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Scuola Normale Superiore di Pisa Comune di Gibellina CESDAE Centro Studi e Documentazione sull’Area Elima - Gibellina - SECONDE GIORNATE INTERNAZIONALI DI STUDI SULL’AREA ELIMA (Gibellina, 22-26 ottobre 1994) ATTI Il Pisa - Gibellina 1997

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Scuola Normale Superiore di Pisa Comune di Gibellina

CESDAECentro Studi e Documentazione sull’Area Elima

- Gibellina -

SECONDEGIORNATE INTERNAZIONALI DI

STUDI SULL’AREA ELIMA

(Gibellina, 22-26 ottobre 1994)

ATTI

Il

Pisa - Gibellina 1997

ISBN 88-7642-071-1

Volume realizzato con contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche

L’AREA ELIMA IN STRABONE

MARIA IDA GULLETTA

A mio padre

Un tema come “L’area clima in Strabone” esige unaimpostazione del tutto particolare1.

Mentre una lettura a raggiera, peraltro seducente, rischierebbedi farci ricadere nell’ ormai superato cliché dell’ archivio-Strabone,d’altra parte tante e tali, e spesso così confusamente sovrappostenel tempo e nello spazio, sono le varianti mitostoriche confluite nelmistero Elimo che la tentazione di raggiungerle tutte attraversoStrabone potrebbe intrappolarci in una rete di strade tutte aperte etutte già ampiamente indagate da autorevoli voci storiografiche.

Cercheremo allora di far ruotare il problema per valutare laposizione assunta dal geografo nel dibattito sulle origini degliElimi, risvegliato dall’attenzione della Roma augustea per Eneae le sue tappe siciliane: il mito troiano, assorbito nella storiadell’Urbe, fu come è noto un’occasione unica per giustificare lapresenza di Roma in Oriente2ed in Sicilia3.

Un’osservazione topografica4sulla possibilità di vedere dalCapo Lilibeo le navi che salpavano dal porto di Cartagine, definito«vicinissimo»5,introduce — con sotteso riferimento alla primaguerra punica — l’immagine straboniana di una Sicilia rivoltaall’Africa6e la esprime nella forma di un aneddoto che, forse nona caso, consente di individuare giusto in quegli anni il momento piùcritico della presenza cartaginese in Sicilia (Strabo, 6, 2, l).

L’influsso di Roma, già significativo in seguito agli accordicon l’clima Segesta (263 a. C.), alla fine della guerra sarà unarealtà effettiva, alla luce della quale si intende l’espressionepolibiana su Erice, la montagna che all’indomani della battaglia

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delle Egadi (241 a. C.) e nella prospettiva del nuovo asse politicoè ormai una montagna che «guarda all’Italia»8.

Su Erice, su Segesta e sul mitico passaggio di Enea attraverso la Sicilia clima Roma avrebbe fatto leva per attrarre sempre piùl’isola nella sua orbita, in nome di una auyyvea9 che da Eneaconduceva direttamente a Venere Ericina, non più dea punica madea nazionale dell’Urb&°: il che avrebbe consentito ai Romani dipresentarsi non come popolo barbaro ed intruso ma come campione di unità etnica contro il cartaginese.

Strabone accenna più volte al topos letterario relativo allaleggenda di Enea in Italia, con toni di scetticismo sempre piùpalese nei confronti di certa onomastica e toponomastica chepretendeva di storicizzare la propria connotazione troiana11.Finché, nel tracciare il profilo di un mito ormai entrato nellastoria, decide di esporsi in prima persona e sottolineare la suanon-adesione, sul piano culturale, al tema con cui l’ideologiaaugustea veniva propagandata’

Secondo Omero, fonte di valore assoluto ed indiscutibile peri fatti relativi alla Troade13,Enea non sarebbe mai partito, inquanto destinato per profezia di Posidone a regnare con la suastirpe nella ricostruita Ilio (Il., 20,306-307): l’adesione di Strabonea questa autorevole versione rende sostanzialmente negativo ilsuo contributo allo sviluppo occidentale della variante leggendaria che avrebbe coinvolto l’area clima14;e significativa risulta laposizione del geografo nei confronti di un coevo filone letterarioteso a nobilitare le origini delf Urbe attraverso quei legami disangue testimoniati dalle tracce archeologiche del nostos’5.

Così, nell’entusiasmo per gli effetti economici e politicidella romanizzazione, risalta in modo inequivocabile la sua nonadesione, sul piano culturale, al tema principe della propagandaaugustea.

Strabone è senz’altro consapevole della polemica insita neldibattito sulle origini della città che si appresta a dominare ilMediterraneo; ma non è il caso di interpretare come atteggiamento politico di opposizione all’Urbe quello che lui vive semplice-

LAREA ELIMA IN STRABONE 981

mente come esigenza di disciplina scientifica, vale a dire iltentativo di ricostruire con metodo e correttezza di indagine, sufonti autorevoli ed imparziali, la storia di una leggenda, che è cosadiversa dal fare su una leggenda la Storia.

Che il suo rifiuto sia di natura culturale e non politica èevidente dal fatto che Strabone — sull’ autorità di Omero — sembraribattere ai vari aspetti della contropropaganda che tentava di

oscurare le origini di Roma, insinuando l’avvenuta morte di Eneanella Troade’6;o peggio ancora infangava la città alludendo ad unEnea traditore che avrebbe consegnato Troia, libero poi di partireper fondare la nuova colonia dei Frigi’7;e d’altra parte non mancadi ribattere alla propaganda medesima, che poteva servirsi di certegeneriche informazioni, per provare una tappa siciliana compiutada Enea, prima di raggiungere il Lazio. O 8 4r1a1v: Strabonelascia nell’anonimato queste fonti, secondo le quali il figlio di

Afrodite, sbarcato nei pressi di Segesta’8, avrebbe chiamatoScamandro e Simoenta i due fiumi che ne bagnano l’area, contribuendo con l’idronimia all’impronta troiana del paesaggio’9.Conlui si sarebbe trovato anche Elimo, già collocato da Licofrone,

come figlio naturale di Anchise, in uno stanziamento di Troiani inSicilia precedente agli anni della guerra (Lycophr., 965967)20.

L’ironia straboniana nei confronti di coloro che avrebbero

modificato ad usurn Romanorurn i famosi versi omerici contenenti la profezia di Posidone sulla stirpe eneide, destinata aregnare TpLEou1I’ e non lTc’wTEaoiv (ed è qui inevitabile pensare

alla traduzione virgiliana dei versi emendati), rende ancora piùchiara la scelta culturale di Strabone2’.

La critica è oggi incline ad interpretare l’arrivo di Enea nelLazio attraverso la Sicilia in funzione della politica di avvicinamento fra Roma e Segesta, evidente a partire dal III sec. a.eppure è ancora aperto il problema delle anonime sorgenti diinformazione che Strabone, con il generico o & qa1v, sembraaver voluto relegare ai margini della credibilità.

Autorevole resta sempre la voce di Van Compernolle che,in base a certa tipologia numismatica del III sec. a. C., indicante

il passaggio di Enea a Segesta, ha suggerito l’esistenza di un polo

982 M. 1. GULLETTA

romano in questa attrazione sempre più forte tra le due aree: tardefonti latine, individuabili in Nevio, Ennio o Catone, avrebberocreato la base dell’aggancio fra le due città in chiave troiana, perpoi confluire in Strabone e prima di lui —ma con opposta fruizione—in autori quali Cicerone, che ufficializza la figura di Enea dupliceecista di Roma e Segesta; Dionigi di Alicarnasso, che presental’Afrodite Ericina come madre di Enea ed il suo santuario comeultima tappa siciliana dell’eroe; ed infine Virgilio, cui dobbiamol’ultimo capitolo di questa grandiosa mitostoria23.

Ma parlare di un aggancio su basi mitiche non significa inquesto caso creazione di un mito; si tratta piuttosto della riscopertadi un mito, raccontato e reinterpretato funzionalmente.

Il mito di Enea in Occidente ha avuto senza dubbio unadiffusione precoce, anche se rimane solo un’ipotesi affascinantel’attribuzione a Stesicoro del viaggio di Enea verso l’Esperia24;nonsottovalutiamo il fatto che forti interessi ateniesi già nel V sec. a. C.poterono favorire la diffusione della leggenda per selezionare ipopoli anellenici d’ Occidente con i quali Atene intendeva stabilirerapporti diplomatici e commerciali25.Per la Sicilia, dove già il cultodi Afrodite Ericina costituiva un fortissimo polo d’attrazione26,siè pensato al teatro attico di ispirazione periclea, a Sofocle, peresempio, menzionato da Strabone e Dionigi di Alicamasso inmerito alla partenza di Enea da Troia: non si esclude che certe suetragedie perdute, ambientate in Sicilia ed interessate al tema dellaprotostoria mitica di area sicana, sfiorassero anche la limitrofa areaelima27.

D’altra parte non possiamo trascurare che già autori di V sec.a. C. parlavano di Enea fondatore di Roma, insieme ad Odisseo:ci riferiamo ad Ellanico e Damaste di Sigeo, quest’ultimo moltovicino al Diotimo delle poco indagate spedizioni ateniesi in areasicula e partenopea28.

Ed evidenze archeologiche ormai numerosissime hanno suggerito la familiarità di Roma con il personaggio di Enea, noto aLatini29ed Etruschi30,ed addirittura a questi ultimi fin dal VII sec.a. C., come ha recentemente suggerito M. Sordi; nonché una suarecezione ufficiale avvenuta almeno verso la fine del IV sec. a. C.,

L’AREA ELIMA IN STRABONE 983

quando, ancor prima dell’ esperienza siciliana,!’ Urbe era impegnata a tessere rapporti di alleanze con le popolazioni confinanti (338a. C .)3 . È questa l’epoca in cui risultano storicamente dimostrabiliattraverso epigrafi funerarie anche i tentativi di aggancio genealogicocon il ceppo eneide da parte di nobili famiglie romane32;mentre dili a poco Enea avrebbe anche avuto un ruolo fondamentale nellapropaganda contro Pirro, giunto in soccorso della grecità italicaoppressa dalla colonia dei Frigi (Paus., 1, 12, 1).

11111 secolo si aprirà in Occidente su nuovi giochi politici,nuove alleanze, nuovi interessi: Roma intravede un’occasioneunica, la risposta elima non tarda a venire, e nel 216 a. C. un ponteideale tra Erice ed il Campidoglio con l’erezione del tempio aVenere Capitolina sancisce un mito ormai divenuto Storia33.

Che le anonime fonti di Strabone su Enea, Segesta ed ilLazio, possano individuarsi fra i primi vettori del mito o fra quantipiù tardi lo avrebbero rielaborato resta un problema aperto che, aquesto punto, abbandoniamo per seguire il contributo del geografoalla vicenda di una delle due parti in causa: gli Elimi.

Da un celebre frammento di Apollodoro tratto dal Commento al Catalogo delle Navi34 apprendiamo che Filottete35 giuntocon Egesto36 ed alcuni compagni nel Bruzio, dopo aver colonizzato le città di Crimissa37,Petelia38 e Cone39 inviò Egesto e pochialtri in Sicilia, presso Erice: lì sarebbe stata fondata Segesta40.

La discussione storiografica non si discosta, in genere, daun’uniforme linea interpretativa circa il brano che Straboneutilizza per ben due volte: ed è bene non confondere con unaassenza di acribia quella che sembra invece una sua convintaadesione a questa versione dei fatti.

Ancora una volta la critica chiama in causa gli interessi atticidi V sec. a. C.41 per spiegare il singolare parallelismo fra siti legatiall’eroe acheo in Magna Grecia e la cuspide nord-occidentaledell’isola: siamo di fronte a due aree geografiche, i cui abitanti,Coni ed Elimi (come del resto anche i Veneti dell’ Alto Adriatico),venivano recepiti dai Greci come popolazioni anelleniche d’Occidente, a cui interessi diplomatici o commerciali suggerivano di

984 M. I. GULLETTA

attribuire ascendenze grecizzanti42.Ed è stato già evidenziato, in altre sedi43, il nesso Filottete

Egesto nel quale, attraverso la possibilità di ricondurre Filottete adarea focidese nell’ambito della versione sofoclea della sua leggenda, si ritrova il nesso Focidesi-Troiani che, in Tucidide e forse giàin Antioco45,costituivaun dato storico per la formazione dell’ ethnoselimo46. Il che ha suggerito anche la possibilità di conciliare lateoria tucididea sulla provenienza degli Elimi da Troia con l’informazione di Ellanico sul loro arrivo in Sicilia dall’ area enotria47.

Una rotta obbligatoria per giungere in Sicilia dall’ Orienteera appunto quella settentrionale che toccava la Calabria: ciòrendeancora più insolita la rotta dei Focidesi di Tucidide, giunti inSicilia dopo un naufragio sulle coste libiche48.L’analoga rottaseguita, o meglio subita, dall’Enea virgiliano49 trova la criticaconcorde nel leggere la storia del naufragio come un toposletterario, fino all’ estrema ipotesi relativa alla presenza di Filottetein Sicilia, adombrata dai Focidesi di Tucidide: in Filottete il mitotroiano di Enea troverebbe così un partner acheo, in conformitàa quella simbiosi di esuli (achei e troiani) avvenuta nella tradizione letteraria dei

Una lettura senza dubbio avvincente, ma forse ardita. E che,in ogni caso, nulla porta alla problematica straboniana più diquanto già non faccia l’evidenza di una tradizione uniformeconfluita in Apollodoro che, adombrando quanto era già inAntioco-Tucidide ma in linea con Ellanico, avrebbe connessoFilottete ed Egesto (vale a dire Focidesi e Troiani) in Calabria, perpoi spingere Egesto in Sicilia presso Erice, sulla scia di una piùantica frequentazione troiana precedente agli anni della guerra edattestata da Licofrone.

Nel dibattito storiografico Strabone sembra quindi collocarsi al di fuori di ogni propaganda ma all’interno di una tradizioneche ha proiettato la mitostoria degli Elimi in quella protostoria discambi e rapporti commerciali che per secoli costituì il rapportodell’Occidente con l’area frigia51.

Ora, se è vero che la funzione pragmatica52dell’opera misura

L’AREA ELIMA IN STRABONE 985

il dato geografico sulle dimensioni di un passato arcaico e classico

che risponda alle esigenze della nuova situazione imperiale53,sarà

bene accogliere come scelta — e non tanto, o non solo, come

necessità meccanica — quella stratigrafia descrittiva54 che molto

spesso fa da supporto allo specifico straboniano, sia esso etnografico,

linguistico o antiquario: vale a dire ‘il particolare’ che oggi, forse

contrariamente alle previsioni di Strabone sulla funzione della sua

KoXoaaoup-y[a, ci attrae molto più dell’insieme55.L’esempio più concreto di questa diacronia, per l’area elima,

è la ‘scheda’ informativa sul santuario di Erice che l’editore

anonimo degli appunti di Strabone potrebbe aver erroneamente

collocato nel settore relativo alle 1TÒXEIS’ IEcY6yELoL56.

La formula adottata, con una leggera variante rispetto a quella

tripartita Up6TE pov /iaTE pov / vi)v è data dal TÒ rraXcaév «il tempo

antico», caratterizzato da una grande frequentazionedipo6oi)Xcu,

rispetto al quale nell’«epoca attuale», ilvuv’i, sia la KaTO1Kfa che il

famosissimo ‘iepòi’ ‘A4po&n soffrono di XelTravSp[a57.

Nessun accenno alla disapprovata mitostoria della avy’yt’c ia

fra il pubblico augusteo ed il centro sacrale più importante dell’area

elima58.Il modulo esplica semplicemente una retrospettiva storica

nei confronti di una realtà andata soggetta nel tempo a delle

trasformazioni, in funzione della rapida conoscenza di «tutto il

notevole di luoghi ed episodi»59e sulla base di una diacronia dove,

alla fine, l’interesse per il vC’i’ prevale sulTò uaXaL&’, che non è il

prima assoluto ma il prima relativo ad un presente romano: il che,

tra le righe, consente di cogliere l’interesse del geografo tutto

rivolto all’attualità dell”! TaMa augustea60.Si è tentato di spiegare lo ‘spopolamento’ di Erice con le

malefatte di Verre61,homo Venerius e servo di illecite passioni

amorose62:ma, a prescindere dalla possibilità che Verre abbia

incrementato o al contrario depauperato il culto di Afrodite in

Sicilia63,l’ipotesi non tiene conto del fatto che il modulo diacronico

impiegato da Strabone indica un lasso di tempo molto più ampio

di quello compreso fra la sua epoca e quella del propretore.

E preferibile pensare che Strabone voglia solo illustrare il

prestigio del santuario, su cui inevitabilmente si riflette la decaden

986 M. I. GULLETTA

za della KaT0LK{aM, nel quadro dei precisi eventi storici che dalleguerre puniche alla conquista romana hanno investito tutta quantal’isola. Episodi a cui peraltro Strabone non manca di alludere,fornendo un quadro della Sicilia forse non più cosìanacronisticamente ancorato alla descrizione di Posidonio65,magià abbastanza attuale negli effetti della romanizzazione66.E distretta attualità risulta anche la nota sulle condizioni del santuario,ancora attivo in età ciceroniana e di cui Strabone non sottovaluta lacoeva considerazione, definendolo «famosissimo»67. I

Mai! suo silenzio sulla cura che i Romani ebbero per lo’iEpòv‘Apo6{TflS.6se sulle implicazioni ideologiche degli onori da lororesi alla dea in Sicilia69può essere molto eloquente nella prospet- Itiva dei rapporti fra il geografo ed il legame Romano-Elimo. I

In Erice e nelle sue ‘LEpoSouXaL Strabone pone semmai Il’accento sulle radici storiche del culto, nato da quella mescolanza estremamente sfumata di elementi mediterranei ed orientali Iche fu l’Afroditismo in Sicilia70;nonché sull’importanza dellesacerdotesse per l’economia del luogo. strategicamente ubicatosu una delle rotte più importanti del Mediterraneo e punto dirichiamo per le genti del mare7L

Il ristoro ‘fisico’ offerto al marinaio nel nome di AstarteAfrodite, come estensione ultima del concetto di salvezza dalleonde, non può non richiamare nella dea Ericina un aspetto della [Afrodite Pelagia e quindi la fortissima connessione con il mare, [implicita nella genealogia che da Posidone o dall’Argonauta EBute, ipostasi di Posidone medesimo, conduce all’eroe eponimo72. E

Ma di questo Strabone non parla e ci invita piuttosto a [seguirlo in una delle pochissime chances autoptiche, colte durante la stesura dell’opera73. [

Il tempio di Afrodite Ericina, restaurato da Tiberio e Claudio Esu invito dei Segestani in nome della ouy t’EiC ed a noi giunto [in tale nuovo assetto attraverso una tarda iconografia monetale75,nel 181 a. C. trovò un àLbpvjia — così racconta Strabone — nel Etempio da lui visto nei pressi di Porta Collina, una zona successivamente inclusa negli Horti Sallustiani e poi divenuta proprietà

L’AREA ELIMA IN STRABONE 987

Ludovisi76.La Casa di Venere, a differenza di quella eretta sul

Campidoglio nel 216 a. C., fu collocata extra pomerium, nella più

fedele tradizione relativa ai culti di importazione77,ed ebbe —

secondo la testimonianza autoptica del Geografo— un grandioso

portico con colonnato, riproduzione fedele del tempio ericino78.

In passato è prevalsa la tendenza ad interpretare sulla scia

dell’autopsia straboniana la descrizione di Flaminio Vacca, rela

tiva ai «resti di una fabbrica ovata con portico intorno ornato di

colonne di marmo», resti che l’antiquario ebbe modo di vedere

nella proprietà paterna, poi passata ai Ludovisi79;oltre a ciò, con

il solo, ingenuo conforto prospettico del tempio rappresentato

sulle monete Considiae, si è tentato anche di ricostruire il tardo

assetto del santuario ericino8°sulla planimetria di quello romano

disegnato da Pirro Ligorio81 in base alla descrizione del Vacca82:

ipotesi, tutte, destinate a rimanere puramente affascinanti.

I dati descrittivi in nostro possesso non possono essere

comparati, in mancanza di solidi riferimenti archeologici: «nullum

sacrae aedis vestigium in superficie apparet» scriveva già

Fazellus83, né i più recenti resoconti di scavo hanno potuto

ampliare la conoscenza dell’area sacra, precedente alle

sovrapposizioni medievali84.Ed i magnifici pezzi Ludovisi, sui

quali ancora si discute nell’ipotesi affascinante di un colloca-

mento ericino85,precedente alla funzione ornamentale nella suc

cursale romana, non hanno rivelato il loro rapporto con le rovine

descritte dal Vacca, nè tantomeno è dato di conoscere il legame

fra queste ultime e la descrizione straboniana.Non mancano invece le sorgenti di informazione relative

alla pregnanza ideoologica che i Romani vollero attribuire alla

succursale del tempio di Erice86, fino al punto di concedere in

forma straordinaria la pratica dei liberi amori nelle adiacenze del

santuario, in palese continuità con la pratica della prostituzione

sacra, vietata dal costume ufficiale romano87.Il Dies Meretricurn88,coincidente con la festa di Afrodite

Ericina89, suggella definitivamente l’aggancio ad un mito

rispolverato nel 111 sec. a. C. con precise finalità politiche da

Roma e da Segesta, in nome di quella comune origine troiana

988 M. I. GULLETFA

ormai entrata nella storia.Virgilio, cantore ultimo ed ufficiale della presenza di Enea

a Roma, nella Sicilia che fu l’ultima tappa dell’eroe aveva fattodi lui il fondatore dello ‘LEpòv ‘Apo&-rrìs, prima pietra di quelponte ideale che da Erice si sarebbe esteso a Porta Collina, dopol’orientamento capitolino90.

Strabone non poteva eludere il dato archeologicodell’ à6puiia e tantomeno l’evoluzione storico-politica del santuario che, dall’orbita cartaginese sottesa nelle ‘lEpo8oi)Xa191,viene inevitabilmente attratto dall’orbita romana e non a casodopo la decadenza della KaTo1K(a, nel corso della prima guerrapunica. Dal quadro ericino aveva già sottratto ogni compromettente nota mitologica92:non gli rimaneva che evitare l’argomentodel restauro di Tiberio, primo risultato concreto di quella tradizione troiana attraverso la quale il culto era penetrato nell’Urbe93.

Una scelta che rende definitivo il suo rinnegamento culturaleper il tema principe della propaganda augustea, pur nella generaleesaltazione della provvidenzialità dell’impero94.

Nom

Per il VI libro di Strabone, contenente i passi relativi all’area elima (6,1, 3; 2. 1; 2, 5; 2, 6; 2, 7) sono state consultate le seguenti edizioni:

ALY 1972 = Strabonis Geographica recensuit W Alv, volumen secundumin quo continentur libri 111-VI, quos ab editore prelo datos iteratis curisperpoliverunt E. Kirsten et F. Lapp; tabulas JV-XI1 addidii E. Kirsten, Bonn1972; BJFFI 1988 N. Birn, L’Italia di Strabone. Testo, traduzione e commentodei libri V e VI della Geografia, Genova 1988; BIRASCHI 1993 = Strabone.Geografia. L’italia, libri V- VI, introduzione, traduzione e note di A. M.Biraschi 2 Milano 1993 [Milano 19881: JoNEs 1967 = The Geography ofStrabo, with ati English translation bv H. L. Jones, III, London-CambridgeMass. 1967; KRAMER 1844 = Strabonis geographica recensuit commentariocritico instruxit G. Kramer, Berolini 1844, I; LASSERRE 1967 = Strabon.Geographie. Tome III (livres V et VI), texte établi et traduit par F. Lasserre,Paris 1967: METNEKE 1856 = Strabonis geographica recognovitA. Meineke,volumen primum, Lipsiae 1856; SB0JUoNE 1970 = Strabonis Geographìca,volumen secundum: libri III- VI, F. Sbordone recensuit, Romae 1970. Pervarie informazioni bibliografiche vd. inoltre Strabone. Saggio di bibliografia

L’AREA ELIMA IN STRABONE 989

1469-1978, a cura di A. M. Biraschi - P. Maribelli - G. D. Massaro - M. A.

Pagnotta, Perugia 1981 ed il piu aggiornato testo di L. I. GRATSIANSKAYA, «The

Geography» of Strabon: the Probiems of Source-Criticism, Moscow 1988,

165- 175.2 Per comprendere il significato politico per cui i Romani si presentarono

in Asia come imparentati con Ilio è interessante la testimonianza di lusT., 31, 8,

1-4 nutua gratuiatio Iliensium acRomanoruinflit, IliensibusAeneam ceteresque

cum eo duces a seprofectos, Romanis se ab hisprocreatis referentibus; tantaque

laetitia omniumfluit quanta esse post longuin tempus interparentes et Iiberos

solet. Iuvabat Ilienses nepotes suos Occidente etAfrica domita Asiam, ut avitum

regnum, i’indicare, optahilem Troiae ruinam fuisse dicentes, ut tam feliciter

renasceretur. Contra, Romanos avitos lares et incunambula maiorum tempiaque

ac deorum simulacra inexpiicabile desiderium visendi tenebat. Cf. anche Liv.,

37, 37 (quelli di Ilio sottolineavano la discendenza dei Romani da loro, mentre

i Romani si compiacevano delle proprie origini troiane).

Sui fini dell’utilizzazione della avyyvea troiana nei confronti della

Sicilia cf. F. P. Rizzo, Tum etiam cognatione populi romani nomen attingunt, in

«Gli Elimi e l’area elima fino all’inizio della prima guerra punica. Atti del

seminario di studi, Palermo-Contessa Entellina 1989>’, ASS, 5. IV, XIV-XV,

1988-1989, 145-153, 149: «1 Romani si servivano degli Elimi per dare un’im

magine di sé stessi che fosse tale da rendere meno traumatica la loro presenza in

una terra di profonde tradizioni storiche quale era la Sicilia, un’immagine

insona non di popolo barbaro ed intruso ma di popolo capace di competere con

i Greci sul piano delle forme civili e pertanto nell’azione civilizzatrice nei

confronti degli ‘indigeni’. Questo punto di vista divenne la chiave di lettura della

prima guerra punica per la storiografia romana». D’altra parte i Romani

dovevano recuperare il significato positivo del loro intervento nell’ isola non solo

perché ambivano a presentarsi come campione di unitàetnicacontro il Cartaginese,

ma anche perché di recente la propaganda di Pirro aveva rischiato di travolgere

m chiave antiromana il mito Troiano. Pirro (cf. PAUS., 1, 12, 1) chiamato in

soccorso dai Tarantini, in guerra contro Roma, giunse come erede di Achille,

destinato a sconfiggere una nuova Troia, o meglio una colonia fondata da

Troiani: si porgeva quindi come difensore della grecità d’Occidente. La propa

ganda di Pirro sarebbe un altro sintomo della precoce diffusione occidentale

della leggenda di Enea fondatore di Roma, vd. infra.

Il brano deriverebbe da Posidonio, cf. LASSERRE 1967, 153, n. 2. Sulle

fonti del VI libro della Geografia — oltre alle note introduttive ed ai commenti

che corredano le edizioni critiche citate supra, n. 1— cf. anche M. DUBOIS,

Examen de la Geographie de Strabon. Etude critique de la ,né’thode et de les

sources, Paris 1891; H. L. HEEREN, De fontibus Geographicorum Strabonis

commentationes duae, Gottingae 1823, in F. AMBROSOLI, Del/a Geografia di

Strabone libri XVII, Milano 1827, I. 97-175: G. HUNRATH, Uber die Quel/en

990 M. I. GULLETTA

Strabo’s im sechsten Buche, Cassel 1879; N. SOLLIMA, Le fonti di Strabonenella Geografia della Sicilia, Messina 1 897. Per la bibliografia più specifica,relativa ai rapporti di Strabone con ognuna delle sue fonti, vd. infra i singolicontributi: per più recenti interpretazioni critiche del problema cf. Strabon.Geographie. Totne j, pe partie (Introduction gnéral-Li’re I). par G. Aujac etF. Lasserre.... Paris 1969. XXXIV-XLVII, e GRATSJANSKAYA, «The Geographv»ofStrabon... cit.. vd. supra, n. 1).

STRABO, 6. 2. 1 fan 6f 1(01 aTTO AiXua[ou ToÙXdxlaTov &ap1a

fiTt A3àiiv XXLO1 «lì 1TEOTOK6aIOI TrEpÌ. KctpXT&’a 1(00’ 6i Xf’yrTaÌ.

TIS’ Tdl.’ ÒV6OpKOàVTW1’ aTrò TLVO (TKO1Tf a’y’yfXXELV Tò1) dplO1Iòl)

Td1V dvayollévwv fK Kapr66vos’ aKa4xil) TOÌ. fo AtXuf3aÌ.q .Perquantouna tradizione locale voglia che ancora oggi, nelle giornate serene, siapossibile vedere i monti africani da M.te San Giuliano (vd. i. O. THOMSON,

History ofAncient Geographv2.New York 1965. 220), l’osservazione diStrabone (derivante da Posidonio. secondo LASSERRE 1967 ad loc.) sembraesagerata, all’editore BWFI 1988, 329, n. 122 ed a G. K. GALINSKY, Aeneas,Sicilv and Rome, Princeton 1969. 63 n. 1. Già isidoro di Siviglia ( Etv,n.. 2. 12,4) riteneva la cosa «incredibile. quod factum non esse credatur. ut adulescentem,qui de Siculo litore ingredientes Africam classes viderit». D’altra parte nondimentichiamo che Strabone, mai stato in Sicilia (così SOLLIMA, Le fonti diStrabone... cit., 10) non solo non sapeva che il ‘piatto’ promontorio di Lilibeosi alza a pochi metri s. 1. m., ma aveva anche una falsa idea dell’inclinazionedell’isola che si sarebbe piegata dal Peloro verso il Lilibeo. lasciandosi l’italiaa Ne ad O il Mar Tirreno con le isole Eolie (STRABO, 6,2, 1). Sulle fonti relativeai rapporti ‘topografici’ di Lilibeo con la costa africana cf. ora S. DE Vino, s.v. Lilibeo, BTCGI. IX (1991), 42-76, 43-44.

6 La concezione africoversa della Sicilia straboniana. ripresa da AELIAN.,

VH., 11, 13, diventerà persistente nel tempo e sarà soprattutto la geografiatolemaica a consacrame l’orientamento. La familiarità con questa immaginepermette a Plutarco di tradurre, con continuità storica e topografica. unaosservazione tucididea sulla ritirata dei Fenici nella cuspide nord-occidentaledell’isola, non solo perché vicini agli Elimi, loro alleati, ma anche perché daquel punto il tragitto fino a Cartagine era fXdXlaTov (THUC., 6, 2, 6). E gliAteniesi, alla vigilia della spedizione in Sicilia, guardano con interesse lemappe dell’isola ed i suoi porti rivolti all’Africa, considerando l’isola stessacome prossima base e trampolino di lancio per «le colonne dErcole» (Pi.uT.,Nic., 12), cf. G. NENCI. Troiani e Focidesi in Sicilia. ASNP. S. III, XVII, 1987.922-933, 932 n. 37: e Rizzo, Tuin etiani cognatione... cit.. 147.

Apprendiamo da Plinio (n. li.. 7. 85) nonché da Varrone sua fonteespressamente citata, che risale al tempo del Belluin Punicurn l’episodioaneddotico relativo ad un certo Strabone che, dal Lilibeo, poteva contarequante navi salpavano dal porto di Cartagine; cf. anche VAL. MAX., 1, 8, ext.

L’AREA ELJMA IN STRABONE 991

14. Solino (1,99) ricorda lo stesso episodio, menzionando ancora Varrone, ma

variando l’immagine topografica pliniana (a Lilvbaeo Siciliae promunturio)

nel più generico ex Lilybitana specula che sembra adeguarsi meglio alla

tradizione greca, in quanto richiama la formula straboniana diTò T1) aKorn).

E stato osservato, proprio sulla base di Strabone e Solino, che forse la leggenda

si riferiva originariamente all’Erice che, elevandosi per ca. m 750 s. 1. m.

avrebbe favorito meglio, rispetto al Lilibeo, una visione della costa libica.

Columba riteneva infatti che una specola (punto di osservazione) dell’Erice

potesse essere definita Lilvbaerana ma, se è pur vero che ancora oggi dal M.te

San Giuliano le giornate serene facilitano la sensazione di vicinanza con

l’Africa, è anche vero che la base su cui lo studioso ha poggiato l’interpreta

zione ericina’ di Strabone e Solino non risulta molto appropriata: l’Aceste

virgiliano, dal monte di Erice, non vide la partenza ma l’adventu,n della flotta

di Enea ai sicuri porti siculi (VERG., Aen., 5, 30 sg.), cf. G. M. COLIJMBA,

Ricerche storiche. Geografia e geografi del inondo antico, Palermo 1935, I,

337-338. Per una dettagliata descrizione topografica di Erice. cf. HeLSEN. s. v.

Ervx (1), RE, VI (1907), 602-604; Cenni storici su Erice, SicA, VII, 2, 1960,

10-13; D. KINEAST, Rome und die Venus voni Eryx. Hermes, XCIII, 1965,478-

489.478 n. 1; edora S. Dr VID0, s. v. Erice, BTCGJ. VII (1989), 349-378.350-

351. Sull’ipotesi che in Lilibeo’ si nasconda il nome fenicio di Erice e che,

comunque, per la navigazione da Cartagine verso la Sicilia fosse Erice il punto

di riferimento, e non il piatto Capo Lilibeo. cf. G. NENCI, Pentatio ed i Capi

Lilibeo e Pachino in Antioco (Paus., 5, 25, 5: 10, 11, 3). ASNP, S. III, XVIII,

1988, 3 17-323. 322.8 POLYB., 1, 55, 7. Polibio però non crede alla troianità di Roma, quanto

alla necessità realistica per la Sicilia di guardare verso l’Urbe. Si interessa

pertanto a quello che fu il teatro delle lotte più aspre del Bellum Punicum (cf.

1,55,6-10; DI0D., 24,8) per dimostrare il carattere anticartaginese dell’azione

romana e per sottolineare che i Greci d’occidente avrebbero mantenuto la

libertà solo se fedeli ad un ruolo antipunico. cf. E. GABBA. Sulla valorizzaione

politica della leggenda delle origini troiane di Roma, fra III e lI sec, a. C., in

AA. VV., I canali della propaganda nel inondo antico, a cura di M. Sordi.

CISA, IV. Milano 1976, 84-101. 90-91; ID., Political and Cuitural Aspects in

the Classical Revival in the August Age, Classical Antiquity. I. 1982, 43-65:

Rizzo, Tutti etiam cognatione... cit., 150; ID.. Baton di Sinope, storico di

Geronimo, RSA, XIII-XIV, 1983-1984, 127-137 (dove si mette in evidenza

come Polibio attribuì l’evento traumatico della fine della libertà per i Greci di

Siracusa alle velleità filopuniche di Geronimo).

Cassio Dione, attraverso ZON., 8, 9. 8, riflette quale unico autore che

abbia conservato la linea annalistica la chiave di lettura della prima guerra

punica: “EycaTal’ b’ ovaiav XaOIY. à ‘yàp T1)1) TTpòs’ ‘PW(Icl(oUS’

OKE(iG1L’ O ìi’ C1ùTÌj, dTtò TOl.) ‘AtVEIOU X’yOVTES ‘ye’yovét’aL

992 M. I. GULLETTA

TrpooExùpnaai’ ajTo1’, TOU KapXfl&L’[ouS ol’c1icravTEs.10 Sottrazione che si pone come ultimo atto della eterna inimicizia fra

Didone ed Enea, un mito a cui Timeo aveva offerto i presupposti sincronizzando la fondazione di Roma e Cartagine e sottolineando l’antagonismo fra le duepotenze, cf. Tiri.. ap. DIoNYs. HAL., 1, 74, 1. ripreso da schoi. ad Eur., Troad..221; vd. anche Rizzo, Tum etiam cognatione... cit., 150-151. SuI significatopolitico dato dai Romani alla dea, nei due santuari ad essa dedicati rispettivamente nel 216 a. C. e nel 181 a. C.. cf. le osservazioni di R. SCHILLINO, Lareligion romaine de Venus depuis ies origines jusqu ‘à / ‘époque d ‘Auguste,Paris 1954 ed infra le nostre note al testo.

il Cf. ST1uo, 1,3,2 (Enea, Antenore e gli Antenoridi, sopravvissuti allaguerra troiana e sparsi ne1l’otKovvrì); 3, 2, 13 (leggende legate alle fondazioni di Enea, Antenore, gli Eneti, Diomede, Menelao, Odisseo etc.); 5, 3, 2(imprese e fondazioni di Enea nel Lazio, fino alla sua morte); 5,3,5 (soggiornodi Enea nel Laurento, ad Ardea, e pratica del culto di Afrodite); 5, 3, 6(passaggio di Enea presso il Golfo di Ka[eTas, così battezzato — secondoVERG., Aen., 7, 2-11 e DioNYs. HAL., 1, 53. 3 — dalla sua nutrice: contra.Strabone ricollega la denominazione ad un termine laconico per indicareTrclvTa Tà KoiXa); 13, 1,27 (sulla credenza romana che Enea sia il capostipitee sulla derivazione della Gens Iulia da lulo-Ascanio).

12 Sul valore di topoi letterari dei passi citati alla nota precedente, e sulsignificato di STRAnO, 13, 53 (venuta di Enea nel Lazio, attraverso la Sicilia)cf. A. M. BIRASCHI, Strabone, Omero e la leggenda di Enea, AFLPer, N. S. Il(= XVI), 1978-1979, 101-108. Non è questa la sede per riproporre e discuterela sterminata bibliografia relativa al dibattuto tema delle origini troiane diRoma; citiamo solo P. BOYANCÉ, Les origines de la légende troyenne de Rome,REA, XLV, 1943, 275-290 per la sua critica al famoso testo di J. PERRET, Lesorigines de la légende troyenne de Rome (281-23]), Paris 1942, per moltiaspetti superato, ma pur sempre una pietra miliare nel campo di questodibattito storiografico.

13 Sulla difesa di Omero, in generale, vd. D. M. SCHENKEVELD, Strabo onHomer, Mnemosyne, XXIX, 1976, 52-64. Sulla valutazione di STRAnO, 13, 53ed i rapporti con HOM.. 1/., 306 sg. (profezia di Posidone sulla stirpe di Enea) daparte della tradizione antiquaria cf. G. SALMERI, Letture di Strabone nelXVe XVIsecolo, in «Incontri perugini di storia della storiografia antica e sul mondoantico, 11, Acquasparta 1987», Perugia 1988.289-312. In particolare si commentano G. Vico, Opera (Scienza Nuova) a cura di F. Nicolini, Milano-Napoli 1953,724, 1. 722 e la sua dipendenza dalla famosa Dissertation si Enée ajamais étéen Italie, in S. BOCHART, Opera Omnia, Lugduni Batavorum 1712,1, 1062-1089,1066. Priva di acribia interpretativa è invece l’opera di Pietro Longo che, nei suoiRagionamenti istorici sulle colonie de’ Troiani in Sicilia, Palermo 1810 [1990]aprendo la strada a divagazioni fantasiose durate per quasi sessanta anni.

LAREA ELIMA IN STRABONE 993

attribuisce al geografo opinioni, da Strabone come vedremo infra rigettate, sulla

venuta di Enea in Italia; cf. al proposito le osservazioni di R. VAN COMPERNOLLE,

Segesta egli Elimi, quarant ‘anni dopo. in «Gli Elimi e I ‘area elirna fino all ‘inizio

della prima guerra punica. Atti del seminario di studi, Palermo-Contessa

Entellina 1989», ASS, S. IV, XIV-XV, 1988-1989, 73-99, 79.14 Così W. Leaf, nel suo commento a Strabo on the Troad, Cambridge

1923, 275-280, 276-277. L’intera leggenda sarebbe un’invenzione dell’epos

post-omerico, senza alcuna base nella mitologia troiana, ma poggiata su

fondamenti toponomastici per i luoghi ritenuti oggetto della visita di Enea,

oppure sulla simbologia assunta da Enea, eroe non-greco, per personificare la

migrazione non-greca nel Mediterraneo nonché la presenza fenicia: e dal

momento che la madre Afrodite veniva identificata con la Astarte fenicia, il

culto della dea ericina Io rese particolarmente attraente.‘ Nella persona specifica di Dionigi di Alicarnasso (1. 45-53) che per

completezza di indagine riporta tutte le diverse posizioni storiografiche sulla

sorte di Enea dopo la caduta di Troia e volendo chiarire l’origine di Roma si

preoccupa di indicare tutti quei monumenti e quelle testimonianze

toponomastiche attestanti la realtà delle tappe dell’eroe giunto fino al Lazio:

cf. P. M. MARTIN, La propagande augustéenne dans les Antiquités Romaines

de Denvs d’Haiicarnasse (livre i), REL. XLIX. 1971, 162-179; e oltre al citato

articolo della Biraschi, su Strabone ed Omero (cf. in part. 101-102), anche A.

M. BIRASCHI, Dai Prolegomena all’italia.’ premesse storiche e tradizione, in

«Incontri perugini di storia della storiografia antica e sul mondo antico, 11,

Acquasparta 1987», Perugia 1988, 127-143, 131 sg. Prove del passaggio di

Enea nel paese degli Elimi, sarebbero per lo storico l’altare di Afrodite ad Erice

e l’altare di Enea a Segesta, ma esiste comunque il dubbio che — specie per

Segesta —si tratti di una creazione di elementi probanti creati a posteriori. M.

GIUFFRIDA, Rapporti fra l’area elima ed il Mediterraneo orientale, in «Gli

Elimi e l’area elima fino all’inizio della prima guerra punica. Atti del

seminario di studi, Palermo-Contessa Entellina 1989», ASS, S. IV, XIV-XV,

1988-1989, 115-133, 125. In generale, sulle testimonianze archeologiche

relative alla leggenda di Enea, in tutte le sue varianti, cf. F. CANCIANI, 5. v.

Aineias, LIMC, 1(1985), 381-396.16 Strabone (13, 1, 45-53) riporta il racconto di Demetrio di Scepsi,

autore di un commento al Catalogo delle Navi (cf. HOM., 11., 2, 8 16-877). E

proprio Demetrio uno degli «odiatori del nome romano» (DloNYs. HAL., 1, 4.

2-3) che nel 11 sec. a. C. rifiutando la tesi dell’origine troiana di Roma,

ampiamente sfruttata per legittimare la presenza dell’Urbe in Oriente (vd.

supra n. 1 e GABBA, Sulla valorizzazone politica... cit., 90-91), sostenevano la

permanenza di Enea nella Troade, anche se in luoghi diversi da Ilium: il che,

d’altra parte, già veniva ribadito in HEs., Th.. 1008-1010 e ARCHTTN., EGF 49

KAIBEL (Enea rifugiato sul Monte Ida) nonché in [h. Ven. 1 5 6-68 (sul futuro

994 M. I. GULLETrA

della dinastia eneade: ma per alcune osservazioni sull’inno che riporta i versidella profezia di Posidone, già presente in Omero, cf. infra le note al testo). Ilprimo autore che avrebbe fatto attraversare ad Enea l’Ellesponto, versol’Occidente, è Ellanico (4 F. 31 i. ap. DIONYS. HAL.. 1,47, 6: ma vd. infra leosservazioni su Stesicoro di Imera che lo avrebbe fatto navigare versol’Esperia) che lo fa giungere nella Calcidica, dove Enea sarebbe vissuto finoalla sua morte. Non è forse un caso che la città calcidica di Aineias considerandolo ecista (cf. STEPH. Byz. s. v . A’LLE[as’) abbia coniato già nel 480 a. C.monete con il typos della partenza di Enea dalla città distrutta: per questatestimonianza sul nostos, la più antica dal punto di vista archeologico, vd.LIMC, I cit., nr. 92. Demetrio di Scepsi che, pur nel suo campanilismo locale,sembrerebbe porsi in linea con la versione omerica per il legame EneadiTroade, in realtà può rappresentare per Strabone un aspetto dellacontropropaganda augustea (cf., oltre al commento di Leaf sul passo diStrabone, anche W. LEAF, Strabo und Deinetrius of Skepsis, ABSA. XXII,1916-1918, 23-47) venendo a contrapporsi a tre autori, conterranei e contemporanei, come Egesianatte di Alessandria Troade, Polemone di Ilio, Agatocledi Cizico che accettano di buon grado la cosa e fanno giungere Enea o almenoi suoi discendenti in Italia, vd. E. GABBA, Storiografia Greca ed imperialismoromano. RivStltal, XXXVI, 1974,631-632. Invece, nel racconto di Demetrio,la città di Scepsi sarebbe stata fondata da Scamandrio, figlio di Ettore, e daAscanio: tale versione contiene la negazione del viaggio di Enea, nonché ilpresupposto della morte dell’eroe. E ciò risulta in contrasto con l’opinionecomune per cui l’eroe sarebbe scampato all’eccidio per la sua inimicizia conPriamo, così come era avvenuto ad Antenore ed agli Antenoridi. legati aMenelao da vincoli di ospitalità ( Il., 13.460), ma soprattutto con la tradizioneomerica, unica valida per Strabone. secondo la quale Enea sarebbe sopravvissuto perché destinato a regnare ad Ilium con la sua discendenza (Il.. 20, 306).

7 Di seguito alla versione menzionata da Strabone, circa la salvezza diEnea dovuta all’inimicizia con Priamo, si riporta il discusso frammento (oframmenti? vd. infra) di Sofocle che parlava del ojioXoi di riconoscimento(la pelle di leopardo), posto sulla porta di Antenore risparmiata dall’incendio,nonché della sua fuga e del successivo approdo sulle coste Adriatiche (cf. p.160 NAUCK2 e soprattutto POLYB., 2, 17. 6 sulle «molte cose dette daitragediografi intorno ai Veneti»); anche Enea avrebbe preso il largo conAscanio ed Anchise (344 NAUCK2= 373 RADT, frammento attribuito dal Nauckal Laocoonte, nia contro T. B. L. WEBSTER. An lntroduction to Sophocles.Oxford 1936 lo attribuisce agli Antenoridi. Infatti il titolo del Laocoonte noncompare nell’argumentuni dell’Aiace, contenente notizie sulle tragedie‘troiane’). Ad altri, come vedremo più avanti, Strabone attribuisce le notiziesulle diverse mete raggiunte dagli Eneadi (la Macedonia: l’Arcadia; il Lazioattraverso la Sicilia): la menzione sofoclea della partenza di Enea si ritrova —

LAREA ELIMA IN STRABONE 995

come citazione diretta — in Dionigi di Alicarnasso (1,48, 2) ed è stata ritenutaun valido punto d’appoggio contro coloro che sostenevano la permanenza diEnea nella Troade, sull’autorità di Omero. Ma il frammento, che nel resocontostraboniano associa Antenore ed Enea, se letto sullo sfondo del tradimento deidue eroi troiani, poteva altresì offrire spunti alla contropropaganda ed al suotentativo di infamare le origini dell’Urbe. Su questo particolare aspetto dellacontropropaganda vd. C. PASCAL, Enea traditore. RSIC, XXXIII, 1904, 231-

236; J. VAN OOTEGHEM, Qui éait Enée?, LEC, XII, 1943, 118-126; V. USSANI,

Enea traditore, SIFC, N. S. XXII, 1947, 109-123. Secondo N. HORSFALL, s. v.

Enea, Enciclopedia Virgiliana, 11 (1985), 221-229 il presunto tradimento di

Enea deriverebbe da una lettura troppo minuziosa di Omero (cf. ACUSIL. ARG.,

2 E 39 J. ap. schoi. ad Hom., li., 20, 307), combinando gli accenni presenti già

nell’iliade (13, 461; 20. 178-186) sull’inimicizia tra Enea ed i Priamidi alle

spiegazioni degli storici su come e perché l’eroe sia sopravvissuto: apparter

rebbe pertanto alla sfera della storiografia propagandistica e non vi sarebbero

motivi di associano al tradimento di Antenore. Se già Ellanico (4 F. 31 J ap.

Dionys. Hai., 1,47, 1-4) parlava di accordi fra Enea ed i Greci che gli avrebbero

concesso di rifugiarsi sul Monte Ida, la consegna di Troia da parte di Enea la

troviamo però per la prima volta solo in Menecrate di Xanthos (769 F. 3 J. ap.

DmoJ’4Ys. HAL., 1,48, 3) autore di incerta cronologia (V? IV? III sec. a. C.?) ma

di sicura intenzione antiromana e che ben si collocherebbe nell’epoca in cui la

propaganda augustea sfruttava il tema delle origini troiane, cf. GABBA, Sulla

valuta.ione politica... cit., 92. Da parte romana le ragioni della salvezza diEnea sono lette esclusivamente nell’ottica della sua pietas che gli avrebbe

ottenuto la grazia achea (cf. LYCOPHR., 1261 sg.): già in Omero (Il., 20, 297)

Enea non merita sofferenze, secondo Posidone. perché ha sempre offerto

splendidi doni agli dei: e la sua pietas è implicita nel salvataggio di Anchise

(S0PH., 373 RADT) e nel salvataggio dei sacra da Troia (LIMC, I cit., nr. 95;

HELLANIC., 4 F. 31 J. ap. DIoNYs. HAL., 1, 47, 6). Sarà questa la raffigurazione

di Enea destinata a dominare tutta quanta la tradizione romana e questa la

versione emergente —in quanto più favorevole a Roma— dall’amplissima

disamina delle opinioni storiografiche sulla salvezza dell’eroe eseguita da

Dionigi di Alicarnasso. Il contesto in cui Strabone inserisce la notizia sofoclea

su Enea, vale a dire in seguito alle velate allusioni sulla inimiciza fra Enea e

Priamo, alla amicizia fra Antenore e Menelao ed in seguito alla descrizione

della partenza di Antenore ha suggerito l’aggancio fra i miti dei due eroi

troiani, cf. G. VAN0TrI, Sofocle e l’Occidente, in AA. VV., I tragici greci e

i ‘Occidente, Bologna 1979, 104-125. 104-112. Antenore. consigliere di

Priamo e fautore della pace, attraverso la restituzione di Elena, solo a partire

da Licofrone assume la veste odiosa di traditore e collaborazionista (vv. 340-

343), anche se —ipotizzando con Jacoby (la, p. 444) che le varianti mitiche

riportate da Dionigi di Alicamasso (1, 46, 1) derivino pure da Ellanico

w

996 M. I. GULLETTA

(menzionato direttamente poco dopo in I, 48, 1 = HELLANIC. 4 F. 31 J.)— già lostorico del V sec. a. C. potrebbe aver conosciuto il tradimento di Antenore.Parte della critica è però incline a vedere una certa manipolazione di questomito, in funzione dell’arrivo di Enea nel Lazio: il che porterebbe a negare lavalidità delle fonti antiche sul viaggio di Antenore nonché a negare un suoeventuale tradimento. Il Perret (Les origines... cit.. passim). collocando laleggenda degli Eneti nell ‘Adriatico già nel V sec. a. C. ( HDT., 1, 196.5; 9 etc.),sposta molti secoli più avanti la fusione del mito con Antenore (Lw., 1, 1, 2-3; VERG.. Aen.. 1. 242-249): ogni allusione al tradimento di Antenore sarebbeinconciliabile con il suo arrivo in Adriatico, perché avrebbe generato lo stessosospetto per Enea. Si contesta pertanto, in relazione al passo di Strabone lettonelFottica della contropropaganda, il legame troppo precoce fra Antenore edil Veneto. Più di recente G. A. MANSUELLI. Formazione delle civiltà storichenella Pianura Padana orientale, SE, XXXIII, 1965. 3-47. 21 ha sottolineatola connessione fra la nascita del mito di Antenore in Alto-Adriatico ed irapporti di amicizia fra Veneti e Romani dal Il sec. a. C., rapporti checertamente sarebbero stati nobilitati dall’arrivo di Antenore contemporaneo aquello di Enea. Per quanto concerne tuttavia il problema dell’agganciosofocleo Antenore-Enea, duplice è la posizione della critica: da un lato siesclude ogni accenno al tradimento in Sofocle che per indicare la pelle dileopardo sulla porta di Antenore usava la parola aXui’. ben diversa dacriivOrta usato molto più tardi da Pausania (10, 27, 3) sulla base di un dipintodi Polignoto. quando comunque era ormai ben nota l’odiosa figura di Antenoretramandata da Licofrone, cf. R. SCUDERI, Il tradimento di Antenore, in AA.VV.. I canali della propaganda nel mondo antico, a cura di M. Sordi. CISA,IV, Milano 1976. 28-47, 32. D’altra parte se l’idea del tradimento fosse statagià in Sofocle (così E. CIACERI, La Alessandra di Licofrone, Catania 1901, 181e M. FUSILLO et alii (a cura di), L’Alessandra di Licofrone, Milano 1991, 196ad vv. 340-347). l’associazione straboniana dei due frammenti, nella topografia dello sviluppo della leggenda di Enea, indica chiaramente il suo riferimentoad uno degli aspetti della contropropaganda augustea.

18 Enea avrebbe fatto sosta a Segesta, occupando Erice e Lilibeo ( STRABO,

13, 1, 53). D. Musti (La storia di Segesta cdi Erice tra il VIed il III sec. a. C.,in «Gli Elimi e l’area elima fino all’inizio della prima guerra punica. Atti delseminario di studi, Palermo-Contessa Entellina 1989», ASS, S. IV, XIV-XV,1988-1989, 155-171, 160-163, ha inquadrato il passo sullo sfondo dei rapportifra Segesta, Cartagine e le colonie cartaginesi, così come viene rispecchiato inun tormentato luogo di Diodoro (11, 86, 2) relativo ad un episodio del 454 a. C.Diodoro racconta di una battaglia avvenuta al fiume Mazaro, inizio della rivalitàche mai più ebbe fine fra i Sege stani e certi loro antagonisti, la cui identità è stataresa dubbia da problemi testuali (ZEAINOYNTIOIZ? AIACBAIOIZ?AAI KTAIOI ?). Gli storici tendono a credere che si trattasse dei Selinuntini.

LAREA ELIMA IN STRABONE 997

come suggerisce il riferimento tucidideo (6, 6) a contrasti fra le due città,

precedenti la guerra del 416 a. C. Secondo Musti questo episodio indica uno

spirito attivo ed egemonico di Segesta in un momento in cui (prima metà del V

sec. a. C.) non si era ancora formata l’epicrazia cartaginese: ciò suggerisce una

certa indipendenza della politica segestana da quella punica o addirittura ostilità

fra Segesta ed un distretto cartaginese in Sicilia. D’altra parte è questa l’epoca

del ‘letargo’ cartaginese, cui fa riscontro l’attivismo ateniese nell’isola, culmi

nato nel rapporto diplomatico fra Atene e Segesta: in questo quadro cronologico

e storico si collocherebbe la tradizione riportata da Strabone. L’ associazione fra

i due luoghi (Erice e Lilibeo) come pertinenti all’area elima (Segesta), così

rispecchiata nel mito, avrebbe un’ottima premessa storica nel periodo in cui le

tradizioni troiane sugli Elimi (già in Stesicoro, sulla base di rapporti pre- e

protostorici con il mondo orientale? vd. infra) vengono potenziate nel quadro

della presenza culturale e commerciale di Atene in Sicilia, cf. già L. BRACCESI,

La Sicilia prima dei Greci, in AA. VV.. Storia della Sicilia. La Sicilia antica,Napoli-Palermo 1979, 11, 53-86, 67-80. Un rapporto, se non ostile almeno

egemonico, fra Segesta e Lilibeo (in DI0D., i. c.?) troverebbe allora una convalida

mitica nella tradizione confluita in Strabone, secondo la quale i Segestani ad un

certo momento della loro storia sentirono collegata in una comune connotazione

troiana. e quindi in qualche modo appartenente alla loro area di espansione e di

influenza, la zona di Lilibeo/ì4ozia. Ma in seguito al costituirsi dell’epicrazia

cartaginese. Erice passerà ad un referente punico, in questo favorita dal naturale

inserimento della sua area sacrale nell’humus della africana Astarte: i destini di

Erice e Lilibeo saranno collegati a partire dal momento che segna nel 368 a. C.

l’inizio dei tentativi egemonici di Dionisio I nel settore nord-occidentale

dell’isola.19 Prima di lasciare l’isola, Enea ed Elimo chiamano Scamandro e

Simoenta i due fiumi che bagnano Segesta (STRABO. 13, 1,53; sullo Scamandro

vd. anche Dion., 20, 71. 2; PAUS., 5, 26, 6): su questi idronimi in Sicilia cf. E.

MANNI. Geografiafisica e politica della Sicilia antica, Roma 1981, 104, 123.

È ancora il Musti a dare un acuto commento sul passo straboniano (cf. D.

MIJSTI, Strabone e la Magiza Grecia. Città epopoli dell’italia antica. Una città

simile a Troia: città troiane da Siri a Lavinio, Padova 1988, 95-122): un

elemento da valutare nella lettura delle fonti antiche è senz’altro la ragione di

ordine geografico o paesistico per definire ‘troiana’ o simile a Troia una certa

località, che non necessariamente deve essere vincolata ad un’altura, poiché

molto importante risulta l’elemento marittimo così come quello fluviale. Nei

pressi di Patavium, ad esempio. il nome Troia venne dato al luogo dello sbarco

degli eroi del nostos avvenuto fra due fiumi (Liv., 1, 1, 3-5); Virgilio, a

proposito di Butris, nell’Epiro. dopo aver riportato le parole di Andromaca su

Eleno, che avendo riprodotto le alture di Troia ha sicuramente impresso un

carattere artificiale alla fondazione, nomina anche un falsus Simoeis ante

998 M. I. GULLETTA

urbem (Aen., 3, 301-303). Sempre Virgilio (Aen., 6, 88) a proposito diLavinium dice che Enea avrebbe trovato nel Lazio un altro Scamandro ed unaltro Simoenta, e già questo sembra al Musti derivare da una convenzionetopografica di lunga data. Di grande importanza. per il terna dellareinterpretazione del paesaggi odi Ilium nell e fondazioni e nella toponomasticaleggendaria delle KT[OELS troiane è, infine, Strabone, in cui figurerebbe l’ecodi una tradizione (presente in Ellanico e fonti attiche secondo Musti, già inAntioco secondo NENCI, Troiani e Focidesi... cit., 930 sg., per i rapportiAntioco/Tucidide, Antioco/Pausania, Tucidide/Pausania) proprio in questaimmagine troiana intesa come riproduzione del paesaggio anche fluviale dellaTroade. L’identificazione di un paesaggio troiano (ben individuabile daOmero, a PLATO, Lg., 3. 681 E - 682 A, a Strabone) si verifica poi in una seriedicasi in cui la tradizione parla di fondazioni troiane. la condizione per le qualiè una presenza di ‘barbari’ in un ambiente geografico vicino a quello frequentato dai greci.

20 Cf. L. PoLvERINI, s. v. Elimo, Enciclopedia Virgiliana, 11(1985), 199.2! Strabone polemizza contro quanti, a dimostrare la venuta di Enea in

Italia, modificano il verso omerico (Il., 20, 306-307) Aive[ao [lì TpceoaivèvdEL I Ka[ irat6e’ TraLÒul’ KTX. (e con Omero concordava Acus. ARG., 2F. 39 J. ap. schol. ad Hom.. I. c.) in A[t’E[ao yéT’o Trti’TEaaW àu’aEL / Ka’L

iTa6e’ na&i’ KTX. La profezia dei versi omerici, presente anche in [h. Veti.], 197 dove è attribuita a Venere, ha indotto gli studiosi della questione omericaa vedere una connessione tra l’autore dei poemi e l’autore degli inni. Comunque, il sospetto sulla non autenticità del Trc[v-recxalv — emendamento daattribuire forse a Cratete di Mallo o alla sua scuola — si ritrova in AR. Byz., ap.schol. ad Eur. Troad., 47, cf. GABBA, Sulla valorizzazione politica... cit., 86 [n. 5 e già E. MAAS, Tibullische Sagen, Hermes, XVIII, 1883. 321-342, 329 sg. [Mentre Dionigi di Alicarnasso non modifica i versi ma si limita ad interpretarli [in modo da conciliare Omero con la venuta di Enea in Italia, attraverso El’esplicita allusione ai Romani, dietro i 1’p1EGoiv. invece l’emendamento [viene colto dipeso da Virgilio che nella profezia, attribuita ad Apollo, traduce [(Aen., 3,97-98): «hic domus Aeneae cunctis dominabitur oris / et nati natorum [et qui nascerentur», cf. The Iliad of Homer, Books XIII-XXIV, ed. by M. M. EWillcock, London 1984, ad loc. La correzione di Virgilio, o meglio la sua Etraduzione dei versi emendati, sarebbe alla base della osservazione di Strabonenonché di una variante registrata in tardi manoscritti omerici. cf. P. VMaronis, Aeneidos liber tertius. ed. by. R. D. Williams. Oxford 1962. ad loc.Contra, LEAF. Strabo... cit., 279 (vd. supra, n. 14) sostiene che Strabone nonfa mai riferimento a Virgilio e probabilmente nemmeno ne conobbe l’opera,nonostante l’Eneide sia stata composta circa trent’anni prima della Geografia.

22 Così soprattutto dal Galinsky in poi, cf. GALINSKY, Aeneas... cit.,passim ed ID., s. v. Erice, Enciclopedia Virgiliana, 11(1985), 364-365. Ha ben

LAREA ELIMA IN STRABONE 999

sintetizzato il problema la De Vido, scrivendo: «I Romani, a partire dal IIIsecolo, intervennero definitivamente, facendo ruotare il racconto intorno allafigura di Enea e stabilendo una rete di connessioni fra Roma, Afrodite e laSicilia». cf. S. DE VID0, Per una carta teotopica dell ‘area elirna, in «Gli Elimie l’area elima fino all’inizio della prima guerra punica. Atti del seminario distudi, Palermo-Contessa Entellina 1989», ASS, S. IV, XIV-XV, 1988-1989,203-221, 210 n. 23. Ed è proprio sulla consanguineità fra i due popoli —

attraverso la connotazione troiana degli Elimi di Segesta — che viene interpretato l’accordo fra Roma e la città siciliana avvenuto nel III sec. a. C.: oltre allefrequenti osservazioni di Cicerone (2 Verr., 5, 72; 83; 125 etc.) ed oltre allatradizione annalistica confluita in Zonara (cf. supra n. 9) cf. soprattutto Cic.,2 Ve,-r.. 4, 33 «Segesta est oppidum pervetus in Sicilia, o iudices, quod ahAenea fugiente a Troia atque in haec loca veniente, conditum esse demonstrant.Itaque Segestani non solum perpetua societate atque amicitia verum etiamcognatione se cum populo Romano coniunctos esse arhitrantur>.

23 Cf. R. VAN COMPERNOLLE, Ségeste et i ‘hellenisme, Phoibos, V, 1950-1951. 183-228; li)., Segesta e gli Elimi... cit.. 73-99. Sulle monete di Segesta,rappresentanti il nostos dell’ eroe. cf. cx. gr. V. B. HE, Historia nurnorum2,Oxford 1911, 167 ed ora anche S. DE VIDo (a cura di), Segesta. Appendice.

ASNP, S. III, XXI, 1991, 930-994, 980-982.24 È sempre molto affascinante l’ipotesi che Stesicoro di Imera (205 PAGa)

sia stato il primo autore a collegare Enea all’Occidente: sulla Tabula Iliaca

Capitolina, databile al 15 a. C., la scena centrale porta l’iscrizione lAlOYTTEPZI Z KATA ZTEZI XOPON (= IG, XIV, 1284, 1. 7) il che ha indotto aconsiderare stesicorei tutti i particolari del pannello. Osserva tuttavia N. HORSFALL,

Stesichorus etBovillae. JHS. XCIX, 1979,26-48 che l’autenticità dell’iscrizione

può essere messa in discussione. Intanto Dionigi di Alicamasso — che puravrebbe avuto un estremo interesse a retrodatare la leggenda sull’autorità di un

autore di VIIIVI sec. a. C. — non la nomina e la Tabula Iliaca contiene molteinfluenze romane di I sec. a. C. Quindi, anche se non possono escludersi elementi

stesicorei. non è comunque corretto utilizzare la Tabuia come base per ricostru

zioni e speculazioni sulla fase siciliana della leggenda di Enea. Cf. inoltre L.

MALTEN, Aineias. ARW. XXIX, 1931, 33-59 e L. BRACCESI, Appunti su Sofocle

e la leggenda di Enea, in AA. VV., La poiis ed il teatro, Padova 1986, 103-110.Braccesi ritiene che, anche sedi cronologia molto problematica, la Tabuia Iliacaraffigurante in bassorilievo una scena dell’Iliupersis , sia comunque la prima

diffusione occidentale della leggenda di Enea: e la didascalia secondo la quale

l’eroe è diretto EIS’ T]1’ ‘EO1TpLcW (= IG, XIV, 1284) può riferirsi ad una

tradizione molto alta, già raccolta da Stesicoro (VIIJVI sec. a. C.: per il problema

cronologico e ‘stesicoreo’ della Tabula Iliaca cf. supra).25 Per Braccesi (cf. La Siciliaprima dei Greci cit., 53-83 e ID., Gli Elimi

e la leggenda troiana, in «Gli Elirni e l’area elima fino all’inizio della prima

1000 M. I. GULLEVFA

guerra punica. Atti del seminario di studi, Palermo-Contessa Entellina 1989»,ASS, S. IV. XIV-XV, 1988-1989, 107-114. 107-112) la risoluzione attica’ delproblema è molto importante ai fini di focalizzare le forme del divenire dellaleggenda in Occidente e quindi per fare luce sulla fonte principale dell’àpaioXoyia tucididea (ANTI0cH., 555 F 6 J., pur non menzionando Enea, alludealla parziale origine troiana degli Elimi; cf. THUC., 6, 2, 3). Già in altra sede (Laleggenda di Antenore, Padova 1984, 45 sg.) l’autore si è mostrato incline adattribuire a matrice attica il grande riciclaggio del mito, in associazione ad unprocesso di ‘troianizzazione’ dei popoli anellenici di Occidente con i quali Ateneaveva interesse a stabilire rapporti diplomatici e commerciali (Elimi, Veneti.Coni). Ed è possibile individuare nel teatro ateniese il vettore privilegiato per ladiffusione della leggenda. Sofocle che negli Antenoridi aveva ‘troianizzato’ iVeneti, nel Laocoonte (ma vd. supra. o. 17 la possibilità che il frammentoappartenga sempre agli Antenoridi) aveva teorizzato la rinascita di Troia in unacolonia fondata da Enea, così come nelle tragedie di ambientazione sicilianaavrebbe potuto (ma questa è un’ipotesi del Braccesi, attento al duplice interesseoccidentale sofocleo) trattare dell’approdo dell’eroe in terra elima, collegandolocon Elimo a Segesta (gli o 6è straboniani?) o con Afrodite nel santuarioindigeno di Erice (Dionigi di Alicamasso?). Sul collegamento fra la tradizionedelle origini troiane di Segesta (lkuT.. Nic., 1, 3) e le iniziative diplomaticheateniesi nel V sec. a. C.. vd. anche i. PERRET, Athènes et les lé?endes trovennesd’occident, in «Melanges offert à i. Heurgon. L’italie préromaine et la Romerépublicaine». Rome 1976, Il, 791-803, 801-803.

26 Sull’attrazione provocata dal culto fenicio di Afrodite ericina neiconfronti dell’Afrodite della Trade, più volte messa in luce da Braccesi, cf.anche GIUFFRIDA. Rapporti... cit., 127 sg.

27 Sia Dionigi di Alicarnasso (1.48. 2) che Strabone (13, 1.53) riportanoil frammento di Sofocle (344 NAUCK2 = 373 RADT: per l’attribuzione alLaocoonte o agli Antenoridi cf. supra. n. 17), in cui il tragediografo (incitazione diretta in Dionigi di Alicamasso) afferma che Enea è destinato afondare una ciiToKLa Ppvyc’. BuccEs1, Appunti su Sofocle... cit., 103-110,ritiene che entrambi gli autori diano a Sofocle il valore di fonte storica: ma sesicuramente può essere stato utilizzato in tal senso da Dionigi di Alicamassoche lo cita fra Ellanico (Enea rifugiato sul Monte Ida) e Menecrate di Xantos(Enea traditore), in un capitolo interessato ai motivi del salvataggio e non altema della partenza: non ci sembra invece esatta la medesima osservazione perStrabone che cita Sofocle fra Demetrio di Scepsi ed Omero non per suffragareil racconto dell’approdo di Antenore in Alto Adriatico (così Braccesi). ma solonel suo proposito di smontare le posizioni storiografiche divergenti dalla lineaomerica. Certo è che Sofocle, a prescindere dalle citazioni di Strabone eDionigi di Alicarnasso, fu autore di tragedie ambientate in Sicilia ed interessate al tema della protostoria mitica. Dai tre titoli a noi giunti, Daidalos,

L’AREA ELIMA IN STRABONE 1001

Minos, Kamikoi (cf. anche VANOTrJ, Sofocle e / ‘Occidente... cit., passim), è

evidente che Sofocle trattò temi di area sicana. ma questo non esclude un

coinvolgimento della limitrofa area clima: e da Diodoro sappiamo che Dedalo,

oltre che con la reggia di Cocalo. a Camico, ebbe dei rapporti con il tempio di

Erice (4,78,4), in origine molto frequentato da genti sicane (4,83,4). L’analisi

del Braccesi si conclude nell’opinione che il processo di troianizzazione degli

Elimi, testimoniato da Tucidide (Antioco?) si sarebbe sviluppato sulla base

parallela del ricordo di un approdo di Enea nella loro terra. Anche a prescindere

dalla validità cronologica della Tabuia Iliaca, si osserva che prima di Cicerone

e Dionigi di Alicarnasso, Licofrone (su Elimo, di stirpe eneide) aveva riportato

una tradizione analoga a quella giunta fino a Strabone (su Elimo ed Enea) e che

va ascritta a fonti di V sec. a. C. Così anche MUSTI, Strabone e la Magna

Grecia... cit., passirn.28 Dionigi di Alicarnasso (1, 72, 2) riporta i frammenti di due storici di

V sec. a. C., Ellanico di Lesbo (4 F 84 J.) e Damaste di Sigeo (5 P3 J.) secondo

i quali Enea sarebbe venuto in Italia con Odisseo per fondare Roma.29 Già Timeo avrebbe conosciuto la presenza di oggetti sacri troiani nei

penetrali di Lavinium, cf. E. MANNI, Licofrone, C’allimaco e Timeo, Kokalos,

VII, 1961, 3-14, 8 n. 7 (Timeo avrebbe appreso iTapà Tciv iirigwpLwiì

dell’esistenza di un Kpal1oL’ portato da Troia, cf. 566 F 59 J. ap. DIONYS. HAL.,

1,67,4; indicava inoltre nel Cavallo di Troia l’origine dell’Equus October, cf.

566 F 36 J. ap. POLYB.. 12, 4 b; sulla conoscenza da parte di Timeo della

fondazione eneica di Roma, cf. E. MANNI, Da ippi a Diodoro, Kokalos, III,

1957, 136-145, 146 sg.: il Manni osserva però che le due leggende sull’origine

dell’Urbe, precedenti a Timeo e ricollegabili all’epoca dei nostoi (Odisseo ed

Enea, già per Ellanico) erano in contraddizione con la cronologia locale che

non sapeva risalire oltre l’Vili sec. a. C., inserendo tutta la serie dei Re di Roma

fra l’arrivo dei due eroi e la nascita di Remo e Romolo che un passo, forse

interpolato, della Teogonia esiodea conosceva come figli di Odisseo (v. 1011).

Sui rapporti fra Roma e Lavinium. in relazione al mito troiano. interessanti

sembrano le osservazioni del Rizzo. Tum etiam cognatione... cit. 152 sg.:

Ellanico di Lesbo che già nel V sec. a. C. attribuiva ad Enea ed Odisseo la

fondazione di Roma esprimerebbe non la priorità di Roma su Lavinium, ma

solo una prospettiva dei Greci che applicavano alla città già all’epoca emer

gente quanto essi ricordavano sulla presenza di Odisseo (da Esiodo) e di Enea

(da Stesicoro?) in Italia. La nuova prospettiva storiografica inaugurata nel III

sec. a. C. da Licofrone con l’ampio spazio dato a Lavinium e con il racconto

dell’arrivo di Enea nel Lazio attraverso l’Etruria avrà, come vedremo, non

irrilevanti conferme archeologiche. Per Lavinium cf. F. CASTAGNOLI, 5. v.

Lavinium. Enciclopedia Virgiliana, IV (1961). 510-511; F. CASTAGNOLI,

Lavinium. I. Topografia generale. fonti e storia delle ricerche, Roma 1972,

passim; G. DURRY MOYERS, Enée etLavinium, Bruxelles 1981: M. FENELLI, 5.

1002 M. I. GULLETFA

v. Lavinium, BTCGI, VIII (1990), 461-522; e più in generale cf. AA. VV.,Enea nel Lazio, Roma 1981: a Lavinium il mito di Enea è documentato per laseconda metà del IV sec. a. C. dal cippo dì Tor Tignosa. recante la dedica LARAENEIA D[ONO] nonché dal rinvenimento dell’heroon visto da Dionigi diAlicamasso (1, 64, 5) in cui Enea era venerato come Paterlndiges: l’heroonristrutturato nel IV sec, a. C., insiste su una tomba a tumulo, maschile, di VIIsec. a. C. dalla quale provengono reperti di VI sec, a. C. Il famoso Numicus,luogo dove sarebbe stato eretto l’heroon, o dove —secondo altre interpretazioni— sarebbe sbarcato Enea viene ormai identificato con il Fosso di Pratica diMare (Lavinium), cf. F. CASTAGNOLI, s. v. Nu,nicus, Enciclopedia Virgiliana,III (1987), 794-795. Noto a tutti i Latini, scrive poi Strabone (5, 232) era aLavinium il santuario di Afrodite, madre di Enea; e si credeva che i Penati diLavinium fossero anche i Penati di Roma (VARR.. ling., V. 144). gli stessiportati da Troia secondo una tradizione indigena raccolta da Timeo (566 F 59J. ap. DIONYS. RAL., 1,67). La ricezione di Enea a Roma, se avvenuta tramiteLavinium, può risalire all’epoca del foedus del 338 a. C. (così CASTAGNOLI,Laviniuni... cit., 69, XI) in cui i Penati di Lavinium furono riconosciutiprincipia p(popidi) ro(,nani) Quirit(ium) nolninisque Latini (= CIL. X. 797).L’identificazione dei Penati con i Dioscuri. il cui culto è attestato a Laviniumagli inizi del V sec. a. C. ed a Roma dal 484 a. C., potrebbe aver facilitatol’operazione: tuttavia. l’identificazione, sicura per il Il sec. a. C.. probabile peril III sec. a. C., è solo ipotetica per il V sec. a. C.. basandosi sulla menzionepliniana (n. h.. 35, 71) di un dipinto di Parrasio, non conservato, databile allaseconda metà del V sec. a. C. e rappresentante Enea con i Dioscuri.

30 La documentazione più ricca della partenza di Enea da Troia e deltema della Jliupersis si ritrova su vasi attici a figure nere (LIMC, I cit., nrr. 59-87) databili all’ultimo venticinquennio del VI sec. a. C.. la maggior parte deiquali rinvenuta in Etruria. E dall’Etruria proviene anche una cornalina delprimo quarto del V sec, a, C.. il più antico documento sul quale, insieme adEnea, compare la cista con i sacra in mano ad Anchise (LJMC. I cit., nr. 95):insieme ad un’anfora a figure rosse datata al 470/60 a. C. e rappresentante iltema della partenza dell’eroe, il reperto potrebbe convalidare la proposta didatazione alta (prima metà del V sec. a. C.) delle terracotte votive di Veio(LIMC. I cit.. nr. 96) con Enea che conduce per mano Anchise cieco, per lequali una datazione più bassaricondurrebbe invece al periodo di ripopolamentodel territorio da parte dei coloni romani avvenuto nel IV sec, a. C. Sugli cx-voto ritrovati a Veio vd, anche il commento di Rizzo, Tuin etiarn cognatione...cit.. 152 cdi IvI. SORDI, limito troiano e l’eredità etrusca, Milano 1989. 20. Lapossibilità che un bronzetto degli inizi del VII sec, a. C. da Castel di Decima(antica Politorium) rappresenti Afrodite Kourotrophos e l’episodiodell’accecamento di Anchise (vd. la voce Anchises cdii reperto LIMC, I cit.,nr. 6) potrebbe condurre ad una revisione radicale del problema.

L’AREA ELIMA IN STRABONE 1003

31 La data proposta dal Rizzo, Tum etiam cognarione.... 152 sg. è il 338

a. C. quando il sistema di municipi e città federate creato nel Lazio e nell’ Italia

Centrale rese necessario trasferire anche nei miti di fondazione gli elementi di

coesione politica raggiunti dopo secoli di tensione con Latini ed Etruschi: per

i quali l’eroe troiano, connesso con altri elementi del ciclo omerico ad essi noti

dai Greci rivestiva già una grande importanza. Entro questa cornice andrebbe

quindi colta la valenza politica del mito troiano nella più antica adozione da

parte di Roma. Ma com’ra F. Castagnoli (Lauiniuin... cit., 96-100) ritiene

ancora assolutamente poco chiaro se Enea sia stato recepito a Roma tramite gli

Etruschi, o via Lavinium (per cui vd. infra); se la connessione con Roma derivi

esclusivamente dalle rielaborazioni storiografiche greche; o se si debba

attribuire ad un espediente dei Romani nella loro politica verso le città greche

d’occidente e d’oriente.32 Cf. P. T. WISEMAN, Legendary Genealogies in Late-Republican Rome,

G&R. S. Il, XXI, 1974, 153-160. Non si dimentichi comunque che la genesi

storiografica greca delle origini troiane di Roma in ambienti di V sec. a. C.

(HELLANIC. 4 F 84 J. ap. DloNYs. HAL., 1,72. 2: Enea ed Odisseo ecisti di Roma)

rientra anche in uno schema etnografico che intendeva riportare al mondo greco

i popoli nuovi con cui la Grecia entrava in contatto, cf. E. J. BICKERMANN,

Origines gentiuln. CPh. XLVII. 1952. 65-88. La disponibilità romana ad

accettare, fra il IV ed il III sec. a. C., l’elaborazione storiografica greca di questa

mitostoria, acquista un preciso significato politico di fronte agli ambienti

dell’italia Meridionale e della Sicilia, proprio quando gli interessi dell’Urbe

divenivano sempre più complessi e Roma intendeva presentarsi al mondo greco

d’occidente non come popoio barbaro ma di ascendenza greca o quanto meno

grecizzata, ed in ogni caso aperto da tempo alla cultura greca. Sul problema vd.

i due articoli di Gabba, citati nelle note precedenti, con relativa bibliografia. E

cf. inoltre le osservazioni di Polibio. sui momenti iniziali della prima guerra

punica, quando Roma si proponeva come campione di un’area unitaria ed in

funzione anticartaginese (1,5, 1; 6.7-8; lO, 5-9; 12, 5-7).

Per i templi dedicati a Venere Ericina sul Campidoglio, nel 216 a.

ed al Quirinale. 181 a. C.. cf. infra le note al testo.

APOLLOD.. 244 F 167 i. Cf. B. NIESE, Apollodoros Commentar zum

SchiJfskataloge als Quelle Strabo ‘s, RhM. XXXII, 1877,289 sg., per i rapporti

fra Apollodoro e Strabone. Sulla utilizzazione di Timeo, attraverso Apollodoro,

per quanto riguarda i miti del ciclo post-omerico, G. M. COLUMBA, Studi di

Filologia cdi Storia, I. Sulle KT[JEL5’d’Occidente. Lefonti di Strabone dp,y.da

7rckia, 252-265 C (cf Plin., regio tertia, 111, 71-74, 95-98), Palermo 1889,

11,4-84. Così dimostrerebbe, per l’autore, anche l’uso del toponimo AyEaTcL,

che compare per la prima volta in Tirneo e che risulta prevalente nella scelta

degli editori di Strabone ad eccezione di ALY 1972 che lo colloca in apparato,

come variante manoscritta, preferendo la più attestata forma “Eyeara (e così

1004 M. I. GULLETTA

pure ‘EyEOTOLWV 11ròpLov,”EyEaTo etc.). Columba concorda comunquecon le opinioni più generali che attraverso Timeo, a lui noto da Apollodoro,possano essere giunti a Strabone anche Ellanico ed Antioco. E se Apollodoroconobbe Stesicoro non è esclusa la conoscenza straboniana di notizie derivatedal poeta imerese cf. anche JACOBY ad APOLLOD., i. e., II-C, 783 ed infra. Ingenerale, sui miti omerici e postomerici in Italia, attraverso Timeo, Licofronee Strabone cf. E. D. PHILLIPS, Odysseus in Itaiv, JHS. LXXIII, 1953, 53-67.

Eroe greco abbandonato dagli Achei nell’isola di Lemno, durante laspedizione contro Troia a causa di una piaga nauseabonda provocata dal morsodi un serpente. Dopo 10 anni fu persuaso a dimenticare l’offesa o costretto a ciòdagli Achei. ai quali un oracolo aveva predetto che non avrebbero vinto senzal’arco ereditato a Filottete da Eracle. Giunto a Troia uccise Paride e provocò lacaduta della città. Cf. ex. gr. A. ANDRÉN, s. v. Filottete, EAA, 111(1960), 691-693;M. SCALZI. s. v. Filottete, Enciclopedia Virgiliana, Il (1985). 524-525.

36 Figlio di un dio fluviale siciliano oppure di una ninfa e di un troianoesule in Sicilia tre generazioni prima della guerra di Troia: fondatore diSegesta, accoglie Enea sulle coste della Sicilia, secondo una versione chepresentandolo come troiano sicanizzato. anticipa il rapporto con l’Oriente adun’epoca precedente il nostos. Secondo altre versioni, sarebbe ritornato acombattere a Troia; quindi, con Elimo o con Enea, avrebbe fondato la cittàomonima. Egesto rappresenta, in ogni caso, il rapporto dell’Occidente conl’area frigia che fu, forse, per secoli un rapporto di scambi e contatti commerciali, cf. C. ARNAUD-BIUCCHI, s. v. Aigestes, in LIMC, I, 1981, 357-358.

Sull’odierna Punta Alice cf. M. GIANGIULIO, 5. v. Crimis(s)a, BTCGI,V (1987), 460-462.

38 Cf. E. GRECO. Petelia, Vertinae e calasarna, AION(Archeol), 11,1980,83-92, e S. LUPPINO, Strabone VI, 1, 3: i Lucani a Petelia, ASCL, XLVII,1980, 37-48.

Sul sito, non ancora identificato, cf. M. GIANGIULI0. s. v. Cone. BTCGI,V (1987), 388-390.

40 Filottete invia i compagni, guidati da Egesto, a TELXLeLv la città(Srino, 6, 1, 3). Da Strabone che usa TeLxlco e non KTw / oiAwsembrerebbe già effettuata la fondazione di Segesta, ma per lo stesso episodiotroviamo appunto OKL(w in STRABO. 6, 2, 5 in riferimento alla fondazione delsito, del resto deducibile anche dal toponimo, cf. G. NENCI, EpeiosetPhiloctèteen Italie. Données archéologiques et traditions légendaires, in «Actes duCol loque International du Centre de Recherches Archéologiques del’ Universitéde Lille. III, Lille 1987», Naples 1991, 131-135. Per l’uso di TE1xLw nelsignificato di «de exstruenda urbe» (Th. Gr. L., s. v. TE1xw, 1931) cf. PLUT.,Arist., 11, 9. ma i traduttori rendono come «ricostruzione delle mura» (scil. diPlatea). Vd. inoltre M. CASEVITZ, Le vocabulaire de la colonisation en grecancien, Klincksieck-Paris 1985. Nenci presuppone la conoscenza straboniana

LAREA ELIMA IN STRABONE 1005

di una tradizione analoga a quella confluita in Licofrone (vv. 951 sg.) che

attesta uno stanziamento di Troiani in Sicilia avvenuto prima della guerra di

Troia: il nucleo di cui faceva parte anche Elimo, figlio naturale di Anchise,

ebbe una connessione con le prime fasi del santuario di Erice.41 Cf. GIIJFFRIDA, Rapporti. .. cit., 124 sg. sulla possibilità già avanzata da

C. Jourdan (Entre un Grec en Sicile. Le mithe d’Héraclès, in «Atti del VII

Congresso di Studi sulla Sicilia antica», in corso di stampa) che i poemi di

Stesicoro, da larga risonanza, fossero noti ad Apollodoro: anche il poeta, a cui

si deve con buone probabilità la prima notizia dell’arrivo di Enea in Italia,

avrebbe quindi conosciuto l’arrivo di Egesto in Sicilia, per consiglio di

Filottete (tradizione confluita in Licofrone e, attraverso Apollodoro, in

Strabone). Si avrebbe allora già dal VII sec. a. C. un collegamento degli Elimi

con Troia, a prescindere da Enea. La tradizione troiana. nel complesso, può

risalire a Stesicoro, di casa sia ad Imera che in Calabria e quindi responsabile,

forse, anche della tappa Enotria (vd. Ellanico). Poi la leggenda si sarebbe

differenziata nei particolari, ed in seguito sarebbe stata ripresa nell’Atene

Penclea, forse proprio ad opera di Damaste o Sofocle.4 Cf. E. GRECO, Strabone e la topografia storica della Magno Grecia,

in AA. VV., Strabone. Contributi allo studio della personalità e dell’opera,

a cura di G. Maddoli, Perugia 1986, lI, 119-134, sul collegamento che

suggerisce una percezione da parte greca delle popolazioni situate tra Crotone

e Sibari/Turi analoga a quella che si aveva degli Elimi, vale a dire popolazioni

mixhellenes cui si attribuivano ascendenze greche o grecizzanti (troiane). Ma

vd. anche il problema affrontato da BRACCESI, Gli Elimi e la leggenda troiana..,

cit., passim e da MusTI, Strabone e la Magno Grecia... cit., passim.‘ Cf. l’analisi compiuta da NENCI. Epeios et Philoctétes... cit., 132 che

ha messo in luce la connessione Filottete-Focidesi, attraverso la leggenda che

collocava Filottete sul Monte Eta, non lontano dalla Focide, dove Eracle aveva

nascosto le armi poi prese dall’eroe acheo (SOPH., Phil., 479 sg.).

Sui Focidesi di Tucidide (6, 1, 3 = PAUS.. 5, 25, 6 da ANTIOCH. 555 F 1

J.) cf. già GALINSKY. Aeneas... cit., 88; NENCT. Troiani e Focidesi... cit., passim;

ed ora anche BRACCESI, Gli Elimi e la leggenda troiana... cit., 112. Precedente

mente BRAcCEsI, La Sicilia prima dei Greci... cit., 68 preferiva la lettura

tucididea Focei, seguendo E. PAIs, Storia della Sicilia e della Magna Grecia,

Torino-Palermo 1894,1, 125 sg.; E. CIACERI, Culti e Miti nella storia della Sicilia

antica. Catania 1911, 315; L. PARETI, Mercanti e coloni Focei nei nostri mari,

in Studi Minori di Storia antica, Roma 1958,69-72. A proposito della coinciden

za testuale tra Tucidide e Pausania, Nenci osserva che se il Periegeta dipendeva

dallo storico allora è certa lettura «Focidesi» in Tucidide. Se invece ne era

indipendente, la fonte comune —che con buona probabilità possiamo identificare

in Antioco— avrebbe parlato dei «Focidesi», che peraltro ebbero un ruolo

specifico durante la guerra di Troia (cf. Catalogum Naviu,n di Il., 2, 517-526;

1006 M. I. GULLETFA

Il.. 15, 515). La conferma del carattere unanime della tradizione manoscrittatucididea viene da un papiro del 11111V sec. d. C., l’unico in cui sia attestatol’etnico nella forma 4oKéù)l’, cf. A. CARLINI, Il papiro di Tucidide dellabiblioteca Bodineriana (PBodmer XXVII,), MH. XXXII, 1975, 33-40.

NENCI. Troiani e Focidesi... cit.. 930 sg. ha rilevato come le tradizionisulle più antiche popolazioni dell’isola, già presenti in Stesicoro di imera, natoai confini della terra clima, potevano essere state riprese da Ecateo (cf. frr. 43-87 NENCI e soprattutto F. 62 J. sulla migrazione di Enea in Italia) le cui traccerelative ad elementi onomastici e toponomastici. riscontrabili in Tucidide.possono avere influenzato Antioco, cf. anche S. MAZZARINO, Il pensierostorico classico, Bari 1966, I. 238. Una notizia come quella dei Focidesi inSicilia, fin dall’epoca dei nostoi, agli occhi di un greco di V sec, a. C. potevaben dimostrare una presenza precoloniale greca nell’isola, quasi fosse un ‘mitodi precedenza’ tanto più vivo in un’area contesa tra greci, fenici, indigeni, cf.M. GIANGIULIO, Greci e non-Greci in Sicilia alla luce dei culti e delle leggendedi Eracle, in «Forme di contatto e processi di acculturazione nelle societàantiche. Atti del Convegno di Cortona 1981 ». Pisa-Roma 1983, 785-846, 788-811. La notizia era peraltro coerente con la tradizione della colonizzazionefocidese in Occidente, per la quale vi è la singolare coincidenza fra i siticolonizzati dai Focidesi e quelli legati al mito di Filottete: ragion per cui lanotizia dei Focidesi in terra elima (Tucidide) è inscindibile dal rapportoFilottete-Egesto (Apollodoro) e può benissimo ascriversi ad Antioco.

46 Cf. NENcI, Troiani e Focidesi... cit., passim e ID., Per una definizionedell’area elima. in «Gli Elimi e l’area clima fino all’inizio della prima guerrapunica. Atti del seminario di studi, Palermo-Contessa Entellina 1989», ASS,5. IV, XIV-XV, 1988-1989, 2 1-26: il quadro offerto da Antioco-Tucidide èestremamente attuale nel momento in cui le ambizioni di Atene fronteggianola potenza siracusana. alla vigilia della spedizione in Sicilia. Tale urgenza cheavrebbe indotto Tucidide a fornire notizie dettagliate nei circoli ateniesi chegià il teatro di V sec. a. C. aveva sensibilizzato verso le questioni occidentali(cf. AA. VV., I tragici greci e l’Occidente, Bologna 1979) verrà meno dopola sconfitta di Atene. Dal IV sec. scende sugli Elimi il silenzio, dopo cheTucidide ne aveva parlato come di un ethnos all’apice della potenza e dellacompattezza, sul quale i Fenici avevano fatto affidamento, sia al momentodella fondazione di Mozia, Solunto e Panormo, sia quando fu l’ora di ritirarsinell’estremità occidentale dell’isola (Ti-iuc., 6,2.6). Con Dionigi di Alicamassotorneranno in auge. in coincidenza con la propaganda augustea della auyy’E iatroiana, e non è forse un caso che Dionigi. tra le sue fonti per il V secolo citioltre Ellanico e Tucidide, anche Antioco.

‘‘ Così osserva NENCI, Per una definizione... cit., 20-26 e ID., Epeios etPhiioctète... cit. 131-135. Inoltre Licofrone dopo aver parlato di Epeo —

compagno di Filottete e fondatore di Lagaria — passa all’ argomento dei Troiani

L’AREA ELIMA IN STRABONE 1007

stanziati in area clima, introducendo la tradizione sull’origine di Segesta. Ed

è anche possibile notare una coincidenza lessicale fra gli aréXot ‘I TaÀLKoS

di Ellanico (1 P79 b J. ap. DI0NYS. HAL., 1, 22, 3) e l’uso straboniano dei verbi

GTéXXW I cÌTrOaTéXXCO per indicare il gruppo inviato da Filottete (Focidese) con

Egesto (Troiano) in Sicilia.48 L’aporia della rotta meridionale testimoniata da Tucidide rispetto alla

rotta settentrionale che invece ritroviamo in Licofrone (provenienza dal Bruzio:

vv. 1067 sg.) che raccoglie la notizia poi confluita in Apollodoro e Strabone,

viene spiegata dalla GIUFFRIDA, Rapporti... cit., 126-127 diversamente rispetto

alla definizione di topos letterario (NENCI, Epeios et Philoctete... cit., 132-133)

o di rotta ‘mitica’ (BRACCESI, Gli Elimi e la leggenda troiana... cit., 113). I

Focidesi di Tucidide avrebbero, per la Giuffrida, un concreto ricordo di un

naufragio in Libia. Un chorion di Lentini si chiamava infatti Phokaia (THUC., 5,

4) e poteva forse registrare nel toponimo il ricordo della partecipazione di

Focidesi alla colonizzazione della città. Poiché nel V sec. a. C. esuli democratici

di Lentini cacciati dai Siracusani potevano essersi rifugiati presso i Segestani.

con i quali li troviamo infatti, tempo dopo, nella comune richiesta di aiuto ad

Atene (DI0D., 12. 83) la Giuffrida ritiene che Tucidide abbia raccolto un ricordo,

riattualizzato, della presenza di Leontinoi nel territorio dì Segesta. La notizia

potrebbe essere stata appresa a viva voce (e non necessariamente da Antioco)

così come l’unica altra memoria tucididea di nostos (4, 120): a proposito un

gruppo di Peloponnesii naufraghi sull’isola di Pallene, Tucidide racconta di

avere appreso la notizia dai loro discendenti che a quel tempo abitavano a Scione.

Cf. M. BARcmE5I, Nevio epico, Padova 1962, 477 -482.50 Così, e con molta convinzione, BRACCESI, Gli Elimi e la leggenda

lroiana... cit.. 113-114 che sottolinea l’eventuale analogia di rapporti fra Enea

Filottete in Sicilia. Enea-Odisseo nel Lazio, Antenore-Diomede nel Veneto,

Egesto-Filottete nell’Enotria. Cf. anche G. MARTORANA, I nostoi’ e la Sicilia:

tra mito e storia, Troia, Roma, Imperium Romanu,n’, SEIA, V, 1988, 341-

377, sul tema della Sicilia come terra privilegiata dei nostoi, che accomunano

eroi achei ad eroi troiani sulla scia di una concorrenza talassocratica fra il regno

di Priamo ed i regni micenei, precedente agli anni della guerra, il cui campo

—distrutta Ilio— si sposta appunto in occidente e prosegue nella competizione

attraverso il fiorire dei miti di precedenza.Cf. DE Vmo, Per una carta teotopica... cit.. 209: «Il passato non va

cercato in un momento preciso, in un nome, in una madrepatria, ma in un

insieme nebuloso dall’interpretazione alquanto difficile [... 1. Credo comun

que sia da accettare che nei racconti letterari siano rintracciabili segnali di

presenze tipicamente locali, in seguito confluite con varia intensità nel mito,

raccontato e reinterpretato funzionalmente».52 Su questa teoria polibiana’. da Strabone recepita in funzione dei

bisogni pratici della classe dirigente romana, vd. l’introduzione all’edizione

1008 M. I. GULLETTA

del Birn 1988 e BIRASCHI, Dai Prolegomena all’Italia... cit., 127-143.Cf. supra n. 2 ed anche P. Poccurri, Prolegomeni ad una lettura dei

dati etno-toponomastici dell’italia di Strabone, in «Incontri perugini di storiadella storiografia antica e sul mondo antico, lI, Acquasparta 1987», Perugia1988, 223-263.

G. D. MASSARO, I moduli della narrazione storica nei libri di Strabonesull’Italia Meridionale, in AA. VV., Strabone. Contributi..., TI cit., 8 1-109,che peraltro conferma la tecnica di lavoro basata sulla compilazione di schede.

Cf. F. PRONThRA, L’italia Meridionale in Strabone, in «Incontriperugini di storia della storiografia antica e sul mondo antico, Il, Acquasparta1987», Perugia 1988, 95-109.

56 Il brano su Erice (Siiuo, 6,2.6) è concordemente ritenuto dagli editoriun «supplementuin auctoris» finito fuori posto nel rimaneggiamento postumodell’opera. Così ALY 1972 ad loc.: «OiKEtTaVdL6Xoyoi’ [... . I ad § 5 (scil. ilparagrafo su Segesta 6, 2, 5) transp. Schleiermacher ap. Kr. [... j». Dai suoiintroduttivi Compendia editionum etcommentationum, 1, 181-182 leggiamo chel’intervento di Schleiermacherè stato effettuato «in schedis Lachmanni secundumKramerum». Su problemi analoghi, derivati dal disordine, originale o editoriale.dell opera di Strabone cf. R. NIC0LAI, Scelte critico testuali e problemi storici neilibri V e VI della Geografia di Strabone, in «Incontri perugini di storia dellastoriografia antica e sul mondo antico. Il. Acquasparta 1987», Perugia 1988.267-286. Un esempio interessante è offerto dal brano relativo ai fenomenivulcanici che collegano l’Etna con Lipari (6, 2, 7 = PosiDoN., F. 259 KIDD):

sembrerebbe qui fuori posto la menzione di Erice e Siracusa, che si ergono comeacropoli sul mare, e di Enna che domina invece l’interno della Sicilia. Strabone,che per queste notizie ha utilizzato ampliamente Posidonio, ha già descritto eposizionato tutte e tre le città, per cui si ritiene che F ultima loro menzione si possaricollegare a quella delle rivolte servili che sconvolsero l’isola nella secondametà del lI sec. a. C. (cf. DIOD.. 34-36). Enna fu centro della prima rivolta e soffrimolto per le insurrezioni incoraggiate da Euno (STuBo, 6, 2, 6; DI0D.. 34-35, 2,24, B). Ma anche Siracusa e la cuspide occidentale dell’isola furono punti focalidella guerra (Dion., 36, 3, 5) ed è anche probabile che la devastazione delterritorio di Lentini, da Strabone raccontata immediatamente prima (6, 2, 6)fosse collegata ad episodi della seconda rivolta. La nota su Erice, Siracusa edEnna doveva certo essere inserita al capitolo precedente, cf. I. G. KIDD.

Posidonius Il. The Com,nentary (Il). Fraginents 150-293, Cambridge 1988,857-859. Sul metodo di lavoro di Strabone che di volta in volta aggiungeva inmargine alle sue schede le notizie ricavate da nuove fonti, nonché sulla presenzadi un anonimo editore che nel ricopiare l’opera non sempre riuscì a rispettare leintenzioni dell’autore cf. NICOLAI, Scelte critico testuali... cit., passim esoprattutto SOLLIMA, Le fonti di Strabone... cit., passim che attribuisce ildisordine dell’opera non solo al metodo di lavoro ed ai rimaneggiamenti

L’AREA ELIMA IN STRABONE 1009

posteriori, ma anche alla mancanza di conoscenze autoptiche.

Cf. sul lessico demografico di Strabone. come specchio delle condizioni

economiche dell’isola, la profonda analisi di L. GALLO, Popolosità e scarsità di

popolazione. Contributo allo studio di un ‘topos’, ASNP, 5. III, X, 1980, 1233-

1270, passim ma soprattutto 1264-1265 su Erice. Secondo SOLLIMA, Le fonti diStrabone... cit.. 39 sg. mentre per Segesta Strabone ha citato espressamente

Apollodoro, per quanto invece racconta sul tempio di Erice, anticamente

frequentato come luogo di culto, la sorgente di informazione può essere Polibio

(1, 55; 58) che ha ben chiara l’alta posizione del luogo, teatro di aspre lotte

durante la prima guerra punica. La notizia del gran numero di donne sacerdotesse

della dea può invece essergli stata confermata a Roma, dove —come lui stesso

dirà più avanti— sorgeva una succursale del tempio ericino. Diodoro (4, 83 b)

ricorda che i consoli ed i pretori romani lo onoravano con splendidi doni,

compiacendosi di trascorrere il loro tempo con le prostitute sacre, e Cicerone

(Dii’. in C’aec., 17) osservava che il loro guadagno. derivato dal commercio con

gli uomini, era destinato ad arricchire le casse del tempio. Sempre da fonti locali

romane Strabone può aver saputo dell’ ‘attuale’ abbandono del tempio.58 DE Vmo. Per una carta teotopica... cit., 211 (e n. 31): «{... ] si usa dire

che mentre Segesta avrebbe costituito il centro politico dell’ipotetico stato

degli Elimi. il santuario della Afrodite Ericina ne avrebbe costituito il nucleo

religioso. A parte la nebulosità di questa sorta di stato bipolare, credo che alla

luce delle ultime indagini si possa affermare da un lato che la mappa dei culti

indichi chiaramente un’ampia diffusione di questa divinità in tutta l’area

occidentale; dall’altro che all’interno ditale estensione sia possibile indivi

duare sfumature specifiche che fanno del caso Ericino un episodio dalla

portata veramente eccezionale».Sarebbe questa la funzione della ‘archeologia descrittiva’ di Strabone.

cf. 6, 1,2; 12.4,6.60 In un sincero sentimento filoromano, ormai consapevole di vivere in

un’epoca di equilibrio portato al mondo dall’impero, Strabone non rimpiange

nulla dei tempi andati. Il medesimo modulo diacronico, usato per realtà

geografiche diverse, rende l’idea della sua posizione nei confronti della

provvidenzialità dell’Urbe: per la Gallia e l’iberia, ad esempio, la diacronia

sottolinea il passaggio da un passato di barbarie ad un presente di civiltà, ai fini

elogiativi dell’opera imperiale; per l’Italia Meridionale si dà rilievo, più che

all’ etnografia, ad una realtà geofisica ed economica produttiva ed al problema

dell’urbanizzazione dei centri, il tutto sullo sfondo unificante della

romanizzazione, che comunque non esclude la puntuale e funzionale registra

zione della presenza greca, cf. G. MADDOLI, Strabone e l’italia antica, in

«Incontri perugini di storia della storiografia antica e sul mondo antico, Il,

Acquasparta 1987», Perugia 1988, 11-22.61 Cf. F. DELLA CORTE. Servi Venerii. Maia. N. 5. XXXII. 1979. 225-231.

1010 M. 1. GULLETTA

Ma contra G. MARTORANA. La ‘Venus’ di Verre e le Verrine, Kokalos, XXV,1979, 73-103. La rornanizzazione del culto di Venere Ericina era una realtàstorico-leggendariache veniva alegalizzare. in virtù del mito delle origini, anchela presenza di Roma nel Mediterraneo. La storia nazionale di Roma si fonde conil mito che proveniva dal santuario di Erice e Vene, nella sua qualità dipropretore. non poteva sottrarsi agli obblighi di rappresentanza. né potevaeffettuare nomine veneris le malversazioni di cui Cicerone lo accusa. Nel suorispetto per la dea egli doveva necessariamente tenere conto dell’ importanza diVenus Genetrix e dell’enorme prestigio di cui la dea godeva nell’isola: el’obbligo da lui sancito di fare lasciti testamentari per il santuario, nonché ilrispetto mostrato da Agonide per il culto di Afrodite ed infine l’utilizzazione deiservi Venerii come apparitores e stipatores sembrerebbe escludere — secondoMartorana— qualunque influenza negativa avuta da Verre sulle sorti del tempio.

62 Cf. DELLA CORTE, Sertii Venerii... cit.. 226: «ciò che induceva Verre

a praticare quell’unico culto per Venere, mentre dimostrava il suo disprezzoperle altre divinità, era il suo stesso genere di vita che poneva la sfera cultuale

di Venere e di Cupido in una posizione centrale della sua esistenza».63 La dea. presunta protettrice degli amorazzi di Verre, si palesa nel

quadro offerto dalle Verrine come una complice delle sue malefatte ed i suoiservi venerii assumono le sembianze di longa manus del pretore. E, semprenell’arringa ciceroniana, l’esaltazione del culto di Demetra in Sicilia risultaancora più evidente per l’ingiustificato silenzio sull’importanza di Afrodite:sembra dunque al MARTORANA, La Venus’ di Verre... cit., passiin che i favoriseriamente concessi da Verre al santuario di Erice siano stati deliberatamentetaciuti da Cicerone, per non evidenziarne la portata positiva: per cui se sidovesse ricostruire attraverso le Verrine la storia del culto di Afrodite Ericina,si ricaverebbe che la dea ed il suo santuario costituirono ben poca cosa nel I sec.a. C. per Roma e la Sicilia.

64 L’avvicinamento degli Elimi a Roma, in seguito alla resa del 263 a. C.,provocò la vendetta di Cartagine. Nel 260 a. C. Amilcare provò ad occupareSegesta, salvata dal console Duilio. Nel 259 a. C. (DIOD., 33, 9) dopo averfortificato Drepanum, trasformandola in roccaforte, vi trasferì in massa gli

Ericini, distruggendone la KaTOLK[a, ma non il tempio intorno al quale, come ènoto, vi fu da quel momento un’intensa agitazione per tutto il corso del bel/mnpunicuin. Cf. L. PARETI. Le antiche città morte della Sicilia occidentale emeridionale, in Studi Minori di Storia Antica, Roma 1961 .11,423-446,423-434.

65 L’opposizione tra l’antica opulenza della Sicilia e la sua ‘attuale’povertà è sembrata una eco delle riflessioni di Posidonio (così l’opinione diLASSERRE 1 967; vd. anche G. BEJOR. .4spetti della romanizza:ione della Sicilia,in «Forme di contatto e processi di trasformazione nelle società antiche. Atti delColloquio di Cortona, 1981», Pisa -Roma 1983, 345-374. 351. Strabone offreun’immagine della Sicilia, nei primi tempi dell’impero, tutt’altro che fiorente,

L’AREA ELIMA IN STRABONE 1011

specie nella zona che soffrì delle guerre con i Cartaginesi (6, 2, 5); e pocopopolata risulta anche la parte interna, sede di pastori (6. 2, 6). L’allevamentosarebbe stato introdotto dai Romani che vollero così ovviare allo squalloredominante utilizzando la terra, ma ciò avrebbe poi portato, per naturale tendenzaindigena, al brigantaggio (6,2,6; cf. A. HOLM, Storia della Sicilia nell ‘antichità,Torino 1870, III 1, 423-428; D. AMBAGLIO, Il motivo delle città scomparse inStrabone, in «Studi offerti ad A. M. Quartiroli e D. Magnino», Pavia 1987, 33-46). Poco dopo però il Geografo parla della fertilità dell’isola, chiamandola‘granaio’ di Roma (6,2,7), e qui è stata vista una contraddizione. Holm osserva,a questo proposito, che dopo le guerre servili le condizioni dell’isola eranomutate e, come dimostrano le Verrine, erano ancora parecchie le città decumanae:quindi, almeno fino al 70 a. C., la Sicilia produceva grano e non pascoli. Inconclusione Strabone, tratto in inganno dalla sofferenza delle guerre servili, fuportato a ritenere che le condizioni di cui parlava Posidonio (citato appunto frale guerre servili e l’elogio della Sicilia) durassero ancora. Su tali posizioni ancheE. PAI5, Straboniana. contributo allo studio dellefonti della storia e dell ‘amininistrazione romana. RFC. XV. 1896-1897. 97-246.

66 È questa l’opinione di G. FERlorri. 11 valore della descrizione dellaSicilia fatta da Strabone, AAPeI. XLII. 1939, 18-47. Strabone, sostiene lostudioso, non aveva bisogno di ricorrere a Posidonio. Negli anni che seguironole guerre servili pochi furono i momenti di tranquillità, come ricaviamo dallenote di Diodoro (34, 1 sg.: basti pensare al periodo dei propretori. ed a SestoPompeo con i suoi mercenari, la cui guerra non fu meno disastrosa delle rivolteservili. Quando Sesto Pompeo padrone del mare bloccò il grano dalla Sicilia,i cittadini costrinsero Augusto a trattare per la pace del Miseno del 39 a. C. (cf.App., BC, 5, 72; Dio CASS., 48, 36) il che va contro l’opinione del Pais che laSicilia avesse cessato di essere il granaio dell’Urbe. Strabone, all’epoca, eracertamente a Roma, se nel 36 a. C. fu testimone del supplizio di Seleuro (6, 2,6), quindi, senza dover necessariamente ricorrere a Posidonio, egli rispecchiaun’epoca in cui la Sicilia praticava sia l’agricoltura che la pastorizia.

67 Quello che fu il più ricco ed antico santuario della storia di Sicilia(POLYB., 1. 55, 8; PAUS., 8, 24, 6 ma in riferimento ad epoca anteriore) eraancora attivo fra il 70 ed il 60 a. C. (Cic., Div. in Caec., 55: Agonide di Lilibeo,liberta di Venere Ericina; 2, Verr., 2, 25: lasciti testamentari al santuario; ProCluent., 43: sui permulti Venerii in Sicilia). Da Tacito (ann., 4,43) e Svetonio(Claud., 25. 13) il tempio è pi-esentato come già in rovina.

68 Diodoro. ad esempio, non accenna affatto al declino del tempiofondato dall’eponimo, figlio di Afrodite e Bute (4. 83. 1-2; da Enea, per

DioNYs. HAL., 1, 53, 1 e per VERG., Aen., 5, 759-760. che lo congiunge con la

fondazione di un culto per Anchise morto a Drepanum, Aen., 3,707-710) ma

sottolinea la cura che ne ebbero i Romani superiore a quella di tutti coloro che

si erano succeduti nel culto della dea: e cioè dopo Erice. lo stesso Enea, quando

1012 M. I. GULLETTA

arrivò nell’isola, dopo di lui i Sicani e quindi i Cartaginesi (4, 83. 4-5). 1Romani superarono tutti costoro, secondo lo storico il quale racconta comeconsoli e pretori, giunti nell’isola, non solo non mancavano mai di onorare ladea con splendidi doni, ma loro stessi si compiacevano di intrattenersi con lehierodoulai a lei consacrate (4. 83, 6). Il Senato decretò inoltre che le 17 cittàdella Sicilia più vicine a Roma, pagassero una tassa in oro per il tempio diAfrodite, destinando 200 soldati alla guardia del tesoro (4, 83, 7).

Espresse chiaramente da TAC., ann.. 4. 43 «et Segestani aedemVeneris, montem apud Erycem vetustate dilapsam. restaurari postulavere,nota memorantes de origine eius et laete Tiberio. Suscepit curam libens utconsanguineus». L’imperatore Claudio avrebbe addirittura utilizzato i fondidell’ aerarius per completare il restauro cominciato da Tiberio o per effettuareconcretamente una proposta segestana accolta dal suo predecessore«consanguineus» del popolo Elimo. cf. SVET.. Claud., 25, 13. SecondoCIACERI, Culti e miti... cit., 177 i Segestani avrebbero fatto la richiestaall’imperatore perché ormai la loro Afrodite Urania. per la diffusione del mitodi Enea, era stata assimilata all’Ericina.

70 Per un’analisi di tutti gli elementi confluiti nel culto di AfroditeEricina, dai legami con il santuario africano di Sicca Veneria al retaggio sicanodella colomba, dal culto a cielo aperto nella piu fedele tradizione mediterranea(Cipro) alla pratica della prostituzione sacra, punto nel quale profondeideologie orientali (Asia Minore, Siria, Fenicia) si incontravano con piùpratiche esigenze occidentali (Corinto, Locri, vd. infra) cf. DE Viso. Per unacarta teotopica... cit., 203-221 con relativa bibliografia. Vd. anche B. PACE.

Arte e civiltà della Sicilia antica, Genova-Roma-Napoli-Città di Castello1945, III, 630-650.

71 Cf. E. PERuzzi, Sulla prostituzione sacra nell ‘Italia antica , in «Scrittiin onore di G. Bonfante», Brescia 1976, Il, 674-685, 684-685 (su Erice). Haosservato inoltre la DE Vino, Per una carta teotopica... cit., 203-221, che inquanto culto di una dea marina, sovrana del mondo degli scambi, della mobilitàdei rapporti, dell’amore e del commercio, l’Afroditismo è stato riconosciutocome una chiave per individuare nel Mediterraneo rotte ed emporia. La serie deisantuari di Astarte. ad esempio, ha segnato il diffondersi in occidente dei Feniciin epoca arcaica; e per scelta naturale vengono privilegiati i luoghi alti comeErice «contraltare non greco di Imera, avamposto commerciale greco alle sogliedell’area fenicio-punica» (cf. A. ALONI, Eteria e Tiaso.’ i gruppi aristocratici diLesbofra economia ed ideologia, DArch, S. III, I, 1983,21-36,30). PerF. DELLA

CORTE, La Mappa dell’Eneide, Firenze 1972, 90-102, il santuario eretto su unadelle più importanti rotte del Mediterraneo, fu forse un’istituzione dei Fenici che,fondata Cartagine, provvidero a creare dall’altra parte un luogo sacro cheservisse di richiamo alle genti del mare, opponendo così alla pericolosa rottaScilla-Cariddi una rotta più sicura e, comunque, più dilettevole. Acquista in tal

L’AREA ELIMA IN STRABONE 1013

senso una grande importanza la pratica della prostituzione sacra, attestata da

Strabone per l’età più antica (6,2,6) e da Diodoro per l’età romana (4,83,6). Cf.

anche la vecchia raccolta di A. POPOLI, Antichi bollifigulini e graffiti, attribuiti

alle sacerdotesse di Venere Ericina, rinvenuti in Monte San Giuliano, Firenze

1885. La pratica, lungi dall’essere una stranezza tutta orientale, si inquadra nei

meccanismi di accumulazione diffusi in questo genere di santuari ed in un certo

tipo di ritualità connessa alla dea. E del resto l’esistenza della prostituzione sacra

anche a Corinto ed a Locri Epizefiri dimostra il carattere non esclusivamente

orientale della tipologia del culto: a Corinto dove per le etere consacrate i soldati

spendevano tutto il loro denaro, cf. ATHEN., 13, 573; STRABO, 12, 3, 36; 8, 6, 20)

la prostituzione sacra si ritiene collegata al desiderio di favorire i rapporti

commerciali con le città asiatiche. Non sappiamo invece con quale attendibilità

Giustino (21,3; AELIAN., V. H., 11, 8) parli degli abitanti di Locri che durante una

guerra contro i Lucani avrebbero dedicato le figlie ad Afrodite, cf. J. A. HIDD, 5.

v. hierodoules, DA, III (1899), 171-174. 172. In generale sugli interessi

economici, oltre che sociali e topografici di un santuario, all’interno dell’analisi

compiuta da Strabone sui rapporti di una città con gli elementi naturali ed

antropici del territorio, cf. P. PÉDECH, La geografia urbana di Strabone, AncSoc,

11, 1971, 234-253 e D. FORABOSCHI, Strabone e la Geografia economica

dell’Italia, in «Incontri perugmi di storia della storiografia antica e sul mondo

antico, 11, Acquasparta 1987», Perugia 1988, 177-188. Non si dimentichi che per

le osservazioni di tono prettamente geografico e topografico, sempre integrate

da sezioni narrative, Strabone deriva da Artemidoro di Efeso, vissuto nel Il sec.

a. C. ed autore di FEwypaoé1Eva e di ‘1 iJ1’LKà òTToji1n1aTa, cf. L. MOSCATI

CASTELNUOVO, Osservazioni su Artemidoro di Efeso qualefonte dei libri Ve VI

della ‘Geografia’ di Strabone, ASNP, 5. III, XIII, 1983, 389-401.72 Sulla discendenza di Erice da Posidone cf. le fonti raccolte da DE Vioo

s. v. Erice... cit., 349 sg. Per la discendenza da Bute, l’Argonauta che Afrodite

salvò dalle Sirene (APOLL. RHoD., 4,912-919; APOLLOD., Bibl., 1,9, 25) e che

giunto in Sicilia, a Lilibeo, avrebbe generato Erice cf. soprattutto DIon., 4. 83,

1 sg.: HYG.. fah.. 260; SERV.. Aen., 5, 24. Vd. inoltre GALINSKY. Aeneas... cit.,

63-102, 75.Sulla mancanza di conoscenze autoptiche, specie per quanto concerne

la Sicilia, si è diffusamente soffermato SOLLIMA, Le fonti di Strabone... cit.,

passirn; vd. anche il commento di LASSERRE 1967 ad STRABO. 6, 2, 6.

Cf. supra, n. 69.Già POLYB,, 1. 52, 2 (a proposito dell’assedio da parte di Amilcare) e

DI0D., 4, 83, 1 (parlando del santuario che sorgeva KOTà T1L’ àKpav Tv v

-rì Trò?E ) ubicavano il tempio sulla sommità del monte. Le monete della Gens

Considia (DI testa laureata ed incoronata di Venere Ericina; RI tempio e

leggenda ERUC: AG-60 a. C.) rappresentano un edificio sacro a struttura

circolare, elevato su un’altura rocciosa cinta di mura che convergono ad

1014 M. I. GULLETFA

angolo smussato, laddove si nota una porta (PACE, Arte e civiltà... cit., 641suppone che un avanzo di questa possa identificarsi con quello rinvenuto sottola porta di età medievale). Cf. H. COHEN, Description général des monnaies dela republique romaine, coinmunément appeliées médail/cs consulaires, Paris1857,97, tav. XIII (Considia I); T. L. DONALDSON, A rchitectura Numismatica,London 1957, 110.

Il tempio detto della Venus Hortorum Sallustianoruin fu promesso nel184 a. C. durante una guerra contro i Liguri e dedicato neI 181 a. C. dal consoleL. Porcio Licino, cf. B. LUGLI, I monumenti antichi di Roma e suburbio, Roma1928, III, 333; M. SANT>NGELO, Il Quirinale nell’età classica. Mcm Pont AccArch, S. III. V, 1941, 62 sg. Già nel 216 a. C. era stato offerto ( mira potnerium)un altro tempio a Venere Ericina da Q. Fabio Massimo, in seguito a certi responsisibillini (Liv.. 22, 10, 10): su questo edificio capitolino (Liv., 23, 31, 9), cheesprimeva la forma ancora romanizzata del culto dell’ Afrodite di Erice, mancano solidi indizi topografici ed archeologici. cf. R. SCHILLING. Le tempie de VenusCapito/inc eila tradition pomeriale. RPh, LXXIII-LXXV, 1947-1949, 27-3 5;C. KOCK, Untersuchungen zur Geschichte der ròmischer Venus Verehung,Hermes, LXXXIII, 1955, 1-51,39 sg.: KINEAST, Rom unddie Venns... cit.. 487.

Sul significato di pomerium nell’ideologia dell’antica urbanistica cf.VARR., ling., 5, 143 e l’analisi di G. MARTORANA, Intra pomerium, extrapolnerium. Palermo 1978. 145 sg. Peri! rapporto con i culti d’importazione vd.invece FEST., p. 268 LINDSAY «peregrina sacra appellantur quae aut evocatis disin oppugnandis urbibus Romam sunt coacta aut quae < oh quasdam religionesper pacem sunt petita> ut cx Phrygia Matris Magnae, cx Graecia Cereris,Epidauro Aesculapi, <quae coluntur eorum more, a quibus sunt accepta >».I Romani non applicarono ai due templi lo stesso significato e lo stesso statutoreligioso: l’esclusione dal pomerium, per l’Aedes Veneris HortoruinSaliustianorum ne sottraeva il culto agli obblighi religiosi nazionali a cuiinvece era soggetta l’Aedes Capitolinae Veneris, ormai del tutto romanizzata,cf. SCHILLING, La religion romaine de Venus... cit.. passim e ID.. Rites, cuites,dieux de Rorne, Paris 1979, 12-145 (= La piace de la Sicile dans la re/igionromaine, Kokalos, X-XI, 1964-1965, 259-286).

78 STRAnO. 6, 2, 5.Cf. F. VACCA, Memoria nr. 58 ap. FRA, MiscFilol. I, 1790, 69 sg. (da

PACE, Arte e civiltà... cit., 637 n. 1, 638).80 Cf. G. CULTRERA, 1/ «te,nenos» di Afrodite Ericina gli scavi del 1930

e del 1931, NSA, 1935. 294-328, 322: «La riproduzione del tempio sullemonete contiene una rettifica di prospettiva non essendosi voluta sacrificarené la veduta frontale del tempio, né quella dell’ingresso al sacro recinto». IlPace si associa invece all’ipotesi affascinante della ricostruzione, sostenendoche, così come l’edificio sallustiano. anche quello rappresentato sulle moneteaveva una struttura circolare. Tale forma, tipicamente romana, avrebbe

LAREA ELIMA IN STRABONE 1015

ricondotto alFassetto acquisito dal tempio di Erice in epoca tarda, per la quale

l’unico termine ante queiìì è offerto dalla datazione della monete, nonché dalla

notizia dei restauri imperiali. Forse il primo tempio romano di Erice risale al

primo periodo della presenza delF Urbe nell’isola e la forma sarebbe stata

mantenuta nel restauro di Tiberio / Claudio. Del tempio preromano manca

ogni traccia, ma le indicazioni numismatiche sembrano confermare la notizia

di Eliano (NA, 10, 50) su un primitivo culto sicano praticato presso un altare

a cielo aperto, cf.A Cataiogue ofthe Greek Coins in the British Museu,n. Sicilu,

ed. by R. S. Poole, London 1876, 62. nr. 6).Il disegno di Pirro Ligorio, giunto dal Cod. Vat. Lat. 3439, 28 r,

annotato dal Panvinio. avrebbe permesso di ricostruire «il piccolo ma

omatissimo edificio degli Horri Saliustiani». Per primo R. LANCIANI (La

Venus Hortorum Sallusrianorum’, BCAR, 1888, 3-1 1) aveva associato i

ruderi descritti dal Vacca con i disegni di Ligorio.82 Gli archeologi sono molto scettici sulla possibilità di identificare il

colonnato visibile nel XVI sec. con le vestigia del portico cui allude Strabone,

cf. SCHILLING, La religion romaine de Venus... cit., passim. Le rovine descritte

da Flaminio Vacca e riprodotte da Pirro Ligorio potrebbero addirittura riferirsi

ad un ninfeo, cf. CH. HCLSEN. Antichità di Monte Citorio, MDAI(R), IV, 1889,

41-64.83 TH. FAZELLUS, De rebus siculis decades duae, Panormi 1558, I, VII,

151-161.Ben poco si può oggi leggere della situazione antica, cancellata quasi

completamente da successive devastazioni, da rimaneggiamenti e dalle strut

ture di età medievale, tanto che dal materiale superstite si ricava molto meno

che dalle monete. Tuttavia i pochi elementi architettonici venuti alla luce

(rocchi di colonna scanalati. un triglifo dorico, blocchi squadrati, avanzi di

cornicioni) consentono per le loro proporzioni di avanzare ipotesi sul rifaci

mento di epoca romana che in un certo senso corrisponde —pur con le dovute

distanze prospettiche— al tempio rappresentato sulle monete, cf. CULTRERA. li

«temenos» di Afrodite Ericina... cit.. 294-328.85 Si tratta di una testa colossale di Afrodite, originale greco di V sec. a.

C.; del cosiddetto ‘Trono Ludovisi’, un trittico che sembra riprendere la

rappresentazione di Afrodite seduta sulle monete di Erice del V sec. a. C. e che,

fabbricato in piede locrese. potrebbe essere stato importato dalla Sicilia, prima

di giungere a Roma. Abbiamo infine, il Trono di Boston’, fabbricato a Roma,

e misurabile in palmi romani, per creare probabilmente un pendant con il ‘Trono

Ludovisi’. Non si conosce esattamente il luogo della proprietà Ludovisi dove i

pezzi furono rinvenuti, cf. GALIN5KY,Aeneas... cit., 243-257 IAppendix. Scuipturai

Findsfrom the Tempie of Venus Eiycine, in the Gardens ofSaiiustius).86 La data di introduzione potrebbe coincidere con l’anno della dedica,

il 181 a. C. secondo E. PETERSEN. Aphrodite, MDAI(R). VII, 1892, 32-80. M.

1016 M. I. GULLETfA

J. Colin (Les Trànes Ludovisi-Boston et les teinples d’Aphrodite Ervcine, RA,1946,23-42, 139-172) la abbassa invece fino all’epoca del restauro di Tiberio,il che offre l’immagine contradditoria di un imperatore proteso a rivalutare ilculto siciliano ed al tempo stesso pronto a spogliarne il tempio (cf. B. PACE.Arte e Civiltà della Sicilia antica, Milano-Genova-Roma-Napoli 1938, Il, 48;SANTANGELOJ’ )uirina1e... cit., 63 sg.). Ricordiamo, apropositodelle spoliazionidel tempio di Erice, una glossa di Pomponio Sabino a VERG., Aen., 5, 412:«duius simulacrum CL Marcellus romanus transtulit et extra Portam Collinamconservavit». 11 valore della notizia è però abbastanza dubbio, perché derivada una sovrapposizione dell’indicazione del culto a Roma, che precedeMarcello, a quei trasferimenti di opere d’arte dalla Sicilia, per cui Marcelloandava famoso. L’idea che possano riferirsi al santuario ericino alcunesculture provenienti dalla collezione Ludovisi e che queste possano altresìvenire collegate con il colossale acrolito (che Petersen intelpreta come unelemento della statua portata a Roma) resta solo un’ipotesi. anche perché èbene non dimenticare che, insieme all’Aedes Veneris, molti altri edificioccupavano nell’antichità l’area degli Horti Sallustiani.

Cf. cx. gr. Ovm.,frist., 4, 864-900; APPIAN., BC, 1, 93 (durante labattaglia di Silla i soldati si intrattenevano con le donne); CIL, Vi, nr. 2274 etc.

88 Cf. cx. gr. OvID.,fast., 4, 871; UL, 1-2, nr. 215; 316. Il giorno delleMeretrici, coincidente con la festa romana dei Vinalia (23 aprile) e con la festadi Afrodite Ericina, vd. infra, è anche il giorno di Venere Capitolina, dellaquale si cerca in tal modo di compensare la romanizzazione.

89 Cf. AELIAN.. UH., 1. 15; Hist. Anim., 4. 2; ATHEN., 9, 394e-395a. Eranole feste degli ‘AvaycyLa e dei KaTayyLa, con le quali si celebrava la partenzadella dea, verso il santuario africano di Sicca Veneria, ed il suo ritorno nellesembianze di colomba rossa. CIACERI, Culti e miti... cit., 85 attribuisce l’originedella festa ad un periodo in cui —durante una delle guerre che coinvolsero con iCartaginesi anche la cuspide nord-occidentale dell’isola— si fece ricorso allacomunicazione tramite piccioni viaggiatori. L’autore, dopo aver addotto unaserie di testimonianze sull’uso ditale sistema per ragioni di ordine militare, la piùantica delle quali (Ferecrate) viene menzionata da Ateneo proprio nel contestodella festa ericina. ricorda un brano di POLYAEN., Strat., 6, 16, 2: i Cartaginesi,devastata la Sicilia, per comunicare velocemente, stabilirono due vedette, unasulla costa dell’isola ed una in Africa le quali si mandavano messaggi tramitefuochi. L’uso militare delle colombe, se effettivamente esistito, avrebbe assuntonel tempo un carattere religioso, rimanendo nel ricordo e nella tradizione, grazieai rapporti mai cessati fra l’Afrodite di Erice e la fenicia Astarte.

Il santuario di Erice ha avuto più volte, nel corso della sua storia, unapregnanza politica: già Tucidide (6,46) racconta dell’inganno dei Segestani aidanni di Atene, effettuato per mezzo del tesoro del tempio; Cartagine, d’altraparte, aveva diffuso il culto della dea per creare un polo di attrazione

L’AREA ELIMA IN STRABONE 1017

alternativo all’influenza greca: viceversa, dopo la battaglia delle Egadi, sarà

prevalente il carattere propagandistico della politica religiosa romana in

Sicilia. L’importanza del tempio per Io sviluppo della leggenda troiana di

Roma e del suo significato in funzione della contrapposizione Roma/Cartagine

(P0LyB., 1, 58, 7-9) è alla base del rilievo dato alla Sicilia da Virgilio che

accrescendo il significato dell’evento fa di Enea il fondatore di Erice (Aen., 5,

759-760), cf. GALINSKY. s. v. Erice... cit., 364-365. Vd. anche G. MoNAco, La

Sicilia nel viaggio di Enea, Kokalos. XXII-XXIII, 1976-1977, 1-8 (sulle

fondazioni siciliane di Enea) ed E. PARATORE. De Eryce atque Segesta vel

potiusAcesta apud Vergilium, Latinitas, XXIII, 1975, 201-209 (più in gene

rale per un’analisi della prospettiva virgiliana).91 Scrive C1ACERI. Culti e miti... cit.. 83: «... devesi tenerpresente che, per

quanto tale sacra istituzione non sia derivata dall’Oriente, avrà sempre sentita

l’influenza della civiltà punica che certamente nella costa nord-ovest dell’ iso

la sarà cominciata assai presto. Ed è notevole che a Sicca Veneria, sulla costa

africana, esisteva nel tempio di Venere la sacra prostituzione sin dal tempo del

dominio di Cartagine, stando a VAL. MAX., 2, 6, 15 (le matrone puniche si

procuravano in questo modo a sé stesse oltraggioso la propria dote nunziale,

secondo quanto attesta anche IusT., 18. 15; la stessa abitudine era in Lidia,

HDT.. 1, 93; AELIAN., V. H., 4, 1) e durava nell’età imperiale romana, come

risulta di diversi documenti epigrafici. E v’è ragione per credere che anche

nella città di Mactaris il culto della dea avesse lo stesso carattere (cf. J.

TOUTAIN, Les cultes paiens dans l’Empire romaine, Paris 1907, 385 sg.). La

civiltà punica avrà contribuito se non altro a mantener in vita il costume

religioso sino a tarda età, tanto più che le relazioni di culto fra Erice e le coste

della Libia si rispecchiano nella festa delle colombe».92 Sul’uso della mitologia in Strabone cf. D. BASSI, La mitologia in

Strabone, RIL, LXXV, 1941-1942, 319-326.

Abbiamo già visto come Tiberio interviene ad Erice definendosi

parente della dea e consanguineus dei Segestani. Nel 20 d. C. L. Afronio

Cesiano, vincitore dei Numidi, ringrazia la dea con una statua di Tiberio ed

invocandola AENEADIJM ALMA PARENS (= CJL, X, nr. 7257).

A cui Strabone dedica la conclusione del libro VI. Vd. in generale, G.

MANCINETTI SANTAMARIA, Strabone e l’ideologia augustea, AFLPer, XVI-

XVIII, 1978-1980, 127-142.