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CAPITOLO XXVIII I FONDI DI SOLIDARIETÀ BILATERALI di Armando Tursi SOMMARIO 1. I fondi di solidarietà bilaterali nel nuovo sistema degli ammortizzatori sociali. – 1.1. La diffe- renza rispetto alla legge delega del 2007. – 1.2. Segue. La coesistenza di diversi “modelli” nel- l’attuale sistema degli ammortizzatori sociali. – 1.3. Segue. L’esperienza degli ammortizzatori so- ciali in deroga. – 1.4. Segue. La riforma Fornero: un utilizzo coordinato di una pluralità di mo- delli. – 1.5. Segue. Il ruolo centrale dei fondi bilaterali di solidarietà. – 2. Ambito di applicazio- ne dei fondi di solidarietà bilaterali. – 3. Finalità dei fondi di solidarietà bilaterali. Le causali d’intervento. – 4. Modalità di istituzione dei fondi di solidarietà. 4.1. La fase negoziale e l’ap- parente analogia con le “fonti istitutive” della previdenza complementare. – 4.1.1. Segue. I lavo- ratori parasubordinati. – 4.1.2. Segue. I livelli contrattuali e i requisiti di rappresentatività degli agenti negoziali. – 4.1.3. Obbligatorietà del sistema dei fondi di solidarietà. – 4.2. La fase norma- tivo-regolamentare. – 5. Il contenuto dei decreti istitutivi e gli spazi di “discrezionalità” dei fondi di solidarietà bilaterali. – 6. La governance dei fondi di solidarietà bilaterali. – 7. Il finanziamento dei fondi di solidarietà. – 7.1. Contributi ordinari, addizionali, straordinari. – 7.2. Segue. La pos- sibile “confluenza” dei fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua nei fondi di solidarietà bilaterali. – 8. Il fondo di solidarietà “residuale”. – 9. I fondi “preesistenti”. – 10. I fondi “alternativi”. – 11. Le prestazioni dei fondi di solidarietà e le procedure contrattuali. 1. I fondi di solidarietà bilaterali nel nuovo sistema degli ammortizzatori so- ciali 1.1. La differenza rispetto alla legge delega del 2007 La l. 28 giugno 2012, n. 92 dedica l’intero art. 3 alle «tutele in costanza di rapporto di lavoro» 1 , che vengono distinte dagli «ammortizzatori sociali», disci- plinati invece dall’art. 2 2 . 1 Cd. “disoccupazione parziale”, secondo la classificazione di M. PERSIANI, Diritto della previ- denza sociale, Padova, 2005, 318. 2 Così, D. GAROFALO, Gli ammortizzatori sociali per la riforma Fornero, in Lav. giur., 2012, 1003.

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CAPITOLO XXVIII I FONDI DI SOLIDARIETÀ BILATERALI

di Armando Tursi

SOMMARIO 1. I fondi di solidarietà bilaterali nel nuovo sistema degli ammortizzatori sociali. – 1.1. La diffe-renza rispetto alla legge delega del 2007. – 1.2. Segue. La coesistenza di diversi “modelli” nel-l’attuale sistema degli ammortizzatori sociali. – 1.3. Segue. L’esperienza degli ammortizzatori so-ciali in deroga. – 1.4. Segue. La riforma Fornero: un utilizzo coordinato di una pluralità di mo-delli. – 1.5. Segue. Il ruolo centrale dei fondi bilaterali di solidarietà. – 2. Ambito di applicazio-ne dei fondi di solidarietà bilaterali. – 3. Finalità dei fondi di solidarietà bilaterali. Le causali d’intervento. – 4. Modalità di istituzione dei fondi di solidarietà. – 4.1. La fase negoziale e l’ap-parente analogia con le “fonti istitutive” della previdenza complementare. – 4.1.1. Segue. I lavo-ratori parasubordinati. – 4.1.2. Segue. I livelli contrattuali e i requisiti di rappresentatività degli agenti negoziali. – 4.1.3. Obbligatorietà del sistema dei fondi di solidarietà. – 4.2. La fase norma-tivo-regolamentare. – 5. Il contenuto dei decreti istitutivi e gli spazi di “discrezionalità” dei fondi di solidarietà bilaterali. – 6. La governance dei fondi di solidarietà bilaterali. – 7. Il finanziamento dei fondi di solidarietà. – 7.1. Contributi ordinari, addizionali, straordinari. – 7.2. Segue. La pos-sibile “confluenza” dei fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua nei fondi di solidarietà bilaterali. – 8. Il fondo di solidarietà “residuale”. – 9. I fondi “preesistenti”. – 10. I fondi “alternativi”. – 11. Le prestazioni dei fondi di solidarietà e le procedure contrattuali.

1. I fondi di solidarietà bilaterali nel nuovo sistema degli ammortizzatori so-ciali

1.1. La differenza rispetto alla legge delega del 2007

La l. 28 giugno 2012, n. 92 dedica l’intero art. 3 alle «tutele in costanza di rapporto di lavoro» 1, che vengono distinte dagli «ammortizzatori sociali», disci-plinati invece dall’art. 2

2.

1 Cd. “disoccupazione parziale”, secondo la classificazione di M. PERSIANI, Diritto della previ-denza sociale, Padova, 2005, 318.

2 Così, D. GAROFALO, Gli ammortizzatori sociali per la riforma Fornero, in Lav. giur., 2012, 1003.

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L’obiettivo perseguito, in sinergia con la nuova Aspi, è quello di rendere «più efficiente, coerente ed equo l’assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive in una prospettiva di universalizzazione …»

3. Si tratta di un obiettivo non nuovo, ma ridisegnato con non trascurabili diffe-

renze rispetto al recente passato. Uno sguardo a volo d’uccello sulle disposizioni in commento ci rivela, infatti,

che il riformatore del 2012 ha profondamente modificato il progetto di universa-lizzazione della previdenza pubblica obbligatoria a sostegno della disoccupazio-ne, accompagnato da una previdenza collettiva solo integrativa, che era stato fatto proprio dalla l. 24 dicembre 2007, n. 247, preferendo valorizzare gli strumenti di tutela di origine privatistica-negoziale, che sempre più tendono a configurare una sorta di sistema parallelo di “previdenza contrattuale”

4. Nel progetto del 2007, il Governo era delegato ad emanare «… uno o più de-

creti legislativi finalizzati a riformare la materia degli ammortizzatori sociali per il riordino degli istituti a sostegno del reddito», ispirandosi, per quanto riguarda gli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro, al principio della «progres-siva estensione ed armonizzazione della Cassa integrazione ordinaria e straordi-naria», riservando agli “enti bilaterali” un ruolo ancillare, focalizzato sulla «indi-viduazione di eventuali prestazioni aggiuntive rispetto a quelle assicurate dal si-stema generale»

5.

3 Abbandonando, all’apparenza (ma v. l’art. 1, comma 1, 1° per., dove l’espressione “ammortiz-zatori sociali “ sembra essere utilizzata ancora una volta in senso ampio e generico), la nozione om-nicomprensiva di “ammortizzatore sociale”, che, inizialmente limitata agli strumenti di sostegno al reddito a fronte di eccedenze di personale in costanza di rapporto, aveva presto incluso quelli rela-tivi alle eccedenze di personale seguite da licenziamenti, fino a ricomprendere anche gli strumenti di sostegno al reddito per mera mancanza (e non perdita) di lavoro (F. LISO, Gli ammortizzatori sociali. Percorsi evolutivi e incerte prospettive di riforma, in P. CURZIO (a cura di), Ammortizzatori sociali. Regole, deroghe, prospettive, Bari, 2009, 14-15), la riforma del 2012 opera una inversione terminologica rispetto alle origini: adesso la nozione di ammortizzatore sociale si ritira fino a copri-re solo il sostegno al reddito in tutti i casi (di matrice individuale o collettiva, collegata o meno alla gestione aziendale di eccedenze di personale) di disoccupazione involontaria (l’Assicurazione socia-le per l’impiego, disciplinata dall’art. 2 della l. n. 92/2012); mentre gli strumenti di tutela in caso di eccedenze di personale e crisi aziendali vengono unitariamente considerati sotto la nuova dizione, appunto, di «tutele in costanza di rapporto di lavoro». F. SANTONI, Ammortizzatori sociali in deroga e canale bilaterale, in AA.VV., Studi in onore di Tiziano Treu, Napoli, 2011, 1259, include nella no-zione di “ammortizzatore sociale” anche «le misure alternative di reimpiego rivolte ad incentivare in vario modo la ripresa dell’occupazione (come assunzioni agevolate, fondi sociali, fondi bilaterali ecc.»), richiamando la ricostruzione di L. VENDITTI, Le misure di reimpiego nella disciplina della crisi d’impresa, in Dir. rel. ind., 1993, 139 ss. Per l’inconsistenza teorico-sistematica della nozione di ammortizzatore sociale, v. E. BALLETTI, Disoccupazione e lavoro, Torino, 2000, 47 ss.).

4 V. M. SQUEGLIA, Previdenza contrattuale e fondi di solidarietà bilaterali, in Dir. rel. ind., 2012, 628 ss.

5 Art. 1, comma 29, lett. d-f), l. 24 dicembre 2007, n. 247. V. M. MISCIONE, La riforma degli ammortizzatori sociali iniziata e delegata, in F. CARINCI-M. MISCIONE (a cura di), Il collegato lavoro 2008, Milano, 2008, 3 ss.; M. TECCHIA, La nuova disciplina in tema di ammortizzatori sociali, in M. PERSIANI-G. PROIA (a cura di), La nuova disciplina del welfare, Padova, 2008, 56 ss. Per un confron-

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L’attuale riforma delle “tutele in costanza di rapporto di lavoro” si presenta invece come una marginale razionalizzazione (più che espansione) dello strumen-to pubblico deputato al sostegno del reddito in costanza di rapporto di lavoro (integrazioni salariali), accompagnata da una sorta di funzionalizzazione, al mede-simo fine, della previdenza privata, in chiave non solo integrativa, ma anche e so-prattutto sostitutiva

6.

1.2. Segue. La coesistenza di diversi “modelli” nell’attuale sistema degli ammor-tizzatori sociali

In realtà, la nuova strumentazione raccoglie, in maniera che si potrebbe de-finire sincretistica, l’eredità di una pluralità di modelli che nel corso dell’ultimo quindicennio si sono susseguiti e sovrapposti, reciprocamente influenzandosi.

Un primo modello è quello che, sui cd. “enti bilaterali”, fonda un sistema di “in-tegrazione forte” o “simbiotica” tra pubblico e privato“: un modello inizialmente sperimentato nel settore artigiano

7, e in tempi più recenti istituzionalizzato e genera-lizzato, mercé il riconoscimento, a tutti i lavoratori del settore privato, non dipen-denti da aziende destinatarie dei trattamenti di integrazione salariale, dell’indennità di disoccupazione non agricola, per un periodo massimo di novanta giornate an-nue, a condizione che un importo pari almeno al venti per cento di tale indennità fosse posto a carico dei fondi bilaterali previsti dalla contrattazione collettiva

8. Si trattava di un modello basato, per un verso, sulla torsione funzionale del-

l’indennità di disoccupazione in direzione della tutela delle sospensioni/riduzioni

to tra i progetti di riforma susseguitisi dal 1997 (relazione finale della cd. “Commissione Onofri”) ad oggi, v. D. GAROFALO, Gli ammortizzatori sociali, cit., 1003 ss.

6 Rileva come la riforma del 2012 abbia «tenuto sicuramente presente la norma delega» (sia al-lude alla delega del 2007, “riaperta” nel 2010) «e i principi direttivi che la sostanziano, ma curvan-doli al vero obiettivo perseguito da Governo Monti», nell’ambito del quale si include quello di «ac-centuare il ruolo del welfare negoziale, privandolo della sua connotazione volontaristica e integrati-va e trasformandolo in un sistema sostitutivo di quello pubblico generale», D. GAROFALO, Gli am-mortizzatori sociali, cit., 1004.

7 Dapprima con l’istituto del contratto di solidarietà ex art. 5, comma 8, l. 19 luglio 1993, n. 236, integrato, nelle imprese artigiane fino a 15 addetti, da un contributo a carico di un fondo bilaterale; poi, con l’applicazione di quel meccanismo integrativo all’indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con cd. “requisiti ridotti”, utilizzata a fronte di situazioni aziendali dovute ad eventi transitori, ovvero determinate da situazioni temporanee di mercato (art. 13, comma 8, l. 14 maggio 2005, n. 80. V. P.A. VARESI, La protezione sociale dei lavoratori al tempo della “grande crisi” (2008-2010), in AA.VV., Lavoro, Istituzioni, cambiamento sociale. Studi in onore di Tiziano Treu, Napoli, 2011, 1295; V. BAVARO, Gli enti bilaterali nella legislazione italiana, in FONDAZIONE G. PASTORE (a cura di), Le esperienze dalla bilateralità in Italia, Roma, 2011.

8 Art. 19, comma 1, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, conv. con modif., dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2 (come, a sua volta, modificata dalla l. 9 aprile 2009, n. 33. Vedi F. LISO, Appunti su alcuni profili dell’articolo 19 del d.l. n. 185/2008, in Riv. dir. sic. soc., 2009, 3, 701 ss.; V. FERRANTE, Recenti evo-luzioni nella disciplina degli ammortizzatori sociali: fra sostegno alla riduzione dell’orario e generaliz-zazione delle tutele, in Dir. rel. ind., 2009, 918 ss.

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di orario di lavoro 9; e per l’altro, su una sorta di «collegamento simbiotico»

10 o «integrazione inscindibile tra sussidi pubblici e prestazioni della bilateralità», che «altera il senso comunemente attribuito all’espressione “intervento integrativo”», trasformando la provvidenza privata da integrazione in presupposto o condizione di quella pubblica

11 . Preso atto dell’impraticabilità di fatto

12, prima ancora che costituzionale 13, del

meccanismo “simbiotico” immaginato dall’art. 19 della l. n. 2/2009, il legislatore lo ha repentinamente abbandonato, prevedendo che, nei casi in cui «manchi l’intervento integrativo degli enti bilaterali, … i lavoratori accedono direttamente ai trattamenti in deroga alla normativa vigente»

14.

1.3. Segue. L’esperienza degli ammortizzatori sociali in deroga

La verità è che il legislatore, incalzato dalla più grave crisi economica dal do-poguerra, aveva virato in direzione di un ulteriore, diverso modello di ammortiz-zatore sociale, anch’esso esistente nel nostro Paese da oltre un decennio: quello degli ammortizzatori sociali in deroga.

Tecnicamente, si tratta di una modalità istituzionalizzata di deroga agli ambiti e alle condizioni – anche e soprattutto temporali – di applicazione degli ammor-tizzatori sociali classici, costituiti dalla Cassa integrazione guadagni e dall’inden-nità di mobilità (e di disoccupazione speciale per l’edilizia).

Una attenta dottrina, constatando che «gran parte della storia degli ammortiz-zatori … è una storia di deroghe alla disciplina ordinaria», e come tali deroghe, fossero destinate a operare «attraverso lo strumento legislativo» (il quale, però, altro non è che «un provvedimento amministrativo camuffato da legge»), ha de-

9 Secondo la concezione corrente, si tratterebbe pur sempre di un ammortizzatore sociale “in deroga”, laddove la deroga riguarderebbe «il riconoscimento dell’indennità di disoccupazione a soggetti che non sono disoccupati, ma solo sospesi dal lavoro»: in sostanza, l’indennità di disoccu-pazione verrebbe a coprire sia il rischio della disoccupazione totale che quello della disoccupazione parziale derivante dalla sospensione del lavoro (P.A. VARESI, La protezione sociale, cit., 1294). Di fatto, per le imprese escluse dall’ambito di applicazione della Cassa integrazione guadagni ciò si risolverebbe nell’esenzione da ogni onere per l’assicurazione della disoccupazione parziale. Nella prospettiva di F. LISO, Appunti su alcuni profili, cit., 702, si tratterebbe invece di un nuovo e distin-to ammortizzatore sociale, a base non contributiva perché finanziato annualmente dal bilancio dello Stato nei limiti degli stanziamenti previsti, che utilizzerebbe l’indennità di disoccupazione solo co-me parametro di commisurazione economica della provvidenza (ivi, p. 702).

10 F. LISO, Appunti su alcuni profili, cit., 705. 11 P.A. VARESI, La protezione sociale del lavoratore, cit., 1296. 12 V. P.A. VARESI, La protezione sociale, cit., 1299. 13 V. M. MISCIONE, Gli ammortizzatori sociali per l’occupabilità, in Dir. lav. rel. ind., 2007, 740;

F. LISO, Appunti su alcuni profili, cit., 711. 14 Art. 19, comma 1-bis, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla l. 28

gennaio 2009, n. 2, come modificato dall’art. 7-ter, comma 9, lett. b), d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni dalla l. 9 aprile 2009, n. 33.

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finito l’istituto degli ammortizzatori sociali in deroga come «una forma di sempli-ficazione e razionalizzazione di un fenomeno già presente»

15. Nati nel 2001 per far fronte all’emergenza della cd. “mucca pazza”

16, gli “am-mortizzatori sociali in deroga”, nell’ultima versione antecedente alla riforma del 2012, prevedevano l’attribuzione al “Ministro del lavoro di concerto con quello dell’Economia”, del potere di «disporre, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a 12 mesi, in deroga alla vigente normativa, la concessio-ne … di trattamenti di Cassa integrazione guadagni, di mobilità e di disoccupazio-ne speciale, anche con riferimento a settori produttivi ed aree regionali»

17. La l. n. 92/2012, nel riformare sia gli “ammortizzatori sociali” (con l’assor-

bimento, sia pur graduale, dell’indennità di mobilità nell’Aspi) che le «tutele in costanza di rapporto di lavoro» (con la razionalizzazione delle integrazioni sala-riali e l’introduzione dei fondi di solidarietà bilaterali), si è ben guardata dal can-cellare con un tratto di penna questo istituto emergenziale; piuttosto, ne ha fatto lo strumento per «garantire la graduale transizione verso il regime delineato dalla riforma degli ammortizzatori sociali di cui alla presente legge, assicurando la ge-stione delle situazioni derivanti dal perdurare dello stato di debolezza dei livelli produttivi del Paese». E così, «per gli anni 2013-2016», la l. n. 92/2012 ripropone in maniera pressoché identica la formula sopra richiamata, che prevede il ricorso alla Cassa integrazione guadagni e all’indennità di mobilità in deroga alla norma-tiva vigente, previo accordo in sede governativa, «nei limiti delle risorse finanzia-rie a tal fine destinate nell’ambito del Fondo sociale per occupazione e formazio-ne …»

18. Invero, anche l’ultimo intervento legislativo costituisce una implicita conferma

della valenza che di fatto gli ammortizzatori sociali in deroga avevano finito per assumere nel nostro ordinamento: quella di istituto emergenziale e di ultima istan-za, destinato ad operare, nei limiti delle risorse disponibili e senza la predetermi-nazione di diritti soggettivi, nei casi di inapplicabilità degli ammortizzatori sociali (sia legali sia contrattuali) di prima istanza, o di esaurimento dei loro limiti tem-porali: un equivalente funzionale del reddito di ultima istanza collegato alla di-soccupazione

19, senza i vincoli giuridici e di bilancio che deriverebbero da una

15 F. LISO, Gli ammortizzatori sociali, cit., 28. 16 Emergenza che rese necessario disporre «misure in materia di ammortizzatori sociali, … in re-

lazione a riduzioni, sospensioni e cessazioni di attività lavorativa connesse alla crisi derivante dalle encefalopatie spongiformi bovine, con particolare riferimento ai settori non rientranti nel campo di applicazione deg1i interventi ordinari di Cassa integrazione». L’emergenza “mucca pazza” fu l’occasione per estendere la deroga anche all’emergenza idrica pugliese e, in generale, alle gravi crisi aziendali e settoriali: v. art. 2, d.l. 3 maggio 2001, n. 158, convertito con modificazioni dalla l. n. 248/2001.

17 Art. 1, comma 30, l. 13 dicembre 2010, n. 220; art. 33, l. 12 novembre 2011, n. 183. 18 Art. 2, comma 64. 19 Rilevano il persistente vuoto assoluto di tutela in quest’area, F. LISO, Gli ammortizzatori sociali,

cit., 18; e da ultimo, con riferimento alla riforma Fornero, M. CINELLI, Gli ammortizzatori sociali,

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sua introduzione per via diretta, e senza i limiti dimostrati dalla fallimentare espe-rienza dei lavori socialmente utili 20.

In dottrina si era addirittura sostenuto – e la tesi era sostanzialmente da con-dividersi prima della riforma del 2012 –, che proprio con la stabilizzazione degli ammortizzatori sociali in deroga, affermatasi a partire dal 2008, avesse preso cor-po la riforma organica “attesa” da oltre un decennio: tesi che si autodefiniva “neo-costituzionalista”, in quanto poggiava sui due pilastri della valorizzazione dell’autonomia collettiva e di quella regionale, in chiave di sussidiarietà, rispetti-vamente, orizzontale e verticale, “a supporto e integrazione” della previdenza sta-tale

21.

1.4. Segue. La riforma Fornero: un utilizzo coordinato di una pluralità di mo-delli

La l. n. 92/2012 ha realizzato la riforma “attesa”, seguendo una pista prossi-ma, ma diversa, rispetto a quella dell’integrazione simbiotica tra pubblico e priva-to, mediata dagli enti bilaterali, e nel contempo (nuovamente) alternativa rispetto a quella degli ammortizzatori sociali in deroga: la pista, anch’essa già aperta fin dal 1996, costituita dal modello dei fondi bilaterali sostitutivo-integrativi della pre-videnza pubblica, che dovrebbero assurgere a «nuovo fulcro del sistema»

22.

cit., 8 ss.; S. SPATTINI-M. TIRABOSCHI-J. TSCHÖLL, Il nuovo sistema di ammortizzatori sociali, in M. MAGNANI-M. TIRABOSCHI (a cura di), La nuova riforma del lavoro, Milano, 2012, 343; S. RENGA, La “riforma” degli ammortizzatori sociali, in Lav. dir., 2012, 633.

20 Per una lettura dei lavori socialmente utili in termini di reddito di ultima istanza, v. A. TURSI, Disoccupazione e lavori socialmente utili, Milano, 1996, spec. 121 ss. Nella prospettiva di M. CINELLI, Gli ammortizzatori sociali, cit., 10 ss., la nozione stessa di “ammortizzatore socia-le”, pur nella sua a-sistematicità, si caratterizzerebbe, rispetto all’assicurazione sociale, per la sua «destinazione a fronteggiare situazioni per le quali, di fatto, l’assicurazione sociale … rivela oggi … l’incapacità “tecnica” a fronteggiare» una realtà connotata da una grande diffusione di rapporti di lavoro discontinui, da un lato, e da forme di disoccupazione strutturale e di lungo periodo, da un altro lato. Il rimedio a tutto ciò sarebbe costituito, secondo Cinelli, dal ricono-scimento del diritto al reddito minimo garantito, che trova fondamento nell’art. 34, comma 3, della Carta Europea dei diritti dell’Uomo, e nello stesso principio di tutela della dignità della persona, sancito dalla Costituzione italiana e dall’art. 2 del Trattato dell’Unione europea. Sul tema v., per tutti e da ultimi, G. BRONZINI, Il reddito di cittadinanza. Una proposta per l’Italia e per l’Europa, Torino, 2011, 64 ss.; e in chiave critica, E. GRAGNOLI, Gli strumenti di tutela del reddito di fronte alla crisi finanziaria, relazione al congresso AIDLASS, Pisa, 8-9 giugno 2012, dattiloscritto, p. 12.

21 D. GAROFALO, La riforma degli ammortizzatori sociali: l’ipotesi “neocostituzionalista”, in Dir. rel. ind., 2008, 957 ss. V., adesivamente, R. PESSI, Gli ammortizzatori in deroga: persistenza o fine del modello assicurativo?, in Riv. dir. sic. soc., 2010, 325 ss. Per una valutazione di segno opposto, v. M. BARBIERI, Ammortizzatori sociali in deroga. Riflessioni a partire dal caso della Puglia, in P. CURZIO (a cura di), Ammortizzatori sociali, cit., 83 ss.

22 Così, ma con valutazione perplessa e sostanzialmente scettica, M. CINELLI, Gli ammortizzatori sociali nel disegno di riforma del mercato del lavoro, in Riv. dir. sic. soc., 2012, 21 ss.

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Ciò, di sicuro, ha posto la parola fine al tentativo di fare degli ammortizzatori sociali in deroga “la riforma” degli ammortizzatori sociali; ma, come s’è già osser-vato, non ha posto la parola fine al modello stesso degli “ammortizzatori sociali in deroga”.

C’è da credere che l’atteggiamento prudente tenuto dal neo-riformatore verso l’integrazione salariale e l’indennità di mobilità “in deroga”, da un lato, e l’Aspi per i “lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali”

23 dall’altro, sia espres-sione di qualcosa di più che una mera cautela imposta dalla perdurante emergen-za economico-occupazionale, in attesa della messa a regime del sistema dei fondi bilaterali di solidarietà.

E infatti il neo-riformatore, mentre pone per gli ammortizzatori in deroga il limite temporale del 2016, definisce come “sperimentale” (per il triennio 2013-2015) il ricorso all’Aspi per i lavoratori sospesi, mostrando così di non escludere un suo possibile consolidamento.

L’impressione di una possibile valorizzazione anche futura dell’istituto del-l’Aspi “in deroga” è confortata dalla scelta che il legislatore opera in merito alla questione dell’integrazione “simbiotica” di tale provvidenza con l’«intervento in-tegrativo pari almeno alla misura del 20 per cento dell’indennità stessa a carico dei fondi bilaterali di cui al comma 14, ovvero a carico dei fondi di solidarietà di cui al comma 4 del presente articolo»: se il legislatore ha ritenuto di tornare al si-stema “simbiotico” che era stato abbandonato con la l. n. 33/2009, è segno che all’istituto in parola annette, almeno in prospettiva, una rilevanza eccedente la mera copertura cautelativa di un periodo transitorio

24. Del resto, in dottrina non si è mancato di osservare che la stessa proroga

emergenziale e transitoria degli ammortizzatori sociali in deroga è concepita in maniera tale da potersi scorgere in controluce il disegno di fare di tale strumento «una componente dell’assetto istituzionale, rispetto alla quale anche la cifra della discrezionalità, propria dei primi “trattamenti in deroga”, appare soggetta ad un processo che tende ad arginarla e ricondurla al sistema»

25.

23 Art. 3, comma 17. 24 Secondo M. LAI, I fondi bilaterali di solidarietà, in www.bollettinoadapt.it, 12 luglio 2012, 3-4,

il ritorno al meccanismo “simbiotico” predisposto dall’art. 19, comma 1, l. n. 2/2009, sarebbe al-meno in parte giustificato, «sia per il ribadito carattere sperimentale della previsione in esame, sia perché il modello alternativo a quello obbligatorio fa espresso riferimento a settori nei quali siano operanti “consolidati sistemi di bilateralità”, sì da evitare le incongruenze della precedente discipli-na (non efficace per quei settori in cui il sistema bilaterale non fosse già a regime)».

25 Così, M. CINELLI, Gli ammortizzatori sociali, cit., 19, in base al rilievo che l’erogazione in de-roga alla normativa vigente può avvenire, nel periodo transitorio, solo «a condizioni ben definite», quali, oltre allo «specifico accordo governativo» e al limite delle «risorse finanziarie a tal fine desti-nate nell’ambito del fondo sociale per occupazione e formazione»: la durata massima di 12 mesi, con décalage della prestazione in caso di proroghe, e l’obbligo di frequenza di specifici programmi di reimpiego a partire dalla terza proroga; nonché l’applicazione, anche ai lavoratori destinatari de-gli ammortizzatori in deroga, delle disposizioni di cui all’art. 8, comma 3, del d.l. 21 marzo 1988, n. 86, conv. con modif., dalla l. 20 maggio 1988, n. 160 (anzianità lavorativa presso l’impresa di alme-

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Pur con queste precisazioni, è indubbio che il «nuovo fulcro del sistema», nonché il «vero elemento di novità nell’impianto delle tutele interne al rapporto di lavoro»

26 sia costituito dai fondi di solidarietà qui in commento: quelli “bilate-rali” in quanto istituiti sulla base di «accordi o contratti collettivi» (art. 3, comma 4 e ss.); quello “residuale” da istituirsi direttamente con decreto ministeriale per i settori per i quali non siano stati costituiti i fondi bilaterali (art. 3, comma 19 e ss.). Il sistema è completato sia dal cd. “modello alternativo” costituito dai «con-solidati sistemi di bilateralità»

27, sia dai fondi di solidarietà preesistenti, costituiti ai sensi dell’art. 2, comma 28, l. n. 662/1996»: modelli che i commi 14 e 42 del-l’art. 3 lasciano sopravvivere, previo “adeguamento”, nel primo caso, “alle finali-tà”, e nel secondo caso, “alla disciplina” dei nuovi fondi bilaterali.

1.5. Segue. Il ruolo centrale dei fondi bilaterali di solidarietà

Anche il “nuovo fulcro” del sistema rappresentato dai fondi di solidarietà bila-terali, si ispira a un modello già esistente: ben prima che la legislazione anti-crisi del 2008-2009 riprendesse e potenziasse il modello “simbiotico” del 2005 (per poi repentinamente abbandonarlo a favore degli ammortizzatori in deroga stricto sensu), la legge finanziaria per il 1997 aveva introdotto un modello, che, pur es-sendo anch’esso basato sulla valorizzazione dell’autonomia collettiva e del bilate-ralismo, prevedeva provvidenze private non solo integrative di quelle pubbliche, ma anche e soprattutto sostitutive di queste.

In questa logica, l’art. 2, comma 28 della l. n. 662/1996 puntò all’introduzione di «misure per il perseguimento di politiche attive di sostegno del reddito e del-l’occupazione nell’ambito di processi di ristrutturazione aziendali e per fronteg-giare situazioni di crisi … delle categorie e settori di imprese sprovvisti del siste-ma di ammortizzatori sociali»: veicolo e strumento di tali misure sarebbero stati “appositi fondi” costituiti dalla contrattazione collettiva”

28.

no novanta giorni alla data della richiesta del trattamento di integrazione salariale), e di cui all’art. 16, comma 1, della l. 23 luglio 1991, n. 223 (anzianità aziendale di almeno dodici mesi, di cui alme-no 6 di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione del lavoro derivanti da ferie, festività e infortuni, con un rapporto di lavoro a carattere continuativo e comunque non a termine, per la fruizione dell’indennità di mobilità): v. art. 2, comma 66 e 67, l. n. 92/2012. In veri-tà, si tratta della riproposizione di condizioni che erano già state “istituzionalizzate” dall’art. 33, comma 21 e 22, della l. n. 183/2011.

26 M. SQUEGLIA-L. TADINI, Il raccordo tra riforma delle pensioni e riforma del lavoro negli ammor-tizzatori sociali e negli interventi a favore dei lavoratori anziani, in M. MAGNANI-M. TIRABOSCHI (a cura di), La nuova riforma, cit., 368, che però, in prospettiva pressoché rovesciata rispetto a M. CINELLI, Gli ammortizzatori sociali, cit., 21 ss., valutano criticamente la manutenzione conservati-va della Cassa integrazione guadagni, e positivamente la “valorizzazione della previdenza contrat-tuale”.

27 V., infra, in questo volume, il contributo di F. LISO, I fondi bilaterali alternativi, cap. XXIX. 28 Sull’esperienza dei fondi di solidarietà ex lege n. 662/1996, v. P. LAMBERTUCCI, La disciplina

delle eccedenze di personale tra legge e contrattazione collettiva: prime riflessioni sull’art. 2, ventotte-

I fondi di solidarietà bilaterali 483

Il modello, introdotto “in via sperimentale” (naturalmente, «in attesa di un’or-ganica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali»), si rivelò capace di resi-stere al varo della prima legge delega del 1999

29, che pure, recependo le organi-che indicazioni della cd. “commissione Onofri”, si era prefigurata una riforma degli ammortizzatori sociali tanto ampia “da dare l’impressione” che il legislatore fosse «profondamente insoddisfatto del sistema formatosi per successive stratifi-cazioni», e caratterizzato da irragionevoli disparità delle forme di tutela a fronte della interruzione, della sospensione e delle perdita del lavoro

30. Fu invece la riforma organica a restare sotto traccia negli anni a venire

31, riemer-gendo solo nel 2007 con la l. n. 247, la cui delega fu riaperta e posticipata fino alla fine del 2012, dalla legge n. 183/2010.

Senonché, il modello di riforma incorporato dalla legge del 2007 puntava, per quelle che oggi la riforma Fornero chiama “tutele in costanza di rapporto di lavo-ro”, sulla “progressiva estensione e armonizzazione della Cassa integrazione or-dinaria e straordinaria”, mentre riservava agli enti bilaterali «l’individuazione di eventuali prestazioni aggiuntive rispetto a quelle assicurate dal sistema genera-le»

32; d’altro canto, responsabilizzava le aziende sotto il profilo della «partecipa-zione attiva nel processo di ricollocazione dei lavoratori» [lett. e)].

L’obiettivo dell’universalizzazione della tutela, la “riforma Fornero” lo perse-gue, invece, delegandone l’attuazione ai fondi di solidarietà bilaterali, mentre re-sponsabilizza le aziende innanzitutto e soprattutto sotto il profilo della partecipa-zione al finanziamento del sistema.

2. Ambito di applicazione dei fondi di solidarietà bilaterali

L’ambito di applicazione dei fondi di solidarietà bilaterali coincide – se si esclu-

de il settore dell’agricoltura, dotato di una disciplina speciale 33 – con quello dei

«settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale»: esso dunque corrisponde in negativo, come un calco, all’ambito settoriale di applica-

simo comma, legge 23 dicembre 1996, n. 662, in Arg. dir. lav., 1997, 249 ss.; A. PANDOLFO-I. MA-

RIMPIETRI, Ammortizzatori sociali fai da te: il caso del settore del credito, in Riv. prev. pubbl. priv., 2001, 101 ss.; G. SIGILLÒ MASSARA, La legge n. 662/1996 e i fondi di settore, in AA.VV., Scritti in memoria di Salvatore Hernandez, in Dir. lav., 2003, I, 790 ss.; ID., Fondi di solidarietà e sistema pre-videnziale, in Inf. prev., 2008, 1 ss. Da ultimo, per una lettura rivisitata alla luce della riforma Forne-ro, v. M. SQUEGLIA, Previdenza contrattuale e fondi di solidarietà, cit.

29 Art, 45, l. 17 maggio 1999, n. 144, sulla quale v. F. LISO, Per una riforma degli ammortizzatori sociali, in AA.VV., L’evoluzione del sistema di protezione sociale in Italia, Roma, 2000, 59 ss.

30 A. PANDOLFO-I. MARIMPIETRI, Ammortizzatori sociali fai da te, cit., 105 ss. 31 La seconda delega legislativa, contenuta nel ddl n. 848-bis/2003, non vide mai la luce. 32 Art. 1, comma 29, lett. d) ed f) della l. n. 247/2007. 33 L. 8 agosto 1972, n. 457; artt. 14 e 21, l. n. 223/1991.

Armando Tursi 484

zione della normativa in materia di integrazione salariale nell’industria, riempien-done gli spazi vuoti.

Essendo stato, tale ambito, a sua volta ritoccato dalla riforma, conviene ricor-dare che tale ritocco è consistito nel consolidamento di proroghe, che da anni si susseguivano ininterrotte, di provvedimenti legislativi 34 i quali, fin dai primi anni successivi alla razionalizzazione operata con la l. n. 223/1991, avevano disposto l’estensione della disciplina in materia di trattamento straordinario di integrazio-ne salariale a varie categorie colpite da crisi occupazionale di notevole rilievo e risonanza sociale, quali i dipendenti di imprese esercenti attività commerciali e delle agenzie di viaggio e turismo con oltre cinquanta addetti 35, delle imprese di vigilanza con oltre quindici addetti, delle imprese del trasporto aereo e del siste-ma aeroportuale

36, indipendentemente dalla consistenza occupazionale. Analogamente, viene disposta la stabilizzazione della cd. “indennità di manca-

to avviamento” per i lavoratori portuali occupati a tempo indeterminato presso le imprese e le agenzie autorizzate in base alla speciale normativa di settore

37: inden-nità che era stata introdotta dall’art. 19, comma 12, d.l. n. 185/2008

38. Le suddette categorie di lavoratori si aggiungono a quelle che, pur non rien-

trando nell’ambito di applicazione ab origine proprio e tipico del trattamento straor-dinario di integrazione salariale nell’industria

39, già prima della riforma Fornero

34 Il primo dei quali è costituito dall’art. 7, comma 7, d.l. 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla l. 19 luglio 1993, n. 236.

35 L’estensione in via strutturale alle imprese commerciali con oltre 200 addetti era stata invece già disposta direttamente dall’art. 12, comma 3, l. n. 223/1991.

36 V. art. 1-bis, l. 5 ottobre 2004, n. 291. In realtà, si tratta della sostituzione, con il trattamento straordinario di integrazione salariale, di uno specifico ammortizzatore settoriale in deroga. Era in-fatti previsto che «il Ministro del lavoro e delle politiche sociali» potesse «concedere, sulla base di specifici accordi in sede governativa, in caso di crisi occupazionale, di ristrutturazione aziendale, di riduzione o trasformazione di attività, il trattamento di Cassa integrazione guadagni straordinaria, per ventiquattro mesi, al personale, anche navigante, dei vettori aerei e delle società da questi deri-vanti a seguito di processi di riorganizzazione o trasformazioni societarie». Tuttavia si prevedeva anche l’assoggettamento al «pagamento dei contributi previsti dalla vigente legislazione in materia di Cassa integrazione guadagni straordinaria e di mobilità». V., da ultimo, art. 2, comma 37, l. n. 203/2008.

37 Art. 17, commi 2 e 5, e art. 21, comma 1, lett. b), l. 28 gennaio 1994, n. 84. Sulla tutela della di-soccupazione in agricoltura, v. l’ampia trattazione di C. LAGALA, Contrattazione, lavoro e previdenza nell’agricoltura degli anni ’90, Napoli, 2002.

38 Peraltro, senza previsione di un obbligo contributivo a carico delle imprese e dei lavoratori, non trattandosi, tecnicamente, di estensione dell’ambito di applicazione della disciplina in materia di intervento straordinario di integrazione salariale. L’art. 3, comma 3, della l. n. 92/2012 provvede invece ad estendere anche a tali imprese, agenzie e società, e ai relativi dipendenti, l’obbligo contri-butivo stabilito dall’art. 9 della l. 29 dicembre 1990, n. 407.

39 Costituito, com’è noto, dagli operai, impiegati e quadri (con almeno novanta giorni di anziani-tà di servizio), dipendenti da imprese industriali che abbiano occupato mediamente più di quindici addetti nel semestre precedente (art. 1, l. 20 maggio 1975, n. 164; art. 8, comma 3, l. n. 160/1988; art. 1, l. n. 223/1991); inclusi gli addetti alle unità produttive con più di quindici dipendenti, che

I fondi di solidarietà bilaterali 485

avevano avuto accesso, in via definitiva e strutturale, al predetto intervento, quali, inter alia

40: i soci di cooperative di produzione e lavoro; i dipendenti di imprese artigiane (con oltre quindici addetti 41) soggette all’“influsso gestionale prevalen-te” di un’impresa assoggettata a Cigs; i dipendenti di imprese appaltatrici di ser-vizi di mensa e ristorazione i cui committenti siano anch’essi destinatari di Cigs; i dipendenti di imprese appaltatrici di servizi di pulizia presso imprese industriali; i dipendenti di imprese editrici di giornali quotidiani e agenzie di stampa a caratte-re nazionale (indipendentemente dal numero dei dipendenti).

Quanto all’intervento ordinario, non toccato dalla riforma – e ancora una vol-ta prescindendosi dall’intervento speciale in agricoltura –, esso resta confinato alle imprese industriali e assimilate, come individuate da una esuberante prassi amministrativa (soprattutto dell’Inps), e con esclusione totale del settore terziario latamente inteso (inclusivo del commercio, del credito, delle assicurazioni) e del-l’artigianato

42; sia pure senza alcun requisito limitativo di accesso alla tutela, col-legato alla dimensione occupazionale dell’impresa o all’anzianità di servizio del lavoratore.

Orbene, se si considera che viene mantenuta, per i fondi di solidarietà bilate-rali, la soglia tradizionale di accesso alla tutela tipica dell’intervento straordina-rio di integrazione salariale

43, costituita dal numero di dipendenti non inferiore a sedici

44, e che i fondi in questione sono destinati a sostituire, nel settore priva-to

45, anche le prestazioni ordinarie della Cassa integrazione guadagni, dovrebbe

commercializzano prodotti dell’impresa industriale in crisi, e le aziende edili o produttrici di mate-riali lapidei. L’art. 12, comma 3 della l. n. 223/1991 estendeva l’intervento straordinario delle inte-grazioni salariali anche alle imprese esercenti attività commerciali con più di duecento dipendenti.

40 Per una dettagliata ricognizione, v. M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Torino, 2012, 337; M. SQUEGLIA, Manuale del lavoro in crisi, Torino, 2004, 89 ss.

41 Al di sotto di tale soglia, vale la speciale normativa di cui all’art. 5, comma 8 della l. n. 236/1993 (contratto di solidarietà nell’artigianato).

42 V., anche per i riferimenti normativo-amministrativi, M. SQUEGLIA, Manuale del lavoro in crisi, cit., 60.

43 E ciò, nonostante il fatto che i fondi bilaterali di solidarietà siano destinati a operare anche nell’area dell’intervento ordinario: il comma 4 dell’art. 3 fa infatti riferimento ai «settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale», senza distinguere tra intervento ordinario e straordinario; e fa anzi specificamente riferimento ai «casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria».

44 «L’istituzione dei fondi di cui al comma 4 è obbligatoria per tutti i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale in relazione alle imprese che occupano mediamente più di quindici dipendenti»: così l’art. 3, comma 10 della l. n. 92/2012. Dal 2° periodo del comma 7 («Il superamento dell’eventuale soglia dimensionale fissata per la partecipazione al fondo si verifica mensilmente con riferimento alle media del semestre precedente»), si ricava implicitamente l’appli-cabilità della modalità di calcolo in atto per l’intervento straordinario delle integrazioni salariali, come stabilita dall’art. 1 della l. n. 223/1991.

45 Per l’esclusione dei dipendenti della Pubbliche Amministrazioni, almeno fino a quando non sarà data attuazione alla solo vagamente prefigurata disciplina specifica di cui al comma 8 dell’art. 1,

Armando Tursi 486

conseguirne che sono interessati all’intervento dei Fondi bilaterali di solidarietà:

a) con riferimento alle sospensioni e riduzioni di orario di lavoro riconducibili alle causali dell’intervento ordinario, i dipendenti da datori di lavoro con più di quindici addetti, operanti in tutti i settori non industriali (commercio, credito, assicurazioni, artigianato);

b) con riferimento alle sospensioni e riduzioni di orario di lavoro riconducibili alle causali dell’intervento straordinario, i dipendenti di imprese esercenti attività commerciali e delle agenzie di viaggio e turismo con un numero di addetti com-preso tra sedici e cinquanta; i dipendenti delle imprese artigiane con più di quin-dici addetti, che non siano soggette all’«influsso gestionale prevalente» di un’im-presa destinataria dell’intervento straordinario, ovvero, pur essendo soggette a tale influsso, intendano sospendere il lavoro per cause diverse dalla contrazione dell’attività dell’impresa committente

46; i dipendenti da imprese del settore ter-ziario (imprese creditizie e assicurative, servizi postali e ferroviari (è quasi ozioso, in questi ultimi casi, precisare che esse devono occupare più di quindici addetti).

Si pongono in proposito due dubbi interpretativi. Il primo: il comma 4 dell’art. 3, che enuncia la finalità generale dell’istituto,

non fa riferimento alla natura imprenditoriale del datore di lavoro; il comma 7, che disciplina le modalità di definizione degli ambiti di applicazione dei fondi, si riferisce espressamente alla «natura giuridica e alla classe di ampiezza dei datori di lavoro»; il comma 19, infine, relativo al cd. “fondo residuale”, da istituirsi di-rettamente da parte del Ministro del lavoro in caso di mancata attivazione dei fondi contrattuali, fa genericamente riferimento ai «settori, tipologie di datori di lavoro e classi dimensionali comunque superiori ai quindici dipendenti, non co-perti dalla normativa in materia di integrazione salariale».

Si potrebbe allora ritenere che i fondi di solidarietà bilaterali possano essere istituiti anche per i dipendenti da datori di lavoro (privati) non imprenditori; con la rilevantissima conseguenza che il fondo residuale di cui al comma 19 sarebbe tenuto a intervenire ove la contrattazione collettiva non dovesse provvedere (v. avanti). Né potrebbe negarsi la riferibilità almeno di alcune delle «cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria» a datori di lavoro non imprenditori: si pensi, per fare il caso più semplice e intuiti-vo, agli «eventi oggettivamente non evitabili» che possono giustificare l’interven-to ordinario.

Milita in senso contrario, tuttavia, il comma 10, che prevede l’obbligatorietà della costituzione dei fondi in parola solo in relazione alle «imprese che occupano mediamente più di quindici dipendenti».

v. i commi 7 e, appunto, 8 dell’art. 1 della l. n. 92/2012, e il commento sarcastico di F. CARINCI, I dipendenti delle amministrazioni pubbliche dopo la l. n. 92/2012, in Lav. giur., 2012, 859 ss.

46 Infatti, nelle due predette ipotesi non si rientrerebbe nella fattispecie di intervento straordina-rio dell’integrazione salariale, tipizzata dall’art. 12, comma 1 e 2, della l. n. 223/1991, e quindi il fondo opererebbe per colmare il vuoto di tutela esistente all’interno di quel settore.

I fondi di solidarietà bilaterali 487

Il secondo dubbio attiene alla possibilità che l’ambito di applicazione dei fon-di possa riguardare solo «i settori non coperti dalla normativa in materia di inte-grazione salariale», e non, in ipotesi, (fermo restando il limite inferiore dei quin-dici addetti) le soglie dimensionali delle imprese, oppure i requisiti soggettivi dei lavoratori.

Quanto alle soglie dimensionali, interpretando alla lettera il disposto normati-vo – che fa riferimento ai «settori non coperti dalla normativa in materia di inte-grazione salariale», e non alle “imprese” che, pur rientrando in settori coperti da quella normativa, siano escluse a cagione della ridotta dimensione occupazionale –, potrebbe pervenirsi alla conclusione che i fondi non possano operare a favore dei dipendenti da imprese che rientrino in settori coperti (ossia contemplati) dalla normativa in materia di integrazione salariale, e che abbiano un numero di di-pendenti, pur superiore a 15, ma inferiore alla soglia prevista dalla legge: per esempio, le aziende commerciali con un numero di dipendenti compreso tra se-dici e cinquanta

47. Il dubbio ci sembra però superabile alla luce della ratio della normativa in

esame, che è quella di tendere alla universalizzazione delle tutele in costanza di rapporto: ratio che dovrebbe impedire interpretazioni restrittive come quella so-pra evocata.

Deve invece escludersi che i fondi possano erogare prestazioni sostitutive delle integrazioni salariali a favore di lavoratori dipendenti da imprese rientranti in set-tori coperti dalla disciplina delle integrazioni salariali, e però privi dei requisiti previsti da quella normativa per la fruizione delle prestazioni: infatti, ciò sarebbe in insanabile contrasto non solo con la previsione che debba trattarsi di “settori” (e non, come sarebbe in casu, di “lavoratori”) esclusi (comma 4), ma anche con la previsione secondo cui «l’ambito di applicazione dei fondi» in parola sarà defini-to «con riferimento al settore di attività, alla natura giuridica dei datori di lavoro ed alla classe di ampiezza dei datori di lavoro»: non sono contemplati i requisiti soggettivi dei lavoratori.

Nemmeno potrà configurarsi un intervento (sostitutivo) dei fondi bilaterali di solidarietà a favore delle imprese coinvolte in procedure concorsuali.

In altra parte di questo commentario si da conto dell’abrogazione, che il com-ma 70 dell’art. 2 della l. n. 92/2012 dispone “a decorrere dal 1° gennaio 2016”, del-l’art. 3 della l. n. 223/1991, ossia della norma che disciplina il ricorso alla CIGS in caso di dichiarazione di fallimento, emanazione del provvedimento di liquidazio-ne coatta amministrativa, sottoposizione all’amministrazione straordinaria senza

47 In altri termini, si tratta di chiarire se per “settori esclusi” si debba intendere la totale esclu-sione di un intero comparto produttivo, ovvero l’esclusione anche solo di alcune imprese nel-l’ambito di un determinato comparto, che per la parte non esclusa è invece “coperto” (da questo punto di vista, il settore delle imprese commerciali sarebbe coperto, e quindi non escluso; al suo interno, escluse sarebbero solo le imprese con meno di 50 addetti, ma non il settore in quanto tale).

Armando Tursi 488

prosecuzione dell’attività 48, ammissione al concordato preventivo con cessione

dei beni 49. Orbene, deve escludersi che i fondi di solidarietà bilaterali possano reintro-

durre la tutela che il legislatore prevede di eliminare, perché anche in questo caso non si tratterebbe di tutelare “settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale”, ma di ri-estendere la tutela a “causali” (e non a “settori”) in relazione alle quali il legislatore l’ha voluta togliere

50 . Il problema non si pone, invece, per l’intervento straordinario in caso di crisi

aziendale con cessazione di attività, di cui all’art. 1 del d.l. 5 ottobre 2004, n. 249, convertito in l. 3 dicembre 2004, n. 291

51: il riformatore sembra essersi dimenti-cato di tale fattispecie, che forse meritava di essere eliminata più della Cassa inte-grazione per procedure concorsuali; e pertanto i fondi di solidarietà bilaterali po-tranno ad essa riferirsi, naturalmente in chiave solo integrativa (v. avanti).

Per concludere sul punto, si può affermare che i fondi di solidarietà bilaterali sono abilitati a colmare i vuoti di tutela derivanti da scoperture settoriali del re-gime generale delle integrazioni salariali, ma non a derogare ai requisiti stabiliti dal suddetto regime all’interno dei settori coperti: non si tratta, cioè, di ammor-tizzatori in deroga, ma di ammortizzatori sostitutivi del regime generale.

Ciò è coerente, peraltro, con il rigore che la legge ha dimostrato nel disciplina-

48 L’art. 46-bis del d.l. n. 83/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 134/2012, ha modifi-cato la norma abroganda, eliminando la previsione che l’amministrazione straordinaria non dovesse accompagnarsi alla prosecuzione dell’attività, e sostituendola con la previsione che «sussistano pro-spettive di continuazione o di ripresa dell’attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di oc-cupazione, da valutare in base a parametri oggettivi definiti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali». La previsione originaria era, in effetti, incompatibile con la disciplina del-l’amministrazione delle grandi imprese in crisi ex art. 1, d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270. V. L. MENGHI-

NI, L’attenuazione delle tutele individuali dei lavoratori in caso di trasferimento di impresa in crisi o soggetta a procedure concorsuali dopo la direttiva 50/98 e il d.lg. n. 270/1999, in Riv. giur. lav., 2000, 236; L. FICARI, I lavoratori nella grande impresa insolvente, Torino, 2003, 346 ss.; M.G. BORTOLIN, L’apertura della procedura di amministrazione straordinaria: i requisiti sostanziali, in C. COSTA (a cu-ra di), L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, Milano, 2008, 176 ss.

49 All’elenco, la Nota del Ministero del lavoro 17 marzo 2009, n. 17/4314 aveva aggiunto, in via interpretativa, la fattispecie del trattamento straordinario di integrazione salariale per accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis della legge fallimentare. Secondo D. GAROFALO, Gli ammortizzatori sociali, cit., 1008, l’abrogazione dell’art. 3 della l. n. 223/1991 non comporta il venir meno anche dell’intervento previsto dall’art. 7, comma 10-ter della l. n. 236/1993, per le grandi imprese in amministrazione straordinaria.

50 L’operazione è stata oggetto di condivisibili rilievi critici da parte di G. FERRARO, Ammortiz-zatori sociali e licenziamenti collettivi, cit., 490, che osserva come l’intervento in parola risponda «ad una funzione tipica, ampiamente apprezzata dagli operatori del settore e dalla dottrina fallimentari-sta, in quanto … favorisce il mantenimento dell’unitarietà aziendale con il suo potenziale produtti-vo, impedendo così un processo … di disintegrazione della struttura aziendale». E. GRAGNOLI, Gli strumenti di tutela del reddito, cit., 47, critica l’«eliminazione di uno strumento utile a verificare il possibile trasferimento di azienda».

51 Ma v. già d.m. 18 dicembre 2002, n. 31448.

I fondi di solidarietà bilaterali 489

re gli stessi ammortizzatori in deroga, la cui fruizione è stata assoggettata alla con-dizione di cui all’art. 8, comma 3 della l. n. 160/1988: anzianità lavorativa presso l’impresa di almeno novanta giorni alla data della richiesta del trattamento di in-tegrazione salariale.

Una ulteriore precisazione s’impone: se si condivide la proposta ricostruttiva avanzata, se ne deduce che non sarebbe ammissibile nemmeno la ricomprensio-ne, nell’ambito di applicazione dei fondi in esame, di tipologie contrattuali diver-se da quelle contemplate dal regime generale: per esempio, non sarebbero am-missibili prestazioni sostitutive delle integrazioni salariali a favore degli apprendi-sti, per i quali vale invece (ma solo per il triennio 2013-2015) l’Aspi per lavoratori sospesi, ex art. 3, comma 17, e per i quali il ruolo dei fondi di solidarietà è limita-to alla sola prestazione “integrativo-simbiotica” delineata dalla disposizione da ultimo citata

52. Una norma speciale è dedicata ai dirigenti: il 2° periodo del comma 10 ne

ammette la tutela (con i corrispondenti “obblighi contributivi”) da parte dei fon-di di solidarietà bilaterali, a condizione che ciò sia “espressamente previsto” (evi-dentemente, dalle fonti istitutive).

3. Finalità dei fondi di solidarietà bilaterali. Le causali d’intervento

Le finalità dei fondi di solidarietà bilaterali sono legalmente tipizzate; e lo so-

no in maniera più marcata di quanto non lo fossero quelle dei fondi istituiti ex lege n. 662/1996.

I fondi di solidarietà bilaterali, infatti, sono vincolati a perseguire la «finalità di assicurare ai lavoratori una tutela in costanza di rapporto di lavoro nei casi di ri-duzione o sospensione dell’attività lavorativa per cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria» (comma 4): il vinco-lo, quindi, si spinge fino alla predeterminazione delle causali di intervento delle prestazioni sostitutive delle integrazioni salariali, che devono coincidere, a quanto sembra, con le causali stabilite dalla legge (v. avanti). Per i fondi istituiti in base all’art. 2, comma 28, l. n. 662/1996, invece, valeva la più generica e flessibile pre-visione che, «per il perseguimento di politiche attive di sostegno del reddito e dell’occupazione nell’ambito dei processi di ristrutturazione aziendali e per fron-teggiare situazioni di crisi», delegava alla «contrattazione collettiva nazionale» la «definizione di specifici trattamenti e dei relativi criteri, entità, modalità conces-sivi» [lett. b)]

53.

52 «… subordinatamente ad un intervento integrativo pari almeno alla misura del 20 per cento dell’indennità stessa a carico dei fondi bilaterali di cui al comma 14, ovvero a carico dei fondi di solidarietà di cui al comma 4 del presente articolo».

53 L’art. 1, comma 2, del d.m. 27 novembre 1997, n. 477, recante il «Regolamento-quadro prope-deutico all’adozione degli specifici regolamenti settoriali» di cui all’art. 1, comma 28, l. n. 662/1996 (a

Armando Tursi 490

È, quella appena menzionata, la finalità legalmente “necessitata” 54 dei fondi in

esame: la finalità propriamente sostitutiva del regime generale delle integrazioni salariali, per i settori non coperti da tale regime.

Esistono poi una finalità e contenuti eventuali e non legalmente imposti dei fondi di solidarietà bilaterali, i quali sono, dal comma 11, facoltizzati a erogare prestazioni che non possono considerarsi “in costanza di rapporto”, ma che ne presuppongono la cessazione: si tratta di una prestazione integrativa rispetto al trattamento di disoccupazione [lett. a)]

55, e di «assegni straordinari per l’incenti-vazione all’esodo tramite accompagnamento alla pensione di vecchiaia o anticipa-ta» [lett. b)].

Se la prima tipologia di intervento persegue una finalità integrativa delle pre-stazioni previdenziali di disoccupazione, la seconda tipologia di intervento può considerarsi sostitutiva dei trattamenti di “mobilità lunga” con accompagnamen-to alla pensione e/o di “prepensionamento”

56.

Un’ulteriore funzione “eventuale” dei fondi di solidarietà bilaterali, è quella di «contribuire al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualifi-cazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali o del-l’Unione europea» [lett. c)]: non si tratta, in questo caso, di una prestazione previ-denziale, ma di una forma di cofinanziamento di programmi formativi, che può,

loro volta vincolati a recepire le previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro), riproduce so-stanzialmente la formula legislativa: «… specifici istituti per il perseguimento … di politiche attive di sostegno del reddito e dell’occupazione, prevedendo criteri, entità e modalità di concessione de-gli interventi e dei trattamenti da essi previsti». L’art. 5, comma 1, n. 2), del d.m. 28 aprile 2000, n. 158, recante il regolamento settoriale del credito, in attuazione del contratto collettivo nazionale del 28 febbraio 1998, analogamente prevede «specifici trattamenti a favore dei lavoratori interessati da riduzioni dell’orario di lavoro o da sospensione temporanea dell’attività lavorativa anche in concor-so con gli appositi strumenti di sostegno previsti dalla legislazione vigente».

54 Tuttavia, il 1° periodo del comma 12 ammette l’istituzione di fondi bilaterali destinati a eroga-re solo prestazioni di questo tipo (integrative dell’Aspi; di accompagnamento alla pensione; forma-tivo-riqualificative), per le imprese che rientrino nel campo di applicazione della normativa in mate-ria di integrazioni salariali.

55 Va a tale proposito segnalato un difetto di coordinamento tra il comma 11, e il comma 32, lett. a), come modificato dall’art. 1, comma 251, lett. c), l. n. 228/2012: mentre quest’ultimo – riferi-to alle prestazioni – contempla ormai «prestazioni integrative rispetto alle prestazioni pubbliche previste in caso di cessazione del rapporto, ovvero prestazioni integrative, in termini di importo, in relazione alle integrazioni salariali», il comma 11 – riferito alle “finalità” – non è stato modificato, e continua a fare riferimento alle sole prestazioni integrative dell’AsPI. L’interpretazione sistematica impone di estendere anche alla disposizione che regola le “finalità” l’ampliamento dell’area di ope-ratività dei fondi di solidarietà.

56 Sulla natura ibrida dell’assegno straordinario di accompagnamento alla pensione, previsto an-che dall’art. 2, lett. e), d.m. n. 477/1997 e assurto a prestazione centrale nell’ambito del cd. “fondo credito” (v. art. 5, comma 1, lett. b), d.m. n. 158/2000), v., da ultimo, G. SIGILLÒ MASSARA, Le tute-le previdenziali in costanza, cit., 93, che osserva come si tratti di «prestazioni assimilabili … a pre-stazioni di mobilità/mobilità lunga, quanto alle condizioni di erogazione ed alla durata, ed ai pre-pensionamenti, quanto ad importo». Di «indennità di mobilità per gli esuberi» parla R. PESSI, Le-zioni di diritto della previdenza sociale, Padova, 2000, 488.

I fondi di solidarietà bilaterali 491

eventualmente, accompagnarsi a sospensioni dell’obbligazione lavorativa disposte contrattualmente. Peraltro, nell’esperienza dei fondi di solidarietà ex art. 2, comma 28, l. n. 662/1996, il contributo al finanziamento delle ore destinate alla realizza-zione di programmi formativi di riconversione e riqualificazione professionale era generalmente «pari alla corrispondente retribuzione lorda percepita dagli interessa-ti, ridotto dell’eventuale concorso degli appositi Fondi nazionali o comunitari»

57. In un comma diverso (il 17) da quello dedicato alle “finalità” dei fondi di soli-

darietà bilaterali, si rinviene, poi, una ulteriore finalità integrativa: quella di «in-tegrare», nella misura minima del venti per cento, l’indennità erogata dall’Aspi «ai lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali». A quanto già osservato in proposito, aggiungiamo che dal combinato disposto di questa norma con quel-la che abroga l’art. 19, comma 1-bis, l. n. 2/2009, deriva il venir meno della possi-bilità di essere ammessi agli ammortizzatori in deroga (nel periodo di loro residua vigenza: 2013-2016), in mancanza dell’integrazione economica dell’indennità di disoccupazione a carico dei fondi di solidarietà.

4. Modalità di istituzione dei fondi di solidarietà bilaterali

4.1. La fase negoziale e l’apparente analogia con le “fonti istitutive” della previ-denza complementare

Come nel modello disegnato dalla l. n. 662/1996, l’istituzione dei fondi di so-lidarietà bilaterali si perfeziona in due fasi, la prima delle quali di matrice nego-ziale e privato-collettiva, e la seconda di matrice normativa e pubblicistica.

La fase negoziale contempla la stipulazione, «entro sei mesi dalla data di en-trata in vigore della presente legge»

58, «per i lavoratori dei diversi comparti», di «accordi collettivi e contratti collettivi, anche intersettoriali», «aventi ad oggetto la costituzione» dei fondi in oggetto, ad opera delle «organizzazioni sindacali e imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale».

Volendo tracciare un parallelo con l’esperienza della previdenza complemen-tare, potrebbe riproporsi, nella nostra materia, la distinzione tra “fonte istitutiva” e “fonte costitutiva”: laddove la prima «delinea il programma pensionistico com-plementare» (in casu: lo schema di ammortizzatore sociale contrattuale) nelle sue “linee sostantive di fondo”, mentre alla seconda «spetta definire la struttura sog-gettiva e/o organizzativa strumentale alla concreta attuazione del programma previdenziale, completando, anche negli aspetti operativi e di dettaglio, la disci-plina dei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo al fondo», collocandosi

57 Così, per es., art. 9 del d.m. n.178/2005, istitutivo del fondo di solidarietà di Poste Italiane. V. G. SIGILLÒ MASSARA, Fondi di solidarietà e sistema previdenziale, cit., 57.

58 E ciò, «al fine di assicurare la definizione» del nuovo sistema di tutela, «entro l’anno 2013» (comma 4): questo l’incipit del comma 4.

Armando Tursi 492

in una posizione di «dipendenza funzionale», o forse meglio di «sotto-ordinazio-ne gerarchica rispetto alla fonte istitutiva»

59. Ma l’ipotesi va verificata anche e soprattutto alla luce del rapporto con i de-

creti ministeriali di recepimento dei detti contratti e accordi collettivi: analisi che svolgeremo più avanti.

Per il momento, appare più utile limitarsi ad alcune puntualizzazioni esegeti-che afferenti alla configurazione soggettiva e ai presupposti di legittimazione alla stipula degli accordi in questione.

4.1.1. Segue. I lavoratori parasubordinati

L’utilizzo dell’espressione “accordi” accanto a “contratti collettivi”, suggerisce una destinazione funzionale dei fondi in parola anche alle esigenze di tutela di prestatori di lavoro cd. “parasubordinati”: collaboratori coordinati e continuativi, a progetto, agenti, ecc.

Si prospetterebbe, a tale stregua, soprattutto la possibilità che i fondi di soli-darietà bilaterali possano integrare la scarna prestazione prevista, per i collabora-tori coordinati e continuativi, dall’art. 2, comma 51 della l. n. 92/2012

60. In questo caso, il richiamo alla disciplina settoriale della previdenza comple-

mentare è più agevole, perché la formula “accordi e contratti collettivi” è utilizza-ta (a termini invertiti) anche dall’art. 3 del d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252: e se-condo l’interpretazione prevalente, nel sistema della previdenza complementare sarebbero ammessi «accordi collettivi, istitutivi di forme pensionistiche comple-mentari, per i cd. lavoratori parasubordinati»

61. Non mancano, però, ostacoli a tale interpretazione, sul piano sia esegetico-

letterale che sistematico. Nell’art. 3 (commi 7, 13 e 19) della l. n. 92/2012, compare sempre e solo l’espres-

sione «datori di lavoro»”, e mai l’espressione «committente», presente invece nel-l’art. 8, comma 1, d.lgs. n. 252/2005.

Inoltre, ancora una volta si deve evidenziare che l’ambito di applicazione dei fondi di solidarietà bilaterali è disegnato con riferimento ai «settori non coperti

59 V. S. GIUBBONI, La previdenza complementare tra libertà individuale ed interesse collettivo, Ba-ri, 2009, 61-62; M. BESSONE, Previdenza complementare, Torino, 2000, 49. V. se vuoi, A. TURSI, La previdenza complementare nel sistema italiano di sicurezza sociale, Milano, 232 ss.

60 Possibilità che era da escludersi alla luce del testo originario del comma 32, che contemplava solo «prestazioni integrative … rispetto a quanto garantito dall’A.S.p.I.». Ma il nuovo testo della norma, introdotto dall’art. 1, comma 251, lett. c), l. n. 228/2012, prevede adesso che i fondi in paro-la possano erogare «prestazioni integrative rispetto alle prestazioni pubbliche previste in caso di cessazione del rapporto di lavoro».

61 A. BOLLANI, Fonti istitutive e autonomia collettiva nella riforma della previdenza complementare, in A. TURSI (diretto da), La nuova disciplina della previdenza complementare, in Nuove leggi civ. comm., 2007, 603-604. V. pure, R. VIANELLO, Previdenza complementare e autonoma collettiva, Padova, 2005, 157; S. GIUBBONI, Fonti istitutive e soggetti destinatari delle forme di previdenza complementare, in M. CINELLI, La previdenza complementare, in Comm. Schlesinger, Milano, 2010, 160-161.

I fondi di solidarietà bilaterali 493

dalla normativa in materia di integrazione salariale», e non con riferimento a spe-cifiche categorie di lavoratori o di contratti di lavoro.

Infine, mentre la logica del sistema di previdenza complementare è quella del-l’integrazione (o meglio, del “complemento”) di prestazioni pubbliche, la logica dei fondi di solidarietà in esame è soprattutto quella della sostituzione di presta-zioni che il regime generale garantisce solo ai lavoratori subordinati che operano in determinati settori.

La qualificazione degli accordi in parola come “collettivi”, e la partecipazione prevalente dei datori di lavoro al finanziamento dei fondi, esclude, infine, che il legislatore possa essersi riferito a quegli «accordi tra lavoratori autonomi … pro-mossi da loro sindacati …», cui pure fa riferimento l’art. 3, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 252/2005.

4.1.2. Segue. I livelli contrattuali e i requisiti di rappresentatività degli agenti negoziali

Una seconda questione che si pone, attiene al livello dei contratti collettivi isti-tutivi dei fondi.

La legge riferisce «il livello nazionale» all’ambito di rappresentatività 62 e non

all’ambito di applicazione (cd. “livello”) del contratto collettivo. Non è questo il primo caso in cui i due ambiti vengono distintamente conside-

rati: basti, per tutti, il riferimento al contratto collettivo “di prossimità”, che può essere stipulato a livello aziendale o territoriale, da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale

63. Dun-que, in coerenza con i percorsi tipici del «welfare aziendale»

64, potrebbe immagi-narsi una contrattazione di livello territoriale (sia settoriale che “intersettoriale”), oppure inter-aziendale/di gruppo (scartandosi l’improbabile ipotesi del fondo di solidarietà mono-aziendale), istitutiva di un fondo di solidarietà appunto, territo-riale o di gruppo, purché ne siano parti stipulanti «organizzazioni sindacali e im-prenditoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale».

Degno di nota è un ulteriore tratto distintivo rispetto al sistema delle fonti del-la previdenza complementare: a differenza di quest’ultimo, che non impone alcu-na speciale qualificazione soggettiva delle organizzazioni sindacali stipulanti 65, nel caso dei fondi di solidarietà bilaterali la legge prescrive un requisito di rappresen-tatività qualificata, ricorrendo alla formula ormai tralaticia della rappresentatività “comparativamente maggiore”. Ciò è coerente con la più marcata funzionalizza-

62 «… le organizzazioni sindacali e imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale stipulano …».

63 Oltre che «dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda …»: art. 8, l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. con modif., dalla l. 14 settembre 2011, n. 148.

64 V. T. TREU, Welfare e benefits. Esperienze aziendali e territoriali, in T. TREU (a cura di), Ma-nuale di welfare aziendale, Torino, 2012.

65 V. A. TURSI, La previdenza complementare nel sistema, cit., 188.

Armando Tursi 494

zione dell’autonomia privata collettiva rispetto all’obiettivo previdenziale perse-guito, che caratterizza i fondi di solidarietà bilaterali anche rispetto alla previden-za complementare

66. Quella della “rappresentatività comparativamente maggiore” è una formula,

per la verità, mai fino in fondo chiarita sul piano teorico 67, che tuttavia, applicata

alla complessa struttura delle fonti che caratterizza i fondi di solidarietà bilaterali – la quale contempla il necessario recepimento del contratto collettivo in un de-creto interministeriale (v. avanti) –, meglio si presta alla soluzione, suggerita in dottrina, di considerare idoneo oggetto di rinvio il contratto collettivo stipulato dalle «associazioni cumulativamente più rappresentative di quelle rimaste dissen-zienti»

68. In tal modo, sarebbero de plano risolti anche i problemi derivanti da una eventuale contrattazione “separata”, o addirittura da una contrattazione plu-rima insistente sul medesimo settore/ambito di applicazione.

4.1.3. Obbligatorietà del sistema dei fondi di solidarietà

La più intensa funzionalizzazione dei fondi di solidarietà bilaterali, rispetto a pregresse esperienze di previdenza contrattuale – che si tratti della previdenza pen-sionistica complementare, ovvero dei fondi di solidarietà ex lege n. 662/1996 –, sembra toccare la massima intensità con la previsione della obbligatorietà della loro istituzione: non solo il comma 4 dell’art. 3 prevede che la stipulazione dei re-lativi «accordi e contratti collettivi» avvenga «entro 12

69 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge», ma il comma 10 afferma esplicitamente che «l’isti-tuzione dei fondi di cui al comma 4 è obbligatoria per tutti i settori non coperti

66 Giudizio, questo, diffuso tra i primi commentatori. V. M. CINELLI, Gli ammortizzatori sociali nel disegno, cit., 22 ss.; L. MARIUCCI, Ammortizzatori sociali e licenziamenti collettivi nella riforma del mercato del lavoro, in Mass. giur. lav., 2012, 492; G. SIGILLÒ MASSARA, Le tutele previdenziali in costanza di rapporto di lavoro, in A. VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, Torino, 2012, 88 ss.; M. SQUEGLIA, Previdenza contrattuale e fondi di solidarietà, cit., 631 ss., spec. 644.

67 Per valutazioni problematiche su questa nozione, nata per selezionare un contratto collettivo tra più contratti collettivi astrattamente applicabili ai fini della individuazione della retribuzione imponibile ai fini contributivi (art. 2, comma 25, l. 28 dicembre 1995, n. 549), e poi assurta a crite-rio selettivo degli agenti contrattuali per la stipula di contratti collettivi oggetto di rinvio legale, o comunque abilitati a derogare in peius e/o con efficacia generale a norme inderogabili di legge, v. M. D’ANTONA, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1998, 675; M.V. BALLESTRERO, Diritto sindacale, Torino, 2007, 132-133.

68 F. SCARPELLI, Rappresentatività e contrattazione tra l’accordo unitario di giugno e le discutibili ingerenze del legislatore, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 127/2011, in <http://www.lex. unict.it/eurolabor/ricerca/wp/it/scarpelli_n127-2011it.pdf)>. Tesi, questa, che riteniamo condivisibi-le solo con riferimento a ipotesi che, come quella in oggetto, facciano riferimento a effetti ricondu-cibili a una fonte non negoziale, tenuta a recepire i contenuti della fonte negoziale; e non invece quando vengano in considerazione effetti direttamente riconducibili al contratto collettivo.

69 L’originario termine di 6 mesi è stato così prolungato dall’art. 1, comma 251, lett. a), della l. 24 dicembre 2012, n. 228 (cd. “legge di stabilità” per il 2013).

I fondi di solidarietà bilaterali 495

dalla normativa in materia di integrazione salariale in relazione alle imprese che occupano mediamente più di quindici dipendenti …».

La previsione legislativa, se fosse da prendere sul serio, sarebbe una patente violazione del principio di libertà sindacale; o meglio, essendo priva di sanzione a carico dei presunti destinatari dell’“obbligo”, non sarebbe nemmeno da conside-rarsi una vera e propria prescrizione normativa.

La verità è che la norma in questione va letta in combinato disposto con quel-lo che, lungi dal configurarsi come una “sanzione”, si rivela essere l’unico reale effetto della mancata stipulazione degli accordi e contratti collettivi: l’intervento – questo sì, necessitato

70 – del “fondo residuale” di cui al comma 19 (v. avanti). Proprio quest’ultima è la previsione in cui si sostanzia l’obbligatorietà del “si-

stema” delle «tutele in costanza di rapporto di lavoro» disegnato dall’art. 3: del “sistema”, appunto, e non dei fondi; o comunque, non dei fondi a genesi contrat-tuale, di cui al comma 4.

Ciò precisato, anche la questione del coordinamento tra il termine (origina-riamente di 6, e, dopo la modifica introdotta dalla l. n. 228/2012) di 12 mesi, en-tro cui dovrebbero stipularsi i contratti collettivi istitutivi del fondi bilaterali ai sensi del comma 4, e il termine del 31 marzo 2013, entro il quale detti accordi dovrebbero stipularsi per evitare di ricadere nell’ambito di applicazione del “fondo residuale”, ai sensi del comma 19 71, si risolve facilmente: la mancata sti-pulazione dei predetti accordi collettivi entro il 31 marzo 2013 rende senz’altro applicabile il fondo “residuale”, se e quando istituito; ma la stipula di un contrat-to collettivo, successiva sia alla scadenza del termine del 31 marzo 2013, sia alla scadenza annuale prevista dal comma 4, sia, infine, alla stessa costituzione del fondo residuale, è senz’altro idonea a sottrarre i destinatari al fondo residuale, “obbligando” comunque i competenti ministri ad attivarsi per la procedura di re-cepimento del contratto ai sensi del comma 5 (v. avanti)

72. Anche questo è un aspetto della disciplina che può utilmente giovarsi del-

l’esperienza della previdenza complementare: anche in quel sistema, infatti, la forma pensionistica complementare residuale è un mero fondo di default, e per-tanto è garantita la possibilità di uscita (non per abbandonare il sistema di previ-denza complementare, ma) per trasferire la propria posizione ad una forma pen-sionistica complementare negoziale

73.

70 In senso analogo, M. LAI, I fondi bilaterali di solidarietà, cit., 2. 71 V. G. SIGILLÒ MASSARA, Le tutele previdenziali in costanza di rapporto, cit., 90; D. GAROFALO,

Gli ammortizzatori sociali per la riforma Fornero, cit., 1011, parla di “cedevolezza” del fondo resi-duale, nel senso che «ove stipulato nel settore scoperto il fondo bilaterale, dovrebbe venir meno per quel settore l’operatività del fondo residuale, non potendosi, quindi, escludere che quest’ultimo, unico per tutti i settori scoperti, possa venir totalmente meno».

72 È espressamente previsto, del resto, che, con le medesime modalità con cui si procede alla isti-tuzione dei fondi (accordo collettivo e recepimento in decreto ministeriale), si possa procedere a «modifiche degli atti istitutivi di ciascun fondo»: v. il comma 6.

73 Art. 9, comma 3, d.lgs. n. 252/2005.

Armando Tursi 496

4.2. La fase normativo-regolamentare

Il comma 5 dell’art. 3 prevede che «entro i successivi tre mesi, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’eco-nomia e delle finanze», si provveda all’«istituzione presso l’Inps dei fondi di cui al comma 4». Naturalmente, i tre mesi decorreranno, per ogni fondo, dalla data di stipula del relativo accordo o contratto collettivo; e naturalmente, si tratta di un termine ordinatorio

74, poiché non è immaginabile il venir meno del potere di costituire il fondo una volta decorsi i tre mesi, stante l’“obbligatorietà” (nel senso sopra chiarito) della costituzione dei fondi medesimi.

Semmai, ci sarebbe da interrogarsi sugli effetti della istituzione del fondo ad opera della contrattazione collettiva, nelle more della costituzione del fondo ai sensi del comma 5: problema, questo, forse di scarso impatto pratico

75, ma di no-tevole spessore teorico, poiché coinvolge la questione della natura giuridica dei fondi in parola, e prima ancora quella del rapporto tra le fonti privatistico-nego-ziali e quelle pubblicistico-normative dei fondi di solidarietà bilaterali.

La tematica è già stata affrontata sia con riferimento ai fondi istituiti ex lege n. 662/1996

76, sia con riferimento ai fondi pensione 77: la sintesi che se ne può trarre

sconta la diversità tra i due fenomeni, pur riconducibili a una ampia nozione di “previdenza contrattuale”.

Nei fondi ex lege n. 662/1996, «l’accordo sindacale rappresenta presupposto dell’esercizio del potere regolamentare e contenuto vincolante dei regolamenti», sicché i “regolamenti” (e non i contratti) sono «la fonte che … regola direttamen-te ed esaustivamente i fondi»; e, quanto alla natura giuridica, detti fondi «non presenta(no) nessuna delle caratteristiche che tipizzano la formula associativa», essendo invece assimilabili alle «distinte gestioni che già caratterizzano la plurali-stica organizzazione interna dell’Inps»: non solo sotto il profilo strutturale-soggettivo, ma anche e soprattutto sotto il profilo funzionale, «postulando una tutela “in caso di disoccupazione involontaria”», riconducibile a quella contem-plata dall’art. 38, comma 2, Cost. 78.

74 G. SIGILLÒ MASSARA, Le tutele previdenziali, cit., 90. 75 La questione si è concretamente posta con riferimento ai settori del credito, del credito coo-

perativo e delle poste, per i quali l’art. 59, comma 3, l. 27 dicembre 1997, n. 449, aveva consentito l’anticipazione degli effetti determinati dalla costituzione dei fondi ex lege n. 662/1997, «mediante l’erogazione di emolumenti rateali (definiti dalla legge come “incentivi all’esodo”) comprensivi del-la contribuzione figurativa»: lo ricorda G. SIGILLÒ MASSARA, Fondi di solidarietà e sistema previ-denziale, cit., 36 ss.

76 V. A. PANDOLFO-I. MARIMPIETRI, Ammortizzatori sociali fai da te, cit., 118 ss., 133 SS.; G. SI-GILLÒ MASSARA, Fondi di solidarietà e sistema previdenziale, cit., 37 ss. Da ultimo, M. SQUEGLIA, Previdenza contrattuale e fondi di solidarietà, cit., 643 ss.

77 La produzione dottrinale sul tema è amplissima. Da ultimo, anche per i riferimenti dottrinali, S. GIUBBONI, Fonti istitutive e soggetti destinatari, cit., 101 ss.; E. DEL PRATO, Inquadramento priva-tistico dei fondi pensione, in M. CINELLI, La previdenza complementare, cit., 45 ss.

78 A. PANDOLFO-I. MARIMPIETRI, Ammortizzatori sociali fai da te, cit., 118-119, 134-135. V. pure P. TULLINI, In attesa di una riforma: il modello di solidarietà dei bancari, in Lav. dir., 1999, 375.

I fondi di solidarietà bilaterali 497

Quanto ai fondi pensione, pur valendo anche per essi l’argomento della ri-conducibilità alla funzione previdenziale ex art. 38, comma 2, Cost. 79, è tuttavia pacifica sia la loro natura privatistica – come soggetti giuridici o come patrimoni segregati all’interno di soggetti giuridici privati –, sia la natura negoziale-pri-vatistica e non normativo-pubblicistica delle loro fonti istitutive e costitutive (o meglio, la riconducibilità degli effetti regolativi dei rapporti di previdenza com-plementare, direttamente alle fonti negoziali, e non a fonti normative che le rece-piscano o che ad esse deleghino funzioni regolative proprie)

80. Se, dunque, per i fondi pensione non si pone un problema di efficacia, per co-

sì dire, interinale e iure communi delle fonti istitutive, in attesa dell’emanazione di quelle costitutive, ma piuttosto il problema della illiceità (anche penale) dell’eser-cizio dell’attività in assenza delle autorizzazioni e approvazioni della COVIP

81; per i fondi di solidarietà si pone il problema della efficacia negoziale che accordi e contratti collettivi sono comunque idonei a produrre prima e indipendentemente dal loro recepimento nei regolamenti ministeriali (propriamente) istitutivi dei fondi medesimi, e del trattamento fiscale e contributivo delle prestazioni eventualmente erogate

82. Sembra sostanzialmente condivisibile, sul punto, la tesi secondo cui la netta

distinzione tra lo stadio “negoziale” e quello “regolamentare”, che caratterizza i fondi di solidarietà bilaterali, si riflette sulla dinamica delle fonti: il primo stadio, “ che vede solo un intervento da parte della contrattazione collettiva, è finalizzato all’istituzione del Fondo”; il secondo, invece, che «si verifica solo successivamen-te al decreto interministeriale che determina la costituzione del medesimo presso l’Inps», «consente l’inquadramento del Fondo medesimo tra gli strumenti “pub-blicistici” a sostegno del reddito». Sicché, «nella prima fase di costituzione degli strumenti in parola, i fondi sarebbero da inquadrarsi tra gli enti di fatto ex art. 36 cod. civ.», poiché «in tale momento … essi sono frutto solo e soltanto dell’auto-

79 Per tutti, e sulla scorta della giurisprudenza costituzionale, v. R. PESSI, Una lezione di etica po-litica: la Corte costituzionale e la previdenza complementare, in Mass. giur. lav., 2000, 963 ss.

80 V. A. BOLLANI, Istituzione delle forme pensionistiche complementari, nonché ID., Costituzione dei fondi pensione e autorizzazione all’esercizio, in A. TURSI (diretto da), La nuova disciplina della previdenza complementare, cit., 593 ss., 610 ss.

81 Di «un procedimento di diritto privato necessariamente preliminare alle fasi di un procedi-mento amministrativo» parla M. BESSONE, Previdenza complementare, Torino, 2000, 165. V. pure, E. DEL PRATO, Inquadramento privatistico dei fondi pensione, cit., 68 ss.

82 Il problema si pone soprattutto con riferimento ai contributi previdenziali versati dal datore di lavoro in aggiunta all’assegno straordinario di accompagnamento alla pensione: tali contributi, in assenza di una specifica previsione legale – come quella che impone la contribuzione cd. “correlata” a fronte della corresponsione delle prestazioni da parte dei fondi di solidarietà costituiti secondo il modello legale –, e in assenza di una specifica domanda di ammissione alla prosecuzione volontaria presentata dal lavoratore e accolta dall’Inps, avrebbero la medesima natura (retributiva) della pre-stazione cui pretenderebbero di accedere, sarebbero fiscalmente imponibili al medesimo titolo (di incentivi all’esodo), sarebbero, ove già versati all’Inps, ripetibili (non essendo gli incentivi all’esodo contributivamente imponibili), e non potrebbero essere computati ai fini pensionistici.

Armando Tursi 498

nomia privata, pur collettiva, la quale disciplina integralmente la vita di ciascun Fondo»; «al contrario, la recezione del regolamento del Fondo in un decreto in-terministeriale e, soprattutto, la conseguente costituzione dei Fondi presso l’Inps, determinano un mutamento genetico degli stessi, che assumono una configura-zione analoga a quella delle altre gestioni previdenziali già operanti presso l’ente pubblico»

83. Ad ogni modo, la questione della configurazione strutturale dei fondi di soli-

darietà bilaterali a base negoziale ex lege n. 92/2012 è inequivocabilmente chiari-ta dalla legge: il comma 8 dell’art. 3 prevede espressamente che essi «non hanno personalità giuridica e costituiscono gestioni dell’Inps».

Passando dal piano strutturale al piano funzionale, deve affermarsi che anche nei settori coperti dal regime generale delle integrazioni salariali vale la libertà dell’assistenza privata e dell’autonomia collettiva

84, e dunque non potrebbe con-siderarsi preclusa per legge l’istituzione per via negoziale di fondi di solidarietà, o di altri strumenti, finalizzati a realizzare forme di assistenza o previdenza privata “libere” anche in materia di “tutele in costanza di rapporto”; tanto più che, come già osservato, queste tutele non sono propriamente riconducibili alla nozione di “disoccupazione” considerata dall’art. 38, comma 2, Cost. 85.

La conseguenza che deve trarsi dalle osservazioni che precedono, è che even-tuali fondi o enti bilaterali di solidarietà “liberi” o “atipici” – cioè non corrispon-denti, sotto il profilo strutturale e/o funzionale, al modello disegnato dalla rifor-ma Fornero –, non potrebbero considerarsi illeciti (né le loro fonti istitutive inva-lide), ma solo sottratti al regime promozionale della l. n. 92/2012: regime che, per effetto della natura regolamentare-pubblicistica della fonte (propriamente) istitu-tiva, si traduce nella loro (dei fondi, non dei contratti) obbligatorietà erga omnes e nella loro idoneità a costituire rapporti giuridici di natura contributivo-pub-blicistica

86, sia nella fase di raccolta delle provviste (rapporto contributivo) 87, che

nella fase di erogazione delle prestazioni. Di qui la necessità di una gestione sepa-

83 Così, G. SIGILLÒ MASSARA, Fondi di solidarietà e sistema previdenziale, cit., 39. 84 Per l’analogo problema che si pone con riferimento alla previdenza complementare, v. A.

TURSI, La previdenza complementare nel sistema, cit., 61 ss., 65 ss. 85 Ma v. M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, cit., 174-175. 86 Opinione pressoché unanime in dottrina, già con riferimento ai fondi ex lege n. 662/1996: v.

G. SIGILLÒ MASSARA, Fondi di solidarietà e sistema previdenziale, cit., 35 ss.; A. PANDOLFO-I. MA-

RIMPIETRI, Ammortizzatori sociali fai da te, cit., 121, e 111, nt. 25; ma già F. LISO, Autonomia collet-tiva e occupazione, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1998, 254. E confermata dai primi commentatori con riferimento ai fondi di solidarietà bilaterali della riforma Fornero: v. lo stesso G. SIGILLÒ MASSARA, Le tutele previdenziali in costanza di rapporto di lavoro, cit., 90; G. FERRARO, Ammortizzatori sociali e licenziamenti collettivi, cit., 492; D. GAROFALO, Gli ammortizzatori sociali per la riforma Fornero, cit., 1011.

87 Per la diversa impostazione seguita per la previdenza complementare v., se vuoi, A. TURSI, La natura giuridica e la disciplina legale dell’obbligazione contributiva del datore di lavoro nelle forme pensionistiche complementari, in Riv. prev. pubbl. e priv., 2002, 489 ss.

I fondi di solidarietà bilaterali 499

rata delle prestazioni conformi al modello legale, attribuita a una gestione interna dell’Inps (v. avanti).

5. Il contenuto dei decreti istitutivi e gli spazi di “discrezionalità” dei fondi di solidarietà bilaterali

A tenore del comma 7, i decreti ministeriali di recepimento degli accordi e con-

tratti, collettivi, oltre a istituire concretamente il fondo, rendendo possibile l’in-staurazione dei rapporti giuridici previdenziali che danno corpo all’istituto in esa-me, ne determinano – sempre «sulla base degli accordi» – l’«ambito di applica-zione … con riferimento al “settore di attività”, alla “natura giuridica dei datori di lavoro», e alla loro «classe di ampiezza».

Trattandosi di contenuto “vincolato” rispetto alle determinazioni della fonte collettiva presupposta, la norma va intesa come vincolo posto, prima che ai rego-lamenti, alle stesse fonti collettive, ove esse intendano addivenire alla costituzione dei fondi disciplinati (e con gli effetti voluti) dalla legge.

Ci si potrebbe chiedere se le fonti istitutive (intendendosi per tali, a questo punto, il combinato disposto dei contratti collettivi presupposti e dei rispettivi decreti di recepimento) abbiano qualche spazio di discrezionalità in ordine alla definizione del campo di applicazione dei fondi: per esempio, se possano porre tetti massimi alle soglie occupazionali di accesso alle tutele, nel rispetto della so-glia minima dei quindici dipendenti; ovvero individuare specifiche sottocategorie di imprese o di dipendenti escluse/i dalla tutela.

L’istintiva risposta negativa, che parrebbe indotta dalla finalità universalistica dei fondi in parola, dev’essere attentamente meditata alla luce della considerazio-ne che non i singoli fondi, ma l’intero sistema disegnato dalla legge, è funzionaliz-zato al perseguimento di quella finalità.

Non va dimenticato, allora, innanzi tutto, che quella di “settore” o “categoria” non è nozione ontologica nell’ambito dell’autonomia collettiva, restando la defi-nizione del proprio ambito di applicazione rimessa alla stessa autonomia colletti-va

88. Si potrebbe obiettare che in materia previdenziale vale la regola inversa, della

definizione eteronoma dell’ambito di applicazione della disciplina 89. Ma si deve

pur considerare la presenza, nel sistema di tutele in costanza di rapporto di lavo-ro, del “fondo residuale” di cui al comma 19, da istituirsi (questo sì, “obbligato-riamente”) per offrire tutela a tutti i lavoratori esclusi sia dal regime generale del-le integrazioni salariali, sia dai fondi di solidarietà a base negoziale.

88 Il riferimento, obbligato anche perché insuperato per chiarezza, è a F. MANCINI, Libertà sin-dacale e contratti collettivi erga omnes, Riv. trim. dir. proc. civ., 1963, 570 ss.

89 Basti por mente al rilievo dell’inquadramento previdenziale del’impresa: v., in generale, M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, cit., 165 ss..

Armando Tursi 500

Dovendo la previdenza contrattuale (questo il suo tratto distintivo rispetto alla previdenza pubblica) conformarsi al principio di contemperamento tra le esigen-ze di tutela e quelle di libertà di cui ai commi, rispettivamente, 2 e 5 dell’art. 38 Cost. 90, si deve ritenere che i fondi di solidarietà a base negoziale siano liberi di definire il proprio ambito di applicazione, col solo vincolo che debba trattarsi di dipendenti di settori esclusi dal regime generale delle integrazioni salariali, di-pendenti da datori di lavoro con più di quindici addetti; e naturalmente, nel ri-spetto del divieto di discriminazioni

91. Coloro che non rientreranno nell’ambito suddetto, ricadranno nell’ambito di tutela del fondo residuale.

Così, per fare un esempio concreto, potrà istituirsi un fondo di solidarietà per i soli funzionari e/o dirigenti bancari, o per i dipendenti di imprese commerciali fino a venti addetti: i dipendenti del comparto bancario con qualifica inferiore, così come i dipendenti di imprese commerciali con un numero di addetti com-preso tra ventuno e cinquanta, ricadranno nel “fondo residuale”.

E ancora, sembra coerente con quanto sopra ammettere che i fondi di solida-rietà bilaterali a base negoziale possano offrire tutela anche a lavoratori che, se fossero dipendenti di imprese appartenenti a settori coperti dalle integrazioni sa-lariali, non avrebbero diritto alle medesime, per carenza del requisito soggettivo dei novanta giorni di anzianità di servizio: come s’è detto, i fondi non possono offrire tutela ai dipendenti di imprese appartenenti a settori coperti dalle integra-zioni salariali, che non siano in possesso del predetto requisito soggettivo; ma ciò non implica che quel requisito debba applicarsi anche nel fisiologico ambito di applicazione dei fondi di solidarietà bilaterali (quello, cioè, dei «settori non co-perti dalla normativa in materia di integrazione salariale»).

Conferma di ciò ci sembra di poter trovare nella disposizione di cui al 2° pe-riodo del comma 7, dove si accenna al «superamento dell’eventuale soglia dimen-sionale fissata per la partecipazione al fondo»: si ammette dunque la possibilità che il fondo preveda soglie dimensionali ulteriori rispetto a quella minima legale dei quindici dipendenti.

6. La governance dei fondi di solidarietà bilaterali

Si è già detto che, diversamente dai fondi pensione (almeno, quelli «costituiti

nell’ambito di categorie, comparti o raggruppamenti» 92), i fondi di solidarietà bi-

laterali non hanno personalità giuridica e costituiscono gestioni dell’Inps.

90 Per un tentativo di sviluppo analitico di tale impostazione, calibrato sulla previdenza com-plementare v., se vuoi, A. TURSI, La previdenza complementare, cit., 61 ss., 93 ss.

91 V. O. BONARDI, Da cavallo di Troia a leva di Archimede. Previdenza complementare e diritto antidiscriminatorio in Europa, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” INT, n. 83/2010, in <http://aei. pitt.edu/32360/1/bonardi_n83-2010int.pdf>.

92 V. art. 4, comma 5, d.lgs. n. 252/2005.

I fondi di solidarietà bilaterali 501

Conseguentemente, anche le modalità gestionali e la governance di tali fondi so-no assimilate a quella delle cdd. “gestioni interne” dell’istituto previdenziale pub-blico: a cominciare dagli “oneri di amministrazione”, che sono disciplinati, appun-to, dal «regolamento di contabilità dell’Inps» (comma 9).

Il sistema di amministrazione e controllo di gestione dei fondi in parola ripro-duce, con poche varianti, quello dei fondi ex lege n. 662/1996, e marca, rispetto al sistema di governance dei fondi pensione, le differenze che riflettono la diversi-tà dei due modelli di previdenza contrattuale.

La governance dei fondi pensione negoziali mira a realizzare forme di autogo-verno, da parte dei destinatari, di programmi previdenziali che sono espressione diretta di interessi collettivi negozialmente organizzati, in un quadro di regole di garanzia e sotto la vigilanza di un organismo esterno indipendente. Pertanto, essa si basa sul principio di partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori e dei da-tori di lavoro agli organi sia di amministrazione che di controllo, sul metodo elet-tivo per la designazione dei rappresentanti dei lavoratori, sulla nomina (ad opera del consiglio di amministrazione) di un responsabile del fondo “autonomo e in-dipendente”, incaricato di verificare «che la gestione del fondo sia svolta nell’e-sclusivo degli aderenti»; il tutto, sotto la vigilanza di una specifica autorità indi-pendente, quale è la commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP)

93. I fondi di solidarietà bilaterali, invece, una volta realizzatasi la fattispecie lega-

le, sono organi del massimo ente previdenziale pubblico, veicolo di un program-ma previdenziale che non è riconducibile direttamente a un atto di autonomia negoziale. Conseguentemente, per essi non è né essenziale, né concepibile, un reale autogoverno ad opera dei destinatari della tutela, vigilato ab externo: alla partecipazione (elettiva per i lavoratori) dei rappresentanti delle categorie interes-sate negli organi di amministrazione e controllo, si sostituisce un concorso delle parti sociali 94 al solo organo di amministrazione.

Si tratta del “comitato amministratore”, nominato con decreto del Ministro del lavoro, che ne determina anche la durata in carica (comma 37)

95, e che è composto «da esperti designati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori stipulanti l’accordo o il contratto collettivo, in numero complessi-vamente non superiore a dieci, nonché da due funzionari, con qualifica di diri-gente, in rappresentanza, rispettivamente, del Ministero del lavoro e delle politi-che sociali e del Ministero dell’economia e delle finanze» (comma 36)

96.

93 V. R. BRUNI, La governance delle forme pensionistiche complementari, in A. TURSI, La nuova disciplina della previdenza complementare, cit., 622 ss.; F. MONTALDI, La concezione unitaria del si-stema di vigilanza, ivi, 826 ss.

94 L’art. 2, comma 28, lett. e), l. n. 662/1996, poneva il principio del “concorso delle pari socia-li” ai fondi di solidarietà istituiti presso l’Inps.

95 La durata normale, derogabile dal decreto, è di quattro anni. 96 Il comma prosegue prevedendo che «Le funzioni di membro del comitato sono incompatibili

con quelle connesse a cariche nell’ambito delle organizzazioni sindacali. Ai componenti del co-mitato non spetta alcun emolumento, indennità o rimborso spese».

Armando Tursi 502

Quanto al controllo, questo è affidato al collegio sindacale dell’Inps, i cui com-ponenti partecipano, con voto consultivo, unitamente allo stesso direttore generale dell’Inps (o suo delegato), alle riunioni del comitato amministratore (comma 40). Né esiste, ovviamente, alcuna autorità indipendente che vigili sui fondi di solida-rietà bilaterali, essendo essi parte dell’Inps.

Piuttosto, va rimarcato che il comitato amministratore applica, nella predispo-sizione dei “bilanci annuali, preventivo e consuntivo, della gestione”, “i criteri stabiliti dal consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps [comma 35, lett. a)].

Tra i compiti del comitato amministratore – che delibera a maggioranza, con prevalenza, in caso di parità, del voto del presidente (comma 39)

97 – rientrano poi quello di «deliberare in ordine alla concessione degli interventi e dei trattamenti» [lett. b)], «fare proposte in materia di contributi, interventi e trattamenti» [lett. c)], «vigilare sull’affluenza dei contributi, sull’ammissione agli interventi e sull’eroga-zione dei trattamenti, nonché sull’andamento della gestione» [lett. d)], «decidere in unica istanza sui ricorsi in ordine alle materie di competenza» [lett. e)].

Poiché le prestazioni erogate per la finalità di «assicurare ai lavoratori una tu-tela in costanza di rapporto di lavoro» consistono in assegni ordinari riconoscibili “in relazione alle causali previste dalla normativa in materia di Cassa integrazione ordinaria o straordinaria”, al comitato amministratore è devoluto anche il compi-to, che nell’ambito della normativa in materia di Cassa integrazione ordinaria o straordinaria spetta, rispettivamente, all’apposita commissione provinciale del-l’Inps (art. 8, l. n. 164/1975) e al Ministro del lavoro (art. 8, d.P.R. 10 giugno 2000, n. 218), di valutare e accertare la ricorrenza delle predette causali 98.

Di notevole rilievo è la previsione del comma 41, che costruisce un congegno di sospensione con eventuale annullamento in autotutela delle deliberazioni illegit-time del comitato amministratore, ripartito tra direttore generale e presidente dell’Inps: «L’esecuzione delle decisioni adottate dal comitato amministratore può essere sospesa, ove si evidenzino profili di illegittimità, da parte del direttore gene-rale dell’Inps. Il provvedimento di sospensione deve essere adottato nel termine di cinque giorni ed essere sottoposto, con l’indicazione della norma che si ritiene vio-lata, al presidente dell’Inps …; entro tre mesi, il presidente stabilisce se dare ulte-riore corso alla decisione o se annullarla. Trascorso tale termine la decisione divie-ne esecutiva».

La previsione segnala la particolare attenzione che la normativa pone soprat-

97 Il presidente è eletto dal comitato stesso trai propri membri: comma 38. 98 Secondo G. SIGILLÒ MASSARA, Le tutele previdenziali in costanza di rapporto di lavoro, cit., 92,

«il richiamo alle causali per la Cassa integrazione” vale “anche a delegare a ciascun comitato ammi-nistratore la verifica della transitorietà della causale che da luogo alla sospensione/riduzione del-l’attività che legittima la concessione del trattamento». In realtà, al comitato compete accertare e verificare la stessa ricorrenza della causale legittimante l’intervento del fondo. E si tratterà, come nella Cassa integrazione guadagni, di provvedimento di ammissione caratterizzato da discrezionalità amministrativa (Cass., sez. un., 20 giugno 1987, n. 5454). Sulla questione, non del tutto pacifica al-meno per quanto concerne le integrazioni salariali ordinarie, v. M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, cit., 353-356.

I fondi di solidarietà bilaterali 503

tutto sui profili dell’equilibrio economico e dell’autosufficienza finanziaria dei fondi di solidarietà bilaterali.

Infatti, tra i “profili di illegittimità” che giustificano l’esercizio dei poteri di cui al comma 41 rientra anche la violazione delle regole stabilite dai commi 26 e 27, se-condo cui «i fondi istituiti ai sensi dei commi 4, 14 e 19 hanno obbligo di bilancio in pareggio e non possono erogare prestazioni in carenza di disponibilità»; e «gli interventi a carico dei fondi di cui ai commi 4, 14 e 19 sono concessi previa costitu-zione di specifiche riserve finanziarie ed entro i limiti delle risorse già acquisite».

In stretta connessione funzionale con tali principi opera, sul piano della disci-plina di bilancio, la previsione secondo cui i fondi di solidarietà «hanno obbligo di presentazione, sin dalla loro costituzione, di bilanci di previsione a otto anni basati sullo scenario macroeconomico coerente con il più recente Documento di economia e finanza e relativa Nota di aggiornamento» (comma 28).

Sul piano della disciplina dei rapporti previdenziali, si prevede la possibilità di introdurre «modifiche in relazione all’importo delle prestazioni o alla misura dell’aliquota di contribuzione» mediante «decreto direttoriale dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dell’economia e delle finanze» – senza dunque il vaglio delle fonti negoziali –: di regola, su proposta del comitato amministrato-re

99; ma con l’importante precisazione che «in caso di necessità di assicurare il pareggio di bilancio ovvero di far fronte a prestazioni già deliberate o da delibe-rare, ovvero di inadempienza del comitato amministratore …, l’aliquota contribu-tiva può essere modificata» direttamente con il «decreto direttoriale» suddetto, «anche in mancanza di proposta del comitato amministratore» (comma 29).

«In ogni caso» – recita il comma 30 –, «in assenza dell’adeguamento contributi-vo di cui al comma 29, l’Inps è tenuto a non erogare le prestazioni in eccedenza».

È stato evidenziato come tutto ciò si risolva nella esclusione, in materia, del principio di automatismo delle prestazioni previdenziali

100; e ciò, nonostante l’ob-bligatorietà della forma di tutela e la connessa automaticità (della costituzione) del rapporto previdenziale

101. Peraltro, va pur ricordato che il principio di auto-maticità garantisce il diritto alla prestazione, ove ne siano maturati i presupposti, «anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti» (art. 2116 c.c.); mentre, nel caso in esame, il diritto viene meno non a fronte di un inadempimento contributivo datoriale (che anzi, ove il fondo non sia in squili-brio, deve considerarsi irrilevante), bensì a causa della mancanza di provvista economica derivante da uno squilibrio finanziario del fondo.

99 Che vi provvede «sulla base del bilancio di previsione di cui al comma 28»: così il comma 29. Ma v. pure il comma 6.

100 M. CINELLI, Gli ammortizzatori sociali, cit., 25; S. RENGA, La “riforma” degli ammortizzatori sociali, cit., 632.

101 E infatti, nella previdenza complementare, il principio di automaticità delle prestazioni non trova applicazione proprio a causa del carattere non obbligatorio di questa forma di previdenza con-trattuale, che si riflette nella corrispettività tra contributi e prestazioni: v. A. TURSI, La previdenza complementare nel sistema italiano, cit., 164-164 118 ss.; S. TOZZOLI, Le prestazioni di previdenza complementare, in A. TURSI (diretto da), La nuova disciplina della previdenza complementare, cit., 755 ss.

Armando Tursi 504

7. Il finanziamento dei fondi di solidarietà

7.1. Contributi ordinari, addizionali, straordinari

I fondi di solidarietà bilaterali (così come il fondo “residuale”) sono finanziati con tre diverse forme di contribuzione.

La forma di contribuzione “ordinaria”, costituita da una “aliquota ordinaria” stabilita dal decreto istitutivo (o modificativo), e ripartita tra datore di lavoro e lavoratore nella misura di due terzi e un terzo

102, non è determinata dalla legge se non nel “risultato”: essa dev’essere «tale da garantire la precostituzione di risorse continuative adeguate sia per l’avvio dell’attività sia per la situazione a regime» (comma 22).

In caso di effettivo ricorso al fondo, mediante erogazione dell’“assegno ordi-nario” sostitutivo dell’integrazione salariale (v. avanti), il datore di lavoro è obbli-gato al versamento di un «contributo addizionale, calcolato in rapporto alle retri-buzioni perse, nella misura prevista dai decreti» istitutivi, «e comunque non infe-riore all’1,5%» (comma 23)

103. Infine, in caso di ricorso all’“assegno straordinario” di accompagnamento alla

pensione (v. avanti), grava sul datore di lavoro «un contributo straordinario di importo corrispondente al fabbisogno di copertura dell’assegno medesimo e della contribuzione correlata (v. avanti) (comma 24)

104. Confermando la diversità di natura giuridica rispetto al rapporto di previden-

za complementare 105, è poi espressamente stabilito che «ai contributi di finanzia-

mento» dei fondi bilaterali e del fondo residuale «si applicano le disposizioni vi-genti in materia di contribuzione previdenziale obbligatoria

106, ad eccezione di quelle relative agli sgravi contributivi» (comma 25)

107.

102 Nei fondi ex lege n. 662/1996 la quota a carico dei lavoratori era solo “eventuale” (ossia, non imposta per legge), e «non superiore al 25 per cento del contributo». Quest’ultimo, però, era fissato a sua volta nel minimo dalla legge, in misura «non inferiore allo 0,50» per cento della retribuzione: v. art. 2, comma 28, l.n. 662/1996, lett. a) e c). Nella disciplina del trattamento straordinario di in-tegrazione salariale, l’aliquota è dello 0,90%, di cui lo 0,30 % a carico dei lavoratori.

103 Nei fondi ex lege n. 662/1996, il contributo addizionale non può essere superiore al triplo del contributo ordinario (e quindi, all’1,50%).

104 Identica la disciplina per i fondi ex lege n. 662/1996: ma questa volta sulla base della previ-sione (non della legge, bensì) del d.m. n. 477/1997 (v. art. 1, comma 2, lett. e).

105 V. A. TURSI, La natura giuridica e la disciplina legale dell’obbligazione contributiva, cit. 106 E quindi, tra l’altro: dell’art. 12, l. n. 153/1969 e dell’art. 51 del t.u.i.r, che escludono i con-

tributi previdenziali obbligatori dalla base imponibile previdenziale e fiscale; dell’art. 3, commi 9 e 10, l. n. 335/1995, sulla prescrizione del credito contributivo; dell’art. 116, l. n. 388/2000, sul regi-me sanzionatorio dell’inadempimento contributivo.

107 Analogamente: art. 2, comma 1, d.m. n. 477/1997; ma la norma deve considerarsi ricognitiva di una regola implicita nella natura pubblicistica dei rapporti previdenziali instaurati con i fondi ex lege n. 662/1997, stante la riserva di legge ex art. 23 Cost.

I fondi di solidarietà bilaterali 505

Si è detto che i fondi bilaterali possono essere costituti anche in settori già co-perti dalla normativa in materia di integrazioni salariali, allo scopo di erogare le sole prestazioni “eventuali” di cui al comma 12. In tal caso, ove si tratti di impre-sa assoggettata allo specifico contributo previsto dall’art. 16, comma 2, lett. a), l. n. 223/1991, per il finanziamento dell’indennità di mobilità, e considerato che l’indennità di mobilità, con il relativo contributo, cesserà a far data dal 31 dicem-bre 2016; è parso al legislatore ragionevole che, a decorrere dal 1° gennaio 2017, i fondi in questione possano essere finanziati con un contributo di ammontare pari (0,30%) a quello destinato a venir meno. Ciò non avverrà ope legis, ma sulla base di specifiche previsioni degli accordi e contratti collettivi di cui al comma 4 (comma 12, 2° periodo)

108.

7.2. Segue. La possibile “confluenza” dei fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua nei fondi di solidarietà bilaterali

Gli accordi e contratti collettivi istitutivi dei fondi bilaterali sono anche abili-tati a disporre la “confluenza”, nei fondi medesimi, del “fondo interprofessionale per la formazione continua”, eventualmente istituito dalle medesime parti stipu-lanti ai sensi dell’art. 118, l. 23 dicembre 2000, n. 388. Ove le fonti negoziali così dispongano, al fondo di solidarietà affluisce automaticamente anche il «contribu-to dello 0,30%» previsto dall’art. 25, comma 4 della l. 21 dicembre 1978, n. 845, ovviamente «con riferimento ai datori di lavoro cui si applica il fondo» di solida-rietà (comma 13).

Va a tale proposito ricordato che l’art. 118 della l. n. 388/2000, istitutiva dei fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua, consentì, ai datori di lavoro aderenti a uno di tali fondi, di svincolare dall’Inps il contributo integra-tivo istituito più di vent’anni prima dalla «legge quadro sulla formazione profes-sionale», per destinarlo al fondo prescelto

109. In effetti, tra le finalità “eventuali” dei fondi di solidarietà bilaterali rientra

quella di finanziare programmi formativi di riconversione e riqualificazione pro-fessionale: e questa tipologia di intervento è sicuramente assimilabile a quella ti-pica dei fondi paritetici interprofessionali 110. Ciò che è singolare, però, è che il

108 A quanto sembra, non è necessario in tal caso il recepimento nel decreto ministeriale. Ma ciò sembra attribuibile ad un refuso del legislatore, poiché il mancato recepimento renderebbe pro-blematica l’efficacia della previsione contrattuale nei confronti dei datori di lavoro non rientranti nel campo di applicazione iure communi del contratto collettivo.

109 In realtà, la legge ridusse dello 0,30% il contributo per la Cassa unica degli assegni familiari, dirottando tale aliquota all’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, con un vincolo di destinazione a favore del neo-istituito “fondo di rotazione” per la formazione continua. V. E. CARMINATI-L. CASANO-M. TIRABOSCHI, L’intervento sui fondi interprofessionali per la forma-zione continua. I nuovi fondi di solidarietà, in M. MAGNANI-M. TIRABOSCHI (a cura di), La nuova riforma del lavoro, cit., 384.

110 Lo rileva G. SIGILLÒ MASSARA, Fondi di solidarietà e sistema previdenziale, cit., 57.

Armando Tursi 506

contributo integrativo per la formazione professionale, di cui alla legge del 1978, ritorni adesso nell’ambito del sostegno (passivo) al reddito da disoccupazione

111. L’operazione affidata all’autonomia collettiva, peraltro, non è scevra da aspetti

problematici. Essa, infatti, è ammessa dalla legge solo a condizione che i soggetti stipulanti

del fondo a quo e di quello ad quem coincidano: circostanza la cui ricorrenza po-trebbe presentarsi in non pochi casi problematica. Inoltre, sconta la difficoltà de-rivante dalla “logica intersettoriale” (o forse meglio, “a-settoriale”) propria dei fondi paritetici per la formazione continua, l’adesione ai quali è stata praticamen-te liberalizzata dalla l. n. 388/2000 e poi dall’art. 2 della l. n. 2/2009, che hanno introdotto anche in questo settore del welfare negoziale il principio della portabi-lità

112, già fatto proprio dalla previdenza complementare 113.

Essendo il campo di applicazione dei fondi interprofessionali per la formazio-ne continua virtualmente sganciato dall’ambito di applicazione della fonte istitu-tiva, anche ove le fonti collettive disponessero la confluenza in parola, questa po-trebbe avere effetto solo per i datori di lavoro, aderenti al fondo interprofessiona-le, e rientranti nel campo di applicazione del fondo di solidarietà bilaterale; con conseguente, probabile necessità, per le imprese escluse, di trasferire il contribu-to dello 0,30%

114 a un altro fondo interprofessionale, o (come in origine) all’Inps. Analogo problema si pone, comunque, per le imprese con meno di sedici addetti, escluse dal campo di applicazione dei fondi di solidarietà

115. Infine, va osservato che la confluenza dei fondi interprofessionali per la for-

mazione continua ex lege n. 388/2000, nei fondi di solidarietà bilaterali ex lege n. 92/2012, realizzerebbe una sorta di novazione della natura giuridica dei contribu-ti versati dalle imprese, che, da contributi di natura privatistica, verrebbero ad assumere la natura di contributi previdenziali di natura pubblicistica

116.

111 Critici sul punto, E. CARMINATI-L. CASANO-M. TIRABOSCHI, L’intervento sui fondi interpro-fessionali, cit., secondo cui la norma in esame «interrompe e rovescia un processo evolutivo durato più di trent’anni, caratterizzato dalla finalità di riequilibrare, anche in linea con gli orientamenti del-le istituzioni europee, la distribuzione di risorse tra politiche passive (sostegno al reddito) e politi-che attive (formazione), a favore delle seconde». Ma già, con riferimento a quanto previsto dall’art. 36, comma 1, lett. a), l. 4 novembre 2010, n. 183, D. GAROFALO, Il fondo (di rotazione) per la forma-zione professionale alla luce del collegato lavoro 2010, in M. MISCIONE-D. GAROFALO (a cura di), Il collegato lavoro 2010, 489.

112 V. ancora, E. CARMINATI-L. CASANO-M. TIRABOSCHI, L’intervento sui fondi interprofessionali, cit., 384-385.

113 Sul tema, da ultimo, S.P. EMILIANI, La portabilità dei fondi di previdenza complementare come “vantaggio sociale”, in Riv. dir. sic. soc., 2011, 633 ss.

114 E l’eventuale contribuzione aggiuntiva. Solleva il problema M. LAI, I fondi bilaterali di solida-rietà, cit., 2.

115 Così, ancora, E. CARMINATI-L. CASANO-M. TIRABOSCHI, L’intervento sui fondi interprofessio-nali, cit., 385.

116 V., ancora, E. CARMINATI-L. CASANO-M. TIRABOSCHI, L’intervento sui fondi interprofessiona-li, cit., 388.

I fondi di solidarietà bilaterali 507

8. Il fondo di solidarietà “residuale”

Il sistema dei fondi di solidarietà si completa con la previsione del “fondo di

solidarietà residuale”, di cui ai commi 19, 20 e 21 dell’art. 3. Si è già rilevato sottolineato il significato sistematico di tale fondo, che riassu-

me in sé e definisce la dimensione “obbligatoria” del sistema dei fondi di solida-rietà, differenziandosi rispetto ad altre forme di tutela pur presenti in altri settori della previdenza contrattuale, come la previdenza complementare.

Anche in questo caso, il parallelo con la “forma pensionistica complementare” (anch’essa) “residuale” istituita (anch’essa) presso l’Inps ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 252/2005 può essere utile, ma a condizione che si mettano bene in chiaro le importanti differenze tra i due istituti, riflesso delle differenze tra i sottesi si-stemi di previdenza contrattuale.

Nel sistema di previdenza complementare, infatti, la forma pensionistica com-plementare residuale funge da collettore delle quote di trattamento di fine rap-porto che il lavoratore non abbia né liberamente conferito al fondo pensione ne-goziale prescelto, né deciso di «mantenere presso il proprio datore di lavoro» (cd. TFR “inoptato”), e che nemmeno siano confluite in una delle forme pensionisti-che negoziali destinate a raccogliere il TFR conferito “tacitamente”, a causa della loro inesistenza, inoperatività o inapplicabilità

117: il tutto, sul presupposto che il sistema di previdenza complementare è fondato su basi volontaristiche, che carat-terizzano, prima ancora che l’istituzione, l’adesione da parte dei lavoratori ad una forma pensionistica complementare (e ad una forma pensionistica complementa-re liberamente scelta)

118. Il sistema dei fondi di solidarietà bilaterali, invece, è realmente “obbligatorio”,

poiché l’“adesione” ad esso è legalmente necessitata: laddove non operino fondi a genesi contrattuale, il rapporto previdenziale – benché depotenziato, perché limi-tato alle sole prestazioni sostitutive delle integrazioni salariali (v. avanti) – si costi-tuisce comunque nei confronti del fondo residuale.

Non è dunque a parlarsi nemmeno di “onere” a carico delle organizzazioni sindacali (o dell’“autonomia collettiva”)

119; in verità, si riscontra semplicemente un sistema di tutele legalmente necessitato, con correlata obbligatorietà della par-tecipazione ad esso da parte dei destinatari, secondo lo schema proprio della sus-sidiarietà orizzontale, che esige l’intervento pubblico solo ove necessario per sus-sidiare il carente intervento privato

120.

117 V. D. GARCEA, L’ibrida natura del fondo complementare INPS, in A. TURSI (diretto da), La nuova disciplina della previdenza complementare, cit., 728 ss.; S. GIUBBONI, Fonti istitutive e soggetti destinatari, cit., 141 ss.

118 S. GIUBBONI, La previdenza complementare tra libertà individuale ed interesse collettivo, cit., 28 ss.

119 Così, G. SIGILLÒ MASSARA, Le tutele previdenziali in costanza di rapporto, cit., 90. 120 V., se vuoi, A. TURSI, La previdenza complementare, cit., 19-20.

Armando Tursi 508

Il fondo residuale non ha genesi negoziale, ma esclusivamente pubblicistica: la sua obbligatoria istituzione è rimessa a un «decreto non regolamentare del Mini-stro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze», «per i settori, tipologie di datori di lavoro e classi dimensionali comunque superiori ai quindici dipendenti, non coperti dalla normativa in mate-ria di integrazione salariale, per i quali non siano stipulati, entro il 31 marzo 2013, accordi collettivi volti all’attivazione di un fondo di cui al comma 4» (ossia, di un fondo di solidarietà bilaterale a genesi negoziale), «ovvero ai sensi del comma 14» (ossia di un fondo “alternativo”)

121. Al fondo residuale contribuiscono obbligatoriamente i datori di lavoro (e i lo-

ro dipendenti 122 come sopra identificati, secondo le misure e con le modalità va-levoli anche per i fondi di solidarietà bilaterali (v. supra, par.7.1)

123. Si tratta, come s’è detto, di un fondo di default, destinato a realizzare in ma-

niera universale la finalità istituzionalmente necessitata dei fondi di solidarietà, costituita, come s’è detto, dalla tutela in costanza di rapporto di lavoro nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria”: per la disciplina di tale intervento, il comma 20 rinvia al comma 31, e quindi essa è identica a quella dei fondi di solidarietà bilaterali.

Anche la governance del fondo residuale è disegnata in maniera analoga a quella dei fondi bilaterali: il comma 21 riproduce in sostanza i contenuti del comma 36 per quanto attiene alla composizione del comitato amministratore

124, mentre rinvia al comma 35 per la definizione dei compiti del comitato medesimo.

121 Così dispone il comma 19 dell’articolo 3. Per la verità, il termine del 31 marzo 2013 è stabili-to solo per la costituzione dei fondi di cui al comma 4; per quelli del modello “alternativo” è previ-sto l’adeguamento, ad opera delle fonti negoziali, entro il 18 gennaio 2013. In coerenza con quanto argomentato in relazione alla scadenza del termine per la costituzione dei fondi di cui al comma 4 (v. supra, par. 4.1.3.), riteniamo che, a far data dal 18 gennaio 2013, ove non siano stati stipulati i prescritti accordi di adeguamento, e fino a quando tali accordi non siano comunque stipulati, anche dopo quella data, i settori interessati sarebbero destinati a ricadere nel campo di applicazione del fondo di solidarietà residuale.

122 Il comma 19 stabilisce che al fondo residuale «contribuiscono i datori di lavoro dei settori identificati»; ma il comma successivo, specificamente dedicato alla disciplina della contribuzione e delle prestazioni, stabilisce che detto fondo è «finanziato con i contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori dei settori coperti».

123 Il comma 20 rinvia anche al comma 24, che riguarda il «contributo straordinario» «per la prestazione straordinaria» di agevolazione all’esodo con accompagnamento alla pensione. Tale pre-stazione, però, non rientra tra le finalità del fondo residuale, poiché lo stesso comma 20 include tra le prestazioni che il fondo deve assicurare, esclusivamente “la prestazione di cui al comma 31 (ossia, l’assegno ordinario per la sospensione o la riduzione dell’orario di lavoro).

124 Con la sola differenza che non è previsto il numero massimo di 10 componenti del comitato in rappresentanza delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali. Solo apparente è la differenza attinente al fatto che «le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori» da cui i detti componenti del comitato amministratore del fondo residuale sono designati, sono quelle «compa-rativamente più rappresentative a livello nazionale» (comma 21), e non quelle «stipulanti il

I fondi di solidarietà bilaterali 509

9. I fondi “preesistenti”

Il neo-riformatore non ha tenuto un atteggiamento iconoclasta nei confronti

delle esperienze preesistenti 125: se questa considerazione vale – come s’è visto – per gli “ammortizzatori in deroga”, vale a maggior ragione per le pregresse espe-rienze di previdenza contrattuale a sostegno della disoccupazione parziale o tota-le; e vale, in primo luogo, per l’esperienza alla quale il nuovo modello è diretta-mente riconducibile: quella dei fondi di solidarietà ex lege n. 662/1996.

Il comma 42 dell’art. 3, infatti – ancora una volta imitando il canovaccio della previdenza complementare

126 – prescrive l’“adeguamento” della «disciplina dei fondi di solidarietà istituiti ai sensi dell’articolo 2, comma 28, l. n. 662/1996, … alle “norme della presente legge”»

127. Ciò dovrà accadere in base a un meccanismo che replica quello istitutivo dei

fondi di solidarietà bilaterali: appositi «accordi collettivi e contratti collettivi» dovranno stipularsi «tra le organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale entro il 30 giugno 2013»; e alla loro stipula dovrà fare seguito il recepimento in un apposito «decreto del Ministro del lavoro e delle politiche so-ciali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze»

128. C’è da chiedersi che cosa accada nell’ipotesi di mancata stipulazione degli ac-

cordi e contratti collettivi entro la data prescritta: per un verso, l’adeguamento è previsto come necessario e inderogabile; per l’altro, è da escludersi la possibilità che il decreto di adeguamento venga emanato unilateralmente, in assenza cioè

contratto o l’accordo collettivo» (comma 36): infatti, le organizzazioni stipulanti l’accordo collettivo sono, appunto, quelle «comparativamente più rappresentative a livello nazionale» (comma 4).

125 V., infra, in questo volume, G. SIGILLÒ MASSARA, La disciplina intertemporale dei fondi bila-terali preesistenti, cap. XXX, 530.

126 V. A. OCCHINO, Le forme pensionistiche cdd. “preesistenti”, in A. TURSI (diretto da), La nuova disciplina della previdenza complementare, cit., 846 ss.

127 Adeguamento che dovrà riguardare aspetti quali: la disciplina, e prima ancora la tipologia, delle prestazioni (che, per esempio, dovranno necessariamente prevedere “almeno” l’assegno ordi-nario per sospensione o riduzione di orario, nel rispetto delle “causali” legali della Cigo e della Cigs); l’ammontare minimo e la ripartizione tra datore di lavoro e lavoratori dei contributi ordinari (che per i fondi ex lege n. 662/1996 sono stabiliti in misura non inferiore allo 0,50% della retribu-zione, di cui non più del 25% a carico dei lavoratori; mentre la l. n. 92/2012 impone direttamente il risultato della «precostituzione di risorse adeguate …», e pone a carico dei lavoratori il 33%); l’ammontare dei contributi addizionali (che per i fondi “preesistenti” dev’essere non superiore al triplo di quelli ordinari – e quindi, di norma, non superiore all’1,50% –, mentre per i fondi nuovi dev’essere non inferiore all’1,50%); la disciplina della governance (per i fondi preesistenti, in assen-za di regole dettate dalla legge n. 662/1996, la materia è stata regolata dall’art. 3 del d.m. n. 477/1997: ma sarà adesso necessario adeguarsi alle previsioni della legge n. 92/2012 in tema di bi-lanci, poteri del comitato amministratore, del direttore generale e del presidente dell’Inps; numero massimo dei componenti dei comitati amministratori, ecc.).

128 A far data dall’entrata in vigore di ciascuno dei suddetti decreti, è abrogato il decreto recante il regolamento del relativo fondo (comma 43).

Armando Tursi 510

dell’accordo sindacale. Del resto, anche in questo caso (come per l’istituzione dei fondi di solidarietà bilaterali) deve escludersi la perentorietà del termine previsto per la stipulazione degli accordi “di adeguamento”.

La questione va impostata, a nostro avviso, alla luce della prevista abrogazio-ne, a far data dal 1° gennaio 2014, dell’art. 2, comma 28, l. n. 662/1996 (nonché del d.m. attuativo, n. 477/1997): essendo tale norma la fonte legale di legittima-zione dei fondi da adeguare, deve ritenersi che, ove a quella data non siano entrati in vigore i decreti di recepimento degli accordi collettivi recanti il prescritto ade-guamento, l’intera regolamentazione pubblicistica dei fondi di solidarietà “pree-sistenti” decada, venendo essi – e le relative fonti negoziali istitutive – interamen-te restituiti al diritto comune (v. supra).

Il predetto “adeguamento” è imposto (con l’unica variante della possibilità che gli accordi e contratti collettivi possano essere anche “intersettoriali”), anche a due fondi di solidarietà “speciali”, istituiti, sul modello dell’art. 2, comma 28, l. n. 662/1996, in base a leggi successive: il «Fondo per il perseguimento di politi-che attive a sostegno del reddito e dell’occupazione per il personale delle società del Gruppo FS»

129 (comma 44); e il «fondo speciale per il sostegno del reddito e dell’occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del perso-nale del settore del trasporto aereo»

130 (comma 45). In quest’ultimo caso, tuttavia, trattandosi di settore ormai coperto dalla nor-

mativa in materia di integrazioni salariali (v. sopra), è da ritenere che il fondo in questione potrà operare solo allo scopo di erogare prestazioni integrative «rispet-to alle prestazioni pubbliche previste in caso di cessazione del rapporto di lavoro ovvero prestazioni integrative, in termini di importo, in relazione alle integrazioni salariali», o ancora, prestazioni di agevolazione all’esodo con accompagnamento alla pensione, o di finanziamento di programmi formativi (art. 3, comma 32).

129 Istituito in base all’art. 59, comma 6, 4° periodo, l. n. 449/1997: norma anch’essa abrogata a far data dal 1° gennaio 2014.

130 Istituito in base all’art. 1-ter, l. n. 291/2004: norma anch’essa abrogata a far data dal 1° gen-naio 2014. Si pone il problema della integrabilità, dopo il 31 dicembre 2013, delle prestazioni di integrazione salariale “in deroga” concesse, prima di tale data, ai sensi dell’art. 1-bis, l. n. 291/2004. Secondo la nota del comitato amministratore del fondo speciale del 26 settembre 2012, indirizzata alle associazioni di categoria, al Ministero del lavoro e al presidente dell’Inps, il fondo di “adegua-mento” destinato a sostituire dal 1 gennaio 2014 il vecchio fondo, sarebbe legittimato a erogare, fino al 31 dicembre 2015, «le prestazioni integrative degli ammortizzatori sociali per le delibere di ammissibilità effettuate dal fondo entro il 31 dicembre 2012». E ciò sulla base dell’argomento che le somme di cui all’art. 6-quater, comma 2, l. n. 43/2005 (addizionali comunali sui diritti di imbar-co), destinate a (co)finanziare il fondo in parola, solo dal 1 gennaio 2016 verranno destinate alla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno dell’Inps (v. art. 2, comma 47, l. n. 92/2012), e quindi, fino al 31 dicembre 2015 continueranno ad essere riversate al fondo di solidarietà, per il finanziamento delle relative prestazioni integrative. Il problema, però, non dovrebbe più sussistere, dopo che l’art. 1, comma 251, l. n. 228/2012 ha ammesso la possibilità che i fondi di solidarietà eroghino prestazioni integrative delle integrazioni salariali, modificando in tal senso il comma 32, lett. a) dell’art. 3, l. n. 92/2012.

I fondi di solidarietà bilaterali 511

10. I fondi “alternativi”

Nei riguardi, infine, dei settori non coperti dalla normativa in materia di inte-

grazione salariale, nei quali siano tuttavia già operanti “consolidati sistemi di bila-teralità”, la cautela del riformatore si trasforma in aperto favore, che arriva a le-gittimare un vero e proprio sistema alternativo a quello dei neo-istituiti (o “ade-guati”) fondi di solidarietà.

In tal modo, il legislatore riconosce la peculiarità del “canale bilaterale”, il cui «principale campo di intervento è stato, non a caso, quello dell’artigianato, noto-riamente caratterizzato da un elevato numero di imprese con una limitata dimen-sione occupazionale», e in cui «è da tempo presente un sistema di tutele gestito da enti bilaterali istituito per via contrattuale e rivolto alla garanzia del reddito in occasione di eventi come la sospensione o riduzione delle attività produttive con-seguenti a crisi temporanee»

131. «In considerazione delle peculiari esigenze dei predetti settori, quale quello

dell’artigianato», il comma 14 dell’art. 3 prevede che, «in alternativa al modello previsto dai commi da 4 a 13 e dalle rispettive disposizioni attuative di cui ai commi 22 e seguenti», le organizzazioni sindacali e imprenditoriali legittimate alla stipula degli accordi istitutivi dei fondi di solidarietà bilaterali possano, «nel ter-mine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, adeguare le fonti istitutive dei rispettivi fondi bilaterali alle finalità perseguite dai commi da 4 a 13, prevedendo misure intese ad assicurare ai lavoratori una tutela reddituale in costanza di rapporto di lavoro, in caso di riduzione o sospensione dell’attività la-vorativa, correlate alle caratteristiche delle attività produttive interessate».

È evidente la maggiore liberalità con cui queste forme di previdenza contrat-tuale sono trattate rispetto ai fondi di solidarietà preesistenti: qui si prescrive l’adeguamento “alle finalità”, e non all’intera “disciplina” recata dall’art. 3, l. n. 92/2012; ché anzi, l’adeguamento in parola è espressamente definito come “al-ternativo” al modello legale, comprensivo delle regole riguardanti le modalità isti-tutive, il finanziamento, le regole gestionali, le prestazioni, la governance.

E infatti, fermo restando il vincolo delle «finalità di cui al comma 14», gli «ac-cordi e i contratti collettivi definiscono», senza necessità di recepimento da parte di un atto regolamentare:

– «un’aliquota complessiva di contribuzione ordinaria di finanziamento non inferiore allo 0,20 per cento» (mentre per i fondi neo-istituiti è prescritta la ga-ranzia incondizionata di autosufficienza finanziaria), senza la necessità di preve-dere una ripartizione del contributo tra imprese e lavoratori;

131 F. SANTONI, Ammortizzatori sociali in deroga e canale bilaterale, cit., 1261 ss. Sugli enti bilate-rali, v., tra gli altri, L. BELLARDI, Contrattazione territoriale ed enti bilaterali, in Lav. inf., 1997, 17; M. NAPOLI, Gli enti bilaterali nella prospettiva di riforma del mercato del lavoro, in Jus, 2003, 235 ss.; C. CESTER, Il futuro degli enti bilaterali: collaborazione e antagonismo alla prova della riforma del mercato del lavoro, in Lav. dir., 2003, 211 ss.; F. CARINCI, Il casus belli degli enti bilaterali, ivi, 207.

Armando Tursi 512

– «l’adeguamento dell’aliquota in funzione dell’andamento della gestione ov-vero la rideterminazione delle prestazioni in relazione alle erogazioni, tra l’altro tenendo presente in via previsionale gli andamenti del relativo settore in relazione anche a quello più generale dell’economia e l’esigenza dell’equilibrio finanziario del fondo medesimo», ma senza i vincoli draconiani imposti dai commi 26 e ss. ai fondi neo-istituiti;

– «le tipologie di prestazioni in funzione delle disponibilità del fondo di soli-darietà bilaterale», senza i vincoli di cui ai commi 31 e ss. 132. A tale proposito, va rilevata l’estrema ampiezza e flessibilità con cui il comma 16 descrive, precisando quanto stabilito nel comma 14, le finalità e le prestazioni dei fondi “alternativi”, i quali sono «volti a realizzare ovvero integrare il sistema, in chiave universalistica, di tutela del reddito in costanza di rapporto di lavoro e in caso di sua cessazione».

L’aspetto forse più rilevante di tale flessibilità, attiene alla possibilità di costi-tuire fondi, anche per le aziende con meno di sedici dipendenti 133.

E ancora va notato che ove gli accordi collettivi dispongano la “confluenza” dell’«eventuale fondo interprofessionale di cui al comma 13» (v. sopra), alle stes-se è rimessa la scelta circa l’allocazione del contributo integrativo per la forma-zione professionale: la lettera d) del comma 15 riconosce infatti agli accordi col-lettivi «la possibilità di far confluire quota parte del contributo previsto per l’even-tuale fondo interprofessionale di cui al comma 13»

134. Infine, le fonti negoziali definiscono autonomamente «criteri e requisiti per la

gestione dei fondi», senza essere vincolate dalle regole dettate in materia di am-ministrazione e controllo dei fondi di solidarietà bilaterali.

In questa materia il comma 16, sulla falsariga di quanto previsto per i fondi pensione dall’art. 4, comma 3, lett. b) del d.lgs. n. 252/2005, si limita a devolvere a un apposito «decreto, di natura non regolamentare, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze,

132 È dubbio che sia imposto ai fondi in parola il vincolo della corrispondenza degli interventi con le causali legali dell’intervento ordinario e straordinario, poiché il comma 14 si limita a stabilire che debbano essere previste «misure intese a assicurare ai lavoratori una tutela reddituale in co-stanza di rapporto di lavoro, in caso di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa, correlate alle caratteristiche delle attività produttive interessate», senza precisare (come fa invece il comma 4) che la «riduzione o sospensione dell’attività lavorativa» debba avvenire «per cause previste dalla nor-mativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria»; mentre il comma 15 rinvia alle sole “finalità” e non alla disciplina delle prestazioni.

133 Rileva come la previsione sia «quanto mai opportuna, anche in relazione alle ridotte dimen-sioni dei datori di lavoro operanti nei settori “ad elevata bilateralità” (in particolare, l’artigianato, il turismo, l’edilizia) che rischia di lasciare esclusi dalla tutela gran parte degli operatori di settore che non raggiungono i 16 dipendenti», G. SIGILLÒ MASSARA, Le tutele previdenziali in costanza di rap-porto di lavoro, cit., 92. V. pure M. LAI, I fondi bilaterali di solidarietà, cit., 3.

134 Norma che va intesa non semplicemente nel senso di escludere un conferimento integrale del contributo, ma nel senso di rimettere alle fonti negoziali la scelta se conferire una parte di esso, o non conferire nulla. Criticano la differenziazione di trattamento, sul punto, a favore dei fondi “al-ternativi”, E. CARMINATI-L. CASANO-M. TIRABOSCHI, L’intervento sui fondi interprofessionali per la formazione continua, cit., 386.

I fondi di solidarietà bilaterali 513

sentite le parti sociali istitutive dei rispettivi fondi bilaterali», il compito di dettare “disposizioni per determinare i «requisiti di professionalità e onorabilità dei sog-getti preposti alla gestione dei fondi medesimi; criteri e requisiti per la contabilità dei fondi; modalità volte a rafforzare la funzione di controllo sulla loro corretta gestione e di monitoraggio sull’andamento delle prestazioni, anche attraverso la determinazione di standard e parametri omogenei».

11. Le prestazioni dei fondi di solidarietà e le procedure contrattuali

Delle prestazioni assicurate dai fondi di solidarietà s’è già detto, in termini ge-

nerali, nell’illustrare le finalità dei fondi, e le competenze del comitato ammini-stratore. In questa sede affronteremo alcune questioni di dettaglio, attinenti alle causali di intervento, alla natura e alla disciplina giuridica delle prestazioni, e alla procedura contrattuale funzionale alla loro erogazione.

Come s’è già chiarito, la prestazione necessitata assicurata dai fondi di solida-rietà bilaterali, nonché la prestazione esclusiva assicurata dal fondo di solidarietà “residuale”, è rappresentata «in relazione alle causali previste dalla normativa in materia di cassa integrazione ordinaria o straordinaria», da «un assegno ordinario di importo almeno pari all’integrazione salariale, la cui durata massima sia non inferiore a un ottavo delle ore complessivamente lavorabili da computare in un biennio mobile, e comunque non superiore alle durate massime previste dall’arti-colo 6, commi primo, terzo e quarto della legge 20 maggio 1975, n. 164, anche con riferimento ai limiti all’utilizzo in via continuativa dell’istituto dell’integra-zione salariale» (comma 31)

135. Una prima considerazione suggerita dalla scarna previsione legislativa, è che il

richiamo alle distinte «causali previste dalla normativa in materia di cassa integra-zione ordinaria o straordinaria» non sembra tradursi in una necessaria duplicità di regime anche all’interno dei fondi di solidarietà: il richiamo vale solo a legitti-mare l’intervento del fondo, tramite l’unico strumento dell’“assegno ordinario”, a fronte della totalità delle causali sia di Cigo che di Cigs, senza che dalla ricorrenza dell’una o dell’altra discendano conseguenze differenziatrici quanto a competenze, procedure, prestazioni, durata (ma sulla durata, v. avanti); una sorta, insomma, di regime unico dei soggetti competenti, delle procedure e delle prestazioni, con promiscuità delle causali 136, che potrà essere internamente differenziato solo se le fonti istitutive lo prevederanno.

135 La norma è stata così modificata dall’art. 1, comma 251, lett. b), l. n. 228/2012. Nel testo ori-ginario era invece previsto che i fondi in parola assicurassero «almeno la prestazione di un assegno ordinario di importo pari all’integrazione salariale, di durata non superiore a un ottavo delle ore complessivamente lavorabili da computare in un biennio mobile, in relazione alle causali previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria».

136 Già R. PESSI, Lezioni di diritto della previdenza sociale, Padova, 2006, 438, aveva rilevato co-

Armando Tursi 514

Alla luce della normativa in materia di Cassa integrazione, deve ritenersi che l’assegno ordinario possa essere riconosciuto in presenza di «crisi temporanea di mercato», «eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o ai lavoratori»; «ristrutturazione, riorganizzazione, conversione industriale, crisi aziendale» (an-che con cessazione di attività ex art. 1, l. n. 291/2004).

In verità, tra le cause di intervento straordinario delle integrazioni salariali do-vrebbe includersi anche la stipula di contratti di solidarietà cd. “difensivi”, ex art. 1, l. 19 dicembre 1984, n. 863. Tuttavia, all’inapplicabilità di tale istituto alle im-prese estranee al campo di applicazione delle integrazioni salariali già sopperisce l’istituto del contratto di solidarietà ex art. 5, comma 5, l. n. 236/1993: e infatti a tale ammortizzatore sociale hanno fatto ricorso alcuni fondi ex lege n. 662/1996 (in particolare, il fondo del credito)

137. A tale proposito va osservato che la possibilità di una prestazione integrativa

del contributo statale previsto dall’art. 5, comma 5, l. n. 236/1993, pacificamente ammessa per i fondi ex lege n. 662/1996, parrebbe esclusa per i fondi ex lege n. 92/2012, dal comma 11 dell’art. 3, che contempla solo una prestazione integrati-va dell’Aspi.

Tuttavia, i fondi ex lege n. 92/2012 sono destinati a intervenire a favore dei «settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale»: quindi essi potrebbero addirittura erogare prestazioni sostitutive dell’integrazione sala-riale prevista dall’art. 1, l. n. 863/1984

138, in presenza della “causale” contemplata dal l’art. 1, comma 1, l. n. 863/1984; causale rappresentata, com’è noto, dalla sti-pula di un contratto collettivo aziendale che stabilisca la riduzione dell’orario di lavoro al fine di evitare in tutto o in parte la riduzione o la dichiarazione di esu-beranza del personale

139. Se nessun problema presenta la previsione circa l’ammontare dell’assegno or-

dinario (che dev’essere «di importo almeno pari all’integrazione salariale» 140, è di

una oscurità imbarazzante, invece, la previsione in materia di durata, la quale de-

me i trattamenti ordinari a sostegno del reddito erogati dai fondi ex lege n. 662/1996 mutuassero caratteristiche proprie sia dei trattamenti ordinari che di quelli straordinari.

137 V. M. SQUEGLIA, Previdenza contrattuale e fondi di solidarietà, cit., 656 ss. 138 Mentre il contributo di cui all’art. 5, comma 5, l. n. 236/1993, non è una “integrazione sala-

riale” prevista dalla “normativa in materia di Cassa integrazione ordinaria o straordinaria”. 139 Ma allora, a fortiori, i fondi de quo potrebbero limitarsi a integrare il contributo statale ex art.

5, comma 5, l. n. 236/1993. 140 Non potendosi, a nostro avviso, nei fondi a genesi negoziale, escludere importi superiori, fino

alla garanzia del 100% della retribuzione, quando siano rispettate tutte le prescrizioni in materia di funding delle prestazioni e del fondo, e di amministrazione e controllo di gestione, di cui ai commi 22-30 e 35-41. Fa salve le «previsioni di miglior favore da parte della contrattazione collettiva», G. SIGILLÒ MASSARA, Le tutele previdenziali, cit., 92. Di ciò si poteva però dubitare nel testo originario della norma, dove l’avverbio “almeno” era riferito alla prestazione da erogare, e non alla sua misura («assicura almeno la prestazione di un assegno ordinario di importo pari …»). Dopo la modifica introdotta dall’art. 1, comma 251, l. n. 228/2012, è invece chiaro che l’importo legale delle integra-zioni salariali costituisce un minimo derogabile in meglio dai fondi di solidarietà bilaterali.

I fondi di solidarietà bilaterali 515

ve essere «non superiore a un ottavo delle ore complessivamente lavorabili da computare in un biennio mobile, in relazione alle causali previste dalla normativa in materia di Cassa integrazione ordinaria o straordinaria».

La previsione, presa alla lettera, parrebbe alludere ad un limite massimo (“non superiore”) di durata dell’intervento, per qualunque causale (ordinaria o straor-dinaria), pari all’incirca ad un trimestre nell’arco di un biennio mobile.

Un siffatto limite potrebbe avere un senso, ove, come accade nel trattamento ordinario di integrazione salariale, fosse riferito ad una durata massima (trime-strale, appunto) prorogabile continuativamente fino ad un tetto massimo (che nel-l’intervento ordinario è di 12 mesi), e nell’ambito di un plafond complessivo per singola unità produttiva e per pluralità di causali, in un più ampio arco temporale (le 52 settimane in un biennio, tipiche ancora una volta dell’intervento ordinario di integrazione salariale; oppure i 36 mesi nel quinquennio, del l’intervento straordinario).

Senonché, per come era formulata, la norma sembrava imporre semplicemen-te un tetto massimo di durata dell’intervento nell’arco di un biennio, pari, all’incirca, a 3 mesi 141: tetto che, da un lato, non distingueva (o peggio confonde-va) il concetto di “durata” (prorogabile) di ogni singolo intervento, con il concet-to di plafond computabile (per unità produttiva e per plurimi interventi) in un determinato arco temporale

142; e dall’altro – quel che è peggio –, si rivelava deci-samente troppo basso, considerata la genesi negoziale dell’intervento

143, la sua au-tosufficienza finanziaria, l’esclusione di qualsiasi intervento a carico della finanza pubblica.

Chiaramente si trattava di un refuso, che necessitava di un intervento legislati-vo correttivo; ciò che è avvenuto con la modifica introdotta dall’art. 1, comma 251, l. n. 228/2012, che ha trasformato quello che pareva un limite di durata mas-sima nell’arco di un biennio mobile, in una disposizione che vincola le fonti isti-tutive dei fondi bilaterali a prevedere una durata massima dell’intervento, non in-feriore al predetto limite. I veri limiti di durata massima degli interventi in parola, invece, sono adesso quelli previsti dall’art. 6 della legge n. 164/1975 in materia di integrazione salariale ordinaria, e cioè: 3 mesi continuativi, prorogabili eccezio-nalmente fino a 12 (comma 1), con possibilità, una volta raggiunto tale limite, di proporre una nuova domanda per la medesima unità produttiva, dopo almeno 52 settimane di attività lavorativa (comma 3); e con un plafond complessivo, riferito a più periodi non consecutivi, di 12 mesi in un biennio (comma 4).

141 Tale per cui, ad esempio, una volta effettuati 3 mesi di sospensione totale, oppure 6 mesi di riduzione dell’orario di lavoro al 50%, oppure 12 mesi di riduzione al 25%, un successivo interven-to potrebbe essere chiesto solo dopo 24 mesi.

142 Operava un tentativo esegetico in tal senso, G. SIGILLÒ MASSARA, Le tutele previdenziali in costanza di rapporto di lavoro, cit., 92, ma senza considerare, ci pare, l’eccesiva esiguità del plafond di 1/8 delle «ore lavorabili in un biennio mobile».

143 Che coinvolge la garanzia della libertà sindacale ex art. 39, comma 1, Cost., e quella della li-bertà dell’assistenza privata ex art. 38, comma 5, Cost.

Armando Tursi 516

L’assegno ordinario erogato dal fondo di solidarietà ha natura di prestazione previdenziale sostitutiva della retribuzione, con le conseguenze fiscali discendenti dal principio generale di cui all’art. 6, comma 2, Tuir

144; mentre, sul piano contri-butivo-previdenziale, il comma 33 dell’art. 3 provvede ad allinearne la disciplina a quella della contribuzione figurativa prevista per le integrazioni salariali 145, ob-bligando il fondo a «versare la contribuzione correlata alla prestazione alla ge-stione di iscrizione del lavoratore interessato», precisando che essa sia «computa-ta in base a quanto previsto dall’articolo 40 della legge 4 novembre 2010, n. 183»

146. Quanto alle prestazioni “eventuali” erogabili dai fondi di solidarietà bilaterali

(ma non dal fondo di solidarietà “residuale”), queste erano costituite, secondo il testo originario del comma 32

147, dalla prestazione integrativa dell’Aspi. [lett. a)], e dagli «assegni straordinari per il sostegno del reddito, riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo, a lavoratori che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni» [lett. b)].

La previsione relativa alla prima tipologia di prestazione è stata tuttavia pro-fondamente modificata dall’art. 1, comma 251, lett. c), l. n. 228/2012, che, da un lato, ha esteso l’intervento integrativo dei fondi di solidarietà a tutte le «presta-zioni pubbliche previste in caso di cessazione del rapporto di lavoro» – superan-do così la limitazione alla sola A.s.P.I.; – e dall’altro, ha ricompreso «le prestazio-ni integrative, in termini di importo, delle integrazioni salariali».

Quanto agli assegni straordinari: si tratta di un tipo di prestazione che, a ben vedere, è in grado di assorbire funzionalmente l’istituto disciplinato dall’art. 4, commi 1-7

148, con le varianti della gestione tramite il fondo anziché diretta da parte del datore di lavoro, e della maggior durata (cinque anni anziché quattro di distanza dalla pensione)

149. Già assurte a vero asse portante dei fondi di solidarietà “preesistenti”

150, que-ste prestazioni pecuniarie sostitutive del reddito, corrisposte al fine di agevolare l’esodo dei lavoratori esuberanti nel periodo, non superiore a cinque anni, inter-

144 V. P. DUI, Tassazione e contribuzione nel lavoro dipendente, Milano, 2005, 95. 145 Che prevede la cd. contribuzione figurativa: art. 8, l. n. 155/181. 146 V., in proposito, D. GAROFALO, Disposizioni in tema di contribuzione figurativa, in M. MI-

SCIONE-D. GAROFALO (a cura di), Il collegato lavoro 2010, cit., 1069 ss. 147 Nonché secondo il testo – formalmente immutato – del comma 11, lett. a): v. supra, par. 3,

cui si rinvia anche per la prestazione di cui alla lett. c) del comma 32, e per quella di cui al comma 17. 148 Sul quale v., infra, in questo volume, la trattazione organica di P. SANDULLI, L’esodo incenti-

vato, cap. XXXII, 5574. 149 Che a sua volta si sovrappone a un istituto – che si potrebbe definire “prepensionamento di

fatto con oneri a carico dell’azienda, finalizzato alla gestione degli esuberi del personale – già realiz-zabile, per così dire, iure communi: così, criticamente, G. SIGILLÒ MASSARA, Le tutele previdenziali, cit., 94-95.

150 G. SIGILLÒ MASSARA, Fondi di solidarietà e sistema previdenziale, cit..

I fondi di solidarietà bilaterali 517

corrente tra la cessazione del rapporto di lavoro e l’accesso alla pensione di vec-chiaia, si vedono affidata una missione che è resa oggi, se non impossibile, molto più difficile, e comunque meno efficace rispetto al passato, a causa del severo ina-sprimento dei requisiti anagrafici di accesso alla pensione; cui si aggiunge (per i settori che ne beneficiavano) la programmata sostituzione dell’indennità di mobi-lità con la molto più breve Aspi.

La forbice tra cessazione dell’impiego e accesso alla pensione, in tal modo, si allargherà a tal punto, che sarà giocoforza, per le imprese e per le organizzazioni sindacali, ripensare ab imis le politiche di gestione delle eccedenze di personale, e anzi la stessa gestione delle risorse umane, prospettandosi, in prospettiva, quello dell’invecchiamento attivo (active ageing), combinato con innovative politiche di recruitment, come un obiettivo strategico del prossimo futuro

151. Da questo punto di vista, quella che fino ad oggi è stata considerata la cene-

rentola, tra le prestazioni dei fondi di solidarietà preesistenti – ossia la prestazio-ne funzionale alla messa in atto di politiche di riconversione e riqualificazione professionale –, potrebbe essere oggetto di rivalutazione

152. Anche gli assegni straordinari di accompagnamento alla pensione sono, ai fini

fiscali, redditi sostitutivi della retribuzione, assoggettati a tassazione ordinaria, ove corrisposti in forma rateale, in base al combinato disposto degli artt. 6, com-ma 2, e 49, Tuir

153. Ove corrisposti in unica soluzione alla cessazione del rapporto, invece, essi

sono equiparabili ad “altre indennità e somme percepite una volta tanto in di-pendenza della cessazione del rapporto di lavoro”, e quindi soggette a tassazione separata in base al combinato disposto degli artt. 17, comma 1, lett. a), e 19, comma 2, Tuir

154. Sotto il profilo contributivo, va rilevato che l’obbligo di versare la contribuzio-

ne “correlata” anche in relazione agli assegni straordinari – sicché i beneficiari dell’assegno straordinario possano raggiungere nell’arco del quinquennio i requisi-ti pensionistici –, è stabilito in maniera solo eventuale dal comma 34

155; mentre il comma 24 è formulato in termini che sembrano vincolanti per le fonti istitutive

156.

151 V. T. TREU, Le politiche di active ageing, in M. MADIA (a cura di), Un welfare anziano, Bolo-gna, 2007, 55 ss.; FERRANTE, Invecchiamento attivo e prolungamento della vita lavorativa, in AA.VV., Studi in onore di Tiziano Treu, cit., 1187 ss.

152 Così come potrebbe verificarsi un ritorno di attenzione sui contratti di solidarietà “espansivi”. V., in proposito, M. SQUEGLIA, Previdenza contrattuale e fondi di solidarietà, cit., 660.

153 Per gli assegni straordinari erogati dai fondi ex lege n. 662/1996 per il settore del credito, pe-rò, vale la normativa speciale di cui all’art. 59, comma 3, l. n. 449/1997 (come autenticamente in-terpretato dall’art. 26, comma 23, l. 23 dicembre 1998, n. 448), che prevede l’applicazione del re-gime di tassazione separata indipendentemente dal fatto che l’erogazione avvenga in forma rateale o una tantum. L’art. 40, comma 6, della citata l. n. 448/1998, estende detta normativa speciale alle Poste italiane. V., sul punto, la risoluzione dell’agenzia delle entrate del 29 gennaio 2003, n. 17.

154 Sul trattamento fiscale degli assegni straordinari erogati dai fondi istituiti ex art. 2, comma 28, l. n. 662/1996, v. G. SIGILLÒ MASSARA, Fondi di solidarietà e sistema previdenziale, cit., 75 ss.

155 «La contribuzione correlata di cui al comma 33 può altresì essere prevista, dai decreti istitu-

Armando Tursi 518

Il dubbio va sciolto, sul piano esegetico, dando la prevalenza, rispetto alla di-sposizione che enuncia le finalità dei fondi (comma 24), a quella che detta la di-sciplina specifica della prestazione in oggetto (comma 34).

Peraltro, quest’ultima è formulata in maniera letteralmente inequivocabile: per un verso, essa marca la differenza rispetto alla previsione contenuta nel comma immediatamente precedente, che prescrive tassativamente l’obbligo di versare la contribuzione correlata in caso di corresponsione dell’assegno ordinario; e per l’altro precisa, con distinta proposizione, che il fondo «provvede a versare la con-tribuzione correlata» solo nel “caso” in cui («In tal caso …») detta contribuzione sia stata «prevista, dai decreti istitutivi».

Va altresì considerato che sul profilo contributivo influisce la modalità tempo-rale di corresponsione dell’assegno: se erogato una tantum, infatti, esso assume la natura di un incentivo all’esodo, esente da contribuzione ai sensi dell’art. 12, comma 4, lett. b), l. n. 153/1969.

Infine, va osservato che il dettato legislativo nulla dice, opportunamente, circa le procedure da seguire per la realizzazione dei presupposti lavoristici dell’inter-vento dei fondi: sospensione o riduzione dell’orario di lavoro; risoluzione di una pluralità di contratti di lavoro; in entrambi i casi, al fine di gestire esuberi tempo-ranei o strutturali di personale.

È utile ricordare che i fondi istituiti ex art. 2, comma 28, l. n. 662/1996, pre-vedono, in generale, il previo “espletamento”: per gli interventi in caso di sospen-sione o riduzione del lavoro, «delle procedure contrattuali previste per i processi che modificano le condizioni di lavoro del personale, ovvero determinano la ri-duzione dei livelli occupazionali, nonché di quelle legislative laddove espressa-mente previste»; e per gli interventi di esodo incentivato con accompagnamento alla pensione, «delle procedure contrattuali preventive e di legge previste per i processi che determinano la riduzione dei livelli occupazionali»

157. Ciò significa che l’erogazione degli assegni (ordinario o straordinario) da parte

del fondo presuppone l’avvenuta realizzazione delle vicende (rispettivamente) so-spensive o risolutive dei rapporti di lavoro.

Nel caso delle vicende sospensive, il problema che classicamente si pone an-che con riferimento all’intervento della Cassa integrazione guadagni, è quello del fondamento giuridico del cd. “potere sospensivo” del datore di lavoro, registran-dosi, in proposito, la netta prevalenza della tesi secondo cui detto potere derive-

tivi, in relazione alle prestazioni di cui al comma 32. In tal caso il fondo di cui al comma 4 provvede a versare la contribuzione correlata alla prestazione alla gestione di iscrizione del lavoratore inte-ressato».

156 «Per la prestazione straordinaria di cui al comma 32, lett. b), è dovuto, da parte del datore di lavoro, un contributo straordinario di importo corrispondente al fabbisogno di copertura degli assegni straordinari erogabili e della contribuzione correlata».

157 V., per tutti, l’art. 7, comma 1, d.m. n. 158/2000, istitutivo del Fondo di solidarietà per il so-stegno del reddito, dell’occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del per-sonale dipendente dalle imprese di credito.

I fondi di solidarietà bilaterali 519

rebbe dal provvedimento amministrativo di ammissione alla integrazione salariale, il quale, oltre (e anzi prima) che «far nascere il rapporto di prestazione previden-ziale e le relative posizioni soggettive», sul piano del rapporto di lavoro farebbe «venir meno, per tutta la durata dell’intervento, l’obbligazione retributiva»

158. Tuttavia, ciò non significa escludere la possibilità che un accordo sindacale

possa disporre esso stesso, direttamente, la sospensione (o la riduzione quantita-tiva) dell’obbligazione lavorativa e della corrispettiva obbligazione retributiva

159: l’esempio più evidente in tal senso è costituito dal contratto di solidarietà “difen-sivo”

160. Orbene, i fondi di solidarietà costituiscono un ottimo terreno di sperimenta-

zione di tale efficacia dei contratti collettivi, se si considera che, nella modellistica applicativa dei fondi di solidarietà cd. “preesistenti”, si è affermata la regola se-condo cui «L’accesso alle prestazioni … è … subordinato alla condizione che le procedure sindacali … si concludano con accordo aziendale …»

161. In ogni caso, la natura partecipata – bilaterale, appunto – dei fondi in questio-

ne dovrebbe ridurre al minimo se non eliminare del tutto il rischio, a fronte di accordi sindacali, di difformi valutazioni del comitato amministratore, cui spetta «deliberare in ordine alla concessione degli interventi e dei trattamenti” [comma 35, lett. b)].

In caso di ricorso all’assegno straordinario di accompagnamento alla pensione, poi, trattandosi di riduzione collettiva del personale, sarà sistematicamente coin-volta la procedura di mobilità disciplinata dall’art. 4, l. n. 223/1991: infatti, «l’isti-tuzione dell’assegno straordinario si risolve in una “integrazione convenzionale della l. n. 223/1991” sotto il solo profilo relativo al sostegno al reddito dei lavora-tori, senza alcuna incidenza sul diverso versante del “potere risolutorio del datore di lavoro e … (dei) suoi limiti procedimentali” che, invero, rimane del tutto as-soggettato alla disciplina di cui alla legge 223»

162.

158 Obbligazione che invece, secondo il diritto comune, dovrebbe permanere, a titolo di mora credendi, in caso di sospensione disposta dal datore di lavoro per una mera difficultas economica, «salva la ricorrenza di una ipotesi di impossibilità oggettiva sopravvenuta in senso tecnico»: v. Cass., sez. un., 20 giugno 1987, n. 5454; Cass. 19 maggio 2003, n. 7843; Cass. n. 3177/2009. M. CI-

NELLI, Diritto della previdenza sociale, cit., 332-333, 353. 159 “È valido l’accordo con cui l’imprenditore e le organizzazioni sindacali pattuiscono, ai fini

del ricorso alla Cassa integrazione guadagni, una sospensione del rapporto di lavoro con esonero del datore di lavoro dall’obbligazione retributiva, indipendentemente dall’esito della richiesta di concessione della integrazione salariale: Cass. 17 luglio 1990 n. 7302.

160 T. TREU, La disciplina legale dei contratti di solidarietà, in Dir. lav., 1985, I, 16, 21; A. TURSI, Contratti di solidarietà e rapporto individuale di lavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1988, 85 ss. Con-tra, però, di recente, Cass. 28 novembre 2007, n. 24706.

161 Così, con formula diffusa in tutti i fondi ex lege n. 662/1996, l’art. 7, comma 2, d.m. n. 158/2000. 162 A. PANDOLFO-I. MARIMPIETRI, Ammortizzatori sociali fai da te, cit., 126, in adesione e con ri-

ferimento a P. TULLINI, In attesa di una riforma: il fondo di solidarietà dei bancari, in Lav. dir., 1999, 377; R. DEL PUNTA, I vecchie i giovani: spunti sui criteri di scelta dei lavoratori in esubero, ivi, 403.

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Ciò implica che la risoluzione del rapporto di lavoro, che consente l’accesso al fondo, non presuppone necessariamente il licenziamento: il rapporto potrà scio-gliersi anche con modalità di esodo volontario

163. In caso di licenziamento, anche se accompagnato da esplicita rinuncia all’im-

pugnazione 164, al lavoratore esodato spetta l’indennità di disoccupazione. Sotto

questo profilo, l’assegno straordinario può svolgere una funzione integrativa del-l’indennità medesima: ciò era stato già ipotizzato in dottrina

165, e trova ora trova conferma nella previsione di cui al comma 32, lett. a), che prevede l’erogabilità di «prestazioni integrative rispetto alle prestazioni pubbliche previste in caso di ces-sazione del rapporto di lavoro».

163 V., in proposito, l’accordo 24 gennaio 2001 per il settore del credito, la Nota del Ministero del lavoro n. 101172 del 19 febbraio 2001, e la delibera n. 2 del 26 febbraio 2001 del comitato am-ministratore del “fondo esuberi” del credito, che riconosce l’erogabilità anche in tali ipotesi dell’assegno straordinario. Sul criterio di “volontarietà” nell’accesso al fondo, v., da ultimo, M. SQUEGLIA, Previdenza contrattuale e fondi di solidarietà, cit., 649 ss.

164 La rinuncia all’impugnazione è presupposto essenziale dell’accesso alle prestazioni del fondo: v. Cass. n. 20358/2010.

165 Sul punto, v. A. PANDOLFO-I. MARIMPIETRI, Ammortizzatori sociali fai da te, cit., 137.