acerbe prede e in-cendi! e stragi di prigionieri. Per infrenare adunque lacostoro licenza, se la sorte fosse propizia, si mosse allavolta di quelle estreme parti del mondo un opcrosis

t

 A'  otus adolescentis et senescenti Oceani. Questa manieradi esprìmersi, che non sarebbe intesa ai di nostri , fu usi*tata dagli antichi. V oceano è quasi compagno della luna: invecchia e ringiovenisce con lei. Geli. lib. xiv, c. i.

aa8 AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMOSETTIMO aa9

siitio capitano; e venuto alla spiaggia di Bononia 1, di in.visa dalle terre opposte da nna gola di mare, che quivi«noie innalzarsi in grande tempesta, e poi abbonac-ciarsi in un subito come una pianura di campi senza

danno de’ naviganti, attraversò lentamente lo stretto edapprodò a Rutupia a, tranquilla stazione rimpetto aquella da cui s’era partito. Quivi lo raggiunsero i Ba"lavi e gli Eruli e i Giovii e i Vittoriosi confidenti nelloro numero : sicché avviatosi poi sopra Lundino 3, an-tica città che i posteri denominarono Angusta, divise

i suoi in parecchie schiere, ed assalì le bande nemichevaganti qua e là e cariche di bottino. Cacciò in fugacoloro che ne menavano legati gli uomini e le gregge,e tolse loro la preda miseramente rapita ai tributarlidi Roma. Ogni cosa fu restituita a costoro, tranne unapicciola parte conceduta agli stanchi soldati; e quindientrò lietissimo e con una specie di ovazione in quella

città caduta poc’ anzi in triste circostanze, ma riusci-tane poi e salvata pi & presto di quello che non si sa-rebbe potuto sperare. E quivi, parte dalla prosperità in-coraggiato ad imprese maggiori, parte meditando si-curi consiglii, se ne stava dubbioso dell’ avvenire, es-sendo ammonito dalle confessioni de’ prigionieri e dalle

deposizioni de’ fuggitivi che quella plebe di varie na-zioni diffusa qua e là e sommamente feroce non potrebb’ essere superata se non se con occulti agguati e

•con improvvise scorrerie. All’ ultimo mise fuori alcunieditti nei quali, sotto promessa dell’impunità, richiamavai disertori e molti altri che per diverse cagioni erra

i  Boulogne.a Sandwich.3  Londra.

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Qttesti, come allentati all ogni delitto, levat*onsi diAihrieT&V*sfrenati a commettere ogni colpa più turpe : e da quel ^punto, esaltati, si sono persuasi che la fortuna di tuttiindistintamente dipenda da un loro cenno. I fondatori

dell’antico dir itto, per infrenar 1’ alterigia e la perico*Iosa autorità di costoro decretarono che qualche volta 9comunque innocenti, ptir fossero tolti di mezzo conmortali supplizii 1: il che accade spesso, quando neidelitti della moltitudine per la ingiustizia della sorte sonoponiti alcnni innocenti: come avviane talvolta anche

nelle cause dei privati. Frattanto alcune bande di pre*datori Isauri diffondendosi ne’ luoghi vicini con liberescorrerie travagliavano città e campagne ubertose ) *di gvavi danni affliggevano la Panfilia e la Cilicid*Avendo Musonio (allora Vicario delF Asia^ e per loaddietro Maestro di rettorica in Atene) veduto comecostoro, per non trovare chi li frenasse, mettevano f  o«

vinosamente a guasto ogni cosa ; il paese ridótt o al**l’estremo, e infingardita la miliaà nel lussoj raccolsealcuni pochi e male armati, di quei che si dicono Diog*miti *, e cercò di assalire j se gli venisse il buon destro jqualcuna di quelle bande di predatori. Ma entrato nellétortuose angustie di un monte, cadde in un agguato da

cui non gli fu più possibile liberarsi, e dove fu uccisoegli con tutti i suoi. Allora que’ ladroni insuperbiti ol-tre misura per questo loro successo, si diedero a scor*rere qua e là con sempre maggiore fidanza; finché poisvegliatesi finalmente le nostre miliaie1 ed uócisine al-cuni , caccìaronli ne’ pietrosi nascondigli dei monti da

« Al lude all' ost racismo di Atene, e forse all*uso rdrttìttìtf di decimare gli eserciti.a Dai greco Smyfibs inseguimento f  perthè éostofo inseguì*

Vano i predatori ed i ladri delle pubbliche vie*

LIBRO VENTESIMOSETTIMÒ

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An.delTE.V. si temevano i movimenti di quella perfida nazione ctitf fàcilmente si ristorava dai danni sofferti: e i nostri sol*dati avrebbero voluto pigliar quella impresa senza ve*run indugio, perchè i sospetti costumi di quella nazione

ora debole e supplichevole, ora minacciosa all’estremo,non lasciavan loro giammai riposo. Raccolta perciò daogni parte una gran moltitudine di soldati diligente*mente fornita di armi e di vettovaglie, e chiamato atti-che il conte Sebastiano, > colle milizie d’Illiria e d’It&• lia eh’erano sotto di lui, quando la stagione dell’anne

cominciò ad intiepidirsi, Valentiniano con Grazianopassò il Reno senza trovare chi gli resistesse : e , divisele truppe in ordinanze quadrate, avanzossi, egli nel mezzo»e Giovino e Severo (Maestri della milizia) ai fianchiper impedire che l’esercito non venisse da repentiniassalti turbato. Alcune scorte pratiche delle strade ac-compagna van l’ esercito esplorando per tu tto; e i sol-

dati a poco a poco inoltrandosi in quelle spaziose re*gieni s’ invogliavano sempre più al combattere, e talvoltamandavano un fremito minaccioso come se avessero final*mente trovati i nemici. Ma poiché nello spazio di al-cuni giorni non fu possibile di trovar mai chi resi-stesse, le coorti incendiarono 1 seminati e le case, in

cui si abbattevano, eccettuandone solo le vettovaglie,perché la dubbiezza dei casi persuadeva a raccoglierlee custodirle. Dopo di che l’imperatore avanzando»sempre più lentamente, come giunse vicino ad un luo-go nominato Solicinio, quivi di subito si fermò, quasiavesse trovata una sbarra; per essere stato dalla veracerelazione degli esploratori ammonito che s’eran veduti

i barbari da lontano. I quali essendosi persuasi di non

*34 AMMIANO MARCELLINO

i V. Lib. xxvi, c. 6.

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LIBRO VENTESIMOSETTIMO a35aver più nessuna via di salvezza, se non ione nel ve AimMFILV.«i re prontamente ad assalirci, confidando nella pratica ***eh’ essi avevan dei luoghi, per unanime accordo occu-parono un altissimo monte, scosceso da tutte parti ed

inaccessibile, a cagione d^’ molti colli rocciosi ond’ eracomposto, fuorché dal lato settentrionale, dove il pen dio è agevole e molle. Quivi adunque piantaronsi se-condo il costume le insegne, e gridandosi da tutte lerparti all’arme, la milizia nondimeno ubbidiente al co-mando del Principe e de’ capitani se ne stette ferm a,'

aspettando che fosse innalzato il vessillo, solito segnaledel quando convenisse cominciar la battaglia. Poco onessuno spazio davasi qui al deliberare5perchè da unaparte ci spaventava l’ impazienza dei nostri, dall’ altra ■gli Alamanni ci romòreggiavano orrendamente all’ in-torno: sicché fa deciso che Sebastiano co’ suol occu-passe quella parte del monte nella quale dicemmo che

esso era di facile accesso, affinchè se ci riuscisse dimettere in fuga i Germani, gli fosse agevole il farne •strage. Ciò fatto, e lasciato Graziano, ancqr .troppogiovine ed inesperto delle fatiche, presso le insegnede’ Gioviani, l’ Imperatore, comunque prudente e cautogenerale, percorse a capo scoperto le centurie e i mani-

poli, e senza partecipate ad alcuno de’ suoi officiali ilproprio disegno, e rimovendo da sè le sue solite guar-die, volò con alcuni pochi de’quali ben conosceva l’in-dustria e la fede ad esplorare le radici del monte, af-fermando per quella stima ch’ egli faceva di sé, doversitrovare qualche altra via che menasse a quei colli, ol-tre quella scoperta dagli esploratori. Avviatosi dunque

per sentieri ignoti e palustri, sarebbe caduto.sotto l’as-salto improvviso di una banda nemica che s’era posta.in agguato, se egli spronando, come voleva la neces

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An.H«*irE.V. si là , il suo cavallo a traverso di un luogo fangoso e^ sdrucciolevole, non si fosse ricondotto in seno delle sue

legioni, sottraendosi ad un pericolo tanto vicino, cheun suo servo il quale gli portava 1’ elmo ornato d’oro

e di pietre preziose, disparve, nè mai più fu tro-vato nè vivo nè morto. Fu conceduto dopo di ciò qual-che riposo alla stanchezza dei corpi ; poscia fu solle-vato il segnale della battaglia, e aggiungendosi il suonominaccioso delle trombe, Salvio e Lupicino l’ uno scutario e l’altro della scuola de'gentili ( due giovani gra-

duali sul cominciare di quella fazione ) precedetterocoraggiosi alle schiere che già si erano mosse, e le ani-mavano con terribile schiamazzo: e vibrando le astequando furono pervenuti al monte, e sforzandosi diguadagnarne le sommità contro gli Alamanni che li re-spingevano, soprarrivò tutto il peso dell’ esercito, edavendoli sempre per antesignani, con grande sforzo si

arrampicò per sentieri irti di spini ed aspri fioo allacima. Con grande animosità d’ ambe le parti fu com-battuto : quindi i nostri soldati più istrutti nell* artedella guerra ; quinci i nemici più feroci ma menoesperti vennero alle prese: ma il nostro esercito poi al-largandosi circondò i nemici atterriti dal fremito dei

soldati, dal nitrir de9cavalli e dal fragore delle trombe,e cominciò a travagliarli. Tutta volta essi resistetterocoraggiosamente; sicché stando per qualche tempo ugualela sorte della battaglia, la fazione riuscì assai grave econ reciproche stragi di tutti e due gli eserciti. Madiscacciati alla fine dall’ ardore dei nostri ed intimoriticonfusero le loro ordinanze, e mentre, date le spalle,

si partono, erano forati dai giavellotti e dalle aste deinostri : all’ ultimo fuggendo anelanti e stanchi presen-tavano a’ persecutori i popliti, le gambe ed i dorsi. Di

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LIBRO VENTESMOSETTIMO a37

questa maniera molti furono uccisi : il conte Sebastiano AiudeirET*poi, collocato con una, banda ausiliare dietro alle spalle 368dei monti, trucidò que’ fuggitivi che discendevano da

quella parte dov’cgli assalivali senza difesa: gli altri di*spersi raccomandaronsi ai nascondigli delle selve. Inquesto combattimento perì anche dei nostri un numerotnon dispregevole : fra i quali cadde Valeriano capo ditutte le guardie della persona, e Natuspcrdio scutario^

 A eccellente guerriero che si paragonava al vecchio Sicinio ed a Sergio. Finite poi con questa diversità di

successi codeste cose, i nostri soldati ritornarono aiquartieri d’ inverno , gl’ Imperatori a Trevcri.

XI. In que’tempi essendo morto Vulcazio Rufino fuchiamato Probo da Roma per sottentrargli nella Pre-fettura pretoriana} uomo conosciuto nel mondo roma-no per lo splendore della sua schiatta, per potenza e ric-

chezza, avendo egli possedimenti in quasi tutte le pro-vince^ sebbene non sia della nostra bassezza il giudi-care se giustamente o nò li avesse acquistati. La For-tuna i portandolo, come soglion fingere i poeti, sopracelerissime ali, talvolta Io mostrava benefico e intentoa sublimare gli amiqi, talvolta insidiatore crudele emacchiato di sanguinose inimicizie: e sebbene in tutta

la sua vita sia stato possente pei larghi doni cheprodigava, e per le cariche da lui successivamente oc

i Le edizioni hanno, parte genuina, parte gemina quaedam Fortuna. Il Wagner traduce Fortuna corporea ( leibhuftigeGlucksgòttin ) ; Remigio Fiorentino disse ambe le Fortune.Adottando col Valots la lezione genuina potrebbe anche dirsi

Fortuna, innata o nativa. Dicendo però il Valois stesso che molticodici presentano la lezione gemina, nella incertezza, ho se-guitato 1’ esempio del DeMoulines che tralasciò affatto questoepiteto; e solo ho voluto qui accennarlo.

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An.<!eirE.V.cupate nondimeno era talvolta timido verso gli au^ daci, e risoluto coi timidi: sicché ben appariva che

quando egli confidava in sé stesso strepitava non altri-menti' che se calzasse il tragico coturno $ e quando

aveva cagion di temere parlava più umilmente che nonsi usa nel socco ». In quella guisa poi che la famigliadei pesci cacciata fuori del propio elemento, non puòlungamente respirare sopra la terra $ così avveniva dicostui quand’ egli trovavasi senza ufici : ed obbligavamoad assumerli le contese delle grandi famiglie, le quali

. a motivo della smisurata loro cupidigia non erano maitranquille, e costringevano il proprio patròbo a immi-schiarsi ne" pubblici affari, per avere più facilmenteT impunità nei loro delitti. Vuoisi però confessare che peruna certa ingenita magnanimità non comandò mai a verun suo servo o cliente alcuna cosa illecita : ma quan-do conosceva che qualcuno di loro aveva commesso un

delitto, qual che si fosse, a mal grado della giustizia,senza considerare la cosa, senza rispetto del buono edell9onesto, lo difendeva. Il qual vizio $ ripreso da Ci-cerone con queste parole: Qua/  differenza vi ha frail persuasore del fa tto e Papprovatore? O in che dif

 ferisce se io ho voluto che qualcosa si facesse, od in-

vece  ho goduto del vederla fatta? Fu poi sospettosodi propria natura e diffidente, con un sorridere amaro,e talvolta carezzoso per nuocere. E questo difetto ne9caratteri cosi fatti apparisce visibilissimo quando piùcredesi di poterlo celare; ed egli era implacabile edostiuato per modo che quando aveva determinato dinuocere a qualcheduno, non poteva più essere nè ani

1 Queste espressi oni di c oturno e di socco» o di tragedia ecommedia sono frequenti presso gli antichi.

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LIBRO VENTESIMOSETTIMO *39

mansato oè inclinato a perdonare gli errori , e le orec An.delPE.V.chie di lai parevano chiase non giù con cera ma con 368piombo. Nelle somme ricchezze e dignità poi visse ansioe agitato, e travagliato anche sempre da piccioli mali.

XII. Questo fu l’ ordine delle cose ne’paesi occiden-tali. Sapore poi, il vecchio re della Persia, voltosi findal principio della sua signoria alla dolcezza delle ra-pine , dopo la morte dell’ imperatore Giuliano e dopola vergognosa pace di Gioviano, mostrossi per qualchebreve intervallo nostro amico ; ma poi calcando la fede

dei patti cacciò le mani sopra 1’ Armenia, e come sefosse cessato pgni accordo, voleva aggiungerla a’pro-prii Stati. E da prima usò varii inganni, e trovandotutta la nazione renitente a’ suoi disegni , cominciòad aggravarla di lievi imposte; talvolta cercando diguadagnarsi alcuni degli Ottimati e dei Satrapi, tal-volta con improvvise scorrerie sorprendendone alcunialtri. Poscia con finte carezze ineschiate a spergiuri ayendo preso il re Arsace, e invitatolo ad un banchetto,ordinò che fosse condotto a un certo luogo segretodove gli furono cavati gli occhi; e legato con catenad’ argento (ciò che presso quella nazione si reputa va-namente un sollievo de’ supplizii per le persone rag-

guardevoli) fu inviato al castello nominato Agabana,dove morì fra i tormenti. Quindi affinchè la sua per-fidia non lasciasse nulla d’ intatto, cacciò Sauromacepreposto dai Romani all’ lberia, e conferì la signoriadi quella gente ad un certo Aspacura, dandogli ancheil fliadema, per dimostrare eh’ egli insultava alle no-stre deliberazioni. E dopo avere così iniquamente com-piute codeste cose, commise 1’ Armenia allo spadoneCylace e ad Artabanne, ricevuti già tempo da lui co-me fuggiaschi (dicevasi che il primo di costoro fosse „

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Àn.dell'E.V stato Prefetto di quella gente, e P altro Maestro del508 le armi), e loro ordinò di attendere colla maggior di-

ligenza possibile a diroccare Artogerassa, castello fortedi muri e di presidii, dove si custodivano i tesori

e la moglie e un figliuolo di Arsace. Essi intrapreserosecondo P ordine P assedio; e non potendo appressarequella fortezza piantata sopra un’ erta montagna, inquella stagione in cui tutto era pieno di nevi e di brine,P eunuco Cylace acconcio più che alParmi a femminililascivie, tolse seco Artabanne, ed accostatosi sotto fede

d’immunità alle mura, domandò d’ essere introdotto;e quivi poi minacciosamente persuadeva ai difensori edalla regina di ammansare con una pronta sommissione losdegno di Sapore, uomo per sua natura lontano da ogniclemenza. Ma essendosi dette da una parte e dalP altrapiù cose, e compiangendo quella regina il pessimo trat-tamento del proprio marito, que’ medesimi che istan-

temente consigliavan ì’ arrendersi, piegati a misericor-dia, mutaron consiglio; e sollevati a maggiori speranze,con segreti colloquii ordinarono che ad un’ ora deter-minata si aprissero d’ improvviso le porte e n’ uscisseuna valida mano di soldati ad assaltare con subite stragi il campo nemico : essi poi ajuterebbero quell’ impre

sa. Confermati col giuramento questi accordi, Cylacee Artabanne riferirono che gli assediati avevano chie-sti due giorni per deliberare ciò che loro più conve-nisse, e così distolsero i Persiani dalla solita vigilanza.In quell’ ora della notte poi nella quale per la sicu-rezza che tutti si promettevano s’ erano dati profon-damente a dormire, aperta la città, n’ uscì fuori una

banda di presti giovani, i quali colla spada alla manoe con leggier passo cacciatisi nel campo de’ nemici chesi credevan sicuri, molti ne trucidarono, senza trovare

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LIBRO VENTESIMOSETTIMO s>41

chi loro si opponesse. Questa improvvisa defezione, e le Àn.delPE.V.stragi non prevedute dei Persiani eccitarono gravissime ^cagioni di discordie fra noi e Sapore; aggiungendosi aquésto eziandio Pavere Valente ordinato che Para fi-

gliuolo di Arsace ( il quale persuaso a ciò dalla madre,era uscito d’ Artogerassa con pochi de9suoi ) fosse ri-cevuto a Neocesarea, città notissima del mare Polemoniaco *, e quivi liberalmente trattato e servito. Dallaquale umanità allettati Gilace e Artabanne spedirono le-gati a Valente domandando soccorso; ed anche che loro

fosse dato lo stesso Para in qualità di Re. Ma i soc-corsi furono per allora negati; e Para fu ricondottodal generale Terenzio in Armenia per governare frat-tanto quella nazione senza le insegne di re: e questo prudentemente fu fatto, per non essere incolpati di averrotti i trattati e la pace. Sapore quando ciò seppe, ir-ritato più che verun altro uomo giammai, movendo

maggiore esercito, si diede a devastare palesemente P Ar-menia. A1P arrivo di lui atterriti Para, Cylace e Arta-banne, non vedendosi intorno soccorsi,, cercarono irecessi delle alte montagne che partono i nostri paesidalla Lazica : dove celandosi nel folto delle selve e nellesinuosità dei monti, si sottrassero per cinque mesi alle

varie ricerche del.Re. Il quale vedendo che perdevaogni fatica per, essere il verno già nel suo rigore,dopo avere abbruciati gli alberi fruttuosi, e presidiatii castelli e gli accampamenti che aveva presi o per forzao per frode, n’ andò con tutti i suoi a circondare Àrtogerassa; della quale, dopo varii casi di guerra, i difensoristanchi gli apersero le porte; ed egli la incendiò. Ne con

i Quella parte del Ponto' Eusino dov’era la città di  Pale mone, che fu poi pr obabilmente Vatiza nell1Anatolia.

MAA CELUKO , 11 l 6

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AnM(‘irE.V.dusse via peraltro la moglie di Arsace insiem coi tesori.968 Per tutte queste cagioni fu spedito colà con nn eser-

cito il conte Arinteo che recasse ajuto agli Armeni,se mai i Persiani tentassero di travagliarli con doppio

assalto. Frattanto Sapore astutissimo, ed ora umile orasuperbo, secondochè ben gli tornava, sotto colore difutura alleanza rimproverava il principe Para, facen-dogli dire per segreti messaggi eh9egli noncurante disè, appagandosi di un cotal velo di regia maestà, ser-viva a Cylace e ad Artabanne : e tanto lo ingannò, che

Para precipitoso li uccise e ne mandò le teste a Sa-pore per dimostrargli la sua deferenza. Divolgatasi poiquella uccisione tutta 1’ Armenia si sarebbe perduta,se i Persiani non si fossero astenuti dal correrla un’al-tra volta t atterriti dalla presenza di Arinteo. Contentaronsi invece di spedire legajti all1Imperatore doman-dando che quella nazione, secondo i patti conchiusi

con Gioviano, non fosse soccorsa. Ma rigettata que-sta ambasceria, fu spedito di nuovo con dodici le-gioni e con Terenzio quel Sauroraace che già dicemmoessere stato espulso dal regno d’ lberia : ed essendo co-stui già vicino al fiume Ciro, Aspacure venne a pro-porgli di regnare entrambi, siccome cugini eh’essi erano,

con ugual podestà } e diceva che a lui non sarebbe pos-sibile nè di cedere nè di favorire ai Romani, trovan-dosi presso i Persiani, in qualità di ostaggio, il suo fi-gliuolo Ultra. L’ Imperat ore informato di ciò, per ov-viare col consiglio e colla prudenza ai dissidii che po-tevano nascere, aderì alla divisione dell’ lberia : il Cir o la partisse, e Sauromace ritenesse quella confinante

cogli Armeni e coi Lazi; Aspacure quella contigua al-l’Albania ed ai Persiani. Trafitto da questi provvedi-menti Sapore, e gridandosi offeso, da che contro i patti

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LIBRO VENTESIMOSETTIMO *43vedeva darsi soccorso agli Armeni, V Ambasceria da Inimandata per impedire questo disordine essere ascita aniente, ed il regno dell’Iberia senza suo conseoso efinanco senza sua saputa essere stato diviso, chiuse in

certo qual modo le porte dell’amicizia, e si diede a cerca-re i soccorsi delle genti vicine, apparecchiando intanto an-che il proprio esercito, affinchè quando sórgesse la bellastagione potesse rovesciar tutto quello che i Romaniavevano fatto.

FINE DEL LI ARO VENTESIMOSETTIMO

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LE S T ORIE

DI

AMMIANO MARCELLINO

LIBRO VENTE SIMOTTAVO

SOMMARIO

I. Molti cittadini , anche senatori , e molte donne di famiglie senatorie fono accusati e puniti in Roma di avvelenamenti,di stupri, di adulterii. — IL Valentiniano Augusto fortificatutta la riva del Reno con accampamenti» castelli e torri: gliAlamanni uccidono alcuni Romani che stavano fabbricandoun forte al di là dal Reno. I MaratocUpreni che depredavaola Siria sono distrutti per ordine di Valente insieme coi fi-gliuoli e col loro paese. — III. Teodosio riedifica le città d l

Britannia devastate dai Barbari , e le castella ; e riceve sottodi si l ' Isola in qualità di provincia denominata Valenzia. —IV. Prefettura Urbana di Olibrio ed Ampelio: vizii del Se*nato e del Popolo Romano. — V. I Sassoni sono dai Roma-ni insidiati nella Gallia.' Valentiniano # sotto promessa di spe*dire un suo esercito, fa entrare i Borgognoni nell’ Àiemagna ji quali ingannati, dopo avere uccisi tutti i prigionieri, se netornano a casa. —• VL Danni recati dagli Austriani alla prò»vincia di Tripoli, ai Leptitani ed agli Oensi, occultati perfrode del magistrato romano all* Imperatore, e nou vea«dicati.

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ÀBLdefP&V.troppo grave la lagrimosa narrazione, fa condannatodalla indegnazione dei popolo, il quale giudicò eh’ eglinon per consolare una stimabil città, ma per ricordarecon vituperio ciò eh’ essa aveva sofferto senza essere

da’ suoi fondatori soccorsa, avesse insolentemente intra*dotto nelle favota teatrali anche questo doloroso avve*nimento. Perocché Mileto era colonia degli Ateniesipiantata fra gli altri Jonii da Nileo figliuolo di quelCodro eh’ è fatua siasi sagrificato per la patria nellaguerra Dorica. Ma torniamo al proposito. Massimino,

una volta vicePrefetto di Roma nacque di oscurissimastirpe a Sopiana città della Valeria *. Suo padre, no-ta jo dell’officio del governatore nacque dalla posteritàdi que’ Carpi 3 che Diocleziano tramutò dalle anticheloro sedi nella Pannonia. Costui .dopo uno studio me-diocre delle liberali dottrine, dopo avere atteso a difen-der cause senza punto illustrarsi, e avere amministrate la

Corsica e la Sardegna, governò poi la Tuscia. E in-dugiando troppo, lungo la via, colui che doveva succe-dergli, venne bensì a Roma per sopraintendere allaprovvigione delle vettovaglie, ma ritenne anche il go-verno di quella provincia ; e sul principio si comportòprudentemente per tre cagioni. Prima perchè gli sonavan

tuttora agli orecchi le parole del suo genitore il quale,espertissimo nell’ interpretare il volo o il canto degli uc-celli, gli aveva predetto che arriverebbe fino ai supremigradi della potenza, ma poi perirebbe sotto il ferro dellagiustizia. Poi perchè essendosi fatto amico ad un di Sarde-gna (da lui medesimo, come ne corse la fama, in pro

>C‘  •

i Lib. xix, c. ii. a Tabularius pratsidialii qficu.3 Lib.  jjl v h > c. 5.

*46 AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMOTTAVO *47

gresso di tempo fatto poi ammazzare ) cbe evocava An.<fe1TE.V.le anime dei dannati e traeva dalle larve 1 presagi, 368finché visse costui. per*non esser tradito, fu mite edaffabile. Finalmente perché a guisa di sotterraneo ter*

pente strisciando nell9infima sua condizione, non po-teva per anco eccitare maggiori cagioni di stragi. 11principio poi del suo allargarsi a sfrenatezze pià gravinacque da questo accidente. Chilone exVicario, e lamoglie di lui per nome Massima si richiamarono adOlibrio allora Prefetto della città, affermando che qual-

cuno aveva tentato di avvelenarli, ed ottennero checoloro contro dei quali e’ sospettavano fossero presi im-mantinente e gittati in catene: e furono un Serico fab-bricatore di stromenti musici, nn Asbalio maestro discherma e l’aruspice Gampense. Ma facendosi poi len-tamente il processo per la lunga asprezza dei malionde Olibrio fu travagliato, quei delatori impazienti

delP indugio domandarono con un libello che la causafosse data da esaminare al Prefetto delle vettovaglie,ciò che loro fu concedalo per amore della celerità. Diqui dunque Massimino avendo materia di nuocere, sfre-nò la naturale ferocia che portava chiusa nel cru*dde suo petto 5 siccome fanno spesse volte le belve nel

P anfiteatro, quando finalmente si rompono i ripariche le tengono chiuse. E disaminandosi variamente amodo quasi di preludii quell’affare, alcuni sotto i tor-menti nominarono parecchii nobili, accusandoli d’averecol mezzo dei loro clienti usati artifizii per nuocere al-trui^ ed anche altri uomini di bassa origine conosciutisiccome rei e delatori. Laonde quel tartareo inquisitore

uscendo de’ suoi giusti confini *, con una maligna re

l Supra plantp m evagatus. Allude a quell’ antico proverbi»ne sulor ultra crepidam.

v

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Aji.doirt.V.l a z i o D e avvertì il Principe, non potersi nè conoscere368 nè punire senza gravi supplizii i perniciosi delitti che

molti avevan commessi in Roma. E l’imperatore a talenotizia infierito, come colui che dei vizii era nemico

piuttosto aspro che severo, con un solo decreto ordi-nò che in quelle cause eh’ egli arbitrariamente ascrisseai delitti* di lesa maestà, fossero, dove ciò bisognasse *sottoposti alla tortura tutti coloro che l’antica giustiziae le disposizioni dei Principi ne dichiararono esenti.E perchè una duplice podestà e sollevata ad un grado

più sublime del solito potesse accumulare maggiori sven-ture , congiunse in quel processo a Massimino provvi-sorio Prefetto di Roma anche il segretario Leone chefu poi Maestro degli officii ; sanguinario ladrone di Pannonia, spirante dal ferino suo ceffo la crudeltà, edavido al pari che Massimino del sangue umano. L’ osti-nata inclinazione di quest1ultimo al nuocere fu au-

mentata dall’ arrivo di tal collega tanto simile a lui edal piacere delle lettere imperiali che lo confermavanonella sua dignità: e però trepidando di gioja parevasaltasse piuttosto che camminare, studiandosi d’imitare» Bramani, i quali dicono alcuni che procedono  fra glialtari sollevati dal suolo. E già suonando le trombe

delle stragi intestine, ed essendo tutti istupiditi dalP atrocità della costoro condotta, fra i molti fatti cru-deli e feroci, dei quali non può raccontarsi nè il nu-mero nè la varietà, fu notabile il fine del causidicoMarino, condannato alla morte senza aver punto disa-minata la fede dei testiuionii che lo accusavano di averosato aspirare con male arti alle nozze di una certa

Ispanilla* Beo ao che alcuni forse di coloro i qualileggeran questi libri, minutamente notando ogni co-sa meneranno gran romore dicendo : Questo fu pri

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LIBRO VENTESIMOTTAVO afa  ma, questo da poi: o che fu tralasciato qualche avveAn/MPEV.nimento veduto da loro ; ma stimo che qui sia da met 308ter fine alla narrazione, perchè non è degno di essereraccontato tutto quello che avviene fra persone di ab-

bietta fortuna; e quando bene ciò fosse necessario, mani-cherebbero per sino ne’ pubblici archivii le istruzioni,colpa delle tante nostre sciagure e di quel nuovo fu-rore che senza ritegno di sorta confuse ogni cosa:sicché quello di che ognuno temeva non «era unprocesso, ma la sospensione di tutti gli affari. Allora

dunque il Senatore Cetego accusato di adulterio morìlasciando sotto la scure la testa; ed Alipio nobile gio-vinetto fu relegato per un leggiero errore; ed altri diumile condizione firiiron di pubblica morte: nelle mi-serie dei quali vedendo ciascuno quasi V immagine delsuo proprio pericolo, tutti sognavano carnéfici e ceppie tenebrose prigioni. In quel tempo medesimo fu agi-

tata anche la causa d’Imezio, personaggio di nobil’in~dole; la qual causa abbiamo trovato che fu di questamaniera. Quando costui resse 1’ Africa in qualità diProconsole diede ai Cartaginesi, già rifiniti dalla man-canza delle vettovaglie, parte del frumento che sitrovava ne’ granai destinati al popolo romano; poco

dopo essendo soprarrivate le messi abbondanti, riposesenza indugio quel tanto che ne aveva tolto : e perchècoi dieci moggi venduti un solido l’uno egli ne avevacomperati poi trenta, mandò il di più del prezzo al1’ erario dell’ Imperatore. Ma Valentiniano sospettandoche non gli fosse stato spedito tutto il profitto di talmercato, lo multò in una parte de’ suoi proprii beni.

À rendere poi più grave quel danno di codest’ uomogli si aggiunse in que’ giorni anche quest’ altro nonmen rovinoso. Amanzio che di que’ tempi era 1’ aru

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An.delPE.V. spice più illustre, tradito da nn delatore segreto <Pes~ ^ sere stato dallo stesso Imezio invitato a far certi sagri

fizii per eseguir poi alcuue opere malvage, fu condottoin giudizio, dove sebbene fosse prostrato sul cavalletto,

negava con ostinata costanza. Ma intanto essendosi re-cate di casa sua alcune carte private, fu trovato unbiglietto scritto di mano d’Imezio che lo pregava af-finchè, scongiurando con sacre cerimonie gli Dei, miti-gasse verso di lui gl’ Imperatori : e sull' ultimo di quelloscritto leggevansi alcune cose contrarie al Principe, co-

me avaro e crudele. Laonde Valentiniano fatto di ciòconsapevole dalla relazione dei giudici eh* esageraronoanche la colpa, ordinò che si procedesse in quella causacon estremo rigore. E perchè Frontino consigliered’ Imezio accusavasi d’ avere cooperato a questa pre-ghiera fu battuto colle verghe, confessò, e fu relegatonella Britannia. Amanzio poi, condannato per capitali

delitti, fu fatto morire. Imezio dopo questa serie di cosefu condotto alla città di Ocriculo 1 per essere esami-nato dal prefetto Ampelio e dal Vicario Massimino ; ementre pareva prossimo all1estrema rovina, essendoglidata podestà di appellare al giusto presidio dell’ Impe-ratore , coperto sotto il nome di lui, uscì sano e salvo

del suo pericolo. Perocché il principe, consultato, com-mise questo affare al Senato, il quale avendolo esami-nato colle norme della giustizia confinò Imezio a Boaluogo della Dalmazia; comunque poi incontrasse gra-vissimo sdegno di Valentiniano adirato del vedere col-pito da clemente sentenza un uomo, al parer suo, giàdestinato alla morte. Per queste e molte altre consi-

mili cose che si vedevano in alcuni pochi, fu comin

i 5o AMMIANO MARCELUNO

i Otricoli.

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LIBRO VENTESIMOTTAVO »5 r

ciato a temersi da tutti un somigliante destino. Volendo An.dr1l’E.V.poi impedire che dissimulando codesti mali e lascian-doli serpeggiare non s’ accrescesse il cumulo delle sven-ture , per decreto della Nobiltà si spedirono alcuni le-

gati ( Pretesco già Prefetto di Roma , P exVicarioVenusto, e Minervio uom consolare ) i quali pregas-sero P Imperatore affinchè i supplizi! non fossero mag-giori dei delitti, nè verun Senatore fosse più sottoposto,con esempio inusitato ed illecito, ai tormenti. Costorointrodotti nel concistorio esposero P ambasciata, e ne-

gando allora Valentiniano di avere ordinato quello diche si lagnavano, e dicendo eh9era calunniato, il Que-store Euprassio lo riprese per bella maniera^ e cosìper questa libertà fu rivocato un crudele comando chesuperava tutti gli esempli di ferocia. Verso que’ giorniLolliano giovinetto di primo pelo e figliuolo delP exPrefetto Lampadio, esaminandosi più accuratamente la

causa da Massimino, fu convinto di avere copiato' il li-bro delle arti malefiche^ e mentre credevasi che peressere in età di consiglio tuttavia immaturo sarebbemandato in esilio senza più, per suggerimento del pa-dre provocò al Principe. Fu quindi ordinato che fossecondotto alla corte} e così passando come suol dirsi

dal fumo alla fiamma, consegnato a Falangio uom con-solare della Betica, cadde miseramente per mano delcarnefice. Oltre costoro furono chiamati in giudizio an-che Tarrazio Basso che fu poi Prefetto della città, esuo fratello Camenio, e un certo Marciano ed Eusafio, tutti personaggi chiarissimi ^ perchè conscii di unostesso veneficio fatori vano P auriga Ànchenio : ma es-

sendo ambigue le prove furono assolti per sentenzadi Vittorino, siccome allora corse la fama, il qualeera amico intrinseco di Massimino. Nè meno degli uo

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An.delPE.V.mini parteciparon le donne a queste calamità: peroc368 cbè ne furono uccise parecchie di alta origine accusate

di adalterii o di stupri. Fra costoro furono celebri prin-cipalmente Claritas e Flaviaua} ad una delle quali, men-

tre era condotta alla morte, furono stracciati di dossogli abiti per modo che non le fu lasciato nè manco diche coprire le parti più ascose : d* onde poi il carnefice convinto d’avere commesso così nefando delitto fuabbruciato vivo. Anche i Senatori Pafio e Cornelio ,convinti amendue di veneficio furono messi a morte

per sentenza dello stesso Massimino. Così fu ucciso an-che il Direttore della zecca. Serico poi ed Asboliogià mentovati (perchè Massimino, sollecitandoli ad ac-cusare chiunque essi volessero, aveva loro promesso chenon li farebbe morire nè di fuoco nè di ferro ) furonouccisi sotto forti colpi dati loro con palle di piombo.Appresso diede alle fiamme P aruspice Campense, non

si trovando rispetto a costui trattenuto da veron giu-ramento. E qui mi pare opportuno di spiegar la ca-gione che spinse precipitosamente in rovina Aginazio,uomo d'antica nobiltà, per quanto ne disse una co-stante tradizione, sebbene intorno a ciò non si abbiaveruna testimonianza di documenti. Massimino pieno

di superbo vento anche quando era soltanto Prefettodelle vettovaglie, avendo trovati non leggieri eccita-menti all* audacia, si spinse fino a dispregiar Probo,uomo principalissimo fra' magistrati maggiori e prepo-sto alle province con autorità di Prefetto del Pretorio.Aginazio mal comportando questa indegna condotta, edolendogli che nell9esame delle cause Massimino gli

fosse stato proposto da Olibrio quando era Vicario diRoma, fece segretamente avvertito Probo, che qualoraegli volesse, potrebbesi di leggieri opprimere quel va

a5a AMMIANO MARCELLINO

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nitoso ricalcitrante ai più ragguardevoli personaggi. Que»An.deirE.V.ste lettere ( come alcuni affermarono ) Probo le spedìa Massimioo senza saputa di verun altro che del pro-caccio; temendolo come persona esperta nelle scellera-

tezze e favorita dal Principe. Quando adunque Massi-mino le lesse s1accese in tanto furore, che da quelpunto cominciò a rivolgere tutte le sue macchinazionicontro Aginazio ; come serpente il quale abbia vedutochi lo calcò. A questo poi si aggiunse un'altra piùforte cagione delle insidie alle quali Aginazio soggiacque.

Perocché incolpava il morto Vittorino (da cui avearicevuti alcuni legati non ispregevoli ) di avere mentrechè visse fatto mercato dei decreti di Massimino; econ ugual petulanza minacciava liti e contese anche allavedova Anepsia. La quale impaurita per fortificarsi an-che del soccorso di Massimino finse che il marito nelsuo testamento gli avesse lasciate tremila libbre di ar-

gento. Ed egli pieno di avidità ( perocché non fu im-mune né pure da questo vizio ) domandò la metà dell’ereditaggio. Poi non contento nè manco di questo,quasi che fosse picciola cosa, ricorse ad un altro par-tito sembratogli onesto e sicuro; e per non perderePoccasione di acquistarsi un ricco patrimonio, domandò

che la figliastra di Vittorino figlia di Anepsia fosse ma-ritata al proprio figliuolo: e col consenso della vedovaciò venne prontamente conchiuso. Con questi ed altrisomiglianti lagrimevoli artifizii che toglievano ognisplendore alla città eterna, quest’ uomo che non si puònominare senza gemito, manometteva le fortune dimolti, oltrepassando i confini della carica a lui com-

messa. Perocché si dice ch’ egli avesse sempre sospesaad un1appartata finestra del Pretorio una cordicella,alla cui estremità aveva appeso qualcosa dove ricevere

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AiukU’E.V.le accuse, che senza essere sostenute da verun testimo*nio traevano poi in rovina molti innocenti *. Qualchevolta mostrava eziandio di cacciarsi di casa Mucianoe Barbaro suoi Apparitori ed espertissimi nell’ ingan-

nare: i quali fingendosi afflitti per le sciagure che liopprimevano, esagerando la crudeltà del giudice, an-davano ripetendo non v’ essere alcun rimedio agli ac-cusati per salvare la vita, fuor quello di avvolgere ingravi processi personaggi illustri ; perchè in società dicostoro potrebbero facilmente essere assolti. Così essen-

do spinta oltre ogni confine la crudeltà, furono costrettein catene le mani di molti, e parecchii nobili si vede-vano andare dimessi e dubbiosi. Nè' alcuno di loro po-trebbe essere chiamato in colpa, poiché mentre così in-curvati quasi toccavano il suolo, sentivano spesso quelferoce ladrone esclamare, che nessuno poteva trovarsiinnocente contro il suo voto. Le quali parole essendo

sollecitamente seguite dalP effetto, avrebbero spaventatianche uomini somiglianti a Numa Pompilio od a Ca-tone. Perocché le cose erano a tale, che gli uomininon potevano cessare di piangere nè pur i mali altrui,ciò che suol pure accadere anche nei più tristi casidella vita. Pur co test’ uomo crudele, che sì di frequente

ri dipartiva dalle leggi e dalla giustizia, per questa solaqualità poteva quasi essere comportato, che qualchevolta, pregato, perdonava ad alcuni: sebbene questa buo-na dote sia vicinissima al vizio come si legge in Tul-lio : Perocché se le ire sono implacabili è somma acerbità; se pieghevoli è somma leggierezza: la quale per 

i Questo luogo è de* più disperati. O si legga quondam ve- Ut tamusam, o quamdam velut clam usam, o quaedam velai clausa, secondochè propone il Valois, non è possibile mai dicavarne un chiaro significato.

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 altro,  comunque sia un maley è da anteporsi aW acerbità.AndeMlV.Finalmente Leone si partì, e Massimino facendo luogo 368ad un successore, fu chiamato alla corte del Principe einnalzato alla Prefettura Pretoriana, dove non fu poi pun-

to più mite del solito, ma nocque anche da lungi come ibasilischi. In questo tempo o poco prima faron vedutefiorire le scope colle quali solevasi nettare la sala incoi congregavasi la nobiltà: indizio che si dovevanosollevare ai gradi eccelsi della podestà alcuni uominidell’ infima condizione. E sebbene sia oramai opportuno

di ripigliare la nostra narrazione, tuttavolta senza con-fondere il corso dei tempi, vogliamo soffermarci a direalcune ingiustizie fatte dai vicePrefetti della città agrado e volontà di Massimino, o da altre persone a luiaderenti, come da tanti Apparitori. Dopo di lui ven-ne Ursicino, uomo propenso a mitezza ; il quale perprocedere cautamente e secondo la legge, avea postoal confronto Esaia ed alcuni altri tenuti prigioni sicco-me adulteri di Rufina moglie dell’ exIntendente Mar-cello, contro al quale poi avevano anche intentata un’ac-cusa di lesa maestà: ma ne fu dispregiato, siccomelento e dubbioso, ed inetto a fortemente eseguir que-ste cose; e però fu dimesso dalla sua carica. A costui

successe Simplicio Emonense, il quale di maestro dilingua era diventato consigliere di Massimino, e ritor-nato dalla provincia sebbene non fosse nè altiero nè super-bo, era pel bieco suo sguardo terribile; e componendo leparole a modestia meditava intanto contro molti acerbeazioni. E primamente condannò Rufina con tutti i reie consapevoli dell9adulterio ; poi altri parecchii senzaveruna distinzione da’ colpevoli agl’ innocenti. Perocchéin quella sanguinolenta gara contendendo con Massi-mino quasi suo antesignano, studiavasi di superarlo

LIBRO VENTESMOTTAVO *55

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An.ilcll’E.V Del prostrare ! nobili casati : imitando l’antico Busiride e Falaride, sicché pareva che gli mancasse sol-tanto il toro di Agrigento. In mezzo a questi ed altriconsimili fatti, una matrona per nome Esychia, la quale

per certa accusa era custodita nella casa deli’ Apparitore, temendo di dover soggiacere a molti e gravi tor-menti, si giltò sopra un materasso di piuma colla fac-cia a quello*rivolta, e, chiuse le nari, si soffocò. Unaltro caso non meno crudele si aggiunse. Eumenio edAbieno, amendue dell1ordine dei Senatori, accusati sotto

Massimino di tresche con Fausiana, donna d’alta con-dizione , dopo la morte di Vittorino ( pel cui favoreerano usciti salvi di quel processo ) spaventati dall’ ar-rivo di Simplicio, e dalle crudeltà a cui si mostravainclinato, si ritrassero a luoghi nascosti. Condannatapoi Fausiana, e perciò annoverati fra’ rei e chiamati,si nascosero in luoghi più riposti : ed Abiéno si tenne

lungamente celato presso Anepsia. Ma come soglionopoi spesse volte inopinati accidenti aggravare le avversefortune, un servo di Anepsia per nome Apaudulo , af-flitto del vedersi battuta la moglie dalla padrona, usci dinotte tempo e ne diede contezza a Simplicio*, e questiavendo spediti alcuni Apparitori fece trar fuori Abieno

de’ suoi nascondigli. Il quale poi, accusato di stupro conAnepsia fu punito colia morte : e la donna sperando coldilazionare il supplizio di assicurarsi la vita, affermavadi avére in forza di male arti patita violenza nella casadi Aginazio. Di queste cose Simplicio diede notizia all’Imperatore appo il quale trovandosi Massimino,infesto per la cagione già detta ad Aginazio, ora che

insiem col potere gli era cresciuto l’odio,.pregò istan

»56 AMMIANO MARCELLINO

i II testo ha : mugilus ad Principem SimpUcUts relulii.

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temente affinchè fosse ordinato di ucciderlo; e maligno An.delPE.V.e potente com’era l’ottenne senza difficoltà. Temendo 368però il peso di una troppo grave invidia, qualora unuomo di stirpe patrizia *perisse per sentenza di Simpli-

cio suo consigliere ed amico, tenne alcun poco pressodi sè il rescritto imperiale, e pensava seco medesimocome potesse trovare un esecutore fidato e capace diquell’atroce disegno. Alla fine poi, perchè i simili so-gliono facilmente accostarsi coi simili, gli venne tro*vato un certo Doriforiano, Gallo di nazione, ed audace

fino alla pazzia. Promettendo costui di eseguire quellasentenza, Massimino fece sì che gli fosse affidata nnaVicarìa, e gli consegnò la lettera di nomina insiemecol rescritto di Augusto : ammonendo poi quell’ uomoferoce ma rozzo, di spacciare senza indugio di sorta Agi-nazio; perchè se costui trovasse modo di differite potreb-be forse scamparne. Doriforiano allora affrettossi com’ eragli imposto alla volta di  Roma; e fin dal principiodella sua amministrazione cominciò a indagare congrande attenzione come potesse, non ajutandolo alcu-no , toglier di vita un Senatore d’ illustre prosapia. Sa-puto poi ch’egli s’ era già prima trovato in una suavilla e che quivi era custodito, deliberò d’ interrogare

e Abieno stesso come capo dei colpevoli ed anche Anep-sia a mezzo il corso della notte, nel qual tempo lementi soglion essere da terrori istupidite; ciò che frale innumerevoli altre cose c* insegna anche l’omericoAjace, desiderando di morire nella luce piuttostochènella notte che ne raddoppia l’orrore colla sua oscu-rità l . E siccome quel giudice, anzi quel nefario la-drone, intento solo a compiere ciò che aveva promes

LIBRO VENTESIMOTTAVO a57

i II. x v i i , v . 4 5 cc.

MARCELLIN O , 11 *7

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An.dHr&V.so, io ogni cosa eccedeva, fattosi trarre innanzi Agi368 nazio, ordinò ch’entrasse nella stanza una schiera di

carnefici : e in mezzo al lugubre suono delle catene fecetormentare fino alla morte i servi già rifiniti da lungo

squallore, affinchè deponessero contro il proprio padro-ne; ciò che le leggi clementi vietarono fin anco neiprocessi di stupro. All’ ultimo avendo i tormenti quasimortali strappate alcune dubbie parole dalla bocca diuna schiava, senza esaminar più che tanto qual fede queltestimonio si meritasse, pronunciò che Aginazio fosse

immantinente condotto al supplizio; e per quanto egliinvocasse ad alta voce i nomi dei Principi, fu strasci-nato alla morte : poi fu uccisa in ugual maniera ancheAnepsia. Queste cose fece Massimino, parte mentreegli stesso trovavasi in Roma, parte quando n’ era lon-tano per mezzo di sue creature; di che la città eternaebbe a deplorar molte morti. Ma le ultime impreca-

zioni degli uccisi furono poi presto esaudite. Imperoc-ché Massimino stesso, come racconteremo a suo luo-go *, levatosi in troppa superbia, morì di ferro sottoGraziano; ed a SimplicioT fu tagliata la testa nell’ IUiria. Doriforiano condannato nel capo, e gittato nelcarcere Tulliano, ne fu poi tratto dal Principe per

consiglio della madre; ma ritornato a’suoi paesi morìin mezzo a gravissimi patimenti. Questo era lo statodella città : ora torneremo colà d’ onde siamo digressi.

A». dell’E. V. II* Valentiniano volgendo nell’animo cose grandi edutili fortificava tutto il Reno a di lungo, da dove na-sce nelle Rezie fino allo stretto del mare , alzando

i L'Autore si è poi dimenticato di questa promessa, co*munque nel Lib. fcxix, c. 3 e 6 jparti di nuovo di Massimi-no. Il Valois ci fa sapere che cpsìui mori nel 3 7 6 .

*58 AMMIANO MARCELLINO

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maggiori campi e castelli e numerose torri, dovunqueAn.delTE.T.fossero luoghi opportuni, in quello spazio che lambe le 369Gallie : e pose di quando in quando alcuni edifizii al

di là del fiume dov’ esso rade i confini dei barbari. Fi-nalmente pensando che un ragguardevol castello, fondatoda lui nel principio del sno imperio sul fiume Nicro, potrebb’ essere a poco a poco rovesciato dal forte urtaredelle onde, deliberò di volgere altrove la corrente: echiamati a sè uomini periti nelle scienze di regolare leacque, con un gran numero di soldati si accinse a quel

l’ardua impresa. Per molti giorni si attese a ja r canalicon legno di quercia, i quali poi piantati nel fiume esostenuti da forti pali erano nondimeno coperti dalP onde rigonfie, e strascinati via ». Vinsero alla fine lagran diligenza delP Imperatore e la fatica delP ubbi-diente soldatesca ch^ lavorava spesse volte colP acqua

in. sino al mento ; ed alP ultimo ( sebbene non senzaperdita di alcuni uomini ) questa fortezza, liberata daltimore del fiume che andava ad urtarvi, si è.fatta va-lida e sicura. Sicché poi lieto ed esultante, nel rima-nente di quella stagione rivolse il pensiero alla Repub-blica , come si conveniva alP uficio di buon Principe :ed essendosi persuaso che a’ suoi disegni sarebbe op-portunissimo il costruire un forte al di là del Reno n e l

monte di Piri, territorio dei barbari, a questo subi-tamente si accinse. Ed affinchè la celerità assicurasseP impresa ammonì per mezzo di Siagrio ( allora Se-gretario di Stato e poscia Prefetto e Console ) il go-vernatore Aratore, che mentre non se n’era per anco

vociferato, procacciasse di effettuar quel pensiero. Ara-tore , secondochè gli era imposto, valicò subito il

LIBRO VENTESIMOTTAVO a59

i Cosi il Valois ha emendato questo pe riodo.

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Àn.deirE.V. fiume insieme col Segretario} è mentre avea comin369 ciato a far iscavare le fondamenta da9soldati seco con-

dotti , gli soprarrivò Ermogene suo successore : e nelmedesimo punto giunsero alcuni Alamanni, padri di

quegli ostaggi eh’ erano presso di noi siccome impor-tantissimi pegni dei patti conchiusi e della durevolepace. Costoro postisi ginocchioni supplicavano che iRomani mal provvedendo al loro proprio vantaggiodopo avere coll’ osservanza della buona fede accostata lapropria fortuna al cielo, non si lasciassero ingannare da

un pessimo errore, nè conculcando i patti tentasserocosa indegna di loro. Ma queste ed altre consimili cosefurono dette indarno } e poiché videro di non essereascoltati, e s’ accorsero che non potrebbero impetrareniuna mite risposta, partironsi deplorando la .perditadei figliuoli. Ma subito dopo sbutò poi da un agguato,posto di dietro al colle vicino, una banda di barbari,

stati (per quello che si congettura) aspettando qualerisposta daremmo ai loro capi ; e assaliti i nostri cosìcom’erano mezzo inermi ed occupati nel trasportar ter-ra, menando prestamente le spade, li uccisero. Perironoin quella fazione anche due dei nostri capitani, nè so-pravvisse se non solamente Siagrio a portare la no-

tizia di quell’ infortunio. Il quale poiché, morti tuttiquanti i suoi, ritornò alla corte ? fu dimesso dal suogrado per sentenza del Principe irritato^ e si ritirò aisuoi lari, essendosi con severo giudizio stimato degnodi tal castigo, perchè egli solo si era salvato. Frattantouna rabbia feroce di ladronecci sfrena vasi nelle Gallie courovina di molti, assediando parecchj le vie più frequen-

tate per gittarsi poi sopra tutto quello che loro si pre-sentava di utile. E fra gli altri molti che furono uccisi perqueste insidie v’ ebbe anche lo scudiero Costanziano,

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LIBRO VENTESIMOTTAVO a6i

assalito improvvisamente e ammazzato, il quale era pa An.dHPR.V.rente di Valentiniano, e cugino di Cereale e di Giù ^  stina. Anche in luoghi lontani, come se le Furie su-scitassero per ogni dove siffatti mali, scorrevano de-

predando alcuni pessimi Maratocupreni 1, abitanti unborgo di cotal nome nella Siria presso Apamia, e nu-merosi non meno che ricchi di astutissimi inganni. Ederano assai temuti, perchè sotto P aspetto di rnercadanti o di officiali r diffondendosi senza strepito alcuno,mettevano a ruba ricche case e villaggi e città. Nè a1

cuno poteva assicurarsi dai loro improvvisi assalti ;perchè non irrompevano in luoghi determinati, ma insiti varii e distanti gli uni dagli altri, dovunque il casoli conduceva. Per somigliante cagione sopra gli altrinemici siamo soliti paventare i Sassoni che nei loromovimenti sono sì repentini. *Ma sebbene que’ barbaridistruggessero le sostanze di molti, e come invasati

da maniaco furore menassero mortifere stragi, mostran-dosi però sempre avidi di sangue ancor più che di pre-de ; io. nondimeno per evitare che una troppo minutanarrazione non rompa il corso dell’ opera alla quale misono accinto, registrerò *qui uno solo dei loro esiziali artifizii. Una compagnia di questi scellerati raccol*

tasi insieme per modo da rappresentare P ufficio del pub-blico ricevitore e del Governatore ben anco della provin-cia, sul primo annottarti entrarono nella città mandandosiinnanzi un banditore che lugubremente gridava, e as-sediarono colle spade alla mano la sontuosa casa di unodei principali cittadini, come d’uomo proscritto éi giàcondannato alla morte : ed avendone rapita ogni sup

i Non è certa questa lezione. Trovasi anche Moratocupreni >Cupreni e CupienL

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Àn.ddPE.V.pellettile preziosa (perocché i servi storditi dall9im369 provviso assalimento non difesero il proprio padrone),

prima che tornasse la luce, a gran fretta partironsi. Mafilialmente poi quando già eran pieni delle spoglie di

molti, e allettati dalla dolcezza del rapire non lascia-vano nulla d’intatto, sfolgorati da un editto imperialemorirono tutti fino all’ ultimo : ed anche la loro figliuolanza, comunque ancor tenera, fu distrutta, affinchénon imitasse, crescendo, gli esempj dei padri ; e ro-vesciarono le loro case riccamente costrutte col danno

e colla morte degli altri. Queste sono le cose avvenute.III. Teodosio poi, capitano d’inclito nome, partitosida Augusta coll’ animo tutto pieno di ardire e con unesercito diligentemente raccolto, portò un grandissimo soccorso alla pericolante fortuna dei Britanni; preoccu-pando tutti i luoghi opportuni per tendere insidie aibarbari, e non comandando mai cosa alcuna a’ sem-plici soldati di cui egli medesimo con pronto animo nondesse loro 1’ esempio. E cosi adempiendo insieme gliufici di valoroso soldato e di preclaro capitano, vinsee disperse parecchie genti cui l’impunità nodrice del-l’ insolenza infiammava ad assalire i romani confini; e«istaurò alcune città e fortezze fondate per essere lun-

gamente difesa e tranquillità dell’ imperio, ma nondi-meno percosse allora da moltiplici danni. Mentre poich’egli cosi comportavasi avvenne un crudel caso e dariuscire a grave pericolo se non fosse stato estinto nelsuo cominciare. Ud certo Valentino, nativo di Valeriaù* Pannonia, uomo d’indole superba e cognato di quelsanguinario Massimino che allora era Vicario e poi fuPrefetto, essendo per un grave delitto mandato esulenella Brittania, quivi intollerante della quiete, comebelva malefica meditava perniciosi consigli e novità ;

i6a AMMIANO MARCELLINO

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arrovellandosi principalmente contro Teodosio, perchèÀn.deirE.V.ben conosceva eh9egli solo poteva fare contrasto a’ suoi ^malvagi consigli. Meditando adunque più cose e in se-greto e all’aperta, e crescendoognora più l’impeto del

P immensa sua cupidigia sollecitava gli esuli ed i solda-ti, promettendo loro, secondochè suggerìvangti le cir-costanze, lusinghiere ricompense a quanto farebbero.Ma essendo già presso a colorire i suoi disegni, Teodo-sio informato di ogni cosa siccome uomo coraggiósoin ogni impresa, inanimatosi alla vendetta di quanto

aveva «coperto, commise al capitano ì)ulcizio di sot-toporre a pena capitale Valentino con pochi altri 'suolintimi: poi per la militare perizia in coi superaratutti gli altri congetturando il futuro, proibì ogni,pro-cesso de’ congiurati, per impedire che diObndendotfr lospavento fra molti, non si ridestassero le turbolenzeigiàsopite delle province. Rivoltosi poscia a correggere molte

cose alle quali era necessario di metter compenso, toltoogni pericolo, e vedendosi manifesto che la fortunapropizia non era mancata a nessuna delle stìe imprese,si diede a riedificare le città e i castelli dar guarnigione,e con campi e con militari stazioni difendeva le fron-tiere : e così rimise nello stato di prima quella provin-

cia caduta io man dei nemici e da lui ricuperala sic-ché poi per proposta di lui medesimo 1 ebbe un gorveraatore legittimo} e fu chiamata Valenzia come de-siderò il Principe che ne menò una specie di trionfoRimosse poi dalle loro stazioni gli Areani, antica gente'di cui parlammo nella storia di Costante, ma diventata

i Eodem referente. Il Wagner traduce; Sicché a lai, come a ristaurtUore * debbesi saper grado se ec. .  Del resto non èmaraviglia se in un passo visibilmente guasto gl* interpreti nonsono d* accordo.

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An.HrlPE.V.a poco a poco viziosa, ed apertamente convinta d’averetalvolta manifestate ai nemici le cose nostre, allettatadalla grandezza dei premii che le furono dati o pro-messi. Perocché questo invece era l’uficio loro, di cor-

rere qua e là lungo le frontiere per annunciare ai go-vernatori delle nostre province i movimenti delle ne-miche nazioni. Così Teodosio divenuto chiarissimo perqueste ed altre consimili cose si ricondusse alla Corte; fi lasciando quelle province eh’ egli avea ristaurate, so-migliava nello splendore delle sue molte e salutari vit-

torie, a Furio Camillo od a Papirio Cursore. Accom-pagnato con gran favore di tutti sino allo stretto, passòcon vento propizio il mare, e venne alla stazione del-l’imperatore da cui fu ricevuto con gaudio é*con lodi;e suetesse in luogo di Valente Giovino, generale dotta

 /cavalleria.IV. Dopo essermi lungamente taciuto sulle cose in-

terne, perchè la moltitudine delle cose avvenute al difuor} me ne distraeva, ritorno presentemente ad esse,cominciando dalla Prefettura di Olibrio tranquillissi-ma e mite. Costui, non distogliendosi mai da’ precettidell’umanità cercava con ogni diligenza e sollecitudineche niun suo fatto, niuna sua parola potesse riuscir.

aspra : fu severo persecutore delle calunnie : limitò.per quanto era in lui i guadagni del fisco; On^rò i giusti, e fu temperato verso i soggetti. Tutte le qualivirtù eran per altro annebbiate da un vizio, poco nocevole per vero dire allo Stato, ma notabile nondimeno.in un gran magistrato ; ciò fu che il suo viver privatoconsumavasi quasi tutto nei divertimenti del teatro e

in amori, non però mai nè vietati nè incestuosi. Dopocostui governò la città Ampelio, cupido ancor egli deipiaceri. Era nativo di Antiochia, e di Maestro degli

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LIBRO VENTESIMOTTAVO *65 ,

efficii era stato eletto console due volte, e molto piùAn.drirE.V,tardi fu sollevato al sommo grado della Prefettura: nomo ^acconcissimo a guadagnarsi il favore del popolo, matalvolta poi severo. E tale fosse stato sempre chè avreb-

be corrette almeno in parte le attrattive della gola,e i sosti piaceri} purché declinando poi egli medesimoalla mollezza, non avesse perduta una gloria che potevadurar lungamente. Egli avea stabilito che le taverne nonsi aprissero innanzi alla quarta ora del giorno l che ninnuomo del volgo usasse acqua calda ; che fino ad una cer

t’ora determinata non si esponesse carne cotta per es-sere venduta; che nessun uomo gentile fosse veduto man-giare pubblicamente. I quali vizii ed altri più gravi diquesti, per la dissimulazione de1magistrati, eran cresciutia tanto, che nemmanco il cretese Epimenide 1se fossestato possibile di richiamarlo (come fingon le favole)in vita, sarebbe bastato da solo a purgare la nostra

città: tanta sozzura d’insanabili vizii opprimeva granparte degli abitanti 1 Noi diremo prima i difetti dellanobiltà, come abbiam fatto qualche altra volta dove cvparve opportuno; poi quelli della plebe; stringendoper altro ógni cosa in una breve digressione. Alcunitenendosi illustri per la celebrità dei cognomi, superbi*

scono immensamente d’esser chiamati Reburri, Fabunii, Pagonii, Gerioni, Dalii, Tarracii e Perrasii, o conaltri nomi ricordanti antiche origini illustri. Ad alcunialtri rifulgenti di seriche vesti, come se fosser condottialla morte, o ( per* evitare ogni acerbo augurio ) comese guidassero un esercito, tien dietro con grande fra-casso una caterva di schiavi. Quando'alcuno di costoro

i Costui fu celebre pe’ segreti espiatori), e per la lungasua vita.

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An.deIPE.V* accompagnato da ben cinquanta servi entra nel luogo 1369 dei bagni, lassi di subito a gridare minacciosamente :

Olà, dove sono le mie genti ? Se poi veggono compa-rirsi d’innanzi servi non conosciuti, o qualche mere-

trice dell’ infialar plebe , o vecchia lupa consumata dalvizio, corrono a gara, e corteggiando la forestiera conturpi adulazioni, la vengono sublimando come Semira-mide fra i Parti, o Cleopatra in Egitto, o Artemisianella Carja, o Zenobia fra i Palmireni. E questo fannocoloro presso i cui avi fu colpito da censorio rimpro-

vero nn Senatore, perchè osò sconvenevolmente baciarela moglie al cospetto della comune figliuola a. Quandoalcuni di costoro cominciano a salutarsi declinano aguisa di minacciosi tori le teste sporgendole perchè sia-no baciate ; agli altri poi che loro fanno la corte pre-sentano le ginocchia o le mani da baciare, stimandoche tanto lor basti a vivere beatamente* Si credonodi essere abbondevolmente gentili collo straniero ( quan-d’anche ne abbiano ricevuto qualche beneficio) doman-dandogli di quali bagni o di quali acque si vale, ovveroin quale casa abbia pigliata dimora. E mentre si ten-gono uomini gravi e cultori delle virtù, qualora sen-tano annunciare da chi che sia, che arrivano da qual-

che parte cavalli o cocchieri, subitamente corrono peressi, e guardano ed esaminano con quella attenzionecon cui i loro maggiori accorsero ai fratelli Tindaridi,allorché annunciando essi pei primi le riportate vitto*rie, empierono ogni cosa di gaudio. Alcuni oziosi ciar-lieri frequentano le costoro case^ plaudendo con varie

1  Tholos inlroierint bàlnearunu Chiamavasi poi Thoìos (ScKo; ) un edificio rotondo e con volta.

2 Costui fu Marailio, e lo escluse il Censore Catone.

*66 AMMIANO MARCELLINO

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adulazioni ad ogni parola pronunciata da questi vani An.deirE.V.tosi ; simili in tutto ai parassiti dello commedie «. Pe 369rocchè siccome sul teatro si veggono talvolta gonfiareboriosi soldati, recando a loro, come ad emoli degli

eroi, assedii di città, e battaglie, e migliaja di nemicidis&tti; cosi costoro, ammirando con fronte alzata lefile delle colonne, e le pareti rilucenti pei colori deimarmi intersecati, sublimano que1nobili cittadini aldi sopra dell7umana condizione. Talvolta in mezzoai banchetti si cercano le bilance per pesare i pe-

sci, gli uccelli e i ghiri imbanditi; dei quali vannomagnificando ( non senza tedio de9convitati ) assidua-mente l’ enormità, come maggior dell’ usato; e beatrenta notaj 3 stanno all’ intorno colle tavolette e coglistili per registrare le vivande servite, sicché pare chemanchi soltanto un maestro di scuola. V* ha chi, dete-stando le scienze come il veleno, legge con grande studioGiovenale e Mario Massimo, nè mai nel profondo loroozio toccano altri volumi, fuor questi: di che non siappartiene a noi ricercar la cagione. Pure considerandola loro gloria e la loro schiatta dovrebbono leggere as-sai più; e imparare come Socrate condannato e cac-ciato in prigione pregò un tale che maestrevolmente

cantava nna poesia di Stesicoro d’ insegnarla a lui purementre che ne aveva ancor tempo : e domandandoloil musico quale utilità ne sperasse egli già destinato amorire nel di susseguente, rispose: Di uscir di vita

1 Parasitorum in comoediis. . . aetas affidando.a  Notarii. Il Wagner traduce  Hungerleider, ed al mio pa-

rere ha indovinata 1*intenzione dell’ autore. Questi notaj o segretarii non sono altro alla fine che i convitati stessi, i qualiper saziare alle altrui spese la lame, non si vergognano diqoalsivoglia viltà.

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AfLddPE.V. sapendo qualcòsa di più. Sono poi fra costoro alcuni^ pochi tanto severi castigatori dei delitti, che se il ser-

vo porta loro l’ acqua calda più tardi che non vorreb-bero, comandano che sia punito con trecento colpi di

verghe: ma questi medesimi poi, se il servo avrà uc-ciso un uomo deliberatamente, e molti gli farannoistanza perchè il reo sia condannato, rispondono : Che cosa dobbiamo aspettarci da un uomo cattivo >infame e malvagio ? se qualchedun altro però sarà ardito di 

 fare altrettanto sarà castigato. Questa poi è la civiltà

d’ oggidì che i nostri perdonano al forestiero di avereucciso un loro fratello, piuttostochè di mancare albanchetto a cui lo abbiano invitato: e un Senatorevorrebbe piuttosto perdere il patrimonio, che vedersimancare colui, cui egli dopo mature considerazioni ab-bia invitato pur una volta. Alcuni di costoro se vannoalcun poco lontano a visitare le proprie campagne, o

se assistono ad una caccia, o se in barchette dipintenavigano sul lago d’Averno fino a Puteoli od a Cajeta, principalmente se a tanto si arrischiano nellà caldastagione, s’ immaginano di avere agguagliati i viaggi diAlessandro Magno o di Cesare. Se una mosca si ponesulle auree frange de1serici loro ventagli, o se un sot

til raggio di sole penetra per qualche foro del padi-glione sospeso, si dolgono di non essere nati presso icimmerii. Finalmente poi quando ritornano dal bagnodi Silvano o dalle acque salutifere di Mammea, dopoessersi asciugati, uscendo, con sottilissimi lini, aperte lesoppresse , esplorano i loro candidi abiti allo splendordella luce ( e ne portano seco quanti potrebbono ba-

stare a vestire undici uomini ), e quando alla fine nehanno scelti alcuni, vi si ravvolgono e partonsi ; nondimenticando però di ridomandare gli anelli dal servo a

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cui li bau consegnali perchè P umidità non li guastasse, An.de)PE.V.e di porseli ciascuno sul dito suo destinato. Se poi ^qualcuno di costoro uscito di fresco della milizia delP Imperatore se n’ è tornato a’ suoi lari 1 . . . . Al-

cuni , comunque pochi, fuggendo il nome di giuocatoriarrischiati, desiderano invece di esser detti giuocatoridi dadi; fra i quali intercede la stessa differenza chefra rubatori e ladri. Questo peraltro si vuol confessare,che mentre ogni amicizia è tiepida in Roma, sono du-revoli soltanto quelle che si stringon nel giuoco; co-

me se fossero acquistate con gloriosi sudori, e stabil-mente congiunte da grande affetto : d’onde alcnni dicotestoro sono tanto concordi che li stimèresti i fra-telli Quintilii *. Però si vede talvolta un uomo ignobile,ma valente in tutti i segreti del giuoco dei dadi, an-darne grave ed afflitto più che Porcio Catone quandocontro ogni sua credenza fu escluso dalla Pretura, per-chè in un qualche grande convito o consesso gli saràstato preposto nn uom consolare. Altri assediano i ric-chi cittadini, vecchi o giovani, orbi e celibi o conmoglie e figliuoli ( chè in questo non si fa differenzadi sorta ), per allettarli con mirabili artifizii a far te-stamento in loro vantaggio; i quali poi quando colP ul-

tima loro volontà ban destinata ogni cosa a costoro,muojono subitamente, come se la morte fosse stataaspettando il compimento di questa cosa . . . . Un al

• t r o , sebbene sia uomo dii mediocre dignità, passeggiacon tumida fronte e guarda con lì torvo cipiglio i suoi

1 Nel lesto si legge: aut provectibus, talipraesente... irio. ..

lena pnaesul existimatur : celeri taciturni audiunt dieta . . . solus  patafamiUas tectus narrans aliena et placai tia rejbretis et utile  pleraque fallendo.

a Di costoro V. Tacilo, SL lib. iv.

LIBRO VENTESIMOTTAVO 269 '

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Àn.<l<lPE.V. antichi conoscenti, che lo stimeresti M. Marcello quando369 tornò dall’avere espugnata Siracusa. Molti di costoro 

negando che  yf abbiano in cielo podestà superiori nonescono in pubblico, nè pranzano, nè stimano di po«

tersi lavare con sicurtà, se boo abbiano prima consul-tata scrupolosamente l’ effemeride per sapere dove sitrovi, a cagione di esempio, il segno di Mercurio, oquanti gradi del Cancro occupi la Luna nel suo viag-gio pel cielo. Un altro se vede che il suo creditore glidomanda con istanza il danaro eh’esso gli deve, ricorre

a un cocchiere avvezzo ad ogni sfrontata ribalderia,e fa in modo che sia accusato come reo di prestigi :d’ onde poi* non può liberarsi se non se restituendo ilchirografo, e con grave e dannoso dispendio. A questosi aggiunge che qualche volta imprigionasi come verodebitore chi tale si è confessato costretto da maggiorforza; nè può uscirne senza pagare ciò che non deve.Da una parte la moglie battendo, siccome dice l’anticoproverbio, continuamente la stessa incudine induce ilmarito a far testamento ; dall’ altra il marito incalza

"costantemente la moglie allo stesso fine; e d’ambo ilati si chiamano persone pratiche nelle leggi, 1’ unanella stanza, l’ altro nella sala del pranzo per trattare

contrarie pretensioni: ed a costoro si uniscono gl’ in*terpreti delle viscere animali sempre discordi fra loro,i quali promettono a larga mano le Prefetture, e pre-dicono i funerali delle ricche matrone , e consigliano ditenere apparecchiato quanto può essere necessario nellamorte dei mariti eh’ essi annunciano come imminente

1 II testo qui dice : et testatura. . . anciUas suapte natura  pallidi aspirati pridie consumpta defùncta . . • um Romaquc : ut  Tullius ail : ec. .

a7o AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMOTTAVO 271

Costoro , come dice Tallio:  Non conoscono verun bene An.d«4rE.V.al mondo , se non V interesse } e fr a gli amici, non 369altrimenti che se fossero pecore 9 amano principalmente quelli dai quali sperano di poter trarre maggior frutto .Quaodo cercano qualche mutuo ti parrebbero tutti Miconi e Lacheti da commedia; quando poi sono chia-mati a restituire, si presentano così altieri e superbicome gli Eraclidi Cresfonte e Temeno 1. — Fin qui ,del Senato: ora passiamo all1oziosa ed inerte plebe,nella quale risplendono per nomi distinti alcuni che

non hauno nè manco scarpe in piedi, come a dire iCimessori, gli Statari, i Semicupi e i Serapini, e Cimbriéo e Gluturino e Trulla e Lucanico e Pòrdaca eSalsula ed altri innumerevoli di tal fatta. Costoro con»sacrano tutto il tempo che vivono al vino, ai dadi,al bordello, ai piaceri, al teatro; e il Circo massimoè a loro e tempio e abitazione e assemblea e fine ulti-mo di tutte le loro speranze. E puoi vedere nei mer-cati , nei trivii e sulle piazze ragunanze e circoli di talgenia, dove altercan fra loro parteggiando, come suoleavvenire, chi per Puno e chi per l’altro. Fra i qualii più vecchj ehe prevalgon sugli altri per una lungaautorità, gridano spesso e ne attestano i loro bianchi

capegli e le rughe, che la repubblica non può sussi-stere se nella prossima gara un cotal auriga pel qualeessi parteggiano non esce il primo delle carceri, enon passa, correndo, colla quadriga rasente la meta a.

1 I primi sono nomi di senti nelle comnrfedie antiche. Gli al-tri appartengooo alta storia eroica.

a Et funalibus equis parum coherenler circumjlexei'it metam .*così il testo , secondo le emendazioni del Valois. Equi funaìts erano quelli che stavano o ai fianchi o dinanzi ai jugales, vaiquanto dire a quei del timone. Nelle descrizioni di questi an

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27 a AMMIANO MARCELLINOAn.dell’E.V. la metto poi a cotanta disoccupazione quando spunta

il desiderato giorno dei giuochi equestri, prima che ilSole spieghi intieramente i suoi raggi, tutti traggonoprecipitosi all9arena per modo da vincere nella velocità

anche i cocchj destinati a gareggiare nel corso : e di-visi in fazioni sul futuro evento, molti di essi consumanonelle veglie e nell’ ansia le notti. Se poi si viene allaviltà del teatro, gli strioni ne sono cacciati da fischjse a forza di denaro non si guadagnarono la bassaplebe. La quale quando siano cessati gli strepiti del

teatro, imitando gli abitatori della Taurica, grida che sidebbono cacciar via gli stranieri ( nel cui sussidio per-altro si fondò sempre e si mantenne) con tetre voci edassurde: dilungandosi grandemente dal pensare e dalla

. volontà di quelP antica plebe di cui la tradizione ci haconservati molti detti faceti e graziosi. Cotesti uominipoi così dati al parlare hanno inventata questa maniera

di lode eh’ i la maggiore di tutte, cioè che in ognispettacolo al cacciatore, all1auriga e ad ogni maniera >d’ istrioni, ed ai magistrati sommi del pari che aiminimi, ed anche alle matrone, ed a chiunque in-somma apparisce per l’ultimo gridano:  Da te impari: ma che cosa poi debba impararsi nessuno se ne chia-

risce. Molti servendo solo al desiderio d" empiere ilventre seguitano P odore delle vivande e le acutevoci di quelle donnicciuole le quali sin dal captare deigalli vanno intorno gridando a guisa di pavoni; poi sullapunta de’ piedi intromettonsi nelle sale dei ricchi ro-dendosi le unghie* intanto che le pietanze raffreddano:altri guardano sì fissamente la schiuma della carne schi

tichi spetlacoli trovasi accennata 1*arte eoo cui i cocchieri ma*raggiavano specialmente questi cavalli fiutati.

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fosa nel cuocersi , che tu crederesti di vedere Demo Àn.delPE.V.. . . 36q

erito intento a studiare co7suoi anatomici la configurazione degli animali per insegnare alla posterità comesi possan curare le interne malattie. Ma ciò basti delle

cose della città: volgiamoci ora ai varii accidenti delleprovince.

V. Sotto il terzo consolato degl’ imperatori uscì fuori An.d<*irE.una moltitudine di Sassoni, la quale superate le ditti 3,0colta dell’oceano, a gran passo avviavasi contro le fron-tiere romane, pascolandosi spesso nelle stragi dei no-

stri. Il primo impeto di costoro lo sostenne il ConteNanneno preposto a quelle regioni, e condottiero dieserciti lungamente sperimentato. Ma venuto alle manicon quella plebe deliberata di morire, dopo avere veduticadere parecchi de’ suoi, trovandosi ferito e incapace asostenere le molte imminenti battaglie , diede contezzaall’ Imperatore del frangente in cui era, ed ottenne che

gli fosse mandato in soccorso il Maestro dei fanti Se-vero. Il quale venuto colà alla testa di un esercito suf-ficiente all’ impresa, appena ebbe schierati i suoi, senzavenire alle mani, atterrì i barbari per modo che nonosaron nem manco ordinarseli incontro; ma colpiti dallosplendore delle insegue e delle aquile, domandarono sup-

plicando la pace. Dopo lunga e varia considerazione,parendo che la proposta fosse vantaggiosa alla Repub-blica, fu pattuita la tregua; e i Sassoni dopo avernesomministrati, secondo eh’ erasi stabilito, molti de’ lorogiovani esperti nella professione delle armi, ottennerola permissione di ritornare senza impedimento di sortaa que’ luoghi dai quali erano venuti. A costoro poi che

ne andavano senza sospetti fu teso occultamente unagguato di fanti in una valle appartata dove potevansifacilmente assalire nel loro passaggio : sebbene la cosa

HAltCELLlNO, li l 8

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An.«wrE.V. successe molto diversamente da quello che si credeva.Perocché alcuni degli appostati avendo sentito lo stre-pito dei Sassoni che s’accostavano , balzarono fuori in-tempestivamente ; i quali scoperti nel mentre che si

ordinavano e spaventati dalle grida dei barbari, si vol-sero in fuga. Ben presto per altro si raccozzarono in-sieme, e apparecchiaronsi di combattere, come volevaF estrema necessità nella quale trovavansi : ma pochi edeboli sarebbero quivi rimasti fino all’ ultimo uccisi,se uno stuolo di corazzieri a cavallo, appostato in un'al-

tra svolta della strada per assaltare di nuovo i barbarinel loro passaggio, avendo sentito il lugubre grido nonfossero accorsi in sussidio dei nostri. Allora si vennepiù acremente alle prese ; e i Romani avendo ripigliatocoraggio, e chiudendo da una parte e dall’altra la viaai nemici, li misero a filo di spada : sicché nessuno diloro potè rivedere i suoi nativi paesi, perchè nè pur

uno sopravvisse alla strage de’ suoi compagni. E sebbenechi giudica rettamente accuserà questo fatto siccomesleale e vituperoso; tuttavolta ben ponderata la cosanon si sdegnerà che fiualmente, colto il buon destro,sia stata distrutta quella dannosa compagnia di ladro-ni. Dopo questi sì prosperi avvenimenti, Valentiniano

agitando varii pensieri trovavasi in grandi inquietezze,pensando seco medesimo e considerando come potessefiaccar la superbia degli Alamanni e del Re Macriano,i quali senza fine o misura perturbavano la romanarepubblica. Perocché quella feroce nazione, sebbene giàfino ab antico sia stata da molti casi spossata, nondi-meno cresce sì rapidamente e per modo , che la giu-

dicheresti da molti secoli intatta. Però dopo varie opi-nioni piacque all9Imperatore che si eccitassero ai dannidi questa gente, i Borgognoni, popolo bellicoso e ricco

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LIBRO VENTESIMOTTAVO a75di gagliarda gioventù; e perciò terribile a tutti i viAn.deHTLV.cini. Scriveva pertanto frequentemente, per mezzo dialcuni segreti e fidati messaggi, ai Re di quella nazio-ne ,• acciocché ad un certo tempo prestabilito assaltassero

gli Alamanni, promettendo ch’egli medesimo poi, pas*sato il Reno cogli eserciti romani, darebbe addossoai nemici in quella cbe, spaventati dal subito assalto,cercherebbero la salvezza nella fuga. Queste lettere dell’imperatore giunsero per doppia cagione gradite: pri-ma perchè i Borgognoni sanno di essere originaria-

mente Romani : poscia perchè spesse volte venivano acontesa cogli Alamanni a cagione delle saline e dei con-fini. Quindi spedirono subito alcune bande de’ migliorisoldati, le quali spingendosi fino alle rive del Renoquando i nostri non s’eran ancora raccolti ( perché l’Im-peratore attendeva a costruire fortezze ) ci furon cagionedi grandissimo spavento. Però soffermatisi quivi alcun

poco, e vedendo cbe nè Valentiniano arrivava nel distabilito, come aveva promesso, nè compievasi alcu-na delle cose fra loro intese, mandarono am^asciadorialla corte domandando che si dessero loro soccorsiaffinchè ritraendosi ai luoghi d’ onde eran venuti nonesponessero nudo il ffergo ai nemici. Ma poiché dalle

ambigue risposte e dagl’indugi si accorsero che questopure veniva loro legato, se ne partirono mesti e sde-gnosi : e i loro Re irritati del vedersi cosi schernititrucidarono quanti vennero loro alle mani ritornandonei proprii paesi. Presso que’ popoli ciascun Re si chiamacon nome comune  Hendinos / e per antica usanza vienerimosso dal suo grado, se durante il suo regno o la

fortuna della guerra siasi mostrata mal ferma, o il suoloabbia negata un’ abbondevol raccolta. Così anche gliEgiziani sogliono recare ai proprii Re siffatti accidenti. Il

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An.delPE.V. maggiore di tutti i sacerdoti poi presso i Borgognoni3?° si chiama Sinisto : la sua carica è perpetua ; nè egli

è soggetto ai pericoli dei Re. Frattanto Teodosio Mae-stro della cavalleria colse quella opportuna occasione

per assalire gli Alamanni, che, intimoriti de9Borgognoni,vagavano qua e là per le Rezie ; e molti ne uccise, equanti ne prese inviò per comando dell1Imperatore inItalia, dov’ebbero fertili terre eh’essi coltivano in qua-lità di tributar» vicino al Po.

VI. Trasportandoci ora quasi in un altro mondo, fa

rem passaggio alle calamità della provincia africana diTripoli, le quali stimo che dalla giustizia medesimafossero compiante: e racconteremo partitamente d’ondesi accesero a guisa di fiamme. Gli Austriani, barbariconfinanti con que’ paesi, presti sempre a rapide scor-rerie, ed avvezzi a vivere di rapina e di stragi, eranostati per qualche tempo pacifici; ma si ravvolsero poi

nelle consuete loro turbolenze adducendone questo spe-cioso pretesto. Uno del loro popolo nominato Stacao,entrato senza ostacolo alcuno nei nostri paesi, comesuol farsi in tempo di pace, commise alcune cose dalleleggi proibite : fra le quali questa era principalissima ,ch’egli sforzavasi (come attestarono sicuri indizi!) con

ogni maniera d’inganni di trarre in rovina quella provin-cia; ma fu preso e condannato allg fiamme. Fingendoquindi di voler vendicare la morte di costui, come diun loro compatriota ingiustamente ucciso, sbucaronodelle loro sedi a guisa di belve dalla rabbia sospinte 9regnando tuttora Gioviano. Ma non s’ arrischiando diaccostarsi a Lepti 1, città forte di muri e di gente, ri-

stettero per tre giorni in un ricchissimo sobborgo: dove

a76 AMMIANO MARCELLINO

1 Lebcda o  Lebida.

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trucidarono gli abitanti dall’ improvviso spavento o istu An.ddTE.V.piditi o costretti di riparare alle spelonche, poi ab 3?°bruciata molta suppellettile che non potevasi trasportare, si ritirarono carichi di gran preda, menando-

ne prigioniero anche Silva principal magistrato dellacittà, coi trovarono a caso colla sua famiglia alla cam-pagna. I Leptitani atterriti da quell’ inaspettata sciagura,prima che la barbarica soperbia effettuasse que’ maliche minacciava, invocarono il presidio di Romano re-centemente promosso al grado di Conte nell’Africa. Il

quale venne bensì con un esercito, ma poi essendo pre-gato di soccorrere ai bisogni di quella gente, dichiaròche non moverebbe il suo campo, se prima non si raccogliessero abbondanti vettovaglie e quattromila cammelli.Attoniti que’ miserabili cittadini al sentire siffatta ri-sposta, affermarono che dopo le devastazioni e gl’ in-cendi! sofferti non sarebbe loro assolutamente possibile

il cercare con tanto dispendio compenso ai gravi dannipassati ; ed egli dopo avere consumati colà quarantagiorni nell’ ozio , partì senza nè tentar pure verunacosa. Però i TrijHplitani caduti di quella speranza etemendo 1’ estrema rovina, quando arrivò il giornodell’ assemblea eh’ e5sogliono celebrare una volta ogni

anno, elessero ambasciadori Severo e Piacciano, i qualiportassero a Valentiniano alcune immagini di Vittorie 'come primizie del suo imperio, e francamente lo istruis ;sero dei lagrimevoli casi di quella provincia. La quale deliberazione essendo venata a notizia di Romano, costai ‘spedì subitamente un messo a Remigio 1 Maestro degliofficii e suo parente o piuttosto partecipe delle sue ra-

pine, affinchè facesse in modo che l’imperatore rimet

LIBRO VENTESIMOTTAVO 277

1 Lib. xxvii, c. 9.

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An.<fairE.V. tesse questa faccenda in lui e nel Vicario della provin370 eia. Vennero dunque gli Ambasciadori alla Corte, e

presentatisi al Principe esposero ciò che avevan soffer-to , e gliene consegnarono anche scritte relazioni : ed

egli non dando fede nè a ciò che ne disse il Maestrodegli Offici cui conosceva favorevole alle malvagità diRomano, nè a costoro cbe riferivano il contrario, pro-mise di fare sopra di ciò diligente ricerca : ma poi fudifferita secondo il costume de’ principali magistrati dideludere i decreti dei principi ». Mentre pertanto si

aspetta dalla corte dell1Imperatore qu alche soccorso, so-praggiunsero di nuovo ai Tripolitani lungamente sospesie dubbiosi, alcune compagnie di barbari imbaldanzitidai precedenti successi ; ed avendo discorsi con rovinosadepredazione i territorii di Lepti e d’Oea, parliron dinuovo arricchiti di grandi prede dopo avere uccisimolti magistrati ; fra i quali furon notabili il sacerdote

Rustidano e P edile Nicasio. Questa irruzione poi nonsi potè impedire, perchè la cura delle cose militari, laquale secondando le preghiere dei legati era stata com-messa al Presidente Ruricio, fu deferita non guari dopoa Romano. Un nuovo avviso di questo recente dannospedito nelle Gallie eccitò più fortemente P Imperatore.

Quindi fu inviato Palladio Tribuno e Segretario di Sta-to , affinchè e pagasse lo stipendio dovuto alla solda-tesca stanziata nelle diverse parti delP Africa, e da per-sone degne. di fede s’ informasse delle cose di Tripoli.Ma nel mentre poi che si faceva ricerca del vero, eche s’aspettavan dal Principe le relazioni, gli Austriacidivenuti insolenti per quel duplice successo volaron di

1  Eo more quo solati inter potiorum occupaliones ludi potè- state* excelsae.

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LIBRO VENTESIMOTTAVO 279

nuovo come uccelli rapaci cui V attrattiva del sangue A n .

rende più feroci: uccisero tutti gli abitanti, fuor quelliehe si sottrassero colla fuga al pericolo, e portaronovia quel poco cbe prima avevan lasciato, tagliando

per sino gli alberi e le viti. Fu allora che Micone, citta-dino nobile e potente, sopraggiunto in un sobborgo,e fuggendo per evitare di esser legato,  poiché la de-bolezza de9piedi gli rendeva impossibile il salvarsi, sigettò in un pozzo senz1acqua. Cadendo si ruppe unacosta ; e tratto fuori dai barbari e condotto vicino alle

porte della città, fu liberato per compassione della mo-glie di lui, e tirato con «una corda su pei merli dellemura, due giorni appresso morì. Frattanto ostinandosisempre più que’ superbi depredatori assaltarono le murastesse di Lepti risonanti dei funesti gemiti delle fem-mine , le quali per non essersi mai trovate così rin-chiuse erano sgomentate da insolita paura : ma dopo

avere assediata la città per otto giorni continui , ve-dendo che senza frutto di sorta perdevano alcuni deiloro, si ritrassero afflitti ai luoghi vicini. Allora i cit-tadini, incerti della propria salvezza, per tentare ancoranna volta, comunque non fossero per Qnco tornati gliambasciadori prima spediti, inviarono Giovino e Pan-

crazio che fedelmente istruissero 1’ Imperatore di quelloche avevan veduto, e eh1essi medesimi ayevan sofferto.Costoro trovarono presso Cartagine gli ambasciadori Se-vero e Flacciano; e domandatili di quello che andasserofacendo, riseppero eh’ erano inviati al Vicario ed al Conte*Severo poi morì in quel paese, finito da acerbo malore:e nondimeno i secondi ambasciadori sollecitarono il loro

viaggio alla Corte. Essendo frattanto entrato PalladionelPAfrica, Romano il quale era stato avvertito già primadelle cagioni di quel viaggio, per assicurarsi la propria

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An*<IelPE.V. salvezza, mandò ai capi delle milizie per mezzo di al^ 0 cuni partecipi de5suoi segreti, che lo presentassero della

maggior parte di quello stipendio che seco aveva por-tato, siccome uomo di grande possanza e parente de’

personaggi principali di corte. E Palladio arricchito pertal maniera in un subito, se ne venne a Lepti: e pergiungere a discoprire la verità condusse con sé sui luo-ghi devastati Erettio ed Aristomene uomini facondi edinsigni , i quali liberamente gli esposero le proprie scia-gure non meno che quelle dei loro concittadini e dei

confinanti. Mostrandogli dunque costoro ogni cosa,egli dopo avere vedute le luttuose ceneri della pro-vincia , ritornò indietro, e rimproverò il conte Ro-mano come infingardo, minacciando di riferire all’ Im-peratore tutto quello che aveva veduto. Il quale, feritodal dolore e dall’ ira, protestò a Palladio che riferirebbeda sua parte, com9egli inviato in qualità d’incorruttibile

Segretario avea convertito in suo vantaggio particolaretutto il danaro destinato ai soldati. Quindi la coscienzadei delitti li conciliò fra di loro; e Palladio, ritor-nato alla corte, ingannò con empie menzogne Valenti-niano, affermando che i Tripoli tani si lamentavano atorto. Fu quindi spedito di nuovo nell’ Africa insieme

con Giovino, 1’ ultimo di tutti i Legati ( perchè Pan-crazio era morto appo Treveri), affinchè in un colVicario considerasse qual conto doveva farsi di questaseconda legazione. Aveva poi oltre di ciò ordinato l’im -peratore che fosse tagliata la lingua ad Erettio e adAristomene, per avergli Palladio riferito che aveano par-lato ingiuriosamente di lui. Il Segretario pertanto se-

guitando , com’ era stato deciso, il Vicario, arrivò a Tri-poli; dove Romano inviò a gran fretta (tosto cornon’ ebbe contezza) un officiale delle sue guardie, e Ce

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LIBRO VENTESIMOTTAVO 281

cilìo suo consigliere nativo di quella provincia, i quali An.ddTE.V.fecero in modo ( non è ben certo se a forza di prémiio d9inganni ) che tutti gli abitanti, guadagnati da loro,accusassero Giovino, affermando asseverantemente di

non avergli punto data incumbenza di quelle cose cheegli aveva riferite all9Imperatore : e P iniquità proce-dette tant9oltre, che Giovino stesso fu necessitato diconfessare con suo proprio danno d9aver mentito aValentiniano. E questi, quando Palladio ritornato dallasua missione gli diede siffatte notizie, essendo natural-

mente proclive alla severità, comandò che fossero sot-toposti a capitale supplizio Giovino come autore., eCelestino, Concordio e Lucio come conscii e partecipidella menzogna; e che il Presidente Ruricio fosse an-ch’ egli punito di morte per menzognero, ed ancheperchè nella sua relazione trovaronsi alcune parole cheparvero mal misurate. Ruricio poi fu ucciso appo Si-

tisi : gli altri in Utica 1 per sentenza del Vicario Cre-scente. In quanto a Flacciano, prima che gli ambasciadori fossero morti, essendo interrogato dal Vicario e dalconte, difese coraggiosamente la propria salvezza; mapoco stette che non fosse oppressato dai gridi, dall’ im-peto e dalle ingiurie delle soldatesche adirate, le quali

affermavano non essersi potuto difendere i Tripolitaniperché avevano ricusato di somministrare le cose oc-correnti ad una spedizione di guerra. Cacciato per que-st9accusa in prigione, mentre l9Imperatore stava de-liberando sopra di lu i, Flacciano guadagnò , perquello che ne fu creduto, le guardie e fuggiascoentrò in Roma, dove poi visse celato finché morì

di morte naturale. Con finirono gli esterni e i dome

1 Saikor.

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An.dell’E.V. siici mali di Tripoli, sventurata ma non senza ven*2° detta: giacché Tocchio sempiterno della Giustizia vigilò

sopra di lei 9 e valsero le ultime maledizioni dei legati.Perocché lungo tempo dopo avvenne che Palladio di*

messo dal suo grado e privato del fasto che lo rendevasuperbo si ritrasse ad un vivere ozioso. Ed essendo Teo-dosio, quell9egregio condottiero di eserciti che già no-minammo , venuto nell’ Africa per ricondurre al doverenn certo Firmo che s’ era mosso a dannose imprese,ebbe incumbenza di fare una perquisiziooe nelle cose

del conte Romano ; e trovò fra le carte una lettera diun .certo Meterio di tal tenore:  Meterio al suo patrono Romano : e nell’ ultimo, dopo molte cose di nes-sun rilievo per noi, si leggeva: T i saluta il licenziato Palladio , il quale afferma di essere stato caccialo soltanto per aver detto il falso alle sacre orecchie delV Imperatore — Questo foglio fu inviato e letto alla

corte: quindi arrestato Meterio per ordine di Valenti-niano, confessò ch’era di suo pugno. Allora fu intimatoa Palladio di dover comparire ; ma costui pensando aigrandi delitti che aveva commessi, nella prima notturnastazione colse il buon destro che le sue guardie percelebrare un rito cristiano erano andate alla chiesa, e

postosi un laccio alla gola, si uccise. Saputosi questofallo della favorevol fortuna, e come il concitatoredi tante calamità era stato tolto di mezzo, Erettio ed Aristomene usciron de’ nascondigli, ai quali s’eran ritrattiquando sentirono che l’ Imperatore aveva ordinato ditagliar loro le lingue: ed avendo fidatamente istruttodella nefaria frode l’imperatore Graziano (chè Valen-

tiniano era morto 1), furono inviati al proconsole Espe

i8a AMMIANO MARCELLINO

i L' anno* 375.

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LIBRO VENTESIMOTTAVO a83rio ed al Vicario Flaviano per essere sentiti. Allora per AiudelPE.V.tanto l’ equità di questi due personaggi sostenuta dagiustissima autorità, col sottoporre ai tormenti Cecilio,giunse a scoprire per un9aperta confessione che costui

avea persuaso ai cittadini di calunniare gli ambasciadori.A questo processo tenue dietro una relazione che fa-ceva manifestamente palese tutto l’ ordine degli eventi ;alla' quale peraltro non fu data alcuna risposta. Eperchè nulla mancasse a così terribil tragedia, que-sto ancora si aggiunse dopo calato il sipario. Romano

partitosi alla volta della corte condusse Cecilio con sè,per accusare i giudici di avere troppo favorita la pro-vincia; e trovandosi benignamente accolto da Merobaude, domandò che fossero interrogati parecchj testi-moni a sè devotissimi. Questi vennero a Milano, ma es-sendo riusciti a mostrare con probabili documenti ch’erano stati chiamati indarno, ritornarono ai proprii paesi.

Mentre poi era ancor vivo Valentiniano, dopo le cose giàdette, Remigio deposto dal suo impiego impiccossi, comeracconteremo a suo luogo.

PINE DEL UVBO VEHTE5IMOT TAVO

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LE STORIE

DI

AMMIANO MARCELLINO

LIBRO VENTESIMON ONO

SOMM ARIO

I. Il segretario Teodoro aspira all’ Imperio; ma accusato aValente in Antiochia e convioto , viene ucciso insieme con

molti suoi complici. — IL In Oriente parecchi sono accusatidi veneficii e df altri delitti, i quali poi, parte a ragione parteno, sono messi a morte. — HI. Varii esempli della severità ecrudeltà di Valentiniano Augusto ne* paesi orientali. — IV. Va-lentiniano , passato il Reno sopra un ponte di navi, per colpade* soldati non riesce a far prigioniero Macriano re degli Ala-manni. — V. Teodosio Maestro della cavalleria nelle Gallìefiacca in molte battaglie Firmo  M auro figliuolo del re Nubele

eh’ erasi ribellato a Valentiniano; e dopo averlo condotto finoad uccidersi di propria mano , dà la pace all’ Africa. — VI1Quadi concitati dall* ingiusta morte di Gabinio loro re , incompagnia dei Sarmati, mettono a ferro e a fuoco le Pannonie e la Valeria, e distruggono quasi intieramente due le*gioni. Prefettura urbana di Claudio.

An.dell’E.V. X assato l’ inverno, Sapore re dei Persiani im*7* mensamente superbo per V esito delle ultime battaglie

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compiè il suo esercito, lo fornì di tatto quanto pòÀiuIéffBT.tevagli abbisognare, e mise in cammino alla volta de9nostri paesi i catafratti, i saettatori e una plebe di mi-lizie assoldate. Contro costoro si mossero il conte Trajano

e Vadomario già re degli Alamanni con fortissimi eser-citi ; e loro commise P Imperatore di adoperarsi a tener lontani i Persiani piuttostochè provocarli. Ma ve-nati a Vagabanta, luogo opportuno da collocarvi lelegioni, ebbero a sostenere loro mal grado una rapidascorreria de1nemici venuti a gettarsi contro di loro ; e

dopo essersi per qualche tempo a bello stadio ritrattievitando di ferire i nemici per non essere poi accasatidi avere pei primi violata la tregua ; all? ultimo furanonecessitati di venire alle mani, uccisero molti degli as-salitori, e riuscirono vittoriosi. Dall’ana e dall1altra partepoi furooo in progresso di tempo tentate alcune lievibattaglie di vario successo, finché si venne di pari con-

sentimento a un trattato; ed essendo così consumatala state, i condottieri d’ ambe le parti si ritiraronoconservando nell’ animo tutta 1’ avversione di prima : eil re dei Persiani si ritrasse nell’ interno del suo regnoper isvernare in Ctesifonte ; e l’ Imperatore romano en-trò in Antiochia. Il quale mentre soggiornava colà si-

curo dagli esterni nemici, fu presso a perire per do-mestici tradimenti, come si farà manifesto dalla nostranarrazione. Un certo Procopio, uomo inquieto e sem-pre desideroso di turbolenze, aveva sollecitati Anatolioe Spudasio (due Officiali di Corte ai quali s’cra inti-mato di restituire dò che avevano usurpato del pub-blico erario) affinchè tendessero qualche iosidia al conte

Fortunaziano loro molesto persecutore. Costui per l’ asprezza dell’ animo suo venuto subitamente a pazzo fu-rore , abusando la podestà che aveva, consegnò al giù

LIBRO VENTESIMONONO *85

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ÈnAéPE.V ,dizio della Prefettura Pretoriana uu certo Palladio dioscurissima origine che Anatolio e Spudasio s’ erano as-sociato come avvelenatore , ed anche V astrologo Elio-doro nper costringerli a manifestare quanto fosse a loro

•saputa. Quando pertanto si cominciarono i processi delfatto od almeno dell’ attentato, Palladio cominciò a gri-dare , essere cose da nulla e da trascurarsi queste dellequali trattavasi; se a lui fosse data licenza di favellarene manifesterebbe altre ben più gravi e terribili, lequali essendo già molto avanzate sopra segrete macchi

nazioni, tutto confonderebbero qualora non si provve-desse a infrenarle. Essendogli quindi ordinato di par-i l e fidatamente denunciò un’ immensa trama, affer-mando che Fidustio exPresidente, e Pergamio conIreneo avevano a forza di nefandi presagi saputo ilnome di colui che regnerebbe dopo Valente. Fidustioche per caso si trovava in que’ luoghi, fu senza indu-

gio arrestato ; e condotto di cheto al cospetto del1’ accusatore, senza punto sforzarsi di oscurare ciòch’ era già manifesto, raccontò tutta per ordine que-sta dannosa istoria, confessando apertamente che egliinsieme con Ilario e con Patricio (uomini periti nel1’ arte di vaticinare, il primo dei quali aveva anche

appartenuto alle guardie della persona ) avevano tenutoconsiglio del futuro Imperatore: e che avendo sopradi ciò interrogate le sorti, queste avevan predettoil nome di un ottimo principe, ma insieme casi lut-tuosi per loro. Domandandosi poi chi in quella etàsovrastesse a tutti nel vigore dell’ animo, parve cheprevalesse ad ogni altro Teodoro Segretario di secondo

ordine. E così era in fatti come avevano giudicato.Perocché Teodoro uscito d’ una famiglia illustre sinoab antico nelle Giillie, e liberalmente educato fin dalla

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prima sna fanciullezza, ornato quant’ altri mai di moAn^dPE.V’.destia, di prudenza, di umanità, di lettere, apparivasempre superiore all’ uficio ed al grado che occupava,ed era accetto del pari ai grandi ed ai piccioli. Ed egli

era quasi solo fra tutti, la cui lingua, non come sfrenata ma come d’ uomo che pensava innanzi al parla*r e , non era trattenuta dal timore di nessun pericolo*Alle cose predelle aggiungeva poi lo stesso Fidustio giipresso a morire sotto i tormenti, che Teodoro erastato istrutto da lui di ogni cosa per mezzo di Euche

rio, uomo di straordinaria erudizione e grandementeonorato ; perocché poco prima avea governata 1’ Asiain luogo de’ Prefetti. Però fu imprigionato anche Eueberio ; ed essendosi comunicata secondo il costumeall1Imperatore la relazione del processo, una prodi-giosa ferocia si sparse a guisa di ardentissima fiamma sol-levata dalla turpe adulazione di molti, e massimamentedi Modesto allora Prefetto del Pretorio. Il quale, agi-tato dal timore di vedere di giorno in giorno elettochi dovesse succedergli, colorando sagacemente le sueadulazioni si guadagnava con finti artifizii Valente,uomo grossolano anzi che no, denominando, fiorelliniCiceroniani le sue parole semibarbare e rozze, e pro-

testando per sollevare la sua vanità che, dove egliil volesse, si farebbero comparire dinanzi a lui anchele stelle *. Quindi fu dato ordine che anche Teodorofosse prontamente condotto via da Costantinopoli doveera andato per sue 'particolari faccende; e durante ilviaggio di lui, sopra varie informazioni nelle quali spen

1 Questo luogo é citato come oscuro Et ad extollendam ejus vanitiem sidera quoque* si jussisset , exhiberi posse prò- miUens.

UBRO VENTESIMONONO 387

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.devansi i giorni e le notti, furono tratti in catene dalontanissimi luoghi parecchj altri, uomini ragguardevoliper cariche e per nobiltà. Sicché nè le carceri pubbli*che, nè le ca6e private bastavano alla gran moltitudine

de1prigionieri in quelle addensati; perchè la maggiorparte degli abitanti era in catene, e ciascuno temevaquesta sorte per sè stesso e pe’ suoi. Finalmente arrivòpoi Teodoro, già quasi morto e in abito di reo : mafa tenuto nascosto in un luogo appartato della città ,finché essendo già in pronto tutto ciò che si richiè-

deva agl1imminenti processi, si diede fiato alle trombedelle stragi civili. Ma perchè sembra che ingannin delpari e colui che tace i fatti da lui saputi, e colui chefinge cose non mai avvenute, noi non neghiamo ( nèv’ ha chi ne dubiti ) che la salute di Valente non siastata in estremo pericolo, e prima più volte per oc-culte congiure, e in questa circostanza principalmente:

e il ferro che gli fu accostato alla gola da’suoi soldativenne respinto dal Fato che lo riserbava ai lagrimosipericoli della Tracia. Perocché riposandosi egli una voltatranquillamente dopo il mezzodì in nn bosco fra An-tiochia e. Seleucia, fu assalito dallo scutario Salustio ;e molte altre volte assaltato da parecchj insidiatori, potè

sottrarsene solo per essere fin dalla nascita determinatoa ciascuno il termine della vita, sicché invano i malevoliargomentavansi d’accelerarlo. Cosi accadde talvolta sottoi principi Commodo e Severo, la cui salute fu difrequente con somma violenza assalita ; sicché dopomolti e varii domestici pericoli 1’ uno fu quasi mortal-mente ferito nell’ adito dell’ anfiteatro mentre entrava

colà per assistere agli spettacoli, dal Senatore Quinziano, uomo dismisurata ambizione; l’altro, già caricod’ anni, sarebbe stato con impreveduto assalto aramaz*

aB8 AMMIANO MARCELLINO

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salo nella sua propria stanza dal Centurione Saturnino A».cWrE.V.per istigazione del Prefetto Plauziano, se non lo socco* ^ 1reva il figliuolo già adulto ». Per la qual cosa è degnodi perdono anche Valente, se difese con ogni cautela

la vita che alcuni perfidi studiavansi di rapirgli. Ma inquesto poi fu inescusabile , eh’ egli per dispotica alte-rezza , con una stessa misura, e senza risguardar punto aiineriti sottoponeva precipitosamente a maligni processii rei e gl’ innocenti ; sicché mentre si dubitava tut-tora del delitto, non dubitando già più l’Imperatore

della pena, i processati non sapevano prima di essercaduti in sospetto, che di essere condannati. E questasua naturale ostinata inclinazione al rigore cresceva poiper gli stimoli dell’ avarizia sua propria e di coloro chedi que’ tempi frequentava» la corte. Costoro avevanosempre nuove cupidigie : se qualche rara volta face vasimenzione di umanità la chiamavano debolezza d’ ani-

mo; e con sanguinose adulazioni dirizzando a pessimavia l’ indole di un uomo che portava sulla punta dellalingua la morte, ogni cosa a somiglianza di turbineconfondevano, affrettandosi principalmente di abbatterele più ricche famiglie. Perocché Valentiniano stava sem-pre apparecchiato ed aperto agl’ insidiatori : ed aveva

in ciò un doppio difetto, che si adirava senza misurain quelle cose appunto nelle quali più vergognavasi diadirarsi; e per superbia di Principe non degnando diesaminare la verità delle cose credute con facilità diprivato ai coperti susurri, le ammetteva senz’altro cod-ine vere , e provate. Di qui avvenne che sotto colore

1 L'autore qui ed altrove va d’accordo con E rodiano. Al-tri dicono che 1*assalitore fu Claudio Pompeiano.  M a il Valois reca molte ragioni a provare che debbasi preferire la te-stimonianza diMarcellino.

LIBRO VENTESIMONONO 289

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a9e AMMIANO MARCELLINO

Aurffeir&V.di olemeoza 1 molti innocenti fossero tratti delle prò*prie case e cacciati a precipizio in esilio, dei quali poiri versavano nell’erario le sostanze, e le convertiva eglistesso a suo proprio guadagno*, sicché que’ condan-

nati vivevano d1elemosina , ed oppressi dalle angustiedi una spaventevol miseria, per fuggire la quale F an-tico e prudente poeta Teognide persuade F uomo agittarsi fin anco nel mare. E poniamo pure che inquesto il Principe si portasse secondo giustizia, v’ eraper altro un odioso eccesso $ d’ onde si notò che fu

detto benissimo, nessuna sentenza essere più crudeledi quella che mostrando di perdonare più nuoce. Fu-rono poi congregali insieme il Prefetto del Pretorio ei principali magistrati ai quali s* era data incumbenzadi que1processi \ ed allora si piantarono i cavalletti, s’apparecchiarono le palle di piombo e le corde e le ver-ghe, ed ogni luogo risonava degli orrori di un cru

del grido; perchè fra lo strepito delle catené sentivansida per tutto i carnefici gridare afferra >chiudi, schiaccia j nascondi. Dopo i tormenti ne vedemmo parecchjessere sottoposti alla morte, come suole avvenire iuque9tempi di orrore nei quali tutto è confusione : maperchè le particolarità più minute di questi fatti non

mi son conosciute, dirò brevemente e per sommi capiquello che ho potuto saperne. Prima d’ ogni altro fuchiamato Pergamio accusato, come dicemmo, da Palladiodi avere saputo il futuro per mezzo di arti nefarìe } ilquale dopo alcune interrogazioni di poco momento,essendo uomo di straordinaria eloquenza e inclinato apericolosi discorsi, mentre i giudici stavano dubitando

i Quasi che commutasse in semplice esilio la pena di mortea coi avrebbero dovuto soggiacere»

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dell9ordine che loro convenisse tenere nel processarlo , Àn.ddTE .V.egli cominciò arditamente a parlare, e con un fra#casso infinito nominò ^parecchie migliaja <T uomini co^me complici de'suoi delitti, domandando che alcunicome rei di grandi misfatti fossero chiamati fin quasidall’ultimo atlante. Ma perchè appariva ch’egli andavaa bello studio accumulando difficoltà, fu condannatoalla morte; e dopo Puccisione di molti altri, si vennefinalmente alla causa di Teodoro, quasi alla polveredell’ olimpica lotta. In quel medesimo giorno fra i molti

altri sinistri casi avvenne anche questo : che Salia statopoc’ anzi Conte dei tesori nelle Tracie, mentre metteviil piede nella scarpa per uscir di prigione ond essereinterrogato, quasi colpito in un subito da immensoterrore, spirò fra le braccia di coloro che gli stavanointorno. Stabilitosi quindi il giudizio, i processanti mostravan bensì di seguire in ogni cosa le prescrizioni delleleggi, ma nel vero poi decidevan le cause secondo lavolontà delP Imperatore ; d’ onde tutti erano presi daspavento. Perocché Valentiniano deviato alP intutto daìUP equità, e fatto già esperto nelP arte di nuocere, m guisa di belva destinata alla lotta dell’ arena, fremevafuor d’ogni misura se qualcheduno gli scappava di inano

quando già gli pareva di esser vicino a pigliarlo. Fu-rono pertanto condotti in giudizio Patricio ed llaria,ed essendo loro imposto di ridire P ordine delle coseavvenute, per essersi contraddetti fin dal principio,furono lacerati nei fianchi, e fu presentato loro iltripode del quale s’ eran serviti ; sicché poi ridottiall’ estremità manifestarono fedelmente ogni cosa firioda’ suoi principiò Ed Ilario pel primo così parl$ :* Noi, o magnifici giudici, sotto avversi auspicii abbiam fabbricato con rami d’ alloro, a somiglianza

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AftMUY. della cortina delfica, P infausto arnese che qui vedete;891 poi con imprecazioni di segreti versi, e con molte e

lunghe formalità avendolo consacrato, ce ne siamo surriti. Questo poi fu il modo con cui l’adoperammo ogniqualvolta ci occorse d1investigar qualche arcano. Collocavasi nel mezzo d’una camera tutta purificata con arabiprofumi, e su?vi nuli’altro che un bacino rotondo com-posto di varii metalli, nella cui circonferenza erano se-gnate a intervalli perfettamente uguali le ventiquattrolettere dell’ alfabeto. Quindi uno di noi vestito con uh

abito di lino e con calzari parimente di lino, collatesta circondata da una fascia, e tenendo in mano ver-bene di felice augurio, invocando con formole deter-minate la divinità che presiede alla cognizione del fa-llirò conformemente ai riti, si collocava su questo tri-pode : poi librava un anello sospeso a picciole cortine ecomposto di un sottilissimo filo di carpazio 1, consacrato

già prima secondo le mistiche discipline. Questo anellocadendo di tempo in tempo ed a salti su quelle parti4ov* erano segnate le lettere, componeva alcuni eroiciveni rispondenti alle interrogazioni proposte ; perfettinel numero e nell9ordine delle sillabe, quali sono iPiai o quelli pronunciati dagli oracoli dei Branchi a.

Domandando noi dunque chi succederebbe all’Imperio,perchè si diceva che sarebbe un uomo in ogni parteperfetto, Panello saltando toccò due sillabe 0EO ( Theo),poi Pultima lettera; d’onde alcuno degli astanti escla

« CorUnulis pensiìem anulum librans. . . sartum ex carpaìhio  filo perquam levi. Queste ( dice il Wagner ) sono senza dub-

bio le parole più inintelligibili di tutto questo luogo generaimente oscuro.a Fu Branco un favorito di Apollo , e fondò un oracolo nel

tenritorio Milsaio sopra il porto Panormo.

*9» AMMIANO MARCELLINO

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mò elie SI destino significava Teodoro. Nè interrogammo J&MPKT*più oltre sa questo proposito, perchè d constava co*stui essere appunto 1’ uomo desiderato ». Ilario dopoavere posto così sotto gli occhi dei giudici tutto il fatto}

aggiunse la favorevole dichiarazione, che Teodoro ìgno*rava ogni cosa. Interrogati poi se dal loro oracoloaveano presaputi i mali ai quali presentemente sòggi»*ce va no, recitarono que* notissimi versi, i quali annui*»eiavano chiaramente che quella curiosità delle eoa*superiori alla propria condizione riuscirebbe loro beo

presto mortale, ma che anche al Prìncipe ed a1suoiinquisitori stavano ai panni le furie spiranti stragi edracendii. Dei quali versi a noi basterà trascrivere quigli ultimi tre:

Ol* fièty vnirotvoi y* cbv ìaattai cupa, xcti aurateT/ff/<péyti fiapù/uhvte èforàtratt  xaxòr  óT  t o*»

 Et frtiiùifft Mi/uavrac ouh* xxtoftkrois x*p.

 Non sarà invendicate il tuo sangue ; perocché Tesi»  fone gravemente adirata predisse mal fine nelle pia- 

nure di Mimante agli uomini di cuore acceso al male»Finiti questi versi, furono messi in brani : poscia perdiscoprire apertamente tutta la trama s’introdusse unaschiera di pubblici impiegati, fra i quali erano anche

i capi dell’ attentato. Quivi non guardando ciascuno senon aHa propria salvezza, scaricava sul compagno laruina che lo minacciava; e Teodoro colla permissionedei giudid avendo preso a parlare, cominciò dal prò*strarsi a domandare perdono; ma essendogli poi c o s i m i* 

dato che rispondesse direttamente alle interrogazioni,dichiarò di avere sapute coteste cose da Euserio, il

quale lo aveva poi anche trattenuto dal riferirle ( co*m’egli più volte avea deliberato di fare) all’ Imperatore,asserendo, che tutto sarebbe avvenuto non già in con*

LIBRO VENTESIMONONO 19?

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*94 AMMIANO MARCELLINOAn.dell'E.V. seguenza di nn' illecita cupidigia d’ occupare il regno,

571 ma per 1’ andamento inevitabile del destino. Queste coseforono confessate anche da Eoserio sotto sanguinosi

tormenti ; ma alcune lettere di Teodoro scritte eoo.ambigue espressioni ad Uario contrastavano a questadeposizione ; perocché in queste lettere , come uomoche fermamente sperava nelle predizioni, non mettevapunto in dubbio la cosa ; ma domandava di poter co*ftoscere in qual tempo s’ adempirebbe il suo desiderio.Dopo 1assunte queste notizie costoro vennero imprigio-

nati: Fu chiamato in giudizio anche Eutropio che al-lora stava nell1Asia con podestà di Proconsole, sicco-me'conscio d ì‘quella fazione; ma ne parti salvo, per-chè lo scampò il filosofo Pasifilo, il quale comunquefosse crudelmente tormentato affinchè con ingiusta bu-gia lo traesse in rovina, non si lasciò mai rimovere

dalla sua forte costanza. Aggiungasi eziandio il filosofoSimonide giovine ancora, ma severissimo sopra quantisono a nostra memoria : il quale essendo accusato diavere saputa da Fidustio ogni cosa, .vedendo che lacausa trattavasi non secondo la verità ma secondo l’ ar-bitrio di un solo, affermò di avere saputo bensì que-ste cose, ma che aveva taciuto il segreto a lui affidato

secondo la fermezza dell1animo suo. Compiuti così gliedami, l’ Imperatore rispondendo alla consulta dei giu-dici, con una1sola sentenza ordinò che tutti fosserouccisi; e (ulti alla presenza d’innumerevole moltitudineebe a quel funesto spettacolo era compresa d’orrore estancava il ciclo co’ lamenti ( chè i mali di ognuno

In. particolare consideravansi comuni ), tutti furono lagrùgevolmente trucidati, tranne Simonide, perchè il se-vero Imperatore, sdegnato della sua grave costanza f  ordinò chf fosse abbruciato. Ed egli fuggendo la vita

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LIBRO VENTESIMONOJfO *96

eome furiosa tiranna, e disprezzando i subiti mutamentiAtuJéftf&V.delle cose umane, immobile sostenne la pena: imitando 3,1quel Peregrino soprannomato Protea, illustre filosofo, il

quale deliberato di uscire del mondo, al cospetto ditut,ta la Grecia nei certami quinquennali dii. Olimpia^montò sul rogo da lui stesso costrutto, e fu dalie£amrae .consunto. Nei giorni che Tennero Appresso ,una moltitudine di quasi tutti gli Ordini, di cui sarebbecosa ardua riferir tutti i nomi, avvolta nelle reti deltacalunnie affaticò, le braccia dei carnefici, debilitate gi(t

dal maneggiare i cavalletti, il piombo e le verghe*Alcuni furotio sottoposti al. suppliaio senza punto d’iifcrdugio, mentre si stava ancora considerando.»se doveaàessere puniti o no ; e da per tutto vedevasi una cartvificina come se fossero pecore e non uomini Quindiper mitigare lo sdegno eccitato da tante uccisioni . si

raccolsero innumerevoli codici e molti mucchj di va*lumi tolti dalle case private siccome illeciti, e li abbru-ciarono alla presenza dei giudici ; ma erano invece peola maggior parte indici spettanti a varie discipline H+borali e al diritto. Non. guari dopo il filosofo Massimo uomo di grande celebrità, i cui discorsi eruditissimiaveano contribuito a formare l’ imperatore Giuliano j

fu accusato d’avere saputi i versi dell’oracolo già'me»»tovalo : ed egli confessò d’ averli, in fatti saputi , macbe per la sua professione s’era astenuto dal promnL*garli, avendo anzi predetto egli stesso che coloro i qualiaveano provocato quell’ oracolo perirebbero fra i snp4plizii. Fu pertanto condotto ad Efeso sua patria, e

quivi perdendo la testa conobbe nell’estremo suo danno»cbe l’iniquità d’un giudice è cosa più grave di qualsivo-glia delitto. Nei lacci di quelle bugiarde ribalderie fu in-viluppato «nche Diogene, uomo nato di npbilprosapia,

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Aa^IeKl’E.V. d’ ingegno, di facondia forense e di soavità eccellente:^ 1 egli era stato governatore della Bitiuia, ed ora per ra-

pire il ricco suo patrimonio fa sottoposto a capitalesupplizio. Ed ecco anche Alipio exVicario della Bri

taonia, uomo di amabile placidezza, dopo una vitatranquilla e ritirata (chè a tanto V ingiustizia aveva stesele mani) fu ravvolto nel massimo squallore: fu citatocome reo di veneficio insieme con Jerocle suo figlino*lo , giovinetto d’ indole virtuosa, accusandolo nn certoDiogene solo ed abbietto a cui si fece provare ogni

sorta di tormenti affinchè parlasse a grado del Prin-cipe, anzi piuttosto a grado di colui che lo aveva pro-dotto, e quando le sue membra non bastarono più aitormenti fa abbruciato vivo : ed Alipio poi, spogliatode’proprii beni’, fa cacciato in esilio, ma riebbe per uilfelice accidente il proprio figliuolo quando giù eramiserabilmente condotto alla Morte «.

II. In tutto questo tempo quel Palladio, sentina«Fogni miseria, che già dicemmo essere stato fatto arrestare dà Fortnnaziano, essendo per la bassezza della$«a condizione capace di qualsivoglia delitto, accumu-lando stragi sopra stragi, aveva empiuta ogni cosadi lagrime e di tu tta Perocché sendogli fetta podestà

di nominare, senza rispetto alcuno della condizione,chiunque egli voleva, accusandolo come coltivatore diarti vietate, egli, a guisa di cacciatore che sa spiarele occulte pedate delle belve, avvolgeva parecchj nellelugubri sue reti , accusandone alcuni come macchiatidello studio de’ sortilegi, altri come conscii di coloro che congiuravano contro lo Stato. E per impedire che

i Tutto il popolo concorso all’ Ippodromo minacciando epregando lo salvò.

ag6 AMMIANO MARCELLINO

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nè anche alle mogli fosse conceduto di piangere la mi An.<kir&V.seria dei propri! mariti, mandavansi immantinente al 871cani, i quali, suggellate le case, esaminando le sup-pellettili dei condannati, vi recavano essi medesimi di

soppiatto qualcano degl’ incantesimi usati dalle donnicciuole, o qualche malia amorosa, perchè fossero poirovina delle innocenti. Perocché questi oggetti venivanopoi addotti in giudizio, dove nè la legge, nè la religionenè l’equità distinguevano il vero dalle menzogne; ma gUaccusati senza difesa spogliavansi dei loro beni comun-

que non fossero colpevoli di verun delitto, e giovanie vècchi promiscuamente dopo essere tormentati in tutteìe membra venivan portati in lettighe al supplizio.Quindi avvenne che nelle provincie orientali ciascunotemendo per sè cotali stentare abbruciasse ogni rac-colta di libri : tanto 'era il terrore onde tutti eranopresii Perocché a dir breve, tutti allora andavamo car-

poni come se fossimo nelle tenebre cimmerie, tremandonon altrimenti che 1 convitati di Dionigi Siciliano , 2quali mentre venivano satollati con vivande peggioridi ogni fame, erano spaventati dalle spade pendèntidalle somme soffitte delle stanze ove mangiavano, ap-pese a un crine di cavallo proprio al di sopra delle loro

leste. Anche Bassiano nato di schiatta nobilissima 1,imo dei personaggi maggiori che fossero nell9eserci-to , accusato a neh’ egli di aver cercato di conoscereil futuro dell’ imperio, comunque protestasse di averevoluto investigare se sua moglie partorirebbe un ma-cchio o unar femmina, fu bensì sottratto alla morte dalle

1 H* DeMoulines crede che fosse figliuolo di quel Bassianoeoi Costantino  M agno aveva creato Cesare, e che sposò Ana-stasia figliuola dell* imperatore Costanzo.

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a9» ‘ AMMIANO MARCELLINO

Ao.ddPE.V. sollecite cure de’ suoi parenti che lo protessero, ma faprivato del ricco sua patrimonio. la mezzo al fragoredi tante rovine Eliodoro, quel tartareo compagno diPalladio'nel macchinar questi mali, e matematico co-

me dice il volgo, legato per occulti colloquii agl’ in-teressi della corte scagliava <Jardi mortiferi, ed era conogni maniera di favori provocato a palesare ciò chesapeva, o piuttosto ciò che s’ immaginava. A tal fine ve-niva nudrito colle più delicate vivande, e molto da-naro gli si regalava da prodigare alle sue bagasce : ed

egli passeggiava con grave cipiglio, e temuto da tutti ;e questo gli cresceva baldanza, che potendo liberamenteentrare al serraglio, e portandovisi di frequente pro-mulgava innanzi tratto decreti del comun padre t lut-tuosi a molti. Da lui poi, come da pratico difensore dicause, Valente imparava a conoscere ciò che dovessecollocare nelle prime parti de1suoi discorsi per conse-

guirne più fàcilmente P effetto a cui tendeva, e conquali figure del dire si possano produrre splendidi ra-gionamenti. Ma perchè sarebbe troppo lungo Penume-rare tutto ciò che fu macchinato da quelP uomo degnodi croce, racconterò solo con che sfrontata precipitanzaegli abbattè i sostegni medesimi del patriziato. Insuper-

bito fuor di misura dal vedersi ammesso, come dicem-mo, a1segreti colloquii de’cortigiani, e per la sua pro-pria viltà facile a vendersi a qualsivoglia delitto, accusòi fratelli Eusebio ed Ipazio, egregia coppia di consoli9e parenti una volta dell’ imperatore Costanzo, co-me se, venuti in desiderio di più sublime fortuna>avessero, e pensato e macchinato di procacciarsi l’ im

i Cioè dell* Imperatore., a cui dovasiquesto nome* couiunrque nel fatto fosse luti’ altro che padr

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peno: ed aggiunse, per appianare la stcada alla soa men An.^iPE.V.sogna, che ad Eusebio .già s’erano apparecchiati fin anco 1

.abiti imperiali. Queste accuse furono avidamenteascoltate dall’ Imperatore a cui nulla avrebbe dovuto

esser lecito appunto perchè egli si credeva lecita ognicosa comunque ingiusta ; e chiamati senza dilazipqe finda’più remoti paesi coloro che l’arbitro accusatore avevasfrontatamente fatti invitare, ordinò che si cominciasse,il criminale processo. Ma dopo avere lungamente caUpestata con crudeli violenze l’ equità, per quanto sì,

ostinasse la tortuosa caparbietà del perduto ed ab-bietto delatore, i gravi tormenti npn gissero inaia strappare veruna confifss^e, £ la .cosa «tessa mo^:strava che quegl’ illustri personaggi era? lontani. dal*\ P avere partecipato a somiglianti delitti: non si cessòperaltro di onorare al solito quel calunniatóre ; ed Eu-sebio ed Ipazio furono esiliati e condannati anche a

pagar gravi somme. Non guari dopo furono però ri-chiamati: si restituì loro la multa, e riacquistarono ledignità e lo splendore di prima. Nè dopo questo ver,gognoso successo fu proceduto più mitemente o eoamaggiore prudenza ; non considerando l’Imperatore cheagli uomini bene ordinati non. conviene abbandonarsi,

inai a delitti nè pur quando possono rovinare i nemi-c i; e cbe nulla è sì ributtante, quanto 1’ aggiungerel’acerbità del carattere all’ altierezza del grado impe-riale. Ma essendo morto Eliodoro (se di malattia o diqualche meditata violenza è tuttora incerto; nè jo oserrei parlarne se la cosa per sè medesima.non favellasse),il suo cadavere portato da’ beccamorti fu preceduto da

molti magistrati vestiti a bruno, fra i quali si ordinòsi trovassero anche i fratelli consolari già detti. Quivipoi si fece manifesta tutta quanta la stolidità dell’ima

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àn.deirE.V. peratore ; il quale pregato di temperarsi dal suo incon57f solàbil dolore, stette ostinatamente i aflessibile : sicché

pareva avesse otturati gli orecchi con cera come si faal passare gli scogli delle Sirene. Alla fine lo vinsero

le continue preghiere, ma ordinò cbe alcuni a capo sco-perto ed a piedi, ed alcuni anche a mani giunte pre-cedessero l’ infausta pompa di quell’ uomo di sangue. Faorrore il ricordare al presente la umiliazione nella qualesi videro allora caduti tanti sommi personaggi, prin-cipalmente dell’ordine consolare dopo i bastoni d’avo-

rio , gli abiti di porpora e gli altri mondani inditii difasto. Fra tutti costoro campeggiava il nostro Ipario,amabile per giovinezza e per bella virtù, e uomo diquieta indole e placida e di costumi sommamente one-sti ; il quale e accrebbe gloria alla chiarezza de’ suoimaggiori^ e colla condotta che tenne nelle due Prefet-ture illustrò la propria posterità. E questo pure s’ag-

giunse alle altre lodi di Valente, che mentre infierivacontro tutti per modo da increscergli che l’atrocitàdelle peoe finisse pur colla morte, guardò invece conplacido aspetto, e, non ostante le mormorazioni di tuttòil Senato, lasciò che partisse illeso conservando le in-vidiabili sue ricchezze e il suo grado, un certo Poten-

ziano tribuno di smisurata malizia che di que’ giorniera stato convinto , anzi aveva confessato egli stesso , diavere tagliato il ventre di una donna viva, e trattoneil parto immaturo; poi, invocati gli Dei infernali, avereosato consultarli sul futuro cambiamento dell’ imperio.Oh preclaro senso del giusto, per celeste favore ac-cordato ad alcuni felici, che ingentilisti parecchie volteanche le indoli viziose, qua0te cose avresti corrette inquella caligine di tempi, se Valente per te avesse po-tuto sapere, che P imperio, secondo la definizione dei

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sa>j, non è se non una cura dell1altrui salute ; e cheAn.ddrE.V.ei appartiene al buon Principe di restringere la pròpria podestà, e resistere alla cupidigia sfrenata ed alle ireimplacabili : e se avesse potuto conoscere, come diceva

il dittator Cesare , ehe la ricordanza delle crudeltà eser diate è un miserando tormento alla vecchiezza / e cheper conseguenza innaozi giudicare della vita di nn uo-mo cbe è parte del mondo ed uno degli esseri animatibisogna dubitare molto ed a tango, nè lasciarsi trasportare da precipitosa prevenzione a irrevocabile passo : di

cbe abbiamo un esempio notissimo nell’ antichità. Unadonna di Smirne confessò a Dolabella Proconsole d’Asiadi avere avvelenato un proprio figliuolo e il marito,perchè s’ era accorta eh’ essi le avevano ucciso un al-tro figliuolo avuto del primo marito. Differito ad altrotempo il processo, e stando in dubbio il tribunale, a cnisecondo il costume fu denunciata, che cosa doveste

determinare sulla vendetta e sul delitto, fu inviata ladonna agli Areopagiti, severissimi giudici d’ Atene, lacui equità (com* è fama ) decise anche i dissidi degl’Id-dìi. E questi, esaminata la causa, ordinarono alla donnadi presentarsi di lì a cento anni coll’accusatore: sottraen-dosi così alla necessità o di assolvere una venefica o di

punire la vendicatrice del proprio sangue. E perònon dee stimarsi mai troppo lento ciò che decide dell’ultimo destino dell’ nomo. Ma dopo queste cose com-messe con varie iniquità, e dopo le macche di vitu-perio impresse a’ liberi cittadini sopravvissuti, vigilòattentamente l’occhio incorruttibile della Giustizia, ar»bitro e vindice sempiterno di tutte cose. Perocché le

ultime imprecazioni degli uccisi movendo con giustis-sime querele la divinità accesero le faci di Bellona,acciocché si verificasse l’oracolo il quale areva predetto

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ln.de3F£.V. che di quanto facevasi nulla rimarrebbe impunito. MenS?1 tre pertanto, da che era cessato ogni timore de’Parti,

le cose giù dette diffondevano in Antiochia tante scia-gure domestiche, un9orribile schiera di furie uscita diquella città dopo i moltiplici casi ivi agitati, andò apittarsi stile cervici di tutta F Asia nel modo che oradiremo. Un certo Festo tridentino, uomo d’ origineinfima e ignota, ma congiunto di parentela con Mas-simino e avuto caro da lui come compagno e collegadi toga, fu per volere dei Fati trasferito in Oriente.

Quivi amministrò la Siria in qualità di consigliere diStato, lasciando buoni e venerevoli esempli di mitez-za : d’onde poi essendo arrivato a governar l’Asia eoapodestà di proconsole veleggiava, come suol dirsi, tranquillameite alla gloria. Sentendo frattanto che Massimino era divenuto esiziale a tutti i buoni, ne biasimòda prioripio la condotta come dannosa e turpe. Maquando ùde che codest’uomo senz’alcun merito, quasiche militassero per lui le stragi di {anti cittadiniempiamente uccisi, era pervenuto alla Prefettura, s’ac-cese a sinili fatti per la speranza di conseguirne gKstessi frutti; ed a guisa d’uno strione, cambiando in unsubito la maschera, e pieno del desiderio di nuocere,

passeggiava con occhi fissi e severi, immaginandosi cbedi giorno in giorno gli sopravverrebbe una Prefetturapurché anch’ egli si contaminasse col sangue di per-sone innocenti. E sebbene siano molte e varie le coseche costui operò con estrema severità, per usare unamite espressione, basterà nondimeno ricordarne alcunepoche ma note e divolgate, che fece emulando quelleche si commettevano in Roma. Chè per esser dissimilel’entità dell* cose, non per questo cessa di essere ugualela loro indole o buona o malvagia. Condannò adunque

3o» AMMIANO MARCELLINO

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a morire «otto eradeli tormenti ed invendicato nn certo An.deITET.filosofo Geranio, nomo di non leggier merito, perchèscrivendo familiarmente alla propria moglie, aveva ag-giunta alla lettera questa greca espressione:  ab Jè m i, xclì ark<pe rriY ruX»y,  tu poi ricordati ( di me) e corona la porta *: eh’è un proverbio usitato quando si vuolaccennare a colui col quale si parla qualc osa impor-tante avvenimento. Fece pure ammazzare come colpevoleuna semplice vecchiaia solita medicare le febbri in-termittenti con piacevoli carmi, dopo cbe costei, chia-

mata a tal uopo e col consenso di lui medesimo, gliaveva in tal modo curata la figliuola. Avendo ordinatodie si frugasse nelle carte di un illustre cittadino, viti trovò Poroscopo di un certo Valente: e respingendocostui P accusa che di ciò gli era data, con dire diaver avuto un fratello nomato Valente é della cui morteaddurrebbe credibilissimi documenti, senza aspettare laprova eh9egli offeriva della verità fu sottoposto ai tor-menti ed ucciso. Finalmente essendo stato veduto ungiovinetto nel bagno che alternando appressava i ditid’ ambe le mani or al marmo ora al petto, poi nove-rava le sette vocali perchè credeva che questo fosse ri-mediò giovevole allo stomaco, fu strascinàto in giudi ,

zio, e dopo i tormenti, decapitato.IH. Queste cose ed il mio disegno di volgermi alleGallie interrompono P ordine e la serie dei fatti, tro-vando io colà in mezzo a molti e crudeli eventi Mas-simino già pervenuto al grado di Prefetto ; il quale,allargata la propria autorità, s’aggiungeva come sinistroincentivo alPImperatore, già per sè stesso inclinato ad

i Nelle occasioni di pubbliche o di private allegrezze si co»ronavan le porte. V. Gioyen. SaL xu, v. 93.

LIBRO VENTESIMONONO 3o3

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AaddPE.y. unire una grave licenza alla maestà della sua fortuna.3?‘ Chiunque pertanto legge le cose che qui sì dicono,

consideri anche le altre da noi taciute ; e come pru-dente ci perdoni se non abbracciamo tutto ciò che la

malvagità de’ coosiglii fece commettere esagerando i de-litti. Perocché crescendo sempre più la severità nemicadel diritto procedere, Valentiniano già truce di suapropria natura, dopo 1’ arrivo di Massimino ( non viessendo più alcuno che gli desse un buon consiglio ocercasse almen di temperarlo) si abbandonò, come stra-

scinato dalla violenza dei utti o delle procelle, a cru-deli azioni: sicché spesse volte era veduto mutar voce,aspettoT passo e colore, come suol avvenire agl’ irati.E questo è comprovato da molte e certe testimonianzadelle quali basterà scrivere qtfi alcune. ‘Un giovine delnumero de’così detti Pedagogiani >, essendo posto atrattenere un cane spartano finché fosse passata la preda,

il lasciò prima del tempo prescritto, perchè Panimalosmanioso di andarsene gli si era voltato contro e avevai o morsicato: e per questo solo fatto fu ucciso a colpi di ba-stone e sepolto in quel medesimo giorno. U direttore diuna fabbrica d’arme presentò a Valentiniano una corazzaegregiamente lavorata ; e mentre aspettava di riceverne

un premio, l’imperatore comandò invece che fosse uc-ciso , perchè quell’ armatura pesava qualcosa meno diquello eh’ egli erasi immaginato. Un sacerdote cristianod’ Epiro fu da lui fatto uccidere perchè aveva tenut o nascosto presso di sè Ottaviano allora proconsole inAfrica, al quale poi ( benché troppo tardi ) fu datalicenza di tornare alle proprie case a. Un certo Costan

i Un Paggio.a Ecco il testo :  Epirolen àtiquem ritus  christùuù Presbjrto-

3o4 AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO VENTESIMONONO 3o5ziano maestro di stalla, spedito nella Sardegna a sce AndelTEV*gliere cavalli da guerra osò cambiarne alcuni pocbi , ene iu lapidato per comando dell9Imperatore. Ordinòcbe Anastasio, cocchiere tenuto a que’ tempi in gran

pregio ma divenuto a lui sospetto per non so qualevolgar leggierezza, fosse abbruciato vivo, se mai rica-desse in simile colpa ; poi lo fece gittar da vero allefiamme come accusato di sortilegi, nè valse ad acqui-stargli perdono Tessere artefice di diletti. Africano, con-tinuo difensore di cause nella città, dopo avere ammi-

nistrata una provincia aspirava al governo di un’altra;*e domandand ola per lui Teodosio Maestro de’ cavalli,l’ Imperatore gli diede questa dura risposta : Va > o Conte j e cambia la testa a costui che desidera di 

 cambiare provincia : e per questa sentenza perì quell’ uo-mo facondo, perchè cercava, come fan molti, di migliorarela propria condizione. Un uomo spregevole per l’ infimo

suo stato accusava Claudio e Salustio, soldati Giovianie pervenuti alla dignità del Tribunato, di avere par-lato in favor di Procopio quand’ egli aspirava all’ im-perio: e poiché a mal grado delle indagini assidue nonsi potè mai chiarire il vero di quest’ accusa, P Impe-ratore ordinò ai generali di cavalleria incaricati di tal

processo, di esiliar Claudio e condannare Salustio nelcapo, promettendo di fargli poi grazia mentre sarebbecondotto al supplizio: ma quando queste sentenze furouo pronunciate, nè Salustio^ vénne sottratto alla mor-te , nè Claudio fu tolto al dolore dell’ esilio se non

 rum . . .  tam Qctevianxun ex Proconsole . .  ojfensarum austere,Ucet tardius,  ad sua redire permisso. Trovandosi però questofatto narrato anche da altri scrittori, gl’ interpreti hanno potutosupplire assai facilmente queste lacune.

MAEOBLIAJVO , U 20

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An.deiPE.V.dopo la morte di Valentiniano 1... Replicandosi quindi,371 spesse volte i tormenti, e morendo auche alcuni nel

1’ eccesso del dolore, non fu per questo possibile ditrovare nessun vestigio degli apposti delitti. In questo

processo poi le guardie incumbenzate di arrestar gliaccusati furono, contro le costumanze, sottoposte alleverghe. Se non che l’animo rifugge dal raccontare ognicosa; ed anche teme non forse creda qualcuno che noisiamo venuti a bello studio indagando i vizii d’un Im-peratore eh’ ebbe poi anche bellissime qualità. Una cosa

però non si debbe nè tralasciare nè tacere, cioè ch’eglinutriva due orse crudeli divoratrici di uomini, chiamateMica aurea, e Innocenza; e ne pigliava così gran cura,che avea fatte collocare le loro gabbie vicino alla stanzain cui egli dormiva, e commise a fidati custodi di farein modo che non venisse mai meno il loro micidialefurore. E all’ ultimo poi lasciò che Innocenza dopo le

molte sepolture di cadaveri vedute sotto i suoi dilaniamenti, come benemerita, uscisse libera nelle selve a . . .

IV. E questi sono documenti verissimi de’suoi costumie dell’ indole sua sanguinaria. Del resto nemmanco il piùrigido detrattore potrebbe accusarlo d’essersi mai,dipar-tito dalla cura della,Repubblica, considerando principal-

mente eh’ era forse più importante il contenere i barbariche il discacciarli. E avendo dato... dalle vedette, sequalcheduno dei nemici movevasi, scorto dall’alto era.oppress o. Fra le moltiplici cure poi questa principalmentegli stava a cuore, di prender vivo o per forza o per insidieil Re Macriano che in mezzo a queste frequenti muta

1 Nel testo si legge*' lortge...  cusaverii,  cum illi saepùsime  torquerentur.

a Nel testo segue : Stop . . .  simile fedii. . .

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zioni di cose era crésciuto, e con forze già adulte spingerai An.ddPE.V.contro i nostri ; nel cbe voleva emulare Gioviamo che mol 5?lto prima avea preso Vadomario. Provvedutosi adunquedelle cose richieste dall’impresa e dal tempo, ed avendo

saputo dalle deposizioni di alcuni fuggiaschi dove potreb-be sorprendere il detto re senza ch’egli punto ne avessesentore, costrusse un ponte di navi sui Reno il più cheta-mente che gli fu possibile, affinchè nessuno si movesse aimpedirlo. Severo a cui era commessa l’infanteria, essen-do proceduto fino ai bagni Mattiad >, considerando quivi

la pochezza de’ suoi, ristette come atterrito; temendoche se i nemici venissero a rompere sopra di lui, in*vano poi tenterebbe di opporsi al loro gran numero.£ sospettando che alcuni mercadanti a ivi trovati, pre-correndolo, non divorassero ciò che avevan veduto,tolte loro le merd, tutti li uccise. L’arrivo poi di pa-recchie milizie inanimi i generali dell’ eserdto ; e pian-

tati per pochissimo tempo gli accampamenti, perchèle bestie che. portavano il bagaglio non eran giunteper anco, nessuno ebbe una tenda fuori che il Prin-cipe a cui fu costrutta di tappeti alla meglio. Dopoessersi soffermati quanto durò la notte, al primo al-beggiare ripresero il loro viaggio, guidati da persone

pratiche di que’ luoghi. Innanzi a tutti andava Teodo* 1sio colla cavalleria 3...,per quanto ordinasse loro con-tinuamente di astenersi dagl’ incendii e dalle rapine,

x Wìsbadaua Sottrae.3  Equirat tra i. . . tempore jaceat extento strepito suorum est  

impedilus. I l Wagner supplisce di suo ingegno: L’Imperatoreprocedeva anch* egli a cavallo, e uon era molto lontano dalluogo dove trovavasi il Re ; ma lo schiamazzo delie sue prò*prie genti impedì i suoi disegni.

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Ap.<W1,K.V. non poti farsi ubbidire. Però svegliate dallo strepi*tar dell’ incendio a dai discordi clamori le guardiedel Re) e  sospettando di quello oh9era avvenuto, mi-sero il principe sopra un veloce carro, e per augusta

via lo nascosero nelle segrete svolte dei colli. Valenti-niano defraudato così di questa gloria , non per suacolpa nò da’ capitani, ma per la insubordinazione deisoldati la quale spesse volte afflisse con gravi danni laromana repubblica, dopo avere incendiato il paese ne-mico per ben cinquanta miglia 9 si ritrasse dolente a

Treveri. Quivi a guisa di leone che fa sonar vóti identi per essersi lasciato sfuggire il cervo o la capra,mentrecbè il terrore diminuiva le forze nemiche, or-dinò che Traomario si facesse re de’Bucinobanti (na-zione alamanna vicino a Magonziaco) in luogo di Ma-cinano. £ poco appresso f avendo una nuova scorreriadevastato intieramente quel paese, lo trasferì nelle Bri*

fannie con podestà di tribuno , preponendolo ad unaschiera di Alamanni numerosa e fiorente. Comandò pure<?he Biterido e Ortario, primati di quella stessa nazio-ne , assumessero anch’ essi il comando di alcune mili-zie : ma Ortario poi accusato d’ avere scritto a Ma-rnano ed ai principali de9barbari qualcosa contraria

alla Repubblica, dopo avere confessato sotto i tormen-ti, fu condannato alle fiamme.V , . , . i Stimai opportuno di raccontar queste cose

in una continuata relazione, affinché a forza d7intratessere luoghi e fatti molto disgiunti fra loro, non sivenisse a confondere di necessità la moltiplice nostranarrazione, Nubele, potentissimo fra i piccoli re delle

i Questo capitolo nel testo comincia cosi ;  Àbhinc utior. , . prosino 9 hacc narraiionc ecc. .

3o8 AMMIANO MARCELLINO

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barioni mauri tane morene^ lasciò molti figlinoli tra le Ati WfkV.gittimi e nati di concabine; fra i quali Zamroa favo»reggiato dal conte Romano , essendo segretamente uccisodal proprio fratello Firmo, fu origine di discordie edi guerre* Perocché il Conte troppo sollecito di ven*dicarue la morte, macchinava terribili cose a rovinadelP uccisore* E corse fama che anche alla Corte siosasse gran diligenza, acciocché le relazioni di Roma-no, le quali aggravavano Firmo di molte ed acerbeaccuse, fossero volentieri accolte e recitate all’ Impe»

ratore, commentandole poi favorevolmente parecchjcortigiani : e che per lo contrario quanto Firmo assaispesso scriveva in difesa della propria salvezza fosse te*nuto gran pezza occulto; asseverando Remigio AlloraMaestro degli Offici, parente ed amico di Romano,non doversi leggere all* Imperatore, queste cose di nes-sun conto e superflue se non quando per esser finiti

gli affari di maggior rilievo, se ne presentasse 1*oppor-tunità. Firmo accortosi delle arti colle quali veniva im-pedita la sua difesa, temendo l’ estrema rovina, e chesenza punto curarsi delle sue ragioni lo condannasser o come uomo pericoloso e malvagio, si sottrasse alP Impe-rio e 1 ... Laonde per impedire che quell’ implacabil ne-

mico, crescendogli le forze, pigliasse maggiore importan-za, fu spedito con pochi soldati a distruggerlo il Maestr o della cavalleria Teodosio: uomo la cui operosità «splen-deva sopra tutti di que’tempi; e somigliantissimo a Do-mino Corbulone ed a Lusio, dei quali il primo sottoNerone, l’altro sotto l’imperio di Tramano per molte no*

f Nel testo si legge : ei adjttmenia . . .  tiu/H ad vàsiattdum tli quale lacuna cosi viene supplita dal Wagner: € raecoUt *ruppe muUiarie per devastar* le nostre province,

LIBRO VENTESIMONONO

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An.delPE.y. bili imprese divvennero illustri. Teodosio pertanto mosse371 da Àrelate sotto favorevoli auspicii; e passato il mare

colla flotta che aveva seco, senza che nulla si divul-gasse della sua venuta giunse alla spiaggia di Sititi nella

Mauritania, dagli abitanti denominata Igilgitana. Quivitrovò a caso Romano, e dopo avergli mitemente par-lato non toccandogli se non poco del sospetto ch’egliaveva di lui, lo inviò a disporre le stazioni e le scol-te. Tosto poi che Romano si fu mosso alla volta dellaMauritania Cesariense, spedì Gildone fratello di Firmo

con Massimo per arrestare Vincenzio ; il quale facendo leveci di Romano era complice delle sue prepotebze edelle sue rapine. Quando poi gli arrivarono le sue mi-lizie tardate dall’ ampiezza del mare, n’ andò subito aSitifi, dove ordinò alle guardie di custodire il ConteRomano colle persone a lui aderenti : é trattenendosiin quella città era da doppio pensiero agitato, prima-

mente cercando in ébe modo e per qual via potessecondurre la sua soldatesca avvezza ai ghiacci per terredal sole infocate^ poscia come potesse sorprendere il ne-mico che discorreva rapidamente qua e là, e che si fidavanegli agguati piuttosto che nelle battaglie formali. Dellequali cose essendo Firmo avvisato, prima,da incerta fa-

ma , poscia da manifesti indizi!, spaventato dall’ arrivo disì ragguardevole capitano, per mezzo di ambasciatori edi lettere domandava perdono de’ preteriti errori ; af-fermando cbe non di sua volontà s’era spinto a fare ciòche ben conosceva essere illecito, ma per l’altrui sfre-nata licenza, come prometteva di dimostrare. Teodosio

ietti gli scritti, e promessa la pace purché gli si con-

segnassero ostaggi, s’ affrettò di trasferirsi alla stazionePancariana, per riconoscervi le legioni che difendevano1’ Africa 3 ed alle quali era stato imposto di radunarsi

3 ìo AMMIANO MARCELLINO

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colà. Quivi egli con magnifiche e prudenti paroleiride* An.dell’E.' .stò la speranza di tutti, poi ritornò a Sitifi ; dove avendoincorporate le milizie del luogo con quelle eh9esso viaveva condotte, impaziente d’ogni altro indugio, s’ap-

parecchiò di venire il più presto possibile alle ma*ni. E fra le altre molte e chiare sue doti, aveva cre-sciuto immensamente 1’ amore verso di lui l’ aver egliproibito che le province somministrassero le vettova-glie all’ esercito ; affermando con onorevol fidanza chele messi ed i granaj de’ nemici erano i magazzini ap-

parecchiati al valore de’ nostri soldati. Disposte cosìqueste cose con letizia di quanti possedevano terre ,a’ avanzò a Tubusupto, città contigua al monte Fer-rato 1, dove ricusò di ricevere una seconda ambasceriad i F irmo, perchè non avea seco condotto gli ostaggiche s’erano pattuiti. Però avendo cautamente esplorataogni cosa secondo che il luogo ed il tempo esigevano,

mosse rapidamente fra Tindensi e Massinissensi, popoliche non usano mai armatura se non leggiera, ed al-lora capitanati da Mascizelo e da Dio, fratelli di Fir-mo. Quando questi nemici, a cagione della loro ar-matura agilissimi, furono venuti al cospetto dei nostri,si cominciarono a scagliare alcune frecce d’ ambe le

p a r ti , poi si venne ad asprissimo combattimento, dovein mezzo ai gemiti dei moribondi e dei feriti sentivansi >i flebili ululati dei barbari o presi od uccisi : e quandola battaglia finì furono depredati e posti in fiammegrandi spazii di paese. Fra le quali rovine furono no-tabili quelle del villaggio di Petra distrutto fin dallerad ic i, cui il fratello di Firm o, Salmace, che n’ erapadrone, aveva innalzato ad esser quasi una specie di

LIBRO VENTESIMONONO 311

i  Jurjura.

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Ao.detrE.V. città. Inaniàiito poi il vincitore da questo succes371 so, con prodigiosa velocità occupò Lamfoctea, città

situata nel mezzo delle nazioni già dette, dove feceraccogliere abbondevoli vettovaglie; affinchè se mai ad-

dentrandosi nel paese ne difettasse, avesse no luogo vi-cino d’onde poterne ritrarre. Frattanto Mascizelo, rin-novate le forze, e menando seco i soccorsi avuti dallevicine nazioni, venne di nuovo alle mani coi nostri;ma essendo rimasto in gran parte disfatto il suo eser-cito, egli medesimo a gran fatica potè sottrarsi alla

. .morte mercè la 'grande celerità del proprio cavallo*Laonde Firmo abbattuto dalle sventure di quelle duebattaglie, e profondamente agitato, per non lasciareintentalo nessun estremo rimedio, mandò a pregar pacealcuni sacerdoti cristiani e con essi parecchj ostaggi : co-storo furono accolli benignamente, ed avendo promessod’ inviare all’ esercito romano le vettovaglie che loro

furon richieste, se ne tornarono a Firmo con favorevol risposta. Allora quel Principe mandando innanzialcuni doni venne egli medesimo più fidatamente algenerale romano, stando per altro sopra un agii de-striero che all’ uopo potesse trarlo d’impaccio. Ma quan-do si fu accostato, movendolo il fulgore delle insegne e

l’ aspetto terribile di Teodosio, smontò da cavallo, ecurvandosi *a segno da toccare il terreno, accusò pian-gendo la propria temerità, e domandava, scongiuran-do, pace e perdono. Teodosio lo accolse baciandolo,poiché questo giovava alla Repubblica ; ed egli già pienodi buona speranza somministrò le vettovaglie occor-renti j poi lasciati alcuni de’ suoi parenti in luogo di

ostaggi partì, promettendo di restituire i prigioni cheaveva fatti nel principio di questa ribellione : e duegiorni dopo restituì pure senza verun indugio anche il

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LIBRO VENTESIMONONO 3i 3castello Icosio, di cui ricordammo già i fondatori >, le An.ddFE.V.insegne militari, e la corona sacerdotale a e quant1al ^ 1tro avea preso, secondochè gli fu imposto. Appressoessendo Teodosio dopo lungo viaggio entrato in Ti*

posa , rispose altieramente ai legati de1Mazici i qualieransi Associati a Firmo ed ora venivano supplichevolia domandare perdono*, affermando che porterebbe con-tro di loro ben presto le armi, come contro gente«leale. Costoro adunque colpiti dal timore dell’ immi-nente pencolo, ed avendo ricevuto ordine di ritornare

d’ onde eran venuti, partirono : ed egli s’ avviò a Ce-sarea, città una volta ricca ed illustre, di cui pureabbiam raccontata 1’ origine quando abbiamo descrittala situazione dell’Africa. Ma egli entrando (a vide quasitutta consunta da’ grandi incendii ai quali soggiacque,colle pietre biancheggianti di muschio : d’ onde poi ri»sol vette di stanziarvi per qualche tempo la prima e la

seconda legione, affinché ne dissotterrassero le rovine,e la proteggessero da repentine scorrerie di barbari.Quando pertanto si diffuse la (ama di queste disposi-zioni, i capi della provincia, e il tribuno Vincenzousciti de9nascondigli ne’quali s’erano accovacciati, ven-nero prestamente e come sicuri al cospetto di Teodo-

sio. Questi li vide e li accolse assai voléntieri, e standotuttavia presso Cesarea, seppe da relazioni sicure, cbeFirmo, sotto apparenza di amico e di supplichevole, mac-chinava nel suo segreto di assalire e confondere a modod’ improvvisa tempesta il nostro esercito quando vedesseche i nostri avessero deposto ogni sospetto riguardo a

x Probabilmente in una delle parti del libro che andaronperdute.  Icosio poi è ora Semi  nel regno d* Algeri.

3  Lib. xxvm, e. 6.

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 An.ddT E.V. lui. Laonde Teodosio partitosi di colà se ne venne a871 Sngabarrita, piccola città situata sul declivio del monte

Transcellense ; dove avendo trovata la »cavalleria dellaquarta coorte de9saettatori, la quale s’ era data al ri-

belle, per mostrarsi contento di leggiero castigo, ordinòcbe fossero tutti ascritti all’infimo  ordine della milizia,e che costoro, e con essi anche una parte del fanti C osta nziani si trasferissero a Tigavia insieme coi loro Tribùni, uno dei quali avea posto sul capo di Firmo la suapropria collana in mancanza del diadema *. Frattanto

ritornarono indietro Gildone e Massimo, seco menandoQellene uno dei principi de’ Mazici, e Feri ci ò prefettodi quella stessa nazione, i quali avean dato favore allafazione perturbatrice della pubblica quiete... *. Comefu deliberato così si fece ; ed egli medesimo uscitofuori al primo nascere della luce, quando li vide as-siepati all’intorno dall’esercito, Qual partite (disse )

 stimate y o fedeli commilitoni che noi dobbiam pren dere di questi malvagi traditori? Poi annuendo al gridodi tutti gli astanti che domandavano di punirli colsangue, secondo il costume antico consegnò ai soldaticoloro che avevano appartenuto al corpo de’ Costanziani, perchè li uccidessero. A’ principali poi de’ saet-

tatori fece tagliare le mani ; gli altri li punì colla mor-ie, imitando così Curione, acerrimo capitano, il qualecon questa maniera di castighi estinse già tempo la fe-rocia dei Dardani che rinasceva come le teste dell’ idra

1 II De M oulines crede che qui v’ abbia una lacuna neltesto.

a II testo aggiunge : producerent vinctos ; e il Wagner tra-duce: li conduccvan legati. M a sebbene sia probabilissimo chequeste parole si riferiscano a Beitene ed a Fericio, non èsicura peraltro questa spiegazione.

3i4 AMMIANO MARCELLINO

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lerneà. Tuttavolta alcuni malevoli detrattori mentre lo An.delPB.V.dano l’ antico esempio, vituperano poi la condotta di 871Teodosio come crudele ed aspra foor di misura. Diconocostoro che. i Dardani essendo mortali nemici giusta*

mente sostennero il supplizio loro imposto ; ma cbei soldati militanti sotto le nostre insegne e caduti inquesto primo errore dovevan essere più mitemente cor-retti. Ma noi rispondiamo a questi censori, i quali peraltro già il sanno, che questa coorte e pel fatto e perl’esempio doveva considerarsi come nemica. Ordinò poi

che fossero uccisi Beitene e Fericio, ed anche Curandio tribuno de*sagittari, perchè costui nè avea mai vo-lato combattere coi nemici, nè tampoco esortare i suoialla battaglia. E cosi comportavasi Teodosio, avendoP.animo a quel dettato di Cicerone, che un rigor sa-lutare vai meglio dell’ intempestiva clemenza. Partitosipoi di colà andò a rovesciare cogli arieti il muro che

circondava un .luogo detto Gallonate ? sicurissimo ri*cetto de’Mauri: e avendo quivi uccisi quanti vi furontrovati, e rase le mura, procedette al castello Tingi-tano, passando pel monte Ancorano 1, e assalse i Ma-zici , che insieme raccolti lo ricevettero con una gran-dine di frecce. Ma fatto poi dall’ una parte e dall’ al-

tra il primo impeto, non potendo i Mazici, comunquebellicosi e ostinati, sostenere le ordinanze dei nostri pos-senti per le proprie forze e per la qualità delle armi cheavevano, fuggirono con vergognoso spavento innanzi allestragi ond’ erano oppressi : ma nel disordine della fuga fu-rono trucidati, eccetto que’pochi i quali avendo potutosottrarsi impetrarono poi il perdono che le circostanzeconsigliavano di accordare. Sugge lor condottiero . . . .

LIBRO VENTESIMONONO 3i5

2 Ora Waneseris in Barberia.

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.era succeduto a Romano quando apparecchiatasi ditrasferirsi nella Mauritania Sitifeose, per presidiarlacontro nuove invasioni ; egli incoraggiato dai precedentisuccessi s’incamminò contro i Musoni, cui la coscienza

delle stragi e delle rapine esercitate aveva fatti acco-stare a Firmo, credendo ch’egli fosse per sollevarsi benpresto a migliore fortuna. Avanzatosi dunque alcun pocofin presso alla piccola città di Adda conobbe che pa-recchie genti diverse d’ istituzioni e di lingue venivandestando gravissime guerre, concitandole ed esortan-

dole con promesse di grandissimi premii Ciria sorelladi Firmo, la quale come ricchissima ed ostinata qaanto mai verun’altra donna, sforzavasi a tutto poteredi giovare al proprio fratello. I<aonde Teodosio, te-mendo di non arrischiarsi a disuguale combattimento,e per non perdere tutti i suoi affrontando una molti-tudine immensa con pochi (avea seco soltanto tremila

e cinquecento soldati ) si ritrasse a poco a poco tra lavergogna di cedere e il desiderio di combattere; e in-calzando sempre più la gran moltitudine dei nemici,partì. Allora i barbari superbi fuor di misura per questosuccesso, tenendogli dietro ostinatamente . . . . ed eglinecessitato a combattere, avrebbe perduto sè stesso e tutti

i suoi fino all’ultimo, se questo non avveniva, che alcunide’ nemici male ordinati avendo vedati da lungi gliausiliari Mazici preceduti da alcuni Romani, credetteroche qualche schiera di gran rilievo venisse a far im-peto contro di loro: d’onde voltaron le spalle, e cosìapersero uno scampo ai nostri che si trovavano da ogniparte accerchiati. Di questa maniera Teodosio essendo

pervenuto ad un luogo denominato Mazucano 1c on tutti

31(5 AMMIANO MARCELLINO

i Ora  Maxima.

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i tuo! sani e salvi, dopo avere fatti abbruciar vivi alÀn.<ldrE.V.cuoi disertori , e tagliare ad altri le mani, come aveva 571già fatto de1saettatori, oel mese di febbrajo giunse aTipata. Quivi si trattenne a lungo, e indugiando come

l’antico Fabio, provvedeva a1suoi bisogni, apparecchian-dosi di opprimere, se gli venisse fatto, colle astuzie ecolla cautela piuttostocbè con pericolosi cimenti un ne*raico bellicoso ed insuperabile nell’uso dell’ arco. Tut-ta volta spediva di continuo alcuni de1suoi più eloquentialle nazioni circonvicine, ai Bajuri, ai Cantauriani, agli

Àvaslomati, ai Cafavi, ai Davari e ad altri cercandoora colle minacce, ora oolPoro di trarli a sè, e spessoanche promettendo il perdono della passata temerità *...affinché a forza di dubbj e d’ indugi diminuendosi Par*dor dei nemici gli venisse poi fatto di opprimerli, co-me Pompeo oppresse già Mitridate. Però Firmo;, volendofuggire la rovina che vedeva imminente, comunque fossa

circondato da numerosi presidii, lasciò la moltitudineche aveva a gran prezzo raccolta; e nascosto dalla oscu-rità della notte, penetrò nei monti Caprarii indi moltolontani, e inaccessibili per dirupati scoscendimenti. Perquesta segreta partenza si disperse la moltitudine*, laquale dileguandosi a piccioli corpi e senza verno con*

dottiero, diede podestà ai nostri d’invadente il cam po.Saccbeggiaronsi adunque le cose dei nemici: si ucciseroque’ pochi che resistevano; altri si arresero: e Teodo-sio , prudentissimo capitano, prepose alle nazioni perle quali passava alcuni uomini di conosciuta fede inqualità di Prefetti. Spaventato allora il ribelle dal Ve-dersi contro ogni sua opinione inseguire tanto fidata

tamente, trovandosi accompagnato da pochi servi e vo*

l Nel testo :  cum . * .  tultorùu per ambage* ec..

LIBRO VENTESIMONONO 317

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Ao.ddP E.V. lendo coll9accelerare il viaggio provvedere alla propriasalvezza, gettò via i bagagli delle preziose suppellettili

 ohe aveva con sè, per non essere da che cbe si fosseimpedito. Sua moglie stanca dalle continue fatiche 1.,.

Teodosio non perdonando a nessuno di quanti gli ve-nivano alle mani, rianimò il coraggio de’ suoi soldaticon viveri più eletti e con ricompense; e tolti di mezzocon lieve battaglia i Caprariensi e gli Abanni loro vi-cini , s’ affrettò al villaggio a . . . Quivi avendo saputoda sicure relazioni come i barbari avevano già occupati

alcuni colli che per tortuosi sentieri sollevami a grandealtezza, nè possono ascendersi se non da’natii che benne conoscano tutte le parti ; egli si ritrasse alcun po-co, e cosi con quell’indugio comechè breve, diede fa-coltà al nemico di procacciarsi grandissimi socc orsi da-gli Etiopi confinanti. Costoro avendo insieme congre-gate le schiere , e precipitandosi .senza punto aver curadi sè con minaccioso fremito nella battaglia, respinseroa dietro Teodosio atterrito dall1aspetto di quelle in-numerevoli caterve: ma ben:presto poi, rinvigoriti glianimi, e provvedutosi di vettovaglie ritornò alle pròTè, addensò i proprii .soldati che agitavano terribilemente gli scudi, e si oppose ai nemici. Comunque

però qualche schiera dei nostri s’ avvicinasse agli av*versdrii che colle barbariche loro armi levavano un orrendo frastuono, e i nostri anch’essi dalla loro partebattessero gli scudi sulle ginocchia, nondimeno Teodo*

i II testo aggiunge : et perancipitis. . . T/teodosius ecc.. IlWagner suppone che l’ autore raccontasse qui la morte di

questa donna.,a  Ad numìcipiùm properavit ... ense! Forse dee leggersi  Au* diensej giacché trovasi poco sotto che Teodosio ritornò a que-sto luogo.

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LIBRO VENTESIMONONO 3 i 9

sio come cauto e prudente capitano, non si fidando nello An.deD' E.V.scarso numero de9suoi, s’astenne dalla battaglia, avan 371zandosi però in ordinanza quadrata verso la città nominataContense, dove Firmo area collocato i prigionieri presi

sopra di noi, stimandola una fortezza di malagevoleaccesso : ed avendoli tutti ricuperati, infieri com’ erasuo costume sui traditori e sui satelliti di quel ribelle.Mentre poi egli col favore del cielo queste cose face-va, un verace esploratore venne ad annuuziargli cbeFirmo erasi ricoverato presso il popolo Isaflense: ed

egli entrato fra quelle genti domandò che gli fosseroconsegnati Firmo stesso e il fratello Mazuca e le altrepersone a lui attinenti: e non potendo ottenerli, didùarò loro la guerra. Venuti quindi ad un’atroce bat-taglia, compose il proprio esercito in rotonda ordi-nanza per opporlo così ai barbari esasperati fuor d’ognimipura ; e col peso delle incalzanti ' caterve rovesciò

gl’ Isaflensi per modo che molti ne furono uccisi ; eFirmo stesso, feroce e spesse volte anche con propriodanno precipitoso, fuggì coll’ ajuto del proprio ca-vallo abituato a correre celeremente per sassi e diru-pi : ma il fratei soo Mazuca fu preso mortalmente fé*rito. Teodosio ordinò che fosse inviato a Cesarea dove

costui aveva lasciati orribili monumenti delle sue scel-leratezze ; ma essendoglisi poi dilatata la piaga moriiTuttavolta il suo capo staccato dal rimanente del còrpofu inviato alla predetta città con grande allegrezza ditatti coloro ai quali venne veduto. Dopo di ciò Teo-dosio afflisse con molti danni, com’ era ben ragione*vole, la nazione Isaflense che aveva osato di òppor

segli : e condannò alle fiamme Evasio potente cittadi-no, con Floro suo figliuolo e con alcuni altri aperta*mente convinti'di avere giovati i disegni 4i Firmo

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An.<w»'l?.v. perturbatore della quiete. Procedendo poscia più ad1 dentro assalì con grande animo la nazione Iubalena

dalla quale aveva saputo esser discéso Nubele padredi Firmo; ma impedito dall' altezza dei monti e delleanguste flessuosità delle vie, ristette. E sebbene, fattoimpeto sui nemici, ed avendone uccisi parecchj, si fosseapèrta la strada, nondimeno temendo ie sommità dique’colli opportunissime a tendervi iusidie, si ritrassedi nuovo co’ suoi sani e salvi al castello Audiense, dovela feroce nazione de’ Jesalensi da sè stessa si arrese,

promettendogli soccorsi di soldati e di vettovaglie. Perquesti e per altri consimili eventi esultando quell1illu-stre capitano, con ogoi sforzo tendeva ad impadronirsidi Firmo stesso 1 e però soffermatosi lungamente pre^oun castello detto Mediano, e volgendo nell*animo variie prùdenti consigliti sperava che costui dovesse final*mente cadere bielle sue mani. Ma in mezzo a questi

pensieri sentì che il nemico era tornato di nuovo agliIsaflensi: ed egli senza indugio di sorta andò un'altravolta ad assalirli colle coraggiose sue schiere. Cammin*facendo gli venoe incontro con gran fidanza un Ee peenome Igmaxene, assai pregiato in que1luoghi ed insigne;per ie sue ricchezze, e gli disse:  Di qual paese se* tu? 

ed a che venisti fra noi? rispondi. E Teodosio, conminaccioso sguardo risolutamente rispose: Io son Conte  di Valentiniano padrone del mondo 9 inviate ad op primere un sanguinario ladrone ; e se tu non me lo  consegni subitamente ,  siccome comanda P invitte mia  Imperatore,  sarai distrutte insieme, col popolo che governi. lgmazene ciò udendo, dopo: molte ingiurie scagliate

eontro Teodosio, si ritrasse tutto pieno di dolore e dirabbia. Quindi all’ alba del . giorno seguente dall’ unapatite e dall’ altra uscirono alla battaglia i due eserciti

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con minaccevol contegno: circa ventimila barbari schieAn.dell*&T.raronsi nella fronte; e molte bsfode si collocaron datergo a gnisa di ausiliarii, affinché poi movendosi a pocoa poco chiudessero i nostri in mezzo ad una moltitu-dine non preveduta da noi : ed a costoro* si aggiunseroanche molti Jesaleni, i quali, come dicemmo, avevanoinvece promesso ai nostri e uomini e vettovaglie. Dal*T altra parte i Romani essendo bensì in numero pochi,ma d’animo forte e incoraggiati dalle precedenti vitto-rie, serraron le schiere, e congiungendo gli scudi a

foggia di testuggine, resistettero senza movere passo.La pugna continuò dal nascer del sole fino all’estremodel giorno, e poco innanzi alla sera fu veduto Firmosopra un cavallo molto alto, che distendendo il suomantello scarlatto, esortava con grandi clamori i s ol-dati a consegnargli Teodosio (cui egli chiamava trucu-lento e feroce, e ritrovatore di crudeli supplizii ), se purvolevano liberarsi una volta dai mali che sostenevano.Queste inaspettate parole eccitarono alcuni a combat-tere più fortemente; altri invece lasciaronsi indurre adabbandonare le insegne. Quando poi sopraggiunse laprima ora della notte, ed ambe le parti si trovaronavvolte nell’ orror delle tenebre, Teodosio si ricondusse

al castello Duodiense, dove passando a rassegna l’eser-cito, con varia maniera di supplizii fece morire colorocui la paura o le parole di Firmo avevan distolti dalguerreggiare : agli uni vennero tagliate le destre ; glialtri furono abbruciati vivi. E stando con gran vigi-lanza respinse alcuni dei barbari i quali dopo il tra-monto della luna approfittarono dell’ oscurità per as-salire il suo campo; e quelli cbe più animosi vollerospingersi innanzi, li fece prigioni. Toltosi poi veloce-mente di là si condusse per obliqui sentieri e d’ onde

MiftCBLLIlfO, k a i

LIBRO VENTESIMONONO 3ai

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An.driPE.V,nessuno lo avrebbe aspettato, ad assalirei Jesalensi uomini d’ ambigua fede, e li devastò fino all’estrema mi-seria. Poi ritornato a Si tifi attraversando le città dellaMauritania Gesariense, abbruciò vivi Castore e Mar-

ti niano partecipi delle rapine e delle iniquità di Ro-mano, dopo averli straziati con mortali tormenti. Ricominciossi dopo di queste cose la guerra cogl’ Isaflensi, e nel primo scontro essendo cacciati ed uccisiparecchi dei barbari, il re loro Igmazene cbe per loaddietro era stato sempre vittorioso, atterrito da quel

sinistro , e stimando che qualora si ostinasse nella vie-tata sua alleanza con Firmo non gli resterebbe nemmanco speranza di conservare la vita, abbandonò ilpropri o; campo colla maggior cautela e segretezza cheper lui si potè \ e veduto Teodosio, supplichevolmenteil pregò che ordinasse a Masilla , ottimate de’ Mazici ,di venire da lui. Teodosio fece quel eh* egli chiedeva ;

ed egli per mezzo di costui gli fece segretamente sape-re, che ss voleva dargli occasione di fare ciò eh* esso desi-derava non si rimanesse dall’ incalzare acremente i suoiIsaflensi a fine di atterrir quelle genti, le quali eranobensì inclinate a favorire il ribelle, ma già erano stan-che de* moltiplici danni patiti. Acconsentì a quel con-

siglio Teodosio, e con frequenti battaglie prostrò gl’ Isa-flensi per modo, che Firmo vedendoli dileguare a so*miglianza di pecore, celatamente sarebbe fuggito percercare appartati e sicuri nascondigli, se mentre deli-berava seco medesimo della fuga, non fosse stato sor-preso da Igmazene e fatto prigione. Laonde come coluiche aveva avuta qualche notizia delle cose trattate con

Masilla, considerando che nei casi estremi uno solo òil rimedio che resta, risolvette di calcare con unamorte spontanea il desiderio di vivere; bevve a bello

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studio fuor di misura e s'inuebbriò: poi nel silenzio An.delP E.Y,della notte, quando i suoi custodi erano oppressi da 371sonno profondo, egli cbe dal terrore dell9imminentesciagura era tenuto desto, abbandonò il letto senza ro-

ssore di sorta, e camminando carponi se ne trassemolto lontano : dove avendo trovata una cordicella quasiapparecchiata dal caso a9suoi disegni, Pattaccò ad unchiodo confitto nella parete, e strettovi il collo senzapenoso indugio esalò P anima. Rincrebbe questo fattoa Igmazene, e si dolse che gli fosse tolta la gloria di

condur vivo il ribelle agli accampamenti romani ; pure >dopo avere col mezzo di Masilla ottenuta pubblica as-sicurazione di salvezza, venne portando egli stesso il cada-vere di Firmo sopra un cammello; poi giunto vicino alletende del nostro esercito, piantate presso al castelloSubicarense, lo tramutò sopra un de’ cavalli che por-tavano il bagaglio, e lo presentò a Teodosio. 11quale

esultando convocò i soldati insieme e la plebe, e in-terrogando ciascuno se conoscessero quel volto, poichétu tti senza esitanza risposero eh’ era Firmo, egli po-co dopo se ne tornò come trionfante a Sitifi, dove furicevuto con gran favore di tutte le età e di tutte leclassi.

VL Mentre Teodosio travagliava*! in questa impresaDella Mauritania e nell’ Africa, la nazione dei Quadieoo repentino tumulto si sollevò; la quale allora nonera da temersi gran fatto, ma un tempo era stata ol-tre ogni credere bellicosa e potente. E ne son testimo-nio le sue rapide geste ; Aquileja assediata dai Quadie dai Marcomanni; Opitergio distrutto; e molte altresanguinose spedizioni compiute con somma celerità:talché superate le alpi giulie, appena potè ad essi re-sistere quell’illustre imperator Marco, del quale abbia

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3*4 AMMIANO MARCELLINO.n»o parlato. E costoro, comunque barbari, si lamen*tavan o con ragione. Imperciocché Valentiniano, spinto.da glorioso ma poco misuralo desiderio di fortificare iconfini, ordinò che si costruissero accampamenti al di

là dell’Istro e proprio nelle terre dei Quadi, come sefossero già sotto la signoria romana: la qual cosa malcomportando gli abitatori, per assicurarsi, cercaronod’impedirla con un7ambasceria e con qualche internosusurro. Ma Massimino, voglioso di ogni ribalderia, eincapace di mitigar mai la sua naturale superbia ac*

cresciuta dall1altierezza della prefettura ^ rimproveravaJ&quizio in que’ tempi Maestro delle armi neirilliria,chiamandolo ostinato ed inerte, perchè non recava atermine un’ opera il cui compimento era già decretato.:e aggiungeva, sotto colore di pubblico bene, che se al«uo giovin figliuolo Marcelliano si conferisse la caricadi Governatore della Valeria, quel forte s’innalzerebbe

senza pure un lamento. E nel fatto, non guari dopo,egli conseguì amendue queste cose. Perocché Marcellia*d o   promosso al grado già detto venne alla terra deiQuadi, e comportandosi con superbia smisurata allasua età, senza cercar di ammansare con verun discorsoquelle genti che mai non uscivano per amor di gua-

dagno fuor de’ proprii confini, mise mano di nuovo allavoro già comincialo , e sospeso poi per essersi datalicenza a que’ popoli d’ interrogare P Imperatore. Al-l’ultimo, domandando modestamente il re Gabinio chenon si facesse veruna novità, egli fìngendosi umano epronto ad acconsentire lo invitò ad un banchetto inrsieme con altri; poi mentre partiva senza verun so-

spetto, lo fece uccidere, con nefanda violazione dellasantità dell’ ospizio. La nuova di questo atroce delittosi diffuse, esasperando i Quadi e le genti circonvicine;

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le quali piangendo la morie del re , si raccolsero inAn.dètTE.V.sieme, e spedirono alcune bande di armati cbe depredassero i n ostri confini. C ostoro aduoque passato il Da-nubio mentre nessuno se li aspettava , assaltarono gli

abitanti occupati intorno alle messi, e dopo averne ac-cisa la maggior parte, ne trassero il restante né* pro-prii paesi insieme con gran quantità di bestiame d* ognimaniera. E fu allora per avvenire una inespiabile of-fesa e da noverarsi fra i danni più vergognosi di ; Ro-ma : pe rocché sarebbe stata presa la figlia di Co-

stanzo, mentre, condotta sposa a Graziano, pigliavaalcun cibo in una villa chiamata Pistrense, se per fa-vore della propizia divinila, Messala governatore di quellaprovincia, non ta trasportava con rapido corso a Sirmio lontano di colà venti friiglia, avendola pigliata consé nel suo cocchio. Fu sottratta così prosperamente la'regai vergine al pericolo di una miserabile servitù, la

quale avrebbe recati gravissimi danni alla Repubblica,qualora non si fosse potuto ottenere il riscatto dellacapt rva. 1 Quadi pertanto diffondendosi insieme coi Sar-mati, $enti espertissime ne' ladronecci e nelle rapine,facevan bottino d'uomini (d 'am bo i sessi) e di pe-core, esultando sulle ceneri de' paesi abbruciati e sulle

sventure degli uccisi abitanti, cui essi improvvisamentee senza rispetto di sorta ammazzavano. Essendosi dun-que diffuso per tutti i luoghi vicini il terrore di similidanni, Probo allora Pre/etto del Pretono in Sir mio,uomo non uso agli orrori dell? guerre, -atterrito dallugubre aspetto di quella novità, sicché appena arrischiavasi di sollevare lo sguardo, se ne stette lunga-

mente dubbioso di quello che avesse a lare ; e già avevaapparecchiati alcuni veloci cavalli per fuggire nellaprossima notte, quando un migliore consìglio lo. per

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An.4r1P E.V. snase a fermarsi. Perocché gli fa annunziato che quanti3,1 erau chiusi tu quella città gli terrebbero dietro subi-

tamente, per andarsi a celare dove trovassero nascondi-gli: e cosi quella terra senza essere combattuta ver-rebbe in poter dei nemici. Cessata poscia alcun pocola paura, rivolse 1’ animo ai necessarii rimedi ; sgom-berò le fosse da’ rottami ond’ erano piene, e sollevò lemura, generalmente neglette e rovinate nella lunga pa-ce, fino ai merli delle alte torri : ciò che egli, amantedel fabbricare, potè compiere prestamente, perchè tro-

vò già in pronto tutto che gli era mestieri, essendo ap-parecchiato per costruire un teatro. A questo nobil con-siglio ne aggiunse un altro assai utile, chiamando a sèdalla vicina stazione una coorte di saettatori, affinché'difendessero la città se mai venisse assediata. I barbaripoco esperti nelle arti della guerra e impediti anchedalla preda che seco menavano, per queste difficoltà sitolsero giù dal pensiero di espugnar quella terra, e sivolsero invece a cercare di Equizio» Ed avendo saputodalle relazioni de9prigionieri ch’egli erasi trasferito nelleparti più lontane della provincia, fremendo s’ inviaronoverso que1luoghi, desiderosi di ucciderlo; perché stima-vano cbe per opera sua l’ innocente loro Re fosse stato

condotto alla morte. Contro costoro pertanto che agrandi giornate irrompevano, si mossero due legioni,la Pannonica e la Mesiaca ; milizia da combattere for-temente, e da riuscire senza dubbio vittoriosa se fossestata concorde. Ma in qutella che stavano per assalireseparatamente il nemico cominciarono a gareggiare dellapreferenza, e cosà furono dalle loro discordie impediti.Di che avendo avuto notizia >Sarmati, come gente ac-cortissima, senza aspettare il segno formale della bat-taglia , assaltarono primamente la legione Mesiaca : e

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mentre i soldati in quel tumulto mal sapevano come An.<Mt1E.V.trovar le loro armi, ne uccisero molti ; e inanimiti m * saltarono anche la Pannonica. Rotta cosi 1*ordinad u i •l’ avrebbero in quel duplice assalto quasi intieramente

distrutta, se una pronta fuga non ne sottraeva alcunial pericolo della morte. Io mezzo a questi danai del*P avversa fortuna, Teodosio, Governatore della Mesia,giovine allora di primo pelo, poscia prìncipe insi»gne, respinse parecchie volte e abbattè i Sarmati Li*beri ( detti così per distinguerli dai servi ribelli ) che *

da un altro lato invadevan le nostre frontiere; è tantafu la strage eh9egli fece di quelle genti, cbe colsangue de* molti uccisi saziò gli uccelli e le fiere. Glialtri, poiché la superbia fece luogo al timore, per evi*tare che quell’operoso generale non prostrasse o voi*gesse in fuga le loro soldatesche stanziate sulle primefrontiere, ovvero che non tendesse loro agguati nel*F oscurità delle selve, dopo avere tentato più volte mainvano d’irrompere, deposta ogni fidanza che avevannelle armi, domandarono che fosse loro rimessa e per*donata la passata condotta; e come vinti, per tutto iltempo della tregua che fa loro concessa non feceronulla di ostile, spaventati principalmente perchè alla

difesa dell1llliria era venuta una valida mano di Galli.Mentre poi taote e siffatte continue turbolenze agita*vansi, essendo Prefètto di Roma Claudio, il Tevere chescorre per mezzo alla città, e ingrossato da molti scolidi acqua e da molti fiumi, va poi a mischiarsi col martirreno, straripando per troppa abbondanza di piogge,e dilagandosi, coperse quasi ogni cosa. Convertite per*ciò in tanti stagni le parti basse della città, i soli collie le parti più eccelse degli edifizii furono preservate daquello spavento: d’onde, affinchè molti non morissero

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AiuidP E.y. di famé, perchè P altezza delle gtcque. non . permetteràdi camminare altrimenti, con piccole barche recavansiattorno sussidii di vettovaglie. Ma quando poi la sta-

gione cambiò, ed il fiume, rotti gli ostacoli, rientrònel suo solito letto, cessato il timore non s’ ebbe piùpaura di alcun danno. Questo Prefetto si condussemolto quietamente, non tollerando che fi fosse maiginsto motivo di sedizioni. Ristaurò inoltre molti an-tichi edifiiii : fra i quali un gran portico vicino ai ba-gni di ■ Agrippa detto del Buon Evento, perchè ivi

presso è un tempio di questo nome.

3a8 AMMIANO MARCELLINO LIB. XXIX.

rum d el   l i b r o   veivt bsimon oivo

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33o AMMIANO MARCELLINO

I. I n mezzo a queste turbolenze suscitate dalla per-fidia di Marcelliano colla scellerata uccisione del re dei

Quadi, fu commesso in Oriente un atroce delitto, es-sendosi con segrete insidie ammazzato Para re degliArmeni. Della quale atrocità con empio consiglio ese-guita sappiamo che la primitiva cagione fa questa. Al*cuni uomini malvagi soliti a trar profitto dai pubblicidanni accasavano presso 1’ imperatore Valente di al-

cuni esagerati delitti questo principe non appena adultadi età. Era del numero di costoro anche il generaleTerenzio, il quale comunque fosse nel portamento di-messo e sempre d’aspetto pendente alla mestizia, funondimeno insin che visse un acre istigatore di dis-sensioni. Costui essendosi associati alcuni pochi Armeni,cui la coscienza dei proprii delitti teneva sospesi e in

timore, scrivendo alla corte ricordava mai sempre lauccisione di Cylace e d’ Artabanne; poi aggiungeva cheil giovane Para sospinto dalla sua natura a superbeazioni, era soverchiamente crudele verso i proprii sog-getti. Per ciò Para fa principescamente invitato comeper esser partecipe di quel trattato cbe le circostanze

d’allora esigevano, e sotto apparenza di ossequio facustodito in Tarso città di Cilicia. Quivi egli vedendoche nè era ricevuto al cospetto dell’Imperatore, nè po-teva saper la cagione di quella improvvisa chiamata tperchè tutti tacevano, finalmente da un segreto indi-zio comprese che Terenzio persuadeva per lettere al-l’imperatore romano di mandare al più presto un al-tro re nell’Armenia, affinchè quella nazione oppor-tunissima a noi, per l’odio die aveva a Para e perlo tim ore eh*ci ritornasse, non si desse ai Persiani

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desiderosissimi d’ impadronirsene o colla forza o colle AilM’B.V.minacce o colle lusinghe. Le quali cose considerando ^quel prìncipe presagì che gli sovrastava una grande rovina: e come colui che non mancava di accorgimento,nè trovava altra via di salvezza fuorché in una prontapartenza, per consiglio di quelli nei qnali più confidava, raccolse trecento eh1eran venuti con lui dalla pa-tria , e sopra velocissimi cavalli con più audacia cheprudenza (come suole avvenire nelle paure grandi edubbiose ) , essendo passata già la più gran parte del

giorno, si mise intrepidamente in cammino. 11 gover-natore della provincia avvertito dall’ officiale che avevain guardia la porta, seguitandolo a gran fretta Iq rag-giunse nei sobborghi e lo scongiurò a rimanere; manon ottenne ciò che domandava, e Ai risospinto contimore di essere ucciso. Nè guari dopo essendo inse-guito da una legione e quasi raggiunto, egli medesimoretrocesse co1più pronti de’ suoi e scagliando frecce ingran numero, ma in modo peraltro che non ferisseroalcuno, la cacciò in fuga per tal maniera, che tutti isoldati insiem col tribuno atterriti si ritrassero alle murapiù celeremente cbe non eran venuti. Sciolto poi daogni timore, avendo per due giorni e due notti soste-

nuta la fatica di luoghi viaggi, arrivò all’ Eufrate ; enon potendo, per mancanza di navi, passare quel fiu-me voraginoso, molti de’ suoi inesperti al nuotare te-mevano, ed egli più di tutti stava dubbioso; nè sa*rebbe proceduto più innanzi • se proponendo tutti qual-che consiglio , non si fosse alla fine potuto trovare unsicurissimo scampo. Stesero dei letticduoli trovati pressoi contadini sopra otri congiunte a due a due,* e delleqnali era grande abbondanza in que’ luoghi dove i campi•od tatti vigneti: sopra questi Ietti montarono i capi

LIBRO TRENTESIMO 331

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Àn.deirE.V.della comitiva e il Re stesso, tirandosi dietro ciascuno^ il proprio cavallo; e schivando Y impeto dei flutti col

muoversi a traverso, finalmente dopo estremi pericoligiunsero alla riva opposta. Tutti gli altri portati a nuoto

dai cavalli , e di quando in quando o sommersi o gittati qua e là dai gorghi del fiume, all1ultimo furonsospinti anch1essi, tutti bagnati e con gran pericolo,alla sponda^ dove essendosi alcun poco riposati, ripi-gliarono il viaggio più ccleremente che nei giorni passati.L’Imperatore quando gli venne annunziata la fuga di Pa-

ra ne fu dolente, giudicando che costui, trovandosi fuoridei lacci, romperebbe la fede; e però spedì subito conmille saettatori di leggiera armatura Danielo e Barziraere ( l’uno Conte, 1’ altro Tribuno degli scutarii ) cbeIo richiamassero indietro. Costoro confidando nella pra-tica dei luoghi, mentre quello straniero e inesperto deisiti consuma in molti giri e andirivieni il suo tempo ,

attraversando alcune valli gli riuscirono à fronte ; e,divise fra loro le milizie che avevano seco, chiuserodue strade ivi presso e disgiunte l’ una dall’altra lospazio di tre miglia, affinché qualunque via pigliassepotessero coglierlo all’ improvvisla. Ma il loro disegnouscì vano per questo accidente. Un viaggiatore che an-

dava verso l’ interno del paese, vedute quelle due stradepiene di soldatesca armata, volendo scansar quello scon-tro’, s’avviò per un senlieruolo appartato e coperto dafrutteti e da spine, e s’abbaftè negli Armeni che stan-chi si riposavano. Questi lo condussero al Re, al qualeegli in segreto comunicò quanto avea visto: poi fu te-nuto in custodia, ma senza essergli fatto alcun male.Dissimulando poscia ogni timore, il Principe spedi celatamente un uomo a cavallo al destro lato del loro viag-gio, ordinandogli che apparecchiasse e luoghi da alloggia

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re e rett ova glie ; e poco stante ne spedì un altro a sinistra Aadril'&Y.a gran fretta e colle stesse incumbenze, senza che puntosapesse del primo. Ordinate così utilmente codeste coseil Re co1suoi battendo la via pei* la quale era venuto

il. viaggiatore che di presente serviva loro di guida ,per un calle ispido e angusto ad un giumento da ca-rico , lasciatisi a tergo i nostri soldati, rapidamentesi dilungò: e i nostri intanto avendo presi que1dueeh1erano stati spediti soltanto per ingannarli, se ne sta»vano aspettando quasi con braccia aperte una preda

eh’essi credevan sicura. E mentre questi attendonol’arrivo di Para, egli ritornato sano e salvo nel pro-prio regno, e ricevuto con sommo gaudio de’ suoi sitenne immobile nella sua fede verso di noi, dissimu-lando tutte le ingiurie che aveva sofferte. Danielo eBarzimere poi quando se ne tornarono così delusi fu-rono lacerati da vergognosi motteggi come upmini inerti

e da poco; ma non altrimenti che serpi le quali alprimo assalto stupefatte, aguzzano le mortifere lingue,si prepararono di nuocere, dove ne avessero occasione,al principe loro sfuggito. Per dimiuuire adunque il pro-prio errore e P inganno in cui li avea tratti P accorgi-mento di Para, accusavauo quel Principe alle orecchie,

delP Imperatore avidissime di ogni diceria, tingendo.eli1egli valesse, assai negl1incantesimi Circei, per tra,sformare o debilitare mirabilmente i corpi: e aggiun-gevano che,con tali arti circondandosi di una caligineerasi tramutato sotto diversi .aspetti di varie suppellet-tili ; e dove fosse lasciato sopravvivere a questo dileg-gio , sarebbe loro cagione di gravi pensieri. •Quindi siaccrebbe cootro di lui P invincibile odio dell1Impera-tore e gli erano tesi agguati ogni giorno, perchè o 900aperta forza o per tradimento gli si voleva toglier la

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Àn.fWrg.v. vita : e di questo fu data incumbenza con segrete let| er8 a Trajano cbe allora trovavasi nell’ Armenia sicco-me capo della milizia. Costui circondò con ingannevoliinsidie quel Principe, ora mostrandogli alcune letteredalle quali appariva che Valente non era punto esa-cerbato con lui; ora intervenendo ai banchetti ch’eidava; ed all’ ultimo, avendo già predisposto l’inganno,lo invitò rispettosamente a pranzare presso di sè. Egliche non sospettava di nulla, venne al convito e s’adagìònel posto più onorevole a lui assegna to* E mentre ser-

vi va nsi squisite vivande e le ampie sale rintronavan dicanti e di suoni, e il vino già cominciava a riscaldarele menti, Trajano simulando un urgente bisogno na-turale uscì; e poco dopo si vide entrare colla spadasguainata e collo sguardo travolto un barbaro del nu-mero di coloro che si chiamano Supre », mandato a tru-cidare il giovin principe prima che potesse uscire delposto in cui era angustiato. A tal vista il re chesi trovava per accidente rizzato sul suo letto , tratt o fuori il suo brando, balzò in piedi per difendere inogni modo la vita; ma trafitto nel petto cadde comeuna vittima turpemente da molte ferite abbattuta. Ecosì fu indegnamente ingannata la buona fede; e nei

conviti, rispettati anche dai barbari del Ponto Eusino, alla presenza di Giove ospitale, il sangue stra-niero bagnò i ricchi addobbi della mensa, e quasi of-ferto ai convitati già s&zii fu cagione che tutti compresid’orrore si disperdessero. Se ai morti rimane alcunsenso di dolore, gema della sfrontatezza di questo fattoFabricio Lincino ricordandosi con <£uale grandezza di

i Ignoriamo se questa lezione sia sicura , o cbe cosa vera-mente significhi questa parola. 1

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LIBRO TRENTESIMO 335animo egli rimandò Democare, o, come altri scrivono, An.d<*irE.V*

Nicia miuistro di Pirro, quando in nn segreto colloquiòerasi offerto di avvelenare qnel re che allora con fie-rissime guerre travagliava P Italia ; ed avvertì Pirro stesso

cbe si guardasse da1suoi. Tanto rispetto nell’ antica giù*•tizia otteneva la mensa comunque ostile! Tuttavoltascusavasi quel recente e vergognoso delitto coIP esem*pio della uccisione di Sertorio} ignorando forse gli adu-latori che, siccome afferma Demostene eterno splendoredi Grecia, la somiglianza o P impunità delP altrui de-

litto, non può mai discolpare ciò che si & contro ildovere.U. Queste sono le cose degne d’esser notate che si

fecero nelP Armenia. Sapore poi dopo la strage del suoesercito avendo sentita la morte di Para, cui egli al-lora desiderava assaissimo di col legarsi, ne fu percosso da grave tristezza ; ed essendogli dall1animosità delle

nostre milizie accresciuto il timore, come presago diavvenimenti maggiori, mandò Arsace ambasciadore aValente, persuadendolo a distruggere intieramente P Ar-menia, cagione perpetua di mali: o dove ciò gli spia-cesse, domandava invece che, facendo cessare la divi-sione delP lberia, e richiamate le guarnigioni della parte

romana, si lasciasse regnar solo Aspacure, da lui pre-posto a quella nazione. Alle quali cose Valente risposein questa sentenza : eh9egli non potrebbe derogar puntoalle cose già stabilite di comune consenso, ma le di-fenderebbe con ogni sua cura. Quando poi P invernofu al termine vennero recate lettere di Sapore contrariea questo glorioso proposito nelle quali addnceva molte

ragioni vane e superbe. Affermava che non si potevanotogliere dalle radici i semi delle discordie, se non in-tervenivano le persone consapevoli della pace conchiusa

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D.ddFE.V. con Gioviano, delle quali non ignorava che alcunè eranomorte. Laonde facendosi ognora più grave la cosa, l’Im-peratore più esperto a scegliere che a trovare partiti ,stimò convenevole di ordinare che Vittore Maestro del

cavalli ed Urbicio Governatore della Mesopotamia an-dasser o sollécitamente iu Persia recandovi questa 4qlàed assoluta risposta : Che Sapore mentre vantavasi diessere re giusto e contento del Suo, empiamente desi-derava l’Armenia, sebbene si fosse data licenza agli abi-tanti di quella di vivere come prù loro piaceva: ma se

mai le milizie destinate secondo le intelligenze a pre-sidiare Sauramaco nel principio dell’anno seguente fos-setto costrette di ritornare, per esser da lui impedite^egli adempirebbe poi sno malgrado ciò che tardava aiare spontaneamente. La qu«le ambasceria sarebbe statàe giusta e.onorevole, se quelli che n’ebber V incarico nonavessero errato ricevendo , fuor della loro incumbenza,alcuni piccioli paesiche nell’Armenia stessa lóro ven-nero offerti. Perchè quando costoro furono ritornati

 jopraggiunse il Surena, principalissimo dopo il Re, edofferse all’imperato re quelle stesse regioni che i nostrilegati avevano audacemente occupate. Costui ricevutocon modi liberali fu poi accomiatato senza gvere otte

aut o quello che domandava, e quindi si cominciarono»d apparecchiare grandi arnesi di guerra, perchè l1Im-peratore tosto che fosse mitigato 1’ inverno voleva en-trarnella Persia con tre esercitile a tal fine cercavaavelie con grande cele rità ausiiiani di Scizia. LaondeSapore vedendo di non poter conseguire ciò che vana-mente avea sperato, comunque se ne sdegnasse oltreil .solito, pure.sentendo che noi ci accingevamo allaspedizione represse l’ ira e^diedeineumbeoza al Sftreoàdi ripigliare que7paesi che il conte Vittore ed Urbicio

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avevano ricevuti, adoperando le armi se mai qnalctmoAifcdelPE.V.facesse resistenza, e di sottoporre all1estreme punizioni ^  le milizie destinate a presidiare Sauromaco. Questi or-dini furono subitamente eseguiti} nè fu possibile pre-

venirli nè vendicarli, perchè i Romani erano circon-dati dal timore dei Goti i quali corseggiavano sfrenata-mente le Tracie: e noi ne racconteremo, almeno per sona-mi capi, i danni quando verremo a quel punto della no-stra narrazione. Queste frattanto furon le cose agitatené* paesi Orientali : e durante il corso di questi eventf 

la’ sempiterna Giustizia, lenta bensì qualche volta mascrupolosa investigatrice delle azioni buone o cattive,pimi di questa maniera le stragi d’ Africa e i Manpmulti è tuttora erranti dei legati di Tripoli. Quel Re^tangio ehe già dicemmo avere favoreggiato, al conte Ro-màno nel depredar le Province, dopo che Leone CO7minciò a subentrargli nella carica di Maestro degli Of-

ficii, riposandosi dai pubblici incarichi si era volto al|qCose campestri presso Mogonzia oo in alcuni suoi avitipoderi. Ma il Prefetto del Pretorio Massimino,. spre-giandolo appunto per essersi dato a quel vivere così quieri o, e voglioso di manomettere come soleva ogni'cosa a so-miglianza di crudel peste, mentre egli se ne stava colà

in gran sicurezza, studiava di nuocergli per tu^ti i modi:e per discoprire, ciò che gli era nascosto fece arrestar? €esa*to stato ajutanle di Remigio stesso, ,9 poi Segre-tario del Principe, e sottoponendolo a s^Pgyinosaftorjtu ra lo interrogò sulle. cose . da Remjgio operate loquatto avesse ricevuto per favorirete ,scel lentezze  ài Romano. E Remigio di queste cose informato • o cbe

lo incalzasse la coscienza de* proprii delitti, o che iltimore delle accnse vincesse in lui ogni ragione, sj posenn capestro alla gola, e si strozzò.

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An delFE.V. n i . Nell9anno che seguitò a queste cose, essendo con*3?5 sole Graziano in compagnia di Equizio, fu recata a

Valentiniano ( che dopo aver devastati alcuni villaggidell' Allemagna era intento a costruire presso Basilea ilforte detto Robur ' ) la relazione del Prefello Proboche gli dava contezza dei danni d’ llliria. L’ Imperatoredopo aver letta quella relazione colla ponderatezza con-veniente ad un capitano assennato, ondeggiando in gravipensieri, inviò il Segretario di Stato Paterniano affin-chè s’ informasse con indagine scrupolosa di quanto era

accaduto; e quando ebbe da lui sicure notizie, si di-spose subitamente di accorrervi, immaginandosi di op-primere ài primo fragore delle armi que* barbari cheavevano osato profanare i confini. Ma declinando giàr autunno, molti e gravi ostacoli lo impedivano; e tuttii principali della corte pregavanlo e scongiuravamo adindugiare sino al cominciar della primavera, affermandoche mal si potrebbero superare le strade indorate daighiaeci, per luoghi dove non erano nè erbe da pasco-lare, né veruna delle altre cose occorrenti : poi gli rap-presentavano la ferocia de* re vicini alle Gallie, e quellaprincipalmente di Macriano allora temuto, il quale, senon si cercasse di pacificarlo, assalterebbe per certo fin lè

città. Con queste considerazioni, alle quali aggiunge-vano altri utili avvisi, lo ridussero a migliore consiglio :e tostamente, come giovava al pubblico bene, fa perbella maniertt invitato a Mogonziaco il predetto re; ilquale da sua parte mostra vasi anch’egli proclive adaccogliere quel trattato. Vennè pertanto, nè dir si po

i Nei contorni di Unninga.a Vedi Lib. xxvii, c. n e Lib. xxix, c. 6. I danni poi

che l 'autore qui accenna erano opera dei Quadi t dei Strinati^

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Irebbe qnanta superbia il gonfiasse , stimando di dover ▲n 4e1PB.Y.essere arbitro assoluto della pace : e nel giorno prefisqp ^  al colloquio fermossi proprio sul margine del Reno,sollevando alto la testa, mentre le persone ond1era se-

guito innalzavano d’ogni intorno un gran frastuonodi scudi. Per lo contrario Augusto montato sopra lembida fiume, ma circondato però aneli’egli da molte schieradi soldati, s’accostò con maggiore fiducia alla riva, conil splendide insegne da essere distinto fra tu tti: equando alla fine il sommoversi e lo schiamazzare smo-

derato dei barbari fu sedato, dopo alcune cose dettedall’una e dall’ altra parte, si confermò l’amicizia collafede del giuramento. Ciò fatto, quel re fino allora arte-fice di turbolenze, si partì ammansato e con animo di es-sere nostro socio: e diede poi sempre insin che vissebei documenti di animo nella concordia costante. Morinella Francia, mentre con troppa avidità la invadeva

e la depredava, caduto nelle insidie del bellicoso reMellobaude. Del resto quando quel trattato fu solenne 1mente compiuto, Valentiniano si condusse a Treverinei quartieri d’ inverno.

IV. Queste cose facevansi nelle Gallie e ne9 paesisettentrionali. Ma nelle parti 41Oriente, tacendo pro-

fondamente le esterne guerre, s’ aumentavano i danniintestini per opera degli amici di Valente e degli altriche gli’erano intorno, appo i quali l’utilità! prevalevaall’ onesto. Attendevasi con tutta diligenza a far sì chequest’ uomo rigido e desideroso di ascoltare processi, sidistogliesse da questo amore di giudicare; temendo chenon ne fosse abbattuto (come successe nel tempo di

Giuliano in cui l’ innocenza difesa si rinfrancò ) l’ or-goglio dei potenti, il quale è solito allargarsi oltre igiusti confini ogniqualvolta gliene sia data licenza. Pe#

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Au.deirE. V. queste e somiglianti cagioni sconforta va nl o molti con*3,5 cprdemente da que' processi. Soprattutti poi Modesto Pre-

fetto del Pretorio , uomo soggetto all’arbitrio de1regiispadoni, il quale mascherava sotto un volto contegnoso

un rozzo ingegno da nessuna lettura deir antichità ingentilito, gli veniva affermando le mintUezze delle causeprivate èssere cose al di sotto della sublimità imperiale.Valente persuaso come asseriva costui che l’ officio di esaminare i processi fosse stato introdotto per umiliarel’altezza dei grandi, se ne astenne all’in tu tto , e cosà

aperse Padito alle rapine; le quali di giorno in giornofortificaronsi cospirando unanimi nella malignità i giu-dici e gli avvocati. Costoro vendendo le cose dei de-boli agli officiali militari od ai potenti di corte procacciavansi per questa via o ricchezze od onori insigni.Questa professione degli oratori forensi fu ben definitadal gran Platone  pofìov etiatXofy cioè ombra di

una particella di politica , o P ultima delle quattro spe-cie di adulazioni ». Epicuro poi nominandola  xxxot€   x*ì*** la ripone fra le arti malvage. Tisia fa dice artefice dipersuasione, e gli assente Gorgia Leontino. Questa pro-fessione poi così definita dagli antichi fu dall’ abusodi alcuni popoli orientali renduta odiosa ai buoni : d’on-

de chiunque la pratica suol essere costretto dentrocerti 8pazii di tempo determinati ?. Laonde dirò quialcune cose sopra l’ indegnità di questa professione dellaquale io medesimo trovandomi in que’ paesi feci espe

i II passo qui citato è nel Gorgia.i Sappiamo che anche in Atene si fecero leggi contro l'a-

buso dell* eloquenza nei giudizii privati. L* usanza poi di sta-bilire agli avvocati un tempo nel quale potessero parlare e nonpiù fu anch* essa di molti paesi, e procede principalmente dallaraohiplicità degli affari.

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rienza, poscia ritornerò alla narrazione delle cose già An.delPE.V.eominciate. I tribunali fiorivano un tempo pei gatrocinit adorni dell1antica eleganza ; quando oratori di animata facondia, attendendo agli studii delle scienze, face*

▼ansi ragguardevoli per ingegno, fede, e abbondanza di▼arii ornamenti del dire. Tal fu Demostene, del quale tro-viamo negli attici monumenti cbe quando egli doveva ar-ringare, si faceva grande concorso da tutte parti di Greciaper udirlo: tal fu Callistrato a cui Demostene stesso, la-sciando PAccademia e Platone, andò dietro quando pero-

rò la nobile causa di Oropo, città dell’Eubea. E tali furo*no Iperide, Eschine, Andocide, Dinarco e quell’AntifoneAamnusio, il quale, siccome attesta P antichità, fu il pri-mo di tutti che ricevesse mercede per la difesa di unacausa. Nè men di costoro fiorirooo presso i Romani iRotilii, i Galba e gli Scauri, ragguardevoli pel modo divivere, pei costumi e per la fragilità; e dopo costoro

in varie età molti uomini censorii e consolari e insi-gniti di trionfi, i Grassi, gli Antonii, i Filippi, gli Scevola ed altri parecchi, dopo gli eserciti prosperamenteguidati, dopo le vittorie e i trofei, illustraronsi inquesta civile carriera; e in bei certami guadagnandosile corone del foro, godettero i sommi onori della glo-

ria. Dopo dei quali Cicerone eccellentissimo sopra tutti,coi fiumi di una imperiosa eloquenza, salvò spessevolte dalle fiamme dei giudizii parecchi oppressi; affer-mando  potersi forse senza vituperio tralasciare di di

 fendere gli accusati ? non già difenderti negligentemente  senza delitto. Ma presentemente si veggono per tutti ipaesi orientali violenti e rapacissimi uomini aggirarsi per

tutti i tribunali, assediare le case dei ricchi ; e come icani di Sparta e di Greta, spertissimi nel trovare i vestigidei proprii padroni, condursi fiutando dovunque siano

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An.d<?1PE.V. i semi dì qualche litìgio. Fra costoro primeggia il ceto. di quegli uomini, i quali seminando*diverse querele vi-

vono in mezzo a mille processi, logorano le porte dellevedove e degli orfanelli, e dove scorgano qualche pos-

sibilità di discordie fra amici o parenti od affini, vi su-scitano implacabili odii. In costoro non intiepidisconoi vizii, come negli a ltri, col progresso dell’ età, masempre più si fortificano: poveri in mezzo a insaziabilirapine, portano sguainato il coltello dell1ingegno persopraffare con maligni discorsi la fede dei giudici, il cui

nome si deriva dalla giustizia. Presso tal gente la sfron-tatezza tien luogo di libertà, la sconsiderata audaci*di costanza, e di eloquenza un cotal profluvio di parole:eolie quali arti, come Tullio afferma, è cosa nefandaingannare la religione dei giudici.  Mentre (egli dice) nessuna cosa dovrebb* essere tante incorrotta nella Re pubblica y q uanto il suffragio e V opinione 9 non com

 prendo perchè chi a corromperli usa il danaro sia de gno di pena 3 e chi f  eloquenza ne porti lode.  In  quante a me pormi che in queste faccia pià male chi  corrompe coll 9eloquenza che col danaro : perchè col   danaro nessuno può corrompere V uomo prudente y  colTeloquenza può. La seconda classe è di quelli che

professando una giurisprudenza abolita dalle discrepanzedelle leggi fra sè ripugnanti, taciono sempre come sele loro bocche fossero incatenate, e nel continuo silen-zio somigliano alle proprie loro ombre. Costoro, quasidovessero predire i destini di qualcuno che nasce, ointerpretare gli oracoli della Sibilla, componendo lagravità del volto a trista apparenza, vendono quell o 

di che sono dubbiosi eglino Stessi. E per mostrarsi piùaltamente istrutti soglion citare Trebazio, Cascellio,Alfeno e le leggi degli Anranchi e dei Sicaoi già da

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gran pezza ignorate, e sepolte da molli secoli colla ma An.«MrE.V.dre di Evandro. E se tu fingi d'avere di propria volontà uccisa tua madre, purché ti sappiano danaroso,ti promettono molti segreti testi per farti assolvere da

quel delitto. Il terzo ordine è di coloro i quali perrendersi chiari in quella torbida professione, aguzzandole mercenarie loro lingue a combattere la verità, coufronte impudente e con vili adulazioni si cacciano do-vunque essi vogli ono; poi in mezzo alle moltiplici sol-lecitudini dei giudici, intramettendo agli affari indis-

solubili nodi, s'affaccendano per impedire che mai noncessin le liti, e a bello studio circondano d'intricatinodi i processi ; i quali quando camminano rettamentesono delubri di equità, ma dove siaoo depravati sonofosse ingannevoli e cieche, d' onde, chi vi sia cadutouna volta, non può uscirne se non dopo molti lustrie succhiato fin «Ile midolle. Avvi in fine un quarto ed

ultimo genere impudente, ostiuato, ignorante; ed è dicoloro che, balzati fuori immaturamente dalle scuole let-terarie, vanno correndo per gli angoli della città e pen-sando a buffonerie, piuttostochè a difese opportune allecause, logorano .le porte dei 'ricchi, e procacciansisquisite delizie di cene e di cibi. Costoro quando una

volta si sono abbandonati a' segreti guadagni ed a pro-cacciarsi da ogni parte danaro, esortano i cittadini in-nocenti ad. inutili litigi; poi aqiipessi a difender la causa(ciò che interviene di rado ) non s’ informano dell'im-portanza dell' affare e del nome del cliente se nonquando sono al cospetto del giudice, e proprio in pro-cinto della decisione; prorompendo allora in circonlocu-

zioni si male ordite, che in mezzo al frastuono ond’è ac-compagnato il suo pessimo cicaleggio parrebbeti di ascol-tare Tersile. Quando poi vengono a dover munire di prò

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A». delPE.V.ve il loro assunto , con ver tonai ad una sfrenata licenza diingiurie, sicché spesse volte per le continue villanie sea»gliate contro onorevoli personaggi, sono citati in giudizioe puniti. E fra costoro alcuni son tanto ignoranti che nonsi ricordan nemmanco di aver posseduto mai un codice.Se poi in una adunanza di dotti si accenni il nome diqualche autore, lo credono il nome forestiero di qual-che pésce o manicaretto : o se qualche straniero do-manda loro notizia, per esempio, dell’ oratore Marciano,tutti incontanente si spacciano per Marciaui. Nè mai

guardano all’equità; ma come venduti all’avarizia e daquella padroneggiati, nulla conoscono* tranne un’ infi-nita licenza di domandare, E se una volta piglian qual-cuno nelle loro reti, lo avvolgono in mille lacciuoli ,è simulando malattie, a bello studio tarda&o il corsodelle cause; e per produrre un falso testo di una leggenotissima apparecchiano sette costose azioni 1, a finedi moltiplicare le lunghe dilazioni. Quando poi, dopoavere consumati i giorni, i mesi e gli anni spogliandoi clienti si viene a trattare la causa già consunta, percosì dire, dalla vecchiezza, allora questi splendidi ora-tori entran ne’ tribunali seguiti da altri simulacri diavvocati. Giunti nel chiuso de’ cancelli e pigliando a

trattare della sostanza o della salute di qualcheduno,mentre d ovrebbero adoperarsi per deviare da un inno-cente o la spada o qualche altro gran danno, essi incre-spano le fronti, e movendo le braccia a modo d’istrioni,sicché loro manchi soltanto il flauto che Gracco suo-lerà tenersi da tergo a, stannosi a fronte lungamente

1 Septem yendibiìes introitas praeparant.2 Cicerone, Plutarco e Valerio Massimo raccontano, cheGracco soleva tenersi vicino un suonatore di flauto chetioìrtmeltesse nel giusto tono quand’egli arringando ne usciva.

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in silenzio: e finalmente dopo quella premeditata coUAo.delTE.V.lusione, colui che ha maggiore fiducia nella propria *** eloquenza, esce fuori con un principio soave e da pro-mettersene un discorso ornato come quelli per Cluenzio o per Ctesifontt: ma mentre tutti sono desiderosi delfine, conchiudono che i difensori dopo tre anni da chela causa si viene in qualche modo agitando non se nepoterono pienamente informare; e impetrata una pro-rogazione di tempo, non altrimenti che se avessero lot-tato coll9antico Anteo *, domandano incessantemente

la mercede del pericoloso certame. Contutto questo nonmancano parecchj incomodi agli avvocati e insopporta-bili quasi ad un uomo dabbene. Perocché adescati davili guadagni contendono fra di loro ostilmente, e rottoil freno alla maldicenza, offendono, come dicemmo,parecchj; principalmente quando non posson munire divalide ragioni la debolezza delle cause a loro affidate. Etalvolta hanno a tollerare giudici istrutti nelle arguziedi Filistione e di Esopo a, piuttostocbè addentrali nelladisciplina del giusto Aristide o di Catone; i quali aven-do a gran prezzo comprate le pubbliche cariche, aguisa di molesti creditori cercano le ricchezze per ognivia, e strappano dalle altrui mani le prede. All’ ultimo

la professione del causidico ha fra gli altri questo maleterribile e grave, che quasi tutti i litiganti, comunquesappiano che una causa può soggiacere a mille acci-denti , stimano nondimeno che i patroni li possano su-perar tu tti; ed a questi recano sempre P esito de’ prò

i Allude alla lotta di Ercole con questo gigante figliuolo

di Nettuno e della Terra.a II Walois crede che sotto quest' ultimo nome s’ intendail favoleggiatore. Il Wagner pensa invece che siano qui men-zionati due commedianti o istrioni.

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An<MPE.V. cessi # o i mai colle circostanze delle cose, o coll’ini3j5 quità dei giudici si adirano, ma solo co’ difensori. Ma

è tempo di ritornare colà d’ onde siamo digressi.V. Spiegatasi la primavera Valentiniano si mosse da

Treveri, e celeremente avanzossi per istrade a lui note:e mentre già si appressava al paese a cui era diretto,gli si presentò un’ambasceria dei Sarmati, la quale prò*strandoglisi ai piedi lo scongiurava a mostrarsi propizioe mite, poiché non troverebbe nessuno di loro nè par-tecipe nè conscio di riprovevole azione. E replicando

essi più volte siffatte cose, egli soltanto dopo lunga deliberazione rispose doversi e investigare e punire questidelitti ne’ luoghi ne’ quali dicevasi eh’ erano stati com-messi. Entrato poscia in Carnunto *, città degl’ nit-rii, allora deserta 6 squallida ma opportunissima non-dimeno ad un condottiero di eserciti, di quivi all’ uo-po gli era facile raffrenare gli assalti dei barbari. E seb-

bene incutesse a tutti terrore credendosi eh’ egli, natu-ralmente aspro e violento, farebbe condannare que’ ma-gistrati i quali o con perfida o col ritirarsi avevan la-sciato nudo il fianco delle Pannonie, accadde inveceche quando si fu trasferito colà mitigossi per modo,da non fare indagine nè pure intorno all’uccisione del

re Gabinio ; nè investigò accuratamente per negligenzao per colpa di chi avvenissero le ingiuste piaghe dellaRepubblica: e seguitava in questo il suo costume, se-vero nel correggere i semplici soldati, e rimesso versole persone di alto grado quando si trattasse anche solodi rimproverarle a parole. Se non che con odio in-quieto perseguitava Probo non desistendo mai di mi-

nacciarlo, nè mai ammansandosi da che l’ ebbe veduto:

346 AMMIANO MARCELLINO

t Pttrond  nell1Austria.

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di cbe non furon peraltro nè oscure uè lievi le cagioni. An.<MTE.V.Costui avendo allora per la prima volta oonseguìta la 3,5Prefettura del Pretorio , sforzavasi con molti modi( così fossero stali tutti lodevoli! ) di possederla per luogo

tempo, e non comportandosi come avrebbe richiesto P onore del suo casato, s’ abbandonò all’ adulazione piuttostochè al pudore. Però avendo considerato che l’Inyperatore senza distinzione dal giusto all1ingiusto atten-deva a cercare la via di raccogliere da ogni parte de-naro , non adopera vasi punto per ricondurlo al sentiero

dell’equità da cui era sviato, come fecero spesso paci-fici magistrati; ma egli medesimo lo assecondava ne*suoi traviamenti. Quiodi le gravi sventure dei sudditi,e sotto nomi rovinosi esorbitanti gravezze ond’eranoesaurite le grandi e le piccole fortune con varie astu-zie trovate da un lungo esercizio nel nuocere. Finalmentei pesi dei tributi e delle gabelle aumentati all’eccesso,

costrinsero molti de’ nobili a cambiar paese per temadi non soggiacere agli estremi danni : altri spogliati dalladurezza degli esattori, non %vendo più nulla da dare,divenivano perpetui abitanti delle prigioni : ed alcunidi questi, nojàti del vivere e della luce del giorno, sistrangolarono da sè stessi. Ora di queste cose con in-

ganni e con durezza operate correva un costante re-more; ma Valentiniano, come se avesse le orecchie tu-rate concerà, ignoravalo, avido di trar profitto senzadistinzione anche dalle minime cose, nè mai ad altropensando se non a quello che gli stava d’innanzi. TuttaTolta può credersi che avrebbe forse perdonato a’ Pannoni i se avesse sapute prima queste lagrimevoli cose le

quali apprese troppo tardi nella seguente occasione. GliEpiroti seguitando l’esempio delle altre province, sti-molati dal Prefetto, inviarono legati all’ Imperat ore per

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Àn.delTE.V.rendergli grazie di quel magistrato; e costrìnsero uncerto filosofo Ificle, uomo di notabile forza d’animo ,a compiere suo mal grado quella incombenza. Quand o costui vide l’ Imperatore, essendo riconosciuto da lui

e richiesto della cagione del suo arrivo, rispose in grecolinguaggio: e come filosofo che faceva professione diverità, domandando il Principe sollecitamente, se quellidai quali era inviato erano veramente contenti del loroPrefetto, rispose che se ne éontentavan gemendo, e dimala voglia. Dalla quale risposta colpito P Imperatore

oome da nn dardo, si diede con grande sagacità ad esa-minare la c ondotta del Prefetto, domandandogli nel suoidioma notizia di alcuni da lui conosciuti : per esempio,dove fosse un tale che di riputazione e di nome pri-meggiava fra’su oi; o quel ricco ; o queir altro eh9eracapo delP Ordine suo. E sentendo che Puno era mortodi laccio, che l’altro erasi trasferito oltre mare, che

qualcuno si era dato da sè stesso la morte, ed un altroera stato ucciso a colpi di piombo, se ne sdegnò im-mensamente, fomentandogli P ira Leone allora Maestrodegli Offici, il quale (ahi vituperio!) aspirava alla Pre-fettura per rovinar poi anch’ egli da uno scoglio piùeccelso. Ghè s’egli la conseguiva, sarebbesi abban d onato a

tali scelleratezze da far sì che P amministrazione di Probofosse levata a cielo. Trattenendosi intanto P Imperatorepresso Caraunto nei tre mesi di state apparecchiò dicontinuo armi e vettovaglie, volendo, se la fortuna losecondava, assaltare alPuopoi Quadi, autori di atroceribellione. In questa città Faustino figliuolo di una so-rella di Iuvenzio Prefetto del Pretorio, Segretario nel

Pesercito, per sentenza di Probo, mori sotto la manodel carnefice dopo avfer soggiaciuto ai tormenti. EgliYenne chiamato in giudizio } per avere ucciso un asino

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con intenzione di valersene in arti nefarie, come asseriva an.delTE.V.no i suoi accusatori, ma, per quanto egli ne diceva, a fine 3,5di avere un rimedio contro la debolezza de’capegli chegli cadevano *. Erasi ordita contro di lui anche quest1al-

tra dannósa trama, che avendolo un certo Nigrino richie-sto per giuoco di esser fatto Segretario di Stato, eglideridendolo aveva risposto : Fammi Imperatore se vuoiottenere ciò che domandi. Ed essendo iniquamente in-terpretato siffatto scherzo, Faustino stesso e Nigrino edaltri parecchj furono uccisi. Avendo pertanto mandato

innanzi Merobaude coi fanti eh9erano sotto di lui perdevastare ed incendiare i villaggi dei barbari in compa-gnia del conte Sebastiano, Valentiniano mosse di subitpil campo verso Acinco 3 : e congiunte per ogni improv-viso accidente le navi, e costruitone un ponte a granfretta, penetrò da un9altra parte nel paese dei Quadi,Costoro dalle dirotte montagne dove i più s9erano ri?

tirati colle famiglie, come dubbiosi ed incerti dell’av-venire, stavano spiando l9arrivo dell9Imperatore:ma tro*varonsi quasi incatenati dallo stupore quando viderole auguste insegne ne9proprii paesi contro la loro aspet-tazione. Avanzatosi dunque còlla maggior possibile ce*lerità, Valentiniano fece strangolare senza distinzione di

età quanti potò trovare qua e là dispersi; abbruciò lecase; e quindi si ritrasse senza danno di alcuno de9suoi.Volgendo poi l9autunno al suo termine ristette ad Acin-co, e cercava comode stazioni d9inverno iu que9paesisoliti ad essere assiderati da9ghiacci; nè gli venne fattodi trovare alcuna sede opportuna, tranne Sabaria 3co

v Non solo in quest* ultime parole, ma in parecchj altri luo-ghi di questo capitolo la lezione è iocerta ed anche oscura.2  Buda.3  Saroas.

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An.dcll’E.V. mùnque anch’ essa debole allora e da continue sciagura3?5 abbattuta. Però dilungatosi alcuo poco da quel luogo,

sebbene gli stesse molto a cuore, costeggiò celerementela riva del fiume; ed avendo muniti di un acconcio

presidio e di castelli gli accampamenti, pervenne a Bregizione. Dove riposandosi egli, il suo Fato con moltiprodigi gli annunziò l’ultimo fine. Perocché pochi giorniprima si videro alcune ardenti comete (delle quàli ab-biamo già dichiarata l’origine), indizii della rovina dieccelse fortune. Prima ancora di queste un fulmine dis-

serratosi con improvviso fragore dalle nubi appo Sirmio,incendiò una parte del palazzo della curia e del foro;e presso Sabaria, standovi ancora P Imperatore, venneun gufo a posarsi sull’alto de’ bagni reali mandandovoci funebri, nè mai fu possibile di farlo cadere perquante frecce e pietra gli fossero scagliate da personeesperte nel trarre che a gara e con grande studio sfor

zavansi di colpirlo. Così anche lasciando quella città nel-l’andare alla sua spedizione, volle uscire per quel la me-desima porta per la quale era entrato, perchè ciò fosseaugnrio del suo pronto ritorno alle Gallie: ma in-tanto che si stava nettando un cotal luogo da moltemacerie che per trascuranza v’ erano ammucchiate, una

moltitudine di persone non valse con tutti i 6uoi sforzia sommovere una porta di ferro che, cadata, impediva ilpassaggio : sicché dopo avere inutilmente consumato colàun giorno intero uscì poi da tutt’ altra parte. Nellanotte a cui successe P ultimo giorno della sua vita, vide(come suol avvenire sognando) la sua lontana consorteseduta, colle chiome disciolte, e coperta di squallido

vestimento: sicché fu poi argomentalo che cotesta fi-gura fosse la sua propria fortuna che in tetro abito sidilungava da lui. Uscito quindi per tempo, ma con volto

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contratto ed afflitto, accadde che il cavallo non volleAn.ddPE.V.riceverlo sopra di sè, inalberandosi a segno da sollevarele gambe anteriori al di sopra dello scudiero; al qualePImperatore naturalmente crudele, ed allora sospinto

dalla ingenita sua ferocia, ordinò che fosse tagliata ladestra; perchè mentre montava sol consueto suo c&vallo

'lo aveva urtato alcun poco. E quel giovine innocentesarebbe perito fra* patimenti, se Cereale Grande Scu-diero non avesse differita a suo proprio rischio la in-giusta sentenza.

VI. Dopo queste cose vennero i legati dei Qoadi do-mandando supplichevolmente la pace e il perd ono delpassato, e per ottenere senza ostacolo ciò cbe domandava-no, promettevano nuove milizie ed altre cose utili alla ro-mana Repubblica. Parve fosse opportuno riceverli, elasciare che dopo V armistizio da loro richiesto ritor-nassero ai proprii paesi, poiché nè la mancanza delle

vettovaglie nè la stagione dell1anno permetteva di per»seguirli più a lungo; e però furono introdotti da Equi-no nella Corte. Quivi deb oli e tremanti si presentaronocolle persone incurvate; ed essendo loro ordinato diesporre quello a cui eran venuti, oltre alle solite scuseaflèrmaron giurando, che niun delitto s’era commesso

contro di noi per consiglio dei capi della loro nazione;ma cbe quanto eresi fatto contro le buone leggi, tutt o era stato opera di alcuni ladroni stranieri cbe abitavan o lungo il fiume. Ed anche aggiungevano^ quasi accen-nando cosa sufficiente a giustificarli da tutti i delitti,che il castello da noi cominciato a costruire senza di-ritto e senza opportunità, aveva accesi alla ferocia que-

gli animi agresti. L’Imperatore da queste parole com-mosso a grande ira cominciò una superba risposta, rim-pr overando a tutta gola P intiera nazione, siccome im«

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An.dell’£.V. mem ore de’ benefizii ed ingrata. Ammansato poi a poco*7$ a poco e mostrandosi quasi inclinato a più mite con'1

clusione, come se fosse colpito dal cielo, gli si chiuseroin un punto e il fiato vitale e la voce, e fu veduto

accendersi in una luce di fuoco. Quindi gli sopraggiunseuno sgorgo di sangue 1, e si bagnò tutto di un sudoremortale} sicché per non lasciare eh’ egli cadesse al co^spetto anche della plebe eh1era concorsa, i suoi lo;tra-sportarono alle interne sue stanze. Quivi, collocatosovra un letto, traeva quel poco fiato che ancor gli re-

stava; e non avendo per anco perduta la conoscenzadistingueva tutti gli astanti che i Ciambellani avevanocon grande celerità congregati per togliere ogni sospettodi uccisione. E poiché l’accensione delle viscere rendevanecessario di aprirgli la vena, non si potè trovare al-cun medico; perchè egli medesimo, l’imperatore, li aVevàsparsi in diversi luoghi a curare l’esercito in cui comin-

ciava a manifestarsi un contagio. All’ ultimo ne fu tro-vato poi uno, il quale comunque pungesse più voltela vena, non potè trarne mai nemmanco una goccia disangue, per essere le interne parti del corpo da eccessivocalore abbruciate; o perchè (giusta l’opinione di alcuni)le membra erano inaridite, e que’ meati che noi ora

chiamiamo emorroidali, erano chiusi e indurati da freddoimprovviso. S’accorse allora l’imperatore, quasi oppress o dalla violenza del male, esser venuta l’inevitabile ne-cessità della morte; e sforzandosi di dire o comandarequalcosa (secondochè appariva dal frequente singulto chegli agitava il petto, dallo stridore dei denti e dal muò*

i Erumpente subito sanguine. Questa è la lezione adottatadal Valois sull’autorità dell* Accursio. Vuoisi notare per altroche qui ed altrove s1incontrano alcune piccole varietà di lezione;

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vere delle braccia a guisa di chi combatte col cesto ) An.d<WE.V.vinto e coperto di livide macchie, esalò l’anima lun ^gauiente combattuta , nell7anno cioquautesimoquintodell1età sua, e dopo aver regnato dodici anni mencento giorni.

VII. Torna qui opportuno il discorrere brevemente,come abbiam Catto altre volte, le azioni di questo prin-cipe cominciando dall1orìgine di suo padre fioo alla suamorte, non tralasciando nè vizio nè virtù, quali furon ma-nifestati dall1altezza del grado in cui visse, che suol met-

tere sempre ioJuce l1interno degli animi. Graziano il vec-chio nacque a Cibala « d’ignobile schiatta, e sin dallaprima puerizia iu soprannomato fnnajuolo ( Funarius ),perchè essendo tuttora fanciullo e portando intornofuni da vendere, non se ne lasciò spogliare da cin-que soldati che tentarono con ogni sforzo di rapir-gliele : emulando così Milone Crotoniate, a cui nessunagagliardìa fu tanta da potergli rapire i pomi eh’ egli te-neva or colla manca mano or colla destra. Conosciutocosì da molti per la vigorìa del robusto suo corpo, eper la sua perizia nel lottare al modo dei soldati, dopoessere stato guardia della persona e Tribuno, fu pre-posto in qualità di Conte alle cose militari dell’Àfrica.

Caduto iu sospetto di (urto si ritirò da que’ luoghi :molto dopo resse l’esercito britanno con grado puredi Conte, finché poi licenziato decorosamente, ritornòalle sue case. Vivendo quivi lontano da ogni strepitofu da Costanzo multato oe’ proprii beni sotto questopretesto, che mentre ardevano le civili discordie avessedato ricetto a Magnenzio, quando attraversò le terredi lui per recarsi a compiere i suoi sediziosi disegni. Frat

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1 In vicinanza del borgo di Flecken nella bassa Ungheria.

MABCZLUHO , 11 5*3

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354 AMMIANO MARCELLINO

An.d<*tt>E.V. tanto i meriti di cotal padre aveano fatto ragguarde*vole Valentiniano fin dalla sua prima adolescenza ; ilquale poi illustratosi anche di molte virtù sue proprie,

ottenne a Nicea le insegne della maestà imperiale, edassunse a collega il fratello Valente, a lui per sanguedel pari che per concordia carissimo, e uomo ( ciò chemostreremo a suo luogo ) diviso fra il vizio e la virtù.Valentiniano adunque aveva sostenuti molti gravi pe-ricoli nella condizione di privato, quand o cominciò a co-mandare: visitò allora le fortezze e le città situate vicino

ai fiumi, e le Gallie allora aperte alle scorrerie degliAlamanni, i quali s’erano più che mai inanimiti da cheavevan saputa la morte del l’Imperatore Giuliano, cuisolo temevano dopo Costante. Per questo poi temetterocon ragione anche Valentiniano, perchè accrebbe P eser-cito con valido supplemento, e da per tutto fortificò ilReno con alte munizioni e castella, sicché il nemiconon poteva più gettarsi celatamente sui nostri confini.E per tralasciare parecchie cose fatte con autorità dicapitano provetto, e quelle che migliorò o di per sè%stesso o colP opera di abili generali, dopo avere in-nalzato Graziano ad essergli socio nella sua podestà,spense segretamente ( perchè in altro modo non fu pos-

sibile) Vitigabio re degli Alamanni, nato da Vadomario, il quale tuttora giovinetto e colla prima lanuginesulle gote, suscitava le nazioni a tumulti ed a guerre.E venuto alle prove cogli Alamanni presso il luogodetto Solicinio, dove per poco non succumbetle eglistesso alle insidie che gli furono tese, avrebbe potutosterminarli tutti sino all’ultimo, se una pronta fuganon ne avesse salvati alcuni pochi nella densità de’ bo-schi. In mezzo poi a queste prudenti imprese, con unostratagemma, sleale bensì ma fruttuoso, disfece anche

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i Sassoni; gente ch’ era Tenuta in un tremendo furore,An.delPE.V.e, intenta sempre a far impeto dove non fosse chi Conteggiarla, avea rotto allora sulle terre dell’imperio e netornava ricca di spoglie: ma Yalentiniano battuti i ra-

pitori ritolse loro il bottino. Così parimente ricondussea libertà ed a placida quiete i Britanni, i quali nonpotevano più sostenere le caterve dei nemici venuti adiffondersi sopra di loro, non lasciando quasi che al-cuno di que’ depredatori potesse tornare a’ proprii paesi.Con uguale valore assalse anche Valentino fuoruscito

della Pannonia, il quale sforzavasi di perturbare in quelleprovince la comune quiete, e l’oppresse prima che i suoidisegni divenissero pericolosi. Sottrasse poscia a grandidanni l’Africa improvvisamente turbata; allorché Firmonon potendo comportare il fasto dispendioso de’soldati,concitò i Mauri che ad ogni minimo soffio si accendonoa sedizioni. Con ugual valore avrebbe finalmente vendica-

te le deplorabili rovine d’IUiria, se prevenuto dalla mortenon avesse dovuto lasciare imperfetta quella grande im-presa. E sebbene queste cose che abbiam riferite sianostate eseguite col mezzo di eccellenti generali; nondi-meno è noto che l’imperatore, come colui ch’era dipronto ingegno e molto pratico nelle cose della guerra,

ne compiè molte di per sè stesso. Fra le quali questasarebbe stata principalmente illustre, se gli veniva fattodi prender vivo Macriano re di que’ tempi terribile :ed egli veramente vi si adoperò con grande studio, dacchéseppe con suo dolore essersi il re sottratto a’Borgognonich’egli medesimo avea mossi contra gli Alamanni.

VIIL Queste cose abbiamo brevemente narrate intorno

alle imprese di Valentiniano : ora confidando che la po-sterità non essendo impedita nè da timore nè da vileadulazi one, suol essere incorrotta consideratrice delle

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An.dell'E.V. cose passate , ne annovereremo brevemente anche i viz ìi} lasciando all1ultimo il raccontare le sue virtù. Eglidunque simulò talvolta un’apparente clemenza, mentreper T impeto dell’ iudole sua era molto più propenso alla

severità^ obbliando come chi regge un imperio debboevitare tutti gli eccessi, non altrimenti che gravi scogli.Perocché non si trova che stesse mai contento ad unamite punizione, ma sibbene che talvolta ordinò di mol-tiplicare i sanguinosi tormenti, ai quali alcuui, dopofuneste interrogazioni, furono sottoposti fin quasi a la-

sciarvi la vita. E quando si trattava di nuocere la r-gheggiava per modo, che non sottrasse mai nessunode’condannati alla morte con qualche suo mite rescritto,sebbene ciò soglian fare talvolta anche i principi piùcrudeli. E sì eh’ egli aveva d’ innanzi molti esempj de’6UOÌ maggiori, ed avrebbe potuto imitare nella storiastraniera o nazionale molti atti di umanità e di pietà,

cui i sapienti chiamano buone consanguinee delle virtù.De’quali esempj basterà qui registrare i seguenti. Arta*serse, quel potentissimo re de’ Persiani che fu soprannomato Longimano, mitigando per innata benignila ivarii supplizii usati sempre da quella crudele nazione,

faceva togliere ad alcuni colpevoli le tiare invece del

capo$ e per non tagliare le orecchie secondo 1’ usanzadei Re ai delinquenti, ordinava che fossero loro tagitati i cordoni che pendevan dagli elmi: e questa mi-tezza di costumi lo fece sì tollerabile e sì rispettato,cbe ajutandolo poi tutta la nazione potè compieremolte mirabili imprese celebrate dai greci scrittori. Ilpretore Prenestino che in una guerra Sannitica era ve-

nuto troppo tardi al suo presidio fu citato in giudizio» scolparsi di quella accusa, e Papirio Cursore che oc*Capava allora la Dittatura ordinò che il littore ponesse

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r LIBRO TRENTESIMOmano alla scure; ma, mentre l’accusato attonito dispe An.<wrR.V.rava di potersi giustificare, fece percuotere una pianti**Cella vicina ; e così avendolo con questa specie di scherzopunito ne lo mandò sano e salvo : nè per qufsto cadde

punto in dispregio quel capitano che superò lunghe egravi guerre, e del quale si disse, ch’egli solo sarebbestato capace di resistere ad Alessandro Magno se fossevenuto in Italia ». Ma Valentiniano ignorando per avventura codesti esempi, e non considerando che il con-forto della miseria è riposto nella benignità dei Prin-

cipi, aumentava sempre col fuoco e col ferro i suppli-zii ; i quali furono trovati come estremo rimedio dallapietà degli antichi, secondo la bella espressione d’ Iso-crate , il quale insegna doversi perdonare ad un prin-cipe che sia qualche volta superato in guerra, non giàa colui il quale ignori che cosa sia giustizia, E di quicredo che Tullio fosse poi mosso a dire nella dife-

sa di Oppio, che l’ esser possenti alla salute altruirecò già lode a parecchj, ma a nessuno fu mai igno*minioso l’avere contribuito poco alla rovina di chic-chessia. L’ avidità d’ arricchire senza distinzione dal giu-st o all’ ingiusto, o di procacciarsi guadagni colla per-dita dell’altrui vita s'accese grandemente in questo

principe e traboccò. Di tal vizio alcuni tentarono giu-stificarlo recando in mezzo l’esempio dell’ imperatore Au-reliano , il quale dopo la morte di Gallieno e dopo ideplorabili casi della Repubblica, trovando esausto l’erario, a guisa di torrente si gettò sopra i ricchi: e cosìdicevano costoro che anche Valentiniano dopo le spe-dizioni contro i Parti e i danni che se ne ricevettero,

essendo necessitato a far grandi spese per arruolare nuove

f Allude a ciò che dice in questo proposito T . Livio.

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AD.dell’E.V. milizie e stipendiarle, cominciò ad unire colla crudeltà il375 desiderio di accumulare troppe ricchezze. Ma avrebbe pur

dovuto sapere che alcune cose comunque siano lecite nonsi debbooo'fare. E in questo fu dissimile da Temistocle, ilquale passeggiando dopo il combattimento e la disfattadegli eserciti persiani, e vedendo sul terreno braccialettid’oro e un collare, si volse ad un compagno che gli era vi-cino e gli disse:  pigliati pur queste cose,  tu che non  sei Temistocle, giudicando così indegno d’ un gran ca-pitano ogni lucro. Gli esempj di cotal continenza sono

moltissimi ne’ generali romani: ma lasciando di mento-vare queste prove di non perfetta virtù ( perchè final-mente non è motivo di lode il non rapire le cose al-trui ) scriverò un solo testimonio non dubbio della in-nocenza del popolo antico. Avendo Mario e Cinna ab-bandonate alla plebe romana da saccheggiare le case deiricchi proscritti, il volgo rozzo ma solito a rispettarel’umanità, si astenne dai beni acquistati dalle altrui fa-tiche; sicché non fu trovato nè pure un bisognoso odun uomo dell’ infima classe, il quale approfittasse dellalicenza che gli era data per arricchire coll’altrui danno.Valentiniano poi oltre ai vizii già detti ardeva nell’in-timo suo d’invidia; e sapendo che molti dei vizii so-

gliono pigliare l’apparenza delle virtù, ripeteva frequen-temente che la severità è indivisibil compagna di unagiusta potenza. E come i grandi sogliono persuadersiche tutto sia loro permesso, e sono forte inclinati aprostrare chi loro si oppone ed a perseguitare i mi-gliori; così egli odiava quanti vedea ben vestiti, gli

eruditi, i ricchi, i nobili, e sparlava degli uomini va-lorosi affinchè egli solo paresse eccellente nelle buonearti: del qual vizio sappiamo cbe fu preso anche P im-peratore Adriano. Valentiniano poi rimproverava anchespesse volte i timidi, chiamandoli scellerati e da nulla,

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e da cacciarsi .nell’ infima plebe, sebbene egli non di rado An.<MFE.V.impallidisse vilmente per vani te rrori, e sin nel fondo ^dell’ animo tremasse di cose che punto non sussistevano.Della qual cosa essendosi avveduto Remigio Maestro

degli Officii, e vedendo ch’egli per ogni accidente alteravasi, soleva annunciargli sempre nuove turbolenzedi barbari ; ed egK ciò udendo , abbattuto dal subitotimore, diventava sereno e clemente come AntoninoPio. Non elesse mai di sua volontà giudici malvagi:ma se poi gli era detto che i promossi da lui si com-

portavano crudelmente, vantavasi d’aver trdvati deiLicurghi e dei Gassii, antiche colonne della giustizia;e scrivendo esortavali di continuo a castigare acerba-mente anche le colpe leggiere. Nè agli sventurati re-stava nelle miserie verun rifugio alla benignità del Prin-cipe ; la quale dovrebbe sempre essere aperta, siccomeai naufraghi il porto.  Perocché il fine di un giuste im

 perio come insegnano i savj,  si tiene che sia P utilità e la salvezza dei soggetti.

IX. Ora è naturale che si venga a parlare di quellesue azioni le quali meritano di essere approvate e seguitedagli uomini di buon senso : chè se egli avesse confor-malo a siffatte azioni anche il restante della sua vita,

sarebbe vissuto come Trajaoo e Marco. Fu molto d o * derato verso le Province, diminuendo da per tutto ilpeso dei tributi: fu diligente a fortificare le città e lefrontiere: sottilissimo censore della disciplina militare,rispetto alla quale in questo solo errava, che mentrepuniva nei semplici soldati anche le colpe leggiere, per-metteva poi che le sceileranze dei capi s’aumentassero

sempre più, chiudendo gli orecchj alle querele che ditempo in tempo movevansi contro di loro. Di qui na-cquero i tumulti britannici, e le stragi africane e lo de

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An.drIl*E.V.va8lazio oi d’Illiria. Fu casto e cultore della pudiciziasì in casa che fuori ; non ebbe la coscienza macchiatadal contagio di veruna oscenità; non coltivò illecitiamori; e di questa maniera aveva frenata quasi con

una specie di ritegni la petulanza della corte imperiale*Nel che poi riuscì agevolmente, col non perdonare mai.nulla nemmanco a’ suoi congiunti, ma castigandoli in-vece o Col lasciarli senza cariche o col darne loro dimediocri; eccettuato soltanto il fratello, cui egli so-spinto dalle angustie del tempo fece collega della pro-

pria grandezza. Fu scrupoloso nel deferire le*caricheeccelse: nè sotto Y imperio di lui verun usuraio ebbeil governo di qualche provincia; nè l’amministrazionefu venduta, se non forse ne1suoi principi, perchè inquelle circostanze, sotto speranza d’ impunità, soglionsicomméttere sempre alcuni delitti. Nel muovere e nelrespinger le guerre fu prontissimo e cauto, e indurato

al tumulto della polvere marziale: sapeva persuadere ilbene del pari che dissuadere dal male : investigava eoagrandissima cura le cose spettanti a milizia: scrivevaassai bene: dipingeva e scolpiva con garbo, e fu in-ventore di nuove armi : per memoria e per un certoparlar concitato (sebbene ciò rade volte avvenisse ) ac

costavasi al vigore dell’ eloquenza : amava la nettezza,e gli piaceva la mensa non profusa ma eletta. Final-mente s’ illustrò nel suo principato, tenendosi im par-ziale in mezzo alle diversità delle religioni ; nè inquietòalcuno, nè ordinò che altri adorasse questo piuttostochè quello. Nè coll’ interporre minacee piegò le cervicidei sudditi agli oggetti da lui venerati, ma lasciò in-

tatte queste parti come le aveva trovate. La sua per-sona fu membruta e robusta; il fulgor de’ capegli, losplendore del colorito, gli occhi celesti con uao sguard o

36o AMMIANO MARCELLINO

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sempre obbliquo e severo, la bellezza dèlia statura e An.^ ?K V.la giusta corrispondenza de’ lineamenti compievano in ^lui il decoro della reai maestà.< X. Dopo che fu pubblicata la morte deli’ Impera-tore, e il suo corpo imbalsamato per modo che, spe-dito a Costantinopoli, fosse colà sepolto con quelli de’suoi maggiori, si soprattenne l’imminente spedizione,dubitandosi delle coorti gallicane, le quali non eranosempre fedeli a’legittimi principi : e però si temeva,non forse allora, come arbitro dell’ imperio, tentassero

qualche novità. E questo le avrebbe favorite nella loroimpresa, ohe Graziano ignaro dell’avvenuto stava tut-tora a Treveri, dove il padre, nel partirsi di là, avevagli imposto di trattenersi. Trovandosi adunque le cosein siffatte angustie, e stando tutti in un ugual timore,a guisa di naviganti che per trovarsi sopra una stessanave sono partecipi degli stessi pericoli, fu risoluto allafine di strappare il ponte ch’erasi di necessità costruitoper entrare nelle terre nemiche, e di chiamar subitocolà Merobaude in nome di Valentiniano, come sefosse ancor vivo. Costui o che indovinasse come uomoingegnoso ciò ch’era avvenuto, o che ne fosse istruttoda quel medesimo che fu spedito a chiamarlo, sospet-

tando che l’esercito delle Gallie romperebbe i vincolidella pace, finse d’aver ricevuto ordine di trasferirsi conquello a guardar le rive del Reno, dando voce che quiviil furore dei barbari incrudeliva. E secondo un ordinesegreto spedì in luogo discosto Sebastiano che ignoravatuttora la morte dell’ Imperatore : perchè sebbene costuifosse uomo quieto e placido, nondimeno per essere introppo favor de’ soldati era allora moltissimo da temere.Quando pertanto Merobaude fu ritornato, con grandecura si diedero a considerare qual fosse il migliore par.

LIBRO TRENTESIMO 361

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36a AMMIANO MARCELLINO LIB. XXX

An.<!eirE.V.tito, e risolvettero d’invitare all’ imperio Valentiniano3?5 figliuolo del defunto, ancor fanciulletto di appena quat-

tro anni, il quale allora trova vasi con Giustina suamadre cento miglia lontano in una villa denominata

Murocinta. Confermata per voto concorde di tutti que-sta elezione, fu subitamente spedito Cereale zio del gio-vinetto, che sopra una lettiga lo fece trasportare nelcampo : e così nel sesto giorno dopo la morte del pa-dre , essendo legittimamente dichiarato Imperatore, facolla usata solennità gridato Augusto. E sebbene nel far

tutto questo fossero persuasi che Graziano s’adonterebbedi vedere eletto un altro principe senza suo consenti-mento; nondimeno, deposto poi il timore, vissero intutta sicurezza ; perchè quell’ Imperatore di sua naturabenevolo e accorto, con gran tenerezza amò ed educòquel giovane suo congiunto di sangue.

FINE DEL LIBRO TRENTESIMO

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LE STORIE

DI

AMMIANO MARCELLINO

LIBRO TRENTESIMOPRIMO

SOMMARIO

I. Prodigi risguardanti la morte di Valente Augusto e la

strage imminente dai Goti. —•l i . Sedi e costumi degli Unni t  degli Alani e di altre genti della Scizia Asiatica. — IH. GliUnni o coir arme o coi trattali guadagnansi gli Alani delTanai , invadono i Goti e li cacciano dalle loro sedi. — IV. La“ aggipr parte dei Goti soprannomati Tervingi, essendo cac-ciata dai proprii confini, vien da’ Romani con permissione diValente tramutata nella Tracia, promettendo ossequio e soc-corsi. Anche un’altra parte dei Goti, i Greutungi, passano

sopra zattere l ' Istro celatamente. — V. I Tervingi, oppressidalla carestia e dalla fame e mal trattati dai nostri, ribellansida Valente sotto i loro capitani Alavivo e Fritigerno, e bat-tono Lupicino co’ suoi. — VI. Perchè Suerido e Coliate otti-mati dei Goti, già ricevuti insieme coi loro compagni si ri-bellarono, e dopo avere menata strage degli AdrianopotUlanisi unirono con Fritigerno, volgendosi a depredare le Tracie. —VII. Profuturo, Trajano e Ricomere ottengono qualche vitto-ria sui Goti. — VIII. I Goti sou chiusi fra le angustie Emimontane; poi lasciati uscire dai Romani empion la Tracia dirapine , di stragi, di stupri, di inceudii, ed uccidono Bar zimere

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tribuno degli Scutarii. — IX. Frigerido generale di Grazianouccide Fàrnobio ottimate goto con molti. di quella geme e de9Taifali. Àgli altri yien lasciata la vita , e si danno anchecampi d’ intorno al P o.— X. Gli Alamanni Lenziesi sono su-perati in battaglia dai generali di Graziano , e il re Priarian’ è ucciso : s’ arrendono ; consegnano a Graziano giovani sol-dati, ed ottengono licenza di ritornare a9proprii paesi. — XI. Se»bastiano opprime all’ impensata i Goti carichi di .preda pressoBerea : pocbi salvaronsi fuggendo. Graziano Augusto s' affrettadi accostarsi a Valente suo zio per soccorrerlo contro i Goti. —*XII. Valente Augusto si delibera di combatter coi Goti iunanzi all’ arrivo di Graziano. — XIII. Tutti i Goti insieme 

uniti, cioè i Tervingi sotto Fritigerno, i Greutungi sotto Alateo e Sa fra ce combattono in piena ordinanza contro i Roma-n i , e sbaragliata la cavalleria volgono in fuga con grandestrage anche i pedoni rimasti senza difesa e troppo serrati fraloro. Valente ucciso in quella mischia non fu più potuto trovare. — XIV. Virtù e vizii di Valente Augusto. — XV. I Gotivincitori assalgono Adrianopoli dove Valente aveva' lasciati i suoi tesori e le insegne imperiali col Prefetto e colle persone

della sua corte : ma dopo avere fatta invano ogni prova sene partono. — XVI. I Goti essendosi a forza di danaro pro-cacciate milizie di Unni e di Alani, tentano inutilmente Co-stantinopoli. Con qual arte Giulio generale degli eserciti a)di là del Tauro liberasse dai Goti le province orientali.

An.delPE.V. F rattanto la mota della volubfl Fortuna che sempre alterna gli avversi coi prosperi eventi, avendo pi-gliate a c ompagne le Furie armava Bellona f e portònell’ oriente dolorosi casi annunciati già innanzi dal chia-ro testimonio de’ presagi e de” prodigi. Perocché, ta-cendo le molte veraci predizioni dei vati e degli, au-guri, anche gli augelli notturni mandavano non so quad

gemito di querele e di pianti, e il sole nascendo conluce appannata affievoliva i mattutini splendori, e fra lerisse e i tumulti del volgo d’Antiochia era venuto ia

364 AMMIANO MARCELLI N O

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costume ehe chiunque credevasi oppresso usciva senza An.rlelPE.V.rispetto iu questo scongiuro :  possa arder vivo Valente! ^e senlivasi di continuo gridare quasi con voci di ban-ditori che si portassero legne per abbruciare i bagni

da Valente fondati. Le quali cose tutte apertamente,e quasi parlando, mostravano cbe gii era imminenteil fin della vita. Oltre di che lo spettro del Re di Ar-menia , e le ombre miserande di quelli eh1erano statiuccisi poc’ anzi nell* affare di Teodoro 1 agitavano cru-delmente parecchj, recitando orribili carmi nel silenzio

notturno. Fu anche trovata uo* aquila morta e collagola tagliata: ciò che indicava molte e diffuse tristezzedi pubblici funerali. Finalmente poi demolendosi le an-tiche mura di Caleedonia per fabbricare un bagno pressoCostantinopoli, sopra una pietra qoadrata che stavanascosta nel mezzo trova roasi incisi questi versi greciche aprivano pienamente il futuro :

AAV  cnÓTOiY vuftQstt Jpwfpg xarà a ffrv X0?*'*}T t f n h f i t v a .1 o’T pé'J'wxrori EÙ7rc<p£ac  x o t* à y v i ù i ,K x i T ( tx o (   XtfrpoTo v ó X ù s t ó v o v i f f f f t r a t    aXxcrp,

A» t o t  e /ut/pta (puXoc noXvffrr tpEUìY àvSpwfrwv  

Irrpau xaXX/póo/o tr é f o r   rfpaórra a v r a t x / u ì i j ,

Kai  cxvStxriY òXifftt gai  fivailx yciiar,Tlouov ir  )C  y in tfi& vT ac c l i y ìK n i f f t f ia . tv o f t fv i ia t v

A ù t o u xot i f i iÓToto ikXos xai Jnpic ì<pé£ti .

Quando le Ninfe scherzando con molle danza nella  città si aggireranno per le adorne vie y e il muro sarà  convertite in funeste riparo di un bagno /   allora mille  schiere d’uomini di varia nazione valicheranno armati le belle correnti deW Istro > rovinando le scitiche re

 gioni e la terra Misia. Ma invadendo poi la Panno

LIBRO TRENTESIMOPRIMO 365

i Lib. zxix, e. i.

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An.delPE.V. nia con insane speranze y ivi li soprarriverà il fine della vita e la sconfitta.

II. Il seme poi di tutta questa rovina, e 1’ origine dellevarie sciagure cui suscitò il furor marziale confondendo

nel solito suo incendio ogni cosa, troviamo che fu laseguente. La gente degli Unni leggermente da noi co-nosciuta per gli antichi monumenti, abitando lungo P oceano glaciale al di là delle paludi meotiche, eccedeogni misura di ferocia. Quivi solcandosi profoodamentecol ferro le gote ai fanciulli tosto che sono n a ti, af

fiochè il primo vigor della barba spuntando resti im-pedito dalle cicatrici induraté, gli uomini invecchianoimberbi e senza fior di bellezza, somiglianti a spadoni :hanno tutti le membra compatte e robuste, ed ampiocollo: sono di grande statura e curvi, sicché ti parrebbono animali bipedi, ovvero di que1sostegni grosso-lanamente effigiati che talvolta si soglion o sottoporre

ai ponti. Con questa disaggradevol figura furono poiaoche trovati selvaggi per modo, che non abbisognanonè di fuoco oè di saporite vivande, ma cibansi delle ra-dici di erbe agresti e della carne semicruda di qualsi-voglia animale, scaldandola col tenerla alcun poco di-stesa tra le proprie cosce ed il dorso dei loro cavalli*

Non sono mai da nessun edificio coperti, ma fuggonole case come sepolcri che non servono all7uso comune.Che anzi appo loro non può trovarsi nè pure un tu-gurio coperto di canne; ma errando per monti e perselve s’ avvezzano fin dalla prima età a sopportare ilgelo, la fame e la sete. Viaggiando non entrano maisotto alcun tetto, se a ciò non li stringe grandissima

necessità ; perocché presso di loro le case non sono cre-dute sicuri soggiorni. Copronsì con vestimenti di linoo con pelli di topi selvatici insieme cucite; nè usano

366 AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO TRENTESIMOPRIMO 307

diverse vesti quando sono io casa o quando n’ escon o An.dcirE.V.fuori : e dove una volta siansi appesa al collo unatunica, per quanto, adoperandola, si scolori, non la de-pongono oè la cambiano prima che logorata e consuntanon cada a piccioli braoi. Gopronsi le teste con elmiricurvi, e difendono le irsute gambe c.on pelli caprine;e le loro scarpe per essere informi gl’ impediscono dalcamminare con liberi passi. Quindi son poco acconci allebattaglie pedestri; ma fanno tutte le cose loro confitti

, quasi sui proprii cavalli che sono forti bensì ma deformi,

standovi spesse volte anche seduti al modo che fan ledonne. Ciascuno di quella gente cavalcando dì e nottequivi compra e vende, mangia e beve; e inclinan-dosi sull’ angusta cervice del suo cavallo, entra in sìprofondo sopore da sostenervi ogni varietà di sogni.Di questa maniera inoltre sogliono consultar in comunequando sia proposta una deliberazione sopra cose im-portanti. Non governansi poi sotto regia severità , masi lascian guidare dai loro Ottimati eletti nelle occor-renze; e dovunque fanno impeto, irrompono. Talvoltaprovocati combattono, e nel venire alle mani procedonoa schiere mandando con varie voci un terribile grido.E come sono leggieri e presti al correre^ così anche in

un subito sparpagliaudosi piglian vigore, e discorrendodisordinatamente menano grande strage: e tanto è illoro affrettarsi, che non si veggono mai nè assalir valli nèdepredare accampamenti nemici. Per questo poi li di-resti facilmente più forti dì tutti i soldati, perchè dalontano adoperano frecce mirabilmente armate di acutiossi in luogo di punte *, e da vicino combattono col

1 Nel testo leggesi anche  sed distinctis j   di che non puòtrovarsi ragionevole spiegazione.

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An.dolPE.V. ferro senza verun rispetto di sè medesimi; e mentre i075 nemici attendono ad evitare i danni delle loro spade,

gli avviluppano in tali nodi che, allacciando loro le mem-bra, tolgono ad essi la facoltà di muoversi o di nuo-cere. Nessuno ara presso costoro, nè tocca mai un ara-tro. Perocché tutti senza sedi fisse, senza casa o leggèo costume determinato errano qua e là a somiglianzadi uomini* fuggiaschi, coi carri sui quali abitano, e dovele mogli tessono loro i rozzi abiti, e partoriscono e nu-trono fino alla pubertà i figliuoli. Nessuno di loro, in-

terrogato, saprebbe rispondere d’ onde sia nativo; per-chè in un luogo fu concetto, in un altro nacque, e inun altro fu educato. Sono infedeli nelle tregue, inco-stanti e mobilissimi ad ogni aura di novella speranza,e in ogni cosa abbandonansi al più impetuoso furore. Aguisa di animali irragionevoli sconoscono al tutto l’o-nesto e il disonesto: sono nel parlare ambigui ed oscu-ri, uè mai trattenuti da verun rispetto di religione odi superstizione : infiammati da un* immensa cupidigiadell9oro, tanto mutabili e facili ad adirarsi, che tal-volta in un medesimo giorno senza cagione di sdegnoabbandonano i socii, poi senza che alcuno li ammansisi amican di nuovo con loro. Questa lieve ed indomita

razza di uomini, accesa da immane avidità di predarel’ altrui, fra le rapine e le stragi de* suoi confinantipervenne sino agli Alani che sono gli antichi Massageti;de’ quali sarà opportuno (poiché siam venuti a tal punto)venir dimostrando e da qual luogo derivino, e qualiterre abitino, notando l’ambiguità della geografia >....L’Xstro ingrossato da molti fiumi stranieri attraversa i

i Nel testo si legge: Quat dtu multa Inda . . . .et varia, tan dem reperii ventati* interna . . . .  ad . . ♦ Bitter etc.. •

368 AMMIANO MARCELLINO

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Sauromati cbe. si stendono fino alla corrente del Ta An.deir E. V.nai da coi l’Asia è dall’ Europa disgiunta. Al di là delP Istro gli Alani abitano le immense solitudini dellaSdzia: ed Alani si dissero dal nome di alcuni monti;

ma a poco a poco con frequenti vittorie avendo ab-battete le nazioni circonvicine, le ridussero tutte sottoil proprio nome, ciò che una volta avean fatto anchei Persiani. Fra costoro i Neuri abitano i luoghi medi-terranei, vicini ad eccelsi monti, scoscesi, isteriliti dal ri-gore del freddo e battuti dagli Aquiloni. Dopo i Neuri

sono i Budini, poi i Geloni, gente fierissima e bellicosa,dove gli uomini cavando la pelle ai nemici che uccidonone vestono sè medesimi e ne coprono i proprii cavalli. AiGeloni confinano gli Agatirsi, screziati nel corpo diceruleo colore, di che si tingono anche 1 capegli :e i plebei usano farsi macchie minute e rare, ma inobili se le fanno larghe, vivaci e più numerose. Dopo

costoro ci fu raccontato che vivono erranti per diversiluoghi i Melancleni e gli Antropofagi che si nutronodi corpi umani: sicché tatti i vicini fuggendoli a ca-gi one di questo nefando costume, cercarono terre lon-tane ; e così tutta quella parte d1Oriente eh’ è sog-getta al tropico del Cancro per infino ai Seri è rima-

sta disabitata. Dall’ altra parte, presso le sedi delleAmazzoni, stanno gli Alani orientali diffusi in nazionipopolose ed ampie, e s’ addentrano ne’paesi asiatici, di-latandosi per quanto ci venne detto sino al fiume Gangeche taglia per mezzo le terre degl’ Iodi e mette focenel mare australe. Quivi divisi nelle due parti del mondogli Alani (dei quali non occorre qui menzionare tutte

le varie popolazioni), comunque siano disgiunti da grandispazii, e percorrano a guisa di Nomadi immensi paesi,pure in progresso di tempo vennero tutti sotto un me

MABCELUNO , 1 1 3 4

LIBRO TRENTESIMOPRIMO 3 6 9

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AD « »rE.V. desimo nome, e tu tti chiamaronsi A lani1 . . . Costoronon hanno abitazioni, nè si curano di maneggiare l’a-ratro, ma vivon di carne e di latte in grau partej abi-tando su carri coperti da cortecce, cui essi vanno gui-

dando per solitudini interminate. Quando arrivano aluoghi erbosi, collocando, in cerchio i loro carri, man»giano a guisa di fiere; poi, come i pascoli sooo con*«umati, ripigliano il loro viaggio strascinando quelle im*magini di città sopra i carri, dove gli uomini alle don*ne si uniscono, e i figliuoli ci nascono e sono educati.

Questi carri sono le loro perpetue abitazioni; e do*vunque vadano, ivi stimano di avere la propria casanativa. Pascolano gli armenti ed i greggi cacciandoselidinanzi ; e soprattutto si danno gran cura dei cavalli.In que’paesi 1 campi sono sempre erbosi f  e intersecatida luoghi pomiferi, sicché gli abitanti per dovunqueviaggino, non mancano mai nè di alimenti nò di pa*

scoli ; e ciò nasce dall’essere il terreno bagnato da moltecorrenti di fiumi. Le persone adunque o per età o persesso imbelli stanno intorno ai carri, e sono occupatein uficii non faticosi : ma la gioventù abituandosi findalla prima puerizia all’ esercizio del cavalcare tiene avile il camminare a piedi; e tutti in forza di una mol*

ti pi ice disciplina diventano esperti combattenti. Cosianche i Persiani che originariamente erano Sciti, sonperitissimi nell’ arte della guerra. Gli Alani poi soooquasi tutti grandi della persona e belli ; coi capegli mez-zanamente biondi, terribili per una cotal severità disguardo«, veloci per la leggerezza delle arm i, e in tuttecose uguali agli Unni, ma di vita e di costumanze più

i Nel testo leggesi ;  mores et media et efferaiam vivendi ,   sed jam immaturam.

37 o   AMMIANO MARCELLINO

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miti. Costoro ladroneggiand o e  oa cord odo scorrono fino An.delPE.V.agli stagni ineolici, al Bosforo cimmerio, agli Armeni 3 5e alla Media: e come a^Ii uomini quieti e placidi èamabile l’ ozio, così costoro dilettansi nei pericoli e

nelle guerre. Quivi è tenuto beato chiaqqae spirò com*battendo : perocché coloro che invecchiano, e si partondel mondo per fortuite morti, sono con atroci contume-lie notati come degeneri e ignavi : nò v’ ha cosa di chepiù altamente si vantino, che dell’avere ucciso qualcheuomo ; e in luogo di spoglie gloriose, dopo avere spic-

cate le leste agli uccisi, ne traggono loro le pelli, e leadattano ai proprii cavalli da guerra per ornamento.Nè si vede appo loro alcnn tempio o delubro, e nemmanco un tugurio coperto di paglia: ma con barbaricorito piantan nel suolo una spada ignuda, e quellaadona ao rispettosamente, considerandola c ome il DioMarte proteggitore delle ampie loro regioni. Mirabile

è poi la maniera con cui presagiscono l’avvenire i pe*rocchè raccolgonoalcune bacchette di vimini ben di-ritti, poi dividendole in un certo tempo prestabilito.con alonne segrete incantagioni, apertamente conosconociò cbe da quelle è pronosticato *« Ignoravano che cosafosse la servitù, essendo tutti procreati da nobile se-

me; ed anche oggidì eleggono a magistrati uomini il-lustri . per lunga esperienza di guerra. Ma torniamo *alseguito della nostra narrazione.

i Può forse illustrar questo passo ciò che dice Erodoto( l ib. iv, c. 67) intorno alia divinazione dagli Sciti: Sono appo gli Sciti parecchj indovini i quali predicono /' avvenire con molle 

verghe di salice in questa maniera. Portano seco grossi fasci di verghe-, poi posatili sul suolo li slacciano, e collocate le verghe ? una separata dalF altra, ne traggon gli oracoli j e nel pronun ciarli raccolgono di nuovo le verghe e le riuniscono in fascL

LIBRO TRENTESIMOPRIMO 37 i

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An.delPE.V. III. Gii Unni adunque entrati ne’ paesi di questi Alani' c onfinanti coi. Greulungi e  d enominati ordinariamente

Tanaiti, dopo averne uccisi e spogliati parecchj, si ami*car ono gli altri, venen d o a patti con essi: poscia insie-

me con loro più coraggiosamente irruppero con im-peto repentino negli aperti e pingui paesi di ErmenricoRe bellicosissimo e temuto dalle vicine nazioni per moltee varie imprese fortemente condotte. 11 quale, percossodalla violenza di quella inaspettata procella, benché sisforzasse lungamente di tener fronte, accrescendo però

la fama sempre più la gravezza dei  d anni cbe lo mi*nacciavano, finì con volontaria morte il timore de* suoigrandi pericoli. Vitimiri creato Re dopo la costui morteresistette per qualche tempo agli Alani, sostenuto  d aalcuni altri Unni da lui attirati col danaro al propriofavore: ma dopo molte rotte eh1ebbe a sostenere com-battendo , esalò 1’ anima in una battaglia, superato dalla

forza delle armi. Pigliarono cura di Viderico suo figliuo*letto Alateo e Safrace, generali esperti e conosciuti pelloro coraggio: i quali disperando, per l'angustia del tem-po, di potere far resistenza, prudentemente si ritiraronoal fiume Danasto, che scorre tra l’Istro ed il Boristeneper campi spaziosi. Laonde informato di questi inopi-

nati successi Atanarico giudice de1Tervingi (contro delquale, come dicemmo, Valente aveva mosse le insegneper castigarlo d’ avere mandati soccorsi» a Procopio),sludiavasi di mantenersi dov’ era per fare poi provadelle sue forze quando fosse assalito anch’egli al paridegli altri. Avendo finalmente piantati gli accampamentiin luogo opportuno presso alle sponde del Danasto e

lungo la valle de’ Greutungi, mandò innanzi per lo spa-zio di ben venti miglia quel Muoderico che fu poi co-mandante delle frontiere d’Arabia^ con Lagarimano e

i 7* AMMIANO MARCELLINO

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con altri Ottimati, affinchè spiassero 1’ arrivo dei neAn.drfVE.V.

tuici, mentre egli frattanto, non essendo impedito daalcuno, attendeva a ordinare l’esercito. Ma successe poitu tto altrimenti da queilo eh1ei si pensava. Imperoc-

ché gli Unni, come quelli che sono accortissimi, entrati in sospetto che dovesse trovarsi più in qua unamaggior moltitudine, lasciati in disparte coloro chesi vedevano a fronte, finsero di darsi al sonno, comese non .avessero verun pensiero; ma quando la lunaruppe le tenebre della notte attraversarono il fiume (e

questo era il miglior partito a cui potessero appigliarsi )je tornendo che qualcheduno precorrendoli non risve-gliasse l’ esercito de1nemici lontani, piombarono ettoveloce impeto sopra Atauarico. Il quale attonito al'pri-mo assàlto, dopo avere perduto alcuni de’ suoi fu ne-cessitato di ritrarsi frettolosamente ai ripari di alcunimonti scoscesi. Atterrito dalla novità di quel fatto e

dalla paura di cose anche più gravi, si diede poi aderigere alti muri dalle rive del fiume Geraso 1 fino alDanubio, lungo la terra de1Taifali : parendogli, che do-ve avesse compiuta con diligente celerità siffatto ba-luardo, avrebbe posta al sicuro la propria salvezza.Ma in quella eh’ ei veniva innalaando quell’ importante

lavoro, gli Unni a grandi giornate gli si facevano so-pra; e vi sarebbero giunti e 1’ avrebbero oppresso, se,aggravati dal pesa del bottino, non avessero dovuto tar*dare il proprio viaggio. Tuttavolta diffondendosi am-piamente la fama per le altre nazioni dei Goti, che unagenerazione d’ uomini non per anco veduta, ed uscitada incognite parti del mondo, precipitando a guisa di

turbine da eccelsi monti, abbatteva e ruinava tutto quello

UBRO TRENTESIMOPRLMO 373

i II  Pruth.

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Ao^HPE.V.che a lei si opponev o , la maggior parte dell’esercito^ di Atanarico che a reva abbandonato quel capitano per

essergli mancate le vettovaglie, si diede a cercare qual*che dimora divisa da ogni notizia dei barbari: e do*

po avere lungamente dubbiato quali sedi elegger do-vesse , pensò che la Tracia le convenisse per doppiaragione di preferenza ad ogni altro luogò ; perchè quelpaese è feracissimo, e perchè le ampie correnti del*l’Islro lo disgiungoa dai barbari, i quali trovavansiesposti ai fulmini di un Marte straniero Questo eoa*

siglio adunque fa comunemente adottato.An. dcH*E.V. IV. Così i Goti Tervingi guidati da Alavivo oocu»3 G pacono le rive del Danubio: e spediti ambasciadori a 

Valente, domandavan con umile preghiera di essere ac*coiti, promettendo di vivere quieti, e di somministrar*gli anche soccorsi quando le circostanze ciò richiedessero*E mentrechè queste eose in que’ paesi accadevano, corse

fin terribile grido, ohe le genti settentrionali agitavanonuovi casi e maggiori de’ consueti; e dicevasi che pertutto lo spazio che ai distende dai Maroomanni e daiQuadi in sino al Ponto, una barbara moltitudine dinon conosciute nazioni cacciata improvvisamente dallépr oprie sedi vagava colle famiglie intorno a) fiume Istro*

Questa notizia stilile prime fu ricevuta con dispregia dalnostri, perchè da que’ paesi cotanto lontani non sole*vano udir mai notizie di guerra, se non quando erano

i Oltre che il testo no» presenta (pii nn* lesione «cura,non apparisce pai bea chiaro il senso deUe parafe adottatadal Valpis; distinguiiur   4   Barbari*, patentibus jqm peregrini fufa 

minibus Martis. Lo stesso Valois crede che Aramiano alluda al*1’ opinione che Marte fosse nativo di Tracia. Il Wagner tra-duce ; i quali ( Barbari ) avrebbero abbastanza che fa re per sostenersi coW arme alla mano in un paese straniero.

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già terminale e sopite. Ma acquistando poi sempre più An.d<*1!TY.

fede quel grido, e crescendogli anche forza P arrivo dialcuni Legati di quelle genti, venuti a pregare ed a. scon-giurare che quella moltitudine necessitata a esulare fosselasciata passare al di qua del fiume, questo caso apportòletizia piuttostocbè timore; perchè alcnni esperti adu*latori pigliavan di qui occasione per sollevare a deio lafortuna dell’imperatore, dicendo oh’ essa gli offeriva ino-pinatamente nuove numerose milizie traendole fin dalleultime terre, acciocché poi egli unendo insieme le proprie

forze e le altrui avesse un invincibile esercito, oltre-ché s’aggiungerebbe all’erario gran quantità di danaro coipagherebbero ogni anno le province invece delle militarireclute ». Con questa speranza furono spediti parec-chi, i quali sopra carri trasportassero al qua del Ach

me quella feroce moltitudine di stranieri: e s’attese congno diligenza a far sì che non restasse a dietro nè pur

uno di quegli uomini destinati a rovinare P imperio romano, nè pur chi fosse già mortalmente ammalato. Tostocome adunque costoro ebbéro ottenuta dall’ Imperatore lapermissione di valicare il Danubio, e di abitare le terredi Tracia, attendevano di giorno e di notte al passag*gio Con navi, eoo zattere e con tronchi d’ alberi io

cavati: ed essendo quel fiume più pericoloso d’ogni al-tro 7 ed allora gonfiato da longhe piogge, pel troppo

i Di una simile dannosa adulazione parla l1Autore anchenel lib. xix, c. n . Il senso di tutti e due questi luoghi è qué-sto , che le province sgravate dall' obbligo d» somministrare i soldati i quali d’ ora innanzi si trarrebbero dai barbari, p»

trebberò invece assoggettarsi ad un tributo di danaro ; e cosil’erario si arricchirebbe e 1’ esercito non sarebbe punto dimi-nuito. Il danno poi del consiglio stava nel sostituire soldatistranieri ai nazionali.

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An.d<*irE.V. g ran numero delie genti, alcuni mentre sforzavansi di^ vincere l’ impeto delle acque nuotando, furono invece

inghiottiti. Così con faticosa diligenza si apriva la stradaaila rovina dell1imperio romano. Perocché non è cosa

nè oscura nè incerta cbe le persone incaricate dell1in-fausto ufficio di trasportar quella gente, avendo spessevolte tentato di numerarla, dovettero alla fine abban-donar quell9impresa : e se alcuno volesse sapere il nu-mero di costoro (per usar le parole del nostro eccelsopoeta) dovrebbe sapere anche quante arene sono agi-

tate da Zefiro nei deserti di Libia. Si richiamino dun-que in vigore le antiche memorie, le quali dicendoche le schiere dei Medi venute in Grecia occuparonol’Ellesponto e si apersero coll’arte un passaggio al marepel monte Atos, poi congregate a Dorisco, quivi a torm ea t orme furono annoverate, per concorde opinione ditutta l’ antichità sono tenute favolose Perocché dopo

cbe quelle innumerevoli genti difTose all’ intorno per leproti oce, e allargatesi a grandi spazii di terreno em-pierono tutti i piani e tutti i gioghi dei monti, questarecente prova acquistò fede all’ antica narrazione. Ala-vivo e Fritigerno pertanto furono i primi al passaggio!'ai quali l’ Imperatore avea decretato che si dessero e

gli alimenti per un tempo determinato, ed alcuni campida coltivare \ Così essendo allora aperti i ripari delle

i II testo è corrotto in più luoghi. Pare nondimeno diel 'Autore abbia' voluto dire che 1*immenso numero de* barbarientrato allora nell* imperio fece credibili le storie anticheinto rno alla moltitudine de* Persiani passata in Grecia ai tempi

di Serse. Rispetto al modo con cui quell* esercito fu numeratovedi la nota al lib. ro ti, c. 6.a  I I Wagner osserva che 1*Autore non avrebbe dovuto la~

sciar di dire, come Valente 'avea pattuito innanzi tratto chei barbari dovessero consegnare le armi.

 3y6  AMMIANO MARCELLINO

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ÀM«*1H5.V. ripulsa j si' allòntanò; ri cordando fi di avene trattato Coir^ disprezzo Valente quando si confederarono insieme; per*

chè affermando di avere giurato di non calcar mai suoloromano, aveva con tale pretesto costretto l’Imperatore

a conchiuder ia pace nel mezzo del fiume; Laonde te-mendone ancoia il risentimento, declinò con tutti i suoia Caucalaoda, luogo inaccessibile per le foreste cbe visono e pei monti, e da cui egli cacciò via i Sarmati aforza.

V. Ma i Tervingi ai quali erasi già conceduto di va-

licare il fiume vagavano ancora lungo le rive di quello ,trattenuti da duplice impedimento; perchè i nostri capigià mentovati, con funesti artifini non lasciavano chefossero soccorsi di vettovaglie, e trattenevapli a bello stu-dio per (spogliarli del tutto coi loco nefandi commerci.Di che poi essendosi accorti cominciarono mormorando aipensare come potessero trovare un sussidio contro la

perfidia che li minacciava di si gran mali; e Lopicinotemendo che non si ribellassero, impiegava le propriemilisie per obbligarli a partirsi celeiemente. Allora iGreutungi cogliendo il buon destro cbe loro si offesi»va , visto che per essere i soldati in altre parti occu-pati, non discorrevano più come prima pel fiume quelle

nostre savi da cui erano stati fin allora impediti ditragittare, valicarono sopra sattere male composte, eposero gli accampamenti in luogo lontanissimo eia Fri-tigerno. E costui per naturale previdenza ed accorgi-mento fortificandosi contro i casi imminenti * volendoad un tempo stesso e ubbidire ai comandi dell’ Impe-ratore ed essere in grado di unirsi cogli altri possenti

Re della sua nazione, si diede a viaggiare più lentamente,sicché tardi e dopo molte giornate pervenne a Marcianopoli. Quivi poi successe un altro caso che accese le fati

3 ? 8 AMMIANO MARCELLINO

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delle Furie . a comune rovina. Perocché avendo Lupi Ati.fl^KV.cid o   invitati Alavivo e Fri t igeino a un banchetto, corsuoi soldati teneva intanto lontana dalle mura deHa cittàla plebe dei barbari ohe assiduamente chiedeva e pre-

gava ( come soggetta alla nostra signoria ed in pace connoi) di esser lasciata entrare a provvedersi delle cosenecessarie al proprio sostentamento: sicché poi esseodonati gravi diverbii fra gli abitanti e i respinti, si vennefino alla necessità di combattere; ed i barbari infero-citi più che mai dall1avere veduto com’ eran tratta te

le persone l oro attinenti, uccisero i soldati e li spoglia-rono. La pie ino avvisato segretamente di queste cose rnen*trechè da gran tempo seduto a profuso banchetto, inmesso a grande frastuono attendeva al bere fuor dim isura, congetturando 1’ esito di quella contesa , leceuccidere tutte le guardie che d’intorno al Pretorio atJtendevan o i due capitani già detti. Il popolo che asse-

diava le mura senti con d olore questa notizia , e in*grossandosi ognora più faceva molte e crudeli minacceper vendicare i suoi Re ch’egli credeva tenuti prigioni.E Fritigerno ch’ava dotato di pronto consiglio, fornendodi non esser tenuto in luogo di ostaggio cogli altri,esclamò che bisognerebbe combattere con troppo grande

rovina qualora non si permettesse a Ini ed a’suo» com-pagni di nseire ad ammansare la moltitudine, la qualecredendo che i «noi capi, sótto col ore di amichevolefesta, fossero stati uccisi, erasi accesa a far quel tumulto.Però avendo ottenuto ciò che domandava, uscirono tutti*ed esseodo ricevuti con applausi e con giùbilo, si po-sero a cavallo, e via di gran carriera, con animo dispargere ovunque incitamenti di guerra. Quando poi lafama, maligna alimenIstrice di ogni romore, diffuse sif-fatte cose, tutta la nauone dei Tervingi arse nel de

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An felTE.V.siderio di combattere. Io mezzo alle molte difficolticbe andavano quasi innanzi a9grandissimi pericoli im-minenti , sollevarono com’ è loro costume i vessilli ; esuonando già d1ogni intorno mestamente le trombe guer-

riere , accorrevano le torme de1predatori, rubando e in-cendiando i villaggi, e confondendo con grandi rovinetutto quello cbe potevau trovare. Lupicino avendo agran fretta e tumultuariamente raccolte le sue solda-tesche per opporsi a costoro, si mosse c on più teme-rità che prudenza; e dilungatosi nove miglia dall* città,

quivi ristette apparecchiato di venire alle mani. E i bar-bari ciò vedendo diedero deotro nelle file dei nostriche non aspettavano quell’assalto, e serrandosi gli scudialle persone, colle aste e colle spade tagliavano qoautrvenivan loro alle mani; sicché crescendo «sempre piùquel sanguinario furore si perdettero le insegne e fu-rono morti i tribuni con la maggior parte dei soldati. Ma

l’infausto loro generale scampò ; il quale come se fossedestinato sempre a salvarsi fuggendo, dopo avere con-dotti gli altri a combattere, a gran fretta si era riti-rato nella città. Dopo queste cose i nemici vestiti dellearmi romane si diedero a far preda in diversi luoghi,senza trovare chi loro si opponesse. E poiché dopo tanta

varietà di fatti siamo venuti a questa parte della no*stra storia, preghiamo coloro che la leggeranno ( se purequalcuno vi sarà che la legga ) a non richieder da noiuna scrupolosa narrazione degli avvenimenti, nè il nu-mero degli uccisi che non si potè per nessun modo de-terminare. Basterà dunque che noi non facendo velocon nessuna bugia alla verità, riferiamo così in gene-

rale le cose con quella fedele integrità che si debbe os-servare mai sempre nel racconto delle cose avvenute.Coloro poi che sono ignari delle antichità1negano che

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LIBRO TRENTESIMOPRIMO 381

la Repubblica sia mai stata coperta da altrettante tc*An.ddPE.V.nebre di mali ; ma costoro, attoniti nelle nuove sciagu ^re, pigliano errore. Perocché esaminando le età anticheod anche quelle di poco spazio passate, ci mostreranno

simili fatti e di pari calamità. Inondarono PItalia, sbu-cando improvvisamente da nascoste parti dell1Oceanoi Teutoni coi Cimbri; ma dopo aver recati alla ro -mana Repubblica immensi danni, superati nelle ultimebattaglie da ragguardevolissimi capitani, furono estir-pati fin dalle radici, e con estrema loro rovina impa-

rarono quanto prevalgano alla semplice forza l1 arte ela disciplina militare. Così pure governando Marco P ina.perio, parecchie nazioni differenti tra loro, infiammateda uno stesso furore, dopo immensi fragori di guerre,dopo . . . . di città prese e saccheggiate . . . . piccioloparti n’ avrebbero lasciate intatte >. Tuttavolta ben to-sto dopo quelle calamità le cose furono restituite alla

loro condizione di prima; perché non essendo ancoracorrotta dalla mollezza la sobrietà degli antichi non sierano gli uomini abbandonati né alle sontuose mense néeri criminosi guadagni, ma i sommi e gl’infimi conc or -datolo gli uni cogli altri per unanime ardore, corre-vano volonterosi a incontrare la morte per la Repub-

blica , come ad un porto placido e tranquillo. In altritempi le caterve delle genti scitiche superando con duemila navi il Bosforo ed i lidi della Propontide, mena

i Post ,.. . !eri. . . urbium captarum et direptarum et pessttm. è.concita* proratoris . . . interitus * partes eorum etc.. li Casaubonoil Salraasio ed il Wagner hanno supplite di proprio ingegno

queste lacune : ma il Valois pose a questo luogo la seguentenota cbe si potrebbe applicare a molti altri: Ut desperatis aegris adhiberi remedia petat Hippocrales , ita etiam a desperatis 

 Jactorum lods abstinendum esse existimo.

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Àb.ddrE.V. rooo acerbe stragi per lena e per mare; ma essendo376 uccisi per la maggior parte , le rimanenti se oe tor-

narono poi addietro» Morirono combattendo coi barbaridue generali della casa dei Decii, il padre e il figliuolo.Fur ono assediate le città della Panfilia; saccheggiate pa-recchie isole; incendiata la Macedonia; Tessalonica eCizico circondate lungamente da gran moltitudine ; An*chialo fu presa, e nel medesimo tempo anche Nicopoli^cui l’imperatore Trajano aveva fondata, perché fossemonumento della vittoria ottenuta sui Daci. Dopo molti

e gravi reciproci danni fu distrutta Filippopoli, e ( segli annali non mentono) cento mila uomini furono stran-golati nel cerchio di quelle mura. Vagarono licenziosa-mente per T Epiro, per la Tessaglia e per tutta la Greciastranieri nemici: ma quando finalmente fu innalzatoall9Imperio Claudio glorioso capitano, e, morto luidi morte gloriosa, succedette Aureliano uomo operosoe severissimo vendicatore delle offese, ne furono di-scacciati , e lunga pezza stettero silenziosi ed immo-bili, tranne alcune bando che oscivan di tempo intempo per rubare i luoghi vicini, sempre però conproprio danno. Ora tornerò d’ onde mi son dipartit o*

VI. Sebbene la notizia delle cose già dette fosse da

molti avvisi diffusa, Suerido e Coliate, ottimati deiGolf, accolti giù molto prima colle loro genti e p ostia svernare presso Adrianopòli, pensando innanzi tuttoalla propria salvezza, se ne stavano oziosamente guar-dando ciò che avveniva. Ma essendo poi loro portatelettere dell’ Imperatore nelle quali veniva ad essi ordi-nato di passar l’Ellesponto , domandarono modesta-mente che loro si dessero il viatico, vettovaglie e duegiorni di tempo» La qual cosa non essendo comportatadal magistrato di quella d i t i ( costui era sdegnato per

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UBRO TRENTESIMOPRIMO 383chè quegli stranieri avevano devastati ì suoi suburbani Anpossedimenti ), armò contro di essi tolta l’ infima plebecogli operaj de’ quali è quivi gran numero : e coman-dando che si desse fiato alle belliche trom be, faceva

a tutti minacce grandissime se non partivano subita-mente. I Goti percossi alP improvviso da quella sven-tu ra , e atterriti da quel concorso de’ cittadini il qualepareva piuttosto un tumulto che un movimento pre-meditato, se ne stettero immobili: poi essendo assalitieon ogni sorta di rimproveri e di ingiurie, e provo-

cati anche eon alcune frecce scagliate contro di lo ro ,solleva ronsi a manifesta ribellione. Allora uccisero moltiche s’ erano con troppa audacia avanzati; ed avendocacciati in luga gli altri, percotendoli con ogni sorta diarme, spogliarono i cadaveri dell’abito romano e se nevestirono essi medesimi; poi. avendo veduto Fritigernonon guari lontano, si unirono a loi come docili com-

pagni , e si diedero ad incalzare coti tutti >mali di unassedio la città che avea chiuse le porte. Stando perlungo spazio di tempo in questa difficile situazione ir-rompevano or da una parte or dall’ altra; dove il sin«golare coraggio di alcuni di loro cadeva inulto, e moltiperivano colpiti dalle frecce o dai sassi scagliati con

fionde. Allora Fritigerno considerando che indarno edal prezzo di troppe stragi combattevano quelle genti acui l’arte degli assedii era ignota, persuase loro cbe,lasciata quivi una parte sufficiente di armati, partisserosenza voler compiere l’espugnazione, consigliandoli alasciare in pace le muraglie per volgersi invece a de*predare senza perìcolo alcuno i paesi ricchi e fecondieh’ eran d’intorno, e dove non si trovava per anco verun presidio. I Goti lodarono il consiglio di quel Resapendo eh’ egli sarebbe loro valevol compagn o nell’ ese

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An;dclFE.V. cnzione di quel disegno; poi diffusi per tutta la Tra-cia procedevano cautamente ; ed alcuni uomini o datisispontaneamente o fatti da essi prigioni mostravano loro

le borgate più ricche, e quelle principalmente cbe ave-vano fama di essere'ben fornite di vettovaglie. L’in-genito loro coraggio fu *poi grandemente accresciutodal vedere come di giorno in giorno concorreva ad essiuna numerosa moltitudine della propria loro nazione;di persone vendute, già era gran tempo, da’ mercatanti;ed anche alcuni altri che nel primo loro passaggio tro»

vandosi oppressi dall’inedia s’ erano dati in cambio dipoco vino o di qualche tozzo di pane. A costoro si ag-giunsero anche non pochi, esperti a trovare le venedell’oro, i quali non eran più in grado di sopportarela gravezza dei tributi a loro impósti: e ricevuti congrande consenso di tu tti, furono di molto vantaggio

a quelle genti che viaggiavano per paesi non cono-sciuti, mostrando loro gli ooculti ripostigli delle biade,i siti dove le persone celavansi, e tutti insomma i luo-ghi più segreti. Precedendo pertanto costoro non ri-masero intatti se non i luoghi inaccessibili e fuori dimano: perocché senza distinguere sesso od età , tuttoempievano di stragi e d’ incendii, e strappando fin dalle

poppe i lattanti pargoletti, li trucidavano per rapirnele madri: ucciseroi mariti sotto gli occhi stessi dellemogli; e i fanciulli e gli adulti furono strascinati permezzo ai cadaveri dei loro proprii paventi. Molti vec-chi, dolenti di essere troppo vissuti, dopo avere •per-dute le ricchezze, furono condotti in esilio insieme con

molte belle donne, colle braccia avvinte al tergo , pian-gendo gl’incendii delle native loro abitazioni.

An.de1P E.V. VII. L’ imperatore Valente avendo ricevute con gran377 dolore queste notizie dall» Tracia, Uova vasi da varie

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LIBRO TRENTESIMOPRIMO 385sollecitudini distratto. Spedi subitamente Vitt ore Mae An.deirE.V.atro.della cavalleria ai Persiani, incaricandolo di com 377porre con loro il meglio cbe potesse le differenze cbeavevano intorno all’ Armenia: e «neutre si disponeva ad

uscire d’ Antiochia per trasferirsi a Costantinopoli, man-dò innanzi a quella volta Profuturo e Trajano, dueofficiali che aspiravano bensì ad alte cose, ma non era-no punto guerrieri. Costoro essendo venuti a certi luo-ghi dove sarebbp convenuto ingegnarsi di abbattere lamoltitudine dei nemici in separate fazioni e quasi per

via di agguati, si volsero invece a pernicioso partito,opponendo ai barbari, spiranti tuttavia fu rore , le le-gioni venute dall’Armenia; le quali erano bensì mi-lizie più volte gloriosamente sperimentate in opere diguerra, ma non erano tante da fronteggiare quella im-mensa moltitudine £he aveva occupati i gioghi dei montied i campi. Queste legioni pertanto non avendo ancor

fotta sperienza di quanto valesse un’ indomita rabbiacongiunta colla disperazione, cacciato il nemico al dilà degli scoglia del monte Emo, qtauziaronsi in alcunescoscese gole; affinchè i barbari chiusi in que’ luoghiuè più trovando come potessero uscirne, fossero con-sumati da lunga fame: ed esse intanto stettero aspet-

tando il generale Frigerido cbe a loro veniva cogli ausHiarii panuonici e transalpini, dacché Graziano per or-dine di Valente gli avea persuaso di muoversi in soc-corso dei .nostri che si trovavano condotti nell’ éstremopericolo. Dopo costui per comando dello stesso Gra-ziano si mosse dalle Gallie anche Ricomere allora co-mandante delle guardie domestiche *, affrettandosi verso

1 Fu poi sotto Graziano personaggio assai importante e ge-nerale della cavalleria : e sotto Teodosio fu console e generale

m a b c z l u n o , n a5

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À«,<MFE.V. le ^Tracie alla testa di alcune coorti, o piuttosto nomi*7? di coorti; perché la maggior parte di esse ( insti gota

come dissero alcuni da Merobaude ) avea disertato, te*tnendo non forse, passato audacemente il Reno, i nemicidevastasser le Gallie quando le sapessero spogliate de’loro presidii. Ma Frigerido fu poi impedito da dolorialle articolazioni, o forse ( come asserirono alcuni ma-levoli detrattori) diede vooe di essere infermo per nonintervenire a que’ furiosi combattimenti : e Ricòmere,

 postosi per comune consenso alla testa di tutti, si uni

con Profuturo e con Trajano accampati vieino alla cittùdi Salices, dove non molto lontano incontrarono unvolgo innumerevole di barbari, i quali avendo collocatii molti loro carri in figura di un cerchio, come se fos-sero in uno spazio murato, oziosamente godevano laricchezza delle loro prede. Quivi i condottieri romaninutrendo speranza di buoni successi, e disposti per con*seguente a tentare qualche impresa gloriosa ogni qual»volta la sorté loro ne presentasse il buon destro, sta*vano attentamente osservando ciò che facevano i Goti.£ pensavano che se mai tramutassero altrove il loroxampo, ciò che solevano fare àssai spesso, potrebberoassalirne da tergo le ultime à ie , e così ritoglier loro

gran parte del bottino di che sf erano impadroniti. Mai nemici accortisi di questo divisamento, o forse es-sendone istrutti dàlie relazioni di alcuni de’ nostri fug-giaschi per colpa de1quali nessuna cosa poteva rima-nere occulta, stettero fermi gran pezza in quel luogo. Fi-nalmente poi intimoriti dall1esercito che si vedevan o a fronte $ dalla persuasione cbe dovessero soprarrivare

della cavalleria e dei finti ad un tempo ;  Magister utriustfuc  mìliti.00. Cosi il Wagner,

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LIBRO TRENTESIMOPRIMO 38;

altre milizie, mandarono fuori un ordine quale si usavaAn.delFE.V.presso di loro, chiamando a sè tutte le bande di ar ^  mati che si trovavan diffuse a predare ne9luoghi cir-convicini : le quali avendo ricevuto il comando de’ loro

capi, subitamente, come accesi malleoli, si ricondusserovolando al recinto di carri già detto, e così diedero ailoco compagni coraggio per osare maggiori imprese. Do-po d’ allora pertanto non v’ ebbe se non qualche brevemomento di tregua fra le due parti. Perocché essendorientrati nel campo coloro che la necessità aveva in-

dotti ad uscire, tutta quella moltitudine rinchiusa nellosteccato dei carri immanemente fremeva, e seguitandoP impeto de1truculenti loro animi ardevano di venirealle ultime prove $ nè i capi della nazione eh’ eranoquivi presenti si mostravano d’animo diverso* Ma per-chè questa risoluzione fu presa in sul cadere del sole, ela notte sopravvegnente li costringeva alla quiete, sebbe-

ne di mala voglia e con dolore, si ristorarono durantequel riposo di cibo ma non dormirono punto. D’altpaparte i Romani avendo avuta notizia di queste cose, ve-gliando anch’ essi stavano in sospetto dei nemici q do-gli audaci loro condottieri, come di belve rabbiose:ma sebbene P evento apparisse dubbioso per esser eglino

molto inferiori di numero, nondimeno con animo im-pavido se l’aspetta van propizio, confidando nella giu-stizia della loro causa. Tosto efie dunque cominciò adalbeggiare, dato dall’ una e dall’ altra parte il segnod’ impugnar l’ arm i, i barbari pronunciarono prima iconsueti. loro reciproci giuramenti, poscia tentaronodi occupare alcuni luoghi elevati, dai quali potrebbero

poi a guisa di ruote calare, e eoo maggior impeto stra-scinar seco quanti si attraversassero a loro. Ma i no-stri avendo ciò veduto si affrettarono tu tti, ciascuno

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An.de1PE.V.al loro manipolo, e quivi si tennero fermi, nè alcunovagava od usciva della sua schiera per ispingersi innanzi.Quando pertanto i due eserciti procedendo cautamentetrovaronsi immobili a fronte Puno dell’altr o , i soldati

cominciarono per reciproca rabbia a provocarsi conobliqui sguardi. £ i Romani gridando da tutte particon voce marziale cbe, debole da principio, va poisempre crescendo fino a quel romore chiamato con vocenazionale barrito, s’ inanimivano sopra le loro for-se: e i baèbari con rozze voci gridavan le lodi dei loro

maggiori ^ e in mezzo a quel vari o strepito e dissonantecominciarono a tentarsi leggiere zuffe; E giù j dopo es-sersi gittati da lungi i verrettoni ed altre armi consi-mili, venivano minacciosamente alle prese, e congiuntigli scudi a guisa di testudiai combattevano piede con-tro piede. I barbari che potevano riempir facilmenteogni loro vóto, ed erano agili assai, scagliarono con-

tro i nostri grosse dave indurite al fooco, e piantandole; loro spade nel petto a coloro che resistevano piùfortemente, ruppero il corno sinistro: ma un fortissimocorpo di milizie sussidiarie, avendolo veduto piegare,irruppe gagliardamente da un sito ivi Ticino, e men-tre que9nostri avevano già la morte imminente sul capo,

ne li salvò. Fervendo così per molte stragi la mischia,e precipitandosi ognuno dove i combattenti eran piùdensi, cadevano sotto le frecce volanti da tutte le partia guisa di graudine, e sotto le spade : i soldati a ca-vallo poi inseguivano per ogni verso i fuggenti , e neferivano a grandi colpi le nuche e le terga i fantianch’essi dall’ altra parte tagliavano le giunture a quanti

trovavan caduti o dalla paura tardati. Così era pienoper tutto dei corpi degli uccisi, Tra i quali alcuni gia-cevano ancor semivivi e con una vana speranza di po

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LIBRO TRENTESIMOPRIMO 389tersi salvare; altri erano percossi dalle pietre scagliate Atj.dcirE.V.collefio nde, o trafitti da frecce armate di ferro; ve 3?7devansi le teste di alcuni tagliate pel mezzo da un fen-dente penz olare con grande orrore di qua. e di là sulle

spalle. E non essendo per anco stancati dall’ ostinatocombattere, con uguale fortuna da tutte e due le parti

 n danneggiavano ; nè alcuno rimetteva punto dell’ in ,nato suo furore, perchè il coraggio somministrava alcorpo le forze. Ma finalmente il giorno che diede luogoalla notte divise quel mortale c ombattimento; e ritraen-

dosi tutti alla rinfusa dove ciascuoo poteva, quanti so-pravvissero a quella fazione si ricondussero afflitti piùdi prima alle tende. Si diede quindi sepoltura, qualeil luogo ed il tempo la comportavano, ad alcuni prin-cipali fra i morti; e i cadaveri di tu tti gli altri se liconsumarono gli augelli rapaci, soliti allora a pascersidi umane carni, come attestano i campi che biancheg-

giati tuttora dell’ ossa. Del resto, è ben noto che i Ro-mani , venuti alle prese con una moltitudine in numeromolto maggiore di loro, soffersero grave perdita, manondimeno recarono lagrimevoli danni a quella barbara .plebe.

Vili. Finita così luttuosamente quella battaglia, i no-

stri si ridussero ai vicini recessi di Marcianopoli *. IGoti rientrati spontaneamente nel cerchio dei loro carri,non osarono più uscirne e nemmanco lasciarsi vedereper ben sette giorni ; d’ onde i nostri soldati colseroV opportunità di chindere con alti baluardi nelle angu-stie Emimontane alcune altre immense caterve di bar

•bari. E speravano che quella dannosa moltitudine di

nemici, stretta così fra l’ latro e que’ luoghi deserti, nè

i  Presìau nella Bulgaria.

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An.deil'E.V. trovando aloun sito da uscirne, vi perirebbe di filine;*77 dacché tutte le cose necessarie al vivere erano chiuse

in città fortificate, alle quali i Goti non tentaron nèpure di mettere assedio, per essere affatto ignoranti d i

queste arti della guerra. Ciò fatto Ricomere se n’ andònuovamente nelle Gallie, per raccogliervi nuove milizie

. contro quelle maggiori battaglie che prevedeva di do*ver sostenere. Queste cose fàcevansi essendo console Gra-ziano ( per la quarta volta ) con Merobaude, e declinandogià Fanno all’autunno. Valente, com’ebbe sentito il tri-

sto successo delle battaglie e delle rapine, commise temporariamente la cura dell’esercito equestre a Saturnino,e lo spedì in soccorso di Trajano e di Profuturo. Ac-cadde poi in que’ medesimi giorni che essendo consu-mate nei paesi di Scizia e di Mesia tutte le vettova-glie, i barbari, esagitati a un medesimo tempo dallaferocia e dalla fame, ardevano di spingersi fuori delle

grandi moli fra cui si trovavano chinsL Ma poiché aven-do tentato più volte erano sempre stati oppressi dalvigore dei nostri che gagliardamente 1» ributtavano perquegli scabrosi sentieri, costretti dall’ ultima necessitàchiamarono a sè alcuni degli Unni e degli Alani, al-lettandoli colla speranza di grandi prede. Della qual

cosa essendo Saturnino informato (chè già si trovavain que’ luoghi e collocava le stazioni e le poste nellecampagne) raccolse a poco a poco i suoi, e appareechiavasi con buon consiglio di allontanarsi, temendoche la moltitudine de’ nemici, a guisa di un fiume cherompe coll’ urto delle onde i contrasti e dilagasi, nonabbattesse improvvisamente i nostri, stati già da gran

tempo a guardia de’ luoghi sospetti* E i barbari in-fatti tosto che videro essere aperti i passaggi e par-tite le nostre milizie, subito disordinatamente get

3go AMMIANO MARCELLINO

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tartan a saccheggiare dovunque a ciascuno tornava il àtì.dell’E.V,meglioj senza incontrare chi gP impedisse: e tu tti sidiffusero impunemente a devastare le TVacie per quantoease distendonsi} e 'cominciando da quelle parti chesono bagnate dalP Istro fino a Rodope ed allo stretto

 oh9è limite d’immensi mari 9confusero turpemente ognicosa con rapine, stragi, uccisioni, incendii e violenzefin nelle persone de1piccoli fanciulletti. Allora si vidéro^non senza gemerne, cose atrocissime a dirsi ed a ri-guardarsi 1 femmine istupidite dallo spavento cacciate a

colpi di sonanti flagelli; alcune incinte di parti tuttoraimmaturi tollerare empie nefandità prima di esporre iloro portati alla lucfc ; fanciulli abbraccianti le madri je lamenti di giovanetti e di nobili fanciulli j ft cui unadura schiavitù inceppava le mani. In altra parte ver*gini adulte e caste spose stracciandosi il volto 1 e la-mentando tristissimamente il loro destino venivano stra-scinate, desiderose d’impedire anche a costo di unatormentosa morte la profanazione del loro pudore. Al*trove finalmente strascinavasi a guisa di fiera qualchegiovinetto p oc’ anzi ricco e libero , che invano dolevasidella Fortuna cieca e inclemente, la quale in brevespazio di tempo lo aveva spogliato delle dovizie, strap-

pandolo alla dolcezza della famiglia e d  alla sda casa cuiegli medesimo avea veduta cadere in cenere ed in ro*vine, perchè fosse poi lacerato a brani, o condotta aservire sotto le verghe e sotto i tormenti ad un cfudelvincitore. I barbari frattanto, come bestie che abbianovolte le sbarre y diffusamente correndo per V  ampiezza

T Ore adfecio è la lezione comune. Non Sarebbe peraltroimprobabile che dovesse leggersi invece ore abjccto come do*bita il Valois, cioè con volte dimesse.

LIBRO TREMTESUfiONOMO 3 9 1

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AnjJell’E.V. di quelle regioni, giunsero ad una città nominata Di'377 bal lo. *. Quivi assalirono Barzitnere Tribuno degli sco-

ta ri i,c fie attendeva co9suoi, coi Cornuti e con altre

schiere di fanti a porre gli accampamenti; ed egli come generale esperto ed avvezzo alla polvere militare su-bitamente ( come esigeva la necessità del soprastante pe-ricolò ) ordinò che le trombe dessero il segno della bat-taglia } ed avendo fortificati i fianchi del suo esercitofece impeto con espediti soldati contro il nemico t  e resistendo valorosamente all’ assalto sarebbe riuscito*

vittorioso, se un corpo assai numeroso di cavalleria dock fosse venuto a circondarlo quando era già stanco e ane-lante. Cosi cadde pertanto alla fine dopo avere uccisi nonpochi dei barbari, de9quali la strage non appariva acagione del loro gran numero.

IX. Essendo così terminata quella battaglia', i Gotiincerti di ciò che dovessero fare aùdavan cercando eliFrigertdo, deliberati di abbatterlo dovunque venisse loroincontrato, perchè lo consideravano come un avvecsa^rio molto pericoloso. Però dopo essersi ricreati con buonicibi e con un poco di sonno, si misero come fiere sullatraccia di lui, avendo avuta notizia eh’ egli per ordinedi Graziano ritornato nelle Tracie, avea quivi piantat o 

il campo presso Berea, e stava considerando i dubbiosieventi di quella guerra. Essi dunque con rapido viaggioaffrettavausi a compiere il loro divisamente: e Frigeridocome colui che sapeva benissimo e reggere e conservareun esercito, o venuto in sospetto di quello che costoroinfatti pensavan di fare, o forse apertamente avvertitodalla relazione de9suoi esploratori, per gioghi di monti

1 Non è sicura lezione. Altri  Debello, altri  Deulto v orreb*bero preferire.

3g»  AMMIANO M ARCELLINO

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e per metto a dense foreste sì ricondusse all’ Illiria iua nA.^lfE.V.

nimito da una grande prosperità che la sorte inopinatamepte gli offerse. Perocché ritornando egli, come di-cemmo, all* Illiria, e facendo avanzare a poco a poco

V esercito insieme ordinato', sorprese tfarnobio ottimatedei Goti mentrechè licenziosamente vagava con alcunebande di predatori e coi Taifali associatisi di recèntecon lui. Costoro ( se pure il parlarne è pregio del*l’opera) avendo veduti i nostri andar dispersi dalterrore d’ ignote nazioni passarono il fiume con animo

di mettere a ruba i luoghi eh’ essi vedevano vóti di di*fenspri. Avendo adunque Frigerido vedute le costorocaterve, s’ apparecchiò come prudentissimo generale dicombattere da lontano^ ed assaliti i depredatori dell’una e dell’ altra nazione che facevano tuttavia grandiminacce, li avrebbe uccisi tutti fino all’estremo sicchénon restasse nè pure chi recar la notizia di quella stra-

g e ,, se non accadeva che essendo ucciso insieme conmolti altri Farnobio, terribile suscitatore di turbolenze,egli perdonò poi a’ restanti cedendo alle *loro grandipreghiere, e li distribuì tutti a coltivare i campi pressòModena , Reggio e Parma, italiche città. Questa nazionedei Taifali, per quanto ne abbiamo raccolto, è si turpe

e sì sprofondata nelle sozzure di un vivere osceno, chepresso jii loro i maschj fanno del proprio pudore nefandomercato, obbligandosi di consumare in sozze pr ostitu-zi oni il fiore dell’età: nè quando sono adulti possono libe-rarsi da quel vituperio altrimenti che col prendere dasè soli un cinghiale o coll’ uccidere un qualche im-mane orso.

X. Queste cose, declinando già V autunno all’ inver-no, erano per le Tracie agitate da turbini infausti, equesta rabbia di tempi, come se le Furie ogni cosa

LIBRO TRENTESMOPRIMO 393

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An.delTE.V. infiammassero, difTondeDdosi ampiamente serpeggiava^ fino a lontane regioni. £ già i Lenziesi, popolo di ori-

gine alamanna, confinante col paese dei Rezii, violandoil trattatto concbiuso già da gran tempo 1 con perfidescorrerie insultavano le nostre frontiere : e il principio disiffatti mali fu questo. Un uomo di quella nazione chemilitava fra le guardie delP Imperatore, essendo tornateper qualche sua faccenda alla propria casa, interrogatoda molti di quello cbe si facesse alla corte, come per*sona ch’ egli era naturalmente loquace, riferì che Gra-

ziano, chiamato da suo zio Valente, stava per muoverle insegne verso IVOriente, affinchè poi, raddoppiatele forze, potessero respingere gli abitanti de’ paesi cir-convicinir congiurati ai danni de’ Romani. I Lenziesi rac-colte avidamente queste notizie, applicarono a sè stessi,in qualità di vicini, quella disposizione dell7Imperatore ,e seguitando P indole loro subitana e veloce si raccol-sero in varie bande di predatori, e il Reno indurat o dal gelo nel mese di Febbrajo . . *i Celti insieme coiPetulanti, non senza proprio danno, con grandi forzeli percossero e li respinsero addietro a. Ma que9Ger-mani necessitati così di retrocedere, conoscendo che lamaggior parte dell’ esercito erasi già trasferito nelP III*—

ria dove sarebbe tra breve anche P Imperatore, diven-tarono sempre più ard iti, e meditando più gravi im-prese raccolsero insieme tutti gli abitanti de9villaggi 9

1 Fin dall’ anno 354* V. lib. xv, e. 4*»  Rhenum gela pervium pruims Februario mense . . •  tenden- 

ies prope cum Petulantibus Celine j non sine sui jactura afflictos 

 graviter adulti* viribus averterunU   Secondo la probabile conget-tura del Valois dovrebbe tradursi : Tentarono di valicare il   Reno indurato dal gelo nel me*e di Febbrajo, ma i Cèlti coi P&  telanti ti ributtarono mentre movevano a quella volta.

394 A8ÌMIAN0 MARCELLINO

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e fatto un esercito di quarantamila o di settanta ( co An.

me affermano alcuni per accrescere maggiormente lalode delP Imperatore ) con grande superbia irrupperofidatamente nei nostri confini. Graziano «ruta con gran

terrore notizia di queste cose, richiamò le coorti cheaveva già spedite nelle Pannonie, e chiamate a sèanche quelle che un prudeute consiglio aveva lascia*te nelle Gailie, affidò questa impresa a Nannienogenerale valoroso e prudente, unendogli come com-pagno di ugual podestà Mellobaude, Conte delle guar-

die domestiche, Re dei Franchi, e uomo guerriero eforte. Nannieno allora considerando i mutabili casi dellaFortu na, persuade vasi che nel temporeggiare stesse ilconsiglio migliore; ma per lo contrario Mellobaude stra-scinato, come soleva*, da gran desiderio di combattere af-fi iggevasi che si tardasse P andar contro al nemico. Fi-nalmente levatosi dalla parte dei barbari un terribil fra-

gore, fu dato dai trombettieri il segno della battagliae si venne alle mani presso Argentana 1; e molti delPuna e delP altra parte cadevano sotto i colpi de* ver-rettoni e delle altre armi da gettare che furono sca-gliate. Ma nelPardor della pugna poi ì nostri soldati,avendo veduta P infinita moltitudine de9nemici, per evi-

tare il manifesto pericolo in cui si trovavano, si disper-sero come ciascuno potè per sentieri folti di alberi edangusti, dove fermaronsi con maggiore fiducia;e collosplendore delle armi che lampeggiavan da lungi spaven-tarono i barbari, persuasi che fossero soprarrivate iuaja to le soldatesche delP Imperatore. Laonde costoro voi

i  Horburg  rimpetto a Colmar.  Coti il Wagner ; ed aggiun-ge che alcuni per errore intendono invece che si tratti di que-st’ultima città.

LIBRO TRENTESIMOPRIMO 3g5

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An.<MPE .Vj tarona subitamente 1? spalle, e resistendo solo di quando377 m quando, quasi per non tralasciare un ultimo sforzo 9

tanti ne furono uccisi, che del gran numero eh1essierano, non ne scamparono, come si crede, più di cin-

quemila coperti dalle densità dei boschi: e fra i moltialtri arditi e forti guerrieri fu ucciso anche il re Pria-rio suscitatore di que9rovinosi combattimenti. Sollevatoquindi Grasiaoo dalla fiducia di un felice successo, men-tre movevasi verso i paesi orientali, piegò di chetq asinistra, e passò il Reno con buona speranza (se la

Fortuna assisteva all’impresa) di sterminare del tuttoquella nazione sleale ed avida di turbolenze. I Lenziesiavvisati di queste cose da continui corrieri, essendogià quasi intieramente distrutti per le sconfitte che i loroeserciti avevan toccate, e atterriti inoltre dall’impen-sato arrivo dell’imperatore, stettero io dubbio del par-tito «al qualedovessero appigliarsi: e non avendo alcun

intervallo di tempo in cui potessero o resistere, o fareo tentare almen qualche cosa, oppressi da un subitoimpeto, guadagnarono per disastrosi sentieri alcuni luo-ghi elevatile postisi sopra rupi scoscese tutto all’in-torno, con quante forze essi avevano, si diedero a di-fendere Je cose loro e le famiglie che avevan con sè. Al-

lora 4 nostri considerando la difficoltà della cosa eles-sero di ciascuna legione cinquecento soldati fra quelliche avessero maggiore esperienza di guerra, per darel’assalto a quella specie di muri. Costoro inanimiti dalfedere l’imperatore aggirarsi coraggiosamente nelle pri-me file, sforzavaosi di ascendere i monti, persuadendosiche dove loro venisse fatto di occupar quelle alture, i

nemici sarebbero una facilissima preda * e da potersiì

1 Tamquam venaticias praedas cioè: quasi preda di caccia j

39 6 AMMIANO MARGELUNO

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pigliare «euz* altro combattimento. La battaglia si c o An.delTE.V.

minciò quindi all’avvicinarsi del mezzo giorno, e già ^eran calate le tenebre della notte quand’essa tuttaviadurava. E fu combattuto con grande strage d’ambe leparti: molti de’nostri uccidevano, e molti rimanevanouccisi; e le armature della guardia imperiale splendentid’oro e di bei colori erano peste dai massi scagliatiin gran numero contro di essa. Per la qual cosa considerand o Graziano coi principali de’ suoi come sarebbedannoso ed inutile il combattere con intempestiva osti*

nazione contra le scoscese difficoltà di que’ monti, do-po essersi pronunziati molti e varii consigli, come do-veva naturalmente accadere in sì fatto frangente, deli-berarono di circondari senz’ altro combattimentoque’barbari, acciocché se il vantaggio del sito li difendeva,li opprimesse in vece la fame. Ma i Germani ostinatidi non volersi arrendere, come pratici del paese si vol-sero ad altre montagne più elevate che quelle sulle qualis’ erano prima stanziati: e l’ Imperatore a queste col suoesercito si avviò, cercando con uguale coraggio diprima i sentieri che Io conducessero alla sommità. Al-lora i Lenziesi vedendolo risoluto di guadagnare conogni perseveranza le vette su cui s’ eran ridotti, vol-

tisi a supplicare ottennero di potersi arrendere^ e dopoaver dato (com’ erasi loro imposto) il fiore de’ gio-vani per essere uniti coi nostri, fu loro cotìcesso di ri-tornare senz’altro danno ai proprii paesi. Ella è cosaincredibile a dirsi con quanto valore Graziano ajutatodal favore dell’ eterna divinità riportasse questa vittoriatanto opportuna e fruttuosa e da cui furon prostrate

espressione usata dal nostro Autore più volte a significare 1*agevolezza di conseguir qualche cosa.

LIBRO TRENTESMOPRIMO 3 9 7

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Aa.delFE.V. le Dazioni occidentali, deviando dal viaggio a coi erari577 incamminato. Giovinetto d’indole preclara, fecondo,

moderato, bellicoso e clemente s’ apparecchiava di emu-lare i Principi migliori quando la prima lanugine ap-

pena gli cominciava a serpeggiar sulle gote ; ma la suanaturale inclinazione ai piaceri sbrigliala dai cortigiani,lo volse ai vani divertimenti di Coofcodo, sebbene nondivenisse però mai sanguinario. Perocché siccome quelPrincipe si teneva più che uomo perchè soleva al co-spetto del popolo saettar molte fiere, e con varie armi

uccidere nell’ anfiteatro ben cento leoni entrati in uèmedesimo punto nell’ arena, senza bisogno di raddoppiare alcun colpo; cosi anche Grazian o uccidendo conmolti colpi di frecce in quegli steccati che ti chiamanvivai 1 alcune belve feroci, negligéntava frattanto comecose da nulla molte serie faccende^ E ciò accadeva intale età in cui se anche Marco Antonino si fossetro-

vato al governo dell’ Imperio, difficilmente avrebbe po-tuto rimediare ai lagrimevoli casi della Repubblica, senzatrovai de’ co|leghi simili a sè e dotati di prùdenti con-sigli. Avendo pertanto ordinate le cose nelle GaUie secondochè richiedeva la condizione dei tempi, e punit o quel traditore scutario il quale aveva manifestato ai

barbari che l’ imperatore viaggiava alla volta d’Uliria ,Graziano uscì di quel paese passando pel forte deno-minato Albero Felice a, e con non interrotto viaggioattraversando Lauriaco 3 s’affrettava di recare soccorsoalle oppresse province. In que’ medesimi giorni mentreFrigerido seriamente pensava a molti e varii partiti per

1  Fivaria, i parchi.9  Arbon  nella Svizzera.3  Lorck  sul Danubio.

3g8 AMMIANO MARCELLINO

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)à salate comune, e voleva celeremente fortificare loAn.deirE.V.stretto di Succi, affinché gli scorridori nemici e i soldati di leggiera am atu ra non si diffondessero come stra-ripati torrenti nelle province settentrionali, gli fu man-

dato per successore il Conte Mauro, uomo venale, fe-roce , e mobile ad ogni cosa, ed incerto: quel medesi-mo di cui già dicemmo < che mentre Giuliano ancor Ce-sare dubitava se dovesse o no mettersi la corona suicapo, trovandosi fra le sue guardie, si tolse dal collo lapropria collana e gliela presentò. Così m mezzo al su-

baglio delle cose fu revocato quel generale diligente eassennato; mentre per lo contrario la difficoltà degliaffari avrebbe richiesto che se costui si fosse anche tro-vato già da gran tempo in rip oso, si richiamasse alservizio dello Stato.

XI. Verso questi giorni Valente, abbandonata An An.deirE.

tiochia, dopo lungo viaggio arrivò a Costantinopoli. Quivi ^  

dimorò pochissimi giorni, nei quali fu travagliato dauna leggiera sedizione degli abitanti; poi avendo com-messa a Sebastiano (fatto venire poc*anzi dalP Italia, econdottiero di nota vigilanza) la cura dell1esercito pe-destre capitanato prima da Trajano, egli sì partì per Melanziada, villa imperiale, amicandosi sempre più la sol-

datesca cogli stipendii, coll’ abbondanza delle vettova-glie e con discorsi affabili e frequenti. Di quivi poi es-sendo venuto ad una stazione denominata Nice, seppedalla relazione di alcuni esploratori, che i Barbari ca-richi di ricca preda eran tornati dalle regioni Rodopeepresso Adrianopoli, dove avendo sentita la venuta del-l’imperatore e del numeroso suo esercito, sforzavansi

di raggiungere 1 loro compatrioti! stanziati con grandi

UBRO TRENTESIMOPRIMO S9 9

1 Lib. xx, e. {•

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Anidre.V. presidii nella vicinanza di Berea e di Nicopoli. Valente578 allora, come chiedeva l’occasione, elesse trecento Soldati

da ciascheduna legione, e ordinò cbe partisse con lorosubitamente Sebastiano, il quale prometteva di fare

qualcosa da cui la Repubblica avesse a sentire vantag-gio. Accelerando egli pèrtanto il ino viaggio arrivi pressoAdrianopoli, dove essendo veduto gli furon serrate leporte da’cittadini, i quali temettero che non fosse statopreso da’nemici, e che ora subornato da loro non ve-nisse a trarli in inganno, siccome in altri tempi era

avvenuto del Conte Atto. Péroecbè costui, preso daisoldati di Magnenzio, era stato cagione che si aprissero•per una frode le gole delle Alpi Giulie. Finalmente poiessendo conosciuto (comunque tardi) Sebastiano, edaccolto nella città, quivi si ristoraron con cibo e conriposo i soldati eh’ erano seco; poscia all’ alba del giornoappresso uscì fuori segretamente, e sul far della sera

scoperse vicino al fiume Ebro alcune bande di. preda-tori Goti: si nascose alcun poco dietro alcuni arginied alcuni boschetti, poi quando fu notte oscura, cau-tamente avanzandosi, Ji assalì nel disordine in cui* si tro-vavano, e li abbattè per modo che tilt ti rimasero uc-cisi, fuor pochi cui la velocità della fuga sottrasse alla

morte. La preda ritolta a costoro fu tanta che nè lacittà nè l’ampia estensione dei campi la potè contenere.Sbigottito perciò Fritigerno e temendo che quel capi-tano di cui aveva sentito spesso loda rè l’ operosità, nondistruggesse le varie bande de’suoi cbe vagavan disperseed intente solo a far preda, tutte le richiamò pressoCabile, e immantinente partissi, aftìchè uè la fame, nè

le occulte insidie gli dessero noja restando in quelleaperte regioni. Mcntrechè poi queste cose facevansi nelleTracie, Graziano avendo informato lo Zio con quale

4oo AMMIANO MARCELLINO

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LIBRO TRENTESIMOPRIMO 4oi1 .

industria aveva superati gli Alamanni, si mandò innanzi An.ddrE.Y.per terra i bagagli e i carriaggi; poi, valicato il Danubio co1più spediti soldati che avesse, passò per Bononia 1 ed entrò in Sirmio. Quivi dimorò quattro giorni,

poi discese pel fiume già mentovato ad un luogo detto iCampi di Marte, ^ebbene fosse ammalato di febbre in-termittente: e in questo viaggio essendo improvvisa-mente assalito dagli Alani perdette alcuni pochi de’suoi.

XIL Àncora in quei medesimi giorni Valente sospintoda doppia cagione, cioè dall’ avere saputo che i Leu

ziesi erano stati vinti, e dalle notizie che gli scrivevaSebastiano esagerando per altro le pròprie imprese,q o s s c   le insegne da Melanziada desideroso di ugua*gliare con qualche egregia azione quel giovinetto fi-gliuolo di suo fratello, le cui virtù lo cuocevano. Everamente avea con sè varie milizie in numero non di-spregevoli, e valorose, dacché loro aveva uniti anche

parccchj veterani ? fra i quali trovavansi molti ragguar-devoli personaggi ed anche Tra j a no chiamato di nuovoalla milizia 4 e stato già poco prima Maestro delle ar-mi. E poiché con una diligente esplorazione si vennea sapere che i nemici avevano deliberato di chiuderecon forti presidii le strade per le quali si facevan ve-

nire le vettovaglie occorrenti all’esercito, si pensò d’impedirli dal compiere questo disegno, e si mandaronoa cotal fine subitamente alcuni fanti saettieri e unamano di cavalleria. Tre giorni dopo i Barbari che pro-cedevano con lento passo perchè stavano in sospettoche alcuni de’noàtri non isbucassero da qualche parte

i  Bonmtinster.a Leggo non  proci/ictus ma recincius col Valois e col Wa-gner , poiché Valente lo aveva licenziato , come si vede nelprincipio del capitolo precedente.

MACELLINO, 11 36

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An.dMrE.V. sópra di lo ro , trovandosi a quindici miglia dalla città378 si volsero alla stazione di Ntce: e l’ imperatore, male

informatodagli esploratori (ai quali, ingannandosi nonsi sa come, tutta quella moltitudine parve composta

non più che di diecimila uomini), con impeto scon-siderato affretta vasi di venire alle mani con loro. Pro -cedendo pertanto cor: quadrata ordinanza pervenne pres-so un suburbano di Adrianopoli, e fortificandosi conpalizzate e con fosse, quivi stette aspettando impaziente*niente Graziano, e quivi capitò ben presto Ricomere

Conte delle guardie domestiche, spedito da Grazianomedesimo con lettere che lo avvisavano del suo pros-simo arrivo. In queste lettere il giovine imperatore pre-ga vaio a voler soprastare alcun poco, tanto ch’egli ar-rivasse a divider con lui i pericoli di quella impresa,ed a non esporsi egli solo sconsideratamente a troppograve cimento. E Valente, chiamati a sè parecchj

de’ suoi officiali , consigliossi con loro di quello chefar si dovesse. Quivi alcuni,* dei quali era capo Seba-stiano, instavano che si venisse subitamente alle provecol nemico; ma un certo Vittore di nazione Sarmato *Maestro de’ cavalli e uomo ponderato e prudente, as-secondato da molti, proponeva che si aspettasse il col*

lega dell'imperio; acciocché ricevendo con esso il su*»sidio dell’ esercito gallicano potessero più agevolmenteopprimere quell’ infiammata superbia dei barbari. Vin»sero però alla fine la funesta ostinazione dell’impera-tore e i consigli di alcuni adulatori di corte, i qualivenivano persuadendolo di affrettarsi alla battaglia perimpedire che Graziano partecipasse d’ una vittoria che

ad essi pareva sicura. Mentre pertanto si apparecchiavan le cose necessarie alla battaglia, un Presbitero 1

4oa AMMIANO MARCELLINO

i Dal Greco  nfka&vt, vecchio. Questo nome coa cui signi

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LIBRO TRENTESMOPRIMO 4o3(concessi dicono) del rito cristiano spedito con altreAn.(fcB1E.V.persone di minor grado da Fritigerno, venne agli accampamenti dell’ Im pera to ri e ricevuto benignamentepresentò lettere del suo principe il quale chiedeva che

a sé ed a’ suoi, esulanti dai patrii lari per la violenzadi alcune crudeli nazioni che ne li avevao cacciati, siconcedessero le regioni della Tracia per abitarvi, collegregge e colle biade che vi si trovassero; sotto pro-messa ( dove questo ottenessero ) di una perpetua pace.Dopo di ciò quel medesimo cristiano come conscio e

fedele esecutore dei segreti di Fritigerno, offerse in di-sparte all1Imperatore altre lettere di quello stesso Re,nelle quali costui, astuto ed esperto nell’ arte di trarrealtrui in inganno, fingendo di voler essere quanto pri-ma amico e socio di Valente, àvvisavalo che gli sarebbeimpossibile ammansar la ferocia delle sue genti o ri-durle a condizioni favorevoli all’imperio romano, s’egli

non accostavasi loro coll’esercito in arme, e col ter-rore del nome imperiale non li distoglieva dal perni-cioso desiderio che avevano di venire alle mani. Code-sti legati furono giudicati sospetti, e però si partironòsenza aver nulla ottenuto. Sorgendo poscia l’aurora delnono giorno di agosto furono mosse sollecitamente

le insegne, lasciando i carriaggi e i bagagli presso lemura di Adrianopoli, sotto buona guardia di una partedelle legioni : perocché il tesoro e le insegne del gradoimperiale stavano col Prefetto e coi C onsiglieri di Stato 1dentro le mure di quella città. Dopo avere pertantopassato uno spazio di ben otto miglia * di via assai dif

ficavansi o d i   volta i sacerdoti non è più in uso, ma ci re-stano ancora  presbiterio  e  presbiterato.i ConsistorianLa II testo dice soltanto octavo. Remigio Fiorentino tradusse

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Au.dé I PE.V.ficoltosa, e spiegandosi già gli ardori del mezzo giorno,*1* si videro finalmente i carri dei barbari disposti, sic-

come fu riferit o dai nostri esploratori, per modo darappresentare un cerchio. E mandando quella barba-

ra plebe, com’ è suo costume, un grido tristo e fe-roce, i condottieri romani spiegarono la loro ordinanza :misero nella prima fronte il destro corno della cavaUJeria, e dietrogli la maggior parte dei fanti. Il cornosinistro poi della cavalleria, essendo ancora parecchjdispersi lungo la strada, affreltavasi non senza difficol-

tà di raggiungere i suoi compagifi. E mentre che an-che costoro, arrivati, ordinavansi senza trovare chi aciò si opponesse, i Barbari furono atterriti dall’orrendofragore delle armi dei nostri e dal minaccioso percuo-tere, dello scudo} e perchè una parte di loro sotto lascorta di Alateo e di Safrace, comunque chiamati, nonerano per anco giunti, spedirono legati a domandare la

pace. L’Imperatore spregiando la bassa condizione diquesti messi, domandò che gli fossero spediti alcuni deipersonaggi più ragguardevoli, acciocché le condizionidella pace fossero stabili: ed eglino a bello studio ti-ravano in lungo la cosa, sperando intanto che da unaparte soprarriverebbe loro la cavalleria che slavan di

giorno in giorno attendendo } e che dall’ altra i nostri sol-dati, già rifiniti dall’ardore della stagione, sarebbono in-tieramente prostrati dai molti fuochi eh’essi medesimia tal uopo avevano accesi per grande spazio all’intorno,ardendo legne e quant’ altro poteva dar nutrimento allefiamme. A questo male un altro se ne aggiungeva assairovinoso, una grande inedia che abbatteva e gli uo

 tottavo giorno j ma non v’ba dubbio che dee intendersi octavo lapide vel milliario.  Cosi tutti gl* interpreti.

4o4 AMMIANO MARCELLINO

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À«iAWE.V*quello eh9essa incontrava nella velocità del suo corso.37* XIII. Da ogni parte adunque si venne alle spade e alle

frecce, e Bellona diede fiato alle trombe luttuose di guerra,accendendosi più immanemente del consueto a danno dei

Romani. I nostri che già cedevano, furono dalle gridadei loro capi fermati; ma la battaglia, crescendo a guisa difiamma, atterriva gli animi de9soldati, alcuni dei qualifurono trafitti dai giavellotti e dalle frecce scagliate con-tro di loro. Quindi i due eserciti urtandosi Pun controraltro come rostri di navi, movevansi a guisa di onde.

U sinistro corno dei nostri si spinse fin presso .ai carri,e sarebbe proceduto anche più innanzi se avesse avutoqualche soccors o ; ma abbandonato dal restante dellacavalleria, e incalzato da gran moltitudine di.nemici fuoppresso e prostrato come dalla rovina di un gran ba-luardo che fosse precipiato sovr’esso. Quindi i pedonitrovaronsi allora scoperti, e tanto addensati fra loro,

che a gran fatica potevano sguainare le spade o mo-vere le braccia. E già la polvere sollevata era tanta datoglier P aspetto del cielo che rintronava di orrendi cla-mori. Laonde le frecce che da tutte parti recavano mor-te non cadevano mai senza colpire e far danno, nonessendo possibile nè prevederle nè scansarle. Tuttavolta

mentrechè i Barbari, allargandosi in immense schiere,calpestavano i nostri soldati e i cavalli; e i Romani, peressere troppo stretti nelle loro ordinanze, non potevanonè spingersi innanzi nè ritirarsi, questi ultimi, disprez-zando ogni estremo pericolo, posero mano alle spade eferivano chiunque loro opponevasi ye da reciproci colpidi scuri furono pesti gli elmi e le loriche. Si sarebbe

potuto vedere in quella mischia un barbaro, superbodella sua forza, digrignare i denti stridendo, e comun-que fosse o ffgherettato, o senza un braccio, o ferito in

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LIBRO TRENTESIMOPRIMO 407

u q fianco, e già .presso a morire, girar nondimeno mi AimWPILV. nacciosamente i truci occhi. Cod mutua rovina pertanto 378de’combattenti, i campi furon coperti dai corpi degliuccisi; e i gemiti de’ morenti e di coloro che giacevan

colpiti da protonde ferite mettevano un gran terrore.In questo tumulto si grande, e di sì confusa fazione,i *fanti spossati dalla fatica e dai pericoli, non avendopiù nè forze nè consiglio, rotta la maggior parte delleaste dall’assiduo combattere, e limitati perciò alle spa-de, gettavansi per disperati nelle dense schiere dei ne-

mici , dacché guardandosi intorno vedevano che loro eratolto ogni scampo. Il terreno bagnato da rivi di san-gue faceva sdrucciolare il piè dei soldati, i quali sforzavansi per quanto essi potevano di non morire inulti 5e con tanto impeto si scagliavano sugli oppressori, chemolti moriron trafitti dalle proprie loro armi. Final-mente ogni cosa appariva sotto un atro aspetto di san-

gue^ ovunque si volgesse lo sguardo vedevansi alti mucchj di uccisi; e i cadaveri si calcavano senza rispettodi sorta. Il sole anch’ esso, tramutandosi nella sublime•ua carriera dal Leone al domicilio della celeste Vergine ,abbruciava i Romani già affievoliti dalla fame, consu-mati dalla sete e aggravati dal'peso delle armi. All’ul-

timo le schiere dei nostri cedendo al peso dei Barbaripigliarono il solo rimedio che aver potessero in quel-l’estrema sciagura, sbandandosi alla rinfusa e fuggendociascuno dove potè. E mentre tutti cosi sperperati fuggono per ignoti sentieri, l’Imperatore caduto in un cru-dele spavento, saltando da mucchio a mucchio di morii,si ritrasse dov’ erano i Lanceri e i Mattiarii, i quali fin-

ché l’ esercito tenne fronte alla moltitudine de’ nemici,erano stati sempre a un medesimo posto inconcussi. Ciòvedendo, Trajaoo esclamò che ogni speranza era tolta

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An.<MPE.V. seV Imperatore, abbandonato dalle sue guardie, non fossedifeso da qualcheduno che venisse in soccorso di lui.A tali parole il Conte Vittore s’affrettò di raccogliereprestamente in difesa dell’ Imperatore i Datavi eh’eran o 

stati posti non guari lontano ; ma non* trovando nessuno, si ritirò. Di questa maniera poi si sottrassero alpericolo anche Ricomere e Saturnino. I Barbari adun-que spirando furore dagli' occhi inseguivano i nostri,i quali cessando oìramai il calor delle vene, erano inettia difendersi: e alcuni di loro cadevano senza vedere

da chi fossero percossi; altri erano prostrali dal solopeso di chi gl’ incalzava ; altri erano trucidati dailoro proprii compagni : perocché né cedevasi a chiresisteva, nè perdonavasi a chi cedeva. Oltre di ciòmolti che giacevano semivivi impedivan le strade lamentando pel dolore delle proprie ferite ; e insiemecon costoro anche molte cataste di cavalli uccisi in-

gombravano le vie. La notte sopraggiungendo senza veru-no splendore di luna venne a terminar questi danni chenon potranno esser mai ripa rati, e riuscirono così graviall’ imperio romano. E nella prima oscurila delle tenebre,l’Inipcratore (così almeno si congettura, dacché nessunoaffe rmò di averlo veduto o di essersi allora trovato vi

cioo a lu i) , mortalmente ferito da una saetta, caddein mezzo a’ semplici soldati; e non guari dopo mandòl’ultimo fiato, nè fu rinvenuto mai più. Perocché es-sendo rimasti lungamente in que’ luoghi alcuni pochinemici per i spoglia re i m orti, nessuno de’ fuggitivi o diquelli che abitavauo colà iutorno fu ardito di accostarvisi mai. Così sappiamo che in una somigliante batta-

glia coi barbari anche Cesare Decio, caduto iusìem colcavallo di cui non aveva potuto trattenere la foga cgittato iu una palude, non potè mai nè emergere nè

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LIBRO TRENTESIMOPR1MO 4og

esser trovato. Altri dicono che Valente non esalò subito An.delPE.V'.l’ anima, ma che trasportato da alcuni Candidati e dapochi spadopi ad una casa campestre che aveva un se-condo piano assai ben fortificato, mentre quivi era da

male esperte mani assistito, fu circondato dai nemici,i quali poi per non sapere chi egli fosse lo sottrassero alvituperio della schiavitù. Perocché sforzandosi costorodi abbattere le porte eh’ erano sbarrate, e quelli cheavevano seguitato P Imperatore saettando frattanto so-pra di loro dal luogo più elevato di quella casa, i

Barbari non volendo per indugiar quivi perdere il tem-po di far bottino, ragunarono fasci di paglia e di leg oe, e postovi il fuoco abbruciarono Tabi turo con quantiv9erano dentro. Qualcuno poi de9Candidati saltato giùda una finestra e preso dai barbari loro diede notiziadi Valente, e così gravemente li afflisse, perchè si vi-dero defraudati della gloria che avrebbero ottenuta pi-gliando vivo il capo delP Imperio romano. E diconoche questo medesimo giovine avendo potuto in pro-gresso di tempo ritornare occultamente ai nostri rac-contò poi tutte codeste cose. Per ugual modo sappiamoche uno dei Sciptoni dopo avere ricuperate le Spagne,essendo incendiata dai nemici la torre in cui erasi ri-

fugiato, ivi finì i. Questo almeno è certo che nè a Sci-pione nè a Valente toccò P estremo onore della sepol-tura. In questa uccisione di tanti uomini illustri, fu no-tabile la roorté di Trajano e di Sebastiano: con loromorirono trentacinque fra Tribupi a e Comandanti 5 e

i Vedi T. Livio lib. xxv, c. 36.

a Tribuni Vaccuttes. Il Wagoer crede s* intendano personeche avevano il titolo e gli onori di Tribuni, ma che non erauperò preposti a nessuna legione, nè ad uu corpo qualunquedi milizie.

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Àn.drirE.V.Valeriano ed Equizio Funo Primo Scudiero, Patirò^ Custode del Palazzo. Insieme con costoro anche il Tri-

buno dei Promossi *, Poteozio, cadde nel*primo fioredelP età ; giovine caro a tutti i buoni , e commendevole

si pei meriti di suo padre Ursicioo già Maestro dellearm i, e si pe’ suoi proprii. Insomma è noto che ap-pena la terza parte dell7esercito potè salvarsi. Nè silegge negli annali verun’ altra battaglia, eccetto quelladi Canne, io cui si facesse tapta uccisione, sebbenetalvolta i R omani, avendo contrario il vento della For-

tuna , e ingannati dalle fallacie guerresche, abbiano perqualche tempo ceduto all’ avversità ; e sebbene le favo(lose nenie dei Greci compiangano molti certami.

XIV. Fiqi adunque di cotal morte Y Imperatore Va-lente quando era vicino all’ anno cinquantesimo , dopoavere governalo per poco meno cbe quattordici. Dilui diremo le buone e le cattive qualità, peraltro a>molti

già nòte. Fu pertanto fedele e durabile amico, vendicator diligente de’ brogli, severo conservatore della di-sciplina militare e civile, vigilantissimo sempre e sollecitoche nessuno sotto pretesto d’essergli parente s’elevassedi troppo, tardo nel conferire del pari che nel toglierele dignità, giustissimo amministratore delle province,

le quali tutte custodiva intatte come la propria suacasa ; con singoiar diligenza attendeva a mitigar la gra-vezza dei tributi, non permettendo che s’aumentasserom ai, nè molestando mai niuno per costringerlo al pa-gamento; ai magistrati che avessero o rubalo o malversato il pubblico danaro era nemico severo e vee-mente; nè rispetto a ciò ricorda 1’ Oriente alcun Prin-

cipe sotto del quale si trovasse meglio governato. 01

4 IO AMMIANO MARCELLINO

I Tribunus Prvmotorum.

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tre dì cbe era liberale, ma non senza misura, e sebbene An.deirE.Vdi questa sua virtù v’abbiano molti esempj basterà rife» 378rime qui uno solo. Siccome nelle Corti vi hanno sem-pre alcuni avidi delle cose altrui, così se qualcuno glidomandava o beni rimasti vacanti o qualche altra cosa,egli, osservando sempre la giustizia, dava facoltà di ri-spondere a chi poteva avervi interesse ^ poi ne facevadono a chi ne lo aveva richiesto, ma gli nniva tre etalvolta anche quattro altri a partecipare con lui dellafortuna ottenuta, affinchè questa genìa inquieta si com-

portasse più ponderatamente, vedendo cbe i beni aiquali aspiravano con tanta avidità poteyan essere pertal modo diminuiti. Rispetto agli edifrai chi1egli o ri-storò o costrusse dai fondamenti nelle diverse città ecastella, io tacerò per non riuscir tròppo lungo , la-sciando che in questa parte siano testimonio sufficiente

le cose di per 6è stesse. Q(teste doti, per quanto a mepare, son, degne di essere imitate dà tutti i buoni a oratocchiamone i vizii. Fu intemperante nel desiderio digrandi ricchezze, e intollerante delle fatiche; affettava,più che non amasse davvero, una grande austerità; pen-deva aozi che no alla crudeltà ; fu d’ ingegno quasi cberozzo, e non erudito negli studi o liberati o di guerra^

volentieri cercava di vantaggiarsi a mal grado che neavessero a gemere gli altri ; ed allora principalmenterendevasi riprovevole quando. traeva ordinaarii delitti adessere considerati come fatti a dispregio o ad offesadella dignità imperiale, per incrudelire' nel sangue e neibeni dei ricchi. Questo pure mal si poteva in lui tol-

lerane , che mentre .mostrava di commettere alle leggitutte le liti e le controversie, e di affidate le cause agiudici da lui destinati ed eletti, non tollerava poi chesi facesse nessuna cosa contro la sua volontà. Era in

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An.ddre v.oltre di modi grossolani, e iracondo, e senza distinzio378 ne del vero o del falso dava facilissimo ascolto agli ac-

cusatori \ vizio da temersi assaissimo anche nelle coseprivate e giornaliere. Del resto poi egli era lento edinerte. Fu di color nero ; avea chiusa la pupilla di un oc-chio , ma in modo peraltro che da lungi non appariva;del corpo fu ben formato } di statura nè alta nè bassa ;colle gambe arcuate ,e il ventre alcun poco sporgente.Ma tanto ci basti aver detto di lui ; e che queste cosesian vere ne fa testimonio tutta la nostra età. Non

vuoisi passare però sotto sileusio, che quando in oc-casione del tripode mosso da Patricio e da llario,come dicemmo 1, sentì quei tre versi fatidici, dei qualiquesto era l1ultimo , Ex  mYioiai Miftarrat cttXa xatopévoie xàp( nelle pianure di Mimanto agli uomini di cuore accesoal male), da principio, come uomo eh9egli era rozzo edincolto, li tenne a vile, m i poi col tempo caduto pe9gravi disastri in un’abbietta timidità, per la memoria dìquel vaticinio aveva inorridito al .nome dell9Asia , dovesentiva dire dai dotti che Omero e Tullio hanno scrittotrovarsi un monte Mimanto sopra il castello Eritreo.Dopo la sua morte e la partenza dei nemici è famache presso al luogo in cui si crede eh1ei sia caduto ,

si trovasse un monumento di pietra con una lapide incaratteri greci, indicante ch’ivi era sepolto un nobileantico nominato Mimanto.

XV. Dopo quella sanguinosa battaglia poi coprendoìm notte già la terra di tenebre, coloro che sopravvis-sero fuggivano chi a destra, ohi a sinistra seconducbène li portava il timore, cercando i proprii congiunti:e non vedendo più nulla fuori di sè, pareva a tutti di

4ia AMMIANO MARCELLINO

1 Lib. xxix, c. 1.

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LIBRO TRENTESMOPRIMO 4*3avere la spada sospesa sul capo. Udivansi intanto, coÀn.deH1E.V.muuqtte da lungi, i miserabili lamenti degli abbando*nati, i singulti di chi moriva ed il doloroso gemeredei feriti. Quando poi cominciò la luce del giorno, i

vincitori, a guisa di bestie rendute più feroci dall’a-spetto del sangue, sospinti da vana lusinga, si volseroa piene schiere contro Àdrianopoli, deliberati di esporsia qual si fosse pericolo per rovinarla, giacché da al-cuni traditori e fuggiaschi avevan saputo che i personaggi più ragguardevoli, e le insegne imperiali, e i te-

sori di Valente si trovavano dentro quella forte città.Però non lasciando cbe per indugio s’intiepidisse l’ar-dore degli animi, nella quarta ora del giorno circondaron le mura, e cominciossi acerbamente a com-battere, perché da un lato gli assalitori gittavansi adogni pericolo per naturale ferocia, e gli assaliti si di-fendevano con tutte le loro forze. Un gran numero

di soldati e di bagaglioni insiem colle loro bestie, nonavendo potuto entrare nella citta, erasi appostato pressoalle mure ed alle case a quelle contigue; e di quiviper quanto lo comportava la poca elevatezza del sitocombatteva assai fortemente, trionfando sino alla nonaora del giorno della rabbia dei nemici; allora d’ im-

provviso trecento de’ nostri fanti, tra quelli che si tro-vavano presso alle mura, uniti insieme, passarono dallaparte dei barbari, i quali avendoli avidamente accolti,subito poi (non sappiamo a qual fine) li trucidarono.Da quel punto si è osservato che nessuno de’ nostrinon pensò mai più a somigliante diserzione per quantole cose nostre paressero disperate. Nel mezzo dunque

a sì gran piena di mali, una pioggia improvvida accom-pagnata dal tuono si dischiuse da atre nubi e dispersele schiere dei barbari che ci fremevano intorno; e ri

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4 i4 AMMIANO MARCELLINO

An.deH*E.V. tornati al vallo composto dalla rotonda ordinanza dei3,8 carri, pieni d’ ana immensa superbia comandavano ai

nostri con lettere minacciose e per mezzo di un legato 1« .. Ma non osando poi quel legato d’ entrare

nella città, gli scritti furono portati e letti da non soqual cristiano ; ed essendo dai nostri tenuti in quelconto cbe ben meritavano, si consumò il restante delgiorno e la notte nell7apparecchiar le difese. Si chiu-sero dunque al di dentro con grandi macigni le por-te, le mura fortificaronsi dov1esse erano deboli, e do-

vunque era un luogo opportuno si collocarono macchineda scagliar frecce e sassi, e si raccolse anche gran copiad’ acqua, perchè nel dì antecedente alcuni dei nostrierano stati afflitti dalla sete per modo che quasi n’ eranomorti. I Goti dalla loro parte considerando come sonodifficili e dubbiosi gli eventi della guerra, vedendo ipiù gagliardi fra i loro soldati essere o prostrati o fé*»

riti, e che per tal modo a poco a poco le forze lorovenivano a menomarsi, si volsero ad un astuto consìglio,il quale fu poi scoperto per opera propria della Giu-stizia. Indussero alcuni della guardia imperiale che neldi antecedente, abbandonando le insegne, eran passaliappo loro, a fingere di voler ritornare, fuggendo, tra

noi; poi quando fossero introdotti nelle mura, di na-scosto mettessero fuoco in qualche parte della città ;affinchè quello fosse per loro quasi un segnale occul-tamente innalzato: giacché mentre la moltitudine deinostri si volgerebbe ad estinguer l’ inceudio, essi ir-romperebbero nella città che non sarebbe difesa. I tra-ditori pertanto se ne vennero come avevano delibera

1 Nel testo si legge : legatum. . .  aetatem,  fide retinendae  salute accepta.

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LIBRO TRENTESMOP RIMO 4 i5 

to, e giunti vicino alle fosse distesero le mani verso deiAn.delP£.V.nostri e supplicando pregavano di essere accolti comeRomani. E furono accolti, poiché non v’ era sospettoalcUno : ma interrogati poi intorno alle cose dei ne

mici diedero diverse risposte. Allora furono sottopostiai tormenti, e dopo aver confessato il fine a cui eranvenuti fu a tutti troncata la testa. Essendosi dunqueapparecchiato tutto quetlo che bisognava al combatte»re, sulla terza vigilia della notte , i Barbari, depostoogni terrore delle sofferte ferite, vennero in gran nu-

mero a far impelo contro i chiusi aditi della città 9sospingendoli con incredibile ostinazione i loro capi. Mai Provinciali e le petpone della Corte unitesi coi sol-dati concorsero a ributtarli, scagliando arme d’ ógnimaniera ; le quali in una moltitudine sì numerosa e sìsconsideratamente sospinta noo potevano mai caderesenza far danno. Fu per altro osservato dai nostri che

i Barbari valevansi contro di noi di quelle armi me-desime colle quali eran respinti : e però fu ordinato cheprima di scagliare le frecce si tagliassero le corde dacui il ferro ed il legno eran legati fra loro: e questefrecce volendo conservavano tutta la loro forza, nèpunto perdevano del proprio vigore quando si pianta

van ne9corpi, ma se cadevano indarno, rompevansLV’ ebbe poi anche un caso inaspettato che fu di gravemomento in quella circostanza. Uno scorpione ( sortadi' macchina volgarmente denomiuata onagro ) collocatocontro una densa moltitudine di nemici, scagliò unapietra sì grande che sebbene andasse a battere inutil-mente sul suolo, pur mise tanta paura ne’ci rcostanti,

che, istupiditi, cominciarono a ritirarsi. Le trombe fattesuonare dai loro capi li richiamarono a rinnovar labattaglia, ma i Romani continuarono ad essere supc

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An.ddPK.V. riori , non cadendo io damo nè frecce nè quanto altrascagliavano. Perocché precedevano alcune schiere deicapi accesi dui desiderio di rapir le ricchezze con malearti accumulate dall’ imperatore Valente ; c gli altri

tenevano loro dietro, ambiziosi di mettersi negli stessipericoli. Gli uni dunque o schiacciati da gravi massi,o trafitti dalle frecce nel petto straccinnvansi mezzoestinti : altri portando scale, e apparecchiandosi di sa-lir sulle mura da tutte le parti, rimanevano oppressisotto le pietre, le colonne e i cilindri che loro si ro-

vinavano addosso. Tultavolta P orribile aspetto del san-gue non distolse nessuno dal far prove di grande va-lore fino ad ora ben tarda del giorno. Così senza posao misura fu combattuto con gran coraggio prò e con-tro le mura di quella città. E poiché si contendevaoramai senza verno ordine, ma a modo di scorrerieed alla spezzata, indizio di estrema disperazione, per-

ciò i Barbari, declinando già il giorno verso la sera si ri-trassero tutti afflitti alle loro tc ode, rimproverandosiP un P altro la sconsiderata demenza per cui#non avevan fuggiti i danni di un assedio, come Fritigerno liaveva c onsiglieri.

XVI Per tutta la notte, che non fu lunga per es-

sere la stagione estiva, attesero a medicar le ferite^ equando risorse la luce erano in varie opinioni divisisiccome dubbj del luogo a cui dovessero incamminarsi.Ma dopo molte controversie deliberarono di occupare Pe-rinto, e poi tutti i luoghi dove fossero accumulate ric-chezze; dei quali davano loro notizia alcuni nostri di-sertori che ben conoscevano non solo le città, ma ben

anche P interno di tutte le case. Seguitando essi dunquecotal sentenza che loro parve utilissima, s’avanzaronoa lente giornate saccheggiando e incendiando ogni cosa

4i6 AMMIANO MARGELUNO

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senza trovare chi loro si opponesse. Ma dopo la costoro An.delPEhV»partenza i nostri eh1erano chiusi in Àdrianopoli avendosaputo da credibili esploratori che tulli i luoghi all’in-torno erano vóli di nemici, uscirono sulla mezza not-

te , ed evitando le vie maestre, per luoghi boscosi eappartati se ne vennero celeremente in parte a Filippopoli e di quivi p oi a Sardica, e in parte nella Mace-donia senza perdere punto delle ricchezze che avevanseco, sperando di poter t rovare in qualcuno di questiluòghi l’imperatore Valente: perocché essi ignoravano

ch’ei fosse morto in mezzo al furore della battaglia,od almeno che si fosse ricoverato in quel tugurionel quale si crede che morisse poi consumato dalfaoco. Ma i Goti mischiati cogli Unni e cogli Alani,genti bellicose e forti e indurate all’ avversa fortuna,e guadagnate da Fritigerno con mirabile accorgimentoe con lusinghe di molti premii, avendo piantato il loro

campo presso Per in lo , non osavano per vero nò ap-pressarsi nè venire all’assalto di quella città ; bensì de-vastarono fino all’estrema miseria le terre ampiamentedistese all’intorno, ammazzando o facendo prigioni gliabitanti. Di quivi, poi, anelando all’acquisto di grandiricchezze, si mossero a gran fretta contro Costantino-

poli, conservando però sempre nel loro viaggio l’or-dinanza quadrata per evitare i pericoli di qualche ag-guato, e risoluti di far ogni loro prova coutro quell’illustre città. Ma quando poi già pieni di grandeJ>aldanza quasi ne battevan le porte, ue li respinse di que-sto modo il volere del Cielo. Una banda di Saraceni( intorno all’ origine ed ai costumi di costoro noi abbia-

mo riferite più cose in diversi luoghi ) atta alle scorreriepiuttosto che alle regolari battaglie, e chiamata da pocotempo colà, proruppe coraggiosamente fuor delle mu

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7/23/2019 Ammiano Marcellino - Le Storie Vol. 2

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An.ddFE.V. ra per venire alle mani coi barbari tostochè li ebberoveduti; e dopo un lungo combattimento sostenuto congrande ostinazione, si ritrassero senza che 1’una parte’o l’altra potesse vantarsi della vittoria. ‘Se non che poiquegli orientali rimasero superiori per un caso nuovoe non mai veduto. Uno di loro con jun^hi capegli, nu-do fino alla vergogna, mettendo grido cupo e lu-gubre, col coltello sguainato, si scagliò io mezzo allaschiera dei G oti, feri un nemico nella gola, poi acco-stata la bocca alla ferita;, ne succhiò il sangue. I Bar-

bari atterriti da questo mostruoso spettacolo, non osa*rono più nelle loro imprese di procedere coll’audaciadi prima, ma s’avanzavano dubbi tosi Quindi abbattutoil loro ardire, considerando essi l’immenso.circuito dellemura e delle isole, la difficoltà di accostarsi a’begliedifizii di quella città , il gran numero degli abitanti, elo stretto che disgiunge il Ponto dall’Egeo, atterraronoquanti apparecchi di guerra avevano fatti, e dopo averricevuti maggiori dauni che non ne avessero recati anoi, si partirono diffondendosi per le province setten-trionali; e quelle a loro grado discorsero fino alle ra*dici delle Alpi Giulie, anticamente denominate Venete.Allora s’ illustrò la salutare e pronta operosità di Giulio,

Maestro delle armi al di là del Tauro. Perocché aven-do saputi i casi di Tracia, spedì segrete lettere a co-loro ( ed eran tutti Romani, ciò che a nostri tempi avviepedi rado ) che governavano i Goti già ricevuti nell’ Im-perio e dispersi in varie città e castella, ordinando chein un medesimo giorno li uccidessero tu tti , raccoglien-doli a cotal fine nei sobborghi sotto pretesto di voler loropagare lo stipendio 'promesso. Questo prudente consi-glio eseguito senza strepito nè indugio sottrasse a grandipericoli le province ‘orientali.

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Queste cose sono venuto narrando secondo le mie An elPRV.forze e per quanto poteva un uomo vissuto fra Tarmi 378e greco di nazione, cominciando dal principato di Nerva sino alla morte di Valente; e facendo professione dì

verità non ho mai osato (così mi pare) corromperla dimia saputa nè col silenzio nè colla bugia. Scrivano ilresto uomini più abili, fiorenti di età e di dottrina: iquali pigliando (se vogliono ) cotale incarico, esercitin o per mio consiglio la lingua a più nobile stile.

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FINE DEL LIBRO XXXI E DELI.’ OPERA