825

Click here to load reader

De Martino - La Fine Del Mondo

Embed Size (px)

DESCRIPTION

rielaborazione di scansione non mia. (sperando di fare cosa gradita al primo donatore)

Citation preview

  • Ernesto de Martino

    LA FINE DEL MONDO CONTRIBUTO ALL'ANALISI DELLE APOCALISSI CULTURALI

    A cura di Oara Gallini

    Giulio Einaudi editore

  • Copyright I977 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

  • Indice

    p. rx Introduzione di Clara Gallini xcv Nota redaz.ionale

    La fine del mondo

    3 Prefazione

    xr Capitolo primo Mundus IJ I.I. Documentazione psicopatologica 14 ty .1. Vissuto di alienazione e delirio di fine del mondo 86 1. 1.2. Mutamento di significato 92 r.I.J. Contenuto fobico . 94 I. 1.4. Derealizzazione e depersonal.i.zzazione

    113 I.I.J. Delirio di negazione (sindrome di Cotard) I I8 I .I .6. Paranoia di distr112ione (reazione di Sansonc) II 9 r.r. 7. Mania e melancolia 133 1.1.8. Catatonia, schizofrenia I68 I.2. Normalit e anormalit 168 1.2.1. Normalit e anormalit I8I I.2.2. Letture critiche I94 1.3. Il caso del contadino bernese 2I2 1.4. Ilritualedelmundus& 2I8 ~- L'eterno ritorno 2I 8 ~.I. lterazione mi tico-rituale e tempo ciclico 230 1._5.2. Letture critiche 260 I.J.J. Ilsimbolismomitico-rituale 268 I.J-4 Storia, storiografia e storiograla religiosa

    z83 Capitolo secondo Il dramma dell'apocalisse cristiana 284 2.1. Ipotesi di lavoro 304 2 .2. Letture critiche

  • VIII Indice

    p. 336 2.3. Fonti ncotestamentarie 3.51 24. Dalla metastoria alla storia

    359 Capitolo terzo Apocalisse e decolocizzazione 361: 3.1. Ipotesi dilavoro 367 3.2. Letturecritkhe 389 33 L'umanesimo etnografico

    41.5 Capitolo quarto Il dramma delPapocalisse marxiana 41:7 4.1. Apocalisseerivoluzione 423 4.2. L'umanesimo marxiano 446 43 Marxismo e religione

    463 Epilogo 465 ~.I. L'apocalisse moderna 466 ~-s."j:1:. L'apocalisse dell'occidente 481 5.x~2. Letture critiche: saggistica ,504 5-I.-J. Letture critiche: opere letterarie 55 5 5 .i Il corpo e il mondo 555 j.2.I. Letture critiche 6oo ,5.2 . .1. Le tecniche del corpo 628 .53 L'ethos del ttascendimento 629 531. Fine del mondo come crollo dell'ethos del trascendimento 636 532. Mondo dato, natura e utilizzazione culturale 653 533 Vitale, economico, utile, valore, presenza 668 534 L'ethos del trascendimento

    687

    701:

    Appendice Titoli possibili: Per una ricerca sulle apocalissi nell'attuale congiuntura culturale. Apocalssi africane, apocalissi del terzo mondo e apocalisse europea. Prospettive etnologiche e antropologiche di una ricerca sulle apocalissi. Raccolta di letture critiche di Croce, Paci, Abbagnano, Heidegga-, Husserl

    Bibliografia Indice flnalitico

  • Introduzione

    I.

    Le note preparatorie a -La fine del mondo. Leggere un'opera postuma, e ancor piu mettervi mano per pubbli-

    carla, non un'operazione indolore. Si perpetra una violenza tra le piu radicali: quella contro un morto, che ha scritto certe cose soltanto per s e non ha piu la possibilit di intervenire criticamente sulle proprie pagine, trasformandole da discorso privato in messaggio pubblico. D'al-tra parte, un manoscritto interrotto una provocazione diretta per tutti noi, che siamo rimasti. qualcosa che avrebbe potuto, e voluto, essere in piena responsabilit, e della cui mancata realizzazione imputabile una legge naturale che concerne tutti gli uomini, ma che concede solo ai suicidi la facolt di scelta dei modi e dei tempi di esecuzione della sen-tenza. Ed ecco il nostro metter mano all'altrui opera interrotta, mediante una tecnica impositiva, che non poi tanto distante da quei comporta-menti cannibalici, cui giustamente De Martino attribuiva un intento di appropriazione del morto, al fine di assicurarne la continuazione sociale. Il nostro gesto unidirezionale si giustifica solo se si tien conto che quella che stata interrotta, pur nella sua imperfezione (nel senso etimologico della parola), un'opera di indubbio significato culturale, i cui messaggi essenziali sono almeno in parte recuperabili al silenzio e riproponibili a un'attenzione attuale.

    Quello che qui pubblichiamo non un complesso strutturato, sulla via di una definizione formale, che ne avrebbe fatto un libro compiuto. Si tratta piuttosto di un insieme di note, piu o meno lunghe, piu o meno argomentate, da cui l'Autore avrebbe attinto per un'ulteriore stesura, che sarebbe stata quella definitiva del saggio su La fine del mondo. In prima approssimazione, potremmo indicare questo insieme come un com-plesso materiale preparatorio per un libro, che non pot essere scritto. Si tratta di un'opera incompiuta non tanto per quantit, quanto per qua-lit, nel senso che essa rappresenta la fase intermedia di un progetto.

  • x Clara Gallini

    Quale fosse l'argomento del libro e la sua tematica centrale lo dice l'Autore stesso, in un Progetto dell'opera, in cui sommariamente ne trat-ta gli argomenti principali (organizzandoli anche secondo un abbozzo di capitoli) e il quadro teorico generale di riferimento. il grande tema della fine del mondo, esaminato nel suo duplice aspetto di fine con o senza riscatto culturale. L'Occidente borghese vive oggi ed esprime sim-bolicamente (attraverso la letteratura, le arti figurative, la musica) il sen-so della propria fine: un'apocalittica senza speranza, perch non in grado di configurare in prospettiva nessun futuro diverso, nessuna palio-genesi'. In significativa opposizione, numerosi movimenti di decolonizza-zione si organizzano oggi in chiave antibianca secondo modelli apocalit-tici positivi: come a suo tempo avvenne per i primi cristiani, anche per loro l'attesa di una prossima fine del mondo fonda ideologicamente un processo di costituzione di nuovi e diversi rapporti sociali, preludio di libert. Si tratta- per l'Occidente e per il Terzo Mondo- solo di scelte storiche radicalmente diverse, o non piuttosto di una complessa dialet-tica, che nell'ambito di un momento storico unitario, vede da un lato emergere nuove forze culturali e dall'altro mettere in causa vecchie e radicate egemonie? Da questo interrogativo attuale altri ne partono, co-me invito a una riflessione critica sul senso dei nostri destini culturali e sulle nuove direzioni che ad essi si dovrebbero imprimere, se non si vuol cadere, come l'Occidente sta rischiando, nell'apocalisse della fine dei valori.

    Come si diceva, quelli che noi leggiamo sono appunti preparatori al libro. Frutto almeno di cinque anni di ricerca, furono interrotti solo alla vigilia della morte, giunta quasi repentina nel maggio I 9 6 5.

    Di questo grande progetto, poco ne era stato fatto conoscere all'ester-no: una breve comunicazione su Il problema della fine del mondo al convegno di Perugia del r963 1 e il ben piu importante saggio Apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche nella rivista Nuovi Argomenti del r964 '.Di un'altra comunicazione inedita, relativa alle apocalissi cul-turali del Terzo Mondo, riportiamo in Appendice il testo, molto utile per una ricostruzione della visione globale demartiniana sull'intera pro-blematica.

    Quanto alle note preparatorie a La fine del mondo, si tratta di pagine 1 Il problema della fine del mondo, in AA.vv., Il mondo di domani, Olski, Roma I964, pp.

    2;!j}I.

    2 Apocdissi culturali e apocalini psiopa/ologicbe, in ~Nuovi Argomenti~, 697I, luglio-dicem. bre I964, pp. I054I.

  • Introduzione XI

    gi approssimativamente divise dall'Autore secondo blocchi di argomenti e che- per quanto siano state stese per la maggior parte nella prima met degli anni '6o- con buona probabilit inglobano anche un certo numero di appunti di origine precedente e destinazione diversa. comunque impossibile una datazione piu precisa dei singoli appunti.

    Nel complesso, ci troviamo di fronte a un materiale vastissimo e allo stesso tempo frammentario, di cui non riesce sempre facile una presa complessiva. Nonostante la sua mole- anzi, in misura direttamente pro-porzionale ad essa -l'insieme di queste note sembra riferirsi a un livello di elaborazione relativamente iniziale, precedente a una avanzata strut-turazione e stesura del libro. Consta infatti per lo piu di ipotesi di lavoro relative al tema principale o ad argomenti piu specifici, oppure di rifles-sioni storico-antropologiche o filosofiche di carattere teorico piu genera-le. In alcuni casi soltanto ci troviamo di fronte a pagine che potrebbero rappresentare una stesura quasi definitiva di brani da inserire nel libro.

    anche lecito supporre che la stessa fase di raccolta del materiale non fosse stata ancora completata dall'Autore. Ad esempio, mentre le parti relative all'apocalisse cristiana sembrano essere a uno stadio rela-tivamente avanzato, non cosi per la parte relativa alle apocalissi dei movimenti di decolonizzazione. Sembra anzi che nel complesso esista un notevole scompenso tra la consistenza degli appunti che concernono le diverse apocalissi culturali - cui riservato uno spazio relativamente limitato -e il resto delle note di vario carattere generale - che sono assai numerose, ricchissime e aprentisi in direzioni molto diverse. La crisi della presenza e in particolare le forme del delirio di fine del mon-do, la struttura e la funzione del simbolismo mitico-rituale, il senso della storia, la metodologia storica, le nuove direzioni che deve intra-prendere l'umanesimo etnografico: ecco alcuni di quei temi collaterali, che contribuiscono all'arricchimento e alla risonanza di queste note tan-to complesse. La ricerca sembra quindi aprirsi verso tutte le possibili direzioni che sono proprie dell'universo teorico di De Martino.

    vero che conosciamo solo a grandissime linee le intenzioni dell' Au-tore circa l'organizzazione del materiale, le successioni dei temi e soprat-tutto lo spazio riservato a ciascuno di essi nella stesura definitiva del libro. Immaginarci quale avrebbe potuto essere questo ipotetico libro ci sembra d'altra parte inutile esercizio retorico. Vale gi di per s la realt delle note che ci troviamo davanti, e che paradossalmente (ma non trop-po) ci stimolano proprio in virtu della loro peculiarit di note non defi-nitive.

  • XII Clara Gallini

    Potremo inizialmente provar tedio di fronte alla ripetizione di brani, che hanno tutte le caratteristiche di iterate variazioni su un tema. Ma poi ci accorgeremo che anche questo fa parte di una ricerca, e il ritrovare altrove, entro contesti differenti, lo stesso tipo di riflessioni ci diventer segno di un provare e riprovare su oggetti diversi le stesse ipotesi teo-riche.

    Oppure, al contrario, al di l delle ripetizioni, ci potremo inizialmente perdere tra queste note come in un labirinto, tante sono le apparenti de-viazioni dal tema, cui l'Autore di continuo ci sollecita. Ma alla fine, da qualsiasi punto avremo iniziato la nostra lettura, ci troveremo ad aver percorso uno spazio che esattamente quello che De Martino ha voluto. Potremmo anzi dire che ogni pagina, per quanto riferibile a una tematica dominante, contiene in s il riferimento all'intero delle coerenze dell' Au-tore. E al di l del contenuto di ciascuna di esse- rispetto al quale pos-siamo esprimere consenso o dissenso- resta l'esempio dell'eccezionale vitalit di uno studioso, che si pone di fronte a una grande variet di stimoli culturali deliberatamente selezionati e che reagisce ad essi in mo-do autonomo e del tutto coerente alla propria linea.

    Ed ecco che quanto all'inizio ci sarebbe potuto sembrare una man-canza- il fatto di non poter disporre di un libro in stesura definitiva-viene a tramutarsi in positvit. Ci dato infatti di entrare nel vivo di un lavoro intellettuale in atto, con tutto il fascino e le sollecitazioni infi-nite che questo tipo di esperienza comporta. Leggiamo dunque queste note non come un'opera incompiuta, ma come un'opera aperta.

    I tre livelli di lettura.

    La struttura formale di La fine del mondo ci nota solo a grandissime linee, in prima approssimazione corrispondenti alla divisione in capitoli proposta da De Martino nel Progetto dell'opera. Ed a questa abbiamo cercato di attenerci, nella misura del possibile, nell'organizzazione dei brani operata in sede redazionale. Ad ogni buon conto, anche se la cono-scessimo meglio, non sarebbe che una struttura empirica, e quindi limi-tatamente significativa. Diventa allora piu interessante cercare in altre direzioni, eventualmente alla ricerca di quelle sequenze logiche interne, di quei possibili diversi piani di lettura che sottendono un'opera dall'ar-gomento. senza dubbio unitario, per quanto arricchito di tematiche colla-terali. Solo mediante questa operazione ritroveremo l'unitariet del pen-

  • Introdu:done xm

    siero demartiniano all'interno dell'apparente dicotomia tra speci:fcit e dispersione.

    Di fatto, questi possibili diversi piani di lettura si compongono entro una struttura logica che non soltanto propria di La fine del mondo, ma che ritroviamo in tutte le opere demartiniane, a partire da Il mondo ma-gico, anche se di volta in volta l'enfasi della scrittura pu cadere piu sull'uno che sull'altro dei livelli che ne compongono l'insieme. Di questi livelli ne possiamo individuare tre, a loro volta corrispondenti a tre mo-menti dell'analisi. Risultano oggettivamente distinti l'uno dall'altro, ma anche dialetticamente interconnessi e interagenti, di modo che l'uno ap-pare sempre imprescindibile da tutti gli altri. Sono i livelli dell'analisi storico-culturale, dell'analisi psicologica e di quella antologica.

    Partiremo da quel livello che De Martino avrebbe valutato come fon-damentale: il livello antologico. Qui, la problematica della presenza, intesa come presenza al mondo, come Dasein, di cui viene problematiz-zato il ci, cio il qui-ed-ora dell'esserci. Relazione. che si fa~ di volta in volta, concretamente nella storia, comporta dunque un duplice e inter-relato costituirsi entro forme specifiche sia della presenza che del mondo. Il farsi della presenza e del mondo si realizza nella costituzione di oriz-zonti storico-culturali determinati. Ma anche costantemente minacciato dal rischio del crollo di tali orizzonti, che comporta di necessit anche il rischio di crollo della presenza al mondo. Questa minaccia, che si annida nel cuore dello stesso esserci, costin1isce un rischio antropologico costan-te; che peraltro il mito e il rito si fanno carico di segnalare e di .c.ontrol-lare, per operare sempre nuove forme di :reintegrazione culturaleJ

    D'altra parte, ci che rende possibile questo continuo e progressivo riaflermarsi e rinnovarsi dell'esserci, difendendolo dal rischio di un crol-lo e assieme consentendogli di andare oltre i contenuti frenanti del mo-mento critico, una qualit propriamente umana, che De Martino indica come ethos superumano del trascendimento)).

    Nel complesso, tutto lo sforzo teorico sembra indirizzato verso la con-tinuazione di quell'eterodosso tentativo - gi intrapreso ne Il mondo magico - di messa in causa dello storicismo crociano attraverso il reim-piego critico di alcune categorie proprie dell'esistenzialismo e della feno-menologia. Quanto al livello antologico, di fatto Il mondo magico a rappresentare - in misura molto maggiore che non i libri successivi - il punto di riferimento teorico qualificante, da cui partire per ulteriori esplorazioni. Non certo un caso che entrambi i titoli delle due opere si organizzino attorno a questa parola-chiave di mondo, indicato come

  • xrv Clara Gallini

    l'oggetto da verificare sia in sede teorica che in sede storico-culturale. In Il mondo magico la messa in causa della datit dell'esserci (sempre da intendersi come esserd-nel-mo.Pdo) e Pindicazione di quel partico-lare mondo culturale, il mondo magico, che si costituisce come oriz-zonte di una presenza e di un mondo non ancora postisi come dato, ma proponentisi essi stessi come problema. In La fine del mondo piutto-sto lo sforzo teorico di individuare il nucleo originario di quelle dram-matiche potenzialit di crollo e assieme di superamento, che si conten-dono lo stesso realizzarsi dell'essere della presenza-al-mondo. In questo quadro, costituisce novit qualificante, rispetto all'opera precedente, l'in-dividuazione del principio trascendentale del trascendimento, inteso co-me ethos che rende possibile l'esserci-nel-mondo secondo forme cultu-rali, di volta in volta storicamente determinate. Il problema di come si realizzi l'unit trascendentale dell'autocoscienza era gl stato posto in Il mondo magico, ma solo come indicazione di una questione che rima-neva aperta. Qui assurge ad oggetto da enucleare, e di cui si finisce per scoprire il valore di radice di tutte le possibili umane radici.

    Il secondo livello di lettura quello che in prima approssimazione abbiamo indicato come livello psicologico e/ o psicopatologico. Per De Martino, nel campo della definizione della presenza- da intendersi qui come io e come persona- entro il sistema dei riferimenti corporei e oggettuali che si dnno i termini reali del conflitto tra rischio di crisi e suo eventuale superamento.

    Le modalit del delirio di fine del mondo>> che sembrerebbero pro-prie (anche se non esclusive) di certi stadi avanzati della schizofrenia ven-gono interpretate come manifestazione dl un crollo della presenza, che assieme crollo di tutti i possibili significati della relazione io-mondo. Per converso, il costituirsi di uno schema corporeo e di un tessuto di definiti riferimenti oggettuali risulter, per cosi dire, la manifestazione primaria di un corretto binomio io-mondo. Appaiono qui espliciti e deli-beratamente ricercati i riferimenti non solo alla letteratura psichiatrica piu tradizionale, ma anche e soprattutto alla Daseinanalyse binswange-riana e alla fenomenologia di Merleau-Ponty, cui basti per il momento solo accennare. Ma anche a questo livello di ripensamento critico di un filone teorico assai vasto e non sempre omogeneo, emerge sin d'ora la novit della ricerca demartiniana, nella misura in cui tenta di dare dimen-sione sociale e culturale all'analisi del rapporto io-mondo. Gli schemi di riferimento a livello corporeo e oggettuale sono prodotti storici collet-tivi; la perdita di una individuale presenza-al-mondo indica il limite di

  • Introduzione xv

    un'intera cultura e il rischio dl una generalizzabile possibilit di cata-strofe.

    --Quanto al terzo livello, quello dell'analisi etnografica e storico-cultu-rale, potremmo ascrivervi -anche se con una certa forzatura, che per appare come tale oggi a noi, ma non ieri a De Martino- tutte quelle tematiche di fine del mondo, catastrofiche o ottimiste, che assumano con-sistenti dimensioni collettive.

    In entrambi i casi- n potrebbe essere diverso, date le premesse teo-riche- l'immagine che ne esce sembrerebbe quella di un'opposizione speculare. I casi di crisi della presenza al mondo si configurano entro i termini spazio-temporali di un disagio della civilt, cui non si riesce ad opporre alcuna forma di soluzione culturale: ed allora la fine~ Al con-trario, l'ethos del trascendimento risulter vincente in tutte quelle situa-zioni, storicamente individuate, in cui la collettivit sia giunta al con-trollo e al superamento culturale della crisi.

    Qui si innesta lo specifico interesse di De Martino per quelle tecniche che egli indica col nome di simbolismo mitico-rituale, e che ritiene si caratterizzino per la loro specifica funzione risolutoria, proprio in quanto simboli sodalizzanti. Ed anche qui che De Martino compie il massimo sforzo teorico nel tentativo di realizzare il passaggio dai piani ontico e psicologico a quello dell'individuazione storica di concreti fenomeni cul-turali. Rivendicando l'istanza (che egli sottolinea come eredit crociana) di una concreta verifica nell'hic et nunc dello storicamente individuato, passer all'esame delle precise e irripetibili coordinate spazio-temporali, che sono proprie a ciascun mondo culturale dato. Documentazione sto-riografica e documentazione etnografica diventano qui il livello privile-giato dell'analisi.

    Lo stato degli appunti non ci permette di ricostruire con sufficiente precisione Io spazio che De Martino avrebbe dedicato, nella stesura defi-nitiva del libro, a ciascuno dei grandi temi presi in esame. Ci lecito comunque presumere che - nonostante l'importanza fondamentale attri-buita al primo e al secondo livello di analisi e nonostante lo spazio reale occupato da essi all'interno degli appunti che d sono rimasti - questo terzo livello fosse quello ritenuto da De Martino specifico e qualificante.

    Come si gi accennato, gli appunti relativi alle apocalissi del Terzo Mondo- cui peraltro avrebbe dovuto dedicare un intero capitolo- sono troppo scarsi e frammentari perch se ne possa ricavare qualche indica-zione men che generica, almeno per quanto riguarda l'approfondimento dei singoli movimenti storicamente dati. Viene comunque ribadita la

  • XVI Clara Gallini

    funzione, che soprattutto attuale, dell'interesse conoscitivo per i movi menti di decolonizzazione: le apocalissi culturali del Terzo Mondo van-no viste e considerate nel piu vasto contesto delle apocalissi culturali del mondo moderno e contemporaneo, fatto che doverosamente comporta la necessit di un continuo confronto tra noi e gli altri e una messa in causa dei canoni giudicanti dell'etnologia tradizionale.

    Lo spazio che gli appunti riservano allo studio delle apocalissi cultu-rali del mondo antico (e in particolare del protocristianesimo) al con-trario molto ampio, con la possibilit di estendere l'analisi verso dire-zioni interne quanto mai articolate. Qui, il .filo logico che sottende lari-cerca sulle diverse concezioni del mondo)) e della sua fine sembra specifcarsi nell'individuazione del variare storico della categoria tem p o. Ci troviamo di fronte a una trasposizione sul piano della ricerca sto-rico-culturale di premesse pertinenti allivello della ricerca antologica: al pari del Tempo entro cui si dispiega l'Essere (per cui essere-nel-tempo e essere-nel-mondo finirebbero per essere equivalenti), il tempo storico con le forme contingenti e specifiche della sua progettualit diventa l'asse portante di una struttura da analizzare in sede storico-culturale. Ci riser-viamo di discutere piu avanti tutti i limiti di una trasposizione, che ci sembra indubbiamente azzardata. Sta di fatto per che gli appunti sulla concezione del tempo nel mondo antico - dal tempo ciclico delle civilt agrarie, fondato sulla concezione di una periodica morte e rinascita dal mondo, al tempo lineare proposto dal cristianesimo come nuovo oriz-zonte del mondo e della storia- contengono delle indubbie acquisizioni nel campo della ricerca storico-religiosa.

    Qui, De Martino sembra riprendere e continuare tematiche gi toc-cate in opere precedenti, e specialmente in quelle parti di Morte e pianto rituale nel mondo antico, in cui confronta le due diverse concezioni del tempo e della storia proprie delle civilt precristiane e cristiana. Ma la ricerca si allarga considerevolmente, in entrambe le direzioni.

    Il rituale romano del mundus patet -la fossa mundiale, centro del mondo, che una volta l'anno si spalanca per consentire l'uscita delle ani-me dei defunti, in una sorta di momento apocalittico rigorosamente con-trollato nella sua scansione temporale- diventa occasione per un ripen-samento piu generale circa la struttura delle categorie di spazio e di tem-po (a loro volta componenti fondamentali della categoria mondo) nel-l'ambito delle concezioni religiose del mondo antico.

    Quanto all'apocalittica del protocristianesimo, le pagine ad essa riser-vate sono forse tra le meno discutibili e caduche di tutto il libro. Le no-vit sono almeno due: l'interpretazione, in chiave di crisi del cordoglio,

  • Introduzione XVII

    dei segni apocalittici immediatamente seguenti la morte di Cristo e delle stesse riapparizioni di Cristo sotto forma di fantasma; il lavoro cultu-rale, da parte dei primi gruppi di cristiani, di differimento in un tempo sempre piu distante di una fine del mondo e di una parusfa, all'inizio intesi come dramma imminente e carico di minacce. Il differimento della parus!a avrebbe appunto comportato la costituzione di un largo orizzon-te di operabilit culturali e, all'interno di esso, il sorgere di una nuova concezione del tempo e della storia.

    Passiamo ora sul versante opposto: quello della possibilit di un:crol-lo dell'Essere e del Tempo. Questo rischio di fine pu essere orso non solo a livello individuale, ma anche a livello di intere culture. De Mar-tino crede di individuarne almeno due esempi, entrambi parte del dram-ma del mondo contemporaneo.

    Da un lato, alcune culture extraeuropee, sopraffatte dalla dominazio ne bianca, si sono destrutturate ed hanno espresso le loro voci di agonia elaborando miti di una prossima fine del mondo, senza riscatto. Dall'altro, l'Occidente- che pur tuttavia ha elaborato strumenti per un approccio .alla realt non piu- di esclusivo stampo magico-religioso - esso stesso travagliato da una crisi di valori, che soprattutto concerne i livelli della cultura borghese dominant~. Rifiutando di analizzarsi en-tro corretti termini di classe, il disagio si estrinseca qui come crisi allp stato puro, elaborandosi in complessi deliri apocalittici, in cui di scena la malattia del rapporto tra io-corpo e mondo-oggetti. contro questa minaccia che oggi siamo chiamati a combattere, per prospettarci un di-verso mondo futuro, in cui si liberino finalmente i valori dell'intersog-gettivit.

    La concezione marxista dell'uomo e della storia starebbe indicando una nuova strada di elaborazione laica di questi valori, che si devono riconoscere come umani e storici. Ma comporterebbe anch'essa due ele-menti da criticare: sul piano teorico, non riconoscerebbe la funzione fon-damentale assolta dall'ethos superumano del trascendimento; sul piano teorico-pratico, si proporrebbe talvolta piu come utopia che come reale strumento di incidenza sulla storia della lotta di classe. E anche da que-sto modo apocalittico di concepire e vivere il marxismo bisogner attentamente guardarsi.

    di fatto tutta da inventare e fondare ex novo un'etica laica che ra-dichi i propri valori sul riconoscimento dell'origine e destinazione umana dei beni culturali. Per giustificare filosoficamente questa ricerca, si dovr anzitutto tener conto che l'essere-nel-mondo piuttosto un esserci-nel-

  • XVIII Clara Gallini

    mondo, a sua volta un essere insieme, che si caratterizza anzirutto secon-do gli aspetti di una necessit doverosa. La stessa partecipazione politica non dunque che uno dei possibili modi per schierarsi con quelle forze sociali e culturali che oggi si battono per la costruzione di un mondo migliore.

    A questo punto, possiamo ritener conchiusa la nostra sommaria rico-struzione delle intenzioni di un libro che, se si volesse, potrebbe anche essere percorso capovolgendo o mescolando i suoi possibili livelli di let-tura. Lo stesso appello etico (e forse piu etico che politico) da noi posto come finale e che sembrerebbe naturale conseguenza dell'analisi storico-culturale delle apocalissi del mondo moderno e contemporaneo, potrebbe altrettanto motivatamente conginngersi a quel livello antologico, da cui ha preso le mosse il nostro breve sunto.

    Di fatto, l'insieme delle coerenze demartiniane ha tutti gli aspetti di una circolarit perfetta.

    Un libro-summa1>.

    Se trascendiamo per un istante la problematica che specificamente concerne le apocalissi culturali e cerchiamo piuttosto di cogliere nella sua totalit il senso del libro (o meglio: di queste note sparse), ci sembra di essere immessi in un continuo ritrovare il De Martino di sempre, or-mai ben noto e frequentato. Possiamo accostarci a La fine del mondo come a una summa di tutto il suo pensiero.

    Ripercorriamone brevissimamente le tappe, tenendo conto che l'inte-resse di De Martino sembra sempre aver prediletto lo studio di quelle forme culturali- il mito, il rito- ascrivibili a quel campo, che piu perti-nentemente si potrebbero indicare come ideologico. Questo concetto ov-vio ed elementare va ribadito, a scanso di tutti i quei fraintendimenti che potrebbero sorgere durante o dopo la lettura di quel magma cosf pluridirezionale che l'insieme delle note preparatorie a La fine del mondo.

    Produzione giovanile a parte l, nella storia del pensiero di De Martino siamo in grado di individuare alcune tappe fondamentali, oltre le quali le sue posizioni possono dirsi ormai stabilite e assestate e tali da fondare teoricamente le sue piu importanti ricerche storico-culturali sfociate nei

    3 Sull'elaborarsi del concetto di religione nel ptimo De Martino (all'incirca prima de Il mando mggico) si veda A. BINAZZI, Ritratti crit.zci di contemportJn/!. Ernesto d~ }t[.;rtino, in Belfagon, 2.41, 1969, pp. 67893.

  • Introduzione xtx

    tre grandi libri di storia religiosa del Sud: Morte e pianto rituale nel mondo antico (1958)~ Sud e magia (1959), La terra del rimorso (1961) 4

    In Naturalismo e storicismo (1941) afferma la necessit di aprirsi al-l'etnologia per rivedere criticamente, anche alla luce delle sue acquisi-zioni, i parametri del nostro umanesimo storiografico (qui da intendersi: umanesimo proprio dello storicismo crociano). Non elabora ancora una sua teoria dell'uomo e della storia n, al suo interno, della struttura e funzione del rito , .

    In Il mondo magico (1948) compare per la prima volta- per non essere piu abbandonato- il concetto-chiave di crisi della presenza e quel-lo di reintegrazione culturale mediata dalla magia, in quanto tecnica isti-tuzionale operante come strumento di controllo della crisi'.

    Immediatamente dopo, il saggio Intorno a una storia del mondo po-polare subalterno (1949} introduce - su un versante di analisi di evi-dente ispirazione gramsciana -la nuova problematica di una definizione del concetto di cultura e soprattutto di un esame di quelle dialettiche egemonia-subalternit, che si manifestano non solo a livello di classe ma anche a livello di cultura 7 Questa nuova prospettiva teorica sar deter-minante per tutti i suoi studi sulla religione popolare del Sud, che peral-tro piu che un momento teorico rappresentano momenti-vertice di una verifica storico-culturale di premesse elaborate in altra sede.

    Il reale allargamento teorico della scoperta dell'esistenza di dinami-che di egemonia-subalternit nello specifico campo dell'ideologico gli avrebbe di fatto consentito di non considerare piu la magia come ele-mento isolato, ma come elemento strutturalmente affine alla religione, da intendersi come campo ideologico dominante. Ma per giungere a questa affermazione - che si dichiara pienamente solo nelle grandi opere meri-dionalistiche - era necessario un passaggio teorico intermedio, fonda-mentale in quanto in esso si sarebbe determinata la qualit stessa strut-turale non solo della magia, ma anche della religione.

    4 Morte e pianto rituale nel mondo antico. Dal lamento p~g;1no al pianto di Mtuia, Einaudi, Torino 19,-81; Morte e pianto rituale. D11llam.mto funebre antico al pianto di Maria, Boringhleri, 'fo-rino v;Jn' (con modificazione dd titolo per espaesso dcsidero dell'autore); Sud e magia, Feltrinelli, Milano t9J9: La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Stld, Il Saggiatore, Mila no 1961,

    Ricorderemo sin d'ora che disponiamo di una completa ed esattissima bibliografia deruartiniana, cui rinviamo per ulteriori e piu approfondite analisi: M. CANPINI, Eme sto de Martino. Nota bio-bibliogrl.l/ica, in Uomo c: Cultura. Rivisra di studi c:tnologicil, v. ro, luglio-dicembre 1972., pp. 22368.

    5 Nat11ralismo e storicismo nell'etnologia, Laterza, Bari 194I (ma finito di sra.mpare nell'otto-bre I5140).

    6 Il mo11do magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Einaudi, Torino 1948. 7 Intorno a una storia del mondo popolare subalterno, in Societ, ' 1949, pp. 4IIJ'.

  • xx Clara Gallini

    In Fenomenologia religiosa e storicismo assoluto (1954)', De Mar-tino specifica (a parziale correzione delle tesi di Il mondo magico) che non soltanto la magia, ma ogni forma di vita magico-religiosa a caratte-rizzarsi in modo specifico. E individua anche la peculiarit intrinseca ad ogni forma di riscatto magico-religioso, indicandola come un processo di destorifi.cazione, da intendersi come alienazione da un s angosciante e come processo che a sua volta consentirebbe di stare nella storia come se non ci si stesse. Precisa inoltre che la tecnica di destorifi.cazione fa necessario riferimento a crisi storicamente determinate ed anche dotata di una relativa efficacia pratica. Nei tre libri sulla religione popolare nel Sud, il concetto di destorificazione (in quanto destorifi.cazione del nega-tivo) verr ripreso e riverifcato nell'esame di singole situazioni e tecni-che specifiche, peraltro senza sostanziali innovazioni teoriche, a parte l'impiego (che relativamente tardo) del1a piu precisa locuzione di sim-bolismo mitico-rituale>>, per indicare l'insieme dei modelli ideologici e comportamentali organizzati secondo W"la struttura metastorica 9 I lun-ghi appunti della Fine del mondo dedicati all'argomento vedranno lari-cerca diramarsi in molteplici direzioni (tempo sacro, spazio sacro soprat-tutto}, ma non comporteranno nessuna revisione critica delle posizioni precedentemente assunte.

    Conclusioni analoghe si potrebbero trarre per tutte quelle tematiche, proprie degli altri livelli di ricerca, che De Martino persegue nel corso dell'intera sua opera. L'ambizioso intento di costruire una summa del-l'intero suo pensiero doveva essere presente nelle sue stesse intenzioni, se cosf nota all'interno del brano, che intitola Progetto dell'opera:

    L'opera si iscrive ... in quel moto umanistico che, dopo l'epoca ddle scoperte e della fondazione dei grandi imperi coloniali, trapassa dall'umanesimo filolo-gico-classicistico all'umanesimo etnografico. Inoltre l'opera consente di riconsi-

    1 Fenomenologia religiosa e storicismo assoluto, in Studi e Materiali di Storia delle Religio-ni, XXIv-xxv, I95354, pp. 1.1'; dr. anche Crisi della presen:ta e reintegronione religiosa, in Aut. Aut~>, 3r, r9,6, pp. 1738. L'indicazione del passo avanti teorico compiuto rispetto alle tesi de Il mondo magico in Fenomenologia religiosa cit., p. 19, nota " Nel Mo~tdo magico, p. 77 sgg. sono esemplificate le forme piu prop.riamente magiche del riscatto ... E. tuttavia da avvertire che in questo libro il rischio d non esserci non raginn

  • Introduzione XXI

    derare in una piu matura prospettiva la tematica del Mondo magico (il rischio di non poterei essere in nessun mondo culturale possibile), di Morte e pianta rituale nel mondo antico (la crisi del cordoglio nel mondo antico e nella civilt cristiana), le ricerche etnografiche nell'Italia meridionale (il ritorno del cattivo passato in La terra del rimorso e i limiti con cui Cristo andato oltre Eboli in Sud e magia). Ma anche spunti e motivi di Naturalismo e storicismo nell'etnologia confluiscono in quest'opera, soprattutto per quanto concerne la problematica di una etnologia che metta in causa la civilt occidentale e che si lasci quindi gui-dare dal criterio fondamentale dell'etnocentrismo critico. (br. I), In effetti, le note preparatorie a La fine del mondo toccano e svilup.

    pano, quasi senza esclusione (per con una molto importante, che vedre-mo piu avanti isolatamente) tutte le tematiche, centrali e collaterali al pensiero demartiniano. E di una summa hanno tutte le caratteristiche.

    Elemento fondamentale la loro rigorosa organizzazione all'interno di un'apparente dispersione, e la loro altrettanto rigorosa coerenza ri-spetto all'evolversi del pensiero di De Martino nei piu diversi campi del-la ricerca etnografica, storica, socio-psichiatrica ed epistemologica oltre che- come si visto- storico-religiosa. L'impostazione teorica del libro -che trova il proprio centro nella problematica antologica dell'esserci-nel-mondo- un diretto proseguimento dei temi affrontati nel Mondo magico: qui, anzi, con un considerevole sviluppo, di cui si gi detto. Le singole analisi storiche ed etnografiche utilizzano nel loro interno tut-te quelle tecniche gi cosi largamente collaudate negli altri studi sulla struttura e funzione del simbolismo mitico-rituale, come pure si comin-ciato a vedere. Gli argomenti collaterali (ma di fatto imprescindibili, co-me la attualizzazione della problematica storica o il richiamo a un impe-gno etico-politico) fanno tutti parte di direzioni di ricerca non certo nuo-ve per chi abbia una certa dimestichezza con le opere di De Martino. Gli stessi concetti di umanesimo etnografico e di etnocentrismo critico ri-prendono (anche se in modo assai piu maturo) vari spunti piu antichi, che motivatamente De Martino fa risalire alla sua produzione giovanile.

    Nell'insieme per, rispetto a tutti gli scritti precedenti, quest'ultimo progetto di libro sembra caratterizzarsi assieme per una fortissima ten-sione teorica .e una molto piu accentuata complessit di direzioni di ri-cerca. Si misura su una tematica dalle molteplici sfaccettature, e che ab-braccia campi di indagine piu vasti e approfonditi di quanto non fosse avvenuto negli altri saggi, pur cosi singolarmente ricchi di problematiche interne. Ma soprattutto d sembra di individuare qui la presenza di un'in-tenzione ambiziosa: quella di proporre una sintesi organica di tutti gli interessi teorico-conoscitivi maturati in una vita di studio.

    Summa dunque di tutto il pensiero di De Martino, se per summa si

  • XXII Clara Gallini

    intende non la semplice addizione antologica di una produzione passata, ma la complessa e dinamica operazione di conferire corpo organico all'in-sieme dei diversi interessi conoscitivi del nostro studioso.

    Proprio per questa sua caratteristica di compendio (per quanto nuo-vo e dinamico) di tutta una storia culturale passata, La fine del mondo finisce peraltro per pagare uno scotto assai pesante al tempo.

    Molte delle sue note potrebbero senza fatica essere idealmente retro-datate di qualche anno, nel senso che sembrano avere come principale referente da un lato il pensiero ormai ben definito dello scrittore, dal-l' altro la nostra cultura postbellica e degli anni '50, nei suoi diversi campi.

    Il De Martino maturo, che elabora in lunghi anni di ricerca quella che vorrebbe fosse la sua summa, finisce per ripensare se stesso verifi-candosi sui presupposti culturali a lui piu consueti, e che fin dall'inizio aveva fatto propri in modo autonomo e personale, inglobandoli entro la sua particolarissima teodzzazione dei rapporti tra uomo e storia, tra mi-to, rito e cultura. Ed anche se si aggiorna leggendo Lvi-Strauss, sar non tanto per scoprire la possibilit di una diversa utilizzazione del suo metodo, quanto piuttosto per denunciare {talvolta a ragione, talvolta di-scutibilmente) ci che l'etnologo francese dice di differente da lui, De Martino, che ha gi stabilmente elaborato una sua teoria. Questo non ci sembra solo indice di indiscussa sicurezza. Paradossalmente, una totale fedelt a se stessi pu essere anche l'indice di un arroccarsi su posizioni che possono anche correre tutti i rischi di un drammatico isolato anacro-nismo.

    Senza alcun dubbio, oggi la pagina di De Martino - e paradossal-mente forse in misura maggiore le note a La fine del mondo, proprio per la loro maggior prossimit temporale ai nostri anni- pu sembrarci or-mai irrimediabilmente datata. Credo che nessuno si sentirebbe piu di sottoscrivere una riga in cui si analizzasse un fenomeno culturale riferen-dolo piu a determinanti di ordine critico (crisi della presenza) che di or-dine strutturale. E nessuno avvertirebbe piu l'urgenza di verificare sullo storidsmo crociano l'analisi esistenziale e fenomenologica, n tanto me-no il materialismo, storico o dialettico che sia. L'anacronismo si rivela soprattutto nell'ambito di quel livello antologico della ricerca, cui De Martino assegnava funzioni fondamentali. Dobbiamo riconoscerlo: sco-prire negli anni '6o l'ethos del trascendimento era quanto meno igno-rare le nuove strade che il materialismo andava ormai aprendo sia in Italia che all'estero. Rileggere in chiave umanistica i manoscritti del '44

  • Introduzione XXIII

    e quasi ignorare il Capitale una scelta di campo e di linguaggio che n-cora piu al passato che al futuro. Tutto d non privo di implicazioni, tutt'altro che positive, anche rispetto agli altri livelli di analisi, specie quello storico-culturale o storico-religioso, come si appena cominciato a indicare.

    Di fatto, le esperienze politico-culturali della seconda met degli anni '6o e del decennio che ancora viviamo, hanno portato a trasformazioni (e oso sperare a maturazioni analitiche) cosf radicali nel nostro linguag-gio, da rendere remoto un passato appena prossimo. In questo senso, davvero impressionante la distanza che ci separa da pagine scritte non molti anni fa da uno studioso che fu - e non sar mai eccessivo riba-dirlo- uno dei nostri maggiori uomini di cultura della passata genera-zione, E se avanzeremo delle inevitabili critiche, cercheremo di farlo non solo con tutto il rispetto che esige la statura di De Martino, ma anche e soprattutto tenendo conto che facile criticare a posteriori, piu diffi-cile riconoscere il reale peso innovativo del nostro personaggio e i debiti di eredit che la ricerca storico-culturale italiana ha nei suoi confronti.

    Come prima conclusione momentanea a questo insieme di osserva-zioni, ci importa innanzitutto sottolineare una certa datazione ideale di La fine del mondo, che inevitabi1mente riconduce quest'opera piu al cli-ma culturale degli anni '50 che a quello della prima met del decennio successivo. questo un fatto non trascurabile per una corretta esegesi della pagina demartiniana, che a sua volta comporta una serie di impli-cazioni.

    Anzitutto, ci consentir, nelle pagine che seguiranno, di riferirei con una certa elasticit e contemporaneit all'insieme della produzione di De Martino, insieme di cui anche le note a La fine del mondo fanno organi-cissima parte. Ripercorreremo cio a suo tempo l'itinerario di un pen-siero, che richiede di essere confrontato storicamente con un clima cultu-rale che non coincide con quello degli anni in cui venivano stilate le note preparatorie al saggio sulle apocalissi culturali, ma che le precede di qual-che tempo.

    D'altra parte, sarebbe errore fondamentale considerare l'opera di De Martino semplicemente come una produzione datata. Molte delle propo-ste del nostro grande studioso furono e continuano a restare provocato-rie e anticipatrici. Provocatoria e anticipatrice fu tutta la sua individua-zione dell'importanza del campo dell'ideologico, della sua struttura spe-cilica, della sua genesi e della sua funzione storica. Non priva di contrad-dizioni interne- necessario risultato compromissorio tra anticipazione e

  • XXIV Clara Gallini

    condizionamento culturale- la proposta demartiniana va riconsiderata proprio partendo dal suo carattere di grande novit.

    Peraltro, dovremo anche giungere a darci ragione della forma e della qualit delle non poche contraddizioni demartiniane e soprattutto di quel drammatico contrasto che, specie nelle note a La fine del mondo, di con~ tinuo si gioca tra passato e futuro. Sar da chiedersi se questo non sia stato il prezzo che alla lunga De Martino si trov a pagare per il suo es-sere stato tanto in anticipo sui tempi, da trovarsi sostanzialmente privo di interlocutori validi. Anche questo problema- che comporta la que stione dei rapporti tra De Martino e i piu significativi referenti politico-culturali del suo tempo - non potr essere eluso.

    II.

    Due o tre interpretazioni.

    Alla morte di De Martino fece seguito una sorta di silenziosa damna-tio memoriae: le rarissime commemorazioni videro gi l'astensione di un buon numero di colleghi di discipline affini (storia delle religioni, etno-logia, storia delle tradizioni popolari)'. Sorse un istituto che portava il suo nome e da cui uscirono ricerche interessanti, ma che non comporta-rono mai una revisione critica del pensiero del personaggio a cui d si intitolava. Vingombrante presenza di De Martino fu quasi del tutto ac-cantonata fino alla sua attuale riscoperta, che va in prevalenza nella dire-zione del De Martino studioso meridionalista politicamente impegnato. Questa riscoperta deve molto alle nuove generazioni, e il suo senso va probabilmente collocato nel quadro del rinnovato interesse per lo studio delle culture subalterne (e contadine in particolare) emerso, non sen-za contraddizioni, in questi ultimi anni di crisi economica. Si indirizza soprattutto verso una revisione storico-critica del dibattito sul folclore,

    1 A patte brevi necrologi (recensiti dalla bibliografia di GANPIN, Ernesto de Marti'fo cit., pp. 2.65-66) noteremo ad esempio la vistosa assenza di Studi e Materiali di Storia delle Religioni ~~o, ri-vista cui peraltro De Martino collahor assduumente a partire dal I9>4- Pochi furono allora i primi tentativi di un bilancio Cl'ilico dell'opera di De Martino: v. LANYERN.o\RI, Ricordo di Emesto de Mar-tino, in Politica e Mezzogiorno, 2 (r9.56), pp. 198-;~.o4; c. GALLINI, Meuogiorno ~ impegno civile

    nell'op~ra di Ernesto de Martino, ivi, pp. 2.04-13; c. CASES, Un collo4uio con Ernesto de Martino, in Quaderni pac:entini, 2)'-4, maggio-agosto 1965, pp. 196'; P. FORTINI, Gli ultimi tempi. (Note al dia/Of.O di De Martino e Cases)1 ivi, pp. 11-17; E. PACI, C. LEVI, D. CARP!TU.LA e G. ]ERVIS, Ri-cordo di Emesto de Martino, Quaoerni dell'lsse, I, Sassari 15166.

  • Introduzione xxv

    che coinvolse una buona parte della nostra cultura democratica alla fine degli anni '40 '. I contributi che sta dando alla conoscenza critica del no-stro autore sono tutt'altro che banali e privi di interesse: si muovono comunque entro un unico settore della complessa concezione demarti-niana dei rapporti tra uomo e cultura. questo un settore molto impor-tante e in cui molti di noi si riconoscono eredi di De Martino. Resta per da dimostrare che costituisse il centro reale dei suoi interessi teorici. Ri-prenderemo piu avanti l'intera questione: ci basti per il momento no-tare - e gli stessi appunti preparatori a La fine d el mondo lo conferma-no - che De Martino va visto anzitutto come teorico della cultura, e poi anche (ma non necessariamente solo) come meridionalista.

    Nel decennale silenzio intercorso tra la sua morte e la recente risco-perta del suo meridionalismo, due sole voci di una certa consistenza han-no tentato un ripensamento critico del suo pensiero - e, sia detto per inciso, n l'una n l'altra provenivano da colleghi studiosi in campi affini a quelli del nostro scomodo personaggio-: Giuseppe Galasso e Cesare Cases. Il primo scrive una monografia che accomuna De Martino ad altri studiosi di origine (e per Galasso: di cultura) meridionale. Il secondo, introduce una nuova edizione di Il mondo magico con pagine problema-tiche che hanno anche aperto una certa discussione .

    Se confrontiamo i modi con cui i due esegeti affrontano il loro perso-naggio, ne emergono immagini cosi specularmente opposte, da farci ine-vitabilmente pensare che la verit stia altrove, non certo nel mezzo. Da un lato sta la molto documentata ricostruzione di Galasso, il quale peral-tro- e la cosa gli stata da piu parti rimproverata- tende esplicitamente a un appiattimento di De Martino, riconducendolo punto per punto agli antecedenti crociani. La sua insomma una storia che fa marcia indietro.

    l Anrora nel 1972 il volume collettivo Folk/or~ ~ antropologia tra storicismo e marxivno (a cura di A. M. Cirese, Palumbo, Palermo 1972.) di proposito esclude l'esame dell'opera di De Martino. Nel 197J, a fianco del seminario organizzato dall'Istituto Gramsci di Firenze in occasione del decen-nale della morte di De Martino (1~-17 dia:mbre I97Jl esce un volumetto collettivo, a cura della se-greteria organizzativa, Ern~sto de Martino. Riflessioni e critiche, concernente principalmente: il De Martino studioso di folklore e intellettuale c impegnato,., Seguiranno P. CLEMENTE, M. L. MEom e M. SQUILLACCIOTTI, Aspetti del dibattito sul folle/ore in Italitt. nel secondo dopoguerra: materiali e prime ualutaxioni, Universit di Siena, 197J, Dibattito sulla culturtt. dell~ cltlSsi subalterne ( I949 I9JO), a cura di P. Angelini, Savelli, Roma 1977 e c. PASQmNELLI, Antropologia culturale e que stione meridion.1le. Ernesto de Martino e il dibattito sul mondo popolare subalterno negli amli t941/-t95J La Nuova Italia, Firenze 1977.

    l G. GAL~sso, Croce, Gramsci e altri storici, Il Saggiatore, Milano 1969, pp. ;1.22-336; cfr. ID., Introduzione a La terra del rimorso, Il Saggiatore, Milano 1961', pp. rx-xxxn; c. CASES, Inttodu zione a E. DE MARTINO, Il mondo magico, Boringhieri, Torino I973', pp. VllXI.lll. L'introd~ione di Cases ha dato lo 5puoto a una prima ripresa di studi de!Illlrtiniani, di rui implicitamente tien ronto anche la nostra introduzione: P. ROSSI, Sul relativismo culturale, De .Martino e I'Jntroduziom: di Clllt:S a .Il mondo magico, in Rivista di Filo5ofia,., LXVII, n. giugno 197-', pp. r66-?6; s. BAll ERA, Primilivismo e storia nazional.:, ivi, m, ottobre 197-', pp. 41B-37.

  • XXVI Clara Gallini

    Dall'altro lato, il balzo in avanti di Cases. Il quale rileva con estrema acutezza tutte le contraddizioni entro cui De Martino si trova invischiato (e non possiamo non essere d'accordo con lui su questo punto), ma per far questo sceglie la strada di una totale attualizzazione dell'interlocu-tore: in questo caso, De Martino. Questa operazione, per quanto lecita e stimolante, comporta peraltro tutti i rischi di una mancata storidzza-zione di un personaggio che, nel bene e nel male, pu essere valutato e compreso, e quindi portato al ruolo di interlocutore attuale, solo median-te un duplice sforzo di commisurazione relativamente al nostro e al suo tempo.

    Rispetto dunque agli arretramenti di Galasso e ai balzi in avanti di Cases, la strada da tentare sembra essere probabilmente un'altra, che cerchi di individuare il carattere anticipatorio proprio di alcune tesi cen-trali del pensiero demartiniano, e assieme ne comprenda le contraddi-zioni, intendendole come frutto di un complesso e non sempre pacifico rapporto con i piu svariati settori della vita culturale nel cui ambito il no-stro studioso si muoveva.

    Mi riferisco in particolare all'importantissima questione della genesi, della struttura e della funzione dell'ideologia, che solo da pochi anni a questa parte torna a porsi come problema tutt'altro che marginale e a far-si oggetto di analisi di classe. E mi riferisco anche alla questione, stret-tamente connessa, del ruolo delle scienze sociali e antropologiche, che giustamente De Martino inquadr entro le duplici coordinate di ordine epistemologico e politico assieme. Egli seppe individuare una serie di campi, di cui per una parte ci siamo riappropriati, mentre molto rimane ancora aperto per ulteriori scoperte. Ma questa sua individuazione fu necessariamente costretta a tradursi entro le forme di un linguaggio da-tato e che sembra spesso andare esattamente nella direzione opposta ri-spetto alJa proposta iniziale. Ci non significa che il discorso di De Mar-tino soffra di intime contraddizioni: al contrario, abbiamo gi varie volte sottolineato il suo carattere di grande coerenza interna. L'ordine di con-traddizioni che qui segnaliamo appartiene a un piano diverso, e sembra sostanzialmente da intendersi come il compromissorio risultato di un dif-ficile rapporto a senso unico tra la cultura italiana degli anni '40 e '50 e le proposte eterodosse del nostro studioso.

    Cercheremo di dimostrare quest'ipotesi, iniziando dall'individuazio-ne di quelle tematiche anticipatrici, che d sembrano costituire oggi parte essenziale della nostra eredit demartiniana.

  • Introduzione XXVII

    La specificit del campo ideologico. Dare in sintesi una definizione dello spessore e del significato cultu-

    rale attuale di De Martino piuttosto difficile, specie se si tien conto della vastit e articolazione dei campi di interessi entro cui si muoveva e che (sia detto per inciso) fecero di lui un intellettuale scomodo, anche in virtu di quella forza di provocazione che propria di chi rifiuti di ap-pagarsi dell'ovvio, cio, nel suo caso, dei risultati conseguiti all'interno di una ben definita disciplina. La sua, fu l'inquieta ricerca di compren-sione di un reale, che avvertiva assieme come unitario e variamente arti-colato. In prima approssimazione, possiamo riconoscere che gli interessi di De Martino partivano da un'istan2a scientifica affatto nuova: quella di costituire una disciplina delle scienze umane su basi diverse, che compor-tassero una revisione critica ed autonoma degli strumenti di ricerca co-munemente (e spesso acriticamente) impiegati e che si radicasse su og-getti coinvolgenti un reale significato di attualit politica e culturale.

    Quale disciplina? si potrebbe chiedere. Storia delle religioni? Socio-logia religiosa? Psicologia religiosa? Antropologia culturale? Etnologia (come avrebbe finito per preferire)? ecc. Forse nessuna, forse tutte. L'im-portante per lui (ma quanto ingombrante e provocatorio su un piano strettamente accademico!} non era la titolatura di una disciplina, ma la definizione di una problematica. Suo oggetto fu l'analisi delle forme cul-turali dell'uomo in societ, forme di cui il simbolismo mitico-rituale non costituirebbe che uno degli aspetti, anche se di primaria importanza, spe-cie per la comprensione della vita delle societ arcaiche. Queste forme culturali non possono essere semplicemente descritte, secondo un crite-rio che De Martino avrebbe tempestivamente accusato di naturalismo. Presentano una logica interna, hanno un'origine storica nel tempo e nello spazio sociale, hanno infine una funzione che anch'essa storica e sociale.

    Questa premessa si connette alla constatazione che le scienze dell'uo-mo costituiscono un grande campo unitario, entro il quale si possono eventualmente individuare diversi oggetti, diverse problematiche parti-colari, peraltro isolabili qualora si abbia ben chiaro il posto che esse oc-cupano all'interno dell'universo culturale. Fondamentale e imprescindi-bile dunque per lui la costituzione di una teoria dei rapporti tra uomo e storia, uomo e cultura: teoria che dichiari se stessa e sottoponga a un continuo processo critico di analisi i suoi presupposti e le sue finalit teo-rico-pratiche. Il problema epistemologico si tradurr dunque immedia-tamente in quello della messa in causa del ruolo delle scienze sociali ed

  • XXVIII Clara Gallici

    antropologiche, per un loro ripensamento che sia assieme scientifico e politico.

    in questo quadro che si inserisce il suo interesse, specifico e prima-rio, per lo studio del mito e del rito. La sua fu una precisa individuazione di campo, che solo in misura molto lata possiamo ricondurre ricluttiva-mente a un certo clima culturale degli anni '40 caratterizzatosi per una riscoperta del primitivo. E qui va segnalato il notevole grado di ati-picit, in un certo senso anticipatrice, del nostro studioso. Rispetto agli indirizzi sia stranieri che italiani avanzava precise esigenze di un'analisi del mito e del rito, che tenesse primariamente conto dei condizionamenti materiali di ogni forma di manifestazione magico-religiosa. D'altra parte, si trov di fronte al muro di un marxismo ortodosso, che non voleva o non era storicamente in grado di avvicinarsi a una problematica dell'ideo-logico in generale, e della religione in particolare, che si proponesse in modo piu dialettico di quanto non facesse la rigida teoria del riflesso.

    Penso che, proprio in questa direzione di ricerca, molti suggerimenti di metodo potrebbero ancora venirci da De Martino, qualora la base delle specifiche forme ideologiche non venisse piu ricondotta a ipotetiche crisi esistenziali, ma a concreti rapporti sociali e soprattutto a concrete con-traddizioni (principali e/o secondarie) presenti all'interno di formazioni sociali date. Rifiutando (o piuttosto, ignorando) la dialettica, di fronte al problema del divenire storico De Martino non pot che compiere un'o-perazione trascendentale. Ma si avvicin molto a una corretta imposta-zione del problema, almeno per due ragioni.

    Anzirutto, egli riconosce la specificit di un campo semantico, cui attribuisce strutrure formali proprie: in quanto modello metastorico> strutturantesi sempre secondo la medesima regola fissa, il simbolismo mi-tico-rituale si distingue formalmente non solo dalle strutture logico-razio-nali, ma anche dalle strutture proprie di altri simbolismi che costitui-scano un orizzonte di riferimenti storici.

    Scopre inoltre la funzione del simbolismo. A mito e rito attribuisce funzioni giustificatrici e mediatrici di un reale non totalmente dominato, e quindi conferisce ad essi la caratteristica primaria di costituire l'oriz-zonte teorico di riferimento per l'unica prassi sociale possibile, date certe condizioni materiali. Di fatto, non liquida mito e rito come espressioni di un irrazionale, vuoi da stigmatizzare, vuoi magari da evocare con no-stalgia come paradiso perduto di una mistica unificazione con la natura. Ne scopre la logica interna e il rapporto col mondo della prassi.

    Oggi, a distanza di quella generazione culturale di cui si diceva, pos-

  • Introduzione XXIX

    siamo anche motivatamente imputare a De Martino un eccesso di gene-ricit nell'individuazione di quel mondo della prassi, che viene piu po-stulato entro termini idealistico-crociani di quanto non venga realmente esaminato come quadro di relazioni tra uomo e uomo, uomo e materia. Ma pur vero che egli seppe individuare, con un tempismo degno di tut-to rispetto, la funzione anche pratica assolta dall'ideologia. E in questa prospettiva indic anche in modo assai pertinente l'ambigua caratteri-stica propria di un ideologico che, in condizioni sociali ed economiche determinate, da un lato ne denuncia le contraddizioni, dall'altro ne rende possibile non solo il riprodursi ma anche un eventuale superamento. Mito e rito dunque come (sempre a condizioni date) il massimo di ogni possibile razionalizzazione e quindi come unico possibile quadro teorico entro cui la prassi sociale trovi linguaggio ed espressione.

    Il problema unificante. Tra le scomode proposte demartiniane destinate a diventare anacro-

    nistiche e senza seguito dobbiamo includere anche quella tesi dell'unit delle scienze sociali e storico-culturali, cui si gi fatto cenno.

    Fu questo un discorso forse sostenibile nel primo dopoguerra, quan-do l'esigenza di aprirsi agli studi socio-antropologici era pionieristica ed entravano, come una grande marea, le sollecitazioni delle discipline piu diverse, davanti alle quali si richiedeva una risposta sincronica e globale. L'istanza era comunque corretta, nella misura in cui denunciava la ne-cessit di individuare un'ipotesi teorica sufficientemente valida come pun-to di partenza per la conoscenza dell'insieme del campo socio-culturale e per un ulteriore studio dei singoli fenomeni interni ad esso.

    Questa istanza non si realizz. Con gli anni '6o, in misura via via cre-scente, a una richiesta di massa di informazione socio-antropologica si andata contrapponendo, a livello accademico, un proliferarsi di specializ-zazioni, !attizzate secondo interessi localistici, e troppo spesso chiuse al dibattito culturale tra gli stessi addetti ai lavorh>. una carenza che probabilmente si connette alla rapida e tumuln10sa crescita di discipline nuove alla nostra tradizione, e che a sua volta va inquadrata nell'ambito piu generale della crisi universitaria e della fatiscente dinamica culturale tra istituzione e suoi utenti. Mi sembra utile denunciarla qui, in un'oc-casione che invita a confronti e bilanci.

    De Martino non teorizz mai esplicitamente l'unitariet delle scienze umane. L'ideale che egli perseguiva era piuttosto una meta da raggiun-

  • xxx Clara Gallini

    gere che un dato di fatto scontato. La sua scelta si indirizz sempre, e in modo consapevole (gi a partire da Naturalismo e storicismo) verso l'in-dividuazione di un problema unificante: unificante perch al limite delle diverse discipline settoriali, che non denegava come tali e di cui avrebbe poi anche inteso avvalersi nell'ambito di ricerche interdiscipli-nari (comunque da condursi sotto la direttiva specifica di chi quel pro-blema unificante aveva individuato).

    Questa sua dimensione, per cosi dire, globalistica, si riflette anche nello stile della sua scrittura. Lo spessore e l'organicit della sua pagina fanno di lui un tipo di studioso, di cui ormai si va perdendo lo stampo. Fu forse uno degli ultimi umanisti, se con questo termine dal sapore volutamente arcaico vogliamo indicare quelle particolari figure di intel-lettuali che sentivano l'esigenza di inserire la loro specifica ricerca entro una concezione totale dell'uomo e della storia.

    Ma fu anche, proprio per questa ragione, uomo profondamente mo-derno, che tradusse nel solo linguaggio di cui allora potesse disporre l'e sigenza di rompere coi codici chiusi e settorializzati delle diverse disci pline, per recuperare la totalit delle dimensioni dell'uomo nella storia.

    Fu un tentativo ambizioso, il suo, e non privo anch'esso di contrad dizioni. Di fatto, sarebbe col tempo andato di pari passo all'ambizione, altrettanto moderna ma sostanzialmente divergente, di condurre delle ri-cerche interdisciplinari. Ma queste ricerche, quando poterono realizzarsi (come nel caso di La terra del rimorso) finivano per relegare i collabora-tori al rango di comprimari, cui riservare lo spazio di un'appendice: mentre il discorso reale, quello compiuto e definitivo, sarebbe sempre rimasto il suo ...

    Il suo tentativo umanistico - singolo o di quipe che dir si voglia -cadde comunque fuori tempo. Cadde troppo tardi rispetto alle tendenze generali di una cultura in cui i grandi sconvolgimenti delle guerre e il ra-pido processo di divisione sociale del lavoro intellettuale avevano ormai fatto quasi piazza pulita di quei modelli di studiosi, che potremmo indi-care come umanisti . Ma cadde anche troppo presto - ed questo il problema che d piu da pensare-, in tempi in cui la messa in discussione dell'unidimensionalit umana alla luce di una nuova ricerca di politiciz-zazione del personale sarebbero sembrate per lo meno prospettive fanta-scientifiche. Fu cosi che anche queste importanti istanze demartiniane non solo costituirono un monstrum per lo meno abnorme, ma finirono per configurarsi entro gli inevitabili termini di un individualismo dram-matico e contestabile.

  • Introduzione XXXI

    Il rapporto soggetto-oggetto.

    entro questo quadro che va valutata e compresa la caratteristica sti-listica forse piu saliente della pagina demartiniana: quel suo intenso pa-thos che la sorregge e che sembra al contrario essere rifiutato da gran parte del linguaggio socio-antropologico, spesso improntato a forme di una neutralit pretestuosamente oggettivistica.

    Anche questo particolarissimo stile non casuale, ma frutto di una scelta teorica fatta in perfetta coerenza, ed espressione di istanze tutt'al-tro che banali. l'istanza - non moralistica, ma culturale - di verificare su se stessi, sulla propria persona, le corrispondenze o le smentite di quelle leggi comuni a tutti, che De Martino cercava di individuare su un piano storico-sociale piu generale. Ne deriva un tipo di scrittura non neu-trale, che rifugge dalla falsa oggettivit, per varie ragioni. Anzitutto, in diretta polemica col presunto oggettivismo di molti indirizzi etnologici del suo tempo, giustamente e tempestivamente accusati di mascherare dietro una apparenza di neutralit scientifica istanze teoriche piu che di-scutibili (in quanto o fideistiche o politicamente antidemocratiche), De Martino dichiara fin dall'inizio le proprie ipotesi di ricerca, richiaman-dole poi punto per punto alla verifica . Inoltre, ha il coraggio di dichia-rare anche se stesso in prima persona e di confrontarsi momento per mo-mento con la dinamica della ricerca. Ne deriva una tensione soggetto-oggetto, che pu essere anche tacciata di retorica, ma che di fatto la risultante di una precisa concezione del rapporto tra ricercatore e ri-cercato.

    In effetti, per De Martino- nonostante la sua convinzione dell'esi-stenza di culture altre)>, cio diverse dalla nostra - l'altro non mai totalmente altro. La sua pagina anche il luogo dove si dispiega quello stesso dramma storico, per cui lo sciamano discende :fino agli abissi della crisi, per recuperarla ma anche controllarla entro forme comunica-bili e socializzabili. Catabasi e anabasi: in questa duplice operazione di discesa negli abissi e di ritorno col magico talismano si opererebbe un processo culturale, in cui la costruzione storica dello sciamano si diffe-renzierebbe dall'analisi storiogra:fca dello studioso solo in virtu dei di-versi gradi di consapevolezza raggiunti dall'uno e dall'altro.

    Si veda, da ullimo ma csplicitllmentc, A pruposito di rma storia delle rt:ligioni s:enza opzioni ti.loso{iche: la storia delle religioni di P. Tacchi-Venturi, in Rhista Storica Italiana, 75, 1973, pp. 818-:>.8.

  • xxxu Clara Gallini

    Dovremo piu avanti tornare su questa - tanto affascinante, quanto irrimediabilmente datata e soprattutto politicamente equivoca - dimen-sione di un personaggio che afferma la necessit di un esorcismo solenne, da operarsi in nome della Ragione, di quei fantasmi da lui stesso creati. Ci basti per il momento aver individuato una caratteristica dimensione del rapporto soggetto-oggetto della ricerca, che distingue lo stile demar-tiniano non certo solo da quello alquanto anodino degli etnologi italiani suoi contemporanei, ma anche da quello della piu parte dei colleghi d'ol-tralpe.

    Se d lecito un confronto, potr semmai essere fatto con certe pa-gine di Leiris o di Lvi-Strauss. Ma entrambi costoro si trovarono quasi costretti a dividersi in due, .riservando spazi differenziati, da una parte al linguaggio specialistico- settoriale, ma valorizzato come scientifico, e in Lvi-Strauss per giunta anche come oggettivo - dall'altra al lin-guaggio della confessione individuale - assai meno settoriale, ma deva-lorizzato come soggettivo, letterario. Mi riferisco in particolare al dia-rio tenuto da Leiris in margine alla spedizione Dakar-Gibuti 5 e a quei vari brani di Tristi tropici, con la loro denuncia della strada senza uscita in cui si viene a trovare, in quanto individuo, l'etnologo che studiando culture diverse porti con s la colpa di essere occidentale.

    Anche De Martino si faceva carico di analoghi sensi di colpa (tra il cattolico e il borghese), derivanti da un'incapacit storica di concepire il rapporto tra due culture come un fatto politico, che concerne in egual misura gli uni e gli altri. Sostanzialmente, e nonostante tutte le buone intenzioni, finisce per parlare a titolo individuale. Non si identifica in un movimento. La singolarit della sua proposta consiste piuttosto nel ten tativo di non scindere in due la persona, dilacerandola tra pretestuosi discorsi soggettivo-individualistici e altrettanto pretestuosi discorsi og-gettivo-scientifici. Tenta un accordo tra i due piani. Ho forti dubbi che ci sia riuscito, proprio per i condizionamenti oggettivi in cui si trovava ad operare, e che, negli anni in cui scriveva, vedevano ancora una forte radicalizzazione della distanza tra intellettuali e masse. Ma c' anche da chiedersi se, negli anni in cui si determin la maturazione culturale di De Martino, si sia fatto altrove, nel campo della ricerca antropologica, di piu e di meglio.

    5 M. LEIKlS, L'A.frique Fant6me, Paria 1934: sulla que11tionc: dei due linguaggi cfr. B. CALTAGI-JtONE, La missione etnografico e linguistictJ DoktJT-Gibuti, in La critica sociologica , 36, r.97~76, in particolare pp. Il)-~4

  • Introduzione XXXIII

    Etnologia e impegno politico.

    La problematica dei rapporti tra ricerca e militanza tahnente cen-trale in De Martino, da non poter essere ignorata da chi voglia tentare di riappropriarsi delle sue istanze, riattualizzandole rispetto a una situa-zione politica, sociale e culturale peraltro assai mutata rispetto agli aru in cui scriveva.

    questo uno dei punti che richiede un minimo di precisazione cro-nologica, in cui si segua l'itinerario di De Martino sia sul piano della teo-ria che su quello della prassi politica.

    Come buona parte dell'intelligencija democratico-borghese dell'imme-diato dopoguerra, anch'egli avrebbe condiviso la teoria dell'impegno ci-vile e politico dell'intellettuale.

    La sua era stata una lunga maturazione. Pass attraverso le esperienze della guerra partigiana in Emilia-Romagna e poi delle lotte contadine nel Meridione. Partiticamente, si sarebbe spostato sempre piu a sinistra, pas-sando da posizioni di tipo azionista (durante la guerra partigiana) al so-cialismo (fu segretario di federazione a Bari) e infine al comunismo (dal I950) '. Ma quella che intendiamo tracciare qui non la sua biografia politica, per quanto interessante essa sia e per quanto sar necessario tornarvi in seguito, quando verr il momento di chiederci ragione del-la sua eterodossia anche e soprattutto rispetto a quel Pci, cui peraltro avrebbe dato la propria adesione per ben sette anni. Ci interessa piutto-sto rimanere allivello teorico, con tutti gli interrogativi che gi esso comporta.

    Anche per De Martino, come per alcuni intellettuali progressisti di quegli anni, la teoria dell'impegno sarebbe sembrata il piu naturale svi-luppo, in senso socialista, delle premesse dell'umanesimo storicistico e del suo ideale di una religione civile, da cui ciascun individuo traesse mo-tivazione per il suo vivere sociale.

    La possibilit di un nesso tra crocianesimo e marxismo, anche su que-sto punto, sembrava allora evidente e reale. In questi termini si espri-meva un Bianchi Bandinelli' o un Antonio Ban:6 che, tra il I 94 I e il I 949 scriveva una serie di saggi (poi raccolti sotto il titolo L'uomo coperni-cano), in cui proponeva i nuovi valori presenti nell'umanesimo marxista

    Le tappe essenziali dellll carriera politica di De Martino sono llatzialmente ricostruibili da GAN DINl, Ernesto de Martino cir., oltre che da alcuni riferimenti occasionali del GAL~SSO, Croce cit.

    7 Di R. Bianchi-Bsndinelli si veda, da ultimo sull'argomento, Da/ diario di un borgbest: e altri scritti, .Mondadori, Milano 1948: cfr. anche Dibattito sul/4 cultura ci t., pp. I;J sgg.

    1

  • XXXIV Clara Gallini

    e, contro le mitologie borghesi del progresso, della libert o dell'irrazio-nalismo romantico, indicava come direttiva quella dell'impegno morale di ciascuno nelPopera collettiva di costruzione sociale 8

    Le posizioni di De Martino sarebbero gradatamente maturate in que-sta direzione. Ancora in Naturalismo e storicismo fa proprie le tesi di Omodeo della necessit di abbracciare gli ideali etico-pratici dischiusi dalla religione civile, la religione della libert. Ma nel I949 ( questo un anno-chiave per lui) dichiarer la propria volont di impegno pratico di militante della classe operaia in quel saggio Intorno a una storia del mondo popolare subalterno, importante perch teorizza per la prima vol-ta la necessit che l'etnologo, in quanto intellettuale, compia una precisa scelta di parte. Non avrebbe piu abbandonato la linea dell'impegno neppure quando (siamo ormai agli inizi degli anni '6o) essa cominciava ad essere contestata dalle avanguardie, nella misura in cui la problema-tica della cultura di classe veniva a porsi al centro del dibattito politico. Tracce delle generose intenzioni demartiniane restano ancora nelle stes-se note preparatorie a La fine del mondo.

    A proposito della teoria dell'impegno, vorremmo fare alcune poche osservazioni che ci permettano di valutare piu precisamente il peso e il signi.fcato delle posizioni di De Martino.

    Anzitutto, ci sembra di un certo interesse notare come questo movi-mento di intellettuali impegnati- che fu reale, anche se elitario- sia sorto da noi con un notevole anticipo rispetto alle altre nazioni: ad esem-pio, la Francia, che solo nei tormentati anni della guerra di Algeria avreb-be autonomamente riscoperto la tematica dell'e1tgagement, a sua volta calandola all'interno di premesse per lo piu elaborate in seno all'esisten-zialismo sartriano '. La nostra teoria dell'impegno si radica storicamente sulla guerra partigiana e sulle grandi lotte operaie e contadine del dopo-guerra e rappresenta un primo importante momento di crisi degli ideali borghesi. In ogni caso, riflette una sorta di spirito azionista, che ne de-nuncia anche limiti e ambiguit. Da una parte, sembra caratterizzarsi nel senso di una ripresa delle tesi gramsciane postulanti la necessit di un intellettuale al servizio delle masse. Dall'altra, sembra continuare e far proprie quelle tesi della religione della libert e dell' andare verso il popolo, di cui quasi superfluo stigmatizzare origini e finalit liberai-

    s A. B.\NFI, L'uomo copernicawo, Mondadori, Milano 1949 Sulla concezione umanistica banfiana, strettamente connessa a una difesa degli ideali della ragione, dr. F. PAPI, Il ptnsiero di NJt011io Bcmfi, l'arenti, Firenze 1516r, pp. 474 sgg.

    ' Cfr. M. G. SATTA, lA rivta., Les Temps mndemcs e la decolonizz:az:ione francese, in Annali della Facolt di M~gistero dell'Universit di Cagliari,., n. 5., vol. I, 1976, pp. I-'191.

  • Introduzione xxxv

    borghesi. Individualismo intellettuale e approccio umanistico alla storia (comportante in ogni caso un continuo appello alla necessit di afferma-zione di valori umani) sono in effetti i limiti teorico-pratici di un'in-telligendja, che solo molto piu tardi avrebbe iniziato a fare autocritica su questo punto 10

    L'impegno civile e politico di De Martino trova una collocazione non anacronistica rispetto a una tendenza culturale in atto, anche se il suo percorso non privo di spunti originali, proprio nella misura in cui viene calato entro i suoi interessi di storico della cultura.

    Anzitutto, la sua individuazione delle caratteristiche di specificit pro-prie dell'ideologia magico-religiosa avrebbe comportato un ripensamento critico delle posizioni crociane precedentemente espresse in Naturalismo e storicismo, che ancora identificavano il piano etico (e quindi etico-poli-tico} con quello religioso 11 Di qui, anche il suo ulteriore interesse per lo studio di quei simbolismi civili, di cui tempestivamente segnalava l'importanza, anche se alla sua datata sensibilit culturale ancora rima-neva estraneo il problema che oggi riterremmo capitale: cio quello del rapporto produttore-utente di questi particolari tipi di messaggio 11

    Verso direzioni assai piu corpose sarebbe comunque andata la sua scelta di fondo: quella di fare della ricerca etnologica il prodotto di un impegno politico dell'intellettuale. questa una dimensione che en-trer, e in modo definitivo, a far parte viva di tutta la sua scrittura. E se spesso, anche nel corso delle note preparatorie a La fine del mondo -questa volta davvero con relativo ritardo rispetto alle nuove autocri-tiche di quegli anni- d capiter di imbatterci in un io borghese, dichia-ratamente tale, dilacerato da crisi e contraddizioni proprio perch consa-pevolmente tale, roso da sensi di colpa tipicamente borghesi e assieme dall'ansia di raggiungere con l'anima la classe, non scandalizziamocene. Riconosciamo piuttosto a De Martino il coraggio, molto raro sia ieri che oggi, di essersi dichiarato fino in fondo per quello che credeva e voleva essere, senza finzioni o mascheramenti, e soprattutto senza adesione di maniera a qualsiasi forma di conformismo ideologico.

    Il suo fu un tentativo per lo meno onesto, anche se i suoi risultati non

    1 Cfr. in particolare R. LUPERINI, Gli intellettuali di sinistra e l'ideologia della ricostruzione nel dopoguerra, Edizioni di

  • XXXVI Clara Gallini

    poterono certo portare al superamento dell'antinomia tra un io singolo e la classe, intesa come altro, raggiungibile solo mediante uno sforzo conoscitivo unidirezionale. Ma in esso si espresse, per la prima volta nel campo dei nostri studi sociali, un'esigenza nuova che solo ora, ad anni di distanza ed anche con tanta fatica, sembra tentare la ricerca di for-me di espressione collettiva, in cui ci si proponga non tanto di mettere il ricercatore al servizio del movimento, quanto piuttosto di far scaturire la ricerca dal movimento stesso. Resta comunque da dimostrare che tutto ci si sia gi realizzato.

    III.

    Le radici storiche di alcune contraddizioni.

    La complessa figura di De Martino non si presta certo a una presa uni-direzionale. Le sue anticipazioni entrano a far parte di un complicato magma tutt'altro che privo di contestabilissimi elementi. Le stesse note preparatorie a La fine del mondo non mancano certo di provocarci a in-traprendere un percorso labirintico, in cui paradossalmente ogni afferma-zione potrebbe anche essere letta sotto il segno contrario. Come conci-liare - se mai fosse possibile - al De Martino etnologo progressista il De Martino filosofo, alla ricerca di quel quid universalmente umano che, almeno come possibilit, si celerebbe dietro ciascuna manifestazione cul-turale? O il De Martino che intende la cultura come vittoria del dover essere>> sul rischio di non essere, e che ritiene che il simbolismo magico--religioso si strutturi solo come risposta a una crisi?

    Convivono in lui due anime, che a noi appaiono antitetiche, ma che egli credette fino in fondo non solo conciliabili, ma anzi perfettamente sovrapponibili. Si era costruito un suo ordine di coerenze, in cui ritenne di poter accordare istanza storica e istanza antologica, nell'impossibile tentativo di far combaciare trascendentalizzazione dello storico e stori-cizzazione del trascendentale.

    Pacificare i tratti di questa tensione, isolandone ciascun elemento (ri-spettivamente positivo e negativo) un'operazione che si pu anche leci-tamente compiere, qualora si vogliano enucleare quegli elementi di un'e-redit demartiniana, da cui riteniamo si possano trarre indicazioni ancora valide e attuali. per anche un'operazione che neutralizza la dinamica

  • Introduzione XXXVII

    che consegue al contatto dei due poli opposti. Fuor di metafora: quella dei s! e dei no una dialettica che va considerata e compresa globalmen-te, come un processo. E questa comprensione non potr essere che di carattere storico. Il problema sar dunque quello di rendersi ragione del-le risposte di De Martino rispetto alle proposte culturali del suo mo-mento storico.

    Come si gi anticipato, le varie radici demartiniane affondano in un humus culturale abbastanza precisamente databile (anni '40-50), anche se si muovono verso direzioni molto diverse, e neppure tutte presenti o accettate da noi a quell'epoca. Non pretendiamo di seguirle tutte; cer-cheremo almeno di isolarne qualcuna tra le piu qualificanti la ricerca di uno studioso che - per quanto si fosse elaborato un codice articolato su vari registri- tese sempre a qualificarsi come uno storico della vita culturale e, piu specifcatamente ancora, della vita religiosa.

    Aspetti dello storicismo di De Martino.

    Una lettura unidirezionale della pagina demartiniana privilegerebbe anche nello scrittore piu maturo (quello delle note a La fine del mondo, con i suoi reiterati ripensamenti della eredit di Croce) la presenza di un crocianesimo sbandierato, davvero anacronistico nella nostra cul-tura degli anni '6o, finalmente emancipatasi da questa ingombrante e ormai discussa influenza.

    Quella dello storicismo non una presenza secondaria in De Martino, se su espliciti presupposti crociani si fonda la parte essenziale della sua concezione della storia- intesa come fare umano esplicantesi entro cate-gorie formali - e della natura - da intendersi negativamente come tutto quanto si darebbe in modo informale al di fuori della determinazione dell'autocoscienza. Il massimo degli sforzi che De Martino compie per uscire, su questo piano, da un tale ordine di premesse sta nel suo tenta-tivo di riformare la teoria crociana, che assegna l'economico al piano della natura, per proporre al contrario di assegnarlo al piano della forma. In Il mondo magico accenna marginalmente alla questione, che al con-trario nelle note preparatorie a La fine del mondo occupa uno spazio tan-to considerevole, da indicare nel modo piu in equivoco sia l'ordine di priorit riservato al crocianesimo sia l'incidenza del tutto marginale che il materialismo dialettico assume nella realt teorica di De Martino. D'al-tra parte, l'insistenza con cui, in La fine del mondo dichiara e proclama i suoi debiti crociani, specialmente presenti al livello antologico della

  • XXXVIII Clara Gallini

    sua ricerca, potrebbe sembrar giungere piu che a proposito per portar acqua al mulino delle tesi di Galasso.

    Di fatto, lo storicismo di De Martino non soltanto un crocianesimo riformato. Giocano in esso, spesso non risolte, componenti culturali di ordine molto diverso, che si contendono il primato all'interno dei vari registri (o livelli} di scrittura del nostro complesso personaggio. Il suo, un partire da Croce che lo porter a distanze molto maggiori di quanto non sia mai stato disposto a riconoscere.

    A livello antologico, sar soprattutto la tematica della crisi a entrare come elemento di radicale rimessa in discussione della teoria dello spi-rito: sull'argomento si torner piu avanti.

    Ma soprattutto allivello del suo rinnovamento di tutta la metodo-logia storico-culturale, che De Martino rispetto al crocianesimo dimostra il massimo dell'autonomia, nel senso che si serve eli esso e del suo lin-guaggio per dire cose profondamente diverse.

    C' in primo luogo una notevole trasformazione della tesi crociana della necessit di dissolvere la storia nella filosofia: De Martino afferma al contrario la necessit di dare fondamento filosofico alla ricerca storia-grafica, nel senso che sarebbe mistificatorio ogni tentativo di far ricerca senza opzioni :filosofiche, cio senza un vaglio e una dichiarazione delle proprie premesse di metodo.

    L'allargamento dell'

  • Introduzione XXXIX

    operazione concettuale che costituisca schemi che prescindono da (e quin-di trascendono il) divenire storico, per De Martino metastorico un mo-dello teorico-pratico che, ponendo il divenire al di fuori della storia, nella prassi magico-religiosa consente il ricorso ad esso modello ogni volta che se ne ponga la necessit storica.

    Ma rimane un'osservazione di fondo da fare, che questa: soprat-tutto sul ceppo dello storicismo che De Martino tenter di innestare le sue istanze materialistiche. qui che in effetti siamo oggi in grado di valutare in tutto il suo spessore la peculiarit di un'operazione mediante la quale - per la prima volta in Italia, almeno per quanto mi consti - si compirono i primi tentativi di un'analisi materialistica del rapporto tra ideologie e societ.

    Il capovolgimento su cui De Martino si ciment - quello di rimet-tere l'uomo a piedi in giu e a testa in su, affermando che la religione prodotto storico ed umano, in qualche modo connesso a situazioni di alie-nazione- ha esordi abbastanza precoci, se gi negli anni della resistenza egli faceva circolare clandestinamente tra le fila del Pil (Partito italiano del lavoro) alcuni scritti, in cui tentava una prima interpretazione mate-rialistica della religione '. Certo che il materialismo non dovette mai sembrargli incompatibile rispetto alle istanze di uno storidsmo, che fa-ceva dell'uomo l'autore della propria storia. Il materialismo doveva anzi sembrargli un nuovo e naturale sviluppo dello storicismo.

    Alla fine degli anni '40 e, oserei aggiungere, per buona parte degli anni '5o, De Martino non era certo il solo a pensarla in questo modo. I nascenti tentativi di verificare il marxismo nei campi della filosofia teo-retica, dell'estetica, della critica letteraria non partivano tutti dalla con-statazione della liceit e della fecondit di un inserimento del marxismo sul ceppo della nostra tradizione storicistica nazionale?

    Nel campo della ricerca storico-religiosa, lo storicismo di De Martino ha avuto un importante antecedente, che va tutto rivalutato e compreso non solo pet il suo isolato rilievo nel desolato panorama dei nostri studi religiosi della prima met del secolo, ma anche per il notevole grado di incidenza che ebbe sul nostro studioso: Adolfo Omedeo, che fu maestro di De Martino all'Universit di Napoli.

    Per tentare un primo bilancio del suo tentativo- davvero abnorme

    2 PAli.Tiro ITALIANO DBL LAVORO, Raccolta di seri/li appar>i in periad(J clandestina sulla stampa del partito fino al :settembre 1944. Cultura politica e morale. Religione. Economia (senza luogo e data di stampa).

  • XL Clara Gallini

    negli anni tra la due guerre - di trasferire una metodologia storidstica e laica entro il campo della storia del cristianesimo, si dovrebbero alme-no rileggere e rimeditare i due saggi metodologici piu significativi: il primo nell'Introduzione al primo volume della Storia delle origini cri-stiane. Gesu (del 1913), il secondo, quella sorta di autobiografia cultu-rale intitolata Trentacinque anni di lavoro storico, scritta a Napoli nel-l'estate del 1945 alla vigilia della morte e pubblicata nel 1948 come in-troduzione alla raccolta di saggi Il senso della storia J.

    Anche Omodeo ipotizza che la storia non sarebbe altro che ipostasi del farsi nel fatto. Ma la sua individuazione di un campo di ricerca rela-tivamente autonomo (nel suo caso: lo studio delle espressioni storiche della religione della libert)>) costitui senza dubbio un importante esem-pio per le scelte culturali del suo allievo. Quanto allo studio del cristia-nesimo, Omodeo avanz da subito istanze storicistiche e laiche, ricono-scendo anche la necessit di non limitarsi al puro esame di un pensiero teologico, ma di collegarsi alla conoscenza delle forme di civilt che lo avrebbero espresso. vero che il suo concetto di civilt finiva per dissol-versi - assai piu idealisticamente di quanto non sarebbe avvenuto in De Martino- nell'equivalente concetto di Spirito ed vero che per lui la storia culturale si dichiara principalmente come prodotta da grandi individui-leader. Ma il recupero storicistico della conoscenza del cristia-nesimo non fu privo di conseguenze.

    Come prima cosa, port a una critica radicale di tutta la tradizione (principalmente germanica) di studi vetero e neotestamentari, imputata di far opera apologetico-teologica, e non storica. In particolare poi, Orno-dea criticava tutte quelle tendenze a ricostruire un ipotetico momento originario del cristianesimo, sorta di utopistico Ur, che piu che a intenti di conoscenza del reale processo genetico di un momento culturale mira-vano a intenti di sistemazione di una dottrina. Di fatto, risponderebbe alla stessa logica la costruzione di astrazioni quali ellenismo, roma-nitb, cristianesimo)>, nella misura in cui costituiscono modelli statici, ipotizzati al di fuori di un reale divenire storico.

    Tutti questi punti ritornano come parte essenziale della metodologia storico-religiosa di De Martino, fino alle specifiche note sul cristianesimo e la storia delle religioni, nelle pagine di La fine del mondo. D'altra parte, lo stesso richiamo a non considerare il cristianesimo (o il cattolicesimo)

    A. OMOPEO, Storia delle origini crisliam!, vol. I: Gesu, Principato, Messina 1913- (19232); rn., Il senso della sloria, Einaudi, Torino 1949 (raccolta di scritd variamente datati, tra cui anche una recensione ~ Naturalismo e sloricismo nell'etnologia, molto pos,itiva, a parte l11 riserva di fondo circa la tesi dcrnartiniana che l'etnologia sia una disciplina storica).

  • Introduzione XLI

    come categoria astratta trova in De Martino una forma di verifica del tutto nuova e molto importante, in tutti quei saggi sul folclore religioso del meridione, che partono dal presupposto dell'esistenza non di uno, ma di tanti cattolicesimi storici: storici e di classe, come anzi preciser, operando in questo modo un'altra apertura del suo storicismo verso nuo-ve direzioni materialistiche.

    Altro personale e ulteriore sviluppo delle tesi di Omodeo- anche se non esclusive di quest'ultimo - diventa in De Martino l'affermazione delle necessit di non ricondurre e ridurre un fatto storico ai suoi ante-cedenti, ma di esaminarlo come sintesi nuova, costituente il nuovo fatto storiografco. una tesi che non ha modo di comparire negli appunti preparatori a La fine del mondo, ma che viene sempre applicata allo stu-dio della genesi e dello sviluppo storico di tutti gli esempi di folclore magico-religioso meridionale studiati nei suoi saggi fondamentali. Anche qui, il processo di riappropriazione delle tesi di Omodeo finisce per sfo-ciare in nuove ed originali sintesi teoriche: il rifiuto di ricondurre com-portamenti o ideologie magiche a meri ipotetici antecedenti classici comporter di fatto la messa in causa della nozione di sopravvivenza folclorica, di vecchia matrice evol