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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 14, n. 2 (138) - Febbraio 2017

Anno 14, n. 2 (138) - Febbraio 2017 Curia e pastorale per ... · S. Egidio. Per non cedere al sonno e con esso al freddo che uccide, Giovanni Zicarelli p. 26 - Nuovi lettori istituiti

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Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pensiero degli artefici e non vincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione.Queste, insieme alla proprietà, si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a propria insindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni.

Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se non pubblicati, non si restituiscono.

E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita autorizzazione del direttore.

Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

Mihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Quadrifoglio S.r.l.Albano Laziale (RM)

RedazioneCorso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaborato inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, p. Edoardo Scognamiglio,don Antonio Galati, don Silvestro Mazzer, don AndreaPacchiarotti, don Carlo Fatuzzo, Paola Springhetti,Massimiliano Postorino, Giovanni Zicarelli, M. P. Turiello,Antonio Bennato, Paola Cascioli, Federica Colaiacomo,Antonella Lafortezza, Mara Della Vecchia, Luigi Musacchio.

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesivelletrisegni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:

Le Bon Samaritain

Aime-Morot, 1880, Parigi.

- Un conto è parlare della croce, un altro è parlare dalla croce,

+ Vincenzo Apicella p. 3

- Il Natale e Papa Francesco,Stanislao Fioramonti p. 4

- Alzati, và e non temere. Vocazioni e Santità: io sono una missione,

Papa Francesco p. 6- Lettera del Papa ai giovani in occasione della presentazione del Documento Preparatorio della XXVa Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi p. 7- La Vita consacrata come luogo di frontiera e le attese di Papa Francesco,

Edoardo Scognamiglio p. 8- 39a Giornata per la Vita - 5 febbraio 2017. Donne e Uomini per la Vita nel solco di Santa Teresa di Calcutta,Consiglio episcopale Permanente C.E.I. p. 10- Messaggio del Santo Padre Francesco per la XXVa Giornata Mondiale del Malato p. 11

- I cattolici e l’odio sul web,Paola Springhetti p. 12

- Femminicidio: le radici psicologiche profonde,M. P. Turiello p. 13

- Solo l’amore uccide la morte,Massimiliano Postorino p. 14

- Dal forte, la dolcezza,Antonio Bennato p. 15

- Lotta alla povertà: Sostegno all’Inclusione Attiva (SIA), Paola Cascioli p. 16

- Un viaggio missionario in Cina, negli anni 1743 - 49 / 5, Tonino Parmeggiani p. 18

- I miracoli eucaristici,Claudio Capretti p. 20

- Per una liturgia ospitale: una riflessione di Goffredo Boselli,

don Andrea Pacchiarotti p. 21

- L’esortazione Verbum Domini di Benedetto XVI / 3: I principi dell’esegesi cattolica, don Carlo Fatuzzo p. 22

- Una Chiesa locale sinodale / 1,don Antonio Galati p. 23

- Segni, 27 gennaio. San Vitaliano: Papa segnino tra storia, arte e tradizione locale

Federica Colaiacomo p. 24- Mons. Luciano Lepore nominato professore emerito all’Istituto Teologico di Anagni,

don Antonio Galati p. 25- La Parrocchia S. Bruno di Colleferro in sostegno ai volontari della comunità di S. Egidio. Per non cedere al sonno e conesso al freddo che uccide,

Giovanni Zicarelli p. 26- Nuovi lettori istituiti per una liturgia più partecipata, p. 27

- Montelanico, Madonna del Soccorso:ricordo del Terremoto e voto del 13 gennaio 1915,

Antonella Lafortezza p. 28

- Nazaret. Poesia di Carlo De Foucauld, (tradotta dal francese), S. M. p. 29

- Santi d’Europa / 2: 3 febbraio, S. Anscario (Oscar), 801 - 865,

Stanislao Fioramonti p. 30- Il canto dei monaci,

Mara Della Vecchia p. 31 - Il sacro intorno a noi / 32. A Genazzano (RM) dalla Madonna del Buon Consiglio,

Stanislao Fioramonti p. 32- Perugino - Raffaello,Lo Sposalizio della Vergine

Luigi Musacchio p. 35

- Nomine e Decreti vescovili p. 34

33FebbraioFebbraio20172017

� Vincenzo Apicella, vescovo

SSpero che tutti abbiano letto, nel-l’ultimo numero di Ecclesia, la testi-monianza del prof. Massimiliano

Postorino, medico corista e operatoredi strada della nostra comunità, che rac-conta il suo incontro col famoso prof.Veronesi, da poco scomparso, notissimoper i suoi studi e la sua competenzanella cura dei tumori, oltre che per esse-re stato, in un breve periodo, anche,ministro della Repubblica.Quello che è veramente impressionanteè la reazione del paziente, ricco avvo-cato napoletano, ormai malato quasi ter-minale, alla professione di ateismo del-l’illustre cattedratico, anche perché, comemi disse una volta un amico, un con-to è parlare della croce, un altro è par-lare dalla croce. “Non mi sarei comun-que fatto operare da chi non crede aimiracoli. Il miracolo in medicina è l’a-more che si regala, non i giorni in piùche si concedono”.Con questa sorprendente considerazioneil paziente commentò l’incontro, rive-landosi più napoletano che ricco, e conquesta stessa verità possiamo prepa-rarci alla venticinquesima Giornatadel Malato, che, insieme a tutta la Chiesa,celebriamo l’11 febbraio prossimo,anche con una Messa all’Ospedale diVelletri. La Giornata fu istituita da S. GiovanniPaolo II, il Papa che non temette di vive-re la sua malattia al cospetto del mon-do intero e fino all’ultimo giorno, e sitenne la prima volta a Lourdes, metadi milioni di malati provenienti dai quat-tro angoli della terra, che cercano nonil miracolo, ma la forza e il sostegno spi-rituale per vivere la loro condizione.Una condizione attraverso la quale, pri-ma o poi, tutti dobbiamo passare, mache per molti può durare tutta la vitaed essere particolarmente dolorosa einvalidante.Proprio la sofferenza, soprattutto quel-la dei piccoli e degli innocenti, era, peril prof. Veronesi, la prova lampante del-la non esistenza di Dio e molti giungonoalla sua stessa conclusione, conside-rando Dio come il capriccioso distributoredel bene e del male alle ignare e debo-li creature. Certamente, la sofferenzae la malattia sono sempre state per gli

uomini fonte di tanti interrogativi ango-sciosi, basti pensare al libro di Giobbe,tanto da costituire un aspetto fondamentaledel mistero di Dio e del mistero dell’uomo.A questo mistero del dolore umano S.Giovanni Paolo II dedicò una delle suenumerose Lettere encicliche, la SalvificiDoloris dell’11 febbraio 1984, tre annidopo l’attentato subito a piazza San Pietroe poco dopo, l’11 febbraio del 1985, colMotu proprio Dolentium hominum, isti-tuiva la Pontificia Commissione per laPastorale sanitaria. Ma, senza fare trop-pa teologia, il nostro avvocato napoletanoandò subito al cuore del problema: “Ricordatiche un Dio che dà la vita e la morte nonsarebbe un gran Dio; al contrario quel-lo capace di amarti mentre vivi e muo-ri, accanto a te come accanto a suo figlio,quello è il Dio vero!!! Egli, facendoti sen-tire la grandezza dell’amore, ti ha sra-dicato dalla terrenità delle umane e dolo-rose vicende e ti ha reso immortale”.La risposta a Veronesi Dio l’ha data noncon i miracoli e non con parole diffici-li, ma, molto semplicemente, con la Crocedel Figlio, “l’uomo dei dolori, che benconosce il patire” (Is.53,3) e, insieme,il “Dio da Dio, Luce daLuce, Dio vero da Dio vero”,come proclamiamo nel Credo.Quando alcuni chiedevano:“ma dov’era Dio quandotanta povera gente moriva sot-to le macerie del terremoto?”,veniva da rispondere: “ma natu-ralmente era sotto le mace-rie insieme con loro!” e poiera nei soccorritori che cer-cavano di strappare qualcunoalla morte.Ecco i due aspetti comple-mentari della Giornata delMalato: l’attenzione, la com-passione e la cura concre-ta del Buon Samaritano,che non “passò oltre”(Lc.10,31s.), ma si fermò amedicare le ferite del fratel-lo e, dall’altro canto, il miste-ro di grazia che si cela in ognisofferente, perché ogni sof-ferenza umana partecipaalla sofferenza di Cristo:

“Ero malato e siete venuti a visitarmi”(Mt.25,36). Il malato ha bisogno delle nostre curee, soprattutto, della nostra vicinanza edel nostro amore, ma, contempora-neamente, porta anche a noi un donomisterioso, che è la presenza del Signore,Crocefisso e Risorto, il quale opera lesue meraviglie proprio nella sofferen-za e nella debolezza degli uomini (Cf.2Cor.12,9). Per questo il tema di questa XXV Giornatadel Malato è stato preso da un versettodel Magnificat: “Grandi cose ha fatto perme l’Onnipotente�” (Lc.1,49) e PapaFrancesco così scrive nel Messaggioinviato per l’occasione: “Chiediamo dun-que all’Immacolata Concezione la gra-zia di saperci sempre relazionare al mala-to come ad una persona che, certamente,ha bisogno di aiuto, a volte anche perle cose più elementari, ma che portain sé il suo dono da condividere congli altri”.

Nell’immagine: La confessione di Longino,James Tissot, XIX sec.

44 FebbraioFebbraio20172017

sintesi a cura di Stanislao Fioramonti

1) Brani dall’omelia della messa della nottedi Natale (sabato 24 dicembre 2016)“I pastori scoprono semplicemente che «un bam-bino è nato per noi» e comprendono che tuttaquesta gloria, tutta questa gioia, tutta questa lucesi concentrano in un punto solo, in quel segnoche l’angelo ha loro indicato: «Troverete un bam-bino avvolto in fasce, adagiato in una mangia-toia» (Lc 2,12). Questo è il segno di sempre pertrovare Gesù. Non solo allora, ma anche oggi.Se vogliamo festeggiare il vero Natale, contempliamoquesto segno: la semplicità fragile di un picco-lo neonato, la mitezza del suo essere adagia-to, il tenero affetto delle fasce che lo avvolgo-no. Lì sta Dio”.“Il Bambino che nasce ci interpella: ci chiamaa lasciare le illusioni dell’effimero per andare all’es-senziale, a rinunciare alle nostre insaziabili pre-tese, ad abbandonare l’in-soddisfazione perenne e la tri-stezza per qualche cosa chesempre ci mancherà, perritrovare nella semplicità di Dio-bambino la pace, la gioia, ilsenso luminoso della vita”.“Lasciamoci interpellare dalBambino nella mangiatoia, malasciamoci interpellare anchedai bambini che, oggi, nonsono adagiati in una cullae accarezzati dall’affetto diuna madre e di un padre, magiacciono nelle squallide“mangiatoie di dignità”:nel rifugio sotterraneo perscampare ai bombarda-menti, sul marciapiede di unagrande città, sul fondo di unbarcone sovraccarico di

migranti. Lasciamoci interpellare dai bambiniche non vengono lasciati nascere, da quel-li che piangono perché nessuno sazia la lorofame, da quelli che non tengono in mano gio-cattoli, ma armi”.“Il mistero del Natale, che è luce e gioia, inter-pella e scuote, perché è nello stesso tempo unmistero di speranza e di tristezza. Porta con séun sapore di tristezza, in quanto l’amore non èaccolto, la vita viene scartata. Così accadde aGiuseppe e Maria, che trovarono le porte chiu-se e posero Gesù in una mangiatoia, «perchéper loro non c’era posto nell’alloggio». Gesù nascerifiutato da alcuni e nell’indifferenza dei più. Ancheoggi ci può essere la stessa indifferenza, quan-do Natale diventa una festa dove i protago-nisti siamo noi, anziché Lui; quando le lucidel commercio gettano nell’ombra la luce diDio; quando ci affanniamo per i regali e restia-mo insensibili a chi è emarginato. Questa mon-danità ci ha preso in ostaggio il Natale: biso-gna liberarlo!”

“Ma il Natale ha soprattutto un sapore di spe-ranza perché, nonostante le nostre tenebre, laluce di Dio risplende. La sua luce gentile nonfa paura; Dio, innamorato di noi, ci attira conla sua tenerezza, nascendo povero e fragile inmezzo a noi, come uno di noi. Nasce a Betlemme,che significa “casa del pane”. Sembra così voler-ci dire che nasce come pane per noi; viene allavita per darci la sua vita; viene nel nostro mon-do per portarci il suo amore. Non viene a divo-rare e a comandare, ma a nutrire e servire. Cosìc’è un filo diretto che collega la mangiatoiae la croce, dove Gesù sarà pane spezzato:è il filo diretto dell’amore che si dona e cisalva, che dà luce alla nostra vita, pace ainostri cuori”.“L’hanno capito, in quella notte, i pastori, cheerano tra gli emarginati di allora. Ma nessu-no è emarginato agli occhi di Dio e proprio lorofurono gli invitati di Natale. Chi era sicuro di sé,autosufficiente, stava a casa tra le sue cose; ipastori invece «andarono, senza indugio». Anchenoi lasciamoci interpellare e convocare stanotteda Gesù, andiamo a Lui con fiducia, a partireda quello in cui ci sentiamo emarginati, a par-tire dai nostri limiti, a partire dai nostri peccati.Lasciamoci toccare dalla tenerezza che salva.Avviciniamoci a Dio che si fa vicino, fermiamo-ci a guardare il presepe, immaginiamo la nasci-ta di Gesù: la luce e la pace, la somma pover-tà e il rifiuto. Entriamo nel vero Natale con ipastori, portiamo a Gesù quello che siamo,le nostre emarginazioni, le nostre ferite nonguarite, i nostri peccati. Così, in Gesù, assa-poreremo lo spirito vero del Natale: la bel-lezza di essere amati da Dio. Con Maria e Giuseppestiamo davanti alla mangiatoia, a Gesù che nascecome pane per la mia vita. Contemplando il suoamore umile e infinito, diciamogli semplicementegrazie: grazie, perché hai fatto tutto questo perme”.

2) Il messaggio Urbi et Orbi dalla loggia Vaticana(domenica 25 dicembre 2016)“Il potere di questo Bambino, Figlio di Dio e diMaria, non è il potere di questo mondo, basa-

to sulla forza e sulla ricchezza;è il potere dell’amore, che hacreato il cielo e la terra, chedà vita a ogni creatura: ai mine-rali, alle piante, agli anima-li; è la forza che attrae l’uo-mo e la donna e fa’ di lorouna sola carne, una sola esi-stenza; è il potere che rige-nera la vita, che perdona lecolpe, riconcilia i nemici, tra-sforma il male in bene. E’ ilpotere di Dio. Questo pote-re dell’amore ha portatoGesù Cristo a spogliarsidella sua gloria e a farsi uomo;e lo condurrà a dare la vitasulla croce e a risorgere daimorti. E’ il potere del servi-zio, che instaura nel mondoil regno di Dio, regno di giu-

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55FebbraioFebbraio20172017

stizia e di pace.Oggi l’annuncio degli angeli percorre tutta la ter-ra e vuole raggiungere tutti i popoli, specialmentequelli feriti dalla guerra e da aspri conflitti e chesentono più forte il desiderio della pace.Pace agli uomini e alle donne nella martoriataSiria, dove troppo sangue è stato sparso. Soprattuttonella città di Aleppo, teatro nelle ultime setti-mane di una delle battaglie più atroci, è quan-to mai urgente che, rispettando il diritto umani-tario, si garantiscano assistenza e conforto allastremata popolazione civile, che si trova anco-ra in una situazione disperata e di grande sof-ferenza e miseria. È tempo che le armi taccia-no definitivamente e la comunità internaziona-le si adoperi attivamente perché si raggiungauna soluzione negoziale e si ristabilisca la con-vivenza civile nel Paese.Pace alle donne e agli uomini dell’amata TerraSanta, scelta e prediletta da Dio. Israeliani e Palestinesiabbiano il coraggio e la determinazione di scri-vere una nuova pagina della storia, in cui odioe vendetta cedano il posto alla volontà di costrui-re insieme un futuro di reciproca comprensio-ne e armonia. Possano ritrovare unità e concordial’Iraq, la Libia, lo Yemen, dove le popolazionipatiscono la guerra ed efferate azioni terroristiche.Pace agli uomini e alle donne in varie regionidell’Africa, particolarmente in Nigeria, dove ilterrorismo fondamentalista sfrutta anche i bam-bini per perpetrare orrore e morte. Pace nel SudSudan e nella Repubblica Democratica del Congo,perché si risanino le divisioni e tutte le perso-ne di buona volontà si adoperino per intraprendereun cammino di sviluppo e di condivisione, pre-ferendo la cultura del dialogo alla logica delloscontro.Pace alle donne e agli uomini che tuttora sub-iscono le conseguenze del conflitto nell’Ucrainaorientale, dove è urgente una comune volon-tà nel recare sollievo alla popolazione e dareattuazione agli impegni assunti. Concordia invochiamo per il caro popolocolombiano, che ambisce a compiere un nuo-vo e coraggioso cammino di dialogo e di ricon-ciliazione. Tale coraggio animi anche l’amatoVenezuela nell’intraprendere i passi necessa-ri per porre fine alle attuali tensioni ed edifica-re insieme un avvenire di speranza per tutta lapopolazione.Pace a quanti, in diverse zone, stanno affron-tando sofferenze a causa di costanti pericoli epersistenti ingiustizie. Possa il Myanmar con-solidare gli sforzi per favorire la pacifica convi-venza e, con l’aiuto della comunità internazio-nale, prestare la necessaria protezione e assi-stenza umanitaria a quanti ne hanno grave eurgente necessità. Possa la penisola coreana vedere superate letensioni che l’attraversano in un rinnovato spi-rito di collaborazione”.Dopo le nazioni che oggi di pace hanno più biso-gno, Papa Francesco invoca pace per le cate-gorie umane più in difficoltà: chi è stato ferito oha perso una persona cara per gli atti di ter-rorismo.I fratelli e sorelle abbandonati ed esclusi, che

soffrono la fame,alle vittime di vio-lenze. I profughi, i migran-ti, i rifugiati, chi èoggetto della trat-ta delle persone. I popoli che soffro-no per le ambizio-ni economiche dipochi e l’avidaingordigia del diodenaro che portaalla schiavitù. Chi è segnato daldisagio sociale edeconomico e dal-le conseguenzedei terremoti o dialtre catastrofinaturali.I bambini, in questo giorno speciale in cui Diosi fa bambino, soprattutto quelli privati dellegioie dell’infanzia a causa della fame, delleguerre e dell’egoismo degli adulti.Pace sulla terra a tutti gli uomini di buona volon-tà, che ogni giorno lavorano, con discrezionee pazienza, in famiglia e nella società per costrui-re un mondo più umano e più giusto, sostenu-ti dalla convinzione che solo con la pace c’è lapossibilità di un futuro più prospero per tutti.Cari fratelli e sorelle, ha concluso Francesco,«un bambino è nato per noi, ci è stato dato unfiglio»: è il «Principe della pace». Accogliamolo!

3) Omelia ai Primi Vespri della Solennità diMaria SS.ma Madre di Dio e TE DEUM di ringrazi-amento per l’anno trascorso. (sabato, 31 dicembre 2016) “(…) In Cristo Dio non si è mascherato da uomo,si è fatto uomo e ha condiviso in tutto la nostracondizione. Lungi dall’essere chiuso in uno sta-to di idea o di essenza astratta, ha voluto esse-re vicino a tutti quelli che si sentono perduti, mor-tificati, feriti, scoraggiati, sconsolati e intimiditi.Vicino a tutti quelli che nella loro carne porta-no il peso della lontananza e della solitudine,affinché il peccato, la vergogna, le ferite, lo scon-forto, l’esclusione non abbiano l’ultima parolanella vita dei suoi figli.Il presepe ci invita a fare nostra questa logicadivina. Una logica non centrata sul privilegio, sul-le concessioni, sui favoritismi; si tratta della logi-ca dell’incontro, della vicinanza e della prossi-mità. Il presepe ci invita ad abbandonare la logi-ca delle eccezioni per gli uni ed esclusioni pergli altri. (…)Oggi, davanti al bambino Gesù, vogliamoammettere di avere bisogno che il Signore ci illu-mini, perché non sono poche le volte in cui sem-briamo miopi o rimaniamo prigionieri di un atteg-giamento marcatamente integrazionista di chivuole per forza far entrare gli altri nei propri sche-mi. Abbiamo bisogno di questa luce, che ci fac-cia imparare dai nostri stessi errori e tentativial fine di migliorarci e superarci; di questa luceche nasce dall’umile e coraggiosa consapevo-

lezza di chi trova la forza, ogni volta, di rialzar-si e ricominciare.Mentre un altro anno volge al termine, sostia-mo davanti al presepe, per ringraziare di tutti isegni della generosità divina nella nostra vitae nella nostra storia, che si è manifestata in mil-le modi nella testimonianza di tanti volti che ano-nimamente hanno saputo rischiare. (…) Guardando il presepe incontriamo i volti di Giuseppee di Maria. Volti giovani carichi di speranze edi aspirazioni, carichi di domande. Volti giova-ni che guardano avanti con il compito non faci-le di aiutare il Dio-Bambino a crescere. Non sipuò parlare di futuro senza contemplare que-sti volti giovani e assumere la responsabilità cheabbiamo verso i nostri giovani; più cheresponsabilità, la parola giusta è debito, sì, il debi-to che abbiamo con loro. Parlare di un anno chefinisce è sentirci invitati a pensare a come ci stia-mo interessando al posto che i giovani hannonella nostra società.Abbiamo creato una cultura che, da una parte,idolatra la giovinezza cercando di renderla eter-na, ma, paradossalmente, abbiamo condannatoi nostri giovani a non avere uno spazio di rea-le inserimento, perché lentamente li abbiamo emar-ginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrareo a mendicare occupazioni che non esistono oche non permettono loro di proiettarsi in un doma-ni. Abbiamo privilegiato la speculazione invecedi lavori dignitosi e genuini che permettano lorodi essere protagonisti attivi nella vita della nostrasocietà. Ci aspettiamo da loro ed esigiamo chesiano fermento di futuro, ma li discriminiamo eli “condanniamo” a bussare a porte che per lopiù rimangono chiuse. (…)Ci è chiesto di prendere ciascuno il proprio impe-gno, per poco che possa sembrare, di aiutarei nostri giovani a ritrovare, qui nella loro terra,nella loro patria, orizzonti concreti di un futuroda costruire. Non priviamoci della forza delle loromani, delle loro menti, delle loro capacità di pro-fetizzare i sogni dei loro anziani. Se vogliamopuntare a un futuro che sia degno di loro, potre-mo raggiungerlo solo scommettendo su una verainclusione: quella che dà il lavoro dignitoso, libe-ro, creativo, partecipativo e solidale. (…)”

66 FebbraioFebbraio20172017

Cari fratelli e sorelle!

Al termine del vostro Convegno di pasto-rale vocazionale, organizzato dall’Ufficio dellaConferenza Episcopale Italiana, sono lieto di poter-vi accogliere e incontrare. Ringrazio Mons. Galantinoper le sue cortesi parole; e mi congratulo perl’impegno con cui portate avanti questo appun-tamento annuale, nel quale si condivide la gioiadella fraternità e la bellezza delle diverse voca-zioni.Davanti a noi si apre l’orizzonte e il camminoverso l’Assemblea sinodale del 2018, sul tema“Giovani, fede e discernimento vocazionale”. Il“sì” totale e generoso di una vita donata è simi-le ad una sorgente d’acqua, nascosta da tan-to tempo nelle profondità della terra, che atten-de di sgorgare e scorrere all’esterno, in un rivo-lo di purezza e freschezza. I giovani oggi han-

no bisogno di una sorgente d’acqua fresca perdissetarsi e poi proseguire il loro cammino di ricer-ca. «I giovani hanno il desiderio di una vita gran-de. L’incontro con Cristo, il lasciarsi affer rare eguidare dal suo amore allarga l’orizzonte del-l’esistenza e dona una speranza solida che nondelude» (Enc. Lumen fidei, 53).In questo orizzonte si colloca anche il vostro ser-vizio, con il suo stile di annuncio e di accom-pagnamento vocazionale. Tale impegno richie-de passione e senso di gratuità. La passionedel coinvolgimento personale, nel saper pren-dervi cura delle vite che vi sono consegnate comescrigni che racchiudono un tesoro prezioso dacustodire. E la gratuità di un servizio e ministeronella Chiesa che richiede grande rispetto per colo-ro di cui vi fate compagni di cammino. È l’im-pegno di cercare la loro felicità, e questo va benoltre le vostre preferenze e aspettative. Facciomie le parole di Papa Benedetto XVI: «Siate semi-

natori di fiducia e di speran-za. È infatti profondo il sen-so di smarrimento che spes-so vive la gioventù di oggi. Nondi rado le parole umanesono prive di futuro e di pro-spettiva, prive anche di sen-so e di sapienza. [...] Eppure,questa può essere l’ora di Dio»(Discorso ai partecipanti alConvegno europeo sullapastorale vocazionale, 4 luglio2009).Per essere credibili ed entra-re in sintonia con i giovani, occor-re privilegiare la via dell’ascolto,il saper “perdere tempo” nel-l’accogliere le loro domandee i loro desideri. La vostra testi-monianza sarà tanto più per-suasiva se, con gioia e veri-tà, saprete raccontare la bel-lezza, lo stupore e la mera-viglia dell’essere innamoratidi Dio, uomini e donne che vivo-no con gratitudine la loro scel-ta di vita per aiutare altri a lascia-

re una impronta inedita e originale nella storia.Ciò richiede di non essere disorientati dalle sol-lecitazioni esteriori, ma di affidarci alla miseri-cordia e alla tenerezza del Signore ravvivandola fedeltà delle nostre scelte e la freschezza del“primo amore” (cf Ap 2,5).La priorità dell’annuncio vocazionale non è l’ef-ficienza di quanto facciamo, ma piuttosto l’at-tenzione privilegiata alla vigilanza e al discer-nimento. È avere uno sguardo capace di scor-gere la positività negli eventi umani e spiritua-li che incontriamo; un cuore stupito e grato difronte ai doni che le persone portano in sé, met-tendo in luce le potenzialità più dei limiti, il pre-sente e il futuro in continuità col passato.C’è bisogno oggi di una pastorale vocazionaledagli orizzonti ampi e dal respiro di comunio-ne; capace di leggere con coraggio la realtà cosìcom’è con le fatiche e le resistenze, riconoscendoi segni di generosità e di bellezza del cuore uma-no. C’è l’urgenza di riportare dentro alle comu-nità cristiane una nuova “cultura vocazionale”.«Fa parte ancora di questa cultura vocaziona-le la capacità di sognare e desiderare in gran-de, quello stupore che consente di apprezzarela bellezza e sceglierla per il suo valore intrin-seco, perché rende bella e vera la vita» (Pont.Opera per le Vocazioni, Nuove vocazioni per unanuova Europa, 8 dicembre 1997, 13b).Cari fratelli e sorelle, non stancatevi di ripete-re a voi stessi: “io sono una missione” e non sem-plicemente “io ho una missione”. «Bisogna rico-noscere sé stessi come marcati a fuoco da talemissione di illuminare, benedire, vivificare, sol-levare, guarire, liberare» (Esort. ap. Evangeliigaudium, 273). Essere missione permanente richie-de coraggio, audacia, fantasia e voglia di anda-re oltre, di andare più in là. Infatti, “Alzati, va’ enon temere” è stato il tema del vostro Convegno.Esso ci aiuta a fare memoria di molte storie di

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77FebbraioFebbraio20172017

Carissimi giovani,

sono lieto di annun-ciarvi che nell’ottobre 2018 sicelebrerà il Sinodo dei Vescovisul tema «I giovani, la fede eil discernimento vocazionale».Ho voluto che foste voi al cen-tro dell’attenzione perché vi por-to nel cuore. Proprio oggi vie-ne presentato il DocumentoPreparatorio, che affido anchea voi come “bussola” lungo que-sto cammino.

Mi vengono in mente leparole che Dio rivolse adAbramo: «Vattene dalla tua ter-ra, dalla tua parentela e dallacasa di tuo padre, verso la ter-ra che io ti indicherò» (Gen 12,1).Queste parole sono oggi indi-rizzate anche a voi: sono parole di un Padre che vi invita a “uscire” perlanciarvi verso un futuro non conosciuto ma portatore di sicure realiz-zazioni, incontro al quale Egli stesso vi accompagna. Vi invito ad ascol-tare la voce di Dio che risuona nei vostri cuori attraverso il soffio delloSpirito Santo.

Quando Dio disse ad Abramo «Vattene», che cosa voleva dirgli?Non certamente di fuggire dai suoi o dal mondo. Il suo fu un forte invi-to, una vocazione, affinché lasciasse tutto e andasse verso una terranuova. Qual è per noi oggi questa terra nuova, se non una società piùgiusta e fraterna che voi desiderate profondamente e che volete costrui-re fino alle periferie del mondo? Ma oggi, purtroppo, il «Vattene» assu-me anche un significato diverso. Quello della prevaricazione, dell’ingiu-stizia e della guerra. Molti giovani sono sottoposti al ricatto della violenzae costretti a fuggire dal loro paese natale. Il loro grido sale a Dio, comequello di Israele schiavo dell’oppressione del Faraone (cfr Es 2,23).

Desidero anche ricordarvi le parole che Gesù disse un giorno aidiscepoli che gli chiedevano: «Rabbì […], dove dimori?». Egli rispose:«Venite e vedrete» (Gv 1,38-39). Anche a voi Gesù rivolge il suo sguar-do e vi invita ad andare presso di lui. Carissimi giovani, avete incontra-to questo sguardo? Avete udito questa voce? Avete sentito quest’impulsoa mettervi in cammino? Sono sicuro che, sebbene il frastuono e lo stor-dimento sembrino regnare nel mondo, questa chiamata continua a risuo-nare nel vostro animo per aprirlo alla gioia piena. Ciò sarà possibile nel-la misura in cui, anche attraverso l’accompagnamento di guide esper-te, saprete intraprendere un itinerario di discernimento per scoprire il pro-getto di Dio sulla vostra vita. Pure quando il vostro cammino è segna-to dalla precarietà e dalla caduta, Dio ricco di misericordia tende la suamano per rialzarvi.

A Cracovia, in apertura dell’ultima Giornata Mondiale della Gioventù,vi ho chiesto più volte: «Le cose si possono cambiare?». E voi avetegridato insieme un fragoroso «Sì». Quel grido nasce dal vostro cuoregiovane che non sopporta l’ingiustizia e non può piegarsi alla cultura del-lo scarto, né cedere alla globalizzazione dell’indifferenza. Ascoltate quelgrido che sale dal vostro intimo! Anche quando avvertite, come il pro-feta Geremia, l’inesperienza della vostra giovane età, Dio vi incoraggiaad andare dove Egli vi invia: «Non aver paura […] perché io sono conte per proteggerti» (Ger 1,8).

Un mondo migliore si costruisce anche grazie a voi, alla vostravoglia di cambiamento e alla vostra generosità. Non abbiate paura diascoltare lo Spirito che vi suggerisce scelte audaci, non indugiate quan-do la coscienza vi chiede di rischiare per seguire il Maestro. Pure la Chiesadesidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità,della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sen-tire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungereai pastori. San Benedetto raccomandava agli abati di consultare anchei giovani prima di ogni scelta importante, perché «spesso è proprio alpiù giovane che il Signore rivela la soluzione migliore» (Regola di SanBenedetto III, 3).

Così, anche attraverso il cammino di questo Sinodo, io e i mieifratelli Vescovi vogliamo diventare ancor più «collaboratori della vostragioia» (2 Cor 1,24). Vi affido a Maria di Nazareth, una giovane come voia cui Dio ha rivolto il Suo sguardo amorevole, perché vi prenda per manoe vi guidi alla gioia di un «Eccomi» pieno e generoso (cfr Lc 1,38). Conpaterno affetto,

FRANCESCODal Vaticano, 13 gennaio 2017

vocazione, in cui il Signore invita i chiamati aduscire da sé per essere dono per gli altri; ad essiaffida una missione e li rassicura: «Non teme-re, perché io sono con te» (Is 41,10). Questa sua benedizione si fa incoraggiamen-to costante e appassionato per poter andare oltrele paure che rinchiudono in sé stessi e paralizzanoogni desiderio di bene. È bello sapere che il Signoresi fa carico delle nostre fragilità, ci rimette in pie-

di per ritrovare, giorno dopo giorno, l’infinita pazien-za di ricominciare.Sentiamoci sospinti dallo Spirito Santo a indi-viduare con coraggio strade nuove nell’annun-cio del vangelo della vocazione; per essere uomi-ni e donne che, come sentinelle (cf Sal 130,6),sanno cogliere le striature di luce di un’alba nuo-va, in una rinnovata esperienza di fede e di pas-sione per la Chiesa e per il Regno di Dio. Ci spin-

ga lo Spirito ad essere capaci di una pazienzaamorevole, che non teme le inevitabili lentez-ze e resistenze del cuore umano. Vi assicuro la mia preghiera; e voi, per favore,non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

Discorso consegnato dal Santo Padre

segue da pag. 6

88 FebbraioFebbraio20172017

In occasione della Giornata Mondiale della Vita Consacrata proponiamo

la rilettura di un intervento autorevole di p. Edoardo Scognamiglio offerto

all’inizio dell’anno dedicato alla Vita Consacrata conclusosi il

2 Febbraio 2016.

Edoardo Scognamiglio Ofm. Conv.

LLuogo di frontiera: così mi piacerebbedefinire la vita consacrata. Luogo del-l’imprevisto, dell’inedito, dell’originale;

fuori dalle consuetudini scontate e rassicuran-ti; laboratorio attrezzato per la costruzione del-l’uomo nuovo, sempre in attesa di futuro; spa-zio d’inclusione, senza chiusure, senza pregiudizi,ove le diversità sono accolte e riconciliate tradi loro in un’armonia non perfetta ma reale ecomunionale. Luogo dove èspezzato il pane della caritàper i tanti affamati di Dio.

1. Servire Dio nell’uomo

La vita consacrata, nonostanteombre e difficoltà, è un’e-sperienza intensa di fede e direlazione con il Signore; edè tutt’altro che disinteresse perla storia e per il destino degliuomini. È servitium Dei et homi-nis, testimonianza di coeren-za e di responsabilità. Ancora oggi, sembra dire papaFrancesco nella Lettera a tut-ti i consacrati, è un preziosospaccato di vita evangelica,uno spazio di servizio e di pro-fezia, una riserva di coraggioe sapiente follia. La missione dei consacrati èal servizio del bene comune,delle città, delle famiglie: nonmera distribuzione del benes-

sere materiale, ma promozione del valore del-la persona, di ogni uomo e donna. I consacrati aiutano a superare la crisi antro-pologia in atto, il vuoto di tante esistenze, cat-turate da una falsa idea di autonomia, rinchiu-se nella propria individualità. Il mondo ha biso-gno dei consacrati e non solo la Chiesa. I cit-tadini di tutto il mondo pensano ai consacraticon simpatia e riconoscenza per tutto il beneche da essi hanno ricevuto, per le numeroseistituzioni cartitative ed educative di cui è riccala storia dei religiosi. Ogni comunità ecclesiale li immagina al propriofianco nel difficile compito di formare le coscien-ze a una fede vigile e operosa, immersa nellaconcretezza delle difficili situazioni in cui ver-sano le famiglie. Si tratta di una preziosa risor-sa, insostituibile per la nuova evangelizzazio-ne. La vocazione a una vita integrale può esse-

re di grande stimolo per una città e un mondodove regna spesso il pressapochismo, l’arte diarrangiarsi, la cultura dell’effimero, giocando alribasso ed elevando la furbizia a regola di vita.

2. Cinque grandi impegni

Per questo anno di grazia dedicato alla Vita con-sacrata, papa Francesco si attende almeno cin-que impegni dai consacrati.

a) La gioia

Il primo è di essere persone felici, contente, rea-lizzate, gioiose, perché «Dove ci sono i religiosic’è gioia». Il papa non ha parlato della santitàbensì della gioia. Siamo chiamati a «sperimentaree mostrare che Dio è capace di colmare il nostrocuore e di renderci felici, senza bisogno di cer-

care altrove la nostra felici-tà; che l’autentica fraternitàvissuta nelle nostre comunitàalimenta la nostra gioia;che il nostro dono totale nelservizio della Chiesa catto-lica, delle famiglie, dei gio-vani, degli anziani, dei pove-ri ci realizza come personee dà pienezza alla nostra vita.Che tra di noi non si veda-no volti tristi, persone scon-tente e insoddisfatte, perché“una sequela triste è una tri-ste sequela”». Il senso del-la gioia cristiana è il Cristocrocifisso e risorto. Egli ci edu-ca al valore autentico dellaperfetta letizia, sull’esempiodi san Francesco, il Poverello.La vita consacrata non cre-sce se organizziamo delle bel-le campagne vocazionali, mase le giovani e i giovani checi incontrano si sentonoattratti da noi, se ci vedonopersone felici! Perché laChiesa cresce per attrazio-ne e non per proslitismo!Nell’immagine:

Frate in contemplazione, Thure Cederstrom

(1843 – 1924)continua nella pag. accanto

99FebbraioFebbraio20172017

b) Svegliare il mondo

Il secondo impegno è relativo alla profezia: «Mi attendo che “svegliate il mondo”, perché lanota che caratterizza la vita consacrata è la pro-fezia». Il profeta è la coscienza critica d’Israele,il vento nuovo, colui che sa discernere i segnidei tempi e leggere anche le azioni o gli inter-venti di Dio nella storia. «Il profeta riceve da Diola capacità di scrutare la storia nella quale vivee di interpretare gli avvenimenti: è come una sen-tinella che veglia durante la notte e sa quandoarriva l’aurora (cf. Is 21,11-12). Conosce Dio e conosce gli uomini e le donne

suoi fratelli e sorelle. È capace di discernimentoe anche di denunciare il male del peccato e leingiustizie, perché è libero, non deve risponderead altri padroni se non a Dio, non ha altri inte-ressi che quelli di Dio. Il profeta sta abitualmentedalla parte dei poveri e degli indifesi, perché sache Dio stesso è dalla loro parte […]. A volte, come accadde a Elia e a Giona, puòvenire la tentazione di fuggire, di sottrarsi al com-pito di profeta, perché troppo esigente, perchési è stanchi, delusi dai risultati. Ma il profeta sadi non essere mai solo. Anche a noi, come aGeremia, Dio assicura: «Non aver paura […] per-ché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,8).Siamo piccoli profeti, ciascuno con il nostro conod’ombra. Quello che conta è, però, il fatto chesiamo in grado di lasciarci irradiare dalla luce,di stivare dentro di noi la luce. Non siamo testimoni dei comandi del Signoreo della sua forza o dei suoi castighi, neanchedel suo giudizio, bensì della sua luce. Siamo luce

di quel Dio liberatore che è venuto in Cristo Gesùa salvare e a sanare, a consolare e a guarire.Il Precursore prepara la strada a uno che è venu-to e ha fatto risplendere la vita (cf. 2Tm 1,10).Come il Battista, noi siamo la voce di un Dio appas-sionato, innamorato dell’uomo. Noi siamo voce abitata da un altro, dall’Altissimo.Solo Dio è la Parola, noi siamo l’eco della Parola.Io sono voce quando sono profeta, quando tra-smetto parole lucenti e parlo del sole, del bene,del bello, dell’amore, gridando nel deserto del-le nostre comunità e città come Giovanni, o sus-surrando al cuore ferito dei nostri fratelli comeil profeta Isaia.

Svegliare il mondo è possibile se anzitutto ride-stiamo noi stessi, se con la preghiera e la fidu-cia nel Signore sappiamo muovere il bene e dif-fonderlo nelle comunità. La forza del male è nelnascondimento. La forza del bene è nella luce, nella rivelazio-ne. Il male si diffonde con le chiacchiere, con icattivi pensieri, con le gelosie, le invidie, la pigri-zia. Il bene si muove con lo zelo, con la pas-sione, con la forza di chi è innamorato e attrat-to dall’amore di Dio. Il Battista sembra dirci cheil mondo si regge su un principio di lue e nonsulla prevalenza del male, che vale molto di piùaccendere la nostra lampada nella notte che impre-care e denunciare il buio.

c) Uomini e donne del dialogo, di comunione

Il papa ci chiede ancora di essere “esperti di comu-nione”, ossia persone che vivono concretamentela “spiritualità della comunione”, indicata da san

Giovanni Paolo II. In quest’ottica, la fraternità è dono e compito,progetto e missione, sfida e sacrificio da com-piere. Papa Francesco s’appella a un principiocaro alla tradizione spirituale cristiana: il prin-cipio veritativo della fede – dell’amore per Dio– è l’amore per il prossimo, per chi vive con noi.L’amore per Dio, la contemplazione delleScritture e la vera fede aprono a una comunioneorizzontale che ci rende estroversi, ossia rivol-ti verso gli altri e non ripiegati su noi stessi peraccogliere le attese dell’umanità. Ci sono, infatti, scrive il papa, «persone che han-no perduto ogni speranza, famiglie in difficoltà,bambini abbandonati, giovani ai quali è preclusoogni futuro, ammalati e vecchi abbandonati, ric-chi sazi di beni e con il vuoto nel cuore, uomi-ni e donne in cerca del senso della vita, asse-tati di divino… Non ripiegatevi su voi stessi, nonlasciatevi asfissiare dalle piccole beghe di casa,non rimanete prigionieri dei vostri problemi. Questisi risolveranno se andrete fuori ad aiutare gli altria risolvere i loro problemi e ad annunciare labuona novella. Troverete la vita dando la vita,la speranza dando speranza, l’amore amando».

d) Gesti concreti di carità

Il quarto impegno riguarda la carità: il papa siaspetta dai consacrati «gesti concreti di acco-glienza dei rifugiati, di vicinanza ai poveri, di crea-tività nella catechesi, nell’annuncio del Vangelo,nell’iniziazione alla vita di preghiera. Di conseguenza auspico lo snellimento delle strut-ture, il riutilizzo delle grandi case in favore di ope-re più rispondenti alle attuali esigenze dell’e-vangelizzazione e della carità, l’adeguamentodelle opere ai nuovi bisogni».

e) Persone che si interrogano

Nel quinto impegno il papa chiede che ogni for-ma di vita consacrata s’interroghi su quello cheDio e l’umanità di oggi domandano. Occorre darespazio alla fantasia dello Spirito che ha gene-rato modi di vita e opere diversi per andare ver-so le periferie esistenziali dell’umanità.Siamo pronti, personalmente e come comuni-tà, a vivere queste sfide e a prendere tali impe-gni per l’anno della Vita consacrata? Quali i segnidi carità e di impegno sociale da portare avan-ti? Siamo in grado di prendere parte alle nuo-ve forme di evangelizzazione? In che cosa stia-mo dormendo? Sentiamo la passione per il Vangelo?Non è forse vero che la prima forma di annun-cio è da vivere in fraternità? Non è forse altret-tanto vero che tante volte siamo dei rassegna-ti? Chiediamoci anche: siamo persone felici, sod-disfatte, che hanno trovato un’armonia interio-re e sanno trasmettere gioia e pace al mondo?

1010 FebbraioFebbraio20172017

Messaggio del Consiglio Episcopale

Permanente per la 39a Giornata

Nazionale per la vita

(5 febbraio 2017)

Il coraggio di sognare con Dio

Alla scuola di Papa Francesco s’impara a sogna-re. Spesso nelle udienze fa riferimento ai sognidei bambini e dei giovani, dei malati e degli anzia-ni, delle famiglie e delle comunità cristiane, del-le donne e degli uomini di fronte alle scelte impor-tanti della vita. Sognare con Dio e con Lui osa-re e agire! Quando il Papa commenta la Paroladi Dio al mattino o quando tiene discorsi nei vari

viaggi apostolici, non manca di incoraggiare asognare in grande. È nota la sua devozione asan Giuseppe, che considera uomo del “sogno”(Cfr. Mt 1,20.24). Quando si rivolge alle fami-glie, ricorda loro che il sogno di Dio “continuaa realizzarsi nei sogni di molte coppie che han-no il coraggio di fare della loro vita una fami-glia; il coraggio di sognare con Lui, il coraggiodi costruire con Lui, il coraggio di giocarci conLui questa storia, di costruire un mondo dovenessuno si senta solo, nessuno si senta super-fluo o senza un posto”1.I bambini e i nonni, il futuro e la memoria. PerPapa Francesco il sogno di Dio si realizza nel-la storia con la cura dei bambini e dei nonni. Ibambini “sono il futuro, sono la forza, quelli cheportano avanti. Sono quelli in cui riponiamo lasperanza”; i nonni “sono la memoria della fami-

glia. Sono quelli che cihanno trasmesso lafede. Avere cura dei non-ni e avere cura dei bam-bini è la prova di amo-re più promettentedella famiglia, perchépromette il futuro. Unpopolo che non sa pren-dersi cura dei bambi-ni e dei nonni è un popo-lo senza futuro, perchénon ha la forza e nonha la memoria perandare avanti”2. Una tale cura esige losforzo di resistere allesirene di un’econo-mia irresponsabile,che genera guerra e

morte. Educare alla vita significa entra-re in una rivoluzione civile che gua-risce dalla cultura dello scarto, dal-la logica della denatalità, dal crollodemografico, favorendo la difesa diogni persona umana dallo sboccia-re della vita fino al suo termine natu-rale. È ciò che ripete ancora oggi SantaTeresa di Calcutta con il famoso dis-corso pronunciato in occasione delpremio Nobel 1979: “Facciamo cheogni singolo bambino sia desidera-to”; è ciò che continua a cantare conl’inno alla vita:

“La vita è bellezza, ammirala. La vita è un’opportunità, coglila.

La vita è beatitudine, assaporala. La vita è un sogno, fanne una

realtà. … La vita è la vita, difendila”.

Con Madre Teresa La Santa degli ulti-mi di Calcutta ci insegna ad acco-gliere il grido di Gesù in croce: “Nelsuo ‘Ho sete’ (Gv 19,28) possiamosentire la voce dei sofferenti, il gri-do nascosto dei piccoli innocenti cuiè preclusa la luce di questo mondo,

l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosidi pace”3. Gesù è l’Agnello immolato e vittorioso: da Luisgorga un “fiume di vita” (Ap 22,1.2), cui attin-gono le storie di donne e uomini per la vita nelmatrimonio, nel sacerdozio o nella vita consa-crata religiosa e secolare. Com’è bello sogna-re con le nuove generazioni una Chiesa e unPaese capaci di apprezzare e sostenere storiedi amore esemplari e umanissime, aperte a ognivita, accolta come dono sacro di Dio anche quan-do al suo tramonto va incontro ad atroci soffe-renze; solchi fecondi e accoglienti verso tutti, resi-denti e immigrati. Un tale stile di vita ha un sapore mariano, vis-suto come “partecipazione alla feconda operadi Dio, e ciascuno è per l’altro una permanen-te provocazione dello Spirito. I due sono tra lororiflessi dell’amore divino che conforta con la paro-la, lo sguardo, l’aiuto, la carezza, l’abbraccio”4.

Roma, 22 ottobre 2016 Memoria di San Giovanni Paolo II

Il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana

1 PAPA FRANCESCO, Discorso alla festa delle fami-glie, Filadelfia 26 settembre 2015.2 Ibidem.3 PAPA FRANCESCO, Discorso, Assisi 20 settem-bre 2016.4 PAPA FRANCESCO, Esortazione apostolicaAmoris Laetitia, 321.

1111FebbraioFebbraio20172017

MESSAGGIO DEL

SANTO PADRE FRANCESCO

PER LA XXV GIORNATA

MONDIALE DEL MALATO 2017

Cari fratelli e sorelle,

l’11 febbraio prossimo sarà celebrata, in tutta laChiesa e in modo particolare a Lourdes, la XXVGiornata Mondiale del Malato, sul tema: Stuporeper quanto Dio compie: «Grandi cose ha fatto perme l’Onnipotente…» (Lc 1,49). Istituita dal mio pre-decessore san Giovanni Paolo II nel 1992, e cele-brata per la prima volta proprio a Lourdes l’11 feb-braio 1993, tale Giornata costituisce un’occasio-ne di attenzione speciale alla condizione degli amma-lati e, più in generale, dei sofferenti; e al tempostesso invita chi si prodiga in loro favore, a par-tire dai familiari, dagli operatori sanitari e dai volon-tari, a rendere grazie per la vocazione ricevutadal Signore di accompagnare i fratelli ammalati.Inoltre questa ricorrenza rinnova nella Chiesa ilvigore spirituale per svolgere sempre al meglioquella parte fondamentale della sua missione checomprende il servizio agli ultimi, agli infermi, aisofferenti, agli esclusi e agli emarginati (cfr GiovanniPaolo II, Motu proprio Dolentium hominum, 11 feb-braio 1985, 1). Certamente i momenti di preghiera,le Liturgie eucaristiche e l’Unzione degli infermi,la condivisione con i malati e gli approfondimen-ti bioetici e teologico-pastorali che si terranno aLourdes in quei giorni offriranno un nuovo impor-tante contributo a tale servizio.Ponendomi fin d’ora spiritualmente presso la Grottadi Massabielle, dinanzi all’effige della Vergine Immacolata,nella quale l’Onnipotente ha fatto grandi cose perla redenzione dell’umanità, desidero esprimere lamia vicinanza a tutti voi, fratelli e sorelle che vive-te l’esperienza della sofferenza, e alle vostre fami-glie; come pure il mio apprezzamento a tutti colo-ro che, nei diversi ruoli e in tutte le strutture sani-tarie sparse nel mondo, operano con competen-za, responsabilità e dedizione per il vostro sol-lievo, la vostra cura e il vostro benessere quoti-diano. Desidero incoraggiarvi tutti, malati, soffe-renti, medici, infermieri, familiari, volontari, a con-templare in Maria, Salute dei malati, la garantedella tenerezza di Dio per ogni essere umano eil modello dell’abbandono alla sua volontà; e a tro-vare sempre nella fede, nutrita dalla Parola e daiSacramenti, la forza di amare Dio e i fratelli anchenell’esperienza della malattia.Come santa Bernadette siamo sotto lo sguardodi Maria. L’umile ragazza di Lourdes racconta chela Vergine, da lei definita “la Bella Signora”, la guar-dava come si guarda una persona. Queste sem-plici parole descrivono la pienezza di una rela-zione. Bernadette, povera, analfabeta e malata,si sente guardata da Maria come persona. La BellaSignora le parla con grande rispetto, senza com-patimento. Questo ci ricorda che ogni malato èe rimane sempre un essere umano, e come taleva trattato. Gli infermi, come i portatori di disabi-lità anche gravissime, hanno la loro inalienabiledignità e la loro missione nella vita e non diven-

tano mai dei meri oggetti,anche se a volte possonosembrare solo passivi, main realtà non è mai così.Bernadette, dopo esserestata alla Grotta, grazie allapreghiera trasforma la suafragilità in sostegno per glialtri, grazie all’amore diven-ta capace di arricchire il suoprossimo e, soprattutto, offrela sua vita per la salvez-za dell’umanità. Il fatto chela Bella Signora le chiedadi pregare per i peccato-ri, ci ricorda che gli infer-mi, i sofferenti, non porta-no in sé solamente il desi-derio di guarire, ma anchequello di vivere cristiana-mente la propria vita, arri-vando a donarla come auten-tici discepoli missionari diCristo.A Bernadette Maria donala vocazione di servire i mala-ti e la chiama ad essereSuora della Carità, una mis-sione che lei esprime in unamisura così alta da diven-tare modello a cui ogni ope-ratore sanitario può fare rife-rimento. Chiediamo dunque all’ImmacolataConcezione la grazia di saperci sempre relazio-nare al malato come ad una persona che, cer-tamente, ha bisogno di aiuto, a volta anche perle cose più elementari, ma che porta in sé il suodono da condividere con gli altri.Lo sguardo di Maria, Consolatrice degli afflitti, illu-mina il volto della Chiesa nel suo quotidiano impe-gno per i bisognosi e i sofferenti. I frutti preziosidi questa sollecitudine della Chiesa per il mon-do della sofferenza e della malattia sono motivodi ringraziamento al Signore Gesù, il quale si èfatto solidale con noi, in obbedienza alla volon-tà del Padre e fino alla morte in croce, perché l’u-manità fosse redenta. a solidarietà di Cristo, Figlio di Dio nato da Maria,è l’espressione dell’onnipotenza misericordiosadi Dio che si manifesta nella nostra vita – soprat-tutto quando è fragile, ferita, umiliata, emargina-ta, sofferente – infondendo in essa la forza del-la speranza che ci fa rialzare e ci sostiene. Tantaricchezza di umanità e di fede non deve andaredispersa, ma piuttosto aiutarci a confrontarci conle nostre debolezze umane e, al contempo, conle sfide presenti in ambito sanitario e tecnologi-co. In occasione della Giornata Mondiale del Malatopossiamo trovare nuovo slancio per contribuirealla diffusione di una cultura rispettosa della vita,della salute e dell’ambiente; un rinnovato impul-so a lottare per il rispetto dell’integralità e delladignità delle persone, anche attraverso un cor-retto approccio alle questioni bioetiche, alla tute-la dei più deboli e alla cura dell’ambiente.In occasione della XXV Giornata Mondiale del Malatorinnovo la mia vicinanza di preghiera e di inco-raggiamento ai medici, agli infermieri, ai volon-

tari e a tutti i consacrati e le consacrate impegnatial servizio dei malati e dei disagiati; alle istituzioniecclesiali e civili che operano in questo ambito;e alle famiglie che si prendono cura amorevolmentedei loro congiunti malati. A tutti auguro di essere sempre segni gioiosi del-la presenza e dell’amore di Dio, imitando la lumi-nosa testimonianza di tanti amici e amiche di Diotra i quali ricordo san Giovanni di Dio e san Camillode’ Lellis, Patroni degli ospedali e degli operato-ri sanitari, e santa Madre Teresa di Calcutta, mis-sionaria della tenerezza di Dio.Fratelli e sorelle tutti, malati, operatori sanitari evolontari, eleviamo insieme la nostra preghiera aMaria, affinché la sua materna intercessione sosten-ga e accompagni la nostra fede e ci ottenga daCristo suo Figlio la speranza nel cammino dellaguarigione e della salute, il senso della fraterni-tà e della responsabilità, l’impegno per lo svilup-po umano integrale e la gioia della gratitudine ognivolta che ci stupisce con la sua fedeltà e la suamisericordia.

O Maria, nostra Madre, che in Cristo accogli ognuno di noi come figlio,sostieni l’attesa fiduciosa del nostro cuore,soccorrici nelle nostre infermità e sofferenze,guidaci verso Cristo tuo figlio e nostro fratello,e aiutaci ad affidarci al Padre che compie gran-

di cose.

A tutti voi assicuro il mio costante ricordo nellapreghiera e vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

8 dicembre 2016, Festa dell’Immacolata Concezione

Francesco

1212 FebbraioFebbraio20172017

Paola Springhetti*

SServe una nuova ecologia dei social, chevalorizzi quanto di sano e fruttuoso vi esi-ste, ed emargini l’odio e la cattiveria. Ma

serve anche un ampio impegno educativo che rimet-ta la ragione e il dialogo al centro. La campagnareferendaria, gli ultimi eventi politici, le barricatecontro i rifugiati... tutto negli ultimi mesi (o forseanni?) diventa spunto per rigurgitare sui social net-work insulti, minacce, discorsi di odio. Una giovane donna di 31 anni nel settembre scor-so si è suicidata, perché non sopportava gli insul-ti che le arrivavano dai social dopo che un suovideo erotico era diventato virale in rete. Il nume-ro degli adolescenti che entrano in depressionea causa del cyberbullismo, qualcuno anche pen-sando o tentando il suicidio, non si conta più. Personaggidi rilievo della politica italiana twittano grevi insul-ti agli avversari o li urlano nei microfoni, e non sene vergognano. Laura Boldrini - chemagari non sarà un mostro di sim-patia ma è pur sempre la presidentedella Camera - ha pubblicato suFacebook un florilegio degli insul-ti che quotidianamente le arriva-no da privati cittadini, non si sa benebasati su cosa. Del problema dell’hate speech (cioèdei discorsi d’odio) in Internet e soprat-tutto sui social network, cioè neiluoghi in cui i cittadini si esprimo-no più facilmente e senza filtri, sidiscute da tempo, senza trovare il bandolo dellamatassa. Perché le persone sono così rancoro-se? Che cosa guadagnano dall’offesa, spesso gra-tuita? Perché lo fanno non solo gli adulti nei con-fronti di altri adulti, ma i ragazzi nei confronti dialtri ragazzi? Perché lo fanno i politici, alcuni deiquali assai più dediti a offendere gli avversari, chenon ad argomentare le proprie ragioni? Uno dei temi di cui maggiormente si discute è seloro, i social network, c’entrino o non c’entrino intutto questo. Quando sono nati, tutti abbiamo dato

loro il benvenuto: si aprivano nuovi spazi di liber-tà, attraverso i quali i cittadini potevano esprimersi,confrontarsi con gli altri, stringere reti. Invece sonodiventati ambienti in cui chiunque - dai terroristiinternazionali alla casalinga del terzo piano - puòprovare l’ebbrezza della rissa, della violenza ver-bale, delle bufale diffuse ad arte per screditarechi la pensa diversamente, delle minacce senzalimiti, del fare male agli altri. La responsabilità è di chi pubblica i contenuti, nondi Facebook o di You tube o di Twitter e via elen-cando. Eppure, questi signori che con la gestio-ne dei nostri dati accumulano soldi e potere, qual-che cosa possono fare. Nel maggio scorso Facebook,Twitter, Google, che è proprietario di YouTube, eMicrosoft hanno firmato con la Commissione euro-pea un codice di condotta contro l’odio on line.Tra l’altro, si sono impegnati a rimuovere testi, fotoe video con contenuti “discriminatori” entro 24 oredalla pubblicazione. A sei mesi di distanza, Repubblica

ha pubblicato i dati raccolti dalle associazioni edagli enti (per l’Italia l’Unar) incaricate di monito-rare il tutto, e si è visto che, per ora, l’impegnonon è onorato. In cinque settimane, le associazioni hanno fattoarrivare ai big di Internet 600 denunce: contenu-ti antisemiti, soprattutto (23.7 per cento dei casi),e poi contro i cittadini che provengono dai Paesipoveri (21 per cento), e poi contro islamici, per-sone di colore, zingari. Facebook è intervenutorimuovendo i contenuti per il 28.3 per cento del-

le segnalazioni, Twitter nel 19.1 per cen-to dei casi e YouTube nel 48.5, ma lohanno fatto soprattutto a fronte di unasegnalazione “ufficiale”, molto meno quan-do la segnalazione arrivava da privaticittadini. E comunque, solo nel 40 percento dei casi le denunce sono state esa-minate entro le 24 ore.Il mondo cattolico non è esente da tut-to questo. Succede che anche lebacheche di cattolici praticanti trasudi-no rancore e odio. Soprattutto i gruppie i siti arroccati su posizioni di estremaconservazione religiosa, sociale e poli-tica, hanno aggiunto al catalogo dei sog-getti da odiare - che condividono congli altri - tutti coloro che osano dirsi cat-tolici, nonostante la pensino diversamenteda loro, e qualche volta perfino il Papa,origine e fulcro, secondo loro, di tutti imali della contemporaneità.È vero che viviamo nell’epoca della postverità e delle sensazioni, in cui ancheleader politici di vasto seguito invitano

a votare con la pancia, quindi accantonando lefatiche della ragionevolezza. Ma i cristiani han-no, nel loro Dna, due valori importanti, che defi-niscono il loro modo di essere presenti nella moder-nità, diverso da quello di altre religioni. Il primo èla ragione. Tema tanto amato e tanto ripropostoda Benedetto XVI, che a Ratisbona ha invitato atrovare «Il coraggio di aprirsi all’ampiezza dellaragione, non il rifiuto della sua grandezza». Il secon-do è il dialogo, tema caratterizzante il papato diFrancesco, che continuamente invita ad abbat-tere muri, costruire ponti, accogliere e abbracciate.Ragione e dialogo vanno di pari passo, si nutro-no vicendevolmente.Se poco possono o vogliono fare i big dei socialnetwork contro l’hate speech, molto può e devefare la Chiesa, che tra l’altro è capillarmente pre-sente in essi, con le sue varie articolazioni. Serveuna nuova ecologia dei social, che valorizzi quan-to di sano e fruttuoso vi esiste, ed emargini l’o-

dio e la cattiveria. Ma serve ancheun ampio impegno educativo in allean-za con la scuola e con le famiglie,che rimetta la ragione e il dialogoal centro del nostro approccio colmondo. Ne hanno bisogno le nuo-ve generazioni, ma anche quelle adul-te. Ne hanno bisogno i social net-work, che però sono solo il luogoin cui esprime l’odio che nasce altro-ve, e dunque ne hanno bisogno i luo-ghi di questo altrove: la politica, soprat-tutto, ma anche la società. E la Chiesa

stessa. Costruire una società su scelte fatte conla pancia è impossibile. Ti porta a chiedere a unoStato estero come il Vaticano di pagare l’affittoper i musei che si trovano nel suo territorio. Ti por-ta a rifiutare l’accoglienza a una ventina di mam-me e bambini richiedenti asilo. Ti porta a crede-re a qualunque bufala purché ti confermi nella tuaidea. Se sulla ragione e sul dialogo vince la pan-cia, davvero ci aspettano tempi malati.

*da “Vino Nuovo” 14 dicembre 2016

1313FebbraioFebbraio20172017

continua a pag.14

M. P. Turiello*

LLo spunto per la riflessione mi viene offer-to dai recenti eventi di cronaca nera chehanno visto vittime donne uccise da com-

pagni, fidanzati, mariti. Tutti ci chiediamo “per-ché” …C’è senza dubbio una recrudescenza diomicidi in cui le vittime sono don-ne, come leggiamo dalle cronachenere di questi ultimi tempi. E del restoil termine ‘femminicidio’ esprime lavolontà del legislatore di sanziona-re in modo esemplare questi casi.Peccato che nessuno sembra ave-re la minima idea di cosa scateni lafollia omicidiaria. Infatti in molti casi, se non in tutti,la follia scatta perché il soggetto nonriesce a tollerare di perdere la per-sona ‘amata’. In altre parole, non siè in grado di tollerare la perdita del-l’altro che, suo malgrado, è diven-tata un ‘sostituto affettivo’ di una figu-ra interna fonte di sofferenza e fru-strazione. Ciò mette in evidenza il‘ruolo primario’ della madre nello svi-luppo del futuro adulto. Le relazioni significative precoci infor-mano, nel bene e nel male, le nostrerelazioni attuali. Le radici della vio-lenza, sia essa autodiretta che ete-rodiretta, vanno rintracciate nella nostrainfanzia. Un’infanzia tutt’altro che feli-ce…con buona pace dello stereo-tipo della famiglia felice come quella, per inten-derci, del ‘mulino bianco’. Il fatto è che accet-tare di non essere stati amati e accettati per quel-lo che eravamo comporta una ferita narcisisti-ca e affettiva profonda ed un dolore intollera-bile che non intendiamo più rivivere e così li rimuo-viamo. In questo modo saremo preda del freudiano ‘ritor-no del rimosso’, per cui la sofferenza cacciatadalla porta, rientra dalla finestra. Risultato: vivre-mo nel” qui e ora’ e a pagarne le spese saran-no le persone con cui interagiamo nella vita quo-tidiana. Davvero gli esseri umani sono affetti dauna intrinseca distruttività che, le norme cultu-rali e religiose cercano di tenere sotto control-lo? In altre parole, secondo alcuni a partire daFreud, la coscienza umana deve mediare tra dueistanze opposte: il super Io è ‘la bestia umana’.Ma vediamo perché sono più frequenti gli omi-cidi ‘femminili‘ rispetto a quelli ‘maschili’.Gli uomini uccidono le donne perché non riesco-no a tollerare di essere stati abbandonati. Nonsi rendono conto che i propri vissuti di abban-dono sono così laceranti e intollerabili perchésono dovuti ad angosce di abbandono pregressee mai elaborate. Così accade che un episodio

di perdita attuale, come la perdita imminente del-la propria compagna o moglie che sia, non fache ‘ATTIVARE’ schemi di abbandono pregressiche l’adulto, ex bambino negato, si porta den-tro non risolti e mai ‘mentalizzati’. Ovviamenteci sono anche casi in cui è la compagna a nonriuscire a tollerare la perdita del compagno. Tuttavia

è innegabile che tali episodi siano percentual-mente molto più ridotti. Probabilmente ciò è dovu-to a due ordini di fattori:la propria compagna viene ‘plasmata’ dagli sche-mi relazionali relativi all’esperienze di attacca-mento insicuro e frustrato con una madre ina-deguata (o chi per essa). E diciamo pure cheè la madre in genere, non il padre, il primo ogget-to d’amore del bambino. Infatti l’imprinting filia-le si forma nei primi sei/otto mesi quando a pren-dersi cura del bambino è soprattutto la madreo ‘chi’ per essa. L’importanza dell’imprinting è fondamentale poi-ché “marca” il cervello del piccolo che, da allo-ra in poi, non cercherà che essa come mèta pre-ferenziale di soddisfazione dei suoi bisogni diaccudimento, protezione e sostegno. Certo, piùtardi si formerà un legame affettivo molto forteanche col padre, ma l’imprinting fa si che “Il pri-mo amore non si scordi mai” e se il legame pri-mario è stato fonte di delusione, di svalutazio-ne, di colpa e frustrazione succede che questasofferenza legata alla relazione primaria “nonsi scorderà mai”. Non solo. Ma poiché le nostrerelazioni adulte risentono e sono letteralmente“plasmate” da quelle pregresse, la propria com-

pagna diventerà un ‘sostituto’materno e ci aspetteremo dalei (in modo inconsapevole) diessere prima o poi abbando-nati. E i casi di gelosia pato-logica o ossessiva nonché divera paranoia sono, spesso,

causa di omicidi.In questo modo si comprende come un lega-me attuale sia ‘informato’ da aspettative e pre-visioni che hanno la loro origine in un altro tem-po e in un altro luogo.2) Non dimentichiamoci che la società è, mal-grado gli ostentanti progressi nell’acquisizione

di diritti alle donne, tutt’ora maschilista! Infattinon è un caso se, ancora oggi, gli uomini che‘vanno a donne’ sono “veri maschi” mentre selo fanno le donne sono “poco di buono”. Nonsolo. Sentiamo spesso parlare della prostituzionecome ‘mestiere più vecchio del mondo’. Nella creazione, invece, Dio crea la donna dauna costola di Adamo. Del resto anche la psi-coanalisi, al suo sorgere, non si è discostata mol-to da questa ‘visione svalutante’ della donna:basti leggere gli scritti di Freud sulla presunta‘passività femminile’. Ma la smettiamo di deru-bricare le donne a ‘esseri di serie B’? Certo ledonne occupano, nelle culture occidentali,posizioni sempre più rilevanti. Tuttavia ci sono ‘grosse sacche di dominio maschi-lista’ dure a morire le quali, proprio perché piùvelate e meglio dissimulate, sono difficili da estir-pare. Se poi guardiamo al mondo islamico, com-prendiamo come essi stiano vivendo il suo ‘medioe-vo’ in cui la donna è un dominio esclusivo delmaschio. A suo ‘uso e consumo’. Per questo motivo esiste ancora, come retag-gio di questi ‘disvalori culturali’, nella nostra socie-tà il concetto di ‘POSSESSO’ della donna. Cioè:tu sei mia e se non lo vuoi essere non sarai di

1414 FebbraioFebbraio20172017

segue da pag. 13

prof. Massimiliano Postorino*

EEra un giorno gelidod’autunno, in unastanza dell’ospeda-

le con la finestra dai vetri opa-chi e antichi, trafitti dai rag-gi di un sole al tramonto. Inuna stanza come tante, inun ospedale qualunque,volgeva al termine la storiadi una vita giovane nello scenario doloroso e familiare comune a tuttele vicende, che un medico vive nella sua carriera. Simone, questo ilnome del ragazzo sedicenne, aveva combattuto coraggiosamente conla famiglia una guerra senza fine contro la malattia, fatta di battaglie dure,di alterne vicende, con piccole vittorie e ricorrenti, più amare sconfitte.Io, giovanissimo medico appena laureato, avevo vissuto con Simone laparte finale di questa battaglia e una grande amicizia era ormai nata franoi. Quella sera io, la mamma e la caposala eravamo accanto al suoletto, in un silenzio assordante scandito dal respiro stanco ed affanna-to del ragazzo. Il suo volto era paradossalmente sereno, di quella serenità che nascedall’abbandonarsi esausti ad un destino inevitabile. Da giorni eseguivale dosi di morfina e ad un tratto mi chiese: “Fammi fare la morfina comeogni giorno, ma poi voglio che rimanga tu a tenermi la mano e fai usci-re tutti;…voglio pregare solo con te”. A tutti colpì questa richiesta e ave-vamo compreso che sentiva la sua fine vicino; tuttavia quel sorriso, purfra l’affanno e i dolori, era così intenso che non ti permetteva di far usci-re neppure una lacrima, quasi un appello a tutti noi a tirar fuori il corag-gio in quel momento. Feci quanto aveva chiesto e presi la sua mano;mi disse: “Rimani accanto a me, mamma non è pronta…. voglio pre-gare Dio, io che non ci ho creduto poi tanto,…ma quando me ne par-lavi, ci pensavo e anche se ti prendevo in giro, ci riflettevo. Mi parlavidi questo Spirito Santo che è nell’anima di tutti noi e che ci rende immor-tali: non so se è vero, ma crederci mi rende più sereno e lo scoprirò pri-ma di te”…e fece un sorriso che non scorderò mai!!Per quanto forti e con un sorriso amaro sui volti di entrambi, non riuscim-mo a trattenere le lacrime e insieme recitammo il Padre Nostro. Poi Simone si addormentò e dopo circa un’ora sentìì la mano allentar-

si e il battito finire… Il suovolto aveva mantenuto finoalla fine quel sorriso.Chiamai la mamma e cor-si via a piangere di nasco-sto le prime lacrime di medi-co. Ancora non sapevonasconderle, ma ero con-scio che avrei imparato pre-sto a farlo in questomestiere.

Le parole di Simone mi avevano insegnato che il più difficile tra i com-piti di un medico non è guarire ma alleviare ogni tipo di sofferenza, soprat-tutto la disperazione di fronte alla morte. Non esistono farmaci, né vigliac-che ed egoistiche filosofie di eutanasia che ti permettono di aiutare unpaziente terminale e la sua famiglia. Nella mia vita e nella mia esperienza di medico ho imparato che soloun’arma uccide la morte: l’amore. Se da medico o infermiere o sempli-cemente amico avrai il coraggio di donare amore a chi sai che poi mori-rà e alla sua famiglia, accettando la sofferenza interiore che quel cal-vario ti porterà, allora riuscirai a donargli quell’incomprensibile forza chenon nasce dalla disperazione, bensì dalla serenità di aver avuto amo-re e di averne dato fino alla fine. Può sembrare impossibile ma nellamia esperienza ho visto persone atee morire con serenità quando intor-no a loro hanno sentito amore e lo hanno condiviso. L’amore genera grazia, l’amore genera serenità e bellezza anche lì dovec’è dolore e morte. Una carezza sul volto di questi pazienti, sul volto diquesti amici o un sorriso dolce ai familiari, che non si sentono perciòabbandonati ma abbracciati, amati e compresi, li aiuterà a superare quel-la dura prova. Allora la morte è davvero sconfitta!!.. Per chi ha fede, perchè il suo spirito rimarrà in eterno col Padre; per chiè ateo o agnostico, perchè l’amore dato e ricevuto sarà un ricordo cosìdolce che il dolore non potrà mai macchiare. Credo che non solo perun medico ma per ogni amico che ha un conoscente in tali situazioni,l’atto di misericordia più grande sia proprio amare l’amico terminale ela sua famiglia, prima che sorella morte arrivi. L’amore, in fondo, è lapiù grande e unica sconfitta della morte.

*Cattedra di Malattie del Sangue Università degli studidi Tor Vergata - Roma

nessuno!! Naturalmente il motivo per cui gli uomi-ni uccidono e sopprimono a cuor leggero i pro-pri simili, prescindendo dal genere, sta nella espe-rienza di assoluta mancanza di rispetto che mol-to presto i bambini devono subire. In questi casi la ‘vittima INCONSAPEVOLE’ diven-terà carnefice. Non dimentichiamo che la rab-bia che il bambino ha dovuto rimuovere, diven-ta distruttività. La violenza è una ‘perversione’della normale aggressività umana. Essa fa rife-rimento all’aggressività umana privata del suo

ruolo funzionale, fine a sé stessa. Infatti non vaconfusa la aggressività ‘competitiva’ da quella‘distruttiva’. La prima ha come mèta la defini-zione dei rapporti di rango per cui è funziona-le alla sopravvivenza e al benessere di una col-lettività nel momento in cui è finalizzata a ‘met-tere la persona giusta al posto giusto’.L’aggressività rivolta verso i propri simili è meradistruttività senza fine né scopo. Pertanto la distrut-tività umana è una degenerazione della normalerabbia umana che non ha potuto esprimersi in

modo funzionale nel momento in cui è stata atti-vata dall’incapacità di amare della figura primaria.Perciò l’aggressività umana è ‘secondaria’ a pre-gresse frustrazioni non elaborate. Altrimenti ildetto “Occhio per occhio dente per dente” ren-derebbe l’umanità cieca...alla faccia dellasopravvivenza della specie!

*Direttore AISPAC

Nell’immagine del titolo: Murder in the house, Jakub Schikaneder 1890

1515FebbraioFebbraio20172017

Antonio Bennato

MMi fa piacere sbucare da dietro que-sta pagina con l’indovinello diSansone: ecco, mentre ascoltavo con

voi il giovane missionario di Aquisgrana (cfr. Ecclesiadi dicembre), io ci pensavo e mi sembrava divedere un leone, un leone di sovrana fierez-za, più di quello di Sansone, di fronte al qua-le nessuno può rimanere imboscato. La cosastava andandomi di traverso, ma poi mi sonodetto: “Solo chi è forte gli romperà il collo.” Lui, il missionario, è stato forte, ha saputo rom-pere l’inquietudine del cuore - alla fine, è di que-sto leone che si tratta, dell’inquietudine - e leapi, dentro lo scheletro, ci hanno fatto un favodi miele. L’inquietudine, in verità, è come unasaggezza sempre in corsa, è il vincastro di unpastore vigilante che spinge a un cambiamento.Ma può anche far tremare. Si trema quando sirientra in casa senza che venga in mente unasola speranza, e non si trova riposo nemme-no se ci si distende sul proprio letto; e l’indo-mani di nuovo si esce con una crudele insod-disfazione nell’anima, e non c’è strada che por-ti fuori dal vuoto. Qui si entra in una grande sfi-da. Anche Dio ci entra. Lui la prende molto sul serio. Si presenta allaporta con dei capelli scompigliati dalla corsa ebussa: “Adam, ubi es?“ Vorrebbe poter span-dere sulle ferite il suo balsamo, e questo per-ché oltre l’inquietudine, oltre il suo profondo, c’èuna innocenza da recuperare.Qualcuno fa il ragazzaccio, e nonapre. Non risponde. Sta pensando che ad ogni modoè meglio acquietarsi in mezzo agliamici. Strani, quegli amici, però. Va’ pure, dice Dio, mi prenderò curadi te mettendo una pungente nostal-gia nel tuo petto finché capirai chela tua strada è impraticabile e latua quiete non è facile come cre-di. Adam andrà dove vuole. Se andrà nella foresta dovrà veder-sela contro le voci dei castagni edelle querce perché quelle vocihanno una risonanza di Chi lo chia-ma. Se andrà per mare sarà impor-tunato in mille modi dal suono del-la sua liquida luce. In città, poi, si guarderà intorno

e se la vedrà contro la gente; vi si muoverà conla rabbia di fare i conti con tutti. Ma finalmen-te viene il giorno in cui si compie la speranzadi Dio. Adam, non spacciandosi più bugie, riconoscedi essersi affidato al vuoto dove pochi sono glislanci, pure insipidi; riconosce in sé la nostal-gia di un vero Respiro che dia vita: ed ecco,comincia a vedere le cose in modo diverso. Cominciaa sentirsi cercato da Dio. Questo riconoscersi, questo sentirsi cercato, que-sta voglia di ascoltare la nostalgia così similead una freccia nel petto, tanto spesso, discen-de da una testimonianza o da un evento che,riversato nell’intimo, viene riconosciuto comevoce, manifestazione di Dio. Ricordate il cen-turione sul Golgota? All’improvviso, si era fat-to buio. Ci fu un terremoto. Il centurione si stu-pì. Fece silenzio. Riconobbe che colui che pen-deva dalla croce era veramente Figlio di Dio. Oggi anche a noi vengono dati dei segni. Al segnodeve seguire il silenzio. Mi rendo conto che faresilenzio è cosa molto lontana da noi. Il silen-zio oggi va cercato come lo cerca un monaco.Meglio cercarlo che aspettarlo. Se lo si aspet-ta potrebbe accadere che se ne sia sopraffat-ti: ad un angolo della vita, un evento o una testi-monianza, riversato come una tempesta, svuo-ta l’anima di parole, la fa entrare in uno stuporeamaro, quasi la costringe ad ascoltare qualcosache non ha mai voluto ascoltare. Angoscia. Silenzio.La necessità spinge ad aprire a Chi bussa: Dioè ancora lì - che meraviglia! - lì davanti all’a-

nima, e la invita a rivestirsi di un’altra violen-za, la invita ad attaccare con forza i cieli e aprendere dalla sofferenza dei cieli la dolcezzadella pace. “I cieli soffrono violenza” disse Gesù. Inizia cosìuna guerra profonda contro il leone che vuolefarla indietreggiare in un passato disperato. Se l’anima prende seriamente questa guerra,la comincia con le ginocchia; si pone giù a ter-ra per ritrovare una candida preghiera che lametta in sicurezza. Il mondo contro tale sicu-rezza canta la sua libertà con il clamore dei por-celli sgozzati. Ma Adam ha rafforzato la sua volon-tà quando, sentendo il bisogno della bellezzadei fiori, è uscito fuori nel proprio giardino perascoltare ciò che la loro grazia e umiltà ave-vano da confidargli. La viola gli ha confidato dinon avere ansietà di fronte alla rosa e la rosadi non prendere mai il volo per mostrarsi fuoridell’ordinario; la margherita, il narciso, l’iris, laninfea, si sono fatti vedere interessati ai pro-pri petali con entusiasmo senza desiderare diessere qualcosa di diverso. Durante un inverno, ha osservato che il fred-do faceva di tutto per impedire ad un croco, aduna primula, di sbocciare; ma un croco, poichési trattava del bello comune, insorgeva controil freddo con il suo nascosto, oscuro lavoro. Adam, che ha imparato dal croco, ha capito dipoter insorgere ma non per darsi da fare aspi-rando - come fece In Principio il nostro proge-nitore - a cose superiori alle proprie forze e non

Nell’immagine: Gesù Cristo risorto scende agli inferi in

cerca di Adamo e di tutta l’umanità,Mantegna, 1492, Princeton.

continua nella pag. 17

1616 FebbraioFebbraio20172017

Paola Cascioli*

IIl 2016 appena trascorso è stato caratterizzato da una crisi economicadura e crescente che ha attanagliato le famiglie e le persone piùfragili. Sono state sempre di più le persone che si sono recate pres-

so i Centri di Ascolto delle Caritas, presso gli uffici dei Servizi Sociali odi Enti benefici di vario tipo in cerca di aiuto.I problemi più gravi delle famiglie sono stati quelli relativi al lavoro, segui-ti da quelli abitativi, di salute, familiari. Gli aiuti ricevuti sono stati con-tributi economici diretti o indiretti (compartecipazione a spese sanitarie,per abitazione…), beni materiali e di prima necessità. Meno frequentisono gli aiuti erogati sotto forma di servizi: tra i ritenuti più utili quelli diaccoglienza ludico ricreativa, educativa, residenziale, di sostegno allevittime di abusi e violenze, l’abbattimento delle tariffe di servizi di soste-gno socio educativo. La mancanza di aiuti percepita come più grave riguarda i servizi di assi-stenza socio sanitaria e abitativa. Questo quadro rispecchia la realtàdel nostro territorio diocesano dove le Caritas parrocchiali toccano conmano quotidianamente quali siano le necessità delle persone. Le par-rocchie non possono da sole soddisfare tutti i bisogni emergenti né devo-no farlo: per meglio operare è sempre consigliabile agire in rete con glialtri servizi del territorio: questa è la buona pratica che vorrebbe avvia-re la misura di contrasto alla povertà che il nostro Governo ha introdottoper la prima volta lo scorso 2016. Si tratta di una misura strutturale dilotta contro la povertà indirizzata alle famiglie in difficoltà con figli chein Europa solo l’Italia e la Grecia non avevano ancora introdotto. Per questo motivo l’Europa aveva lanciato al nostro Governo un ulti-matum per l’adeguamento dell’Italia alle misure di conformità con il Pattodi stabilità e crescita europeo. Grazie a questa misura tali famiglie beneficeranno di risorse economi-che e reti di sostegno per costruire percorsi di attivazione sociale e lavo-rativa. Si tratta del SIA (Sostegno all’Inclusione Attiva), per il quale

sono stati stanziati 750 milioni di euro ripartiti a livello regionale in basealle condizioni di povertà e disagio economico della popolazione in ognisingola area. Per accedere al SIA è necessario essere cittadino italia-no o comunitario o suo familiare titolare del diritto di soggiorno o deldiritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino straniero in possessodel permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; esse-re residente in Italia da almeno 2 anni e possedere determinati requi-siti di natura economica e familiare**. Dal 2 settembre scorso i cittadini in possesso dei requisiti possono pre-sentare richiesta ai Comuni. Per accedere al beneficio il nucleo fami-liare del richiedente dovrà ottenere un punteggio relativo alla valutazionedel bisogno che tiene conto dei carichi familiari, della situazione eco-nomica e della situazione lavorativa. Sono favoriti i nuclei con il mag-gior numero di figli minorenni, specie se piccoli (età 0-3); in cui vi è ungenitore solo; in cui sono presenti persone con disabilità grave o nonautosufficienti. I requisiti familiari sono tutti verificati nella dichiarazione presentata afini ISEE. La valutazione del bisogno per l’accesso al beneficio servead evitare che le persone ricevano aiuto senza averne bisogno. L’aiutoconsiste in un contributo economico, direttamente proporzionale alla nume-rosità del nucleo, che viene accreditato per un anno con cadenza bime-strale sulla carta SIA rilasciata dal gestore del servizio, Poste Italiane.Per godere del beneficio, il nucleo familiare del richiedente dovrà ade-rire ad un progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa penala sospensione del contributo economico.Il progetto dovrebbe essere attuato dai servizi sociali dei Comuni in col-laborazione con gli altri servizi del territorio (i centri per l’impiego, i ser-vizi sanitari, le scuole,) il terzo settore, le parti sociali e tutta la comu-nità. Il progetto viene costruito insieme al nucleo familiare sulla base diuna valutazione globale delle problematiche e dei bisogni e coinvolgetutti i componenti, instaurando un patto tra servizi e famiglie che impli-ca una reciproca assunzione di responsabilità e di impegni che si con-

continua nella pag. accanto

1717FebbraioFebbraio20172017

cretizzano nel mantenere i contatti con i ser-vizi, nella ricerca attiva di lavoro, nell’adesio-ne a progetti di formazione, nella frequenzae nell’impegno scolastico, nella prevenzionee tutela della salute. L’obiettivo è migliorare le competenze, poten-ziare le capacità e favorire l’occupabilità deisoggetti coinvolti; fornire loro gli strumenti per fronteggiare il disagio, rin-saldare i legami sociali e riconquistare gradualmente il benessere e l’au-tonomia. Oltre che per la sua importanza intrinseca come misura di contrasto allapovertà, il SIA rappresenta una opportunità di ridefinizione delle moda-lità di intervento a livello locale sulla povertà. Per questo motivo le Caritas del territorio sono interpellate da questamisura di contrasto alla povertà: potranno infatti svolgere un importan-te azione informativa presso le persone che accedono ai Centri di Ascoltoe ai propri servizi, verificando l’esistenza dei requisiti di base per l’ac-cesso da parte di questi ultimi alla misura (presenza di figli minori, dipersona disabile con almeno un genitore e di una donna in stato di gra-vidanza accertata) ed eventualmente orientando alla rete dei soggettiterritoriali (Servizi Sociali o Caf) in grado di supportare le persone nel-la compilazione della domanda; potranno stimolare un primo confron-to con l’amministrazione locale e partecipare alla costituzione di equi-pes multidisciplinari per la definizione dei progetti personalizzati di pre-sa in carico dei soggetti beneficiari.Questo processo è una opportunità da cogliere da parte delle Caritasdiocesane e parrocchiali per capire meglio cosa sta avvenendo nellapropria realtà locale ed offrire un contributo significativo e utile al suocomplessivo miglioramento.La sfida è lottare contro la povertà con le persone valorizzandone le capa-cità, le responsabilità e le libertà evitando risposte che si riducono a pre-

stazioni e trasferimenti (di denaro o di beni) che dere-sponsabilizzano e favoriscono l’assistenzialismo.

Requisiti familiari: presenza di almeno un componenteminorenne o di un figlio disabile, ovvero di una don-na in stato di gravidanza accertata (nel caso in cuisia l’unico requisito familiare posseduto, la doman-

da può essere presentata non prima di quattro mesi dalla data presuntadel parto e deve essere corredata da documentazione medica rilasciatada una struttura pubblica);

Requisiti economici: ISEE inferiore o uguale a 3mila euro;

Non beneficiare di altri trattamenti economici rilevanti: il valore com-plessivo di altri trattamenti economici eventualmente percepiti, di natu-ra previdenziale, indennitaria e assistenziale, deve essere inferiore aeuro 600 mensili;

Non beneficiare di strumenti di sostegno al reddito dei disoccu-pati: non può accedere al SIA chi è già beneficiario della NASPI, dell’ASDIo altri strumenti di sostegno al reddito dei disoccupati;

Assenza di beni durevoli di valore: nessun componente deve pos-sedere autoveicoli immatricolati la prima volta nei 12 mesi anteceden-ti la domanda oppure autoveicoli di cilindrata superiore a 1.300 cc o moto-veicoli di cilindrata superiore a 250 cc immatricolati nei tre anni ante-cedenti la domanda.

*Caritas diocesana

Fonti: Caritas Italiana; Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; Studi Zancan, T. Vecchiato “Contrasto della povertà e riordino dei servizi sociali”.

mangiando corruzione per stare ad armi pari difronte ai corrotti. Ora Adam sa insorgere perché sa, come diceDivo Barsotti, che: “E’ nell’intimo che tutto il mon-do è salvo con me, perché in me è tutto il mon-do, la pena di tutti, il peccato di tutti…” Sa che c’è un martirio nascosto ancheper lui se vuole essere contento diciò che ha e di ciò che è, e non sta-re in agguato per diventare quelloche non è, per avere quello che nonha. Con forza rompe il collo ad ogniinvidia, gelosia, rancore, violenza eintanto sale per il sentiero severodove più avanti si va e più ci si sen-te riempiti del Respiro che dà vita. Non c’è cosa migliore se non que-sto farsi fiore di carne a cui Dio donal’aria audace del croco per abbel-lire il mondo invernale. Lo Spirito Santo tiene lo sguardo fis-so sul suo fiore di carne e sorridealla pace che da lui si propaga intor-no come il bel suono di un cornoda caccia e il suono guida altri ver-so la pace e gli altri a loro volta non

risparmieranno le gambe per andare a dire aglistrani amici: “Ci dicevamo che avere pace erauna faccenda complicata: no, è ricompensa allabuona volontà! Domandate pure se è o non ècosì al giovane missionario di Aquisgrana.” Il bello di un uomo che si è guardato bene di

andare incontro al suo leone come un folle, cheè riuscito a spezzargli il collo, è questo: final-mente mastica i cieli, il sorriso di Dio, che sonoquel favo di miele che ci tiene tanto a fare assag-giare all’amico che ancora si corica di sera eannega nell’inquietudine.

segue da pag. 15

1818 FebbraioFebbraio20172017

Tonino Parmeggiani

FFatte le necessarie scorte alimentaridurante lo scalo nell’Isola di Capoverde,il Vascello Hercule, con a bordo i nostri

sei Missionari riprese, il 6 Febbraio 1744, la suarotta di circumnavigazione del continente afri-cano con destinazione Macao, nella grande Cina.Padre Scifoni ci descrive alcuni aspetti sia del-la vita di bordo, durata ben sei mesi di convi-venza, che dei fenomeni naturali che si origi-nano nell’Oceano, pur singolari, ma che nell’e-sperienza marinara erano certamente noti e pre-visti. Da attento osservatore quale era, mantienesempre fede alle premesse fatte all’inizio del ms.,cioè di descrivere, nella realtà, le cose scono-sciute, curiose o solo sentite dire da più fanta-siosi autori, che avesse incontrato così, in que-sti 136 giorni senza scalo, al nostro non rima-ne che osservare l’oceano e la realtà di ogni gior-

no sulla nave.[Cap. 12.] “Quando fummo un poco più avantientro l’Oceano, facendo la Nave il suo corso adirittura verso il mezzo giorno, cominciarono asentirsi alcuni ammalati. Per tale effetto in ogniNave sono due Medici, vi sono altresì medici-ne di ogni sorte, e si fa quanto si può perchégli infermi si riabbiano delle loro malattie; ma quan-do succeda diversamente, il Cappellano gli ammi-nistra gli ultimi Sacramenti, e morto che è l’in-fermo, ne dà subito avviso al Capitano; e imme-diatamente involgono il cadavere nel suo len-zuolo medesimo, su cui è morto, e lo cucionoda per tutto, à i piedi gli pongono, o arena, odue palle di cannone, gli cuciono sopra il len-zuolo una piccola Croce, e lo lasciano da unaparte col lume, e Crocifisso, sino che ilCapitano comandi, che si getti in mare: intan-to, seguita la morte, il Cappellano, ed altri Religiosi,se vi si trovano, celebrano Messe per l’anima

del defonto, indi avuto l’ordine dal Capitano, pon-gono il cadavere sopra una tavola, e questa viensopraposta sul bordo della Nave, allora il Cappellanocon cotta, e stola, con altri della Comitiva gli fan-no l’esequie in forma del Rituale, ed in fine, alzan-do quella tavola dalla parte di dentro, lascianocadere il cadavere in mare. E’ qui mi viene aproposito il dire, che ogni giorno, essendo noicol Cappellano sette Sacerdoti; celebravamo due,o trè Messe, e le Feste si celebravano con Messa,e Vespro cantato, ed à queste Funzioni della Festatutti dell’equipaggio vi intervenivano”. Veniamocosì a conoscere anche questo aspetto della vitaa bordo, come ‘il funerale in mare’ in quanto lasalma non poteva essere di certo conservataper mesi, e di casi di morte a bordo ce ne furo-no ben 19 lungo il viaggio, vome risulta dal Ruolo;la descrizione del Rito è così precisa che giàdoveva essersi verificato qualche caso. Continua il racconto: “Così camminando, il di 26.di Febraro si vidde un’Isola, ed era quella det-ta l’Acemcaon distante dall’America 60 migliain circa: ed il di 29. passammo il tropico di Capricorno”,[Acemcaon era il nome portoghese dell’Isoladell’Ascensione, allora quasi disabitata; inquanto alla distanza di 60 miglia dall’America,Padre Scifoni deve essersi dimenticato alme-no uno ‘zero’, in quanto la costa del Brasile dis-ta circa 2.000 km!].[Cap. 13.] “Passato il Tropico, cominciammo afare i soliti preparativi per il passaggio del Capodi buona Speranza: si levano tutti i Cannoni, esi ripongono nel fondo della Nave, per levare ilpeso dalle parti [dei ponti superiori, al fine di ave-re una maggiore stabilità della nave, in previ-sione di onde impetuose, tanto fosche ma ancheveritiere erano le leggende che correvano tra imarinai, a causa dell’incontro, in quel luogo postoall’estremità sud dell’Africa, tra i due Oceani Atlantico

Una scheda sull’equipaggio del Vascello Hercule

Proseguendo nella nostra descrizione, non senza curiosità, sul come si svol-geva nel sec. XVIII la vita su una nave, quali i problemi che si presentavanoa bordo ogni giorno, nella navigazione, nella manutenzione dello scafo, nel-l’ordine tra il personale, nella gestione e somministrazione dei cibi: quali figu-re professionali dovevano provvedervi? Per fortuna ci sovviene in nostro aiuto il ‘Ruolo’, ovvero l’elenco nominativodi tutte le persone imbarcate sull’Hercule, proprio nell’armamento’ del Vascello,partito dal porto francese di Lorient il 9 gennaio 1744, alla volta della Cina,pubblicato da Annie Blayo e Jean-Michel André, nell’anno 2010, ‘Role de l’Hercule(1744-1745), desunto dall’ampia documentazione conservata nel Service Historiquede la Défense Lorient, ‘Bureau des classes de Port-Louis’, Sous-séries 2P, n°32-I.17, vedi www.memoiredeshommes.sga.defense.gouv.fr.Nel Ruolo, documento compilato con attenzione prima della partenza, sonoelencati 166 individui ma uno rimase a terra, per cui i 165 si possono suddi-videre in vari ruoli, gradi, e funzioni, iniziando dagli 11 Officiali: Capitano, dueLuogotenenti, tre sotto Luogotenenti, due volontari, uno Scrivano, unCappellano, un Chirurgo; seguono tra i 25 Sottufficiali: due Nostromi, due Contramastro,, due Incaricati per l’ancora, due Addetti alle manovre, cinque Piloti, due Cannonieri,due Carpentieri, due Calafatari (addetti all’impermeabilizzazione delle giunzioni),un Addetto alle vele, due Chirurghi, un Armaiolo, un Maestro dei domestici, unArtigiano dei recipienti in legno. Seguono tra gli altri 119 membri dell’equipaggio: sei Allievi Piloti, settantatréMarinai, un Macellaio, un Cuoco, un Addetto alle vele, quattro Domestici e cuo-chi, un Caporale, dieci Soldati, diciotto Mozzi e quattro membri supplementa-

ri dell’equipaggio. Sono dieci i passeggeri e, oltre ai quattro agenti in rap-

presentanza dell’Armatore, troviamo i nostri sei ‘Religiosi passeggeri’, i cuinomi benché leggermente malscritti o ‘francesizzati’, ci completano il quadrodesunto dal ms. e che vogliamo qui riassumere, con qualche altra informa-zione desunta da diversa fonte: registrati ai numeri d’ordine del Ruolo, 153-158, abbiamo De Saravat Jean Baptiste [da Serravalle, Piemontese, di anni28] e Daulat Odoardo [da Olate, rione di Lecco, dello Stato di Milano, di anni35], entrambi definiti ‘recolletti’, cioè appartenenti ad un Ordine religioso di osser-vanza, in questo caso i Francescani Riformati [erano nel Collegio di S. Pietroin Montorio a Roma destinati, come sapevamo, alle Provincie di Scian-si e Scen-si]; seguono i due Padri domenicani, Suffot (!) Alberto MA, ovvero il nostro ScifoniAlberto Maria [Domenicano della Congregazione di S. Marco di Firenze, dalConvento di Montepulciano, di anni 39] e Mavionny Joseph, ovvero MaccioniGiuseppe Maria [della stessa Congregazione, dal Convento di S. Quirico inRoma, di anni 30, entrambi per la Provincia di Hu-Huang]; inoltre De Sainte-Therèse Joseph, ovvero Giuseppe Maria di S. Teresa, tedesco, CarmelitanoScalzo del Collegio di S. Pancrazio in Roma, destinato per la Corte Imperialedi Pechino, come musico suonatore; in ultimo Lamagna Dominique, ovvero LaMagna Domenico, napoletano, Francescano della Congregazione della SacraFamiglia, che si era aggiunto al gruppo lungo la strada. Per tutti e sei compare la nota ‘passager pour la Chine à la table’ ovvero, costo-ro mangiavano alla tavola degli Ufficiali, come ci conferma anche il ms. quan-do, in ventidue (11 ifficiali ed i passeggeri), mangiarono una grossa tartarugalunga oltre un metro! Un’ altra nota del Ruolo, completato al ‘disarmo’, cioè alritorno, pone il dubbio se i sei Padri siano sbarcati in China oppure avesseroproseguito fino al giorno della confisca da parte degli Inglesi, avvenuta il 5 feb-braio 1745 nell’ Isola di Sumatra. Una curiosità, il soldo, il compenso, variavadalle 200 unità (lire tornesi?) del Capitano, alle 50 – 100 degli Ufficiali, ai 20-40 dei Sottoufficiali, ai 10 - 20 per i Marinai e solo 7 per i Soldati e 6 per iMozzi (questi ultimi sotto i 15 anni!).

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ed Indiano], ed accrescerlo nel fondo; chiudo-no tutte le finestrelle dè Cannoni con incerati,e con i medesimi rialzano il bordo della Nave,si rassodono bene con funi, ò si inchiodano tut-te quelle cose, che possono battersi, o rotola-re entro la Nave, simile diligenza usano con glialberi, tirandone con maggior forza li canapi: muta-no tutte le vele, e ve le pongono nuove [di cer-to più resistenti delle usuali], pigliano insommaogni precauzione, per resistere alla forza del-l’onde in quel pericoloso passo.Frà le altre cose preparano una lunga cordicella,dalla quale riempita una botte sfondata da unaparte, e dirizzata; a questa cordicella attacca-no un gran peso di piombo, nel di cui fondo adat-tano sugna [= grasso di maiale]. Il dì 30. di Marzone viddi l’uso, poiché, quando s’imagina il Pilotodi essere intorno al capo, fermano la Nave, calan-do tutte le vele, indi buttano il detto piombo, pervedere, se tocca il fondo, caso che tocchi, veg-gono nel fondo del piombo qual qualità di are-na porta seco attaccata alla sugna; ed essen-do arena mischiata di piccoli pezzettini di chioc-ciole, ne inferiscono [= deducono] esser vicinial detto Capo [l’uso dello scandaglio era moltoantico, dall’analisi del tipo di materiale del fon-dale che rimaneva attaccato al grasso, si capi-va la distanza dalla costa, essendo altresì le acquepiù torbide e rimanendo sempre in agguato ilpericolo di incagliarsi su scogli sommersi; la naveveniva fermata per avere un test meno pertur-bato]: ed il nostro Piloto disse di vederne il pro-montorio, essendo questo assai alto, dal qua-le distavamo solo 40: miglia: sicchè andavamocon poco vento passando quel tratto di mare,quale per altri alcune volte è sì superbo, e sipericoloso, à segno tale, che il dì 6. Aprile dopocantata la Messa, fù cantato il Te Deum in rin-graziamento all’Altissimo Dio, per un passag-gio fatto con tanta felicità, ed ognuno, che v’e-ra altre volte passato, se ne stupiva. Il giorno appresso veniva dalla parte del Capoun vento sì gagliardo, che fù giudicata mezzatempesta, e buon per noi, che eravamo già mol-to avanzati fuori del passato pericolo: l’onde era-

no sì formidabili, che salivano sin sopra la navebagnando ogni cosa: insomma nel tempo di 24.ore con detto vento, e poche vele avanzammosopra 250 miglia. Il giorno 23. di Aprile si vid-de altra Isola, che ci rimaneva a man destra, efù riconosciuta per quella di Amsterdam, aven-do di Latitudine sue gradi 39. Dopo qualche giorno una sera si ricopri il cie-lo di dense nubi, mischiate di un rosso moltofosco, e metteva veramente orrore il rimirarlo.Il Capitano con i Piloti non cessava di guarda-re, e fare mille osservazioni, crollavano il capo,temendo in quella notte una fiera tempesta: vole-vamo noi vegliare, ma alla fine, raccomandan-doci al Signore, risolvemmo di andare a dormire.Appena mi colcai nel letto, ci fù detto, che andas-simo sopra, se volevamo vedere il fuoco di S.Telmo, alcuni andarono subito, ed io mi vestijcon fretta per osservare questo fuoco; ma allo-ra appunto, mi dissero gli altri, si era smonta-to. È questo fuoco una piccola facella [= fiam-mella], che và girando, e saltando da una funead un’altra, da questo a quel legno, sopra degl’al-beri”. I fuochi di Sant’Elmo, o S. Erasmo, sonolampi di colore blu, che si manifestano sugli albe-ri maestri, originatisi per la presenza di elettri-cità nell’aria priva di umidità, per cui cessanoall’arrivo delle pioggie. Continua il racconto: “Alcunidicevano esser questo, un presagio di una vici-na tempesta; altri all’incontro affermavano cheera buon segno, e che suol venir questo fuocoin contrassegno del già passato pericolo. La conclusione fù, che riposammo secondo ilsolito, né succedè cosa alcuna di male.Ripassando il Tropico di Capricorno, ci trovammosotto di esso il dì 14. di Maggio, essendo la Festadell’Ascensione [Potrebbe sembrar strano chenon si sia citata in precedenza la Festa di Pasqua,ma ciò è comprensibile perché cadendo in quel-l’anno, il 5 Aprile, era proprio il giorno in cui sistava transitando per il Capo di BuonaSperanza]; dopo quel tempo avemmo un ven-to molto contrario, ed in otto giorni, benchè mol-to corresse la Nave, non si avantaggiò niente,poiché con timore non piccolo andavamo, tor-

navamo, in tutto il detto spazio di tempo, sem-pre intorno a trè scogli, che sono a fior d’acqua,detti, il Trial: dopo otto giorni avemmo vento favo-revole, e camminando si viddero in più luoghi,e più volte alcuni serpenti di mare, che galleg-giavano, di color’ oscuro nella parte superiore,e giallo nell’inferiore, non però molto grossi, nési suppongono velenosi [in letteratura invece ven-gono ritenuti pericolosi]. Si viddero molte balene, qui, ed altrove; eranoassai lunghe, e proporzionalmente grosse, quan-to a la larghezza di un navicello dè nostri fiu-mi, sopra il capo hanno due gran buchi, da qua-li buttano in aria due fonti di acqua, come sareb-bero le due fonti, che sono nella piazza di S.Pietro [curioso il paragone], ma con maggior for-za di fiato, perchè si ode ben da lungi lo stre-pito, e l’acqua è più sparsa, quale nel ricadereforma come una pioggia, per il gran soffio ven-gono questi pesci detti dà Francesi, Soffioni, daGenovesi, Capi d’oglio, e non Balene; sia comesi voglia, è un grand’animale: se ne vidde unomorto, quale galleggiando fuori dell’acqua buo-na parte di esso, sembrava smisurato, sopra delquale era un’infinità di uccellacci, che né man-giava le carni.Camminava entro questo tempo la Nave versol’Oriente, sicchè giungemmo molto vicino allanuova Hollandia [Nuova Olanda, è il nome chevenne dato all’Australia dai primi navigatori olan-desi nel secolo precedente], indi rivoltarono ilcorso a poco a poco al Nord est, per andare incerca dell’Isola, detta Giava [fa parte del gran-de arcipelago indonesiano], ed appunto il pri-mo giorno di Giugno arrivammo à scoprirla nel-la sua parte orientale al mezzo giorno, di Latitudineha gradi 8. e minuti: per lo spazio di dodici gior-ni andavamo sempre a vista dell’Isola, cammi-nando dalla sua parte Orientale, all’Occidente:si vidde in questo passaggio un Vulcano[numerosi sono quelli presenti in queste isole,ma questo potrebbe essere stato il Krakatoa,posto proprio all’inizio dello Stretto della Sonda],quale dalla cima di una montagna tramandavamolto fumo, nel giorno 12. di Giugno entrò laNave nello stretto trà Giava, e Summatra, e giun-ti presso l’Isoletta detta del Principe, situata entrole due dette di sopra, riconobbero il fondo, edavevamo cinquanta braccia di acqua [pari a 33,5mt.], riconobbero altresì il nostro sito, ed era-vamo a gradi 6., e minuti 42. di latitudine sud[si tratta dello Stretto della Sonda, passaggio obbli-gato tra le due grandi isole, per passare dal maredi Giava a sud, al Mar Cinese meridionale a nord].[Cap. 14] In questo luogo gettarono l’ancora, volen-do fare nuove provvisioni.

continua

Nell’immagine a sinistra: Rotta marittima seguita dal Vascello Hercule nel suo viaggioverso la Cina, 9 gennaio - 28 luglio 1744. Ad ogni data sonoriportati i vari eventi, avvistamenti, passaggi e soste accadutidurante i 205 giorni del tragitto. L’ultimo tratto da Giava a Macaoè provvisorio.Si noterà che dal Capo di Buona Speranza fin quasi le vici-nanze dell'Australia, la nave ha mantenuto una rotta pres-soché rettilinea: questo era dovuto al fatto che all'epoca anco-ra non esistevano strumenti esatti per il calcolo della longi-tudine, per cui si navigava seguendo un parallelo, cioè a lati-tudine costante.

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Claudio Capretti

PPer miracoloeucarist ico,intendiamo un

avvenimento sopran-naturale, prodigioso,inspiegabile in termi-ni scientifici, che riguar-da il sacramentodell’Eucaristia, nello spe-cifico, quando avvie-ne una trasformazio-ne, esattamente, quan-do le ostie e il vino con-sacrato si tramutanoin vera carne e verosangue. Di miracoli eucaristi-ci ne sono avvenuti mol-tissimi nel corso del-la storia della Chiesa,alcuni causati dal dub-bio della presenza reale di Gesù nell’Eucaristia,altri legati alla profanazione delle Ostie consa-crate, altri ancora legati a fatti prodigiosi, ed infi-ne, quelli legati alla distribuzione dell’Eucaristia.Sarebbe opportuno citarli tutti in modo da ave-re un’ampia panoramica storica su tali eventi mira-colosi, mi limito a ricordarne qualcuno.

Dubbi sulla presenza di Gesù nell’Eucaristia:Roma, 595 d.C.: Durante una celebrazione euca-ristica presieduta dal Papa San GregorioMagno, al momento di ricevere la SantaComunione, una nobildonna romana cominciòa ridere perché assalita da dubbi circa la veri-tà della reale presenza di Cristo nel pane e nelvino consacrati. Il Papa allora, turbato dalla suaincredulità, decise di non comunicarla e subitodopo le specie del pane si mutarono in carnee in sangue.Lanciano, 750 d.C.: Un sacerdote, nutriva deidubbi circa la reale presenza di Cristo nella SantissimaEucaristia, con il suo vero Corpo, Sangue, Animae Divinità, e mentre celebrava la Santa Messa,nel momento stesso della consacrazione, l’o-stia si trasforma in vera carne e il vino in verosangue. Quindi, le parole della consacrazionesi verificarono alla lettera. Attualmente la car-ne e il sangue sono tutt’ora conservati; nel 1971,il prof. Linoli, dopo un attento esame, dichiaròche si trattava di vera carne e vero sangue uma-no, e lo stesso risultato fu attestato dalConsiglio Superiore dell’Organizzazione Mondialedella Sanità. Dopo 500 esami effettuati nell’ar-co di 15 mesi sulla carne e sangue di Lanciano,che si trattava di carne umana appartenente almiocardio umano, e il sangue vero sangue uma-no appartenente al gruppo sanguinio AB, lo stes-so dell’uomo della Sindone.Bolsena, 1263: Anche in questo caso, a moti-vare il miracolo eucaristico, sono i dubbi di unsacerdote inerenti alla presenza reale di Gesùnell’Eucaristia. Il sacerdote, prega il Signore didargli un segno, così mentre celebra la SantaMessa e consacra le particole, l’ostia si trasforma

in carne da cui fuoriesce il sangue che macchiail corporale. Fu da questo miracolo che papa UrbanoIV, istituì la solennità del Corpus Domini l’11 ago-sto 1264. Inoltre il Santo Padre, incaricò san Tommasod’Aquino di redigere la Santa Messa e l’ufficiodivino di questa festa.

Profanazione delle particole consacrate:Alatri 1228: Una giovane donna, per riconqui-stare l’amore del suo fidanzato, si rivolge ad unafattucchiera che le ordina di rubare un’Ostia con-sacrata per farne un filtro d’amore. Durante unaMessa la ragazza riesce a prelevare un’Ostiache nasconde in un panno, ma arrivata a casasi accorge che l’Ostia si è trasformata in carnesanguinante. Di questo prodigio ne parlano diver-si documenti, tra cui la Bolla di Gregorio IX.Veroli 1570: nella chiesa di Sant’Erasmo duran-te l’esposizione del SS Sacramento, per le Quarantaore di adorazione, Gesù Bambino apparve nell’Ostiaesposta e operò numerose grazie.Volterra 1472: durante la guerra scoppiata traVolterra e Firenze, un soldato fiorentino, entra-to nella cattedrale di Volterra, riuscì ad impos-sessarsi della preziosa pisside di avorio contenentenumerose Ostie consacrate. Appena uscito dal-la chiesa, preso da un accesso d’ira nei con-fronti di Gesù Sacramentato, gettò la pisside conil suo prezioso contenuto contro una parete del-la chiesa. Da questa fuoriuscirono tutte le Particoleche illuminate da una luce misteriosa, si innal-zarono miracolosamente nel vuoto e vi rimaseroparecchio tempo sospese. Numerosi furono i testi-moni che assistettero all’evento.

Eventi prodigiosiRimini 1228: questo miracolo eucaristico fu ope-rato direttamente da Sant’Antonio dopo esse-re stato sfidato da un certo Bonovillo a dimo-strare la verità circa la reale presenza di Gesùnell’Eucaristia. La Assidua, riporta esattamen-te le parole con cui Bonovillo gli si rivolse con-tro: “ Frate! Te lo dico davanti a tutti: crederònell’Eucaristia se la mia mula che terrò digiuna

per tre giorni, man-gerà l’Ostia che glidarai tu piuttostoche la biada che glidarò io”. La mula, non-ostante fosse strematadal digiuno, s’inchi-nò davanti all’Ostiaconsacrata e rifiutòla biada.

Distribuzione della Santa EucaristiaDopo molti anni disilenzio e di assen-za di miracoli euca-ristici, negli ultimidecenni la Chiesa sista di nuovo con-frontando con talieventi prodigiosi,che non pochi defi-

niscono come moderni miracoli eucaristici, e chesono accaduti a seguito della caduta acciden-tale delle sacre particole durante la distribuzionedell’Eucaristia. È da precisare che in questi casile norme liturgiche prevedono che l’ostia con-sacrata raccolta a terra, venga posta dentro unrecipiente con un po’ d’acqua affinché si dissolvae venga poi conservata, fin quando non avven-ga la dissoluzione, nel tabernacolo. In molti casi (Szazhalombatta – Ungheria2013; Tixtla- Messico 2006; Legnica- Polonia 2013;Bueno Aires – Argentina 1992/1994/1996), è acca-duto successivamente che quell’ostia consa-crata si sia tramutata in carne. Un’attenzione par-ticolare desidero prestarla a quello accaduto inPolonia nel 2013, confermato dalla Congregazioneper la dottrina della fede che lo ha riconosciu-to permettendone il culto. Il fatto è accaduto il 25 dicembre 2013, dove duran-te la distribuzione dell’eucaristia, un’Ostia con-sacrata cade a terra. Raccolta e messa nell’acqua,anziché sciogliersi, aveva rilasciato un liquidorosso che sembrava sangue. Nel febbraio 2014,il vescovo emerito Stefan Cichy, istituisce unacommissione per studiarne il fenomeno. I risul-tati attestano che “nell’immagine istopatologiaè stato riscontrato che i frammenti di tessuto con-tengono parti frammentate di muscolo striato tra-sversale. Assomiglia molto al muscolo cardia-co, con alterazioni che appaiono di frequentedurante l’agonia. Gli sudi genetici indicano l’o-rigine umana del tessuto”. Che segno rappresentano per la vita della Chiesai miracoli eucaristici? A rispondere a questa domanda è il teologo dome-nicano padre Roberto Coggi, che in un’intervi-sta afferma: “I miracoli eucaristici, hanno lo sco-po di rafforzare la nostra fede nella presenzareale del Corpo e Sangue del Signorenell’Eucaristia. Perché questa è fondamentaleper la vita della Chiesa, essa vive dell’Eucaristia.Noi tutti formiamo un solo corpo, perché ci nutria-mo di un unico pane (Cfr. 1 Cor 10,17). La Chiesa quindi si forma proprio attraverso l’Eucaristia:

continua nella pag. accanto

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dal corpo sacramentale si viene a formare il cor-po mistico. Ma c’è anche un altro motivo chemi pare interessante per capire cosa rappresentanoquesti segni per la vita della Chiesa. Si tratta del fatto che chi crede nell’Eucaristia,crede in tutte le verità di fede. Infatti, se uno cre-de nell’Eucaristia, crede nel sacerdozio, perchéè il sacerdote che consacra il pane e il vino. Quindicrede nella Chiesa; quindi crede nel fondatoredella Chiesa, che è Gesù Cristo. Quindi credeche Gesù è il Figlio di Dio, perché proprio lui siè proclamato tale. E solo se Gesù è veramen-

te Dio può possedere e comunicare ai suoi mini-stri il potere di consacrare il pane e il vino trans-unstanziandoli nel Suo Corpo e nel SuoSangue. Quindi, per completare il nostro ragio-namento, chi crede in Gesù Figlio di Dio, cre-de anche nel Padre e nello Spirito Santo che èl’amore tra il Padre e il Figlio, cioè crede nellaSantissima Trinità. Inoltre chi crede nella Santissima Eucaristia, cre-de anche nella Risurrezione di Gesù. Perché seil corpo del Signore si fosse ridotto in polveree non fosse risorto e salito al cielo, come potreb-be la sostanza del pane tramutarsi nel Corpo

di Cristo se questo corpo più non fosse? In unaparola possiamo dire che la fede cattolica si rias-sume nella fede eucaristica: quando uno entrain Chiesa e fa la genuflessione davanti al SantissimoSacramento, con quel gesto dichiara di crede-re a tutte le verità della fede. È un gesto silen-zioso, ma più eloquente di tante parole”.

Nell’immagine del titolo: Sant'Antonio da Padova e il miracolo della mula,

Girolamo Tessari (attribuito), 1515, Padova.

don Andrea Pacchiarotti

NNel mese di gennaio scorso è morto ZygmuntBauman, filosofo reso famoso dalla defi-nizione della nostra società come

“modernità liquida”. Molte delle sue riflessioni esor-tavano alla riscoperta dell’accoglienza come sti-le di vita da contrapporre a quello imperante del-l’egoismo. Cura degli altri, sia vicini sia lontani,accettazione della reciproca responsabilità, buo-na volontà, comprensione, fiducia, solidarietà, diven-tano secondo il filosofo, “la sfida più tremenda acui ci troviamo di fronte nei nostri tempi di galop-pante globalizzazione” (Homo consumens, 2007).Leggendo queste sfide, mi sono domandato comela liturgia possa accoglierle e testimoniarle. Perché la liturgia? Perché per molti è l’unica occa-sione di vicinanza con la Chiesa. Per i credentipiù “praticanti” ma anche per quelli occasionalila liturgia, e in particolare i sacramenti, sono l’u-nico sottilissimo e fragile filo che li tiene uniti allaChiesa. Per dare eco a questo tema, mi permettodi riportare un contributo di Goffredo Boselli del-la comunità di Bose, che può aiutarci a vivere leliturgie delle nostre parrocchie come liturgie ospi-tali. «Resta con noi del brano di Emmaus, è laparola che trasforma lo straniero in ospite. Gesù entra e, come gli hanno chiesto, resta coni due discepoli e ben tre volte in due versetti sisottolinea la compagnia di Gesù, quasi a dire chequello stare di Gesù con i due discepoli è parti-colarmente intenso, carico di significati: Rimanicon noi …. Entrò per rimanere con loro… (Lc 24,30-31). Tutto il racconto di Emmaus è la narrazio-ne di un’ospitalità reciproca: è l’invitato che com-pie il gesto di chi presiede la tavola, infatti, spez-za il pane e lo dona. A ben guardare, con i disce-poli di Emmaus, il Risorto istaura la stessa rela-zione che nella sua vita creava con le personedi ogni tipo che andavano a lui. L’ospitalità è un’attitudine dell’essere di Gesù diNazareth, un suo atteggiamento, il suo modo distare al mondo e di entrare in relazione. La suaè una “santità ospitale”, come l’ha definita il teo-logo Christoph Theobald, che si sottrae per crea-re attorno a sé uno spazio di libertà, di ricono-scimento, comunicando, con la sua semplice pre-senza, una prossimità benevola nei confronti dicoloro che lo incontrano. Ma in cosa consiste que-sta “santità ospitale” di Gesù che anche i disce-poli di Emmaus sperimentano? È nient’altro che il tipo di relazione che s’istaurae l’effetto che essa produce: “Non ardeva forse

in noi il nostro cuore mentre egli conversava connoi”. È dunque sempre più urgente che le nostreliturgie siano capaci di ricreare quel tipo di rela-zione che Gesù di Nazareth sapeva creare conle persone che incontrava. L’intera esistenza diGesù è stata una liturgia ospitale, e anche le nostreliturgie sono chiamate a esserlo oggi più che mai.Passare da una santità di distanza a una santi-tà di prossimità. Una liturgia ospitale non è una moda o un espe-diente pastorale ma è l’atteggiamento stesso diCristo che anche Risorto si fa cammino, presenza,prossimità benevola, ascolto, parola, pane spez-zato. Per questo, se le nostre liturgie, e in parti-colar modo le eucaristie domenicali, vorranno esse-re luoghi di prossimità, non potranno ignorare leprofonde trasformazioni sociali, culturali e antro-pologiche in corso, i cui esiti sono difficilmenteprevedibili. L’umano non è il destinatario passi-vo delle nostre liturgie ma è la materia stessa dicui sono fatte. Ignorare queste trasformazioni signi-ficherebbe non sapere più di quale umanità sonoformate le nostre assemblee liturgiche. Questadiventa liturgia in uscita, per quella “Chiesa in usci-ta” di cui spesso parla papa Francesco. Uscire,leggiamo in Evangelii gaudium, significa non sta-re in attesa ma prendere l’iniziativa, coinvolger-si, accompagnando l’umanità. All’uomo, alla don-na che oggi fatica a dare un valore alle grandi

tappe della sua vita, i sacramenti offrono la lucedel progetto di Dio sulle sue creature. Vita, amo-re, morte sono, ieri come oggi, le parole dell’u-manizzazione. Per questo, le nostre liturgie nonpotranno non confrontarsi con la progressiva muta-zione e frammentazione dei modi di credere chel’avanzare della secolarizzazione produce.Dobbiamo costatare che spesso le nostre litur-gie sono impostate su un modo di credere che,con il tempo, sarà sempre più diverso rispetto aquello che abbiamo conosciuto fino ad oggi. Di fronte a tutto questo, le nostre liturgie e in par-ticolare le nostre eucaristie domenicali, peressere cammini di misericordia e di speranza, saran-no chiamate a diventare sempre più spazi di san-tità ospitale. E l’ospitalità è accoglienza, ristoro,riposo, sosta, riconoscimento. Liturgie dove le per-sone possano trovare conforto, consolazione esollievo. Prossimità non solo per i peccati intesi come sin-goli atti ma vicinanza nei confronti delle condi-zioni di vita, delle situazione esistenziali segna-te spesso da fragilità, debolezza, fatica». La rifles-sione che nasce dalla lettura di questo contribu-to di Goffredo Boselli aiuti le nostre comunità avivere una liturgia credibile cioè testimoniata dauna comunità accogliente, «dove le parole sonoportatrici di senso e non formule recitate e dovei segni sono testimoni di una rivelazione».

segue da pag. 20

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Carlo Fatuzzo

AAbbiamo appena celebrato, secondo unalodevole tradizione pluridecennale, laSettimana di preghiera per l’unità dei

cristiani, nella seconda metà del mese di gen-naio: è senza dubbio proficuo riflettere in modocomparato sui differenti approcci alla Sacra Scritturamaturati nel corso della storia dalle distinte con-fessioni cristiane. L’ortodossia ha privilegiato una mediazione litur-gica delle Scritture, contestualizzandole nel baci-no spirituale e teologico-dogmatico del-la mistagogia (catechesi sui misteri del-la salvezza celebrati nei sacramenti),affiancata tutt’al più a una lettura devo-ta dell’esegesi patristica (peraltro pres-soché esclusivamente greca). Il protestantesimo, innalzando il ves-sillo del motto luterano Sola Scriptura,ha in certo modo consentito una libe-ra interpretazione individuale della Paroladi Dio, di fatto difficilmente conciliabi-le con quanto essa stessa afferma in2 Pt 1, 20: «Nessuna Scrittura profe-tica va soggetta a privata spiegazio-ne». Benedetto XVI, nel documento chestiamo analizzando, presenta invece,con estrema chiarezza, l’atteggia-mento tipico del cattolicesimo, e nespiega le giustificazioni che lo legitti-mano: in massima sintesi, tale atteg-giamento può essere espresso dallaparola ecclesialità.1) La vita comunitaria della Chiesa pri-mitiva è, innanzitutto, l’ambiente cheha generato la stesura scritta del NuovoTestamento, e non viceversa: il Vangeloscritto discende dall’esperienza difede e di vita ecclesiale dell’età apo-stolica; sarebbe un grossolano errorestorico pensare l’inverso, che cioè l’i-dentità ecclesiale sia nata e derivatadalla lettura del Libro evangelico (cfr.VD 29).2) Gli autori degli scritti del NuovoTestamento partecipavano attivamen-te alla vita liturgica e di apostolato del-la Chiesa: non saprebbero pertanto dive-nire buoni esegeti della Parola di Dioquanti anche oggi intendessero esclu-dersi da tale inserimento diretto e coin-volgimento profondamente esistenzialenella vita della comunità credente (ibid.).3) L’autentico e inerrante esegeta del-

la Sacra Scrittura rimane sempre lo Spirito Santo:è Lui che anima la vita della Chiesa, e assistee illumina la Chiesa stessa nell’interpretare laParola di Dio (ibid.).4) «San Girolamo ricorda che non possiamo maida soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe por-te chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e peril Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello SpiritoSanto. Solo in questa comunione col Popolo diDio possiamo realmente entrare con il “noi” nelnucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire»(VD 30).5) «La giusta conoscenza del testo biblico è acces-

sibile solo a colui che ha un’affinità vissuta conciò di cui parla il testo» (ibid.; corsivo nostro).6) Con particolare impulso e incremento susci-tato dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, lostudio delle Sacre Pagine è divenuto davverol’anima dell’intera Sacra Teologia (cfr. VD 31,che cita Dei Verbum 24).7) Per la visione cattolica della Sacra Scritturaè imprescindibile l’attenzione all’esegesi stori-co-critica e agli altri metodi di analisi testualesviluppati nella ricerca biblica più recente: ciòè legato al realismo dell’incarnazione: la storiadella salvezza non è una mitologia, bensì unavera e propria storia, per cui va studiata con i

metodi della seria ricerca storica. E ineffetti, non può essere negato che, nel-la sana tradizione ecclesiale, è semprestato coltivato un amore speciale per lostudio della “lettera” (basti pensare allacultura monastica): perché «il desideriodi Dio include l’amore per la parola intutte le sue dimensioni. […] Così, pro-prio a causa della ricerca di Dio, diven-tano importanti le scienze profane checi indicano le vie verso la lingua» (VD32).8) Va evitata e rifiutata ogni rottura tral’umano e il divino, tra la ricerca scien-tifica e lo sguardo della fede, fra il sen-so letterale e il senso spirituale, proteggendoe difendendo l’interpretazione cattolicadella Parola da ogni attacco di certo razio-nalismo da un lato, e da uno pseudo-misticismo dall’altro (cfr. VD 33).9) L’ermeneutica biblica del Concilio tie-ne conto di tre criteri di base: l’unità ditutta la Scrittura (esegesi canonica); laTradizione viva della Chiesa; l’analogiadella fede (cfr. VD 34).10) Occorre segnalare il grave perico-lo di un dualismo (esegesi vs. teologia)nell’accostare le Scritture: senza fede,si rischia di ridurre la Bibbia a un testosolo del passato, storiografico ma nonteologico, senza poter comprendere l’e-vento della Rivelazione, e persinoabbracciando un’ermeneutica secolarizzatae positivista, che escluda di fatto l’irru-zione del Divino nella storia umana, men-tre si abbandona la teologia, di contro,a una deriva spiritualizzante (cfr. VD 35).

Nell’immagine: Salvatore Benedicente, ignoto, XI-XII secolo,

Museo Diocesano di Velleri.

2323FebbraioFebbraio20172017

don Antonio Galati

FForse dopo idue sinodi dei

vescovi indetti dapapa Francesco sulla famiglia, il termine “sino-do” è diventato più familiare di quanto lo fossein precedenza, se non altro per le coperture media-tiche di cui sono stati oggetto i lavori dei vesco-vi sul tema della famiglia.Come termine esso può trovare un sinonimo in“riunione” o “convegno”, appunto perché è la riunio-ne di un gruppo di persone che lavorano e dis-cutono insieme per raggiungere una decisionecondivisa, rispetto alla questione trattata.La Chiesa, nella sua storia, ha sempre cono-sciuto, anche se in modi diversi, questa prassisinodale, o di riunioni a diversi livelli, per la dis-cussione di argomenti o situazioni da risolve-re: negli Atti degli Apostoli, si parla di una riunio-ne degli stessi Apostoli a Gerusalemme, per deci-dere se imporre o meno le prassi tipicamentegiudaiche anche ai convertiti al cristianesimo cheprovenivano dalle Genti, cioè che non erano ebreedi nascita o di cultura (cfr. At 15,1-35); esisto-no diverse testimonianze di sinodi locali o regio-nali già a partire dal III e IV secolo, attraversocui una o più chiese locali vicine, si riunisconoper questioni dottrinali o di prassi; dal 315, conil concilio di Nicea, viene inaugurata la serie diconcili ecumenici, che sono sinodi generali, cioèriunioni di tutti i vescovi del mondo; ancora oggiè data la possibilità alle singole diocesi, o adun insieme di queste, di indire sinodi diocesa-ni, o inter-diocesani, per ragionare su questio-ni pastorali e urgenti, che richiedono una solu-zione il più condivisa possibile.Quindi, se forse, come termine, è stato ripor-tato in auge dalle due riunioni dei vescovi sul-la famiglia, il sinodo è un qualcosa che appar-tiene ed è sempre appartenuto alla vita della Chiesa,nel suo aspetto pratico della riunione di più per-

sone che, insieme, condividono delle scelte edelle decisioni. Infatti, al limite, potrebbero defi-nirsi sinodi, cioè riunioni, tutti gli incontri che sifanno, sia a livello parrocchiale che diocesano,in cui il concorso di più persone permette di rag-giungere delle decisioni che non dipendono solodalla volontà di uno, vescovo o parroco, ma sonoil frutto di un confronto e di una discussione.Ma la sinodalità non è solo questo aspetto pra-tico, o meglio: quest’ultimo è espressione con-creta di un atteggiamento di fondo che è espres-so dal significato letterale della parola sinodo.Infatti, se ha come sinonimi riunione o conve-gno, come si è detto prima, in realtà il termine,che ha origine dalla parola greca “syn-hodos”,significa letteralmente “l’andare insieme”, cioècamminare insieme. In altre parole, la sinoda-lità è espressione di un atteggiamento che desi-dera fare in modo che la Chiesa, sia essa nel-la sua dimensione universale o locale, costrui-sca un percorso condiviso, che: nasca dall’a-scolto della realtà, la quale, essendo varia e fra-stagliata, richiede l’apporto di diversi punti di vista,per essere il più possibile ben inquadrata e ana-lizzata; si confronti con le esigenze e gli inse-gnamenti evangelici, anche in questo caso inter-pretati dalle diverse sensibilità ecclesiali; trovidelle risposte e dei processi che, per la loro pie-na efficacia e attuazione, siano il più possibilecondivisi, di modo che essi si possano dire espres-sione dell’insieme dei battezzati e molti si pos-sano impegnare nella loro realizzazione.È forse questo il senso delle parole che papaFrancesco ha espresso il 17 ottobre di due annifa, quando, parlando proprio ai partecipanti alsinodo, in occasione del cinquantesimo anniversariodella sua istituzione, ha detto: «il cammino del-

la sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dal-la Chiesa del terzo millennio». Probabilmente,nelle intenzioni del papa, non c’è evidentementela volontà di chiedere alla Chiesa un moltipli-carsi di riunioni, ma un cambio di atteggiamento,in cui tutti i battezzati, per il “semplice” fatto diessere battezzati, si sentano responsabili del-la vita ecclesiale. Una responsabilità che deveesprimersi non solo, o non tanto, nel preoccu-parsi di aprire o chiudere una chiesa o una cap-pella, ma, maggiormente, nel fare in modo chela Chiesa, quella fatta di pietre vive, cioè di per-sone, possa rispondere alle esigenze del mon-do in cui è presente. E questa responsabilità nondovrebbe esprimersi solo nel chiedere che qual-cun altro decida in merito ad una o a più que-stioni, ma dovrebbe significare che ognuno fac-cia la sua parte sia nel processo decisionale,apportando il suo contributo –che non dovrà esse-re pensato come l’unica soluzione al problema,ma come l’apporto dato alla soluzione da un deter-minato punto di vista–, sia poi, cosa altrettan-to importante, nel condividere, anche se non siè pienamente in accordo, con quanto verrà indi-cato come tentativo di risposta alla questione,e questo non perché è semplicemente la deci-sione del “superiore” o della maggioranza, maperché è la scelta di chi, alla fine, è deputato asintetizzare l’apporto di tutti e a discernere unastrada effettivamente percorribile.Durante quest’anno, quindi, anche in accordocon il percorso formativo del presbiterio dioce-sano, che si sta interrogando sulle stesse que-stioni, verranno proposti una serie di interven-ti, con l’auspicio di chiarire meglio la dimensio-ne sinodale della Chiesa, specie della nostra Chiesadi Velletri-Segni.

2424 FebbraioFebbraio20172017

Federica Colaiacomo

NNella città di Segni, nei pressi di San Pietro,sul muro esterno della casa che fa ango-lo tra via Padre Filippo e largo San Vitaliano,

si trova una lapide che reca l’iscrizione: “Da que-sta umile dimora/ San Vitaliano papa/ ascese/alla suprema gloria/ del pontificato e della san-tità”. Da sempre la tradizione locale ha indivi-duato in questo edificio la dimora del suo san-to pontefice: “Vitaliano, natione Signiensisprovincia Campania”, figlio di Anastasio (cosìcome apprendiamo dal Liber Pontificalis).Sempre la tradizione locale, attribuisce al san-to pontefice il merito di aver introdotto nella litur-gia il suono dell’organo. In realtà questa cre-denza nasce da un’errata interpretazione del-le fonti e in particolare della definizione del ter-mine organum o organa. Il merito di Vitalianonon è quello di aver introdotto l’uso dell’orga-no, ma quello di aver promosso lo sviluppo dimolte Scholae cantorum, fondate da GregorioMagno e di aver diffuso il canto in molte chie-se d’Europa. Addirittura una leggenda narra chealcuni abitanti di Segni, stremati da molte dif-ficoltà, si rivolsero a Vitaliano, loro concittadi-no salito al soglio pontificio, per chiedere aiu-to e fu lo stesso pontefice a consigliare la col-tivazione dei marroni. Tralasciando l’aspetto leggendario e i molti aned-doti che la tradizione riferisce alla figura di SanVitaliano, non è semplice delineare la storia diquesto illustre personaggio e il suo legame con

la nostra città. Vitaliano, nato a Segni tra la finedel VI e gli inizi del VII secolo, fu il 76º vesco-vo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal30 luglio 657 al 27 gennaio 672, data della suamorte. E proprio il 27 gennaio la Chiesa Cattolicacelebra la sua memoria liturgica. All’epoca in Oriente imperversava la controversiamonotelita, eresia che poneva in Cristo una solavolontà. Prima dell’elezione al soglio pontificiodi Vitaliano, un aspro conflitto aveva messo l’im-peratore Costante II contro papa Martino I. Dopoil breve pontificato di Eugenio I (654-657), fueletto Vitaliano, che tentò di migliorare i rapporticon Costantinopoli. Nel 663, infatti, quando l’imperatore CostanteII visitò Roma, dopo circa due secoli in cui unimperatore non si recava in visita nella città eter-na, Papa Vitaliano gli andò incontro sull’Appiae lo accolse con tutti gli onori. La benevolen-za di Vitaliano però non fu corrisposta da Costante,che ricambiò gli onori togliendo al Papa l’au-torità sulla diocesi di Ravenna,che allora era in territorio impe-riale. Inoltre depredò chiese e palaz-zi di Roma di oggetti di bronzo,tra cui le tegole di cui era rive-stito il tetto di Santa Maria adMartires (Pantheon), per inviar-li a Siracusa, dove voleva fissarela sua dimora definitiva e crea-re una base difensiva contro gliArabi. Una volta arrivato aSiracusa, però, nell’ottobre del668, a soli 38 anni, Costante II

fu ucciso per mano di uno dei suoisoldati. Con il successore, CostantinoIV, figlio di Costante, papa Vitalianotrovò una migliore intesa e fu proprioper merito dell’interessamento di Vitalianoche salì al trono di Bisanzio control’armeno Mezezio, a cui erano favo-revoli i ribelli. Così Ravenna tornò sot-to l’autorità pontificia e, per ristabi-lire la pace religiosa, Vitaliano deci-se di convocare il VI Concilio ecu-menico.Durante il suo pontificato Vitaliano riuscìa ridare slancio anche alla cristiani-tà britannica, che da allora adottò laliturgia romana, sotto la guida di nuo-vi vescovi insediati dallo stessopapa. Uno di essi fu Teodoro, origi-nario di Tarso, in Cilicia, uomo eru-dito e versato nel greco e nel latino,come nell’aritmetica, nell’astronomiae nella medicina, che poi divenne arci-vescovo di Canterbury. Per questo motivo, il vescovo segni-no Filippo Michele Ellis (1708 – 1726),di nazionalità britannica, in un’iscri-zione che fece apporre sul piedistallodella statua lignea di San Vitalianonella Cattedrale di Santa MariaAssunta, lo definì Coapostolodell’Inghilterra.Oltre alla statua lignea, opera seicentesca

di autore anonimo, che possiamo ammirare all’in-terno della cappella della Croce nella Cattedraledi Segni, ci sono altre opere che raffigurano ilsanto pontefice. Nel 1972, nella prima cappella per chi entra asinistra, dedicata a San Francesco d’Assisi, latela centrale di Lazzaro Baldi e raffigurante “SanFrancesco in estasi” fu portata in sacrestia percollocare in una nicchia, creata per l’occasio-ne, un busto in bronzo dorato di San Vitaliano,opera dello scultore Tommaso Gismondi di Anagni.E ancora, nella cupola centrale, affrescata nel-la seconda metà del XVII secolo dai fratelliCourtois (probabilmente dal frate cappucci-no Antonio Courtois), vi è raffigurata la Trinità,con il Padre e il Figlio che stanno per porreuna corona di stelle sul capo della Vergineinginocchiata, con angeli e santi, tra cui ancheSan Bruno Vescovo, patrono di Segni e SanVitaliano, anche lui molto amato e veneratodalla città che gli diede origine.

2525FebbraioFebbraio20172017

don Antonio Galati

IIl 17 gennaio, presso il salone LeoneXIII del Pontificio Collegio“Leoniano” di Anagni, don

Luciano Lepore, professore di SacraScrittura dell’Istituto, ha tenuto unalectio magistralis, dal titolo “Ristabilireil dialogo tra fede e ragione parten-do dalla Sacra Scrittura”.L’occasione per questa lectio è sta-ta data dal passaggio di don Lucianodallo status di professore stabile dell’Istitutoa quello di professore emerito, tito-lo conferitogli al termine della sua espo-sizione dal nostro vescovo, insiemecon la commissione didattica dell’Istitutoe con i professori e gli studenti pre-senti all’evento.Dopo i consueti saluti e il benvenu-to espressi sia dal rettore del semi-nario, don Leonardo D’Ascenzo, chedal direttore dell’Istituto, il prof.Filippo Carcione, che hanno ricordato il lun-go e prezioso servizio che don Luciano ha svol-to presso il “Leoniano”, quest’ultimo ha espo-sto la sua conferenza, mostrando come, nelmondo odierno, si è resa ormai necessaria lariscoperta, già auspicata da Giovanni PaoloII con la sua enciclica Fides et ratio, della col-laborazione feconda tra fede e ragione, col-laborazione che permetterebbe di andare a fon-do delle questioni della contemporaneità, pertrovare anche delle strade proficue per la riso-luzione dei suoi problemi.

Don Luciano ha iniziato la sua lec-tio mostrando come, con un approc-cio letterario-scientifico, nella sto-ria si è fatta luce sul modo e il pro-cesso di formazione del Pentateuco,ambito peculiare di studio delprof. Lepore, e, partendo proprioda questo processo formativo, si pos-sa tornare alle origini delle questioniche hanno connotato il testo bibli-co così come lo conosciamo, gra-zie anche agli apporti sia della cri-

tica letterariache dell’ar-cheologia.Questo pro-cesso di sco-perta, ha continuato donLuciano, non ha solo loscopo di illustrare lapre e la storia della for-mazione del Pentateuco,cosa importante ma nondi per sé fondamentale,ma quello di individua-re le questioni che han-no spinto gli autori sacria scrivere i primi cinquelibri della Bibbia, carat-terizzandoli come la

risposta della fede alle questioni più urgentidel loro tempo che, in ultima analisi, come notadon Luciano, sono le stesse dei giorni attua-li, e cioè le questioni economico-sociali del benes-sere di tutti, specie degli ultimi della società.Un fecondo dialogo tra fede e ragione, quin-di, nello studio e nell’interpretazione della Bibbiapuò essere la giusta strada da percorrere, con-clude don Luciano, per fare in modo che i testisacri del cristianesimo continuino ad esseresignificativi per l’oggi, come lo sono stati nel-l’epoca della loro formazione.

2626 FebbraioFebbraio20172017

Giovanni Zicarelli

RRoma, 11 gennaio. L’appuntamento è nelsuggestivo complesso di Sant’Agnesefuori le mura. Alle 20. Il termometro segna

i -3° C di una temperatura in rapida discesa.Per strada, i fari bianchi di auto già sporadichefendono la fioca luce arancione irradiata dai lam-pioni. Alle 21, poca gente a piedi. Non ci sarebbe nessuno: tutti a casa o quasise non fosse per chi un riparo domestico nonce l’ha. Qualcuno deambula per non cedere alsonno e con esso al freddo che uccide ma cheassassino non è. Sono quelli che si vedono dor-mire di giorno. Altri si aggregano in dormitori all’a-perto che al mattino divengono marciapiedi difolla frenetica. La zona è quella intorno a San Lorenzo e Termini.Presenze evanescenti avvicinate da ombre vagan-ti. Ombre senza pace: «Dammi un’altra coper-ta!» «Ma quante gliene hai messe addosso?»«Due. Però con tre sto più tranquillo. Senti, starussando!» Parole scambiate tra volontari del-la Comunità di Sant’Egidio alle prese con il loroquotidiano e incondizionato impegno nella lot-

ta contro la sofferenza e lamorte causate dall’abban-dono sociale. Stanno distribuendo coper-te fornite dalla parrocchiadi San Bruno di Colleferro.Ne hanno poggiate tre suun uomo che, probabilmenteubriaco, si era addormen-tato con quello che avevaindosso sull’erba di un’aiuo-la presso Termini. Si tratta di una “pattuglia”che cerca le persone più iso-late, quelle più a rischio diassideramento perché rifiu-tano l’aiuto per dignità o rab-bia e spesso si addormentanoubriache. Poi, nella notte, la temperatura scen-de, l’effetto dell’alcol passa e c’è il rischio chel’assideramento li colga nel sonno.Questo mentre altri volontari vanno a distribui-re coperte nei punti di maggiore aggregazione;ma non mancano di segnalare agli altri, quellidell’assistenza volante, tramite messaggi, le vie

in cui hanno avvistato senza-tetto isolati. E così, navigato-re alla mano, parte la ricercatra vie, piazze e vicoli. Si par-cheggia al volo e si scandagliala zona a piedi. Si offre una coper-ta, una sciarpa, dei guanti, delcibo. Si forniscono indirizzi e ora-ri delle mense della Comunitào della Caritas. Capita che la maggior pena èper chi veste dignitosamente.Immagine che denuncia unarecente vita agiata. Anche peri modi garbati e per la gentilezzanel rifiutare ciò di cui al momen-

to non ha bisogno. Un’eleganza tra-dita dal cercare cartoni presso i cas-sonetti. Ci si chiede come può esse-re accaduto, perché lui sì e noi no.Benché la Comunità di Sant’Egidioe la Caritas siano alquanto e sem-pre più capillarizzate nel mondo emalgrado l’opera di Croce Rossa ealtro volontariato, ciò che si avver-te a Roma, come verosimilmente inaltre grandi città, è che questi lode-voli sforzi rientrino in una semprepiù impari lotta. Un uomo salvato dal gelo per diver-si altri che ne moriranno, l’auto del-l’elemosiniere del Vaticano messaa disposizione di un’anziana otrenta brande allestite nella chiesadi San Callisto a fronte di diversemigliaia di persone che pernotterannoall’aperto (secondo la Comunità diSant’Egidio Roma ne conta oltre tre-mila). E poi lo Stato. Appartenente all’Occidente ricco ecivile. Con il Campidoglio che talo-

ra applica una toppa alla tragedia consenten-do l’apertura notturna dei comunque gelidi sot-terranei della metropolitana. Nonostante per alcune destinazioni si trovinoanche con estrema immediatezza oceani di sol-di, si temporeggia per anni su questioni in cuianche un minuto e pochi euro possono fare ladifferenza tra una vita dignitosa e la miseria, frala vita e la morte. Senza una svolta che pongafine a questa autoreferenzialità verticistica, qua-le speranza possono avere i senzatetto e quel-le folle che ne alimentano costantemente le fila:disoccupati, giovani senza futuro, pensionati mini-mi, redditi zero, imprenditori falliti, immigrati?Per quanto tempo ancora sarà necessaria taleopera di volontariato, specchio del globale fal-limento umanitario?

Nelle foto: del titolo - Un giaciglio per strada; sopra - Volontari riparano dal gelo un senzatetto

presso Roma Termini; a sinistra - Scalinata interna di

Sant'Agnese fuori le mura.

2727FebbraioFebbraio20172017

SSabato 14 Gennaio,nella Cattedrale diVelletri, S.E. Rev.

mons. Vincenzo Apicellaha conferito il ministero delLettorato a MassimoTartaglia, della Parrocchiadi San Clemente I eAndrea Orsini, dellaParrocchia Santa Maria delGesu’ di Artena. Questo ministero rap-presenta una tappa fon-damentale nel camminoverso il Diaconato per-manente per il quale i duecandidati sono da anniimpegnati in un camminodi discernimento, studioe di servizio verso i pro-pri fratelli. La cerimonia è stata carat-terizzata dalla presenza delle fami-glie dei due aspiranti e dai nume-rosi fedeli che hanno condiviso l’e-mozione di un momento così signi-ficativo. La liturgia , animata dal coro, è sta-ta concelebrata dal parroco dellaCattedrale don Marco Nemesi, dalPadre Guardiano dei francescani mino-

ri di Artena, Padre Osvaldo Salvi edal responsabile per la formazionedel Diaconato permanente, mons.Roberto Mariani, parroco dellaChiesa del Centro. Numerosi i rap-

presentanti del collegio diaconale chehanno partecipato alla cerimonia pertestimoniare, con la loro presenza,la vicinanza e il sostegno ai due neolettori in cammino.

2828 FebbraioFebbraio20172017

Antonella Lafortezza

AAnche quest’anno, il 13 gennaio 2017, Montelanico ha voluto rin-novare, con una messa solenne celebrata dal parroco don AntonioGalati e concelebrata dal nostro ex parroco don Marco Fiore,

presso la chiesa Tigri, l’affetto e la richiesta di protezione, aiuto e soste-gno alla nostra protettrice nel ricordo del 102° anniversario del voto allaMadonna del Soccorso, fatto dalla popolazione in quel lontano giornodel 13 gennaio 1915, quando il paese fu svegliato al mattino presto daforti scosse telluriche, che colpirono e devastarono l’intera area dellaMarsica e parte del Lazio meridionale con intensità che raggiunsero l’XIgrado della scala Mercalli.Da quel giorno non è passato un solo secondo della vita in cui i mon-telanichesi non abbiano rivolto il loro sguardo pieno di amore e di affi-damento alla loro mamma “Maria”, donna del Soccorso, proprio comefanno i bambini quando si rivolgono alla loro mamma per qualsiasi neces-sità o capriccio. Oggi come allora sono tanti i terremoti di origine naturale ma anche spi-rituale che fanno ancora tremare le nostre esistenze e, proprio in que-sti momenti di paura, non dobbiamo temere di affidarci alla protezione

della Madonna affinché il suo sguardo materno possa rassicu-rarci, proteggerci e anche rimproverarci quando ce ne sarà biso-gno.Durante la celebrazione della messa don Antonio ha rivolto unabellissima preghiera di ringraziamento, da lui stesso composta,in occasione di questo 102° anniversario, a “Maria, donna delSoccorso”:

Madre Santissima, donna del Soccorso,i nostri padri e le nostre madri si sono rivolte a Te,

102 anni faquando questa nostra terra è stata scossa dal terremoto,

e Te, con la tua protezione materna, hai soccorso coloro che a Te si sono affidati.

Da quel giorno Te sei stata riconosciuta e acclamataCome nostra particolare protettrice,e continuamente ci rivolgiamo a Te,

per chiedere il tuo aiuto.Continua ancora oggi, ti preghiamo,

a proteggerci da tutti i terremoti che scuotono le nostre vite,siano essi provocati dalla terra

o dagli scuotimenti della nostra fede.Mantienici saldi, oh Maria, nella nostra fede;rafforza continuamente la nostra speranza

rendici capaci di veri e profondi atti di carità-Noi ancora oggi ci affidiamo a te,

e Te Madonna del Soccorso, accoglici come figli tuoi amati

e non abbandonarci mai.

Qui di seguito uno stralcio della cronaca di quel terribile gior-no tratto da uno scritto di Luigi Roberti:“Quel freddo mattino del 13 gennaio 1915 un religioso silenzioregnava nella chiesa di San Pietro. I padri Passionisti erano giun-ti 3 giorni prima per le Missioni. Erano quasi le otto e, poco pri-ma della messa si tenevano le confessioni. Mentre l’orologiodel campanile scandiva le ore otto precise, la preghiera dellepoche donne presenti venne distolta da alcuni scricchiolii: i con-fessionali presero a traballare ed inclinarsi, poi un boato spa-ventoso e grida di terrore: “Jo teremoto! Jo teremoto!”. Nello stesso istante la chiesa parrocchiale cominciò a scuotersirimanendo lesionata in più parti, mentre si registrava un fuggifuggi generale, senza una meta precisa; le scosse telluriche si

fecero sempre più frequenti. Grandi i danni al centro storico. Pur nell’angoscia del disastro si reagì. La mattina seguente, i missio-nari Passionisti e poche donne si riunirono a pregare nell’antica chie-setta di San Michele Arcangelo. Ancor prima che cominciasse la messa un’altra e più potente scossatellurica gettò nel panico i già atterriti presenti, che si diedero alla fugaraggiungendo i vicini vigneti. Sconnessioni e schiacciamenti, lesioni agliarchi, sconvolgimento del pavimento, ribaltamento di pesanti pietre sot-to le quali erano scavate antiche tombe che ospitavano, secondo la tra-dizione, zitelle e fanciulle: questo spettacolo fermò il cuore di P. Ignaziodi Gesù Bambino che avvertì un forte tremolio alle gambe e mal di testa.Morì la sera dello stesso giorno. Analoga fine fece il vice parroco di Montelanico don Gabriele Ronzonianch’egli deceduto qualche mese dopo a seguito del grande spaventosubito. Davvero terribile quel terremoto marsicano nel gennaio 1915 chedurò ben tre giorni; ancora una volta il popolo fedele di Montelanico sirivolse alla celeste Protettrice, che, ripetutamente invocata durante quelterribile sisma, mostrò la sua benevolenza. Anche oggi, nella ricorren-za di quel pauroso 13 gennaio, se ne perpetua la memoria facendo peni-tenza e digiuno. Fino a non molto, il giorno della festa del Soccorso eil 13 gennaio erano le uniche due circostanze in cui l’immagine dellaMadonna veniva “scoperta”.……per non dimenticare!

2929FebbraioFebbraio20172017

Poesia di Carlo De Foucauld(tradotta dal francese, e portata in endecasillabi da d. S.M.)

I.

È ormai sera. Scendon lesti alla pianai pastori e le greggi, alla fontana;scendon lesti le vie polverose, all’acqua chiara, alle palme frondose.C’è vita. In alto è la bianca cittàfra i verdi cipressi, in tranquillità.Ora, fornito di miel l’alveare,l’ape riposa; e l’uom sta per pregare.Ma come? In una povera dimoraancor si lavora? «Madre, è l’ora?»,la voce di un bimbo lieta chiedeva.Il fior nazareno per noi cresceva.Fa la sua parte di lavoratore,la brocca in braccio, piccol fornitore;la sua bianca tunica alza in avanti;ha piedi scalzi e begli occhi raggianti. Bella e pura, Maria va al Bambino,e il Bimbo gioioso le corre vicino.Lei s’inginocchia, se lo stringe al cuore,gli sfiora la fronte: è il suo Signore!

II.

Camminano insieme sulla montagna;un vento lieve vien dalla campagna, come la brezza che al profeta Eliasvelò di Dio la Presenza pia.Mille voci a festa. Passa Maria:i fiori per lei profuman la via.Il sole, che tramonta ad occidente,con i suoi raggi indora l’Innocente.

III.

Ecco, arrivano. Una turba vociante dalla fonte accorre e chiama festante.Già quando lui era ancora lassù,i bimbi gridavan: «Ecco Gesù!».Chiamando per nome gli umili amici,Gesù ricambia gli abbracci felici.Qualche pastore se lo stringe al petto,le madri dicon: «È mite e perfetto».Accanto a Maria, Gesù si china,riempie all’orlo la sua brocca piccina,che a Giuseppe allevierà la stanchezza.Ed ora in spalla, con forza e gaiezza!Sorride Maria: mite e serena,porta sul capo la sua anfora piena.

E gli angeli della sera, passando,«Oh, poterli servir!», dìcon volando.

IV.

Dove il sentier gira, ecco apparireun cieco, curvo per gli anni e il patire.«Non sei tu Maria, e il piccol Gesù?Già dalle palme tornate quassù?A lungo guida buona attesi invano;la mia fiasca è vuota; andrò, piano piano». Ma Gesù: «Dammela, la riempiròcon la mia brocca; e laggiù tornerò».Al mendicante Gesù sorridendoversa l’acqua nella fiasca contento.

E gli angeli della sera, tristemente:«Così il suo sangue darà per la gente».

V.

Di nuovo alla fonte; meravigliatachiede la gente: la sua acqua ha versata?E Gesù racconta; non sa mentire.E riempie la brocca, e sta per partire.O Bambino, Salvatore del mondo, il tuo primo sudor non sia infecondo.«La tua acqua porta fortuna, piccino».Or tutti chiedono un sorso al Bambino.Non è ancor giunta l’ora in cui dirà– sorgente vivente di carità –:«A chi vi tende mano vuota, date;se prestito chiede, non lo negate». Il comandamento è ancora velato, ma nel silenzio l’amore è mostrato.

VI.

E corre a Maria. In cielo una stellaalta s’affaccia su Nazaret bella.

E gli angeli della sera esultanti«Rubiamoci il Bimbo», dìcon miranti.

No, il Bimbo è nostro, della terra è figlio!Viva, cresca� e nel giorno vermiglio, offra, “uomo”, sul monte del dolore,l’acqua che sgorga dal suo grande Cuore.

3030 FebbraioFebbraio20172017

Stanislao Fioramonti

NNasce nell’801 in Piccardia pressoAmiens, a Corbie, sede di una celebreabbazia benedettina nella quale – affi-

dato alle cure di S. Pascasio Radberto (m. 865)- divenne monaco e poi magister interno. Peresercitare questo incarico lascerà più tardi l’ab-bazia francese per andare in un’altra comuni-tà benedettina aperta in Sassonia, NuovaCorbie (Korvey). Da qui parte la sua avventu-ra di apostolo degli Scandinavi, in una continuasfida tra i molti insuccessi e il suo coraggio persuperarli.Nell’826, insieme al confratello Autberto,accompagna a evangelizzare la Danimarca il nuo-vo re Harald Klak, che ha appena ricevuto il bat-tesimo e che lo sostiene agli inizi della predi-cazione. Ma il re non riesce a conservare il suotrono: già dopo un anno deve lasciare la Danimarca,e con lui la abbandona Anscario (827) senza esse-re riuscito a erigere nemmeno una chiesa.Su mandato dell’imperatore Ludovico il Pio (figlioe primo successore di Carlo Magno) e a richie-sta del re svedese, nell’829 è inviato missionarioin Svezia insieme al monaco Wittmaro; la naveche li trasportava fu assalita dai pirati che li spo-gliarono di tutti i loro beni, dei doni che l’impe-ratore aveva consegnato loro per il re del pae-se e di “quaranta volumi che essi avevano por-tato con sé per il servizio divino”. Alcuni missionari, delusi e scoraggiati, avreb-bero voluto abbandonare l’impresa e tornare indie-tro; il santo li confortò sostenendo che la spo-liazione dei beni li rendeva più simili agli apo-stoli e più cari a Dio. Nella primavera dell’anno seguente sbarcaro-no a Birka (Bjorko), piccola isola del lago Malaren(non lontana dall’odierna Stoccolma), allora cen-

tro politico e commerciale dellaSvezia. Il re Björn li lasciò predi-care liberamente il Vangelo ai raricristiani (perlopiù stranieri, mari-nai o prigionieri di guerra) e allagente del luogo. Dopo un anno e mezzo di lavo-ro il risultato sembrava promet-tente: per questo Lodovico il Pioincoraggia la nascita di una strut-tura ecclesiastica con sede adAmburgo (territorio imperiale) ecol campo di lavoro oltre frontie-ra. Ma anche da qui fu Anscariocostretto a ripartire nell’831. In quello stesso anno Amburgofu creata diocesi indipendente daqualsiasi altra sede metropolita-na; il suo primo vescovo fuAnscario, che prima di prenderepossesso canonico volle recarsia Roma per rendere omaggio alpapa. Gregorio IV confermò l’e-rezione della nuova diocesi, gli con-ferì il pallio arcivescovile e lo nomi-nò - contemporaneamente aEbbene di Reims -, suo Legatopresso i popoli della Scandinavia,

dell’Islanda e della Groenlandia, con il diritto d’in-viare loro dei missionari e di consacrare per essidei vescovi. Anscario fece della sua nuova dio-cesi, dove eresse la cattedrale di San Pietro eun monastero benedettino, un vivace centro diirradiazione missionaria e in questo modo det-te inizio in Svezia a una missione stabile con acapo il vescovo Gotberto. Dopo parecchi annidi missione questi fu costretto a partire e diven-ne vescovo di Osnabruck in Germania; per pochianni proseguì il suo lavoro Ardgaro. Intanto Anscario riprese l’attività missionaria anchein Danimarca, ma dovette limitarsi solo al reclu-tamento e alla formazione di giovani danesi desti-nati all’apostolato in patria. Questi erano istrui-ti o ad Amburgo o nel monastero di Turholt inFiandra, il cui reddito nell’831 era stato desti-nato dall’imperatore Lodovico il Pio al mante-nimento della povera diocesiamburghese. Nel giugno 840 l’imperatore morìe l’impero dei Franchi carolin-gi si frantumò, mentre le incur-sioni dei Normanni, gli “uominidel Nord”, devastarono l’Europasettentrionale. Nello sconvolgi-mento crollò tutto ciò cheAnscario stava avviando. Nell’843 i Normanni danesipiombarono su Amburgo, sac-cheggiandola e distruggendola.Il vescovo fece appena in tem-po a salvare le reliquie della suachiesa, mentre la sede episco-pale dovette essere trasferita aBrema, in Sassonia. Rovinò anchela missione in Svezia, avversatada molti che non amavano la “reli-gione degli stranieri”.

Inoltre, con il trattato di Verdun di quello stes-so anno il monastero fiammingo di Turholt cad-de sotto il dominio di Carlo il Calvo, perciò ladiocesi amburghese perse sia le risorse di esso,sia i collaboratori dell’apostolato in Danimarca.Ma lui non desistette: avendo libertà di predi-cazione, poté erigere chiese a Schleswig nel-la Germania nord-orientale e a Ribe inDanimarca, città commerciale delle più impor-tanti della Scandinavia.Dopo alcuni anni trascorsi a Brema, non aven-do chi mandare in missione partì personalmenteper la Svezia e arrivò a Sigtuna (853 o 854).Re Olaf autorizzò la predicazione cristiana, mamancavano validi predicatori. Lascerà a succedergli nella missione il disce-polo Rimberto, che dopo la morte di Anscarioprenderà il suo posto anche nella sede vesco-vile di Brema e ne scriverà la vita. La sua pre-senza migliorò le cose anche in Danimarca, gra-zie ai buoni rapporti del re Horik con Lodovicoil Germanico, figlio di Lodovico il Pio e padro-ne del territorio tedesco. Ma si trattò di risulta-ti temporanei, minacciati dalle difficoltà ogget-tive e dalla politica anche religiosa dei re del Nord,dipendente da troppi fattori esterni (battaglie vin-te o perse, morte del principe ecc.).Tornato nei suoi ultimi anni a Brema, dove morìil 3 febbraio 865, Anscario non vide realizzato il suo sogno di un profondo radicamento cristianoal Nord, per il quale aveva speso tutta la suavita, continuando a seminare sempre con osti-natissima speranza. Resta a suo merito di averdato solide basi alle cristianità di Birka,Schleswig e Ribe (cioè di Svezia, Germania eDanimarca) e di aver lasciato definitivamentela legazione delle missioni nordiche alla dioce-si di Amburgo-Brema.Canonizzato da papa Niccolò I (m. 867), i suoiresti furono dispersi durante la riforma protestante.Anche la Danimarca infatti aderì al luteranesi-mo (1536) e oggi in questo paese di circa 6 milio-ni di abitanti i cattolici sono meno dell’1%. Solonel 1868 la S. Sede poté istituire in Danimarcauna Prefettura apostolica, divenuta Vicariato Apostoliconel 1892; nel 1953 nacque la Diocesi di

Copenaghen, la cui cattedrale è dedi-cata a S. Anscario. Questa chiesafu inaugurata il 1º novembre del 1842;allora la fede cattolica romana eraancora ufficialmente vietata nel pae-se, la cui costituzione garantì la liber-tà di culto solo nel 1849: la chiesafu realizzata sette anni prima su unterreno di proprietà dell’Austria giàdal 1774 e in parte dell’ambascia-ta austriaca. Nel 1850 l’edificio divenne autonomodall’ambasciata, essendo venuto menoil divieto per il culto cattolico nel pae-se; rimase in vigore tuttavia ildivieto di fare uso di campane nel-le chiese cattoliche. Solo nel 1943si è potuto aggiungere una torre sullato sud del duomo di Copenaghen,nella quale nel 1949 furono postetre campane.

3131FebbraioFebbraio20172017

Mara DellaVecchia

IIl disco “Benedicta” edito dalla casa disco-grafica Decca è stato pubblicato nel giugnodel 2015, dunque parlarne ora dopo più di

un anno dalla sua uscita sembra piuttosto fuo-ri tempo, ma non è fuori luogo, perché il discoci permette di parlare di un luogo che non deveessere dimenticato: si tratta di un luogo che damesi è purtroppo alla ribalta delle cronache ita-liane a causa della devastazione causata dalsisma del centro Italia, parliamo della città di Norcia.Il disco “Benedicta” è l’album di esordio dei mona-ci benedettini del monastero di Norcia. La comunità dei benedettini si è ricostituita a Norciadopo 190 anni di assenza da quando nel 1810venne soppressa dalle leggi napoleoniche, nel2000 un piccolo gruppo ha ridato vita al mona-stero, guidato da padre Cassian Folsom,formatosi musicalmente presso laUniversity of Indiana negli Stati Uniti,ancora oggi padre Folsom è il prio-re del monastero dove i monaci sonoora in venti circa. Il disco realizza-to dai monaci costituisce una testi-monianza della vita monastica quo-tidiana, scandita da ritmi regolari neiquali il canto gregoriano ha un ruo-lo fondamentale. I canti registrati fanno parte del reper-torio in onore della Vergine Maria:Salve Regina, Alma Redemptoris Mater,Ave Regina Coelorum, Regina Coelied altri, in tutto ci sono 33 tracce; ibrani proposti seguono la liturgia diMaria in ordine cronologico dallaImmacolata Concezione finoall’Assunzione in cielo e tutti i bra-ni fanno parte della tradizione menoconosciuta seguendo un criterio accu-rato che privilegia la bellezza e l’o-riginalità dei pezzi; è inclusa, inol-tre, una nuova composizione delMaestro del coro della comunità, padreBasilio, intitolata “Nostro qui Christi

iugum” il cui testo è una meditazione sulla rego-la benedettina. Molto suggestiva è l’introduzione del disco costi-tuita dal suono delle campane della basilica diSan Benedetto seguito dal rumore dei passi deimonaci che entrano in chiesa per prendere il loroposto negli stalli e iniziare a cantare. Un modo questo per rendere l’ascoltatore par-tecipe del clima mistico che si crea durante l’e-secuzione dei canti. In una intervista a padreFolsom, nella quale gli si chiede perché aves-sero deciso di incidere e mettere in commercioi propri canti, egli risponde di essere stati spin-ti dal desiderio di condividere la bellezza cheessi stessi sperimentano ogni giorno, quandosi scopre un tesoro non lo si tiene gelosamen-

te nascosto solo per sé, ma si deve condividerlo.Il disco ha avuto una buonissima accoglienzada parte del pubblico in particolare quello ame-ricano. Il successo commerciale ottenuto da questa pro-posta culturale, ma anche spirituale, ci fa capi-re quanto sia presente nella nostra società il biso-gno e il desiderio di bellezza, ma non sempli-cemente quella esteriore o quella supportata solodall’apparenza, bensì la bellezza che si guar-da e si percepisce con il cuore. Ora questo disco diventa più prezioso perchétestimonia di un luogo bello e importante chein questo momento non esiste più, ma tutti spe-riamo possa presto tornare a risuonare dei can-ti dei monaci.

3232 FebbraioFebbraio20172017

Stanislao Fioramonti

AAgennaio di qualche anno fa con mia figliaGabriella feci un pellegrinaggio a pie-di da Valmontone al santuario della

Madonna del Buon Consiglio di Genazzano, peraffidarle l’anno che iniziava. E’ un tragitto di 12km (solo andata) che abbiamo completato in dueore e 20 minuti. Lo stesso pellegrinaggio lo com-pie ogni anno, da molti anni, a primavera (comeesperienza quaresimale), la parrocchia di S. Anna,guidata dal parroco don Giorgio Cappucci. Mafino alla metà del Novecento i pellegrinaggi apiedi a Genazzano, singoli o di gruppo, eranocosa molto comune, sia da Valmontone che datutti gli altri paesi del Lazio centrale, enon solo. Il santuario di Genazzano infat-ti è uno dei più celebri e amati centri maria-ni, di risonanza non solo nazionale mamondiale; non a caso la Madonna delBuon Consiglio è patrona anche di duestati europei, l’Albania e la Moldavia.Partiti da Valmontone (bivio di S. Anna),noi abbiamo percorso tutta via FormaleNuovo, sbucando sulla Provinciale 60/a(Prenestina braccio); l’abbiamo seguitaper 1,6 km fino al bivio per la Mola deiPiscoli, già in territorio di Genazzano, doveè la chiesa rurale di S. Cristina ai Tre Ponti,che “è stata solennemente benedetta il21 luglio 1996 da Mons. VittorioTomassetti vescovo di Palestrina”. Pocopiù avanti (1,5 km circa) sulla provincialeè il Ponte del Tenente, nei cui pressi semi-

coperta dal bosso èstata posta una ste-le con questa lapide:“Qui cadde morto/ perpiombo di assassi-ni/ Giacomo Acqua/tenente deiCarabinieri/ dopoessersi invano/ stre-nuamente difeso/22 febbraio 1874”.Dopo altri 300 metrie a circa un’ora dal-la partenza abbiamosvoltato a destraper la via Colle delFattore (SP 17/aAra dell’Ulivo); l’ab-biamo seguita fino albivio per colle Cerro,dove è una croce inferro a ricordo del-la Missione del 1953,restaurata agosto1985. Alle 11,15 sia-mo sbucati sulla sta-tale Prenestina (SS155 di Fiuggi), attra-versata la quale edentrando subito a sini-stra si è alla perife-ria di Genazzano

(via Palmiro Togliatti). Siamo passati davanti all’-hotel Cremona, il cui ristorante è celebre per fet-tuccine e cannelloni fatti in casa, siamo scesinei pressi del campo sportivo e, attraversata piaz-za della Repubblica, siamo entrati nel centro delpaese da porta Romana, possente struttura affian-cata da due torrioni. Abbiamo costeggiato la pic-cola chiesa di S. Croce risalente al X secolo,che spesso è chiusa ma quando si è fortunati,salita la ripida scalinata, mostra all’interno pare-ti completamente rivestite da affreschi trecen-teschi. Continuando a salire per il Borgo e la viaS. Paolo, la cui chiesa ha un bel campanile roma-nico, si giunge finalmente al Santuario. Quandoabbiamo fatto il pellegrinaggio a piedi, proprio

davanti all’immagine della Vergine la campanadel santuario ha iniziato a dare i rintocchi dell’Angelusdi mezzogiorno, che ho recitato mentalmentein latino:

Angelus Domini nuntiavit Mariae/ et concepitde Spiritu Sancto. Ave Maria...

Ecce Ancilla Domini/ fiat mihi secundumVerbum tuum. Ave Maria...

Et Verbum caro factum est/ et habitavit innobis. Ave Maria...

Ora pro nobis, sancta Mater Dei / ut digni efficiamur promissionibus Christi.

Oremus: Gratiam tuam quæsumus, Domine,mentibus nostris infunde; ut qui, angelo nun-tiante, Christi Filii tui Incarnationem cognovi-

mus, per passionem eius et crucem, ad resurrectionis gloriam perducamur.

Per eundem Christum Dominum nostrum.Amen.

Ogni volta questa antica preghiera mi faricordare una umile suora, madre MariaTeresa dell’Eucarestia, fondatrice dellePiccole Sorelle di Maria dell’eremo di S.Silvestro a Collepino di Spello, che non-ostante l’età e gli acciacchi voleva sem-pre andare in cappella per recitarla insie-me alle consorelle e agli ospiti, al mat-tino, a mezzogiorno e alla sera. Entrando nel santuario, la Cappella del-la Madonna è la prima cosa che si nota. La sua miracolosa immagine, un affre-sco tardo bizantino del secolo XV con-servato in un tempietto dorato pieno diluci e di suggestione, si sarebbe stac-cata prodigiosamente da una chiesa diScutari in Albania all’arrivo dei musulmanie sarebbe miracolosamente apparsa a

3333FebbraioFebbraio20172017

Genazzano nel vespro del 25 aprile 1467, suuna parete della chiesa di Santa Maria che erain restauro con gli scarsi fondi della devota Petrucciae dei frati Agostiniani che la officiavano.La data viene tuttora solennemente celebratadal popolo genazzanese come la festa della “Venuta”della Madonna. La piccola pittura, oggetto diprofonda devozione, fu inserita nel 1734 nell’altarefatto costruire dal card. Alessandro Albani, men-tre gli affreschi che completano la decorazionedella cappella risalgono alla seconda metàdell’Ottocento. Come (quasi) sempre, il nucleo della leggenda

è confermato dalla storia: la più consistente migra-zione di cristiani dall’Albania all’Italia centromeridionaleavvenne proprio nella seconda metà del ‘400quando, dopo la morte dell’eroe nazionale GiorgioCastriota Scanderbeg (1468), l’altra spondadell’Adriatico fu occupata dai Turchi Ottomanidi religione musulmana.A quell’esodo è da riferire la venerazione dei duepopoli per la stessa Madre del Buon Consiglio.Anche ai nostri giorni, specie dopo le grandi emi-grazioni di alcuni decenni fa, alla fine del regi-me dittatoriale e ateo di Henver Hoxha duratomezzo secolo, sono numerosi i pellegrini alba-nesi che si recano a Genazzano; si concentra-no in una data primaverile con un pellegrinag-gio nazionale molto affollato e pieno di rimpiantoper la Vergine che ha lascia-to la loro terra.L’espressione dei loro sentimentiè stata “ufficializzata” da unagrande donna, Madre Teresadi Calcutta (1910-1997), natain Albania, vissuta quasi sem-pre tra i poveri dell’India e orasanta: proprio domenica 4 set-tembre 2016 papa Francescoha celebrato la sua solenne cano-nizzazione in piazza SanPietro. Quando venne in visita allaMadonna di Genazzano, il 10giugno 1993, Madre Teresa lasciòscritta sul libro degli ospiti delsantuario questa invocazione:“Maria, Madre di Gesù, ritor-na a casa, in Albania. Noi ti amiamo, noi abbia-mo bisogno di te. Tu sei la nostra Madre. Ritornaa casa, in Albania, noi ti preghiamo”.Genazzano festeggia la sua Madonna principalmentel’8 settembre, giorno in cui la Chiesa celebrala Natività di Maria. E proprio in quella giorna-ta di festa mariana anche da Valmontone par-tivano, a piedi o sui carretti, le comitive di pel-legrini che andavano al santuario di Genazzanoper fare la visita alla Madonna; dopo le preghieree la S. Messa, si pranzava festeggiando con idolci casarecci, con le ciambelle all’anice tipi-che di Genazzano e con un bicchiere di vino ros-so dolce “Aleatico” di Olevano. Il pellegrinaggio era prevalentemente pomeri-diano, perché la mattina a Valmontone si svol-geva laProcessione del-la Madonna delleCorone, che anda-va dalla Collegiatadell’Assunta allachiesa extraurba-na della Madonnadelle Grazie (S.Antonio Abate); eproprio nella chie-setta di S. Antoniosostavano di ritor-no da Genazzanoi pellegrini di Velletri,

che volevano sempre assistere al devoto cor-teo di Valmontone. La chiesa genazzanese di S. Maria è di origi-ne medievale (sec. X), come indica la cripta sot-to l’attuale navata centrale, ed è ricordata nel-le conventiones stipulate nel 1277. Nel 1356 lanobile famiglia romana Colonna, che aveva infeudo il paese fin dalla seconda metà del sec.XI, con il principe Pietro IV figlio di Giordano Colonnaaffidò la parrocchia di S. Maria del Buon Consiglioai padri Agostiniani. L’edificio nel lato occiden-tale mostra una facciata trecentesca, con por-tale rosone e terna di bifore. La basilica a tre navate fu costruita nel 1621-29 dall’architetto Domenico D’Ottavio di Anticoli,seguace del Maderno, demolendo parzialmen-

te l’edificio tardomedieva-le. Da segnalare il ciboriodi marmo bianco attribuitoad Andrea Bregno, fatto eri-gere da Antonio Colonna nel1467, e la balaustra berni-niana che limita il presbiterio,con sei angeli che sosten-gono il disteso panneggiomarmoreo. A un evento mira-coloso è legata anche la cap-pella del Crocifisso in fon-do alla navata destra,costruita tra il 1592 e il 1630,che ospita un affresco di scuo-la Romana della fine del ‘400raffigurante la Crocifissionee sullo sfondo Genazzano.Al XIX secolo risalgono alcu-

ni importanti interventi sull’apparato decorativo:furono realizzati gli stucchi dorati nella volta del-la navata, opera di Giuliano Corsini su proget-to di Angelo Uggeri, e il ciclo di pitture dedica-te alla Vergine, a S. Agostino e alle eroine bibli-che sulle pareti del presbiterio e della navata. Ai lavori contribuirono, tra il 1880 e il 1882, i pit-tori Tito Troia, Prospero Piatti, Virgilio Monti eScipione Vannutelli. Nei corridoi dell’ex convento è stato allestito unricco museo di arte sacra relativa al santuario,mentre in una cappella si venera l’urna con ilcorpo del beato Stefano Bellesini di Trento (1774-1840), agostiniano, che fu amatissimo parrocodi Genazzano.

continua a pag. 34

3434 FebbraioFebbraio20172017

Bollettino diocesano:

Prot. n° VSC A 01/ 2017

A integrazione del Decreto del 12 giugno 2016, Prot. N. VSCA 15/2016, con il quale, per provvedere all’attuazione del Motu Proprio Mitis Iudex,veniva stabilito che: “il Tribunale diocesano di Velletri-Segni, con sede in Velletri, presso il palazzo vescovile in Corso della Repubblica 343, afar data dal 1° luglio 2016 deve essere considerato a tutti gli effetti di legge competente per la trattazione delle cause di nullità matrimoniale”,con il presente

DECRETO NOMINO ASSESSORI DEL TRIBUNALE DIOCESANO DI VELLETRI-SEGNI

i Rev.mi Monsignori Cesare CHIALASTRI e Angelo MANCINI,

del clero della medesima Diocesi, a norma del can. 1424 del CJC. Contestualmente, si precisa che l’eventuale appello avverso alle sentenzedei processi trattati col Ritus brevior da questo Tribunale andrà presentato al Tribunale di Appello della Diocesi di Roma.

Velletri, 11.01.2017

+ Vincenzo Apicella,vescovo

Mons. Angelo Mancini,Cancelliere Vescovile

Proprio vicino alla sacrestia un mosaico raf-figura il volto di papa Leone XIII (il carpine-tano Gioacchino Pecci), grande devoto del-la Madonna del Buon Consiglio, che fece inse-rire nelle Litanie lauretane l’invocazione MaterBoni Consilii, ora pro nobis e fu a più ripre-se benefattore del santuario (una sua imma-gine era anche nel deteriorato mosaico del-la facciata neoclassica); sotto il mosaico èscolpita questa sua frase: “Huc peregre pia turba venit, sub Imagine mirasupplicat, Exaudi tu Bona Virgo preces, tumisere errantes ad Iesum Virgo reducis, nam-que boni es Mater provida consilii. Leo PP XIII” (Qui giunge in pellegrinaggio ilpopolo fedele e supplica sotto l’Immagine mera-vigliosa; tu Vergine Buona esaudisci le pre-ghiere, Vergine che con misericordia ricon-duci gli erranti a Gesù; sei infatti la Madregenerosa del buon consiglio).Prima di lasciare Genazzano vale la pena

di percorrere il corso principale (CorsoVannutelli), dedicato ai due fratelli genazzanesiSerafino e Vincenzo Vannutelli, cardinali nel-la seconda metà dell’’800, e fare una visitaal castello Colonna, che è l’edificio più impo-nente nel contesto della struttura medieva-le perfettamente conservata del paese. Dalla sua corte, nella quale una lapide ricor-da il pontefice genazzanese Martino VColonna (1417-1431), si può uscire dal ver-

sante opposto a quello di entrata e attraversol’aereo ponte sospeso che scavalca la piazzaalta del paese, al bivio per San Vito, entrare nelgiardino creato sul colle opposto (il parco degliElcini); è uno spazio verde che sale lievemen-te per 1,5 km fino ai ruderi del convento di SanPio, appartenuto un tempo ai frati Agostinianiirlandesi ma ora in condizioni molto degrada-te e in stato di semiabbandono, e alla cappel-la dell’Addolorata posta già sulla strada provincialeper San Vito Romano.A Genazzano (altri sostengono a Paliano, altroantico e importante castello feudale deiColonna) nacque Brancaleone, uno dei 13 cava-lieri italiani facenti parte delle truppe deiColonna nella guerra ispano-francese, che nel1503 sfidarono e sconfissero altrettanti francesia Barletta, nella famosa “disfida” provocata dal-le offese circa il valore degli italiani espressedal capitano francese Charles de Torgues, det-to La Motte.Il ricordo del celebre personaggio è in una vec-chia casa al n. 30 di via Brancaleone, che cor-re al di sotto del corso principale e sotto il san-tuario. E’ indicata da un cartello “Palazzo Brancaleone”e da una scritta sull’architrave:“Qui visse e morì nel 1525 Giovanni deCarlonibus Bracalone detto Brancaleone, unodei tredici cavalieri che nel 1503 difese l’ono-re e il valore degli italiani. Disfida di Barletta 1503.Genazzano 13/2/1995”.

segue da pag. 33

3535FebbraioFebbraio20172017

PERUGINO, RAFFAELLO E

LO SPOSALIZIO DELLA VERGINE

prof. Luigi Musacchio

PPrima ancora di affrontare - con la cautelache il caso impone - la lettura iconogra-fica dei due “Sposalizi” (foto pag. 36), urge

una domanda: “Ma che cosa spinge lo studio-so, l’appassionato, il semplice amante dell’ar-te ad interrogarsi sui contenuti nascosti nelleopere degli artisti più celebri? Trattasi di un impe-to segreto, inspiegabile, che costringe a incam-minarsi sulla Via Francigena del bello, col desi-derio non del perdono da invocare o della sal-vezza da implorare, ma con l’an-sia di scoprire tesori, il vello d’o-ro della bellezza incontaminata,l’immagine pura e incorruttibile diuna figurazione immateriale lascia-ta cadere nel tempo passato sul-la tela, sulla tavola o sulla pare-te, capace - però - di custodire iltesoro di un puro incantamento,risultato di una mente geniale edi una mano divina. E tutto ciò adispetto del tumulto dei tempi cor-renti, così distraenti, tempestosi,alieni dal concedere pause allo spi-rito, attimi di puro godimento inte-riore. Eppure la “ricerca dell’arcaperduta” non conosce tregua: avvie-ne l’inverosimile. Dalle opere dei grandi si sprigio-na una sorta di invocazione rivol-ta all’umanità, un appello senzafine, un richiamo a “riguardare” lemeraviglie disegnate, dipinte e scol-pite nel tempo non tanto per “stu-pire” quanto, alla stregua di unaresiduale, inaudita, ultima Parola,per “rimembrare” la dignità e lagrandezza dello spirito umano. Non è il gridodi dolore che pure si è sprigionato dalle distru-zioni rovinose di Palmira o di Sabrata, ma la taci-ta testimonianza del bello custodita nei museie nei siti archeologici del mondo, capaci di indur-re sentimenti di orgoglio per l’appartenenza aduna schiatta comune e, come tali, da porre asentinelle del bene tra i più preziosi: la bellez-

za, chiamata (forse per ultima) a salvare il mon-do.Perugino - Raffaello, 56 anni e 21, sono le due“età” nelle quali, praticamente in contempora-nea il maestro e il non più allievo gareggiano(si fa solo per dire) nella rappresentazione del-lo stesso soggetto ispirato alle “nozze” di Maria.La visione dell’insieme viene da lontano, ger-minando dall’idea mentale della città ideale che,per esempio, era stata già di Jan Van Eyck (1390-1441). La si può intravvedere, infatti, nel suo monu-mentale Polittico dell’Agnello mistico (1426-1432):al colmo dell’altura che sovrasta un disteso pae-saggio - ove, tra una moltitudine di figure, pre-sumibilmente si celebra il tema della Redenzione- fa capolino il panorama parziale di una cittàdalle alte torri, a loro volta sormontate da unacattedrale architettonicamente ispirata al goti-

co, dalle cupole a piramidi svettanti, è, sen-za alcun dubbio, una rappresentazione idealedipinta nel sentore di un mondo nuovo di là pros-simo a venire. Altra verosimile rappresentazio-ne di città ideale è pure ravvisabile nelle Portea tarsie lignee (1476-1477) (foto sopra) di Francesco

di Giorgio Martini: una via a pro-spettiva centrale, specchiata ascacchiera e fiancheggiata da

edifici a due piani perimetrati da colonne e aper-ture ad archi, cattura lo sguardo spingendolo ver-so il punto di fuga, ove in lontananza è visibilela città, ormai divenuta luogo ricorrente e uto-pia nella sensibilità artistica del tempo. Ma è nella Città ideale (ca. 1490), conservatanella Galleria nazionale delle Marche di Urbino,opera classificata di Anonimo, che si riscontra-no tutti gli elementi di una futuribile organizza-zione urbanistica: scenario quanto mai utopico,visione prospettica centralizzata ad altezza d’uo-mo, rigorosa simmetria a scenario e, nel mez-zo, immancabile tempio circolare, icona di per-fezione e bellezza.Perugino e Raffaello - nella consapevolezza piùprossima allo spirito rinascimentale - colmanodi umanità il deserto della pregressa città idea-le con le piazze sgomente, ove s’aggiravano solo

fantasmi di figure umane esi scorgevano edifici disabi-tati, nudi nella loro fredda emetafisica architettura. Il “paesaggio” non è più quel-lo solo naturale di Van Eyck.Ritorna la “piazza” dellaCittà ideale di Anonimo,ugualmente tirata a scacchiera,ma popolata e animata da unleggiadro, piccolo stuolo dipersone, convenute per assi-stere, quali testimoni privilegiati,alle mistiche nozze di Maria.Della tanto vagheggiata cit-tà ideale sopravvive soprat-tutto, nella sua metafisica magni-ficenza, il tempio. Nelle due pale d’altare essosovrasta la piazza, il crocchiodei personaggi e il lontanopaesaggio. È il tempio checelebra il connubio tra terrae cielo, imprescindibile anel-lo di armonia onnicompren-siva, monumento e pantheondi perfetta e definitiva comu-nione di ispirazione ideale ecompimento estetico. Il tempio non è precluso agli

accessi; anzi - sia in Perugino sia in Raffaello- presenta aperture, a mo’ di sintomatici invitialla sua visitazione, resa possibile da un inter-no illuminato da lanterna (in Raffaello) e pare-ti finestrate. In entrambi gli artisti, maestri di pro-spettiva (e Raffaello anche di ottica), oltre a quel-lo celebrato nel dipinto, v’è un altro “sposalizio”:nelle due pale centinate, le linee rette si coniu-gano a meraviglia con quelle curve, creando sot-

continua nella pag. 36

Particolare dello studiolo del Duca Federico da Montefeltro,

Palazzo Ducale Urbino.

Polittico dell'Agnello mistico, part.,

1426 1432, Jan van Eyck.

Città ideale, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino.

tili e pressoché inavvertibili corrispondenze, non-ché (specialmente in Raffaello) un significativocoinvolgimento dello stesso osservatore all’e-vento rappresentato.I personaggi dell’urbinate appaiono tutti comesospesi in un’aria di mistica compunzione (fotosopra). Si direbbe che nei loro volti non vi siatraccia di emozione, neppure in Maria, né in Giuseppe,né - tanto meno - nei testimoni che assistono

al rito: come se tutto fosse ineluttabilmente giàscritto e destinato a perpetuarsi in eterno. Il giovane pretendente, in primo piano, che pie-ga e spezza il suo bastone non fiorito, al di fuo-ri dell’amorevole consesso, non rompe l’armo-nioso dispiegamento degli astanti, che paionofare da corona di base al superiore arco centi-nato. Tali personaggi non tradi-scono emozioni di sorta perché“sanno” che le emozioni dura-no lo spazio di un attimo e inve-ce essi sono destinati a durarenel tempo, compresi solo dell’orgoglio

di appartenere ad una bellezza senza durata.Non altrettanto verrebbe da dire sul conto deipersonaggi che compaiono sulla tavola del Perugino.Essi non sembrano neppure partecipare alla ceri-monia nuziale: alcune tra le figure femminili dis-corrono tra loro (foto sopra). Colpiscono, tra l’altro, i loro bizzarri copricaponon propriamente consoni alla circostanza. Sonodisposti, quasi allineati, su un unico, compatto

primo piano, dove anche il giovane deluso, qua-si inosservabile, piega il suo bastone confusonel gruppo dei convenuti. Le loro pose, alquanto rigide, la postura drittae solo apparentemente sacrale del sacerdote,non presentano la spontanea naturalezza chesi apprezza nella tavola di Raffaello.

Vi sono ben altri motivi d’interesse iconografi-co che qui non pare il caso di rilevare, tanto sonodetti e ripetuti in tutti i manuali di storia dell’ar-te. Ma su un aspetto particolare torna d’uopoforse porre l’accento: ogni grande opera d’artecela una specie di misterioso codice segreto,quasi un sortilegio: gli Sposalizi di Perugino edi Raffaello non sono muti testimoni di una siapur luminosa stagione artistica. Essi interroganol’osservatore, ancora oggi, quasi reclamando-ne la condivisione di un patto, affinché, da que-sto incredibile e immancabile dialogo, sortiscaun impegno a immaginare una realtà semprenuova, non simulacro di crisi perenne ma desi-derio e ardimento, sul piano non solo estetico,di continue conquiste.Negli anni in cui Perugino e Raffaello comple-tavano gli Sposalizi, un altro genio poneva manoalla Gioconda, altra formidabile icona d’insuperata,sublime arte pittorica; e un altro, ancora, sen-za porre in pausa le sue fatiche scultorie, dipin-geva il Tondo Doni. Si può verosimilmente pen-

sare che queste opere, così sovranamente impa-state di sovrumana bellezza, non diventino arte-fici d’insopprimibili impulsi a bene pensare e ope-rare? In esse opera il codice segreto dell’avvenenzafatale, che si aggira per pinacoteche e museie che presidia, fantasmagorica cariatide - c’è dascommetterci - lo spirito del mondo.

Part. dello Sposalizio della Vergine di Perugino.Part. dello Sposalizio della Vergine di Raffaello.

Lo Sposalizio della

Vergine, Perugino,

1500, Caen.

Lo Sposalizio della

Vergine, Raffaello,

1504, Brera.