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Antonio M. Corda Breve introduzione allo studio delle antichità cristiane della Sardegna Ortacesus 2007

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Antonio M. Corda

Breve introduzione allo studio

delle antichit cristiane della Sardegna

Ortacesus2007

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cdicembre 2007 - Nuove Grafiche Puddu EditoreVia del Progresso, 6

09040 - Ortacesus (Cagliari)ISBN 88-89061-41-1

Collana diretta daAntonio M. Corda, Franco Loi, Antonio Piras

Questo testo stato compilato con LATEX2; la bibliografia stata composta utilizzando

BibTEX e il pacchetto jurabib (schema bibliografico oxford).

studioTypewritten TextAd uso esclusivo degli studenti dell'Univ. di Cagliariai fini del corso di Epigrafia Latina 2 (A.A. 2011/2012)

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studioTypewritten TextESTRATTO DAL VOLUME (pp. 30-121)

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30 Quadro storico

Penisola che dal 40 al 38 non pot pi contare sullafflusso granario sardo se nonper un brevissimo periodo, quando lIsola venne riconquistata (nellanno 40) daEleno, liberto di Ottaviano. Menodoro riusc per, quasi subito, a cacciare letruppe di Eleno cos da indurre Ottaviano ed Antonio ad addivenire a patti conSesto Pompeo, al quale assegnarono, oltre alla Sardegna e la Corsica, anche unaserie di proventi derivanti dallesazione di tasse nel Peloponneso. Laccordo, si-glato nel 39 a Miseno, non fu per rispettato da entrambe le parti e la situazionesarebbe tornata ad essere quella di prima se non vi fosse stato il tradimento,risolutivo, di Menodoro che pass dalla parte di Ottaviano agli inzi dellanno38. La transizione dellIsola nelle mani di Ottaviano sar definitiva e anche nellaguerra contro Antonio la Sardegna giurer fedelt al futuro Augusto.

1.2.3 La Sardegna in et imperiale

Tra le province affidate alla cura diretta di Augusto venne esclusa, nel 27a.C., la Sardegna, la cui amministrazione venne invece assegnata direttamenteal Senato, secondo il criterio in base al quale a questultimo dovevano essereaffidate le province con le popolazioni pi integrate e quelle con i confini pitranquilli. Tale valutazione venne quasi subito modificata dagli eventi, poichsappiamo che, a partire dal 6 d.C., la situazione locale sarda richiese linvio diun grosso contingente militare per sedare dei tumulti. A capo di questo contin-gente venne inviato un comandante militare di nomina imperiale con funzionidi governatore provinciale. Le truppe, forse un reparto legionario, si trattenneroin Sardegna per lungo tempo fino almeno allanno 14 d.C., anno della morte diAugusto, anche se sappiamo per certo che con questa data non finirono i pro-blemi, giacch, pur nella scarsezza generalizzata delle fonti, vari indizi lascianosupporre una situazione non ancora stabile. Una importante iscrizione rinvenutanellarea di Forum Traiani (lodierna Fordongianus) ricorda per lanno 19 unadedica allimperatore Tiberio da parte delle Civitates Barbariae.

Lespressione, purtroppo ricorrente in un testo fortemente lacunoso, indicaquei popoli delle aree interne che con questatto intendevano ribadire la propriafedelt (o una propria sottomissione) a Roma. Questa sostanziale instabilit civiene inoltre confermata dalle fonti che ci attestano, almeno fino allanno 46d.C., lesclusivo invio in Sardegna di governatori a forte connotazione militarecos come sembrano suggerire i titoli utilizzati per definire i loro incarichi al po-

1.2 La Sardegna in et storica 31

sto del pi normale titolo di procurator : vediamo infatti come si passi dal primoprolegatus del 6 d.C. fino allultimo praefectus del 46 d.C. Il primo funzionarioimperiale conosciuto con il normale titolo di procurator sar solo del 67 d.C. e,paradossalmente, noto proprio nella prima parte dellanno in cui la Sardegna,che rimarr, per quasi tutta la sua storia assegnata allamministrazione direttadellimperatore, passava al Senato in cambio della Grecia, provincia tradizio-nalmente senatoria e liberata da Nerone. Sono noti infatti per via epigrafica apartire da questo periodo tutta una serie di governatori di rango pretorio, se-natori quindi, con il titolo di proconsul. A partire da Vespasiano in poi, forsedallanno 73, la situazione veniva ristabilita con la riassegnazione della Grecia alSenato e il nuovo passaggio della Sardegna allamministrazione diretta da partedel principe. A questo punto i governatori provinciali saranno tutti di ordineequestre e verranno insigniti di quel titolo di procurator, la cui forte connotazio-ne militare verr per asseverata dal titolo di procurator Augusti et praefectuscon cui nota buona parte dei funzionari nominati a partire da Settimio Se-vero. Questa titolatura si alterner sempre pi spesso con quella di procuratorAugusti praeses provinciae Sardiniae. Entrambi i titoli risultano, in Sardegna,solitamente riferiti a procuratori imperiali di rango ducenario e quindi portatida individui di un certo livello a testimonianza indiretta, se mai ve ne fossebisogno, dellimportanza economica e strategica attribuita ad unarea cos vici-na al cuore stesso dellimpero. La Sardegna continuer per i secoli successivi arifornire di grano e altre materie prime la capitale e, nella riorganizzazione del-limpero voluta da Diocleziano, venne affidata a Massimiano Augusto, il quale,una volta abdicato a favore della seconda tetrarchia, si vide succedere nel 305,nellamministrazione della Sardegna, dal Cesare Severo.

Le vicende degli anni successivi sono ben note e la Sardegna, cos come citestimoniano le fonti epigrafiche rappresentate da due miliari, si schierer infavore sia dellusurpazione di Massenzio (308-309), sia dellusurpazione, controlo stesso Massenzio, di L. Domizio Alessandro [vedi figura 1.1].

Lavventura africana di L. Domizio Alessandro finir dopo tre anni e nel310/311 Massenzio, ripresosi la Sardegna, provveder a punirla di questa suadefezione spogliandola letteralmente dei suoi beni con unaggressiva politica fi-scale. Si era del resto nellimmediata vigilia del grande confronto con CostantinoMagno avvenuto il 28 ottobre del 312 presso Ponte Milvio e nel quale Massenziorisulter soccombente.

32 Quadro storico

Figura 1.1: Miliario di L. Domitio Alessandro (disegno di G. Sotgiu).

Il regno di Costantino sar lungo e caratterizzato da grande stabilit. Diquesta situzione si avvalse la Sardegna che, amministrativamente parlando, ver-r inquadrata dallimperatore nella sua riforma del 325 nella diocesi italicianadella quale facevano parte, oltre ovviamente alla stessa penisola italica, le altregrandi isole del Mediterraneo, la Tracia, la Macedonia e lIllirico. Il governatoredella Sardegna, che da questo momento in poi avr sempre il titolo di praeses(cosa peraltro che abbiamo gi visto accadere anche precedentemente seppu-re in maniera non esclusiva), risponder direttamente al vicarius urbis Romae,responsabilile a sua volta di una divisione della stessa diocesi italiciana compren-dente le regioni a sud dellAppennino e le isole mediterranee. Questa strutturaamministrativa rimarr in piedi per lungo tempo e da essa la Sardegna non verrmai, sia pure con le vicissitudini che vedremo, scorporata. Alla politica religiosapromossa da Costantino, che com noto fu favorevole al cristianesimo tanto darenderlo una sorta di religione di stato (cosa che giuridicamente avverr solocon Teodosio nel 380), si deve, indirettamente, lavvio della cristianizzazionedella societ sarda. Immediatamente dopo il cosiddetto editto di Milano infattisi incomincia ad avere nelle fonti qualche riferimento a comunit cristiane pio meno organizzate ed ampie come quella di Carales, di cui conosciamo, nel314, il vescovo Quintasius [vedi infra 1.4]. Da una lettura globale delle fonti sipu indicare nel VI secolo inoltrato il momento di una totale conversione allanuova religione (in questo senso sembra convenire la letteratura pi recente e,

1.2 La Sardegna in et storica 33

a mio avviso, pi critica). Una volta morto Costantino, nel 337, la successione,ancorch pianificata dal grande imperatore, non fu n indolore n pacifica e daquesta situazione non pot certamente affrancarsi una Sardegna che, proprioperch regione periferica, fu sballottata qua e l dai partiti dei vari contendentie sub piuttosto passivamente gli eventi.

Sono sempre i cippi miliari, vero e proprio manifesto politico, a darci chiariindizi cronologici sulla posizione sarda nel panorama politico pi ampio. Allamorte di Costantino II, in guerra da tempo con il fratello Costante, lIsola, cheera stata sempre dalla parte del primo, riconobbe nel 340 il secondo come impe-ratore. Lo stesso atteggiamento ebbe poco tempo dopo, si era nel 350, quandoriconobbe Magnenzio che ebbe la meglio su Costante. A sua volta Magnenzio,sconfitto dalla reazione di Costanzo II imperatore romano dOriente, morir sui-cida nel 353 a Lugdunum: puntualmente la Sardegna con i soliti miliari ricorderlimperatore vincente. Pochi anni dopo, nel 360, una nuova usurpazione, partitaquesta volta dalle Gallie, attraeva lanno successivo nella propria orbita la Sar-degna. Giuliano ebbe in poco tempo dalla sua il favore delle province europeee delle grandi isole mediterranee mentre al contrario lAfrica rimase assoluta-mente fedele a Costanzo. Questi per mor per cause naturali lasciando erededel proprio dominio lo stesso Giuliano. Lintricata situazione politica, soprattut-to in relazione alle successioni vedr ancora la Sardegna schierarsi nel 387 dallaparte di Magno Massimo, usurpatore e causa dellassassinio nel 383 di Graziano.Questo suo aperto schierarsi cost, quando la rivolta fu sedata, una citazione ingiudizio per alcuni senatori sardi che, come ci dicono le fonti, erano stati parti-colarmente attivi. Una iscrizione funeraria cristiana di Turris Libisonis datataal giugno del 394 ci indica con certezza che lIsola non segu lusurpazione diEugenio che due anni prima era stato acclamato imperatore in Gallia. Eugenioverr sconfitto da Teodosio nel novembre del 394 e lIsola, dopo la morte di que-stultimo del gennaio 395, passer sotto il governo di Onorio. Nellultima grandecrisi del IV secolo, la rivolta di Gildone in Africa, la Sardegna sar dalla partedel legittimo imperatore, che essa sosterr con la forza delle sue scorte granariee di materie prime. Questa rivolta particolarmente grave verr comunque sedatae la reazione onoriana causer la morte del ribelle nel 398. Ormai, alle porte delV secolo, lavventura dellimpero romano di Occidente volgeva al termine e, ap-profittando della morte avvenuta nel 408 del grande generale Stilicone che purelo aveva sconfitto nel 402 a Pollenzo, il re Visigoto Alarico riuscir nel 410 a

34 Quadro storico

saccheggiare Roma. La morsa sulla citt eterna si far ancora pi stretta quandofra il 429 e il 439 la ricca provincia dAfrica, il serbatoio di risorse pi grande eimportante per la pars occidentis dellimpero, cadr in mano ai Vandali, i quali,dopo aver preso Cartagine (il 19 ottobre 439), decisero nel 440 di estendere iloro domini anche al di l del mare. Fonti attendibili ci raccontano di come iVandali cercassero di occupare le due grandi isole mediterranee, la Sardegnae la Sicilia, con una serie di spedizioni di piccoli contingenti con il compito didevastare le coste e le citt pi importanti. La Sicilia rimarr sostanzialmentein mano ai Vandali fino alla fine del secolo, mentre in Sardegna il dominio sar,come vedremo, lievemente pi lungo. In questottica, e in relazione alla Sarde-gna, va vista tutta una serie di dati archeologici che ci propongono un possibilecontatto con la popolazione di origine germanica gi nella prima met del Vsecolo. Sembrano infatti doversi ricondurre ad apprestamenti difensivi costruiticontro i Vandali le fortificazioni rinvenute a Turris Libisonis, Tharros e Cornus,dove sembra sia stata fortificata lacropoli della citt. Il blocco navale operatodai Vandali nei confronti della Sardegna sar fortissimo e forse per questa si-tuazione di esasperazione lIsola non corrispose, per lungo tempo, i tributi allacapitale. Di questa ribellione fiscale abbiamo uneco nellesclusione, punitiva neiconfronti dellIsola, dal dispositivo imperiale di condono dei debiti fiscali dovutifino al 448 a causa di un loro precedente mancato pagamento. Con landare deltempo i Vandali, sempre pi forti, diventarono proporzionalmente pi temerarifino ad arrivare il 2 giugno del 455 a saccheggiare Roma e successivamente, inun periodo imprecisato tra il 456 e il 468, a conquistare la Sardegna che rimarrin loro possesso fino al 534.

Orientamenti bibliografici ai 1.2.2 e 1.2.3

Et repubblicana. G. Brizzi, Nascita di una provincia: Roma e la Sardegna, in: Carcopino,Cartagine e altri scritti, Sassari: Chiarella, 1989; P. Meloni, La Sardegna romana, II edizione.Sassari: Chiarella, 1990, 43-69; Mastino, La Sardegna antica, op.cit. (vedi 1.2.1), 61-90. Unmodo un po differente di vedere le guerre puniche (e cio dalla parte degli sconfitti) quellodi F. Barreca, La civilt di Cartagine, Cagliari: Editrice Sarda F.lli Fossataro, 1964 che sipone tra le righe il problema di come sarebbe stato il mondo antico con Roma soccombente.Et imperiale: Meloni, La Sardegna romana, op.cit. (vedi 1.2.3), 139-227 e Mastino, LaSardegna antica, op.cit. (vedi 1.2.1), 125-163.

1.2 La Sardegna in et storica 35

1.2.4 Vandali e Bizantini

La prima preoccupazione dei Vandali, una volta conquistata larga parte delloscomparso impero romano dOccidente, fu di consolidare per via diplomatica laposizione acquisita col riconoscimento internazionale della legittimit del lororegno.

Ci avverr una prima volta nel 460 grazie a Leone I e successivamente nel467, quando lo stesso imperatore dovr venire a patti con Genserico in occasionedella sconfitta della flotta bizantina in seguito alle imprese del duca Marcellino.Questo dux, che pure era riuscito a riconquistare la Sardegna, non potr perassicurarne il possesso allimpero bizantino se non per breve tempo.

Nel 477 a Genserico succeder il figlio Unnerico, che per non riusc dimo-strare la stessa lucidit politica ed energia del padre. Nel proseguire la politicamediterranea del padre si caratterizz per lestrema rigidit con cui sostennelarianesimo in Africa, vicino al centro del potere, e per la relativa tolleranzacon cui sopport la presenza dei suoi nemici nelle terre doltremare come la Sar-degna. In realt, sembra pi corretto parlare di disinteresse nei confronti dellat-tivit di predicazione dei vescovi ortodossi esiliati nellIsola e di lucidit politicanel non aver voluto eliminare fisicamente personaggi comunque ingombranti, lacui soppressione sarebbe stata per lui politicamente insostenibile.

Il nome di Unnerico legato indissolubilmente al Concilio di Cartagine del484, quando il re vandalo volle convocare nella sua capitale vescovi cattolici edariani perch sviluppassero quegli aspetti cristologici che il Concilio di Niceadel 325 aveva solo marginalmente toccato. A quel concilio parteciparono ben 5vescovi sardi guidati dal metropolita cagliaritano Lucifero II.

La speranza di Unnerico, disillusa dal nulla di fatto prodotto dai vescovi par-tecipanti, era quella di riuscire a dirimere a favore dellarianesimo la questionerelativa alla natura umana del Cristo. Dopo questa empasse la ripresa delle osti-lit nei confronti dei cattolici da parte di Vandali fu pi aspra di prima, anchese bisogna rimarcare che i successori di Unnerico, Guntamondo e Trasamondo,ebbero a questo riguardo atteggiamenti ben diversi: tanto tollerante ed apertoil primo quanto duro e inflessibile il secondo.

Sar il solo Trasamondo a comminare infatti nuovamente ed in manierasistematica lesilio per i vescovi che predicavano lortodossia con la successivanomina di vescovi ariani per le sedi rese in questo modo vacanti. Le tristi vicendepersonali di questi vescovi perseguitati ed esiliati rappresentarono al contrario

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una grande fortuna per la Sardegna che vide arrivare persone del calibro diFulgenzio di Ruspe, a cui vengono attribuite la fondazione di un monastero aCagliari presso la basilica di San Saturnino e di uno scriptorium particolarmenteimportante.

Nel 523 Ilderico, succeduto a Trasamondo, cambier rotta cercando di ripor-tare nel proprio regno la pace sociale richiamando i vescovi esiliati, che venneroprontamente reinsediati, e cercando in campo internazionale di acquisire cre-dibilit e soprattutto affidabilit. Grazie allattivit sovversiva di Amalafrida,moglie di Trasamondo, il regno di Ilderico dur solo 7 anni e nel 530 diventer reGelimero, ariano convinto: a causa di ci la repressione nei confronti dei cattoliciriprender con toni molto alti.

Paradossalmente Gelimero riusc dove i suoi predecessori avevano fallito conle politiche di distensione, facendo in modo che nel 476 limperatore Zenonericonoscesse le conquiste territoriali vandale. Tale atto ufficiale venne, cos comeci racconta Procopio di Cesarea, messo successivamente in crisi da Giustiniano(assurto alla porpora nel 527) che, preoccupato dalla figura e dallambizione diGelimero, invi un messaggio al re vandalo chiedendogli di ripristinare la legalitnella successione al trono.

La sdegnosa risposta di Gelimero rese chiara a Giustiniano limpossibilitdi una soluzione diplomatica della crisi e fu cos che entrambi i regni inizia-rono a preparare la guerra ammassando grossi quantitativi di armati. Gelime-ro richiam in Africa alcuni reparti militari di stanza in Sardegna lasciandolIsola non solo sguarnita, ma in mano ad un liberto germanico di nome Go-da che, vista la criticit del momento, pens di trarne un vantaggio personaleautoproclamandosi, col titolo di re, indipendente dalla madrepatria africana.

Contestualmente Goda cerc di ottenere da Giustiniano, sotto la forma diuna richiesta di aiuto militare, il riconoscimento del proprio status di indipenden-za. Giustiniano concesse immediatamente lassistenza richiesta e invi un mes-saggio, tramite lambasciatore Eulogio, nel quale si assicurava linvio di truppesul territorio sardo. Gli avvenimenti successivi dimostreranno quanto il tenta-tivo di Goda sia stato poco accorto e quanto mai politicamente maldestro. Acausa di esso infatti il neo-re si trov per cos dire tra lincudine e il martello:da una parte si vide affiancare quello che sembrava, pi che un diplomatico, unproconsole-governatore bizantino, dallaltro proprio la partenza per la Sardegnadi un contingente di armati mise in allarme Gelimero che invi in Sardegna il

1.2 La Sardegna in et storica 37

proprio fratello Tzazon a capo di un nutrito esercito.Tzazon, liberatosi velocemente di Goda, riport lIsola sotto le bandiere van-

dale, ma questo allontanamento di un grosso contingente militare ebbe un effettonegativo sulla guerra, poich i Bizantini diretti in Sardegna, appresa la notiziadella sconfitta del vandalo ribelle, fecero immediatamente rotta verso lAfrica,dove si riunirono al resto delle truppe gi presenti sul continente agli ordini diBelisario.

Gli avvenimenti successivi sono noti. Nei pressi di Cartagine il 13 settembre533 i Vandali subirono una grossa sconfitta e furono costretti a ritirarsi a nord-ovest della capitale a Bulla Regia, da dove richiamarono Tzazon perch desseloro man forte per la battaglia risolutiva. A Tricamarum nel 533 finiva conla morte di Gelimero e Tzazon il regno Vandalico e la Sardegna tornava adessere bizantina nel 534, quando Belisario invi Cirillo a riconquistarla. LIsoladivent cos una della sette province africane dipendenti dal prefetto del pretorioincardinato a Cartagine: Carales rimase sede del praeses, mentre Forum Traiani,grazie alla sua rilevante posizione strategica, divent sede del dux, il comandantemilitare. Lattivit di Giustiniano e dei suoi successori si caratterizz per unaintensa azione di consolidamento del controllo del territorio, che si manifestprincipalmente con ledificazione di strutture fortificate certamente orientate adeffettuare una sorta di taglia-fuori nei confronti delle aree interne dellIsola masoprattutto come strumento di controllo centrale della viabilit [vedi infra ad2.5 esempio il di Forum Traiani che con ragione Mauro Dadea vedepi collegato a questultimo aspetto che allo stesso centro urbano] Nel 552 gliOstrogoti di Totila occuparono Carales che per rimase nelle loro mani appenaun anno per poi ritornare nelle mani di Giustiniano, il quale lanno successivoeman uno dei documenti pi celebri dellantichit: la Prammatica Sanzione.

Con questo testo del 554 Giustiniano affermava la restaurazione dellimperoe soprattutto che vi era una unica legge che governava lOrbis. Vi da direche nel suo piccolo la Sardegna diede sempre qualche grattacapo al sovranoorientale e ai suoi duces.

Edantius (589), Theodorus, Zabarda (594) ed Eupator (599) ebbero infattiil loro bel da fare con le popolazioni dellinterno e tra essi, il solo Zabarda,viene ricordato per essere riuscito, in un modo o nellaltro, a contrastarli inmaniera efficace e soprattutto per avere tentato di risolvere diplomaticamenteil conflitto nel 594. La Sardegna sopravviver allapparato statale bizantino in

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Occidente anche quando lIfriqiya verr conquistata dagli Arabi diUqba ibn Nafi,che nel 670 fonderanno la moschea di Qayrawan, e quando nel 698 Hassan ibnan-Numan conquister Cartagine facendo cos cadere lesarcato dAfrica.

Nel VII secolo la Sardegna bizantina conoscer le incursioni del mondo arabotese a separare dal resto lultimo lembo di mondo bizantino esistente nel Me-diterraneo occidentale. Le fonti parlano di una serie di scorribande effettuate apartire dalla baia di Cartagine, da Radhes in Tunisia, con lobiettivo di creareun corridoio sicuro per la navigazione verso la costa provenzale. Altre incursionicaratterizzeranno la met del VII secolo e per un cinquantennio circa alcune areedella Sardegna saranno obbligate a pagare una certa somma (la gizyah dovutadagli infedeli per evitare attacchi).

La situazione cambier radicalmente quando i Longobardi nel 751 occuparo-no lesarcato di Ravenna da cui dipendevano dalla fine del VII secolo la Corsicae la Sardegna. LIsola, abbandonata a se stessa e sempre pi lontana da quellaBisanzio che non aveva pi la forza di controllare il Mediterraneo occidentale,inizi a vedere nello iudex provinciae lunico punto di riferimento certo. Tuttoil IX secolo fu costellato di attacchi alle coste sarde e vi furono eventi talmentecatastrofici che ne abbiamo eco in una lettera che il pontefice Leone III invinell813 a Carlo Magno, in cui scriveva che una grande flotta araba era statadistrutta a causa di una tempesta al largo della Sardegna. Per una serie di mo-tivi, non ultimi la relativa lontananza dalle basi arabe e la strenua difesa deisardi, le citt isolane non subiranno la sorte di piazzeforti tutto sommato benpi agguerrite e munite come Palermo, caduta nell830, e dellintera parte suddella Penisola. La mancata conquista della Sardegna da parte dei nuovi domi-natori del bacino meridionale del Mediterraneo favorir la lenta evoluzione diunamministrazione locale bizantina nelle forme della straordinaria esperienzatutta sarda dei Giudicati. Giuseppe Meloni non esclude che i contatti con gliArabi residenti in Ifriqiya e in al-Andalus e lesempio dei qwadha (regioni ammi-nistrative) e qwadhi (giudice) possano avere in qualche modo influenzato questosviluppo. La Sardegna rimarr formalmente sotto Bisanzio fino allXI secolo.

Orientamenti bibliografici al 1.2.4

Et vandalica: L. Pani Ermini, La Sardegna e lAfrica nel periodo vandalico. in: A.

Mastino (ed.), LAfrica Romana II, Sassari: Gallizzi, 1985; Et bizantina: P. G. Spanu,

1.3 Economia e Societ 39

La Sardegna bizantina tra il VI e il VII secolo. Oristano: SAlvure, 1998, Mediterraneo tar-

doantico e medievale. Scavi e ricerche 12; G. G. Ortu, La Sardegna dei Giudici, Nuoro: Il

Maestrale, 2005, La Sardegna e la sua storia, 3, 21-52; Mondo arabo in relazione alla Sarde-

gna: M. Terrasse, Islam et Occident mditerranen: de la conqute aux Ottomans, Paris:

Ed. du CTHS, 2001, Orientations et mthodes, 15-106; M. G. Stasolla, La Sardegna nelle

fonti arabe, in: P. Corrias e S. Cosentino (eds.), Ai confini dellimpero. Storia, arte e

archeologia della Sardegna bizantina, Cagliari: M&T, 2002

1.3 Economia e Societ

1.3.1 La gestione delle risorse dalla prima et storica altardoantico

Passato il periodo degli scali stagionali, utilizzati come empori e come portidi transito per le rotte occidentali, i Fenici si attestarono stabilmente in alcunearee particolarmente felici per posizione e possibilit economiche dellimmediatoentroterra. Nonostante qualche piccolo incidente di tipo militare, i rapporti conle popolazioni autoctone, avviati da tempo, proseguirono con rinnovato vigore ei rinvenimenti archeologici di materiali di importazione effettuati nelle localitpi interne dellIsola indicano, senza ombra di dubbio, che questo flusso di mercida e verso lesterno stato per lungo tempo garantito proprio da vettori semiti.

Ci non significa affermare che ci sia stata unintegrazione tra i due popoli sututto il territorio, anzi, al contrario, evidente, proprio dalle fonti archeologiche,come nella Sardegna della prima et storica del IX/VIII-VI sec. a.C. vi fosseuna sorta di dualismo tra le zone costiere occupate dai fenici e quelle in manoai sardi dellinterno. In comune, oltre ai mercati in cui effettuare gli scambi, iFenici e i Sardi ebbero, sia pure in modi e per ragioni diverse, lo stesso marcatoindividualismo che li port a non sentire la necessit di organizzarsi in uno statounitario. Questo tipo di organizzazione o di mancata organizzazione statale, iSardi per gruppi ristretti e i Fenici per citt stato, far s che lo sfruttamentodel territorio, da una parte e dallaltra, risultasse non organizzato e limitato aifabbisogni contingenti di ciascuna realt locale.

Al momento dellingresso sulla scena di Cartagine, operato come abbiamovisto con grande determinazione e incisivit anche col ricorso ad una spedizionemilitare effettuata da Malco sul finire del VI secolo a.C., la situazione, pur rima-

40 Quadro storico

nendo immutata nei suoi contenuti generali (e cio mondo punico ad occuparele coste e i Sardi ad occupare le aree pi interne del territorio), verr modifi-cata proprio perch alle spalle dellattivit punica in Sardegna vi era lautoritcentrale di un impero mercantile che aveva un progetto politico organizzato suvasta scala. La sostanziale pacificit fenicia lascer quindi il posto ad una politi-ca di occupazione del territorio che non tarder ad avvalersi, quando necessario,della forza per fare proprie le risorse da utilizzare per il funzionamento dellim-pero e non, come avveniva nel periodo precedente, delle sole colonie sarde. Lagrande appetibilit della Sardegna, che giustific infatti lintervento armato diMalco motivato non solo da una ribellione locale, ma anche dal desiderio di pre-venire unazione greca, risiedeva infatti, oltre che nella sua posizione strategicaal centro del Mediterraneo occidentale, soprattutto nelle ricchezze provenientidallagricoltura e dalle risorse minerarie presenti nellIsola.

Dellimportanza delle prime per il mondo punico abbiamo uneco chiarissi-ma nelle fonti, quando a pi riprese il grano sardo servir, come poi accadrpuntualmente in et romana, a sfamare le truppe cartaginesi impegnate altrove.Nel 480 a.C. il grano prodotto in Sardegna sostenter le truppe di Amilcaresbarcate in Sicilia contro Gelone di Siracusa; nel 396, sempre in Sicilia, Imilconeconter sul grano sardo per le truppe da impiegare nellassedio di Siracusa edinfine, ribaltando discorsi e situazioni, lo stesso Agatocle di Siracusa, volendoportare la guerra in Africa contro Cartagine, si arrovell a pensare in che modoavrebbe potuto impedire che dalla Sardegna arrivassero rifornimenti granari peri suoi avversari.

La miriade di insediamenti punici individuati nellentroterra delle principa-li citt conferma quanto indirettamente suggeriscono le fonti ed anzi dimostracome questi piccoli agglomerati urbani avessero la doppia valenza di centro diproduzione e di contenimento nei confronti delle popolazioni locali. Emblema-tico, al riguardo, non solo il caso di Santu Teru-Monte Luna a Senorb con ilsuo villaggio fortificato convertito in una azienda agricola, ma anche lallesti-mento di un sistema difensivo organico, a ridosso del quale vivevano, in unapletora di fattorie, intere famiglie di agricoltori. Nei primi due secoli di domi-nazione punica avverr lintegrazione tra le componenti locali rimaste lungo lefasce pi esterne del territorio e lelemento punico. Un prodotto di questo fe-nomeno sar ad esempio Ampsicora, il capo della rivolta del 215 a.C., che, purtrovando assolutamente naturale accompagnarsi a un consigliere militare punico

1.3 Economia e Societ 41

come Annone, non si fece problema di andare a chiedere aiuto ai Sardi pelliti.Su questo esempio dobbiamo supporre che molti di questi sardi, perfettamenteintegrati, si siano trovati ad accumulare ingenti patrimoni e che, ancora, moltidi essi, in una societ pluristratificata come quella antica, si trovarono ad esserecollocati nelle varie fasce sociali da quelle pi ricche fino ad arrivare ai pi umililavoratori liberi. I sardi non integrati, catturati forse durante scaramucce conle popolazioni libere dellinterno, finirono per per perdere la libert ed essereridotti in schiavit: molti di essi vivranno questa condizione nelle citt dellastessa Sardegna.

Dal punto di vista istituzionale le citt sarde erano modellate, cos come latotalit delle colonie puniche, secondo il modello classico, rappresentato da ungoverno locale amministrato da una coppia di supremi magistrati, noti col nomedi sufeti, che avevano nellassemblea popolare locale un organo consultivo e dicontrollo. Larrivo di Roma non fu certamente indolore per i grandi proprietarisardo-punici, che del resto, a conferma, si mostreranno successivamente come ipi accaniti, almeno in certi periodi, contro i nuovi padroni.

I territori in loro possesso furono infatti incamerati dallerario e riassegnatiin affitto alle stesse popolazioni locali o almeno a coloro che non furono par-ticolarmente schierati dalla parte cartaginese in quel fatidico 238 a.C. Per ilresto dobbiamo supporre che non sia cambiato, almeno nellimmediato, alcunindirizzo strategico per uneconomia locale che continuer per lunga pezza aprodurre in grande quantit principalmente grano e ad estrarre dalle proprieminiere metalli pregiati.

Il primo governatore provinciale noto in Sardegna sar del 227, anche se lecito pensare che ben prima, e cio gi negli stessi anni della conquista, forsegi a partire dal 237 al pari della Sicilia e della Corsica, la Sardegna sia stataconsiderata e organizzata di conseguenza come una provincia dalla quale trarre,con una politica fiscale precisa, notevoli introiti. Del resto difficile credere cheper oltre 10 anni i Romani non abbiano pensato ad una qualche strutturazioneamministrativa della provincia per poi presentarsi con un impianto organico dipolitica fiscale solo nel 227.

La situazione mostrer segni di modificazione quando nel II secolo inizier,cos come ci dicono principalmente le fonti archeologiche, un buon afflusso di in-dividui di origine medio-italica che importeranno, oltre ai capitali, la mentalitdinamica di una classe imprenditoriale orientata, oltre che verso la tradizionale

42 Quadro storico

attivit legata alla terra, anche verso il commercio. Eco di questo afflusso sono,per altri aspetti, le novit proposte da modelli urbanistici inusitati per la Sarde-gna: si veda ad esempio come Carales in questo periodo sembri riprendere schemitipici delle citt terrazzate medioitaliche e come ad ambiti culturali diversi daquelli gi presenti sul territorio si rifacciano monumenti come il tempio di ViaMalta, il monumento a fregio dorico di Via XX Settembre e, per esaminare ildato epigrafico, le serie onomastiche allogene presenti nelle iscrizioni.

Fatto determinante la prosecuzione, in maniera ben pi marcata in que-sto periodo rispetto a quello tardopunico, dellerosione dei territori ai danni deiSardi in favore della creazione di un nuovo latifondo che andr ad affiancarsi aquello tradizionale sardo-punico. Lorganizzazione dello spazio rurale diventerquindi sempre pi complessa mano a mano che larea della Barbria, le aree nel-le quali abitavano con uneconomia di sussistenza le popolazioni interne menoromanizzate, si riduceva a favore della Romnia, larea completamente roma-nizzata. Il processo di integrazione con i locali inizier ad essere evidente per iRomani, cos come era avvenuto per il mondo punico, a meno di due secoli dallaconquista. La presa di coscienza dellautorit centrale di questo processo com-porter nellimmediato sia lelevazione di qualche comunit locale al rango dimunicipo (Carales), sia la deduzione di una colonia di cittadini romani (TurrisLibisonis). Gli altri centri pi importanti saranno interessati da provvedimentianaloghi nello spazio di poco pi di un secolo.

Nella prima et imperiale si incomincia inoltre ad assistere ad un timidoma evidente tentativo di differenziazione delle colture agricole con lulterioreincremento della produzione dolio, iniziata peraltro durante il periodo repub-blicano, e forse di vino, anche se il grande latifondo continu ad essere dedito allaproduzione granaria. Le mutate condizioni politiche porteranno ad una ulteriorearticolazione dellorganizzazione del possesso della terra: avremo cos diversi tipidi latifondo. Accanto a quello privato, pi antico, concesso in usufrutto alienabilee trasmissibile, si avr quello pubblico e infine quello di propriet imperiale.

Il dato epigrafico ci consente, per la Sardegna, di conoscerli tutti e tre e diverificare come ad esempio la casa imperiale ebbe tutta una serie di possedi-menti concentrati nelle aree pi ricche: Claudio, Nerone e forse gli Antonini adOlbia, sempre Claudio a Sulci e in area cagliaritana quelli di Marco Aurelio eLucio Vero o di Settimio Severo (che era stato funzionario statale nellIsola) eCaracalla. Questi possedimenti, condotti originariamente da procuratori impe-

1.3 Economia e Societ 43

riali (dei liberti) furono poi, tra il I e il III secolo, concessi in affitto e, dopo leriforme volute da Costantino, frazionati e assegnati in enfiteusi a dei conduc-tores. Diversi cippi terminali rinvenuti in alcune localit sarde ci attestano glialtri due tipi di latifondo.

Leconomia sarda, anche nel periodo pi tardo, sar legata indissolubilmentealla produzione granaria e questo sar il fil rouge di tutta la storia economicaregionale. A variare nei secoli saranno infatti le politiche agrarie e non il tipo dicolture. Ma il nome della Sardegna legato, cos come ci testimoniano le fon-ti, anche alla sua grande ricchezza di giacimenti minerari: piombo argentifero,ferro, rame. Tra le varie menzioni dovute a fonti di diverse epoche sembra parti-colarmente descrittivo lappellativo di Isola dalle vene dargento ()attribuito allIsola da uno scoliasta del Timeo di Platone.

Anche il geografo Tolomeo usando unespressione simile ( = Plumbaria insula = Isola del piombo), attribuisce al territorio sardo unamarcata vocazione estrattiva da collegare anche ad un commercio di materialiper il tramite portuale di Sulci.

La localizzazione delle miniere coltivate nellantichit non sempre agevole,ma dalle indagini archeologiche, mirate soprattutto alla ricerca di scorie di la-vorazione da utilizzare come elemento guida, sembra evidente che gi i punicinel VI-V sec. a.C. avessero localizzato nel Sulcis unarea particolarmente riccae, cosa pi importante, facilmente utilizzabile. I nomi sono poi gli stessi che atuttoggi vengono collegati allindustria estrattiva sarda: Gonnesa, Malacalzettae Monteponi per il piombo e largento, Funtana Raminosa presso Gadoni per ilrame. Nei pressi di Antas, nel cuore dellIglesiente, venne fondato in et romanaun centro abitato il cui nome,Metalla = Le Miniere, la dice lunga sulla vocazionedel territorio. Altre aree della Nurra e del Sarrabus, nonostante le potenzialit,vennero sottoutilizzate probabilmente per impedimenti di tipo tecnico. Il rinve-nimento di diversi pani di piombo bollati provenienti dallIglesiente ci attesta chesia Augusto che Adriano ebbero il possesso di miniere localizzate forse vicino aBuggerru. Nel IV secolo dalle fonti, rappresentate da diversi provvedimenti presiper arginare il fenomeno della fuga dei metallarii (=i lavoratori delle miniere)dal proprio posto di lavoro (si era ormai nel momento in cui veniva vietato perlegge a qualsiasi lavoratore di cambiare mestiere), la Sardegna viene menzionatain maniera abbastanza nebulosa in relazione a supposte miniere doro. La no-tizia, diffusa in un baleno nel bacino del Mediterraneo occidentale, richiamer

44 Quadro storico

sul territorio tutta una serie di figure del settore che cercheranno in Sardegnaunattivit pi redditizia. Non ci data purtroppo la possibilit di localizzarele miniere di richiamo, anche se sappiamo bene, anche da eventi contemporanei,che loro in Sardegna esiste davvero, sebbene per essere cavato abbia bisogno dioperazioni tecnicamente complesse e molto costose, irrealizzabili nellantichit.Questo secondo aspetto rende perci particolarmente problematica una correttavalutazione della notizia di una febbre delloro riguardante il mondo antico.

1.3.2 Viabilit e cursus publicus

Il sistema viario della Sardegna, noto principalmente dai cippi miliari e da al-cune fonti letterarie-geografiche (Itinerario Antoniniano, Cosmografia dellAno-nimo Ravennate, Tabula Peutingeriana), risulta piuttosto sviluppato a dispettodi una popolazione piuttosto scarsa. Le motivazioni che spinsero i Romani acostruire cos tante strade sono comunque evidenti e vanno da motivi legati allasicurezza fino ad arrivare al concetto che la romanizzazione stessa del territoriocorreva, per cos dire, lungo le strade. Esse saranno infatti, e questo vale non soloper la Sardegna ma per lintero mondo romano, uno strumento, sicuramente frai pi importanti, con il quale lautorit centrale gestir nel concreto la propriaamministrazione e, di conseguenza, il potere.

Sulle strade viaggeranno infatti i senatori e i magistrati romani che sarannoresponsabili dellamministrazione locale, gli oggetti di propriet dello stato, imessaggi contenenti disposizioni militari, amministrative, legislative e, in sintesi,tutto ci che doveva spostarsi rapidamente e in sicurezza da un capo allaltrodi un territorio nellinteresse dello stato. Precedentemente al periodo romano,in et punica, il sistema viario si svilupp in maniera da andare a coprire,sia pure in maniera pi discontinua e meno completa dei periodi successivi,una buona parte del territorio. Allo stato attuale della ricerca, il sistema viariopunico pu essere schematizzato per tre grandi direttrici a seguire le aree dimaggiore densit di popolazione e di importanza strategica dal punto di vista siamilitare che economico. Riconosciamo cos una via dellasse mediano da Karala Turris Libisonis, una via del perimetro costiero sardo la cui percorrenza, acausa della discontinuit del tracciato, doveva essere integrata per via maredalla navigazione sotto costa, e tutta una serie di vie di penetrazione versolinterno o verso altri centri costieri a seguire le vie fluviali.

1.3 Economia e Societ 45

Un esempio di questultima categoria sono le vie, ben tre, che da Sulci con-ducevano a Karal attraverso le valli del Flumentepido e del Cixerri, attraversoil passo di Campanasissa, in prossimit dellattuale centro di Siliqua, e infine arisalire il rio di Santadi e il Gutturu Mannu.

Limportanza del centro di Sulci in et punica giustificava ampiamente que-sta pletora di strade, che peraltro venivano aperte anche per altri motivi comequelli legati allestrazione di minerali o al commercio. In questottica dobbiamoinfatti valutare la via del rame che portava da Karal a Funtana Raminosa op-pure le vie dellasse mediano sardo, costruite per aprire nuovi mercati di scambiocon le popolazioni pi interne. I Romani ricalcheranno questo schema amplian-dolo a seguire tutte le grandi vallate regionali, cos da permettere spostamentipi rapidi e confortevoli. Il miliario pi antico della Sardegna, datato agli ultimidecenni del II sec. a.C. stato rinvenuto nei pressi di Cornus sulla strada a Ti-bulas Sulcos; la strada pi frequentata fu quella che si pu definire come dorsalesarda che seguiva landamento dellattuale S.S. 131 e la cui denominazione piutilizzata in antico fu quella di a Karalibus Turrem, espressione che indica inCarales il nodo di partenza.

Analogamente al tracciato odierno, la strada partiva appunto da Carales perdividersi intorno alla zona di Campeda in due tronconi: uno per Turris Libisonise laltro per Olbia. Il centro gallurese era raggiungibile anche tramite unaltrastrada, la per Mediterranea definita dalle fonti alio itinere ad Ulbia Caralis, che,attraversando il centro montuoso toccava localit importanti come Caput Tyrsi,vicino a Buddus, e Sorabile nei dintorni di Fonni. Due altre strade attraversa-vano poi lIsola in senso longitudinale, lungo la costa occidentale e lungo la costaorientale. Quella occidentale fu sicuramente la pi importante in quanto andavaa toccare i centri pi antichi ed economicamente pi floridi della provincia. Forsea causa di ci le fonti la denominano variamente, separando in diversi tronconiuna via che fisicamente non aveva alcuna soluzione di continuit: abbiamo in-fatti attestata nellItinerario antonino la a Tibula Sulcis, la a Sulcis Nura e laa Caralis Nura, nelle epigrafi dei tronconi denominati a Nora Karalibus, a NoraBithiae e forse a Tharros Cornus. La denominazione della strada orientale fu,cos come ci riporta sempre lItinerario antonino, la a Portu Tibulas Caralis. sufficiente poi dare uno sguardo al sistema viario, cos come proposto dallacarta, per rendersi conto di come una serie di diverticoli stradali, permettesse diraggiungere la meta del viaggio nella maniera pi rapida ed economica possibile.

46 Quadro storico

Figura 1.2: La viabilit romana della Sardegna (da Mastino 2005).

1.3 Economia e Societ 47

Volendo per esempio andare per affari da Valentia (Nuragus) a Turris Libiso-nis (Porto Torres) era sufficiente, senza fare percorsi troppo tortuosi, seguire laper Mediterranea fino a dopo Sorgono e, girando a sinistra, immettersi in untroncone viario che portava, attraverso Augustis (Austis) fino alla localit di AdMedias (Abbasanta) sulla a Karalibus Turrem per poi proseguire, sempre dritti,a destinazione.

1.3.3 Popolazione, centri urbani e insediamenti rurali

I centri urbani

Famosissimi in essa (cio in Sardegna) tra i popoli (non urba-nizzati) gli Iliensi, i Balari, i Corsi; tra le popolazioni delle 18 citta statuto peregrino (oppida), i Sulcitani (di Sulci -SantAntioco), iValentini (di Valentia-Nuragus), i Neapolitani (di Neapolis), i Viten-si (di Bithia-Chia), i Cagliaritani, cittadini romani, e i Norensi (diNora); una sola colonia chiamata Turris Libisonis (Porto Torres).

Con queste parole Plinio il Vecchio ci propone nella sua Naturalis Historia laformula provinciae, cio la struttura organizzativa della provincia di Sardegna.Il testo pliniano propone nella sua stringatezza molti problemi, e non solo quellioriginati da una traduzione certamente non agevole. Il punto pi controverso ad esempio quello relativo al numerale XVIII, variamente inteso in riferimentoai termini immediatamente precedenti o successivi, che presenta, anche nella let-tura accolta, il problema di non vedere elencati come promesso tutti e diciotto ipopoli relativi agli oppida sardi. Si pu quindi pensare che Plinio, pur conoscen-do ben diciotto popoli legati ad altrettante citt, si sia limitato a menzionaresolo quelli pi importanti. Oltre a questo aspetto, vi da considerare inoltrecome il testo pliniano sia stato scritto ben pi tardi della conquista romana delterritorio sardo e che quindi non conosciamo in realt che tipo di situazionesia stata fotografata e a che periodo essa si debba riferire. Lelenco proposto purtuttavia pi che attendibile, poich menziona i centri a noi pi noti e cheerano caratterizzati, in molti casi, gi ai tempi di Plinio da una lunga storia apartire da unet ben precedente alla conquista romana. Loccupazione umanadel territorio sardo ricalcher infatti, in periodo romano, sostanzialmente quelladel mondo punico, in quanto dopo il 238 a.C. i nuovi padroni non muterannoindirizzo nello sfruttamento del territorio.

48 Quadro storico

Poli di attrazione rimarranno quindi le aree costiere, quelle di maggiore pro-duzione agricola e, in un secondo momento, le aree toccate dalle grandi strade.Accanto a questo tipo di insediamenti si avranno inoltre quelli pi interni origi-nati da una funzione prettamente militare. La completa integrazione delle popo-lazioni locali comporter, gi nel I sec. a.C., lelevazione a municipio di cittadiniromani del centro di Carales e la deduzione della colonia di Turris Libisonis.Nei successivi due secoli altre citt verranno infatti investite da provvedimentianaloghi (Nora, Sulci, Bosa come municipi e forse Tharros e Cornus come colo-nie). Nel 158 d.C., grazie ad uniscrizione latina, una tabula patronatus, abbiamoattestata, presso lattuale centro di Usellus, una nuova colonia denominata co-lonia Iulia Augusta Uselis. A partire dal V sec. d.C. le citt incominceranno amostrare le modificazioni tipiche delle citt tardoantiche rappresentate princi-palmente dallerezione di strutture fortificate e di mura, dalloccupazione dellearee suburbane e, in relazione a fenomeni tipicamente cristiani, dalla costru-zione di impianti di culto di nuove tipologie. Oltre a questi fenomeni vi dasegnalare quello delle sepolture urbane, assolutamente impensabile solo qualchesecolo prima. Dal punto di vista demografico si registra, in questo periodo, unacontrazione della popolazione che si rifletter pesantemente sia sulle campagneche nei centri urbani.

Nel recente volume sulla Sardegna romana, edito a cura di Attilio Mastino,vengono presentate due carte che disegnano in maniera particolarmente efficacela romanizzazione della Sardegna. Nella prima viene rappresentata la viabilitprovinciale, nella seconda la localizzazione dei populi che vissero in Sardegna.

Recenti rinvenimenti epigrafici consentono di integrare e forse rettificare laseconda di queste due carte con lo spostamento di una popolazione, i Fifenses,grazie alla rilettura (Corda, 2007) di un testo epigrafico proveniente da Valler-mosa (CIL X 7840) e con linserimento dei Barsani sulla base di un nuovo testoproveniente da Barumini [Corda e Piras (cds)].

Gli insediamenti rurali

Analogamente al mondo fenicio-punico, che costell di una miriade di piccoleunit insediative umane le campagne sarde dellimmediato retroterra delle gran-di citt costiere sia con funzione militare sia legandole allo sfruttamento dellerisorse agricole, anche nel periodo romano assistiamo alla creazione di grandifattorie nelle aree pi ricche e comunque in prossimit degli assi viarii. Col ter-

1.3 Economia e Societ 49

Figura 1.3: I popoli della Sardegna romana (elaborazione con modifiche daMastino 2005).

50 Quadro storico

mine di villa rustica, utilizzato sia dalle fonti che in archeologia per indicarequesto tipo particolare di insediamento umano, dobbiamo quindi intendere nonun piccolo casolare sperduto nelle campagne, ma una vera e propria aziendaben strutturata che poteva garantire ai proprietari comfort simili alla citt eallo stesso tempo gli impianti logistici per una efficiente gestione dellimpresa.Purtroppo, sia per la connaturata occasionalit dei rinvenimenti archeologiciche per una precisa scelta di indagine, non abbiamo in Sardegna molti esempiscavati ed editi di tali strutture, anche se sia i dati legati allattivit di prospezio-ne del territorio sia il semplice ragionamento legato alla storia economica dellaprovincia Sardiniae ne fanno supporre una grande diffusione. Esempi ne sonola villa rurale di SImbalconadu individuata ad Olbia e forse quella scavata, inparte, in loc. S. Abba Druche presso Bosa. Accanto alla pars urbana della villa,nella quale viveva tra gli agi il padrone di casa, corroborato da tutta una seriedi lussi tra cui risultava costante la presenza di una terma privata, si aveva lapars rustica, nella quale vivevano i servi addetti al buon funzionamento della-zienda. In et tardoantica questa situazione continuer a permanere e, perfinodopo let vandalica, abbiamo notizia di strutture simili anche di propriet dellachiesa.

Orientamenti bibliografici al 1.3

Economia: A. Guillou, La lunga et bizantina. Politica ed economia, in: M. Guidetti

(ed.), Dalle origini alla fine dellet bizantina, Storia dei Sardi e della Sardegna, Milano: Jaca

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Mastino, La Sardegna antica, op.cit. (vedi 1.2.1), 205-332

1.4 Il cristianesimo e la chiesa sarda delle origini 51

1.4 Il cristianesimo e la chiesa sarda delle origini

Come si detto il primo vescovo noto con certezza in Sardegna fu taleQuintasius che, unitamente al diacono Ammonius, partecip al Sinodo di Arlesnel 314.

Il pi autorevole storico e storiografo della Chiesa sarda, Raimondo Turtas,suppone, sulla scorta di questa notizia, che nellIsola dovesse esistere da circaun cinquantennio, almeno a Carales, una comunit cristiana gerarchicamentestrutturata, organizzata e, lascia intendere, significativamente numerosa. In ef-fetti, la Sardegna viene associata in data anteriore alla pace della Chiesa allareligione cristiana in pi occasioni. Resta da stabilire che peso dare a questenotizie.

Alla fine del II secolo limperatore Commodo (161-192), su sollecitazionedella sua concubina Marcia, grazi alcuni condannati ad metalla che si trovavanoin Sardegna in base ad un elenco stilato da papa Vittore. Siamo nel 190 etra coloro che vennero liberati perch correligionari di Marcia ci fu, ancorchnon menzionato nella missiva, anche Callisto che sar papa e martire (217-222;Hippol. Philosophumena 9,12). Costui non fu per lunico pontefice ad essererelegato in Sardegna. Come ci dice il Catalogo Liberiano il vescovo di RomaPonziano fu mandato nellIsola con un diacono di nome Ippolito. Vecchio, malatoe detenuto in condizioni malsane, mor esule prima di poter anche solo sperarenella liberazione.

Queste notizie, ancorch importanti perch parlano in di personaggi di rilievocome Callisto, Ponziano e Ippolito (forse quello dei Philosophumena) e di eventistoricamente significativi come il Sinodo di Arles, nulla ci dicono sulleffettivaconsistenza della comunit cristiana sarda di II-III sec. I damnati ad metalladel II secolo non possono, questo possiamo tranquillamente affermarlo, essereascritti ad un tentativo di evengelizzazione della Sardegna: non sono stati inviatida alcuno con questa missione n, cosa lampante, si pu sostenere siano andatiin Sardegna di spontanea volont.

A suggerire la presenza di una comunit cristiana caralitana di una certaconsistenza rimane a questo punto lattestazione del solo Quintasius, che nullaesclude possa essere stato inviato in Sardegna come avanguardia di una erigen-da comunit piuttosto che come pastore di una ecclesia preesistente. In questosecondo caso avremmo avuto per il III-IV secolo un buon numero di iscrizio-

52 Quadro storico

ni, materiali mobili e quantaltro, mentre, fino a prova contraria, non abbiamoalcuna di queste attese testimonianze archeologiche.

Ci che Quintasius stesso e altri personaggi di grande caratura collegati alterritorio sardo dimostreranno ampiamente che la comunit sarda, quale chefosse la sua dimensione numerica e la sua estensione territoriale fu capace diesprimere dei protagonisti di valore assoluto come Lucifero (370 ca.), vescovodi Carales, e di dare i natali ad Eusebio (definito infatti natione sardus), vesco-vo di Vercelli. Tra i due, com noto, fu il secondo a primeggiare per dottrinae capacit; eppure papa Liberio scelse il primo a rappresentarlo al Concilio diMilano del 355 preferendolo per le sue qualit di combattente dotato di unaspessa corazza di impermeabilit dottrinale. A questo riguardo Antonio Pirasnellintroduzione alla sua edizione del De non conveniendo cum haereticis scrivemolto bene della scelta di Liberio caduta non su uno [i.e. Eusebio] che aprisseal dialogo, ma uno [i.e. Lucifero] che martellasse come un basso ostinato. Uncombattente a cui per lo stesso papa affianc in quella occasione un riluttanteEusebio di Vercelli, a cui in tre lettere viene ricordato e chiesto di spendere,al fianco di Lucifero la sua dottrina, la sua moderazione e la sua obbedienzaal servizio della Chiesa (Liber. Ep. I-III ad Eusebium). Eusebio, ammesso conriluttanza e solo dopo qualche giorno al consesso dei vescovi conciliari sar riso-lutivo nel fare in modo che il credo niceno venisse salvato ottenendo quello che sipu definire volgarmente un pareggio, che per al momento, se si considera chegli ortodossi erano in netta minoranza, fu una vera e propria sonante vittoria.

Lucifero ed Eusebio, in conseguenza delle posizioni espresse e per la lorostrenua difesa di Atanasio di Alessandria, vennero condannati da Costanzo (fi-loariano) ad un esilio lungo ben 6 anni (355-361) e che termin solo a causadella morte dellimperatore a Mopsucrene e grazie allamnistia voluta da Giu-liano lApostata. La successiva presa di posizione a favore dei seguaci di Eustaziodi Antiochia (270-337), vescovo ortodosso morto in esilio prima della riabilita-zione generale dei vescovi esiliati da Costantino I, sar la naturale prosecuzionedella sua linea teologica, che peraltro lo aveva spinto a scrivere anche durantelesilio libelli (come il citato De non conveniendo) contro larianesimo di grandeasprezza. Allo stesso modo Eusebio, esiliato prima a Scitopoli e successivamentevia via in zone sempre pi isolate della Tebaide, non aveva smesso di utilizzare,n avrebbe in verit potuto, il suo carisma personale per fare proseliti. Come si detto, entrambi vennero liberati alla morte di Costanzo e quindi si riunirono

1.4 Il cristianesimo e la chiesa sarda delle origini 53

nellaffermazione della fede nicena attorno ad Atanasio che organizz per il 362un Concilio ad Alessandria. Lucifero non raccolse linvito recandosi al contrarioad Antiochia, dove era stato richiamato da suoi fedeli per sostenere il prete Pao-lino contro il suo vescovo Melezio. Lintegralismo di Lucifero questa volta cregravi danni, perch il nostro ebbe la brutta idea di ordinare vescovo Paolinopermettendogli di partecipare al Concilio voluto da Atanasio e creando di fattoun vero e proprio scisma. Dopo questi eventi Lucifer rientr a Cagliari, scom-parendo per sempre dalla ribalta internazionale e dove si ritiene morisse intornoal 370. Alla chiusura del concilio Eusebio, insoddisfatto della tiepida formulacristologica voluta da Atanasio, si rec ad Antiochia, senza per prendere posi-zione nel conflitto locale originato da Paolino. Inizier cos da questa citt unlungo ritorno via terra a Vercelli, dove continuer la sua battaglia antiariana epotenzier, forte dellesperienza orientale e di esilio, il monachesimo. Unultimavolta ancora Eusebio calcher la grande ribalta, quando, assieme ad Ilario, nel364 combatter a Milano lariano Aussenzio. Sar un grande sconfitta perchValentiniano creder ad una (probabilmente falsa) affermazione di fede nicenadi Aussenzio e intimer a Ilario ed Eusebio di tornare nelle proprie diocesi.

Circa duecento anni dopo questi eventi, la polemica antiariana riprese nuova-mente forza in Sardegna grazie alla grande personalit di Fulgenzio di Ruspe chevi fu esiliato tra il 507-508 e il 523 nel quadro delle relegazioni dei vescovi orto-dossi volute dai re vandali (Vict. Vit. pers., II, 18). Fondatore di monasteri, diuno scriptorium e scrittore egli stesso entr non solo nel merito dellarianesimo,ma anche delleresia pelagiana affermatasi in Africa nel IV-V secolo che sminuivail sacrificio del Cristo ai fini della salvezza delluomo. Nel 484 ben cinque vesco-vi sardi parteciparono al Concilio di Cartagine (Lucifero II di Carales, Vitaledi Sulci, Martiniano di Forum Traiani, Bonifacio di Senafer, Felice di Turris)e si pu supporre che listituzione delle 4 nuove diocesi possa essere avvenutaprima dellinvasione vandalica della Sardegna con il vescovo di Roma come me-tropolita (vicariato dellItalia Suburbicaria) e che, successivamente, durante ladominazione vandalica lIsola possa essere stata organizzata in provincia eccle-siastica autonoma con Carales come sede metropolitana. Gli oltre cento vescoviche vennero esiliati in Sardegna lasciarono certamente un segno indelebile por-tando con s culti, tradizioni e una cultura che in quel momento doveva essereben superiore a quella della regione ospitante e che possibile riscontrare anchein aspetti della cultura materiale. Secondo la tradizione Feliciano, vescovo di

54 Quadro storico

Cartagine, port con s il corpo di S. Agostino, anche se molto probabile cheabbia ragione Luciano Gastoni quando sostiene che a farlo furono gli Arabi inun momento ben pi tardo. Come Feliciano, possibile che un vescovo abbiaportato le reliquie del martire Vincentius che vennero conservate nella cassetta-reliquiario di San Giuliano a Selargius [edizione in Casu e Corda (2003)], cheper forma, formulari e onomastica richiama ambiti africani.

A questo VI secolo sembra doversi ascrivere listituzione delle diocesi di Thar-ros (per gemmazione da Cornus) e Fausiana nei pressi di Olbia. Il tutto mentresalivano al soglio pontificio altri due papi sardi: Ilaro/Ilario (461-468) e Simmaco(498-514).

La celebre missiva del maggio 594 di Gregorio Magno (590-604) ad Ospitonepropone un quadro della cristianizzazione dellIsola con da una parte le aree gicontrollate dai Romani ormai completamente (o quasi) conquistate dallaltralantica Barbaria, dove i Barbaricini ancora adoravano ligna et lapides. Le 39 let-tere scritte da questo grande pontefice e dirette ai vescovi sardi ci descrivono inmaniera sufficientemente chiara una chiesa sarda ben strutturata e organizzatanel territorio e strettamente controllata da funzionari civili (notarii e defensoressu tutti) per conto del soglio pontificio. Sempre da queste lettere conosciamo lestrutture collegate allattivit caritativa e di assistenza sul territorio (xenodo-chia), peraltro gi note grazie ad alcune iscrizioni ascrivibili a quadri cronologicicompatibili.

Su tutto il territorio erano disseminati monasteri sia maschili che femmini-li: in una bella iscrizione rinvenuta a Carales viene ricordata ad esempio unaRedemta abb(atissa) monasterii Sancti Laurenti [vedi infra scheda 3.1.7]. Il fe-nomeno monastico inizier, come si detto, grazie a Fulgenzio di Ruspe e pro-seguir rinforzandosi in et gregoriana per poi arrivare nel VII secolo con unincremento dovuto ad afflussi orientali. In ogni caso, pur ospitando monaci dilingua greca, la Sardegna da un punto di vista ecclesiastico sar sempre collegataa Roma e non a Bisanzio. Si hanno casi anche in Sardegna di quella contiguitliturgica che risulta essere piuttosto comune ad esempio nel resto della peni-sola italica e che ha portato nelle stesse aree allutilizzo di rituali e di culti ditradizione occidentale e orientale.

Si ha quindi larrivo del culto di santi quali Elena, Nicola di Mira, Barbara,Basilio e Gregorio, Pantaleone, Giorgio Megalomartire e altri pi specifici eparticolari come quelli collegati a Maria o alla tradizione della

1.4 Il cristianesimo e la chiesa sarda delle origini 55

Figura 1.4: Iscrizione di Karissimus da Tharros (foto archivio Dip. Scienzearcheologiche - Universit di Cagliari; Corda 1999, THA003).

56 Quadro storico

di Maria. Linfluenza bizantina si attenuer lentamente con il passare degli anni:come abbiamo detto, dopo il X secolo si aprir per la Sardegna la stagione deiGiudicati.

Orientamenti bibliografici al 1.4

Pani Ermini, La Sardegna e lAfrica nel periodo vandalico., op.cit. (vedi 1.2.4); Guillou,

La lunga et bizantina. Politica ed economia, op.cit. (vedi 1.3.3); A. Guillou, La diffusio-

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secolo., op.cit. (vedi 1.2.4); A. M. Corda, Le iscrizioni cristiane della Sardegna anteriori al

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Sardegna bizantina, Cagliari: M&T, 2002; A. Piras, Gli scritti di Lucifero di Cagliari: genere

letterario e modalit di produzione, in: Comunicazione e ricezione del documento cristiano

in epoca tardoantica (XXXII incontro di studiosi dellantichit cristiana (Roma, 8-10 maggio

2003), Roma: Institutum Patristicum Augustinianum, 2004, Studia Ephemeridis Augustinia-

num 90; G. Corti, Lucifero di Cagliari : una voce nel conflitto tra chiesa e impero alla

met del IV secolo, Milano: Vita e Pensiero, 2004, Studia Patristica Mediolanensia 24; R.

1.4 Il cristianesimo e la chiesa sarda delle origini 57

Martorelli, Gregorio Magno e il fenomeno monastico a Cagliari agli esordi del VII secolo,

in: L. Casula, G. Mele e A. Piras (eds.), Per longa maris intervalla. Gregorio Magno e

lOccidente mediterraneo fra tardoantico e altomedioevo. Atti del Convegno internazionale di

studi (Cagliari 17-18 dicembre 2004), Cagliari: Pontificia Facolt Teologica della Sardegna,

2006a, Studi e ricerche di Cultura Religiosa, IV; R. Martorelli, La diffusione del culto dei

martiri e dei santi in Sardegna in et tardoantica e medievale, in: M. G. Meloni e O. Sche-

na (eds.), Culti, santuari, pellegrinaggi in Sardegna e nella penisola iberica tra medioevo ed

et contemporanea, Genova: Brigati, 2006b; P. B. Serra, I Barbaricini di Gregorio Magno,

in: L. Casula, G. Mele e A. Piras (eds.), Per longa maris intervalla. Gregorio Magno

e lOccidente mediterraneo fra tardoantico e altomedioevo. Atti del Convegno internazionale

di studi (Cagliari 17-18 dicembre 2004), Cagliari: Pontificia Facolt Teologica della Sarde-

gna, 2006, Studi e ricerche di Cultura Religiosa, IV; A. Piras, s.v. Lucifero di Cagliari, in:

A. Di Berardino, G. Fedalto e M. Simonetti (eds.), Letteratura patristica, Torino: San

Paolo, 2007;

Capitolo 2

I siti

2.1 Carales - Cagliari

Foglio IGM 234, IV SE; citt capoluogo della Sardegna. Sulle fonti classiche ancora utile la scheda di Th. Mommsen in CIL X, p. 787; tra i luoghi citati si vedain particolare, per la notevole importanza dal punto di vista topografico, Claud.De bello Gild., I, 520 ss. che ci descrive la citt vista dal mare in occasionedellapprodo della flotta di Stilicone nel territorio sardo.

Gli insediamenti preistorici finora localizzati sembrano non presentare so-vrapposizioni insediative di et punica, periodo in cui, del resto, il centro abi-tativo gravava in loc. S. Igia, area ben pi ad ovest di quella successivamenteoccupata in et romana. Questultimo spostamento fece si che loriginaria Karaldiventasse unarea suburbana della civitas romana che ebbe il proprio centro,per dirla con S. Angiolillo, in unarea gravitante intorno allattuale piazza delCarmine.

In et alto e medio-imperiale (fino al III sec. d.C. ca.) larea abitata eradelimitata ad ovest dalla necropoli di S. Avendrace in uso fino a tutto il III sec.d.C., a nord dallanfiteatro e ad est dalla necropoli di viale Regina Margheri-ta. Ad occidente il tessuto urbano era organizzato da un sistema organico, giattestato a partire dal II sec. a.C., di unit abitative di non grandi dimensioni,con aree sepolcrali proprie e con uneconomia a valore duso di tipo agricolo checomunque non soddisfaceva il mercato interno.

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60 I siti

Lautonomia del modello urbanistico caralitano romano rispetto ai prece-denti punici stato di recente sottolineato e vi infatti chi individua in modelliitalici ed in una precisa scelta della classe dominante medio-imprenditoriale lo-cale la selezione di unarea determinata compresa tra piazza del Carmine e viaXX Settembre. Tale opzione sarebbe stata originata da diversi motivi, quali lanatura del terreno, la presenza di falde dacqua ed infine la particolare posizionerispetto al sistema viario.

Lo studio dellarea di via Malta e soprattutto la ricostruzione delle curvedi livello originarie ha permesso di ipotizzare la classificazione di Carales tra lecitt terrazzate di tipologia italica. I lacerti viarii noti dalla bibliografia hannosuggerito lipotesi di una rete orientata est-ovest a seguire le curve di livello. DalIV sec. d.C. si assiste ad una radicale risistemazione di queste aree, come testi-monierebbero le vicende costruttive ed i cambiamenti subiti da alcuni complessiedilizi afferenti viale Trieste e dintorni. Proprio viale Trieste assicurava non soloi collegamenti fra la citt e i sistemi viari del Campidano e del Sulcis-Iglesiente,ma anche fra questa e la necropoli di S. Avendrace. Oltre a ci, la documenta-zione archeologica ed il rinvenimento di un certo numero di epigrafi attestano,dal IV sec. d.C. fino al VII, luso funerario di parte della vasta area compresafra viale Trieste e Fangariu.

In conclusione, pare di potere ravvisare una politica di forti investimenti edilinel suburbio occidentale di Cagliari, con una situazione insediativa incentratasu due assi principali: viale Trieste e S. Gilla, cadendo cos la netta distinzionefra suburbio e citt, fra aree abitate e aree esclusivamente funerarie.

Tale spostamento rispetto al nucleo originario romano troverebbe spiegazionenella necessit di un approvvigionamento idrico legato alle modalit e ai mezzidi produzione dei nuovi proprietari, che lacquedotto, dismesso, non poteva piassicurare. Nel corso del VI sec. d.C. il polo occidentale si identifica in manierasempre pi decisa con le zone di viale S. Avendrace e S. Gilla, che la tradizioneidentificher come larea occupata dalla capitale giudicale. Lantica zona ovestdel suburbio, ormai periferica e affidata in gestione alla Chiesa, viene interes-sata da costruzioni chiesastiche, in un secondo tempo incorporate allinternodi costruzioni a carattere difensivo, analogamente a quanto si riscontra nellastessa S. Gilla. Riguardo al settore orientale della civitas, si ha testimonianzadi alcune preesistenze puniche, ma non possibile tracciare un quadro definitofino a dopo il periodo romano imperiale. Sicuramente importante doveva essere

2.1 Carales - Cagliari 61

Figura 2.1: Cagliari. Cippo terminale (disegno da Salvi 2002).

lattuale viale Regina Margherita che accoglieva nella sua porzione medio-altauna vasta necropoli in uso dallet repubblicana. Il viale andava a ricollegarsi,verso Sud, con il porto e con un impianto industriale, risalente alla tarda repub-blica, ubicato nella via XX Settembre. Altri spazi funerari, fra il I e il III sec.d.C., sono stati segnalati in via Eleonora dArborea, via S. Lucifero, piazza S.Cosimo, colle di Bonaria, via S. Bartolomeo con particolari evidenze, e non solofunerarie, per il tratto fra via Sonnino e il colle di Bonaria. Nel IV sec. e finoal VI/VII sec. d.C. continua lespansione delle sepolture a caratterizzazione cri-stiana e vi chi vede nella differenziazione delle tipologie sepolcrali, nelle fasi diutilizzazione di alcuni edifici, nellipotesi dello sfruttamento del colle di Bonarianon solo come cimitero ma anche come cava di materiale per ledilizia, gli indizidi unorganizzazione socio-economica strutturata ponendo in rilievo lesclusivitdella presenza cristiana e soprattutto dei maggiori rappresentanti della gerarchiaecclesiastica. Il fenomeno sarebbe da ricollegare alla costruzione nel VI sec. d.C.della basilica di S. Saturnino, con probabilit sorta su un possesso imperiale,nellambito della politica costantiniana allindomani della pax religiosa e dello

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sforzo di legittimazione del culto dei martiri da parte di papa Damaso. Un altroedificio di culto, anchesso forse dedicato a S. Saturnino, attestato fra il IV e ilVI/VII sec. nel viale Regina Margherita, ma con la definitiva consacrazione del-la basilica presso piazza S. Cosimo come luogo privilegiato, dovette perdere diimportanza fino ad essere dimenticato. Oltre allarea di scavo di Vico III Lanuseia cui stata dedicata di recente una importante pubblicazione, gli archeologihanno appuntato lattenzione sullarea sottostante la chiesa di S. Eulalia a Ca-gliari, dove sotto un imponente scarico di detriti e materiali di V-VI secolo,ascrivibili prevalentemente ad importazione africana, stata messa in luce unastrada basolata con andamento nord-ovest/sud-est probabilmente di cronologiaposteriore al V secolo. La possibile relazione intercorrente fra queste strutture ela grande vasca circolare rinvenuta al di sotto della chiesa del Santo Sepolcro ericavata dallescavazione di un potente banco di roccia propone suggestivamenteuna riflessione sulla possibile ubicazione in questarea dellinsula episcopalis.

Di recente stato rinvenuto e pubblicato un cippo terminale [cfr. figura 2.1;Salvi (2002)] indicante il confine tra la propriet ecclesiastica e la propriet deldemanio e la cui lettura (croce) [l]ime[s] // curiae [vacat] // (croce) limes{a}ecl(esiae). Limpaginazione non buona del testo forse originata dal fattoche il lapicida ha voluto realizzare un testo passante da una faccia allaltra delcippo per farlo leggere di sbieco.

2.1.1 La basilica di S. Saturnino

Saturnino, secondo la tradizione locale martirizzato nel 304 sotto Dioclezia-no, ebbe il privilegio di vedersi dedicare in un periodo probabilmente precedenteal 450 d.C. una chiesa che, secondo la Vita Fulgentii scritta agli inizi del VI se-colo, non era solo nota allo stesso vescovo di Ruspe, ma addirittura funse inqualche modo come polo di attrazione per il monastero che egli volle fabbricar-gli vicino. Sulla doppia dizione Saturno-Saturnino si gi espresso nel secoloscorso con grande autorevolezza B. R. Motzo che sosteneva come si dovesse di-sgiungere, nei documenti risalenti allattivit dei monaci vittorini in Sardegna, ilnome Saturno, identificante un martire locale cagliaritano, dal nome Saturninoda riferirsi al santo venerato nel santuario tolosano. La nostra basilica sarebbequindi da definire, secondo Motzo, come di S. Saturno. Questa visione, finoa tempi recentissimi condivisa dalla maggior parte degli studiosi di storia sar-

2.1 Carales - Cagliari 63

Figura 2.2: Carales. Basilica di San Saturnino (da Insulae Christi, p. 216).

64 I siti

da, stata messa in crisi e ribaltata da una nuova lettura della Passio SanctiSaturnini di A. Piras e dalledizione di un manufatto epigrafico, a cura di D.Artizzu, menzionante un Sanctus Saturninus proveniente dallagro di Solanas(CA) e datato al VII-VII sec. Ci che importa che la chiesa cos come noi lavediamo, modificata e restaurata dai Vittorini di Marsiglia, trae la sua origineda un originale corpo cupolato a croce greca con bracci mononavati confronta-bili con consimili strutture orientali datate addirittura al IV secolo (martyriumdi San Babila ad Antiochia-Kaousiye del 378). In base ad alcune considerazionisulla struttura, possibile ipotizzare che la prima fase costruttiva di V secolo siastata interrotta per cause a noi non ben note (Renata Serra sembra attribuirlealla presenza vandala in Sardegna) e che i lavori siano stati forse ripresi grazieallesilio sardo di Fulgenzio di Ruspe.

Al suo interesse sarebbe infatti da attribuire allinizio del VI secolo lam-pliamento delledificio con bracci trinavati sul modello (cos Renata Serra) diQalat Siman (s. Simeone Stilita), mentre ad et vittorina sono ovviamente daattribuire le trasformazioni in chiave romanica terminate nel 1119. Letizia PaniErmini differisce nella lettura dellarea proponendo, a partire da una fase pub-blica tardopunica caratterizzata dalla presenza di blocchi bugnati, una letturastratigrafica che vede in successione, oltre alla gi citata fase preromana, unanecropoli romana di II-IV secolo, un primo impianto chiesastico absidato mono-nave e infine alla met del VI secolo il San Saturnino fulgenziano con impiantoa croce.

Limportanza del San Saturnino nella storia dellarte e dellarchitettura re-gionali consiste nel fatto che questo impianto sar il prototipo a cui si rifarin maniera pi o meno fedele tutta una serie di chiese altomedievali, tra cuiricordiamo in particolare limpianto di Sulci (martyrium di Antioco) e quelli diS. Giovanni di Sinis, Bonarcado, SantElia di Nuxis, San Salvatore di Iglesiase Santa Maria di Cossoine in un arco cronologico ampio oltre cinque secoli apartire dal V.

2.2 Nora - Pula

Larea archeologica di Nora compresa allinterno del territorio comunaledi Pula in prov. di Cagliari, da cui dista km 29 a SO. A detta delle fonti clas-siche (Paus. X, 17, 5; Solin. IV,2), Nora venne fondata da Norace, capo di un

2.2 Nora - Pula 65

gruppo di Iberi provenienti da Tartesso. In realt sappiamo che questo centro,nonostante alcune tracce pertinenti alla civilt nuragica, certamente di originefenicia, come ci dimostra liscrizione c.d. Grande Norense conservata presso ilMuseo Nazionale di Cagliari che viene ormai datata al pi tardi allVIII sec.a.C.

Figura 2.3: Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. La Grande Norense.

Le strutture edilizie finora poste in luce non ci consentono per ora di risalire,per la fondazione, oltre il VII sec. a.C. Del periodo preromano abbiamo, se nonle strutture, almeno delle aree urbane nelle quali risulta evidente una sovrappo-sizione dellelemento romano a quello precedente. Basti pensare ad esempio alsantuario di Eshmun-Esculapio situato nella Punta de su Coloru e il cosiddettoTempio di Tanit, del quale ci sfugge appieno la funzione, ma che sembra sia daascrivere ad una supposta funzione militare originaria. Lacropoli della citt probabilmente da collocare sul promontorio del Coltellazzo. Limportanza che lacitt ebbe durante il dominio punico in Sardegna venne mantenuta anche in etromana e, prima che prevalesse Carales, fu la sede del governatore comandantela guarnigione militare di stanza in Sardegna. Notizia di un notevole sviluppo

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in et alto-imperiale ci proviene dallepigrafia e da importanti presenze monu-mentali quali un teatro datato dalla prima met del I sec. d.C. al principatodi Adriano (117-138). Particolarmente importanti le Terme centrali (II-III sec.d.C) e le Terme a mare di fine II sec. d.C., mentre lafflusso delle merci in cittera garantito dai due porti gi usati dai punici. Nel I sec. a.C. il centro fece dasfondo alle torbide vicende collegate alla Pro Scauro di Cicerone che riusc, conuna difesa aggressiva a far assolvere da una pesante accusa di malversazioneM. Emilio Scauro, reo di aver letteralmente depredato i Sardi durante il suomandato di governatore della Provincia Sardinia nel 55.

Figura 2.4: Nora. Basilica (a) [elab. da Bejor 1994].

In et tardoantica, nel V sec., venne restaurato lacquedotto e a partire daquesto periodo, lungi dallessere abbandonato, il centro di Nora subir quelle

2.3 Sulci - SantAntioco 67

trasformazioni tipiche di adeguamento urbanistico dovute alle nuove contingen-ze storiche. Si pu convenire quindi con chi, con ragione, parla di mutazione edi continuit urbanistica, con aggiustamenti quali, ad es., la fortificazione delleTerme a mare e linserimento, urbanisticamente forzato, di una basilica posizio-nata esattamente di fronte al cd. macellum. Sempre in un periodo non anterioreal V sec., tornano le attivit produttive a qualificare una notevole vitalit cheavvicina il centro sardo a Tharros e ai grandi centri africani.

Gi dal 1994 si pensato di proporre la possibile interpretazione cristianadellimpianto basilicale appena menzionato: questa soluzione sanerebbe in qual-che modo quella che sembra essere unanomalia di Nora e cio la mancanza diuna cattedrale urbana. Risulta infatti molto difficile pensare che un centro cosimportante come questo, non abbia avuto edifici di culto urbani adeguati tantopi che opinione di molti studiosi, che l dove sorger nellXI secolo la chiesadi S. Efisio ci possa essere stato un martyrium precedente dedicato allo stessosanto. La vicinanza delle diocesi di Carales e Sulci ha nuociuto pesantementeal centro norense che, preso come in una morsa, non ha visto, a dispetto di unastoria urbana quanto mai ricca e prestigiosa, vedersi riconoscere la dignit disede episcopale.

2.3 Sulci - SantAntioco

Foglio IGM 232, II, SE; comune in prov. di Cagliari da cui dista 68 km. Nellefonti classiche Sulci ricordata da Zon. VIII, 12 in relazione alle attivit navalidi C. Sulpicio Patercolo ed Annibale che, invece di accettare una battaglia inmare aperto, si rinchiuse nel porto cittadino facendosi bloccare, e successivamen-te battere, dai Romani (259-258 a.C.). A fianco di Pompeo durante la guerracivile, la citt venne duramente punita nel 46 a.C. (Caes. Bell. Afr. XCVIII,1ss.) per essere comunque elevata, un secolo dopo circa, al rango di municipium.

Numerose notizie ci provengono dallepigrafia, e in particolare da un te-sto edito in CIL X, 7513 abbiamo una importante iscrizione bilingue (latino-neopunico) datata al I sec. a.C., che testimonia non solo il perdurare nellu-so della lingua, ma soprattutto la presenza istituzionale, a livello cittadino, diunassemblea rappresentativa di tipo punico. Nonostante non manchino traccedi insediamenti cronologicamente anteriori (cultura Ozieri e nuragico), il cen-tro di Sulci legato, nella storia dellIsola, principalmente al periodo punico-

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romano. Come ci testimonia la tipologia delle urne degli strati pi antichi deltophet, il primo centro insediativo fenicio di slky deve attribuirsi almeno allamet dellVIII sec. a.C. Il ruolo economico di Sulci non cambia in et romana,quando dovr svolgere il compito di terminale marittimo per le miniere del-lIglesiente. La fusione dellelemento sardo-punico, gi rilevato nellepigrafia, confermato anche dal dato pi strettamente archeologico: al II sec. a.C. daascriversi il monumento noto come Sa Presonedda, che tipologicamente richia-ma analoghi monumenti tardo-punici nord africani, mentre i famosi leoni punicidi VI sec. sono stati rinvenuti, reimpiegati, in un colonnato romano di III-IIsec. che insiste su una fase punica. Al I-II sec d.C. vengono datati un anfitea-tro (pochi resti) e due isolati di case. Nel periodo alto-imperiale presente aSulci una comunit ebraica che dobbiamo supporre abbastanza importante. Gliipogei certamente giudaici sono due: quello c.d. di Beronice e quello ritrovatonei pressi della casa Pintus-Trullu. Suggestiva lipotesi di chi accosta il nomeBeronice, dipinto sulla parete di fondo di un arcosolio proveniente da un ipogeogiudaico, con il testo di uniscrizione sulcitana, in cui vengono menzionate leuniver[sae tribus] e i Beroni[cen]ses. P. Meloni suppone che si possa trattaredi una popolazione rurale locale legata, in qualche modo, alla Beronice di IL-Sard 30 e proveniente da Berenice, lattuale Bengasi, nei primi decenni del IId.C. La catacomba cristiana di SantAntioco a Sulci lunico monumento diquesto genere finora noto in Sardegna: si tratta di un ipogeo di modestissimeproporzioni che riutilizza una precedente necropoli punica (vedi infra). Lusodella catacomba stimato in un arco cronologico che va dalla fine del IV sec.d.C. al VII sec. d.C.

Il nome che qualifica la catacomba come di SantAntioco proviene da CIL X,7533, un titulus che, ora nella cattedrale di Iglesias, avrebbe contraddistinto, se-condo Mons. DEsquivel, il sepolcro venerato nella catacomba; oltre al problemadellautentica del manufatto si propone quello spinoso della datazione. Si passainfatti da un VI-VIII sec. del prof. B. R. Motzo ad un XII sec. di vari autori(P. Martini ed altri). Una posizione intermedia quella che vuole il testo comecopia del VII-IX sec. di una pi antica iscrizione metrica musiva. La letturacritica dellimpianto chiesatico stata in tempi recenti affrontata da R. Serrache propone, per il supposto impianto cruciforme originario, una datazione dinon oltre il VI sec., massimo inizi del VII, mentre altri propendono per una datanon anteriore al VII sec.

2.3 Sulci - SantAntioco 69

Figura 2.5: Planimetria della catacomba di SantAntioco di A. Taramelli.

Lo studio e di fatto lidentificazione del castrum bizantino si devono a Rena-ta Serra, che trova, riguardo ad esso, significativi riscontri con larchitetturamilitare bizantina del Nord-Africa (principalmente con Thamugadi -Timgad).

2.3.1 La catacomba di SantAntioco

Sul monumento, nel suo genere unico in Sardegna, si sono soffermati diversistudiosi, tra i quali vanno segnalati come particolarmente attenti e felici nellalettura archeologica Antonio Taramelli e, da ultimo, Leone Porru, al quale sideve la definizione certa del monumento.

Nella sua analisi, come al solito estremamente dettagliata, Antonio Tara-melli cerc i confronti per il nostro monumento negli impianti consimili roma-ni e siracusani. Non trovando confronti possibili arriv alla conclusione che,tipologicamente, le catacombe sulcitane fossero un unicum nellorbis.

Ubicazione e sviluppo topografico

Il complesso catacombale di SantAntioco propone due nuclei ben distinti:il pi importante noto come c. di SantAntioco ubicato a NW della chiesa-martyrium e il meno importante, ma paradossalmente ubicato in posizione cen-

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trale rispetto allaula di culto, noto come catacomba di S. Rosa. Attualmentelaccesso al monumento garantito nel lato W del transetto: come vedremo, non da considerarsi come lingresso originario del complesso. Analizzando la plani-metria proposta da L. Porru nel 1989 (fig. 2.6) e seguendo il suo ragionamento,si evince come i fossori abbiano utilizzato ad hoc strutture preesistenti rappre-sentate da una serie di tombe ipogeiche puniche, allargandole, creando ambientidi passaggio e rendendole in poche parole funzionali ad un utilizzo cimiteria-le cristiano. Lo sviluppo catacombale attualmente noto probabilmente quellomassimo mai raggiunto in quanto i risparmi delle camere puniche operati nellazona N e in quella S lasciano supporre che i fossori non abbiano voluto ingran-dire ulteriormente la catacomba. Tale considerazione, pur essendo fortementeprobabile, comunque da tenere, come sempre in archeologia, accompagnata daun bel punto interrogativo.

Le tombe puniche riutilizzate erano di tipo standard per il mondo semitacon il dromos di accesso composto da una scala e da un vestibolo che conducevaad uno spazio propriamente funerario con una o pi camere. La ricostruzioneproposta da Leone Porru nella figura rende evidente loperato dei fossori e conragione leditore del monumento suppone che lingresso originario, e cio quel-lo utilizzato dagli operai per scavare la catacomba, sia stato quello relativo alprimo ambiente occupato (AB) e contrassegnato in pianta dalla lettera L. Suc-cessivamente, per esigenze di spazio, si pens di allargare gli esigui vani puniciricavandone un ambiente absidato pi ampio che pi tardi verr ripartito neglispazi nellXI sec. da sei colonne (vedi fig. 2.6, vano A). Delloriginaria tombapunica in questarea non rimasto praticamente niente se non unesile traccianel piccolo setto divisorio risparmiato immediatamente alle spalle di quella chesappiamo essere stata la tomba venerata. Il resto della catacomba sfrutta conminori modifiche landamento delle tombe puniche che, non sempre comunicantitra loro, vennero unite grazie ad alcuni sfondamenti di parete (ad es. da B a D)e tramite un corridoio (C). Le tombe puniche utilizzate furono dunque 5, facil-mente identificabili perch dotate, almeno allorigine di un ingresso autonomo: aN i gruppi B+E+D, a S F+G; come si detto questi due gruppi vennero messiin comunicazione da C. La storia del monumento, che L. Porru fa iniziare nelIV sec., continua con alcuni interventi particolarmente importanti che ne deter-minarono laspetto attuale. Laula semicircolare originaria che insisteva su unsepolcro venerato, verr allargata e ornata di colonne (una con funzione strut-

2.3 Sulci - SantAntioco 71

Figura 2.6: Sviluppo planimetrico (rilievo L. Porru).

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turale, le altre cinque decorative o di spartizione dello spazio) in un periodo chesi colloca intorno alla fine dellXI e gli inizi del XII secolo e cio grazie allazionedei monaci vittorini di Marsiglia. Nello stesso periodo il transetto della chiesaverr allungato fino al vano A, onde poter accedere alla catacomba direttamentedalla chiesa. Nel XVII secolo durante le invenciones verr manomesso, standoalle fonti del tempo, il sarcofago venerato. In questa occasione verr trovata, se-condo le fonti, e asportata lepigrafe del vescovo Pietro che segnalava la tombadel confessore Antioco. Un discorso a parte merita la c.d. catacomba di S. Rosa,che occupa due tombe distinte con ingresso a dromos ed ha la caratteristica dinon presentare alcun adeguamento architettonico alla nuova funzione: non visono infatti n arcosoli n loculi e la sua cristianit attestata unicamentedalla presenza di due sarcofagi.

Pitture, tombe e materiali mobili

Per la loro unicit i pochi lacerti di pittura conservati nella nostra catacom-ba rivestono una particolare importanza, anche se lo stato miserevole in cui sitrovano non consente purtroppo grandi studi storico-artistici o iconografici, giac-ch sono al momento riconoscibili solo alcuni motivi fitomorfi, zoomorfi e partedi una sola figura umana che, pi per tradizione che per un oggettivo riscon-tro iconografico, viene definita come appartenente ad un pastore che porta unagnello (il c.d. Buon Pastore). Alle pitture gi identificate da Porru va aggiuntaquella di Daniele tra i leoni che, tramandataci dalle fonti bibliografiche, statadi recente individuata in situ da Anna Maria Nieddu. La datazione propostada Porru per il pastore di IV sec. e allo stesso secolo sembra convenire quellaproposta da Nieddu per Daniele. La datazione, va detto, in entrambi i casimolto problematica.

Eguale giudizio pu essere espresso per larcosolio con liscrizione [- - -]e vibasper la quale una datazione di primo V secolo possibile, ma non determinabilecon sufficiente margine di esattezza. La scarsit di manufatti mobili, dovuta allespoliazioni subite dal monumento nel corso dei secoli, non rende giustizia ad unaestrema variet di tipologie tombali che vanno dalle pi umili forme terragne,ai loculi, alle tombe ornate da arcosoli, ai sarcofagi, alle tombe a cassone, e, perfinire, ad una tomba a baldacchino che ricorda tipologie maltesi o siciliane.

2.3 Sulci - SantAntioco 73

Figura 2.7: Daniele tra i leoni. Pittura della catacomba riprodotta in Carmona.

2.3.2 Il martyrium

Strettamente connesso alla catacomba (da un certo periodo in poi, comesi visto, anche fisicamente), il cosiddetto martyrium di SantAntioco rivesteun ruolo particolare allinterno della storia del culto in Sardegna, in quanto ilconfessore sulcitano Antioco certamente uno dei santi pi cari agli isolani.Durante i lavori di restauro del 1966 fu possibile effettuare una ric