24
210 dialoghi Locarno – Anno 42 – Febbraio 2010 di riflessione cristiana BIMESTRALE «Il problema è Roma»? «Madre e maestra» (Giovanni XXIII), «esperta in umanità» (Paolo VI): que- ste definizioni della Chiesa sono del- l’immediato pre-Concilio e post-Con- cilio, anche se riflettono un’autoco- scienza che risale a molto prima. Già le encicliche, per esempio, di Pio XII avevano ricevuto riconoscimenti esterni alla Cattolicità. Fa dunque piacere che il recente documento di papa Benedetto XVI – Caritas in veri- tate – sia stato letto e apprezzato an- che fuori della cerchia di coloro per i quali, qualunque cosa dica o faccia, «il papa è infallibile» ben oltre la de- finizione canonica. «Dialoghi», che all’ultima enciclica aveva dedicato un commento redazionale nel numero 208 (novembre 2009), ritorna oggi sull’argomento con due contributi: il primo di Carlo Silini circa le consi- derazioni che il Papa fa sull’econo- mia: prudenti ma per molti aspetti «profetiche» – come si sarebbe detto al tempo del Concilio; il secondo di Simone Morandini sui contenuti di Ca- ritas in veritate riferiti all’ambiente, anche questi molto incoraggianti per l’impegno che esige per la tutela del- la qualità di vita delle generazioni fu- ture. Questi apporti del magistero pa- pale alla riflessione in campi non strettamente di competenza e di giuri- sdizione della «cattedra di Pietro» so- no nella linea di una «traduzione» nei termini della società civile dei valori evangelici, più specifici della testi- monianza della Chiesa. È da respin- gere il pregiudizio laicista che vor- rebbe espunto dalla riflessione comu- ne ogni argomento che abbia sorgen- te remota o prossima in un contesto religioso. È nella linea «inclusiva» dell’ultimo John Rawls – suo il famo- so «consenso per intersezione» – che i beni religiosi possano confluire nei valori costituzionali a tutti comuni e prendere la forma di diritti umani. Il compiacimento non può tuttavia es- sere disgiunto dalla constatazione (Continua a pagina 2) Haiti, la tragedia e la solidarietà Immagini drammatiche che hanno fatto il giro del mondo. Taluni si sono scan- dalizzati che i media abbiano potuto trasmettere immagini così brutali. Ma lo scandalo più grande è quello di un Paese, Haiti, dimenticato dalla storia e da- gli uomini dopo essere stato il primo al mondo ad abolire la schiavitù tra la fi- ne del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Il terremoto del 12 gennaio ha, d’al- tra parte, suscitato uno slancio di solidarietà che merita apprezzamento. Non tutto l’aiuto, data l’enormità della sciagura, è potuto andare a segno con la tem- pestività e l’efficacia desiderate. Ma non sono mancate prove di generosità al limite dell’eroismo. Si spera, ora, in una ricostruzione che sia anche una re- surrezione del Paese così duramente provato. Keystone

dialoghi 210

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Dialoghi n.ro 210

Citation preview

210 dialoghiLocarno – Anno 42 – Febbraio 2010 di riflessione cristiana BIMESTRALE

«Il problemaè Roma»?

«Madre e maestra» (Giovanni XXIII),«esperta in umanità» (Paolo VI): que-ste definizioni della Chiesa sono del-l’immediato pre-Concilio e post-Con-cilio, anche se riflettono un’autoco-scienza che risale a molto prima. Giàle encicliche, per esempio, di Pio XIIavevano ricevuto riconoscimentiesterni alla Cattolicità. Fa dunquepiacere che il recente documento dipapa Benedetto XVI – Caritas in veri-tate – sia stato letto e apprezzato an-che fuori della cerchia di coloro per iquali, qualunque cosa dica o faccia,«il papa è infallibile» ben oltre la de-finizione canonica. «Dialoghi», cheall’ultima enciclica aveva dedicato uncommento redazionale nel numero208 (novembre 2009), ritorna oggisull’argomento con due contributi: ilprimo di Carlo Silini circa le consi-derazioni che il Papa fa sull’econo-mia: prudenti ma per molti aspetti«profetiche» – come si sarebbe dettoal tempo del Concilio; il secondo diSimoneMorandini sui contenuti diCa-ritas in veritate riferiti all’ambiente,anche questi molto incoraggianti perl’impegno che esige per la tutela del-la qualità di vita delle generazioni fu-ture. Questi apporti del magistero pa-pale alla riflessione in campi nonstrettamente di competenza e di giuri-sdizione della «cattedra di Pietro» so-no nella linea di una «traduzione» neitermini della società civile dei valorievangelici, più specifici della testi-monianza della Chiesa. È da respin-gere il pregiudizio laicista che vor-rebbe espunto dalla riflessione comu-ne ogni argomento che abbia sorgen-te remota o prossima in un contestoreligioso. È nella linea «inclusiva»dell’ultimo John Rawls – suo il famo-so «consenso per intersezione» – chei beni religiosi possano confluire neivalori costituzionali a tutti comuni eprendere la forma di diritti umani.Il compiacimento non può tuttavia es-sere disgiunto dalla constatazione

(Continua a pagina 2)

Haiti, la tragedia e la solidarietàImmagini drammatiche che hanno fatto il giro del mondo. Taluni si sono scan-dalizzati che i media abbiano potuto trasmettere immagini così brutali. Ma loscandalo più grande è quello di un Paese, Haiti, dimenticato dalla storia e da-gli uomini dopo essere stato il primo al mondo ad abolire la schiavitù tra la fi-ne del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Il terremoto del 12 gennaio ha, d’al-tra parte, suscitato uno slancio di solidarietà che merita apprezzamento. Nontutto l’aiuto, data l’enormità della sciagura, è potuto andare a segno con la tem-pestività e l’efficacia desiderate. Ma non sono mancate prove di generosità allimite dell’eroismo. Si spera, ora, in una ricostruzione che sia anche una re-surrezione del Paese così duramente provato.

Keystone

che, in definitiva, il Papa parla ma ledecisioni ultime in materia devonoadottarle le autorità civili. Nessunofarebbe carico al pontefice romano diuna mancanza di coerenza, per esem-pio, nell’applicazione del Protocollodi Kyoto o nelle scelte del Fondo Mo-netario Internazionale. Neppure glistatisti cattolici, d’altra parte, devo-no essere giudicati sul rispetto dei pre-cetti della Chiesa: essi rispondono in-nanzi tutto alla base democratica cheli ha espressi, per realizzare il «benecomune» (una dipendenza diretta dalmagistero ecclesiastico, senzamedia-zione, è da escludere – cf. Solo la me-diazione non è negoziabile, in «Dia-loghi» n. 196, aprile 2007). Il magi-stero ecclesiastico deve tenere le di-stanze rispetto alle scelte politiche deiregimi e dei governi. Purtroppo, que-sto non accade: bastano a dimostrar-lo le poco trasparenti intese che ilVaticano e la Conferenza episcopaleitaliana negoziano con i governantiattuali dell’Italia. È perciò nelle fac-cende direttamente di competenza del-la Chiesa che dev’essere valutata laqualità del pontificato attuale, delleConferenze episcopali e dei singoli ve-scovi.Questa riflessione sostanzia la sceltadi «Dialoghi» di intervenire critica-mente, senza piaggerie nei confrontidella gerarchia, su quel che accadenell’ambito della comunione eccle-siale. In questo spirito pubblichiamooggi le Osservazioni di GiovanniFranzoni, «padre» conciliare e poiabate dimesso di San Paolo fuori leMura, circa la prospettata beatifica-zione di Karol Wojtyla. Non sminui-sce la granitica testimonianza perso-nale di papa Giovanni Paolo II sotto-lineare, come fa Franzoni, le lacunee le inadempienze del suo pontifica-to, e specialmente la mancanza di le-altà verso lo Stato italiano dimostra-ta circa il coinvolgimento della ban-ca vaticana nelle manovre finanziarieportate alla luce dall’inchiesta «Ma-ni pulite» (cf. l’articolo di GiancarloZizolaLo IOR e gli scandali ricorrentidelle finanze ecclesiastiche, in «Dia-loghi» n. 209, dicembre 2009). Riflet-tendo alle quasi contemporanee per-plessità emerse circa la beatificazio-ne di Papa Pacelli, viene facile ri-cordarsi di un bell’articolo di LuigiAccattoli in cui si obiettava «Atten-zione a che cosa può significare unarapidissima beatificazione di papaWojtyla: l’auspicio di zittire ogni que-stione critica nei confronti del suo go-

verno con l’applauso della sua santi-tà». E poiché non si creda che Accat-toli facesse obiezione solo nei con-fronti di Giovanni Paolo II, comple-tiamo la citazione: «Nessuno se l’ab-bia a male se dico che non servebeatificare i papi» («Il Regno Attua-lità» 14/2005).Continua dunque a essere non solo le-cito ma necessario esprimere insod-disfazione per la mancanza di chiariindizi, da parte del pontificato di Be-nedetto XVI, per la riforma dellaChiesa cattolica nel senso indicatodal Concilio Vaticano II. Persiste, an-zi, il tentativo di isterilire il magiste-ro di quel Concilio dentro una «tra-dizione» che esiste solo nella fanta-sia dei conservatori. Tutta la storiadella Chiesa (ma non solo della Chie-sa!) è fatta di svolte e di rotture, diavanzamenti e di ritorni indietro, diaffermazioni e di smentite delle affer-mazioni fatte. Non tutto va posto, ov-viamente, sullo stesso piano: la ge-

rarchia delle verità di fede (un’altra«novità» del Concilio che non si citamai: Unitatis Redintegratio, 11; Ca-techismo della Chiesa cattolica, 90)impone che coerenza e fedeltà deb-bano essere misurati in primo luogosul Vangelo. Ma è pur sempre preoc-cupante, per esempio, constatare co-me la burocrazia clericale romanatenda a soffocare ogni autonomia deisingoli vescovi e delle Conferenze epi-scopali – in chiaro contrasto con ladirezione impressa dal Concilio allariforma dell’istituzione ecclesiastica.È nelle mie orecchie la desolataespressione di un vescovo sentita nonmolti mesi fa: «Il problema è Roma!».Su questo, la responsabilità del ma-gistero romano attuale è diretta, nonmediata. Negare che faccia problema,e che sia una contro-testimonianza pe-sante nella valutazione per altri aspet-ti positiva dell’attuale pontificato, nonè possibile. E.M.

2 opinioni No. 210

I conti di «Dialoghi»BILANCIO 2009ATTIVIConto corrente postale Fr. 4.528.09Contributo cantonale da incassare Fr. 1.500.00Totale Attivi Fr. 6.028.09PASSIVICreditori Fr. 4.569.55Transitori passivi Fr. 60.00Riserva per stampa testi Fr. 1.093.50Capitale proprio Fr. 785.67Disavanzo d’esercizio Fr. – 480.63Totale Passivi Fr. 6.028.09CONTO ECONOMICO 2009COSTIStampa periodico Fr. 20.932.50Spedizione rivista Fr. 2.605.25Spese postali e porti Fr. 610.98Stampati e materiale pubblicitario Fr. 52.00Spese varie Fr. 339.90Totale Costi Fr. 24.540.63RICAVIAbbonamenti ordinari Fr. 14.660.00Abbonamenti sostenitori Fr. 4.400.00Sussidio cantonale Fr. 5.000.00Totale ricavi Fr. 24.060.00Disavanzo d’esercizio Fr. 480.63«Dialoghi» ringrazia in particolare gli abbonati sostenitori, che hanno per-messo di limitare il disavanzo d’esercizio.

Pietro Lepori, amministratoreTengia di Rossura, gennaio 2009

(Continuazione da pagina 1)

L’enciclica Caritas in veritate, cometutti i documenti di papa BenedettoXVI, è una grande costruzione sul pia-no delle idee, un edificio dottrinaleche sorge sulle macerie di un altro pa-lazzo concettuale, ma non cristiano:quello dell’economia di mercato cosìcome l’abbiamo conosciuta sino adoggi. Di fronte ai fallimenti del siste-ma economico il Papa potrebbe ri-spolverare un atteggiamento «buoni-sta», da parroco di paese: con la ri-cetta dell’amore, della carità, deibuoni sentimenti e del «volémose be-ne» si risolve tutto. Ma Ratzinger è unprofessore tedesco, ed è convinto chela luce con la quale si può mettere or-dine nel caos economico è quella del-la verità: «Senza verità, la carità sci-vola nel sentimentalismo. L’amore di-venta un guscio vuoto, da riempirearbitrariamente. È il fatale rischiodell’amore in una cultura senza veri-tà. Esso è preda delle emozioni e del-le opinioni contingenti dei soggetti,una parola abusata e distorta, fino asignificare il contrario. La verità li-bera la carità dalle strettoie di unemotivismo che la priva di contenutirelazionali e sociali, e di un fideismoche la priva di respiro umano ed uni-versale».

Immaginiamo ora il Papa che passeg-gia tra le mura rimaste in piedi delsistema liberista. La prima cosa chesi chiede è se vale la pena di distrug-gere anche le poche pareti rimastein piedi o se buttarle giù definiti-vamente. La drammatica domandapotrebbe essere questa: basta unrestauro di questo sistema o occorreuna ricostruzione a partire da zero?Da nessuna parte nell’enciclica c’èuna condanna diretta ed esplicita delsistema liberista. A tratti sembraquasi che il Papa riproponga la notadottrina delle mele marce: il sistemanon è né buono né cattivo, sono solole persone corrotte che lo pervertono:«l’economia e la finanza, in quantostrumenti, possono esser mal utiliz-zati quando chi li gestisce ha soloriferimenti egoistici». In realtà, poi,leggendo, si ha impressione che Be-nedetto XVI quei muri li abbattasenza rimpianti perché le critiche alsistema liberista sono tali e tante danon lasciare spazio alla possibilità disalvarlo.

E infatti, buona parte del suo testo sipresenta come una critica radicale ra-gionata della società capitalistica. IlPapa prende il piccone e comincia asmantellare alcuni miti che resistonoalla crisi: per esempio l’idea che l’eco-nomia di mercato che abbiamo cono-sciuto sia il miglior sistema possibileper la creazione di ricchezza; oppurel’ideologia della «mano invisibile», lametafora creata da Adam Smith perrappresentare la Provvidenza, graziealla quale nel libero mercato la ricer-ca egoistica del proprio interesse gio-verebbe tendenzialmente all’interessedell’intera società. E soprattutto l’ideache il liberismo economico sia unasorta di immenso robot, una macchi-na che si regola da sé, senza interven-to umano, un gigante inarrestabile ret-to da forze impersonali: «Talvolta neiriguardi della globalizzazione si no-tano atteggiamenti fatalistici, come sele dinamiche in atto fossero prodotteda anonime forze impersonali e dastrutture indipendenti dalla volontàumana». A tutto questo il Papa dice:non è vero.

Abbattuti i muri residui del sistema,tuttavia, il Papa non butta via i suoimattoni e prova a ricomporre la casaeconomica del mondo secondo unnuovo progetto, anzi secondo nuovegerarchie di valore. Tra quelle propo-ste ne indico tre.

L’importanza della politicaScrive il Papa: «Ci si adopera per ilbene comune avvalendosi delle istitu-zioni che strutturano giuridicamente,civilmente, politicamente, cultural-mente il vivere sociale». In altri ter-mini: le strutture giuridiche, civili,politiche, culturali della società pos-sono e debbono essere utilizzate perrealizzare il bene comune. «È questala via istituzionale – possiamo anchedire politica – della carità, non menoqualificata e incisiva di quanto lo siala carità che incontra il prossimo di-rettamente, fuori delle mediazioni isti-tuzionali della polis».

Su questo fronte, nell’annosa questio-ne più Stato/meno Stato, Benedetto

XVI sembra optare decisamente per laprima opzione: «Nella nostra epoca,lo Stato si trova nella situazione di do-ver far fronte alle limitazioni che al-la sua sovranità frappone il nuovocontesto economico-commerciale e fi-nanziario internazionale, contraddi-stinto anche da una crescente mobili-tà dei capitali finanziari e dei mezzidi produzione materiali ed immate-riali. Questo nuovo contesto ha mo-dificato il potere politico degli Stati».E anche: «Oggi, facendo anche teso-ro della lezione che ci viene dalla cri-si economica in atto che vede i pub-blici poteri dello Stato impegnati di-rettamente a correggere errori e di-sfunzioni, sembra più realistica unarinnovata valutazione del loro ruoloe del loro potere». Più Stato, per il Pa-pa, non significa meno società civile,al contrario: «Con un meglio calibra-to ruolo dei pubblici poteri, è preve-dibile che si rafforzino quelle nuoveforme di partecipazione alla politicanazionale e internazionale che si rea-lizzano attraverso l’azione delle Or-ganizzazioni operanti nella società ci-vile».

La riforma dell’ONUIl Papa che chiede di rivalutare il ruo-lo dello Stato per una più equa ridi-stribuzione delle ricchezze sull’uma-nità non risparmia una critica radica-le anche alla politica internazionale,troppo debole per far funzionare beneil mondo. Benedetto XVI si spinge fi-no alla richiesta di una riforma del-l’ONU: «Per il governo dell’econo-mia mondiale; per risanare le econo-mie colpite dalla crisi; per prevenirepeggioramenti della stessa e conse-guenti maggiori squilibri; per realiz-zare un opportuno disarmo integrale,la sicurezza alimentare e la pace; pergarantire la salvaguardia dell’am-biente e per regolamentare i flussi mi-gratori, urge la presenza di una veraAutorità politica mondiale, quale èstata già tratteggiata dal mio Prede-cessore, il Beato Giovanni XXIII. Unasimile Autorità dovrà essere regolatadal diritto, attenersi in modo coeren-te ai principi di sussidiarietà e di so-lidarietà, essere ordinata alla realiz-zazione del bene comune, impegnarsinella realizzazione di un autentico svi-luppo umano integrale ispirato ai va-

No. 210 opinioni 3

Dalla critica del capitalismo all’utopia religiosaIl versante economico dell’ultima enciclica sociale

diCarlo Silini

lori della carità nella verità. Tale Au-torità inoltre dovrà essere da tutti ri-conosciuta, godere di potere effettivoper garantire a ciascuno la sicurezza,l’osservanza della giustizia, il rispet-to dei diritti».

Il primato dell’eticaIl cemento con il quale BenedettoXVIpropone di saldare i mattoni della so-cietà è quello dell’etica. L’assenza dietica figura già in una prima diagnosidella situazione: Su questo aspetto sisono scatenati i titoli di tutti i giorna-li. «Il rischio del nostro tempo è cheall’interdipendenza di fatto tra gli uo-mini e i popoli non corrisponda l’in-terazione etica delle coscienze e del-le intelligenze, dalla quale possaemergere come risultato uno sviluppoveramente umano». E anche: «La sfe-ra economica non è né eticamenteneutrale né di sua natura disumana eantisociale. Essa appartiene all’atti-vità dell’uomo e, proprio perché uma-na, deve essere strutturata e istituzio-nalizzata eticamente».

Il Papa non chiede semplicemente dirafforzare la finanza, le banche o ilcommercio etico. «Occorre adope-rarsi — l’osservazione qui è essen-ziale! — non solamente perché na-scano settori o segmenti “etici” del-l’economia o della finanza, ma per-ché l’intera economia e l’interafinanza siano etiche e lo siano non perun’etichettatura dall’esterno, ma peril rispetto di esigenze intrinseche al-la loro stessa natura».Amio modo divedere, il Papa giunge qui al rove-sciamento delle gerarchie di governoche potremmo immaginare come pi-ramidi: prima al vertice c’era l’eco-nomia, a metà la politica e in fondol’etica. Qui è l’esatto contrario: in ci-ma alla piramide c’è l’etica da cui di-scende la politica e infine l’economia.

Se si preferisce si può anche dire cheil Papa prende le tre parole chiavedell’illuminismo «Liberté, Fraternité,Egalité» per riaffermare il valore delpilastro della Fraternità, (schiacciatodall’individualismo liberale) da inten-dere, però, in chiave cristiana: la fra-ternità di cui parla si fonda sul fattoche tutti gli uomini sono figli di ununico Padre che è Dio. «Lo sviluppodei popoli dipende soprattutto dal ri-conoscimento di essere una sola fa-miglia, che collabora in vera comu-nione ed è costituita da soggetti chenon vivono semplicemente l’uno ac-canto all’altro».

Un salto di qualitàFin qui il pensiero del Papa, per quan-to radicale e corrosivo, può senz’altroessere fatto proprio, penso, anche damolti laici credenti o non credenti:questo ritorno alle regole, questa ri-valutazione del ruolo dello Stato e del-la politica, questa necessità di un agi-re etico corrispondono ad un’idea dieconomia sociale di mercato larga-mente condivisibile. Ma il Papa nonsi ferma qui. La città dell’uomo cheimmagina va molto oltre un sistemabasato sulla sussidiarietà e sulla soli-darietà. Senza essere fondata in Dio,sostiene il Papa, l’economia non puòessere umana. Questo è probabilmen-te il nodo più problematico e nellostesso tempo coraggioso della sua en-ciclica: «Lo sviluppo richiede, inoltre,una visione trascendente della perso-na, ha bisogno di Dio: senza di Lui losviluppo o viene negato o viene affi-dato unicamente alle mani dell’uomo,che cade nella presunzione dell’auto-salvezza e finisce per promuovere unosviluppo disumanizzato».

Il Papa chiede quindi alle scienze, evi-dentemente anche alle scienze econo-miche, di non chiudersi alla metafisi-ca e alla disciplina scientifica dellateologia. «L’eccessiva settorialità delsapere, la chiusura delle scienze uma-ne allametafisica, le difficoltà del dia-logo tra le scienze e la teologia sonodi danno non solo allo sviluppo del sa-pere, ma anche allo sviluppo dei po-poli, perché, quando ciò si verifica,viene ostacolata la visione dell’interobene dell’uomo nelle varie dimensio-ni che lo caratterizzano».

Ma il vero salto utopico del Papa simanifesta nell’immaginazione di unsistema economico basato sul criteriodella gratuità: «La carità nella veritàpone l’uomo davanti alla stupefacen-te esperienza del dono. La gratuità èpresente nella sua vita in moltepliciforme, spesso non riconosciute a cau-sa di una visione solo produttivisticae utilitaristica dell’esistenza. L’esse-re umano è fatto per il dono, che neesprime ed attua la dimensione di tra-scendenza». Qui il Papa capisce benedi osare molto, infatti scrive: «Il mer-cato della gratuità non esiste e non sipossono disporre per legge atteggia-menti gratuiti. Eppure sia il mercatosia la politica hanno bisogno di per-sone aperte al dono reciproco». E an-che: «il mercato, lasciato al solo prin-cipio dell’equivalenza di valore deibeni scambiati, non riesce a produr-

re quella coesione sociale di cui pureha bisogno per ben funzionare. Senzaforme interne di solidarietà e di fidu-cia reciproca, il mercato non può pie-namente espletare la propria funzio-ne economica. Ed è questa fiducia cheè venuta a mancare, e la perdita del-la fiducia è una perdita grave».

Bello, ma è realistico immaginare gliimprenditori e gli operatori economi-ci di oggi, in pieno tempo di vacchemagre: che per risanare i loro conti co-minciano a pensare che il profitto nonè tutto, che bisognerebbe regalarequalcosa?

Molto altro andrebbe detto del testo diPapa Ratzinger, anche in chiave criti-ca. L’enciclica, ad esempio, pecca diun certo esclusivismo cattolico [«Dia-loghi» ha affrontato questo aspettodell’enciclica nell’editoriale del nu-mero 208, ottobre 2009, ndr.]. Questaè una possibile chiave interpretativadella sua enciclica e qui pare suffi-ciente sintetizzarla in questi termini:la costruzione del nuovo pensiero eco-nomico proposto da Benedetto XVI(l’edifico dottrinale di cui parlavamoall’inizio di questo articolo) parte daun’operazione di abbattimento deimuri delle illusioni liberiste, passa dalsovvertimento delle gerarchie di va-lore (l’etica viene prima della politi-ca, la politica viene prima dell’eco-nomia) e giunge al sogno di una so-cietà perfetta, fondata sulla fraternitàe sull’economia paradisiaca del dono.Caritas in veritate è senz’altro il testopiù utopico di Joseph Ratzinger.

Rifugiati nel mondo. L’Alto com-missario dell’ONU calcola che i rifu-giati e i richiedenti l’asilo nel mondosono 16milioni, mentre 26milioni so-no forzatamente migrate all’internodel loro Paese. Molti di questi sposta-menti interni, causati da conflitti e ca-restie, sono di lunga durata: 29 grup-pi, di oltre 25.000 persone, sono esi-liati da più di cinque anni in 22 diver-si Paesi, con nessuna probabilità disoluzione immediata. Gli abitanti e leautorità europee, di fronte alle immi-grazioni (che oltretutto rappresentatouna preziosa mano d’opera, come ilmezzo milione di «badanti» attive inItalia) dimostrano egoismo e cattivainformazione, se è vero (come inse-gnano i Papi) che «la terra è di tutti»,mentre l’Italia di Berlusconi e di Bos-si ha approvato leggi che criminaliz-zano chi cerca rifugio e lavoro.

4 opinioni No. 210

No. 210 opinioni 5

Pensare la carità nella sua rilevanzaper la nostra forma sociale cogliendo-ne tutta la complessità, senza la pre-tesa di fornire ricette complessive pergestirla, ma piuttosto indicando alcu-ni fondamentali criteri per abitarla.Pensarla come stimolo per la rifles-sione (veritas) e per la prassi. Pensar-la in relazione allo «sviluppo umanointegrale», «volto alla promozione ditutto l’uomo e di tutti gli uomini» (14)e dunque nella varietà delle sue di-mensioni – incluso, in particolare, ilsuo collegamento con i «doveri chenascono dal rapporto dell’uomo conl’ambiente naturale» (48).Questa la prospettiva sottesa alla Ca-ritas in veritate di Benedetto XVI, chetocca il tema ambiente nei numeri 48-51: una porzione breve (tanto che al-cuni commentatori vi hanno dedicatopoca attenzione), ma molto densa.

Dono di Dio…Il n. 48 si apre con un’indicazionechiara: «Il tema dello sviluppo è oggifortemente collegato anche ai doveriche nascono dal rapporto dell’uomocon l’ambiente naturale. Questo è sta-to donato da Dio a tutti, e il suo usorappresenta per noi una responsabi-lità verso i poveri, le generazioni fu-ture e l’umanità intera». È un oriz-zonte teologico forte, che scopre nel-l’ambiente soprattutto il dono di Dioper tutti, l’ambiente di vita da condi-videre: non solo la «natura», né la ca-va di materiali disponibili all’azioneumana, ma la creazione buona, il pri-mo radicale dono di Dio, in cui Egliesprime la sua benedizione fondanteper la vita. È un’affermazione di for-za tutta particolare nel 2009, a tren-t’anni dalla proclamazione di France-sco d’Assisi a patrono dei cultori del-l’ecologia; essa rimanda a un approc-cio ai problemi ambientali che ha allespalle un’esperienza del mondo comerealtà buona, donata, di fronte allaquale il primo atteggiamento da assu-mere è la lode grata.

Dono, prosegue ancora il testo, è an-che l’indicazione di una realtà non na-ta dal mero caso, ma espressione diuna vocazione, di un disegno di amo-re e di verità. È lo sguardo del credenteche – al dilà dell’ateismo metodolo-gico della scienza – «nella natura (…)

riconosce il meraviglioso risultatodell’intervento creativo di Dio». Laconfessione di una tale dimensione diintenzionalità operante al cuore delreale conferisce ad esso un valore teo-logico che nella CV si riverbera sulpiano etico: la natura è realtà che«l’uomo può responsabilmente utiliz-zare per soddisfare i suoi legittimi bi-sogni—materiali e immateriali— nelrispetto degli intrinseci equilibri delcreato stesso».Attenzione all’espres-sione «legittimi»: in nessun modo po-tremmo leggere in questo testo una le-gittimazione della società dei consu-mi, con la sua promozione del desi-derio senza limite quale motoredell’economia. L’intenzionalità crea-trice di Dio mira alla vita degli uomi-ni e delle donne («Gloria Dei homovivens», Ireneo di Lione), ma vi sonoequilibri che fanno parte delle struttu-re di sostegno alla vita e che esigonodi essere rispettati.

Tale prospettiva centrata sul dono-per-la-vita fonda un concezione equili-brata del rapporto uomo-ambiente,ben distante dagli opposti estremismi,che pure facilmente incontriamo inquest’ambito. Da un lato, infatti, è pre-sente talvolta un’immagine di naturacome realtà quasi intoccabile; d’altraparte incontriamo figure e prospettiveche relativizzano a tal punto la datitàdelmondo naturale da legittimare ogniforma di utilizzo (una prospettiva diunilaterale accentuazione del valoredella tecnica che la CV esaminerà ainn. 68-77). Per indicare una prospet-tiva che tenga lontani da tali due poli,il n. 48 parla di «un uso responsabi-le» del mondo che abitiamo. Il termi-ne – di estrema importanza per la ri-flessione morale contemporanea –compare ben 39 volte in CV ed è mol-to caro a papa Benedetto, che già neldiscorso della Pentecoste 2006 ne ave-va evocato la varietà delle dimensio-ni, fino a collegarle a quella fonda-mentale responsabilità cheDio nel suoSpirito ha nei confronti della sua crea-zione. Qui, in particolare, si richiamauna responsabilità «nei confronti dei

poveri, delle generazioni future, del-l’umanità intera»; le prime due vocinon vanno intese come referenti esclu-sivi, ma piuttosto come punti focali,su cui si misura l’universalità diun’etica e di una prassi credente. Dasottolineare – accanto all’attenzioneper i poveri, tradizionale nella dottri-na sociale cattolica – il riferimento al-le «generazioni future», a evidenzia-re la complessa struttura temporale diun’etica della responsabilità. Non èsolo colui che mi sta accanto – il vol-to o il corpo di cui mi scopro prossi-mo – che mi chiama a responsabilità,e neppure soltanto coloro che al pre-sente io posso cogliere come destina-tari della mia azione, in quanto me-diata da istituzioni. Si tratta certo didimensioni fondamentali e giusta-mente Benedetto XVI sottolinea al n.7di CV che c’è «una via istituzionale— possiamo anche dire politica —della carità, non meno qualificata eincisiva di quanto lo sia la carità cheincontra il prossimo direttamente, fuo-ri delle mediazioni istituzionali dellapólis». Qui, però, egli si sofferma suuna dimensione della carità in cui lamediazione è ancora più ampia, manon per questo meno rilevante: quel-la che si rivolge alle prossime genera-zioni. È un tema entrato nel magiste-ro cattolico con Giovanni Paolo II eche ha trovato ampio spazio nel Com-pendio della dottrina sociale dellachiesa cattolica (CDSC); qui esso as-sume un ruolo chiave per l’etica am-bientale della CV – antropocentrica,ma di un antropocentrismo teologica-mente fondato, attento al futuro del-l’umanità ed alla casa-oikos in cui es-so si realizza.

…da modellare, con un’attenzioneintergenerazionaleLe prospettive che abbiamo appenaaccennato le troviamo espresse in for-ma condensata in una frase pregnan-te, tesa a disegnare il ruolo attivo del-l’uomo entro il creato: «l’uomo inter-preta e modella l’ambiente naturalemediante la cultura, la quale a suavolta viene orientata mediante la li-bertà responsabile, attenta ai dettamidella legge morale». Abbiamo quiun’antropologia complessa, che rifiu-ta di considerare l’agire umano comemera perturbazione di un ambiente

Fondare una casa per l’umanità in forme capaci di futuroLa cura dell’ambiente nell’enciclica «Caritas in veritate»

diSimone Morandini*

* della Fondazione Lanza e della Facoltà teo-logica del Triveneto.

6 opinioni No. 210

che sarebbe di per sé armonico, mache neppure mostra accondiscenden-za verso quell’unilaterale accentua-zione della libera creatività del sog-getto che caratterizza lamodernità. Li-bertà creativa, certo, ma anche re-sponsabile – pronta a rispondere agliappelli che le vengono dal reale che lesta dinanzi e che trovano espressionenella legge morale in tutta la sua com-plessità.

Tale attenzione per la dimensione eti-ca si traduce in questo contesto so-prattutto in un richiamo alla declina-zione della solidarietà e della giusti-zia intergenerazionali su una varietàdi piani: «l’ecologico, il giuridico,l’economico, il politico, il culturale».È una ricchezza di aspetti che richia-ma lo spettro semantico associato a untermine che non è presente nella CV:quello di «sostenibilità», che dice pro-prio di una forma di vita socio-eco-nomica capace di provvedere alle ne-cessità delle generazioni presenti, sen-za precludere analoga possibilità perquelle future. Formulata per la primavolta nel contesto del Consiglio Ecu-menico delle Chiese nel 1974, tale no-zione ha trovato ampio impiego nellinguaggio della politica ambientale apartire dal Rapporto della Commis-sione Bruntland all’ONU nel 1987,che lo caratterizza nella sua triplice di-mensione – ambientale, sociale, eco-nomica. Negli ultimi decenni, la stes-sa espressione è stata pure utilizzatada diversi testi di episcopati naziona-li, tanto che nel periodo immediata-mente precedente alla stesura delCompendio, ne era addirittura stataipotizzata la sua inclusione tra gli as-siomi della dottrina sociale, accanto anozioni tradizionali come sussidiarie-tà, solidarietà e giustizia. Di fattol’evoluzione non è andata in questosenso e, anzi, il termine non è presen-te nel Compendio, né viene utilizzatonella CV, ma è evidente che l’argo-mentare di Benedetto XVI non può fa-re a meno di tale plesso concettuale.

Un governo responsabiledell’ambienteCiò che interessa a papa Benedetto è,però, soprattutto che per tale prospet-tiva occorre un governo responsabiledell’ambiente (50), per il quale la CVoffre solo alcune linee fondamentali,lasciando all’interpretazione e allaprassi dei destinatari l’esplicitazionedettagliata di aree e temi in cui appli-carla. In primo luogo l’affermazioneche «c’è spazio per tutti su questa no-

stra terra: su di essa l’intera famigliaumana deve trovare le risorse neces-sarie per vivere dignitosamente, conl’aiuto della natura stessa, dono diDio ai suoi figli, e con l’impegno delproprio lavoro e della propria inven-tiva».

È facile cogliere qui un rimando im-plicito all’attenta meditazione dellequestioni demografiche presentata aln. 44 e caratteristica della dottrina so-ciale cattolica.Anche più diretta è, pe-rò, la presa di distanza dalle cosiddet-te «etiche della scialuppa di salvatag-gio», che – sostenendo l’insufficienzadelle risorse terrestri per l’intera po-polazione presente – vorrebbero pri-vilegiare la difesa dei privilegi nazio-nali delle aree attualmente più svilup-pate, anche a detrimento delle altre(una sorta di estensione della politicadel respingimento a metodo digestione delle problematiche interna-zionali). È una posizione evidente-mente incompatibile con il tema del-la solidarietà e con quell’affermazio-ne della destinazione universale deibeni della terra, che – nitidamente for-mulata in Gaudium et Spes 69 – at-traversa l’intero magistero sociale de-gli ultimi decenni e costituisce l’asseportante della riflessione economicadel Compendio. Contro di essa Bene-detto XVI richiama la fecondità dellanatura, ma anche l’importanza dellacreatività umana, quale si esprime nellavoro e nella tecnica. Occorre un’«al-leanza tra l’uomo e l’ambiente» chesappia vedere il futuro – e l’azioneumana in esso – illuminati da una spe-ranza teologicamente fondata, comeambiti di una positiva coevoluzionepossibile.

Sbaglierebbe gravemente, insomma,chi volesse leggere in tali sottolinea-ture un ottimismo superficiale o unapresa di distanza dall’attenzione am-bientale: ne dà conferma l’afferma-zione di forza assolutamente singola-re che troviamo subito dopo, come ve-ro centro focale della sezione 48-51.Si parla, infatti, di un «dovere gravis-simo», «di consegnare la terra allenuove generazioni in uno stato taleche anch’esse possano degnamenteabitarla e ulteriormente coltivarla».Da sottolineare, in primo luogo,l’espressione «dovere gravissimo»,che esprime una qualifica etico-teolo-gica molto forte per un’indicazioneche (ancora una volta nei contenuti,pur se non nella terminologia) orien-ta decisamente alla sostenibilità. È ta-le dovere che la CV affida alla corre-

sponsabilità della comunità interna-zionale: occorre imparare a «decide-re insieme», affinché «la comunità in-ternazionale e i singoli governi sap-piano contrastare in maniera efficacele modalità d’utilizzo dell’ambienteche risultino ad esso dannose». Il go-verno responsabile dell’ambiente de-ve cioè articolarsi su vasta scala: laprotezione dell’essere umano e del cli-ma esige una forte azione congiunta,che si faccia carico dei soggetti debo-li citati in precedenza. Solo se capacedi collaborazione la famiglia umanapuò prendersi efficacemente cura del-la terra, superando una politica di me-ro accaparramento delle risorse.

Troviamo tale istanza esplicitata, tral’altro, con riferimento al tema del cli-ma: «la protezione dell’ambiente, del-le risorse e del clima richiede che tut-ti i responsabili internazionali agi-scano congiuntamente e dimostrinoprontezza ad operare in buona fede,nel rispetto della legge e della soli-darietà nei confronti delle regioni piùdeboli del pianeta».

L’energiaLa stessa istanza trovava ampio spa-zio nel numero precedente (il 49), de-dicato ad un tema che un osservatoresuperficiale potrebbe considerare fintroppo specifico, qual è l’energia. Inrealtà Benedetto XVI ha un attenzio-ne privilegiata per le questioni ener-getiche, cui aveva già fatto ampi rife-rimenti neiMessaggi per la GiornataMondiale della Pace del 2007 e del2008. È chiara la lucida percezionedelle centralità di tale tema per la que-stione dello sviluppo, come per l’am-biente. Un forte invito è rivolto qui al-le società tecnologicamente avanzateche «possono e devono diminuire ilproprio fabbisogno energetico sia per-ché le attività manifatturiere evolvo-no, sia perché tra i loro cittadini si dif-fonde una sensibilità ecologica mag-giore». All’esigenza di sobrietà nel-l’uso dell’energia, si aggiunge quelloal «miglioramento dell’efficienzaenergetica» e alla possibilità di «faravanzare la ricerca di energie alter-native» – un riferimento che nelMes-saggio per la pace 2010 si espliciterànella citazione dell’energia solare. So-lo tale prospettiva consente di fare spa-zio alle necessità dei Paesi più pove-ri, consentendo loro di accedere ad unarisorsa così centrale per la qualità del-la vita. Benedetto XVI riprende, fo-calizzandolo sull’energia, il tema deldiritto a un equo accesso ai beni am-

No. 210 opinioni 7

bientali, già affrontato nel Messaggioper la Giornata della Pace 2007.

La salvaguardia del creatocome eticaLe indicazioni conclusive del n. 51 po-trebbero sembrare relativamente ete-rogenee, ma offrono importanti mes-se a punto per una riflessione creden-te sulla salvaguardia del creato. In pri-mo luogo, osserva il Pontefice, ilrapporto con la natura non è indipen-dente da quello che intratteniamo connoi stessi, con la forma complessivache diamo alla nostra esistenza. C’èun’indivisibilità del libro della naturache lega tra loro da un punto di vistaetico ambiti a prima vista distanti: «Idoveri che abbiamo verso l’ambientesi collegano con i doveri che abbiamoverso la persona considerata in sestessa e in relazione con gli altri». Inquesto senso assume una forte centra-lità la questione degli stili di vita; illoro rinnovamento non è solo un’esi-genza imprescindibile in vista del con-seguimento della sostenibilità, ma unmodo di dare espressione a valori fon-damentali. Con le parole della Cente-simus Annus si afferma che è necessa-rio «un effettivo cambiamento di men-talità che ci induca ad adottare nuovistili di vita, nei quali la ricerca del ve-ro, del bello e del buono e la comu-nione con gli altri uomini per una cre-scita comune siano gli elementi chedeterminano le scelte dei consumi, deirisparmi e degli investimenti». Solonel contesto di una positiva costruzio-ne di un’ecologia umana è, dunque,possibile un vissuto positivo di quellanaturale; solo nel quadro di un rio-rientamentomorale della società è pos-sibile dar vita ad una positiva etica del-l’ambiente. C’è un’imprescindibilecomponente antropologica del discor-so sulla custodia del creato, che nonpuò essere sottovalutata.

Una valenza particolarmente forte as-sume in questo senso la dimensionedella solidarietà, come condizione perevitare alle economie più fragili latrappola della povertà che costringe aun uso distorto dell’ambiente, gene-rando situazioni talvolta drammatiche(desertificazione). Così anche la paceappare come una condizione necessa-ria per un uso non conflittuale delle ri-sorse, centrato sulla solidarietà e nonsull’accaparramento. È in questo qua-dro che si colloca anche il richiamoalla responsabilità della Chiesa per ilcreato, da far valere anche nello spa-zio pubblico: è l’invito a un agire chia-

ro e incisivo su tematiche che non sem-pre hanno avuto una tale centralità nel-la prassi ecclesiale.

ConclusioneLaCV è una preziosameditazione sul-la carità nella storia, cui non potevamancare un’attenta considerazionedella salvagurdia del creato. I nn. 48-

51 offrono una riflessione forte in que-st’ambito, che il Messaggio per laGiornata per la Pace 2010 amplierà eapprofondirà, affinché le comunità cri-stiane apprendano ad amare quella ter-ra che egli stesso nelMessaggio 2008aveva colto come la casa della fami-glia umana, spazio in cui essa è radi-cata e chiamata a vivere in forme ca-paci di futuro.

SSPPIIGGOOLLII && SSPP IIGGOOLLAATTUURREE

Una rondine non fa primaveraL’Ufficio stampa vaticano, ripreso dalle agenzie di tutto il mondo (o qua-si…), ha annunciato il 21 gennaio che Flamina Giovanelli è stata nomi-nata sottosegretaria del Consiglio pontificio Giustizia e Pace: «Questaitaliana di 61 anni diventa la prima donna laica (sic!) a occupare un po-sto di responsabilità in un dicastero romano sotto il pontificato del papatedesco». E continua (APIC del 21 gennaio): «In un comunicato pubbli-cato lo stesso giorno, il dicastero considera infatti questo gesto come ri-velatore della ‘grande fiducia’ di Benedetto XVI verso le donne». Sullostesso tono celebrativo (oppure vuol essere ironico?), APIC informa an-che che «Flaminia Giovanelli entra così nel clan molto ridotto delle don-ne che occupano posti di responsabilità in Vaticano, dopo la laica (e dài:ma da quando nella Chiesa cattolica una donna può essere chierico?) au-straliana Rosemary Goldie, sottosegretario al Consiglio pontificio per ilaici dal 1966 al 1976, e suora Rosanna Enrica (laica o non laica? l’APICdev’essere in dubbio…), attuale sottosegretaria della Congregazione pergli istituti della vita consacrata e delle società di vita apostolica, nomina-ta a questo posto da Giovanni Paolo II nell’aprile del 2004».

La nomina è più che meritata, anche se tardiva. Flaminia Giovanelli è na-ta a Roma nel 1948, ha studiato economia per poi seguire i corsi della Bi-blioteca apostolica vaticana, e poi anche dell’Università gregoriana; dal1974 (da 35 anni!) lavora al Consiglio «Giustizia e Pace», dove si è spe-cializzata nella dottrina sociale della Chiesa sulle questioni dello svilup-po e della povertà: era incaricata delle relazioni tra il Consiglio e le Con-ferenze «Giustizia e pace» degli episcopati europei. I membri svizzeri diG+P ne hanno potuto apprezzare la gentilezza, soprattutto di non far pe-sare mai la sua presenza di silente e minuta osservatrice. Del resto il Va-ticano, in tutt’altre faccende occupato, non è che avesse molta conside-razione per le Conferenze episcopali che sul terreno operavano per la giu-stizia e la pace ….

Sempre nell’intento di magnificare l’apertura femminista del Vaticano(ma, ripeto, forse il redattore friburghese vuol divertirsi), il comunicatodi APIC informa che persino il segretario di Stato cardinale Tarcisio Ber-tone, nel luglio 2007 (… meno di tre anni fa!) «aveva promesso la nomi-na di donne in seno alla curia» (e ora arriva con la vettura Negri!). A sot-tolineare l’importanza della nomina fatta dal Papa si ricorda ancora cheil Consiglio ha dal 22 ottobre 2009 un nuovo segretario nella persona delsalesiano (ovviamente prete) Mario Toso e, due giorni più tardi, anche unnuovo capo nella persona del cardinale gaanese Peter Kodwo Appian Tur-kson (chierico al cubo). La nostra Flaminia occupa il terzo posto, vacan-te dall’aprile 2006 (tanto doveva essere importante!).

Non si allarmino comunque troppo i conservatori antifemministi vatica-ni e lefebvriani : una rondine non fa primavera, e la Giovanelli (61 anni)andrà presto in pensione. Le facciamo i migliori auguri di goderla riva-lutata per tanti anni: se l’è meritata. Presto sarà probabilmente sostituitada un prete, maschio ovviamente. Non è infatti previsto come imminen-te il presbiterato femminile, anche se l’«apertura» (?) agli anglicani con-cerne già gli «uxorati»! A.L.

Crisi della crescita. In un’intervistapubblicata dalla WOZ a margine del-l’uscita in tedesco del suo nuovo libro(Leben ohne Erdöl, RotpunktverlagZürich 2009), Vandana Shiva ha di-chiarato: «Gli indici di crescita eco-nomica non dicono nulla su quanto lepersone hanno da mangiare, quantaacqua potabile hanno a disposizioneo se possono guadagnarsi da vivere be-ne e con dignità; misurano solo il set-tore degli affari. E dal momento chegli affari sono sempre più nelle manidi grandi imprese, gli indici di cresci-ta sono oggi solo gli indici di crescitadelle disuguaglianze. Perfino il pre-mio Nobel per l’economia Stiglitz hadichiarato che con la crescita econo-mica non si può misurare il benesse-re delle persone. Il modello economi-co che conosciamo ha prodotto un mi-liardo di persone che non hanno ciboa sufficienza, e altri tre miliardi chesoffrono di ipertensione, diabete eobesità perché la qualità del cibo chemangiano è infima. Abbiamo bisognodi meno cose la cui qualità sia mi-gliore. Non di sempre più cose, di cat-tiva qualità».

Sabbia per Singapore. Da un annoSingapore compra sabbia alla Cam-bogia perché ne ha bisogno per fab-bricare cemento. Enormi quantità diquesto materiale gli servono per co-struire argini e fondamenta atti ad au-mentare la sua limitata superficie e igrattacieli per alloggiare una popola-zione sempre in crescita. Prima eral’Indonesia a fornire la sabbia, ma daquando alcune delle sue isole sonosparite a causa dell’erosione, Singa-pore ha dovuto ripiegare dapprima sulVietnam (ma la qualità è scadente) epoi ha trovato nel delta del fiume KobKong ciò che cercava. Mensilmentesono stimate a 50 mila le tonnellate disabbia prelevate da imbarcazioni che,sette giorni su sette e per 24 ore al gior-no, percorrono le acque tra fiume emare. In Cambogia l’impresa è ungrosso affare per molti, ma non per lapopolazione del luogo. Si tratta di fa-miglie di pescatori che vedono mi-nacciate le loro basi vitali. I proventidella pesca sono già diminuiti del 70%poiché dove è stata asportata la sab-bia pesci e gamberetti non tornano più.Per pescare occorre avventurarsi sem-pre più verso il mare aperto: un’im-presa rischiosa per le piccole barche

che non dispongono di attrezzatureadatte. Ora le donne devono acquista-re il pesce al mercato e i soldi per com-prarlo li devono guadagnare gli uo-mini, costretti a cercare lavoro all’in-terno del Paese, a giorni di distanzadai villaggi, il che li tiene lontani dal-le loro famiglie. Le imprese coinvol-te nell’estrazione della sabbia impie-gano manodopera a basso costo: viet-namita, tailandese o di Singapore. Gliunici locali ad approfittare marginal-mente della situazione sono i tassistie le prostitute. Le poche ONG chehanno osato esprimersi sulla gestionepoco trasparente della vendita di sab-bia e sull’arricchimento personale dialcuni potentati rischiano di essereespulse.

Cinture tirate. «oeku» ha inoltrato al-la Conferenza centrale cattolico ro-mana e alla Conferenza delle Chieseriformate della Svizzera una richiestadi aumento dei contributi versatigli. Icompiti del segretariato dell’Organiz-zazione ecumenica Chiesa e ambien-te sono molto aumentati negli ultimianni, per esempio con i corsi per sa-grestani nella gestione più parsimo-niosa delle risorse, il calcolatore diemissioni di CO2, ecc. Ma le dueistanze hanno negato un maggiore im-pegno finanziario. Martin Lehmann,redattore di «Reformiert», sul nume-ro 12 della rivista bernese si esprimecriticamente a riguardo. Egli osservache le Chiese non sono all’altezza del-le loro ambizioni se, dopo aver inol-trato al Consiglio federale una letterain cui si chiede un maggior impegnonella politica climatica (riduzione del-le emissioni di CO2 del 40% entro il2020), non sono in grado di dimostrarela necessaria coerenza.

Bio-sacchetti. Una ditta di Gland hasviluppato materiali alternativi allaplastica in armonia con l’ambiente.Per fabbricare contenitori di diversotipo e diversi accessori BioApply uti-lizza materiali completamente degra-dabili e compostabili a base vegetale.I sacchetti delle marche Switcher eAlinghi sono prodotti da BioApply.

Filtra l’aria. La soluzione adottata daLugano per ridurre l’inquinamento dapolveri fine nel centro città è una cen-tralina che filtra l’aria. È situata sottola «pensilina Botta», quella che fa da

scambio e capolinea alla maggior par-te delle linee della rete di trasportopubblico (a fianco del parcheggio ex-scuole). L’aggeggio, dall’aspetto di ungazebo, è lungo quattro metri, alto al-trettanto e largo due. Aspira l’aria in-quinata in un raggio di 500 metri, lafiltrata la ributta nell’ambiente circo-stante libera da polveri fini e da ozo-no. Ma deve essere alimentato conenergia: è quindi a sua volta causaemissioni di CO2, di calore e di ru-more. L’Ufficio federale per l’am-biente esprime scetticismo e sottoli-nea che sarebbe meglio interveniresulle cause delle emissioni inquinan-ti, riducendole alla sorgente: comun-que sia, attende con interesse i risul-tati dell’esperimento.

Si è comprato l’acqua. L’ONU pre-vede che nel 2025 la domanda di ac-qua potabile aumenterà globalmentedel 50% e che tre miliardi e mezzo dipersone ne avranno solamente un ac-cesso limitato. In questa prospettivala Patagonia attira le più grandi for-tune del pianeta e gli industriali piùpotenti. Siccome in Argentina nessu-na legge limita la vendita di terre, nel2006 una superficie pari a sette voltela Svizzera e al 10% della superficiedel paese latino-americano (270 milachilometri quadrati) era già di pro-prietà di stranieri. La regione possie-de beni strategici: terre coltivabili, ri-sorse minerarie e soprattutto riserved’acqua. Douglas Tomkins, fondato-re della marca di abbigliamento per iltempo libero North Face, in Argenti-na è soprannominato «padrone del-l’acqua». L’americano si è convertitoall’ecologia e possiede tra il Cile el’Argentina più di 900 mila ettari dilaghi, ghiacciai e cime innevate. È co-me se il Vallese, i cantoni Vaud e Neu-châtel fossero stati privatizzati. La suafondazione – Conservation LandTrust – acquista terre con lo scopo di«preservarle da ogni attività umana».Ma da entrambe i lati della frontierala polemica è accesa. Ci si chiede se,nel momento in cui l’acqua si fa piùrara, sia opportuno lasciare le risorsenaturali di un Paese in mani private,e per di più straniere. Le terre in que-stione sono situate nel Campo de hie-lo, la famosa distesa di ghiacci (350km. quadrati) a cavallo dei due paesiandini. È la terza riserva d’acqua almondo. Ma anch’essa soffre dellatendenza rilevata negli ultimi decen-ni in tutte le masse glaciali: si sta scio-gliendo a ritmo sostenuto a causa del-l’aumento della temperatura globale.

8 notiziario (in)sostenibile No. 210

NOTIZIARIO (IN)SOSTENIBILEa cura di Daria Lepori

L’apertura ufficiale, il 28 giugno 2005,della causa di beatificazione di Gio-vanni Paolo II, ha sollecitato tutti i cat-tolici, uomini e donne, che si sentonopartecipi e responsabili della vita del-la loro Chiesa, a inviare le loro testi-monianze sulle opere del romano pon-tefice scomparso il 2 aprile preceden-te. Come era stato correttamente an-nunziato, potevano essere inviate,all’ufficio competente del Vicariato diRoma, sia testimonianze a favore chetestimonianze contrarie alla glorifica-zione di Karol Wojtyla, purché tuttefondate su dati obiettivi. Valutando,in tutta scienza e coscienza, il ponti-ficato di Giovanni Paolo II, un grup-po di cattolici (teologi, teologhe, sto-rici), al quale mi sono unito, ritenneche le dichiarazioni pubbliche sul pon-tefice scomparso e le iniziative susci-tate per favorire la sua causa di beati-ficazione, fossero spesso caratterizza-te da una valutazione superficiale eacritica del suo operato. E perciò, nelrispetto – ovviamente – di altri e dif-ferenti pareri, lo stesso gruppo a di-cembre 2005 pubblicò un Appello,confermato e firmato anche da altriesattamente un anno dopo e quindi in-viato al Vicariato di Roma, nel qualemetteva brevemente in luce quelli che,a parere dei sottoscrittori, erano deipesanti limiti del pontificato. Limiticosì grandi da ostare alla beatifica-zione. Quell’Appello si limitava ad in-dicare alcuni punti critici del pontifi-cato. I firmatari, comunque, confida-vano, e confidano, che l’apposito Tri-bunale del Vicariato approfondiràadeguatamente le piste segnalate perfare maggior chiarezza.

È naturale che un pontificato duratoquasi 27 anni sia carico di eventi, va-riamente valutabili. Se, in quell’Ap-pello, erano sottolineati quelli, a giu-dizio dei firmatari, «negativi», non sipresumeva certo, con questo, ignora-re gli aspetti «positivi» del pontifica-to, e perciò, en passant, si ricordavain particolare l’impegno di Wojtylacontro la guerra. Nello stesso spiritodell’Appello, e lasciandolo sullo sfon-do, in questa deposizione, e come te-stimonianza personale, vorrei preci-sare le ragioni delle mie fondate ri-serve alla beatificazione di papa Woj-tyla, il che naturalmente non mi fadimenticare gli aspetti a mio parere lu-

minosi dell’azione del pontefice. Hodetto «papa Wojtyla»: la mia atten-zione, dunque, è rivolta unicamente esolamente a come questa persona havissuto il suo pontificato, e in essa haoperato. Nulla io so, direttamente, del-la sua vita precedente in Polonia, e sudi essa nessun giudizio posso espri-mere. Parlo, dunque, del ponteficeeletto il 16 ottobre 1978, e deceduto il2 aprile 2005. Sempre in rapporto al-la beatificazione, questa, a mio pare-re, è la questione previa che si pone:è possibile, in un papa, distinguere lapersona dal suo ruolo, le virtù privatedalle decisioni pubbliche? È bene evi-dente che su questa terra nessuno puògiudicare la coscienza dell’altro, soloil Signore può farlo. Dunque, sottoquesto aspetto, nulla io avrei da diresu Giovanni Paolo II. Se intervengo èperché mi domando se alcune sue scel-te – così come valutabili dall’esterno– siano state una trasparente e cristal-lina testimonianza di quello spiritoevangelico, e di quelle virtù cardinali(prudenza, giustizia, fortezza e tem-peranza) che debbono rifulgere in gra-do altissimo in un «candidato» allagloria del Bernini.

Il caso Ior-Banco AmbrosianoSul pontificato di Giovanni Paolo IIincombe un’ombra nera che, a mio pa-rere, mostra come quel pontefice vio-lò gravemente le virtù della prudenzae della fortezza: mi riferisco a comeegli gestì la vicenda dell’Istituto per leopere di religione (Ior) in connessionecon il crack del Banco Ambrosiano diRoberto Calvi. Non è, questo, il luogoper esaminare in lungo e in largo lacomplessa vicenda; mi limito a rileva-re che giudici italiani erano giunti allaconclusione che mons. Paul Marcin-kus, presidente dello Ior, aveva avutogravissime responsabilità per il crackdell’Ambrosiano e, dunque, dalla Cit-tà del Vaticano doveva essere estrada-to in Italia per essere arrestato e inter-rogato. Del resto, questa era anche lapossibilità, per lui, di dimostrare lim-pidamente la sua innocenza e l’infon-datezza delle accuse addebitategli. Lalinea difensiva della Santa Sede, in ta-le vicenda, non fu quella di accertarese le accuse a Marcinkus fossero fon-date, ma solamente quella di respin-gere, in quanto a suo parere

Perché papa Wojtyla non dovrebbe essere «beato»Le ragioni alla base dell’Appello di Giovanni Franzoni

Beatificazioni contestateAgli inizi del 2007 la «Postulazione dellacausa di beatificazione di Karol Wojtyla»,convocò al Vicariato di Roma anche Gio-vanni Franzoni – già abate del Monasterobenedettino di San Paolo fuori le Mura e«padre conciliare», più tardi sospeso a di-vinis per il sostegno dato alla legge italia-na sul divorzio – per portare la sua testi-monianza nel processo stesso. La sua de-posizione giurata è avvenuta il 7 marzo2007.Franzoni ha ovviamente mantenuto il se-greto sulla sua deposizione, fino a che lacausa non è stata ufficialmente chiusa, perla fase che riguardava il Vicariato. Nel no-vembre scorso, chiusa appunto quella fa-se, diversi prelati, e tra essi anche cardi-nali, salutando positivamente l’iter del pro-cesso, anche con interviste ai media ripor-tavano testimonianze di fatti, e anche diasseriti miracoli, che a loro giudizio di-mostravano appunto la santità di Wojtyla.Dalle varie interviste e dichiarazioni emer-geva un coro di voci favorevoli alla beati-ficazione. Nessun cenno era fatto alle vo-ci critiche, e tanto meno emergevano ten-tativi di risposta alle obiezioni che pure, insede di tribunale, erano emerse, contro labeatificazione. In tale contesto Franzoni ha ritenuto di nonessere più tenuto al segreto e, dopo averinformato, il 25 novembre 2009, l’apposi-to Tribunale del Vicariato, ai primi di di-cembre rendeva pubblica la sua testimo-nianza.Sabato 19 dicembre il Vaticano ha annun-ciato che il Papa aveva autorizzato la Con-gregazione delle cause dei santi a promul-gare decreti riguardanti, tra l’altro, le «vir-tù eroiche» di due papi: il «servo di Dio»Pio XII (Eugenio Pacelli), e il «servo diDio» Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla). Aquesto punto, una volta che la stessa Con-gregazione accerti che i due «venerabili»hanno compiuto un miracolo, il Papa re-gnante potrà decidere sulla loro beatifica-zione, almeno per quanto riguarda papaWojtyla, che talune fonti annunciano comeprobabile per il 17 ottobre 2010, all’indo-mani del 32. anniversario della sua ele-zione al pontificato. Potrebbe slittare a piùtardi – e anche sine die – la beatificazionedi papa Pacelli, la notizia della quale hasollevato molte obiezioni, a causa del si-lenzio da lui mantenuto sulla Shoah du-rante la seconda guerra mondiale (contro-bilanciata, si è detto pure, dalla generosa,incontestabile opera svolta in favore degliebrei minacciati di deportazione).

No. 210 opinioni 9

10 opinioni No. 210

contrastanti con i Patti Lateranensi, lerichieste della magistratura italiana,perché queste avrebbero interferitoin un àmbito e in uno Stato (Vaticano)in cui l’Italia non poteva entrare. In ef-fetti, dopo una lunga schermaglia giu-ridica e diplomatica, la stessa Corte diCassazione nel luglio 1987 diede ra-gione alle tesi vaticane.

Senza entrare in questioni giuridiche,la domanda da porsi è la seguente:Giovanni Paolo II favorì l’accerta-mento della verità sul caso Ior? La ri-sposta, mi pare, è negativa. Infatti, ilPapa decise, o lasciò che decidessero,di impedire, con pretesti giuridici,l’accertamento della verità. Infatti,ammesso e non concesso che i giudi-ci italiani non avessero titolo a chie-dere l’estradizione di Marcinkus, nes-sun processo pubblico si è tenuto nel-la Città del Vaticano per accertare i fat-ti. Wojtyla diede allora, e offre ancheoggi, motivi fondatissimi per dubita-re dell’innocenza di Marcinkus e, an-che, della trasparenza della gestioneeconomica della Santa Sede.

Pochi mesi dopo i fatti sopra citati(l’appello ai Patti lateranensi per evi-tare l’estradizione di mons. Marcin-kus), Wojtyla, il 26 novembre 1982,così affermava alla conclusione di unaplenaria del Collegio cardinalizio cheaveva discusso anche dello Ior: «(...)La Santa Sede è disposta a compiereancora tutti i passi che siano richiestiper un’intesa da entrambe le parti per-ché sia posta in luce l’intera verità. An-che in questo, essa vuole solo servirela causa dell’amore». Mai parole tan-to impegnative sono state altrettantocontraddette: infatti, pubblicamente,nulla ha fatto Wojtyla per fare accer-tare la verità. È vero, ha poi riforma-to lo Ior e allontanato Marcinkus: mala verità sui rapporti tra il prelato eCalvi, e il crack dell’Ambrosiano, nonsi è potuta sapere, da parte vaticana.E il fatto che la Santa Sede, pur di-cendosi estranea al crack dell’Am-brosiano, abbia dato, a titolo di buonavolontà, un sostanzioso contributo peraiutare chi da quel crack aveva subi-to ingenti danni economici, non risol-ve affatto, ma rende più aspro, il pro-blema di fondo.

Beatificare un Papa che, su tema tan-to scottante, non ha fatto luce, mi sem-brerebbe assai grave. L’impressione –dall’esterno – che molti hanno è che,al dunque, Wojtyla abbia sacrificatol’accertamento della verità per noncompromettere l’istituzione ecclesia-

stica che avrebbe subito danni rile-vantissimi se il mondo intero avessescoperto trame incredibili e imbroglieconomici inimmaginabili. Per nonparlare dello sbigottimento di milionidi semplici fedeli cattolici nel mondointero. Dal punto di vista religioso, ame pare che, nel caso citato, Wojtylasia venuto meno, in modo obiettiva-mente gravissimo, alle virtù della pru-denza e della fortezza: la prudenza cheavrebbe dovuto imporgli, come capodella Chiesa cattolica romana, di sal-vaguardare il buon nome di tale Chie-sa, e dunque di fare ogni cosa per ac-certare la verità; la fortezza, che avreb-be dovuto spingerlo ad opporsi alleprevedibili resistenze dell’apparatoecclesiastico della Curia romana restìaa «scoprire gli altarini». Quali che sia-no state le motivazioni soggettive percui il Papa agì come agì (motivazioniche io non so), il risultato pubblico ditale decisione è aver obiettivamenteimpedito l’accertamento della verità.Come persona il Papa forse non ha fat-to nulla di male o, soggettivamente, hacreduto di non farlo; ma come ponte-fice ha compiuto un gesto gravido diconseguenze.

La beatificazione di Pio IXQuando, a fine 1999, fu annunciatoche, di lì a pochi mesi (sarebbe effet-tivamente accaduto il 3 settembre del2000), il Papa avrebbe beatificato in-sieme Pio IX e Giovanni XXIII, damolte parti emersero fortissime per-plessità. Perché? Non solo per l’ «ab-binamento» voluto da Wojtyla – dal-l’evidente significato di accontentare,da una parte, i «tradizionalisti», e, dal-l’altra, i «progressisti» – ma per duemotivi ben precisi, legati alla pena dimorte e alla vicenda di Edgardo Mor-tara. Mastai Ferretti, come re delloStato pontificio, aveva rifiutato la gra-zia a due patrioti, Giuseppe Monti eGaetano Tognetti, che avevano com-piuto un attentato, e nel 1868 i due, aRoma, erano stati messi a morte. Pro-tetto da Pio IX, l’inquisitore di Bolo-gna nel 1858 aveva fatto rapire allafamiglia Mortara – un’illustre fami-glia ebraica – il piccolo Edgardo inquanto nascostamente battezzato dauna domestica. Perché il piccolo, or-mai cristiano, fosse educato nella «ve-ra religione», era inevitabile – secon-do Pio IX – che esso fosse sottrattocon la forza alla famiglia di origine:«I diritti del Padre celeste vengono pri-ma di quelli del padre terreno», so-stenne sempre il pontefice per giusti-ficare la sua decisione.

Mi si chiederà che cosa c’entri tuttoquesto con Wojtyla. C’entra, invece.In questione non è infatti l’intima co-scienza di Pio IX, che fece le sue scel-te – nel suo contesto storico e cultu-rale – ritenendo di fare il meglio pos-sibile. In questione è il fatto che un«beato», molti anni o anche secoli do-po la sua morte, e dunque in un altrocontesto storico, culturale ed eccle-siale, viene proposto a tutti i fedeli co-me esempio da imitare. Ora, all’albadel Duemila, e quattro decenni dopoil Concilio Vaticano II, all’interno del-la Chiesa cattolica romana si era enor-memente accresciuta la sensibilità (pa-storale e teologica) su due temi: la pe-na di morte e il rapporto Chiesa/po-polo d’Israele. Perciò, elevare aglionori degli altari un papa che avevapermesso esecuzioni capitali e avevafatto rapire un bambino ebreo battez-zato era una provocazione impressio-nante. Infatti, la domanda non era, enon è, se Pio IX fosse in buona fede(lo diamo per accertato), ma quale si-gnificato assumesse oggi proclamarebeato un papa che fece l’opposto diquanto oggi i buoni cattolici pensano.

Dopo i gesti coraggiosi (basti citare lasua visita alla grande Sinagoga di Ro-ma, del 1986, e al Muro del pianto diGerusalemme, nel marzo del 2000) dalui compiuti verso il popolo ebraico,l’annunciata beatificazione di Pio IXappariva contraddittoria ed incom-prensibile. In effetti, nei mesi prece-denti l’annunciata beatificazione, per-sonalmente ebbi modo di constatarel’amarezza e lo sconcerto della co-munità ebraica romana per la decisio-ne di Wojtyla. E analoghi furono i sen-timenti in molti cattolici. (...)

I diritti umani violatiIl pontificato di Giovanni Paolo II ècostellato di decisioni sue, o di orga-ni ufficiali della Curia romana (in par-ticolare della Congregazione per ladottrina della fede), che in sostanzahanno in vario modo punito la libertàdi ricerca teologica: teologi, teologhe,studiosi non «in linea» sono stati al-lontanati dalle loro cattedre, o impe-diti di proseguire le loro ricerche. Nel-la maggior parte dei casi le procedu-re adottate da Roma per punire gli in-diziati non soddisfano lo standard chenei Paesi occidentali si esige perchéun processo sia considerato giusto, ecomunque i provvedimenti punitivinon hanno dato all’imputato il mododi difendersi adeguatamente. Questasituazione è particolarmente stridente

No. 210 opinioni 11

in un Papa che è andato pellegrino intutto il mondo a proclamare le esi-genze della giustizia e l’intangibilitàdei diritti umani. Eppure, la ricercadella giustizia – nella Chiesa, anzitut-to! – è, appunto, una delle virtù car-dinali che dovrebbero rifulgere in un«beato». Tanto più se papa. (...)

L’emergenza della questionefemminileRisolvere d’autorità i problemi acutied aspri può, all’apparenza, scioglie-re i nodi ma, in realtà, essi si aggrovi-gliano rendendo tutto più difficile. Èquanto – a mio parere – è accaduto,sotto Wojtyla, con la «questione-don-na». Le crescenti e diffuse richieste dipiena partecipazione della donna allavita della Chiesa sono state da Wojty-la soffocate. Senza entrare qui nelleproblematiche teologiche dei ministe-ri femminili o della donna-prete, si de-ve rilevare che il pontefice ha accura-tamente evitato di permettere, in pro-posito, un ampio dibattito, ad esempioin un Sinodo dei vescovi ad hoc, oascoltando pubblicamente un’ampia evariegata rappresentanza delle donne.

Ma è prudente un pastore che delibe-ratamente evita di ascoltare che cosadice l’«altra metà del cielo»? Puravendo esaltato più volte il «geniofemminile», ed avendo dedicato alla«dignità della donna» una lettera apo-stolica (Mulieris dignitatem, del1988), in realtà Wojtyla non ha ascol-tato le richieste delle donne; le ha so-lo interpretate a modo suo per con-servare lo status quo dell’istituzioneecclesiastica. Avendo negato, a livel-lo istituzionale, un reale dibattito sul-la «questione donna», Wojtyla si è as-sunto la responsabilità di impedire chevarie posizioni emergessero, si con-frontassero, si arricchissero nel reci-proco ascolto e nella comune ricercadella volontà di Dio.

La vicenda di Oscar RomeroÈ in atto il tentativo – così a me sem-bra, leggendo i più recenti libri sumons. Oscar Romero scritti da perso-ne «sensibili» ai desiderata della Cu-ria romana – di descrivere come idil-liaci i rapporti tra l’arcivescovo di SanSalvador e il Papa. Credo che tale de-scrizione non corrisponda alla realtà,e che, al contrario, essa sottenda il for-te desiderio di proporre, sulla vicenda,un Wojtyla «comprensivo» che non èesistito. Varie testimonianze, tutte ba-sate su affermazioni di mons. Rome-

ro, concordano nel dire che il Papa ac-colse con freddezza Romero quando(1979) a Roma lo ricevette in udienza.

In proposito posso portare ancheun’esperienza personale. Nel febbra-io 1989 ho incontrato a Managua unareligiosa – suor Vigil – che lavoravapresso il Centro ecumenico Valdivie-so. Essa mi confermò di aver incon-trato a Madrid mons. Romero di ri-torno da Roma (siamo sempre nellaprimavera del 1979) e di averlo trova-to «costernato» per la freddezza concui il Papa, durante l’udienza, avevavalutato l’ampia documentazione, dalui stesso fatta pervenire in Vaticano,circa la violazione dei diritti umani edella vita di quanti si erano opposti,anche fra i suoi diretti collaboratori,all’oppressione esercitata dal governosalvadoregno sulla popolazione. OscarRomero avrebbe ricevuto dal Papa unasecca esortazione ad andar «più d’ac-cordo» con il governo. A commentodi quell’udienza – mi riferì ancorasuor Vigil – Romero disse alla reli-giosa: «Non mi sono mai sentito cosìsolo, come a Roma». (...)

Al di là della vicenda dell’udienza, èun fatto che Wojtyla non fece gestipubblici e inequivocabili per mostra-re di essere dalla parte di Romero, edi sostenerlo. Del resto, se avesse vo-luto dire al mondo, con un gesto rico-noscibile anche dai più umili, di esse-re dalla parte di Romero, Wojtyla loavrebbe pur potuto creare cardinalenel suo primo concistoro (giugno1979). Il che non fece. Del resto, in ol-tre 26 anni di pontificato – e, cioè, siaprima sia dopo la caduta del muro diBerlino – Wojtyla ha mostrato, mi pa-re, un’incapacità radicale di coglierela sensibilità di quei milioni di perso-ne che vedevano in Romero un marti-re della giustizia, e la fondatezza pa-storale ed evangelica di quei cristiani– religiose, preti, vescovi, laici, uominie donne – che si ispiravano alla «teo-logia della liberazione». Una teologiacon la quale, agli inizi, lo stesso Ro-mero riteneva di non essere in sinto-nia, con la quale poi finì per incarnar-ne in modo esemplare lo spirito. Nes-sun vescovo dell’America latina aper-tamente schierato con la «teologiadella liberazione» è stato creato daWojtyla cardinale: non che essi cer-cassero tale onore, ma, nell’attuale si-stema ecclesiastico, sarebbe pur statoimportante che il Papa mostrasse aper-tamente la sua stima dando all’uno oall’altro la porpora. Non solo: Wojty-la ha portato nella Curia romana pre-

lati latinoamericani apertamente osti-li a Romero, accaniti avversari della«teologia della liberazione» e, anche,talora, non troppo coperti amici di dit-tatori.

Se, in tutte queste vicende, Wojtyla sisia segnalato per la virtù della pru-denza è tema che, ritengo, meriti ap-profondita riflessione. Molti dubbi,comunque, sono leciti. In particolare,non vi sono segni che egli si sia chi-nato per cercare di capire una «pasto-rale» e una «teologia» diversissimedalle sue.

Il concubinato del cleroNon intendo esaminare tutta l’ampiaproblematica del celibato sacerdotale,cioè l’insieme delle ragioni storiche,bibliche, ecclesiali che oggi ne consi-gliano, o meno, il mantenimento nel-la Chiesa latina. Voglio solo affronta-re uno spicchio di tale realtà: il con-cubinato del clero. Con ciò non in-tendo affatto dire che tutto il clero siaoggi concubinario: assolutamente no!Tutti conosciamo preti lieti e fedeli alloro celibato, e carichi di umanità. Macerto, per una parte, sia pure limitata,del clero, il problema esiste. Ricordoun episodio: quando, come «padre»conciliare, ero al Vaticano II, avevo co-me vicino di banco un vescovo del-l’America latina. Questi rimase mol-to male quando Paolo VI avocò a sé laquestione della legge del celibato nel-la Chiesa latina, impedendo dunque alConcilio di discuterne liberamente. Intale situazione, mi disse: «Caro padreabate, e adesso come faccio, dato chenella mia diocesi tutti i preti sono con-cubinari? Ero venuto in Concilio pro-prio per favorire l’abolizione della leg-ge del celibato!».

Già incombente ai tempi di Paolo VI,la questione del celibato si è fatta an-cor più grave sotto Giovanni Paolo II.A questo Papa imputo come scelta as-sai temeraria quella di avere impedi-to, in proposito, un reale dibattito aivari livelli della Chiesa. Wojtyla hatalmente insistito sulla «saldatura» traministero presbiterale e celibato darendere di serie B i sacerdoti delleChiese cattoliche orientali, spessosposati. Ma, soprattutto, la sua esa-sperata difesa della legge in atto ha di-menticato un particolare decisivo, cheun pastore saggio in nessun modo po-trebbe ignorare: il problema dei figlidei preti, e delle donne dei preti. Ob-bligando i preti latini che, in relazio-ni clandestine, avessero avuto dei fi-

gli, ad assumersi apertamente le lororesponsabilità, e dunque a sposarsi peressere – coram populo – padri amo-rosi dei loro figli, e sposi affettuosi didonne non più tenute nascoste, si com-pirebbe un gesto di giustizia. Riba-dendo invece la legge del celibato, difatto si esimono questi presbiteri dal-l’assumersi le loro responsabilità, e sipermette loro di continuare a trattarele madri dei loro figli come personesenza diritti. Sono migliaia e miglia-ia, nel mondo – dalla Germania, alBrasile al Congo – i figli dei preti chenon hanno diritto di avere una normalefamiglia, essendo il loro padre «ine-sistente». Una tale situazione ledemolti diritti umani, e stringe il cuore.È impressionante che Wojtyla non ab-bia mai voluto affrontare pubblica-mente questo «tabù», preferendo lecertezze dell’istituzione alle doloroseconseguenze derivanti dall’addentrar-si con realismo nelle problematicheconcrete della vita, spesso assai com-plicate.

Tema differente, ma sempre legato alclero, è quello delle violenze sessualidi preti contro minori. La sgradevoleimpressione che si ha, in proposito, èche Wojtyla abbia affrontato questapiaga tremenda solo quando essaesplose negli Stati Uniti d’America,sul finire degli anni Novanta.

Le dimissioni dal pontificatoUna delle conseguenze più corpose,perché più incidenti nella realtà, delVaticano II è stata la norma, infine sta-bilita dal nuovo Codice di diritto ca-nonico, che chiede ai vescovi checompiono 75 anni di presentare le lo-ro dimissioni al papa, che valuteràcaso per caso. Non so se si sia riflet-tuto sino in fondo sulla «teologia» chesottostà a tale norma: una volta, infat-ti, si diceva che il vescovo è lo «spo-so» della sua Chiesa, cioè della suadiocesi, e perciò l’ama fino alla fine,cioè – in linea di principio – ne restatitolare fino alla morte. Perché mai,infatti, uno sposo non sarebbe più ta-le quando è avanti con gli anni? Adogni modo, ammesso il principio, nonsolo della legittimità, ma anche del-l’opportunità delle dimissioni dei ve-scovi diocesani a 75 anni, non si com-prende perché a tale normativa si sot-tragga il vescovo di Roma. Anche senon giuridicamente, ma di sicuro mo-ralmente, egli dovrebbe essere il pri-mo ad applicare una tale legge. Per-ché è il re il primo servo delle leggi ditutti.

Invece, quando Wojtyla compì i 75 an-ni, e ancor più quando, più tardi, an-dò aggravandosi in modo irreversibi-le la sua malattia, impedendogli unreale controllo della Curia romana, achi direttamente o indirettamente glisuggeriva di rassegnare le dimissioni,egli rispondeva che «Cristo non si di-mise dalla croce». Vi è una contrad-dizione teologica grande nel ragiona-mento di Wojtyla: perché mai sareb-be normale che, a 75 anni, un vesco-vo (che magari sta ancora bene insalute) si dimetta dalla sua diocesi, esarebbe inaudito invece che nella stes-sa situazione si dimettesse il vescovodi Roma? A me pare che da tale ra-gionamento emerga un substrato checonsidera il papa un «super vescovo»:ma questo è del tutto contrario alla Lu-men gentium. La mistica della soffe-renza connessa con il papa che, inquanto tale, «non può» dimettersi sen-za tradire il Cristo sofferente, conflig-ge con la decisione giuridica e pasto-rale adombrata dal Vaticano II chechiede al vescovo «normale» di… di-scendere dalla croce e lasciare in al-tre mani la diocesi.

A parte una tale questione di fondo,vi è poi un problema concreto: è sta-to prudente, Wojtyla, a voler rimane-re in carica quando era evidente datanti mesi la sua impossibilità di go-vernare? Non ha forse, così facendo,favorito maneggi che permettevano al-l’una o all’altra «cordata» curiale difar prevalere la propria linea, e dun-que imporre scelte, nomine, decisio-ni, tutte formalmente del pontefice, main effetti tutte forse non sue? Se la «re-sistenza» di Wojtyla fino alla fine è,per alcuni, un segno di particolare fe-deltà al proprio dovere, a me suscitainvece molta perplessità, e mi induceappunto a domandarmi dove, in taledolorosa vicenda, lui abbia dimostra-to in modo forte le virtù dell’umiltà edelle prudenza.

Lasciamo Wojtylanella sua complessitàEsaminando i pochi fatti elencatiappare evidente come sia difficile, pernon dire impossibile, distinguere trale scelte dell’uomo Wojtyla e di Woj-tyla papa. Ora, è vero che, qualora losi proclamasse «beato», si precise-rebbe che ciò avverrebbe per averaccertato che egli visse le virtù inmodo eroico ma non si intenderebbecon questo «santificare» tutte le suescelte come pontefice. In teoria, ladistinzione corre; e infatti – per

rispondere in qualche modo alle criti-che per sua incredibile decisione – lapropose lo stesso Wojtyla nel discorsoin cui spiegò perché beatificava PioIX. Nei fatti, però, essa è zoppa, comedimostrò appunto la vicenda di PioIX.

Immagino bene che la «macchina» delprocesso per la causa di beatificazio-ne di Giovanni Paolo II procederàinarrestabilmente verso il traguardoatteso. Per parte mia, ritenevo mio do-vere elencare i gravi dubbi che ho viavia sollevato. Ho detto in altra sede, eci tengo qui a ribadirlo, che le mie ri-flessioni non derivano da alcun inte-resse personale, o da alcun faziosopregiudizio, ma solo da un’onesta va-lutazione di fatti e circostanze che, se-condo la mia scienza e coscienza, nonsi dovrebbero sottacere. Sono consa-pevole di essere solo una piccola vo-ce, e naturalmente rispetto le molte vo-ci di altro tono. Ho parlato, e parlo, peramore della nostra Chiesa romana. Mirendo conto che, in un clima preva-lentemente apologetico rispetto a Woj-tyla, alcune mie affermazioni sem-breranno quasi inaudite. Eppure, mol-te persone, soprattutto (ma non solo)in America latina, si ritroverebbero inesse. Non ho potuto e voluto fareun’analisi esaustiva del pontificato diWojtyla, delle sue (secondo me) lucie delle sue (secondo me) ombre. Adaltri l’arduo compito! Ma, ritengo, lepur poche cose dette potrebbero dareun aiuto per evitare sia critiche aprio-ristiche sia applausi scontati al ponti-ficato wojtyliano.

Se potessi esprimere un sogno, sareb-be questo: che Wojtyla sia lasciato algiudizio della storia, abbandonandodunque l’idea di elevarlo agli onori de-gli altari. Sono infatti così complesse,e contraddittorie, le scelte del suo pon-tificato, che è difficile separare luci eombre, le personali convinzioni del-l’uomo Wojtyla, la sua pietà privata,dalle sue decisioni pubbliche. Credoche, lasciare Wojtyla nella sua com-plessità, e come tale affidarlo alla sto-ria, oltre che alla memoria della Chie-sa, sarebbe la scelta migliore per ono-rarlo nella sua sfaccettata verità. L’in-sistenza e l’ansia con cui moltiambienti lavorano per la beatificazio-ne di Wojtyla, a me pare un atteggia-mento che poco sa di evangelico, emolto di voglia di esaltare il pontifi-cato romano come istituzione.

Giovanni FranzoniRoma, 7 marzo 2007

12 opinioni No. 210

La «Corsia dei Servi», ricordate?Il 30 gennaio si è spento a Tirano, im-provvisamente, padre Camillo de Piaz,dell’Ordine dei Serviti, inseparabilesodale di Davide Maria Turoldo, conlui e con Mario Cuminetti punto di ri-ferimento della libreria milanese del-la «Corsia dei Servi». Era nato a Ti-rano nel 1918 ed era entrato in reli-gione nel 1934. Ordinato presbiteronel 1941, fu attivo nella Resistenza,promotore di attività sociali, anticipa-tore per molti aspetti del Concilio Va-ticano II. Osteggiato, come Turoldo,da tutte le destre, comprese quelle cat-toliche, il Convento di San Carlo alCorso divenne con loro, a seconda deipunti di vista, un focolaio di ribelli op-pure un segno di speranza, durato finquasi alla fine del secolo. Dopo lamorte di Turoldo, nel 1992, si ritiròdefinitivamente a Tirano, da dove con-tinuò a tenere contatti e a ispirare ini-ziative. Era familiare a molti di noi, di«Dialoghi»: la rivista lo ricorderà piùdegnamente nel prossimo numero.Il critico dell’economia.All’inizio di

gennaio, a 82 anni, è morto il gesuitafrancese Jean-Yves Calvez, ricono-sciuto specialista dell’insegnamentosociale della Chiesa e del pensiero diKarl Marx. Era stato provinciale diFrancia e assistente, dal 1971 al 1983,del «generale» Pedro Arrupe, nonchéinsegnante al Centro Sèvres di Parigie direttore per sei anni della rivista«Etudes». Autore di numerose opere,ha pubblicato nel 1999 una critica al-l’insegnamento sociale di GiovanniPaolo II, dal titolo «I silenzi della dot-trina cattolica», in relazione alla di-soccupazione, all’economia finanzia-ria, alla proprietà delle imprese, ai di-ritti dell’uomo e alla democrazia. Nelottobre 2008 è apparso un suo «Pic-colo dizionario della mondializzazio-ne» (dove tratta di sviluppo durevole,commercio equo, ingerenza, ecologia,finanza, ecc.), proponendo una peda-gogia della mondializzazione, allaquale occorre dare un’anima e un sen-so. Per Calvez, «il pensiero sociale cri-stiano è ancora sottosviluppato».Un prete libero. È morto a Milano,

all’età di 81 anni, don Leonardo Ze-ga, giornalista dei Periodici San Pao-lo, «storico» direttore che moderniz-zò il settimanale «Famiglia cristiana»dirigendolo dal 1980 al 1998, quandofu costretto alle dimissioni per un in-tervento del Vaticano che gli rimpro-verava eccessiva libertà di giudizio,quale don Zega esprimeva special-mente nella rubrica «Colloqui col pa-dre». Il suo impegno e il suo insegna-mento, anche se pagato duramente, re-sta un esempio di come si può (e sideve) operare per una opinione pub-blica libera nella Chiesa cattolica: pur-troppo i suoi discepoli sono scarsi esempre meno tollerati, non solo a Ro-ma.

Un gigante del post-Concilio. Lavigilia di Natale è morto, all’età di95 anni, il teologo Edward Schille-beeckx, uno dei protagonisti delleaperture del Concilio Vaticano II edella loro diffusione nel post-Conci-lio, tramite numerosi libri e articolisulla rivista «Concilium». Secondo il«Giornale del Popolo», Schillebe-eckx sarebbe «una figura legata adun’epoca e tramontata con le sfidedel suo tempo». Per noi l’insegna-mento del domenicano olandese è piùvivo che mai, anche se non piace acoloro che predicano e sostengono uncristianesimo anticonciliare e retro-datato.

Un patrono sospetto. Erwin Teufel,già presidente del Land tedesco delBaden-Würtemberg, e membro delConsiglio tedesco di etica, vuole ot-tenere la riabilitazione di Hans Küng,al quale nel 1979 era stata tolta la«missio canonica» per insegnare qua-le teologo cattolico. Il teologo sviz-zero, che vive a Tubingen, si è dettocontento del tentativo del politico te-desco ma piuttosto scettico sugli ef-fetti della riabilitazione. Küng non hamai cessato, negli ultimi trent’anni,di… insegnare, in molte prestigiosesedi, e di pubblicare decine di ap-prezzati testi, non risparmiando criti-che al suo vecchio collega, ora…sommo pontefice. Ha ragione: se, aRoma, cardinali e censori non leggo-no i suoi scritti, il Papa tedesco nonha bisogno del dizionario per diffida-re delle iniziative di un tale che sichiama Teufel!

Appuntamenti ecumenici. Il Segre-tariato attività ecumeniche (SAE) ter-rà la tradizionale «Settimana di for-mazione ecumenica» a Chianciano dal25 al 31 luglio sul tema: «Sognare la

CRONACA INTERNAZIONALEa cura di Alberto Lepori

Un protagonista del cattolicesimo democraticoIl 27 agosto 2009 è morto a 96 anni Joaquin Ruiz-Gimenez, una delle perso-nalità più importanti del cattolicesimo democratico europeo e mondiale. Dal1939 al 1946 (per gli studenti) e dal 1966 al 1971 era stato presidente inter-nazionale di Pax Romana, l’organizzazione interna zionale voluta e promossada Giovan Battista Montini (poi Paolo VI) per raccogliere gli universitari e ilaureati cattolici.Figlio di un ministro liberale spagnolo, Gimenez era laureato in giurispru-denza e ha insegnato filosofia del diritto all’Universidad Complutense di Ma-drid.Eminente uomo politico, ha dedicato la propria vita politica al superamentodell’isolamento internazionale, riforma interna e democratizzazione del regi-me franchista, dando uno tra i contributi più significativi alla pacifica e rapi-da transizione della Spagna nel novero delle grandi democrazie europee. Dal1948 al 1951 era stato ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede, poi, dal1951 al 1956, ministro dell’Educazione, poi costretto alle dimissioni a se-guito delle pressioni dell’ala più intransi gente del regime franchista.Ha lavorato all’interno delle commissioni del Concilio Vaticano II a seguitodella nomina a «esperto di que stioni sociali, giuridiche e politiche» da partedi Giovanni XXIII, con il quale intratteneva un rapporto diretto. Dal 1967 al1972 è stato membro del Consilium de Laicis della Santa Sede, nominato daPaolo VI, con il quale aveva un consolidato rapporto di amicizia.Alle elezioni della neonata democrazia spagnola nel 1977 presentò una listademocristiana (di caratterizzazione laica e di sinistra; il suo gruppo all’inter-no della lista si chiamava «Sinistra democratica») con scarso successo, adde-bitabile anche alla scelta della Chiesa spagnola di non favorire la nascita diun partito democristiano sul modello italiano (durante la campagna elettora-le, la lista di Ruiz Gimenez ebbe l’appoggio in vari comizi di Moro e Zacca-gnini). Tra le ultime assemblee di Pax Romana cui ha partecipato c’è quelladi Assisi 1997 e di Parigi 2000.

No. 210 cronaca 13

comunione. Costruire il dialogo. Cen-to anni di speranza ecumenica». Dal14 al 17 aprile prossimi il SAE orga-nizza un «pellegrinaggio ecumenico»a Ginevra, con visita ai luoghi di Cal-vino, al Consiglio ecumenico delleChiese, alla comunità delle suore diGrandchamp e all’Istituto ecumenicodi Bossey (informazioni su www.sae-notizie.it). La Giornata mondiale dipreghiera è programmata per venerdì5 marzo 2010. Il tema, proposto dal-le donne del Camerun, sarà: «Ogni re-spiro lodi il Signore». (Informazioni emateriale a www.wgt.ch).

Insulti all’arcivescovo. L’arcivesco-vo di Milano, card. Dionigi Tetta-manzi è stato volgarmente insultatodai vertici della Lega Nord, per l’in-vito a «coniugare solidarietà e legali-tà» contenuto nel consueto «discorsoalla città» per festa di S. Ambrogio.Mons. Tettamanzi aveva criticato inparticolare il massiccio sgombero delcampo nomadi abusivo in via Rubat-tino, alla periferia di Milano, ricor-dando che «la risposta della Città edelle Istituzioni alla presenza dei romnon può essere l’azione di forza, sen-za alternative e prospettive, senza fi-nalità costruttive». Concludeva, l’ar-civescovo: «Non possiamo, per il be-ne di tutta la Città, assumerci la re-sponsabilità di distruggere ogni voltala tela del dialogo e dell’accoglienzanella legalità che pazientemente alcu-ni vogliono tessere». Il quotidiano le-ghista «Padania» si è domandato, conpesante ironia, se Tettamanzi «è uncardinale o un imam?», perché men-tre l’ arcivescovo difende rom e mu-sulmani l’Islam avanza diritti semprepiù ampi, rifiutando la responsabilitàdei propri doveri di cittadinanza e le-galità e, nel contempo, i crocifissiscompaiono dalle pareti delle scuole.Questi i temi che «teoricamente do-vrebbero interessare di più la Chiesa»e che sarebbero stati di fatto estro-messi dall’agenda «politica» del car-dinale. Il ministro leghista Calderoniha detto in un’intervista che «Tetta-manzi con il suo territorio non c’en-tra proprio nulla: sarebbe come met-tere un prete mafioso in Sicilia»: re-sterà solo, perché «a Milano e in Lom-bardia un sacerdote che fa politica nonlo si ascolta». Tettamanzi, abituato al-le invettive leghiste, ha risposto os-servando che un pastore della Chiesanon opera mai per ottenere successo econsenso: «Sono sereno; la mia bus-sola è la parola del Vangelo». L’attac-co leghista al Cardinale ha suscitatorecise condanne in vasti ambienti, non

solo cattolici.

Testamento biologico.La Chiesa val-dese di Milano ha aperto al pubblicouno sportello per depositare il testa-mento biologico. L’iniziativa è statapresentata il 2 dicembre al Centro cul-turale protestante. Giuseppe Platone,pastore valdese, ha spiegato: «Abbia-mo deciso di fare qualcosa di concre-to e quindi offriamo a chiunque lo vo-glia una consulenza per predisporre edepositare presso un notaio un ‘testa-mento biologico’ che, pur in assenzadi una legge, indichi le cure alle qua-li eventualmente intenda o non inten-da sottoporsi nel caso di relativa o to-tale non coscienza». Nel 2007, il Si-nodo delle Chiese metodiste e valde-si aveva approvato un ordine delgiorno in cui, tra l’altro, si affermavaessere «principio di civiltà dare voce,attraverso una legge, alle scelte dellapersona compiute con coscienza e vo-lontà e in previsione di una futura in-capacità nell’esprimere validamente ilsuo pensiero».

Accogliere il forestiero. Le parroc-chie di Verbania hanno organizzatoquest’anno una serie di fine settimanasul tema «Ero forestiero e mi avete ac-colto». Gli ultimi incontri avranno luo-go il 13 marzo con Paolo Branca su:«Paura dell’Islam?»; il 17 aprile conArmido Rizzi, su «Ospitalità e identi-tà» e in data e con relatore da definir-si su: «Migrare e ospitare: voci di don-ne». Ogni sabato, due relazioni, a par-tire dalle ore 15 fino alle 18.30, al Cen-tro presso la chiesa della Madonna dicampagna.

Retromarcia. Il direttore Vittorio Fel-tri del berlusconiano «Il Giornale» hafatto sapere, nell’edizione del 4 di-cembre 2009, che i documenti da luiusati per accusare Dino Boffo eranofalsi. A seguito delle accuse diffuseda Feltri, Dino Boffo aveva dato le di-missioni da direttore del quotidiano«Avvenire». Dopo l’ammissione delfalso (e la dimostrazione della sua cla-morosa deficienza professionale), Fel-tri è invece rimasto al suo posto.

Sperimentano anche in Russia. Ilpresidente Dimitri Medvedev ha lan-ciato un progetto-pilota di una «ma-teria religione» che concernerà dodi-cimila allievi per la durata di tre anniin 18 regioni del Paese. Riguarda lereligioni ortodossa, islamica, buddi-sta e ebraica (riconosciute come reli-gioni «tradizionali»), mentre non èprevisto un insegnamento del cattoli-

cesimo. In alternativa ci sarà un cor-so sulla storia e la cultura delle reli-gioni mondiali, come pure un inse-gnamento etico, affidati a docenti de-signati dallo Stato. Dal 2006 (e dopoun ostracismo decretato nel 1917!), inalcune regioni della Russia era statointrodotto un corso obbligatorio di«fondamenti della cultura ortodossa»,impartito dagli ecclesiastici e che ave-va sollevato le critiche degli atei e del-le altre religioni. La sperimentazioneora prevista ha raccolto l’approvazio-ne dell’arcivescovo cattolico di Mo-sca, mons. Paolo Prezzi, il quale ri-tiene tuttavia necessario che le infor-mazioni relative al cattolicesimo neimanuali scolastici siano basate sul ri-spetto. Il presidente russo ha pure au-torizzato la designazione di cappella-ni a disposizione dei soldati e ha di-chiarato che queste misure «permet-teranno di rafforzare i fondamentimorali e spirituali della società, comepure l’unità del Paese multietnico emultireligioso».

Vescovo contrario. In Kosovo, il ve-scovo cattolico mons. Dodë Gjegrii siè detto contrario alla richiesta dellaComunità islamica di introdurre uncorso di religione nelle scuole pubbli-che. Un tale corso sarebbe pregiudi-zievole alla convivenza pacifica: la re-ligione deve essere insegnata nellechiese e nelle moschee, non a scuola,dove l’insegnamento dovrebbe limi-tarsi agli aspetti culturali e nazionalidella coesistenza interreligiosa. Ve-scovi cattolici di altri paesi (dove i cat-tolici sono in maggioranza…) la pen-sano diversamente.

Allah, di chi è? Il governo della Ma-lesia non vuole che i cristiani (850.000su una popolazione totale di 24 mi-lioni) chiamino il loro Dio «Allah»,per non creare confusione con la mag-gioranza musulmana (60%). In Male-sia i buddisti sono il 19%, i cristianicomplessivamente il 9% e gli induistiil 6%. Ma l’Alta Corte ha riconosciu-to il buon diritto dei cristiani, perché,prima che arrivasse l’Islam, Dio eradesignato dai malesi «Allah è nostro,grande e misericordioso».

Amnesty International. A nuovo se-gretario di Amnesty International (AI)è stata nominata Salil Shetty, di na-zionalità indiana, che subentrerà nelgiugno 2010 all’attuale segretaria Ire-ne Khan. La Shetti dirige da sei annila campagna del Millenario delle Na-zioni Unite contro la povertà.

14 cronaca No. 210

In vista delle celebrazioni del trentesimo anniversario del-la morte di monsignor Oscar Arnulfo Romero, avvenuta il24 marzo 1980, vorrei offrire qualche considerazione af-finché questa ricorrenza non venga in qualche modo addo-mesticata ma sia occasione di ripensare all’essenza pro-fonda della Chiesa e del suo essere e agire nella storia. In-nanzitutto, una constatazione inquietante, che mai vadimenticata quando parliamo di martiri in America latina.Non sono state vittime di appartenenti ad altre religioni, oa ideologie atee, ma di cattolici. Sono il sintomo più dram-matico di una spaccatura interna alla Chiesa (si può dire:delle Chiese, perché situazioni analoghe, purtroppo, si so-no verificate anche in altre confessioni cristiane). Cattoliciconservatori, laici, clero, nunzi apostolici, Vaticano, sem-pre hanno accusato la parte schierata a difesa e promozio-ne dei poveri di dividere la Chiesa. Con il loro sistematiconegarsi al dialogo e alla mediazione, semmai, sono loro ifautori della divisione.L’«opzione preferenziale per i poveri», ispirata dalle enci-cliche di papa Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II,sancita nelle conferenze episcopali latino-americane di Me-dellin (1968) e Puebla (1979), non è solo una questione didottrina sociale della Chiesa: investe e a sua volta scaturi-sce da una teologia: Dio ha elettto gli schiavi, come eranogli Israeliti in Egitto, a co-protagonisti del suo interventosalvifico nella storia. E da una cristologia: come Gesù hapreso parte per i poveri, i deboli, i marginali, i disprezzati,entrando così in conflitto con l’establishment politico e re-ligioso del suo tempo, così deve agire ogni credente cri-stiano nella storia, nella realtà concreta in cui si trova a vi-vere.Come Gesù, monsignor Romero e le centinaia, migliaia dimartiri latinoamericani del XX secolo hanno toccato ciò chenon si poteva toccare – gli idoli del loro tempo (che è an-cora del tutto anche il nostro tempo!). «Compagni di Ge-sù»: è il titolo di un impressionante libro di Jon Sobrinoscritto a caldo subito dopo l’assassinio dei sei gesuiti, suoicolleghi della UCA (Universidad Centroamericana) a ElSalvador, nel 1989, libro pieno anche (e come potrebbe es-sere diversamente?) di memoria del martirio di monsignorRomero. Deve morire chi tocca gli idoli – così è stato feli-cemente tradotto in tedesco, per un’edizione fortemente vo-luta e curata allora da Ludwig Kaufmann e Nikolaus Klein.Inquietante è, però, appunto, che non si tratta degli idoli«pagani» di qualche altra religione o ideologia ostile al cri-stianesimo e alle sue Chiese. Gli idoli denunciati, profana-ti, dai martiri latino-americani sono interni a un mondo chesi autodefinisce nella sua stragrande maggioranza cattoli-co: istituzioni del potere economico, politico e militare cheopprimono e sfruttano i poveri spesso con la benedizionedi esponenti del clero locale e della Curia romana. La ric-chezza come valore intangibile: «Guai a chi tocca la ric-chezza! Come toccare il filo dell’alta tensione: si muorefulminati». Sono parole di monsignor Romero, ricordate daJon Sobrino. Quasi sempre, in nome dell’anticomunismo,dell’antimarxismo, della difesa da possibili infiltrazioni nel-la cattolicissima America Latina, la violenza, che a tratti hapreso dimensioni di genocidio, è stata avallata da cattolicidetentori del potere economico, politico e militare controcattolici poveri, sfruttati, emarginati e con loro un lumino-so segmento di cattolicesimo benestante e colto che, fede-le al Concilio Vaticano II, di questi poveri aveva abbraccia-to la causa. Un cattolicesimo conformista, conservatore,

orientato per un lato da una gestione in esclusiva del pote-re e dei privilegi e della richezza, per un altro da una visio-ne tutta individualista e intimista della fede.E oggi, nel XXI secolo? Per certi aspetti (grazie al relativoconsolidamento delle istituzioni democratiche), la situazionein America Latina è meno drammatica che negli ultimi de-cenni del secolo scorso. Lo scatenarsi ormai incontrastatodel neo-liberismo, dopo la caduta del muro di Berlino, hainvece drammatizzato la sperequazione economica e socia-le. Sono segni di speranza le elezioni a capi di stato di fi-gure come Lula in Brasile, Morales in Bolivia o FernandoLugo in Paraguay; ma recentemente in Cile ha vinto la de-stra e tutto il Centro America è dissanguato dai trattati di li-bero commercio che gli USA, diversamente che con i Pae-si del Sud, sono riusciti a far ratificare.E la Chiesa cattolica? Da parte del Vaticano, soprattutto conle nomine dei nuovi vescovi, in sostituzione della vecchiaguardia progressista, e con la persecuzione e censura deiteologi, si è fatto di tutto per cercare di mettere fine alla teo-logia della liberazione, la chiesa popolare, le comunità dibase, i religiosi inseriti negli ambienti emarginati. Credo pe-rò che lo spirito di una Chiesa (nel senso di comunità deicredenti, di popolo di Dio) profetica, alleata e protagonistadella liberazione degli oppressi e degli impoveriti sia anco-ra ben vivo. Se è diventato un po’ meno visibile all’internodelle istituzioni ecclesiali, lo sento soffiare forte nei nuovimovimenti politici e sociali, di cui in definitiva i vari Mo-rales, Lula, eccetera, sono l’espressione.E noi? Nella nostra ancora opulenta (confrontata all’Ame-rica Latina, ma sempre più fragile e disarmata davanti al-l’imperante neo-liberismo) Europa, Svizzera? Nelle nostretranquille, un po’ noiose, assopite forse, parrocchie ticine-si? Perché ricordare monsignor Romero e, con lui, tutti imartiri latinoamericani? Soprattutto: come ricordarli? C’èun solo modo, penso, che a loro piacerebbe: agire come lo-ro. Innanzitutto: cercare di cambiare ogni nostro compor-tamento che sia complice di sfruttamento iniquo dei lavo-ratori e della terra. Informarci, comprare «equosolidale»,investire eticamente i nostri risparmi, consumare poco, nonprivatizzare l’acqua… E poi: essere almeno «brodo di col-tura», se non protagonisti (non tutti hanno il carisma delleader!), di quella Chiesa profetica perseguitata e soffoca-ta in tutti i modi dai potenti – quella scaturita dal Concilio...Lasciar fiorire in noi la fede che Dio ha eletto gli schiavi ei deboli come protagonisti della liberazione e della realiz-zazione del suo regno sulla terra e che l’agire storico di Ge-sù, il suo Figlio, deve essere il modello del nostro agireconcreto oggi, proprio come ci hanno insegnato quei nostrifratelli nella fede latinoamericani. Quando ci sentiamo sco-raggiati, o disorientati, o un po’ soli, lasciamoci ripercorre-re le loro storie, anche semplicemente i loro nomi, «nel si-lenzio della nostra stanzetta», o nella celebrazione comu-nitaria. Ci rafforzerà. Marina Sartorio

Un prezioso strumento per fare memoria dei martiri latinoamericaniè L’Agenda Latinoamericana, disponibile anche in italiano. Per in-formazioni consultare il sito www.servicioskoinonia.org o diretta-mente www.latinoamericana.org, entrambi in varie lingue tra cui l’ita-liano.

Mercoledì 24 marzo, alle ore 20, nella chiesa del Sacro Cuore a Bel-linzona, verrà celebrata una Messa in ricordo di monsignor Ro-mero e tutti i martiri latinoamericani, cui farà seguito, nei locali diSpazio Aperto, una serata di approfondimento e di condivisione.

Monsignor Romero, come ricordare?

No. 210 opinioni 15

Centenario ecumenicoNel 2010, il movimento ecumenico celebrerà un anniver-sario importante. Fu infatti nel 1910 che si tenne a Edim-burgo la Conferenza mondiale delle missioni, cui parteci-parono 1200 delegati, i quali, accanto al tema dell’evan-gelizzazione, si posero la questione della cooperazione edell’unità tra i cristiani. La conferenza di Edimburgo è ge-neralmente considerata il punto di partenza dell’ecumeni-smo contemporaneo, anche se non vi furono presenti de-legati ortodossi o cattolici romani. L’evento principale di«Edimburgo 2010» sarà una nuova conferenza sulla mis-sione che si terrà nella capitale scozzese dal 2 al 6 giugnoe vedrà la partecipazione del più ampio numero di tradi-zioni cristiane: dagli ortodossi ai luterani, dagli anglicaniai riformati, dai cattolici agli evangelicali e ai pentecosta-li. In vista di questa conferenza è già da tempo iniziato un«processo di studio» su nove temi, che riprendono i docu-menti prodotti dall’incontro del 1910, rivisitati alla lucedella missione nel XXI secolo. Si sono costituiti gruppi dilavoro su «testimonianza cristiana e dialogo interreligio-so», «missione e unità della Chiesa», «missione e poterepolitico», ecc. I lavori dei gruppi, costituiti con criteri in-terconfessionali e avendo cura di includere teologi ed esper-ti di ogni continente, saranno presentati ad Edimburgo.L’incontro prevede anche un culto aperto alle Chiese lo-cali, nella stessa aula che ospitò la conferenza del 1910.Secondo gli organizzatori, «sarà un’occasione per ringra-ziare il Signore, per chiedere perdono per gli sbagli fattinella missione, per rinnovare il nostro impegno per l’evan-gelo». Sono previsti eventi locali in ogni parte del mondo.Per maggiori informazioni: www.edinburgh2010.org

Centenario ecumenicoe questioni morali

Durante la sessione plenaria della Commissione Fede e Co-stituzione del CEC, riunita a Kolympari (isola di Creta) al-l’inizio dello scorso ottobre, è stato affrontato il tema eti-co. È noto che spesso le Chiese cristiane si trovano ad adot-tare specifiche posizioni morali, che le differenziano for-temente e che spesso diventano ulteriori motivi di divisione.I partecipanti si sono confrontati sostanzialmente su tre te-matiche: (1) natura e missione della Chiesa, (2) fonti diautorità all’interno delle Chiese, (3) processi di discerni-mento morale nelle Chiese. La novità della discussione èstata data proprio da quest’ultimo ambito di discussione,vista la ricchezza dei partecipanti di tale Commissione, ri-tenuta il forum teologico più rappresentativo del cristia-nesimo attuale per l’ampiezza di provenienza geografica econfessionale dei partecipanti (Chiese anglicane, prote-stanti e ortodosse appartenenti al CEC, come pure rappre-sentanti della Chiesa cattolica, del mondo pentecostale edi quello cosiddetto «evangelicale»). Il confronto non è sta-to solo teorico ma si è concentrato anche su argo menti con-creti, quali il proselitismo in Russia, la globalizzazione ela giustizia economica come discussa all’interno dell’Al-leanza riformata mondiale (ARM), la discussione sul-l’omosessualità nella Comunione anglicana, e il disaccor-do sulla ricerca sulle cellule staminali in Germania. Fr.Frans Bouwen, co-presidente (con la presbiteriana Rebec-ca Todd Peters) del gruppo di studio, ha spiegato: «L’in-

tento non è di mettere a confronto posizioni diverse sullostesso argomento, quanto piuttosto di capire in base a qua-li percorsi e riferendosi a quali autorità Chiese diverse e,all’interno della stessa Chiesa, cristiani della stessa con-fessione arrivino a decisioni opposte». In sostanza, l’obiet-tivo è far sì che la consapevolezza del processo che portaa determinate decisioni morali aiuti ad affrontare questio-ni spinose senza che diventino fonte di divisione. (da NEV,n. 41, 14 ottobre 2009).

Dialogo tra Europa e ChieseL‘articolo 17 del Trattato di Lisbona impegna le istituzio-ni europee a mantenere un «dialogo aperto, trasparente eregolare con le Chiese, le comunità religiose e le organiz-zazioni filosofiche e non confessionali». Ne hanno discussogli addetti stampa delle Chiese europee (PONEC) nell’in-contro svoltosi a Bruxelles dal 12 al 14 novembre pressola sede della Conferenza delle Chiese europee (KEK). Era-no presenti una trentina di giornalisti, soprattutto prote-stanti, con alcuni cattolici ed ortodossi. «La missione deigiornalisti che lavorano nelle varie testate ecclesiastiche –ha spiegato Luca Negro, portavoce della KEK che ha pro-mosso l’incontro – è aiutare le loro Chiese ad essere piùvisibili non solo nei singoli Paesi, ma anche a livello eu-ropeo e nelle istituzioni europee». Il Trattato di Lisbona,che dal 1. dicembre 2009 regola il funzionamento del-l’Unione Europea, è criticato perché non menziona le «ra-dici cristiane dell’Europa», e anche perché l’art. 17 equi-para le Chiese alle «organizzazioni filosofiche non con-fessionali». Tuttavia le istituzioni europee tendono a smus-sare la polemica, perché dalle Chiese si attendonosuggerimenti e consigli, in primis dalla Commissione de-gli episcopati della Comunità europea (COMECE) e dal-la Commissione Chiesa e società della KEK. Il Parlamen-to europeo ha sviluppato diversi spazi di dialogo con le co-munità di fede, come l’incontro annuale dei capi religiosidelle tre religioni monoteistiche con i presidenti delle treistituzioni europee, avviato nel 2005, audizioni pubblichesu temi di interesse per le religioni oppure ancora gruppidi lavoro su temi particolari come la famiglia o la dignitàdella persona. Secondo Paolo Naso, dell’Ufficio stampadei protestanti italiani, l’art. 17 costituisce una opportuni-tà per le piccole minoranze religiose, che in Europa po-trebbero trovare spazio nel dibattito pubblico, spazi chespesso sono loro preclusi nelle realtà nazionali.

Le Chiese europee e le migrazioniIn occasione del III Forum globale su «Migrazione e svi-luppo» promosso dalle Nazioni Unite ad Atene ai primi dinovembre 2009, numerose organizzazioni di Chiese cri-stiane impegnate nel settore hanno stilato un articolato do-cumento con lo scopo di sensibilizzare la comunità inter-nazionale sulle politiche di migrazione. Secondo un’inda-gine presentata al Global Forum, circa 700 milioni di per-sone, cioè il 16% degli adulti intervistati in 135 Paesi, sitrasferirebbe definitivamente in un altro Paese, se ne aves-sero l’opportunità. I più propensi sono gli africani sub-sa-hariani, tra i quali gli aspiranti emigranti sono il 38% deltotale, cioè 165 milioni di persone.La Conferenza delle Chiese europee (KEK) dedicherà l’an-no 2010 al fenomeno delle migrazioni, come è stato deci-so lo scorso 26 novembre a Budapest in un convegno pro-mosso dalla Commissione delle Chiese per migranti in Eu-ropa (CCME).

16 osservatorio ecumenico No. 210

OSSERVATORIO ECUMENICO

Può un’istituzione farsi trovare senzauna strategia atta ad affrontare situa-zioni che la espongono a un immensodanno d’immagine e avviano proces-si interni di disgregazione? È il casodella Chiesa cattolica alle prese con ipreti pedofili. Lo si è visto negli Sta-ti Uniti, da noi nelle diocesi romande,oggi in Irlanda, dove un orrendo bub-bone è scoppiato il 26 novembre 2009con la pubblicazione del rapporto delgiudice Murphy. Invece di partire dal-la preoccupazione di rendere giusti-zia alle vittime e alle loro famiglie, trail 1970 e il 2000 in Irlanda i vescovisi sono lasciati condizionare soprat-tutto dall’«ossessione di evitare loscandalo e proteggere la reputazionee i beni della Chiesa». Hanno coper-to col silenzio 46 preti pedofili e si so-no protetti stipulando polizze di assi-curazione in previsione delle conse-guenze finanziarie per le diocesi nelcaso in cui le denunce, diventando dipubblico dominio, avessero portato icolpevoli in tribunale. Con il risultatoche «un prete ha violentato cento ra-gazzi», un altro «ha esercitato violen-za sessuale ogni 15 giorni durante 25anni», un altro «dopo la messa ha abu-sato del chierichetto di 9 anni, primadi regalargli un T-shirt e un libro dipreghiere», «quattro religiosi sonosempre ancora al loro posto», «duepreti hanno violentato gli stessi bam-bini»… Nemmeno sulla base di peri-zie psichiche certi parroci vennero tol-ti dal ministero, favorendo la recidivanella parrocchia successiva1. La Con-gregazione delle Suore della Miseri-cordia, chiamata in causa dal rappor-to del giudice Ryan, maggio 2009, haversato 128 milioni di euro a titolo di«riparazione per la sofferenza deibambini». Il rapporto denuncia «l’esi-stenza di abusi sessuali e violenze fi-siche e psicologiche su migliaia dibambini affidati agli istituti cattolici apartire dagli anni 1930». Per una del-le loro scuole il rapporto parla di «unclima di paura, di botte e di umilia-zioni». I Fratelli delle scuole cristia-ne, per avere chiuso gli occhi su abu-si sessuali avvenuti nei loro istituti, perindennizzi hanno sborsato 161 milio-ni di euro. Già nel 2001 alcuni ordinireligiosi avevano dovuto cedere alloStato proprietà immobiliari per farfronte a indennizzi2. Lo smarrimentodei fedeli irlandesi si ritrova anche in

un’iniziativa avviata da qualche mesesu un sito internet, dove è possibilesottoscrivere l’Actus formalis defec-tionis, l’atto di dimissione dalla Chie-sa cattolica. In sei mesi è stato sotto-scritto da 5.500 fedeli3.

Il 9 dicembre 2009, al termine di unariunione plenaria, i vescovi irlandesihanno «chiesto perdono», dicendosi«profondamente scossi per la diffu-sione e la perversione degli abusi el’ampiezza delle dissimulazioni», ri-conoscendo nel loro modo di reagire«il segno di una cultura radicata in se-no alla Chiesa». Vittime di questa cul-tura suggerita da Roma, attorno a Na-tale cinque vescovi hanno rassegnatole dimissioni. L’arcivescovo di Dubli-no Diarmuid Martin ha chiesto la par-tenza di tutti vescovi coinvolti dagliscandali, minacciando di ottenere luistesso dal Vaticano la loro rimozionenel caso non si dimettessero. A Ro-ma, l’11 dicembre, il card. Brady el’arcivescovo di Dublino hanno in-contrato il Papa e alcuni rappresentantidella Curia. Pur esprimendo «rincre-scimento, vergogna, indignazione»per «il tradimento» e i «crimini atro-ci», il comunicato finale non ha fattoalcun cenno «all’atteggiamento diomertà e dunque di connivenza dellealte sfere della Chiesa locale rispettoagli abusi»4, a conferma di una cultu-ra ben radicata in seno alla Chiesa.«Profondo disappunto» per la reazio-ne di Roma è stato comunicato dal mi-nistro degli Esteri irlandese MichealMartin al Nunzio: «Il Papa non ha an-cora risposto alle orribili rivelazionidel rapporto Murphy, da lui ci si aspet-ta una risposta sostanziosa»5. Il 5 gennaio, un altro scandalo asso-lutamente insopportabile ha fatto il gi-ro del mondo: quello del prete messi-cano Marcial Maciel, fondatore nel1941 della «Legione di Cristo» (800preti, 2500 seminaristi, 60.000 laici,200 scuole e università, 650 milionidi dollari il budget annuale), tossico-mane, padre di sei figli da quattro don-ne di nazionalità diversa, pedofilo cheabusava dei novizi della congregazio-ne (una prima inchiesta nel 1956 nonaveva dato risultati, ma in una secon-da nel 2009 le vittime diranno: «Ave-

vamo mentito tutti, per noi era un pa-dre adorabile, al di sopra della Chie-sa»), morto nel 2008 a 87 anni. Ami-co di Giovanni Paolo II, un giorno sipresentò in udienza accompagnato datre ragazzi (suoi figli)6. Assediato dapiù parti, il 12 gennaio 2010 il Vati-cano è corso ai ripari con la notiziapubblicata da «l’Osservatore romano»e un’intervista al card. Claudio Hum-mes, prefetto per la Congregazione delclero, con la quale si informava delladecisione di Benedetto XVI: «D’orain poi i preti pedofili andranno giudi-cati dalla giustizia ordinaria e non sol-tanto da quella ecclesiastica. Con que-sta misura si intende applicare nellaChiesa la ‘tolleranza zero’ per delittitanto gravi e abominevoli»7. Al lettore non sfugge il riconosci-mento che fino a ieri sia stata la tolle-ranza la scelta strategica della Chiesa.La cultura dell’omertà, dell’omissio-ne del deferimento dei preti colpevo-li alla giustizia civile, la pratica del tra-sferimento a un’altra parrocchia era-no una diga che faceva acqua da tuttele parti. Il cambiamento di rotta iniet-ta finalmente sostanza al dovere ele-mentare della Chiesa di erigere a pro-tezione dei minori l’argine più solidopossibile.Mai sarà dato di sapere quale percen-tuale rappresentino i casi rimasti pro-tetti dal silenzio dei vescovi in rap-porto a quelli in cui la giustizia ha po-tuto fare il suo corso. Il dato darebbel’idea di quanto la Chiesa abbia disat-teso il suo dovere di prendersi cura delgrave turbamento subito dalla perso-nalità delle giovani vittime nella deli-cata fase della loro maturazione. Perun ragazzo o una ragazza, vedere ilprete condannato dal tribunale penaleè infatti determinante per ri-orientarela consapevolezza interiore di ciò cheè bene e di ciò che male.

«Tolleranza zero» Dimostrare che la «tolleranza zero»sia l’anima della serietà della strate-gia di lotta alla pedofilia non è certocosa ardua. Tolleranza zero significacertezza della pena. È dal 1764, annonel quale Cesare Beccaria (1738-1794) pubblicò il suo Dei delitti e del-le pene, che la certezza della pena èriconosciuta essere l’antidoto più ef-

Preti pedofili: «tolleranza zero» necessaria, ma non basteràIn causa il rapporto tra sacerdozio e celibato obbligatorio

diAldo Lafranchi

No. 210 opinioni 17

18 opinioni No. 210

ficace a rendere difficile, più lontano,meno probabile, il passaggio dal-l’ideazione del reato (la tentazione)all’atto. L’ossessione della gerarchiacattolica di evitare lo scandalo e pro-teggere la reputazione e i beni dellaChiesa che cos’era se non un vuotaredi effetto la certezza della pena? Conl’allontanamento del pericolo di fini-re in tribunale e di essere condanna-ti, ai preti a rischio di pedofilia la ge-rarchia ha reso scivolosa la strada delreato. Quasi non sarebbe bastato allagerarchia guardarsi attorno, osserva-re il comportamento delle istituzionicivili, per sapere come reagire corret-tamente. La scuola pubblica, ad esem-pio, l’insegnante pedofilo lo licenziain tronco e gli chiude per sempre laporta dell’insegnamento, mettendolonella situazione di doversi cercareun’altra attività professionale. È que-sta la «tolleranza zero», reazione una-nimemente considerata ineccepibile,coerente, il solo modo per protegge-re gli allievi. Nella scuola pubblica icasi di pedofilia non sono frequenti.Nella Chiesa la «tolleranza zero» im-plicherà che si insegni ai preti ad au-to-denunciarsi al procuratore pubbli-co e al vescovo dopo il primo pecca-to di pedofilia. Un modo di reagire cheindicherebbe perlomeno la consape-volezza dell’atrocità del crimine, unprimo passo di auto-protezione da ri-cadute, il segnale della permanenza diun barlume di rispetto per la vittima.Seduta stante il vescovo deciderà l’al-lontanamento del prete dalla parroc-chia e avvierà la pratica della suaesclusione dal ministero, con la ridu-zione allo stato laicale. La «tolleranza zero» stringe i panniaddosso al prete che comincia a gio-cherellare con l’idea di approfittaresessualmente di un bambino o di unaragazzina e gli rende la decisione senon impossibile sicuramente più dif-ficile. Nella scuola pubblica il licen-ziamento dell’insegnante pedofilo tra-duce in modo cristallino il giudizio digravità del delitto e della sua inaccet-tabilità da parte della società. D’orain poi, grazie alla «tolleranza zero» an-che nella Chiesa il «crimine gravissi-mo» (Benedetto XVI), il «crimineatroce» (Benedetto XVI), il «delittotanto grave e abominevole» (card.Hummes) troverà risposta adeguata daparte della gerarchia. Che cosa signi-ficava infatti l’omertà dei vescovi, laprotezione del prete pedofilo, il suotrasferimento in altra parrocchia «sen-za nessuna menzione della sua situa-zione»8 se non che il crimine abomi-nevole alla fine era considerato, tutto

sommato, sopportabile, compatibilecon la sacralità del ministero? Ci sichieda: che rispetto ha la Chiesa di séstessa e dei ministeri quando conside-ra ancora degne di essere mantenutein funzione persone che si sono mac-chiate di simili crimini?È possibile che la nuova diga di pro-tezione delle future vittime e dei pre-ti a rischio di pedofilia venga consi-derata da alcuni misura crudele. Par disentire: «Ma per i peccatori nellaChiesa c’è ancora o non c’è più postoper la misericordia? La Chiesa non èla scuola pubblica, nella Chiesa la mi-sericordia occupa un posto di assolu-to privilegio. Che ci stanno a fare dueo tre confessionali in ogni chiesa senon per ricordare che siamo tutti pec-catori? Forse che il prete non possaavere debolezze? Non sarebbe degnodel perdono?…». È quanto pensa Pier-ce Wals, parroco a Dublino: «È veroche alcuni di noi hanno commesso deicrimini e devono essere puniti. Ma noidobbiamo anche aiutarli a redimersi.La nostra è una Chiesa di peccatori,uomini e donne distrutti dalla vita.Vorrei che di questi tempi si parlasseun po’ più di misericordia»9. Diversa-mente dal suo arcivescovo DiarmuidMartin, il parroco di Dublino trascu-ra il principio che la giustizia abbiaqualche diritto in più della misericor-dia, i diritti della vittima avendo la pre-cedenza su quelli del colpevole. Giu-stizia è la «tolleranza zero», il miglioregrado di difesa al quale le vittime ab-biano diritto. Giustizia è fare tuttoquanto è umanamente possibile per ri-durre i casi di pedofilia. Soltanto inun secondo tempo si apre il tempo del-la misericordia. Scontata la pena, a dif-ferenza della scuola pubblica la Chie-sa si prenderà cura dell’ex prete, aiu-tandolo anche finanziariamente a ri-ciclarsi in un nuovo lavoro e a ritrovareun posto nella società. Questa è mise-ricordia.

La recidiva: un enigmaQuando c’è di mezzo un prete, la pe-dofilia pone alcuni interrogativi in più.Ci si chiede infatti come sia possibileche un prete arrivi al punto di decide-re di cedere al crimine di pedofilia. Inquesta sede non si intende offrire unquadro esaustivo di risposte, quantopiuttosto riflettere sulle due o tre do-mande più scontate.

� «La colpa è del celibato obbligato-rio». Per spiegare, pur senza giustifi-care, scandali come quelli avvenuti ne-

gli Stati Uniti e in Irlanda, la gentepunta spesso il dito contro la facolta-tiva disciplina vaticana del celibatoobbligatorio per quasi tutti i preti (go-dono infatti l’eccezione preti anglica-ni e pastori protestanti sposati, con-vertiti al cattolicesimo e attivi nel mi-nistero). Per misurare il grado di pro-babilità dell’ipotesi, la via piùsemplice appare il confronto con le al-tre Chiese cristiane che, tutte, lascia-no al clero la libertà di scegliere tra losposarsi o il rimanere celibi. Bisognaprendere atto che non si ha conoscen-za dell’esistenza nelle Chiese sorelledel concetto di «prete (pastore) pedo-filo». Succederà qualche caso isolato,ma la frequenza è rara al punto da nonprodurre, come purtroppo nella Chie-sa cattolica, la definizione di una ca-tegoria. E nei casi isolati non si ha no-tizia che il reo possa continuare a eser-citare il ministero. Che non tutto possa essere messo sulconto dell’obbligatorietà del celibatolo dicono tuttavia due dati. Il primosono i casi di gran lunga più diffusi(vien da dire: per fortuna!) di preti chevivono una normale relazione d’amo-re con una donna, legame che non im-pedisce un ministero anche di qualità.È la dimostrazione che l’alternativa alcelibato non è certo la pedofilia. Il se-condo dato informa che il maggior nu-mero di casi di pedofilia avviene den-tro la cerchia famigliare da parte diadulti sposati.

� «Le scuole cattoliche sono in cau-sa» Un ruolo nella frequenza degliscandali di pedofilia nel clero lo gio-cherebbe, secondo alcuni, il fatto chela Chiesa cattolica, a differenza delleChiese sorelle, abbia numerosi colle-gi, scuole, internati frequentati da ra-gazzi e adolescenti, condotti da preti.In Irlanda il 92% delle scuole prima-rie e il 70% delle secondarie viene ge-stito dalla Chiesa cattolica, finanziatodallo Stato. In altre parole: l’occasio-ne farebbe l’uomo ladro. Sarà, ma unacosa va sottolineata: essendo assolu-tamente chiaro, urbi et orbi, che i mi-norenni non si toccano punto e basta,che nessun argomento di umana de-bolezza riduce la malvagità dell’attoo la responsabilità dell’adulto, nessunprete può appellarsi a una qualsivogliacostrizione esterna o interiore a sfrut-tare sessualmente bambine o ragazzi-ni. Bambini e ragazzine sono vittimetroppo facili, troppo a portata di ma-no, troppo indifesi, troppo sensibili al-le attenzioni affettuose, troppo porta-ti a idealizzare l’adulto che si prendecura di loro, troppo incapaci di opporsi

No. 210 opinioni 19

in una situazione di comportamentoambiguo dell’adulto perché un preteinventi nella sua coscienza un prete-sto per approfittare sessualmente diloro.

� La recidiva. Un dato che particolar-mente impressiona nello scandalo deipreti pedofili è la capacità di ripetereil delitto anche dopo essere stati con-dannati dal tribunale e usciti di pri-gione. Una lettura possibile di questicasi particolarmente tristi pone l’ac-cento sui rimorsi che attanagliano lacoscienza del prete, il cui impatto nonè necessariamente percepito. Rimorsifatti di memoria, di vergogna, di per-secuzione del delitto sempre presentee del quale non ci si può liberare, ilpensiero del peccato, della vittima,della famiglia della vittima, il pesodello scandalo, la condanna pubblica.Il prete si trova imprigionato nella ne-cessità di confrontarsi con un’imma-gine di sé inguardabile, sfregiata daldelitto, meritevole, secondo lui, di ca-stigo infinito, di condanna senza re-denzione. La ripetizione del criminediventa il modo meritato e efficace diautopunirsi, di insistere nel deforma-re sempre più la propria immagine alpunto da riflettere l’enormità del pec-cato abominevole. Sprofondare nel-l’abisso del male può dare il sollievoche offre la ripetizione della condan-na e della pena più che meritate.È possibile che altri preti vivano sog-gettivamente la pedofilia in modo pur-troppo meno tragico. La rottura dellabarriera morale, spezzata nella co-scienza dal primo peccato, apre unastrada larga alla ripetizione del delit-to e rende arduo il ravvedimento. Vi-vono l’esperienza cercando rifugio esollievo nel perdono ottenuto con laconfessione dopo ogni peccato. Inquesti casi, per le vittime l’assoluzio-ne sacramentale è una tragedia, il per-dono essendo considerato assicura-to… settanta volte sette. Per loro, lasalvezza starebbe piuttosto in un’altraparola, quella evangelica, terribile,della macina legata al collo…

� Celibato e castità. C’è chi si inter-roga se un altro dato, strano, non con-tribuisca a suo modo alla diffusionedel tristo fenomeno. I preti cattolici, sisa, non emettono il voto di castità, ri-servato a monaci monache e frati: sisottomettono soltanto alla disciplinaromana del celibato obbligatorio. Ora,fino ad anni fa, celibato significava ca-stità. Accettare quella disciplina si-gnificava impegnarsi a una vita casta.Da un certo tempo a questa parte sem-

bra che, in certi ambienti, celibato si-gnifichi rinuncia al matrimonio manon più impegno a una vita di castità.Due istruzioni di una congregazionevaticana volute da Benedetto XVI, in-viate ai vescovi, hanno messo una pul-ce nell’orecchio: la prima su preti eomosessualità, la seconda su preti epedofilia. Le due istruzioni chiedonoai vescovi di vegliare affinché i supe-riori dei seminari non ammettano più,come finora, all’ordinazione sacerdo-tale seminaristi che hanno mandato se-gnali di omosessualità o di pedofilia.Quando castità e celibato erano ge-melli omozigoti, le due istruzioni va-ticane sarebbero state semplicementeinimmaginabili.

Conclusioni(1) Se in nome della giustizia la ge-rarchia è disposta a prendere tutte lemisure utili a ridurre i casi di preti pe-dofili, l’augurio è che abbia la deter-minazione di applicare la strategia del-la «tolleranza zero» non soltanto a me-tà, accontentandosi della denuncia deipreti pedofili ai tribunali civili, ma an-che di difendere l’onore della Chiesadecretando l’incompatibilità del mi-nistero con il «crimine atroce e abo-minevole».

(2) Auspicabile sarebbe che la gerar-chia si desse il coraggio di chinarsi an-che su qualche corollario. Se, come in-dicano i dati, l’obbligatorietà del ce-libato incide, per una parte, nella dif-fusione della piaga dei preti pedofili,non sarebbe ora e tempo che la gerar-chia, sempre in nome della giustizia eforse anche di Dio, rinunci a imporrea tutti i preti la disciplina facoltativa,non evangelica, del celibato obbliga-torio? È serietà dire e ripetere che «unasola vittima è già di troppo», se poinon si fa il possibile per ridurre al mi-nimo il numero delle vittime?

(3) Il passo successivo della riflessio-ne porta alla magna quæstio del rap-porto della Chiesa cattolica con uo-mini, donne e sessualità. Il tema nonè da articolo di una rivista. Qui ci siaccontenta di delineare la questione.La Chiesa si dà come missione ancheil diritto di stabilire per i cattolici del-le norme che traducano la sua visionedella sessualità. Norme che secondola gerarchia hanno valenza universa-le, essendo fondate sull’interpretazio-ne della legge naturale. Con il richia-mo al dovere di osservare le regoledella morale sessuale, la gerarchia

esercita un controllo sulle persone everifica il controllo attraverso il pre-cetto della confessione dei comporta-menti (fino a non molto tempo fa an-che dei pensieri) scorretti. Al lettoresi può ricordare che la pratica del-l’esame di coscienza quotidiano eraraccomandata dai filosofi dell’anti-chità quale mezzo insostituibile allaconoscenza di sé, premessa indispen-sabile per raggiungere un buon livel-lo dell’arte del vivere. Sconosciuto eral’obbligo di comunicare ad altri il ri-sultato dell’esame di coscienza.Con la disciplina del celibato obbli-gatorio, il controllo della gerarchiasulla sessualità del prete e sulle im-plicazioni affettive ad essa legate èpressoché totale. È necessario ricor-dare che la sessualità è la forza chepiù di tutte muove il mondo, l’energiavitale che struttura affettivamente,ovunque e sempre, gli incontri di uo-mini e donne, che accende le diversetonalità affettive che colorano la va-riopinta atmosfera del voler bene, del-l’essere voluti bene, dell’amare e del-l’essere amati, che si fa felicità quan-do la gente si cerca e si trova e si facompagnia? Stiamo parlando dellefondamenta di ciò che rende umanol’uomo. C’è qualcosa da dire o da ri-dire sul fatto che la gerarchia si attri-buisca il diritto di impadronirsi delprete al punto da intervenire a porrelimiti ostacoli e proibizioni dentro lospazio più intimo del suo essere per-sona? Difficile rispondere di no, chenon ci sia proprio nulla da ridire. Esi-ge infatti davvero tutto questo l’an-nuncio del regno di Dio? Guardare al-le Chiese cristiane sorelle può aiutarea intuire ciò che qui si vuol dire. Gui-date da una sorta di rispetto e di pu-dore, non si addentrano a dettar leggenel sacrario delle persone, fedeli o mi-nistri che siano. Un atteggiamentoche, intuitivamente, emana un soffiodi libertà, un respiro fresco dal sapo-re delle cose vere.All’indomani della pubblicazione del-l’enciclica Humanae vitae (1968), lasensazione è che la maggioranza del-le coppie cattoliche abbiamo invoca-to il diritto al beneficio del pudore, chenon mette le cose in pubblico, e del ri-spetto dell’età adulta capace di re-sponsabilità. Appellandosi alla liber-tà di coscienza, dono del Concilio, sisono allineate sulla conclusione dellamaggioranza della commissione pon-tificia che, in nome del «principio ditotalità» (determinante per la valuta-zione morale non è il singolo atto mail disegno globale della fecondità del-la coppia), non aveva ritenuto moral-

20 cronaca No. 210

mente illecito il ricorso alla contrac-cezione anche con mezzi artificiali,contrariamente alla conclusione dellaminoranza della commissione, fattapropria da Paolo VI. In quel frangen-te la gerarchia ha perso il controllo sul-la sessualità di molti cattolici, in par-ticolare delle giovani generazioni.Qualche lettore si chiederà che cosac’entri l’Humanae vitae con l’obbli-go del celibato. In sé non c’entra nul-la. L’accostamento serve soltanto achiudere il cerchio del discorso suipreti pedofili. Come si è visto, l’espe-rienza delle Chiese cristiane sorellepermette di concludere che l’obbligodel celibato incide, in parte, sulla fre-quenza dei casi di pedofilia. Essendograve per la gerarchia il dovere di met-tere in atto tutto quanto è in suo po-tere per ridurre il più possibile la fre-quenza degli scandali, la rinuncia aimporre obbligatoriamente ai preti ilcelibato diventa la strada da percor-rere, la forma elementare di rispettodel diritto delle possibili vittime di es-sere protette. Per la gerarchia signifi-cherà la perdita del controllo sulla ses-sualità del clero, di cui nessuno a di-re il vero vede la necessità, per laChiesa e per la sua immagine un gua-dagno, visti i benefici conseguiti dal-la tradizione di libertà per i preti e ipastori nelle Chiese sorelle, beneficicomparabili alla conquista della li-bertà-responsabilità per molte coppiecattoliche dopo la Humanae vitae. A motivo della carenza di vocazioni,da molte parti del mondo vescovi econferenze episcopali moltiplicano daanni le sollecitazioni a Roma affinchériveda la disciplina del celibato obbli-gatorio. Una questione pastorale seria.Si aggiungano le ancor più serie e im-pellenti motivazioni causate dagliscandali dei preti pedofili, e per l’ob-bligo del celibato ecclesiastico i gior-ni (mesi? anni? decenni?) dovrebberoessere contati. La sola cosa che non sisa è quanti chilometri manchino al-l’arrivo.

NOTE

1. Rapporto Murphy, «Le Monde» 12.12.2009

2. «Le Monde», 12.12.2009

3. «Le Monde», 29.12.2009

4. Adista (35353)

5. ivi

6. «Le Monde», 5.1.2010

7. «La Repubblica», 13.1.2010

8. Rapporto Murphy, «Le Monde», 12.12.2009

9. «Le Monde», 29.12.2009

Gli ottant’anni di mons. Grab. Il 3febbraio, Amedeo Grab, vescovo eme-rito di Coira, ha festeggiato gli ottan-t’anni. Nato a Zurigo, figlio di impie-gati delle organizzazioni internazio-nali, trascorse la sua infanzia a Gine-vra. Entrato nel 1947 come monacoall’Abbazia di Einsiedeln, emette i vo-ti monastici nel 1950 e nel 1954 è or-dinato presbitero. Insegnante nel col-legio benedettino di Ascona per ven-t’anni, dal 1958 al 1978, nel 1987 èscelto come vescovo ausiliare di Gi-nevra. Accolto con diffidenza, con-quista la stima e la simpatia della «Ro-ma protestante». Promosso vescovo ti-tolare a Friburgo due anni dopo, è qua-si subito trasferito a Coira persanare le ferite del quasi-scisma ori-ginato dall’episcopato del vescovoHaas. Giovanni Paolo II lo stima alpunto di prolungare il suo mandato,alla scadenza del suo 75.mo comple-anno, fino alla scelta del successore,nel 2007. Presidente dei Vescovi sviz-zeri e dei Vescovi europei, è da poco,dunque, al cosiddetto beneficio dellapensione. Uomo di cultura, di dialogoe di apertura, Amedeo Grab gode dimolte simpatie in Ticino, non solo trai suoi ex-allievi del Collegio Papio.«In tempore iracundiæ factus est re-conciliatio» – cantava l’antifona di ac-coglienza del vescovo nella sua catte-drale. Al vescovo Grab la riconoscen-za e l’augurio di «Dialoghi».

Nell’episcopato. Il vescovo di Sion,Norbert Brunner, un alto-vallesano di67 anni, sarà per i prossimi tre annipresidente della Conferenza dei ve-scovi svizzeri – primus inter paresperché vi si cerca sempre il consenso.L’eletto non ha mancato di far cono-scere le sue preferenze: la CES si fac-cia maggiormente sentire, i vescovielaborino in comune le priorità pasto-rali, anche dal profilo finanziario. Invarie interviste si è espresso per unadifesa più esplicita dei «principi cri-stiani» in sede politica e ha formula-to proposte «liberali» per l’organiz-zazione ecclesiastica. Per esempio,confermando precedenti orientamen-ti dei vescovi svizzeri, si è detto fa-vorevole all’ordinazione presbiteraledi uomini sposati (i fedeli svizzeri inmaggioranza vorrebbero anche ledonne-prete); i laici dovrebbero pote-re (come permette il Codice canoni-

co) celebrare battesimi e matrimoni.Non si fa illusioni, il vescovo Brun-ner, sulla conciliazione tra Roma e i«lefebvriani» e ha deplorato che i ve-scovi svizzeri siano stati ignoratiquando Roma ha tolto la scomunicaai vescovi di quella comunità, violan-do il principio di sussidiarietà che do-vrebbe valere anche all’interno dellaChiesa cattolica. Particolare… di-menticato dal suo collega vescovo diCoira, Vitus Huonder, che la sera del3 dicembre ha informato i presidentidelle Chiese cattoliche cantonali diZurigo e di Glarona che l’abate bene-dettino di Uznach, Marian Eleganti,era stato nominato suo ausiliare: Ro-ma ha dato ufficialmente la notizia il7 dicembre. Il nuovo vescovo è natonel 1955 a Uznach (S.Gallo), ha stu-diato ad Einsiedeln, Roma e Sali-sburgo, dal 1999 è a capo di una ab-bazia benedettina di orientamentomissionario. Forse per calmare le ac-que, il vescovo di Coira ha poi nomi-nato a fine dicembre come «vicariogenerale per il personale» a Zurigo eGlarona Josef Annen e vicario gene-rale diocesano Martin Grichting. I trenominati dovranno ripartirsi i compi-ti: non sarà facile, essendo personali-tà conosciute per posizioni ecclesia-stiche e personalità divergenti. E an-cora una volta occorrerà superare lediffidenze che queste nomine dall’al-to, senza preventiva consultazione,hanno causato. Ma è una «politica»vaticana conosciuta: nessuna consul-tazione ha preceduto la recente desi-gnazione del nuovo vescovo di SanSebastian (il capoluogo del Paese Ba-sco). L’eletto è ritenuto un «anti-con-ciliare», oltre 130 preti della diocesil’hanno contestato pubblicamente.Anche in Belgio, per sostituire il pri-mate, cardinale Godfried Danneels,arcivescovo di Malines e Bruxelles,che lascia la funzione avendo com-piuto 76 ani, Papa Benedetto XVI hadesignato mons. Leonard, vescovo diNamur, 69 anni, considerato «un con-servatore, intelligente e rigoroso» mada alcuni soprannominato «il Ratzin-ger belga». Si chiude così, anche inBelgio, una stagione ecclesiale carat-terizzata dalla «tolleranza» di mons.Danneels (vescovo dal 1977 e cardi-nale dal 1983) nei confronti della «se-colarizzazione». All’uscita dall’ulti-mo Conclave egli non aveva nascostoriserve sul nuovo papa.

CRONACA SVIZZERAa cura di Alberto Lepori

Nuova sede per i vescovi. La Confe-renza dei vescovi svizzeri (CES) hauna nuova sede a Friburgo, al n. 6 del-la Rue des Alpes, ospitata in uno sta-bile utilizzato prima come sede scola-stica e ceduto «a buon prezzo» dalleSuore orsoline alla Fondazione AntonHänggi, il vescovo di Basilea mortonel 1994. Oltre al segretariato e uffi-cio stampa della CES (otto persone),l’immobile, completamente ristruttu-rato, accoglie anche altri organismi ec-clesiastici (servizio migranti, com-missione per la comunicazione e i me-dia, uffici interdiocesani), per un tota-le di 14 persone: un ministero, mamolto piccolo, per la Chiesa svizzera.

«Viva il Concilio». Si è costituita inItalia una fondazione dal titolo «Vivail Concilio!» che intende tener destala memoria e l’attualità dell’eventoconciliare. Gestisce un sito web(www.vivailconcilio.it), promosso daun gruppo di laici ma anche da duecardinali (C.M. Martini e RobertoTucci) e da un vescovo, Luigi Bettaz-zi. Vi si trovano: fonti, interventi ma-gisteriali, saggi teologici, iniziative(testi, video, convegni e pubblicazio-ni), utili «per sollecitare il popolo diDio a leggere e interpretare ‘nel conodi luce del Concilio’ (Paolo VI) l’agi-re e la testimonianza ecclesiale nel-l’oggi della storia». L’iniziativa è aper-ta alla partecipazione di privati e di as-sociazioni che ne condividono le fi-nalità. L’adesione a questa iniziativaè prevista con la sottoscrizione di unatabula gratulatoria. Fino alla chiusu-ra redazionale di questo numero di«Dialoghi», l’avevano firmata quattrocardinali (Etchegaray, Silvestrini, Pio-vanelli, Tettamanzi) e 23 arcivescovie vescovi, quasi tutti italiani (tra cuiGianfranco Ravasi e Bruno Forte).Notata con piacere la firma di PierGiacomo Grampa, vescovo di Luga-no. La redazione di «Dialoghi» ha fat-to pervenire la sua adesione.

«Noi siamo Chiesa». Dal 16 al 18 ot-tobre si è tenuto a Freising (pressoMonaco di Baviera) il «Council» diIMWAC (International Movement WeAre Church, l’organizzazione interna-zionale di «Noi siamo Chiesa», natanel 1995 con un «Appello al popolodi Dio»). Il Consiglio direttivo si riu-nisce ogni due anni ed è composto didue rappresentanti per ogni sezionenazionale. Otto erano i Paesi presen-ti, altri hanno inviato messaggi e in-formazioni. Per l’Italia hanno parte-cipato Vittorio Bellavite di Milano eMauro Castagnaro di Cremona. È sta-

ta presentata una rassegna delle situa-zioni di IMWAC nei diversi Paesi, do-ve si continua con costanza a lavora-re. Le realtà dove IMWAC è più radi-cata restano l’Austria e la Repubblicafederale tedesca. L’ IMWAC ha oralanciato il progetto «Concilio 50 an-ni». Il Vaticano II si iniziò nel 1962 esi concluse nel 1965: la riflessione sa-rà su «memoria» e «utopia», memo-ria perché si tramandi, soprattutto peri più giovani, su che cosa era la Chie-sa prima del Concilo e di quale porta-ta sia stato quell’evento, utopia perchéè allo spirito del Concilio cui bisognarifarsi, per continuare a proporreun’azione riformatrice che non si fer-mi ai soli testi. Si prevedono assem-blee nazionali nell’ottobre 2012 e unincontro internazionale a Roma nel di-cembre 2015. Questa iniziativa è an-che l’occasione per creare dei net-works di tutti i movimenti della Chie-sa cattolica che si rifanno al Concilio(esistono già Francia, con Parvis, eSpagna con Redes Cristianas). Un pri-mo convegno avrà luogo a Lione, nelnovembre dell’anno prossimo. La re-dazione di «Dialoghi» si è detta di-sponibile per promuovere una «rete»a livello ticinese e svizzero. Sono incorso i necessari contatti; è auspicataogni utile segnalazione di persone egruppi interessati.

Confermati nel dialogo. L’arcivesco-vo di Milano Dionigi Tettamanzi haaperto «La cattedra del dialogo 2009»con una conferenza dal titolo «Il dia-logo come ethos nell’esperienza deicristiani», pubblicata dal numero 12(dicembre 2009) della rivista «Ag-giornamenti Sociali» dei gesuiti di Mi-lano (Piazza S. Fedele, 4). Rifacendo-si all’enciclica Ecclesiam suamdi Pao-lo VI, la prima enciclica di un papa suldialogo (erano i tempi del Concilio Va-ticano II e già c’erano i duri d’orecchi),Tettamanzi deplora «una tendenza alrallentamento, all’indebolimento, ad-dirittura al rifiuto del dialogo», e con-stata che «in questo contesto sociocul-turale il dialogo potrebbe apparirepericoloso, comunque inutile, addirit-tura impossibile». Ma «il dialogare inrealtà è costitutivo della persona uma-na e quindi dell’ethos del vivere uma-no. Non c’è convivenza senza dialo-go!». Rifacendosi all’insegnamentodel Vangelo, il cardinale conclude «Ilfondamento ultimo del dialogo è inDio stesso». Così autorevolmente in-coraggiati, a noi di «Dialoghi» non re-sta che proseguire, un cammino ini-ziato sulla spinta dell’insegnamentoricevuto dai papi del Concilio.

Un popolo dimenticato. Il 6 e 7 no-vembre 2009, la Coordinazione inter-diocesana ha tenuto la sua 25. As-semblea a Delémont. Composta deirappresentanti dei Consigli pastoraliregionali, il tema discusso in gruppi dilavoro fu «Il rinnovamento del Popo-lo di Dio – Il Vaticano II e la Chiesain Svizzera». Ai rappresentanti deiconsigli pastorali si erano aggiunti imembri della Commissione di piani-ficazione pastorale della Conferenzadei vescovi svizzeri CES). Ha presie-duto mons. Markus Büchel, vescovodi San Gallo. Il convegno è stato con-cluso da una relazione della prof. Eva-Maria Faber, dell’Alta scuola di teo-logia di Coira, che ha illustrato comel’insegnamento conciliare sul Popolodi Dio (e quindi sulle responsabilitàdei laici) sia rimasto ampiamente nonapplicato. Il vescovo Büchel, da par-te sua, aveva denunciato la perdita dicredibilità della Chiesa e postulato unamaggiore apertura verso la società.Nel frattempo è stato rinnovato il Con-siglio pastorale della diocesi di Luga-no (fonte: Annuario 2010). Dei 48membri, 33 sono uomini (di cui 14preti); le donne sono 15 (comprese duesuore). Auguriamo loro buon lavoro,secondo gli insegnamenti del Conci-lio (il secondo del Vaticano, ovvia-mente!) e le aspettative del nuovo vi-cepresidente della CES.

Aiuto al suicidio. A fine ottobre ilConsiglio federale ha posto in con-sultazione due varianti per la modifi-ca dell’articolo penale relativo al-l’aiuto al suicidio. La prima proponeuna serie di condizioni relative alle or-ganizzazioni di aiuto al suicidio; laseconda prospetta il divieto di tali or-ganizzazioni. Tre anni fa, l’allora di-rettore del Dipartimento di giustizia epolizia, Christoph Blocher, aveva re-spinto la proposta di una regolamen-tazione in materia. L’attuale respon-sabile, Eveline Widmer-Schlumpf,propone di introdurre precise condi-zioni per le organizzazioni di aiuto alsuicidio, come Exit e Dignitas, che ac-compagnano annualmente circa 350persone alla morte. Le regole propo-ste stabilirebbero che le persone chedesiderano porre fine alla propria vi-ta devono decidere in piena autonomiae riflettere in modo approfondito sul-la propria decisione. Indispensabili sa-rebbero inoltre le perizie di due me-dici non appartenenti all’organizza-zione di aiuto al suicidio: una do-vrebbe attestare che la persona chedesidera porre fine alla propria vita ècapace di intendere e di volere, l’altra

No. 210 cronaca 21

deve certificare che il malato soffre diun male incurabile che lo condurràpresto alla morte. Chi, infine, assisteal suicidio deve informare il malatodelle alternative possibili, come le cu-re palliative. La procedura di consul-tazione terminerà il prossimo 21 mar-zo. Una regolamentazione sembra ne-cessaria ma le condizioni d’interven-to dovranno essere attentamentestudiate e largamente discusse. L’at-tuale norma del Codice penale (cheesclude solo il vantaggio personale del«collaboratore») si è dimostrata in-sufficiente per evitare gli abusi (da«Voce Evangelica», gennaio 2010).

Il GdP per un quarto ai Lombardi.Non si tratta di quelli della Prima Cro-ciata, celebrati nel famoso coro (ches’imparava una volta nelle scuole) «OSignore, dal tetto natio…», ma diLombardi vivi e vegeti, rappresentatidal senatore Filippo e da suo padre,l’ingegnere Giovanni. I nuovi Lom-bardi si sono fatti «crociati» – cioè sisono addossati una parte del capitalee delle relative responsabilità – delquotidiano cattolico «Giornale del Po-polo», riscattando una parte di pro-prietà che apparteneva al «Corriere delTicino». In sostanza: la quota che pos-sedeva il CdT è passata a Ti-Media,società in (quasi) comproprietà tra lostesso «Corriere» e la famiglia Lom-bardi, più alcuni bruscolini al GdP.Fatte le somme, se abbiamo capito be-ne, al Vescovo dovrebbe essere rima-sta la metà più qualche briciola del ca-pitale, e naturalmente il diritto di de-terminare la linea del giornale e di de-signare il direttore. La notizia è statadata da «laRegione» del 12 gennaio.«Corriere» e GdP non hanno messolingua. In nome della trasparenza, evi-dentemente.

Preoccupazioni finanziarie. Il pre-ventivo finanziario della Diocesi di

Lugano, approvato lo scorso dicem-bre dall’assemblea diocesana, pre-senta un deficit di fr. 362.300, giàdedotto il contributo chiesto alle par-rocchie e previsto in fr. 180.000. Pre-occupante la situazione della Parroc-chia di Lugano che prevede un deficitdi fr. 319.950 per il 2010 e prospettadifficoltà per il futuro, in considera-zione del minore gettito della cosid-detta imposta da parte delle personegiuridiche, specialmente banche, cherappresentano il 60% dell’incasso or-dinario. A Chiasso il clero locale si au-to-riduce le retribuzioni. A Zurigo, inapplicazione alla nuova legge sul fi-nanziamento delle Chiese riconosciu-te quali corporazioni, nel 2010 laChiesa cantonale cattolica riceverà12,5 milioni di franchi e 37,45 milio-ni andranno alla Chiesa riformata.L’importo destinato alla Chiesa rifor-mata sarà in seguito ridotto, per cuinel 2013 i cattolici riceveranno 22,1milioni e i protestanti 27,4. L’impor-to assegnato ai cattolici prima dellanuova legge era di soli 8,7 milioni,mentre la Chiesa riformata riceveva40,8 milioni. Restano invariati i con-tributi alla Chiesa dei Vecchi-cattoli-ci e alla Comunità ebraica, fissati infr. 250.000. La Chiesa cattolica dellaregione di Berna ha potuto invece ab-bassare per il 2010 le imposte eccle-siastiche del 10% (dallo 0,207 allo0,186), grazie agli avanzi degli annipassati. Sono previste spese per 26,7milioni ed entrate per 25,6. Per il quar-to anno consecutivo, i conti globali,ordinari e straordinari per il 2008, del-la Chiesa protestante di Ginevra han-no chiuso con un saldo positivo di 2,5milioni; i fondi propri aumentano co-sì a 3,2 milioni: il risultato positivo di-pende dalla vendita dell’edificio del-la Roseraie, da anni inutilizzato. Ilconto ordinario accusa invece un de-ficit di fr. 758.172, a causa della di-minuzione dei contributi volontari e

dei doni (per la crisi e l’invecchia-mento degli aderenti), che coprono il94,4% delle spese ordinarie, risultatedi fr. 13.536.250. Solo 4000 prote-stanti, degli 80.000 censiti, contribui-scono alle spese della loro Chiesa. Co-stretta a risparmi la Chiesa protestan-te vodese che, in base ad una nuovoregolamentazione, ha visto ridotto a35, 5 milioni il contributo cantonale,mentre il preventivo indica 44, 5 mi-lioni di uscite: ridotti gli stipendi delpersonale (che rappresenta il 90% del-le spese), il deficit previsto per il 2010è di poco inferiore a un milione difranchi. Nel Canton Friburgo, la Cas-sa che retribuisce il personale parroc-chiale presenta un preventivo per il2010 praticamente in pareggio (pocomeno di 12 milioni di franchi). Il nu-mero dei preti retribuiti è diminuito,mentre aumentano i laici (76 preti e78 laici). Aumentata a fr. 51.000 larendita minima garantita ai preti pen-sionati. La Corporazione ecclesiasti-ca cantonale presenta un preventivoper il 2010 con un totale di spesa difr. 8,8 milioni, con entrate previste infr. 2.550.186 ; tra le nuove spese, unaccantonamento per favorire le fusio-ni tra le parrocchie. Per i compiti na-zionali della Chiesa cattolica in Sviz-zera, la Conferenza centrale cattolico-romana (RKZ, formata dalle corpora-zioni cantonali e dalle diocesi) hamesso a disposizione per il 2010 l’im-porto di fr. 6,36 milioni, cui vanno ag-giunti fr. 2,75 milioni del Sacrificioquaresimale. 2,1 milioni sono stati at-tribuiti alla Conferenza dei vescoviper il proprio segretariato e altre strut-ture dipendenti, tra cui «Migratio» ela Commissione Giustizia e Pace,mentre 2,3 milioni sono attribuiti aistituzioni attive nel settore dei medianazionali o locali; 1,75 milioni sonoinfine versati dalle organizzazioni ec-clesiastiche locali per sostenere la pa-storale dei migranti.

22 cronaca No. 210

Fra le pieghe del tempo di Bruna Martinelli

Prefazione di Giancarlo Verzaroli.Formato 12.5x21, 180 pp., Fr. 20.–

Sono storie vere che descrivono l’ambiente diun villaggio della Vallemaggia, ma che potrebbe-ro essere successe in qualunque vallata ticinese.La narratrice racconta le esperienze vissute daragazza con la consapevolezza della donna ma-tura. Si narra dei lavori quotidiani, degli animali,di alcuni mestieri, ma si parla pure di odori,colori e sapori della terra.

Le pietre raccontano di Francesca SelcioniPresentazione di Luigi Snozzi. Prefazione di Riccardo Carazzetti. dell’ Università di Brera.Formato 12.5x21, 160 pp., Fr. 20.–con illustrazioni a colori.

Le rivelazioni della Casa di Dio.Viaggio nella simbologia del romanicoattraverso la scoperta dei misteri, ancora ineditie sconosciuti, delle chiese di San Vittore diMuralto e San Nicolao di Giornico.

Per ordinazioni: AArrmmaannddoo DDaaddòò eeddiittoorree -- VViiaa OOrreellllii 2299 -- 66660011 LLooccaarrnnooTTeell.. 009911 775511 4488 0022 // 775511 4499 0022 -- FFaaxx 009911 775522 1100 2266 -- EE--mmaaiill:: iinnffoo@@eeddiittoorree..cchh -- wwwwww..eeddiittoorree..cchh

La FAO (l’Organizzazione per l’Ali-mentazione e l’Agricoltura dell’ONU)stima che il numero di persone chesoffrono la fame nel mondo abbia rag-giunto il miliardo. La maggior partevivono nelle campagne; quasi la me-tà è composta di famiglie di agricol-tori; un quinto sono lavoratrici e la-voratori senza terra e abitanti delle bi-donvilles, uno su dieci affamati ap-partiene al gruppo dei pescatori eallevatori di bestiame. La maggior par-te delle persone che non hanno cibo asufficienza vive dunque a diretto con-tatto con la terra, che secondo le no-stre aspettative dovrebbe dar loro davivere.La mancanza di cibo si fa sentire unpo’ ovunque: in Asia e nell’area delPacifico sono 642 milioni gli esseriumani a soffrire la fame. Nell’Africasubsahariana, 265 milioni di personesono denutrite. In America latina e nel-l’area caraibica sono 53 milioni; nelMedio Oriente e nel Nord Africa 42milioni. Della fame, secondo il presi-dente brasiliano Lula da Silva – «lapiù potente arma di distruzione dimassa di questo pianeta» – si parlatroppo poco: ancor meno delle causee delle possibilità per combatterla.Molte persone si sentono impotenti difronte all’ampiezza di questo indici-bile scandalo. Altre semplicementenon ci pensano. In Svizzera, giornal-mente, sono immagazzinate tonnella-te di prodotti alimentari.

Un dramma, tante concauseMolte sono le cause che concorronoalla costante e rapida crescita del nu-mero di persone che non hanno di chenutrirsi a sufficienza. La crisi econo-mica ha colpito le popolazioni svan-taggiate del Sud del mondo ancor piùduramente degli altri. Non soltantosono stati decurtati gli aiuti allo svi-luppo per i Paesi poveri, ma l’econo-mia stessa di questi paesi è ormai inginocchio. Senza dimenticare chemolti emigranti rimasti senza lavoronon possono più inviare soldi in patria.Tutto ciò non fa che peggiorare le con-dizioni di vita di molte famiglie e in-centivare l’abbandono di progetti disviluppo a causa della mancanza difondi. Nel 2009 Sacrificio Quaresi-male e Pane per tutti, in collabora-zione con Essere solidali, hanno fo-

calizzato l’attenzione dell’opinionepubblica sui cambiamenti climatici e iloro influssi sull’accesso al cibo. Acausa del surriscaldamento globale edelle sue conseguenze, anche l’annoscorso sono andati persi molti raccoltio resa impossibile la coltivazione. E infuturo la produzione di generi ali-mentari si farà ancor più problematicain Paesi già confrontati con periodi disiccità sempre più lunghi o con ura-gani più frequenti. Lotte di potere e conflitti, come puremalgoverno o carenti strategie di aiu-to allo sviluppo contribuiscono an-ch’essi ad affamare intere popolazio-ni. Vi è però un altro corresponsabiledi questa drammatica situazione: ilcommercio internazionale, e in parti-colare le sue regole ingiuste. Sacrifi-cio Quaresimale e Pane per tutti, incollaborazione con Essere solidali,hanno deciso di parlare nuovamentedi un diritto fondamentale e senza ilquale anche tutti gli altri verrebberomeno: quello al cibo, approfondendoil legame indissolubile con il com-mercio. E proprio il cibo, è bene ri-cordarlo, è un diritto fondamentale,sancito nella Dichiarazione universa-le dei diritti umani, ma ancora lonta-no dall’essere garantito ovunque.Attraverso la Campagna ecumenica2010 – il cui motto è «Più giustizia nelcommercio: dirittoalcibo.ch» – le treorganizzazioni cristiane, attive nellacooperazione internazionale, intendo-no ricordare a tutti come le attuali re-gole del commercio non contribuisca-no al benessere di tutti gli abitanti delpianeta.

Quando il commerciofomenta la fameIl 43% di tutti gli esseri umani è com-posto da contadine e contadini. Que-sti ultimi rappresentano al contempola maggior parte delle persone che nonhanno di che mangiare a sufficienza.L’arrivo massiccio di prodotti sov-venzionati e a basso costo dall’Euro-pa distrugge i mercati locali in Africa:per i produttori africani è impossibilecompetere con i prezzi stracciati pra-ticati dal Nord. La campagna ecume-nica vuole attirare l’attenzione del-l’opinione pubblica svizzera su que-sto tipo di commercio ingiusto e inac-cettabile, anche perché ha ridotto alla

fame intere popolazioni. La chiave perun miglior equilibrio fra Nord e Sudsi chiama commercio equo. Esso pro-muove giustizia sociale ed economicae lo sviluppo sostenibile attraverso ilcommercio, la formazione, la cultura,l’azione politica. Con il commercioequo si vogliono riequilibrare i rap-porti con i Paesi economicamente me-no sviluppati, migliorando l’accessoal mercato e le condizioni di vita deiproduttori svantaggiati. Il commercioequo e solidale garantisce infatti a chiproduce, tramite contratti a lungo ter-mine e prezzi fissi, un giusto guada-gno, condizioni di lavoro dignitose esoprattutto niente lavoro minorile. Eli-mina intermediari e speculazioni e so-stiene, con il pre-finanziamento, pro-getti di autosviluppo. In occasione del vertice mondiale or-ganizzato in novembre dalla FAO, pa-pa Benedetto XVI si è espresso dura-mente contro le sovvenzioni agricole,che danneggiano il mercato a scapitodei Paesi poveri, condannando l’egoi-smo di chi specula sugli alimenti al pa-ri di altre merci. Nei confronti di chisoffre la fame, ha affermato il ponte-fice, il superfluo e lo spreco, come pu-re la speculazione e la logica del soloprofitto, sono inaccettabili. La dottri-na sociale della Chiesa ci ricorda chel’obiettivo del libero mercato non de-ve essere quello di perseguire soltan-to l’utile dell’individuo, ma in primisl’utilità sociale. Solo così esso diven-terà funzionale al bene comune e allosviluppo integrale dell’essere umano.Questo è ciò per cui da anni si impe-gnano Sacrificio Quaresimale e Paneper tutti, attraverso i loro progetti alSud e le iniziative lanciate a livellosvizzero e internazionale. (SacrificioQuaresimale è ad esempio fra i fon-datori della Max Havelaar e da annisi impegna a favore del commercioequo). Quella proposta è dunque una nuovavisione dell’economia e del mondo,attenta agli interessi di tutti. È unostrumento a disposizione di ognuno dinoi per difendere e promuovere i di-ritti economici e sociali, cambiando imeccanismi di un modello economi-co che antepone il profitto ai dirittifondamentali degli esseri umani.

Federica Mauri Luzzi«Sacrificio Quaresimale»

No. 210 opinioni 23

L’Azione 2010 di «Sacrificio Quaresimale» e di «Pane per i fratelli»

Più giustizia nel commercio: dirittoalcibo.ch

Per ordinazioni: Armando Dadò editore - Via Orelli 29 - 6601 LocarnoTel. 091 751 48 02 / 751 49 02 - Fax 091 752 10 26 - E-mail: [email protected] - www.editore.ch

24 opinioni No. 210

A inizio marzo l’elettorato svizzero sa-rà chiamato ad esprimersi su un testoda introdurre nella Costituzione, ri-guardante la ricerca scientifica su es-seri umani. Quale necessità ha spin-to le nostre autorità a voler introdur-re tale disposizione nella Costituzio-ne federale? La risposta la si puòtrovare nel lungo iter che ha precedu-to il voto popolare.I primi passi sono stati compiuti dadue parlamentari ancora nel 2000 (lasignora Dormann al Nazionale ed ilsignor Plattner agli Stati, senatore de-ceduto alcune settimane fa, e che per-ciò non potrà assistere alla sanzionepopolare della sua iniziativa). A de-terminare le loro proposte non eratanto la constatazione di un vuoto giu-ridico – eventualmente sormontabile,ma attraverso procedure complesse –quanto l’incompetenza federale inmateria, essendo vigenti le regole par-zialmente diverse da cantone a can-tone. La materia è regolata interna-zionalmente dalla cosiddetta Conven-zione di Oviedo (o Convenzione dibioetica) del Consiglio d’Europa. LaSvizzera ha ratificato questo testol’anno scorso e le disposizioni di que-sto testo sono già assunte dal «dirittointerno». Ma il Consiglio federale de-sidera iscrivere nella carta fonda-mentale i principi etici che regolanola materia, per motivi di esemplaritàmorale e per statuire con chiarezza lacompetenza federale in materia.La procedura di consultazione e idibattiti parlamentari hanno eviden-ziato che una parte dell’opinionepubblica, anche se numericamentepiccola, non accettava e non accet-terà alcune formulazioni contenute dauna parte nella citata convenzioneeuropea e recepite nel testo costitu-zionale proposto. Una parte delleobiezioni riguarda il primo alineadell’art. 118 a, sottoposto a votopopolare. Vi si dice che la Confedera-zione «provvede alla tutela delladignità umana e della personalitàtenendo conto della libertà dellaricerca». L’articolazione tra l’esi-genza, morale e legale, di rispettaresempre e comunque la dignità umanasembra ad alcuni formulata come sesi volesse mettere sul medesimo pianoi due valori in gioco: la dignitàumana e la libertà della ricerca. Noncondivido queste preoccupazioni: unatale esegesi suggerisce che vi siano

cattive intenzioni dietro le istanze chela propongono.Altre obiezioni riguardano la ricercabiomedica intrapresa su soggetti in-capaci di intendere e di volere, ma fat-ta a favore del gruppo di persone chesi trovano nella stessa situazione deiprobandi. Pensiamo ai bambini o allepersone portatrici di un handicap men-tale. In entrambi questi casi, non è pos-sibile chiedere alla persona di espri-mere un consenso libero e informato:lo faranno in loro vece coloro che nerappresentano gli interessi più fonda-mentali, cioè i genitori o tutori d’uffi-cio. Fin qui anche gli avversari del-l’articolo costituzionale non formula-no obiezioni di fondo. Essi chiedonoperò che le ricerche vadano intrapre-se solo quando si possano dimostrarefin dall’inizio i suoi vantaggi. E qui, amio modo di vedere, si chiede l’im-possibile. Quale ricercatore è in gra-do di affermare, prima ancora di ave-re in mano i risultati della propria ri-cerca, che porterà dei benefici ai sog-getti che vi si sono sottoposti?Molti si chiederanno come mai il testosottoposto al voto sia oggetto di cosìtante obiezioni formulate in nome del-l’etica. A mio modo di vedere, ciò sideve non tanto alla lettera del testoproposto quanto al fatto che è statoformulato a partire dal solo principiodi autonomia. Questo legittima lanecessità del consenso informato,richiesto in maniera quasi continuae assoluta per ogni tipo di interventodi ricerca sul corpo umano. Ma «nondi sola autonomia vive l’uomo», bensìanche di altri valori che fondanole norme della nostra convivenza.Tra questi non va dimenticata (il te-sto sembra averla dimenticata) lasolidarietà. Essa lega la comunitàscientifica al resto della popolazione,e soprattutto ai malati e portatori dihandicap. La ricerca biomedica non èsolo un affare per l’industria farma-ceutica bensì un compito pubblico chelo Stato finanzia direttamente e in-direttamente a beneficio di tutti, esoprattutto delle persone malate.Andiamo dunque tranquillamente avotare sì nei confronti di questo testo:pur non essendo perfetto (penso diaver mostrato un po’ dove sta il suotallone di Achille) è comunque piena-mente accettabile sul piano delle esi-genze etiche.

Alberto Bondolfi

In questo numeroI corsivi di «Dialoghi»� «IL PROBLEMA È ROMA?» (E. M.) 1

� L’ARTICOLO SULLA RICERCAMERITA IL NOSTRO «SÌ»(Alberto Bondolfi) 24

Articoli� DALLA CRITICA AL CAPITALISMOALL’UTOPIA RELIGIOSAIl versante economico dell’ultimaenciclica sociale (Carlo Silini) 3, 4

� FONDARE UNA CASA PERL’UMANITÀ. La cura dell’ambientenell’enciclica «Caritas in veritate» 5-7

� SPIGOLI E SPIGOLATUREUna rondine non fa primavera (A. L.) 7

� PERCHÉ PAPA WOJTYLA NONDOVREBBE ESSSERE «BEATO»(Giovanni Franzoni) 9-12

� MONSIGNOR ROMERO, COMERICORDARE? (Marina Sartorio) 15

� PRETI PEDOFILI: «TOLLERANZAZERO» NECESSARIA, MA NONBASTERÀ (Aldo Lafranchi) 17-20

� PIÙ GIUSTIZIA NEL COMMERCIO:dirittoalcibo.ch(Federica Mauri Luzzi) 23

� I CONTI DI «DIALOGHI» 2

� NOTIZIARIO (IN)SOSTENIBILE 8

� CRONACAINTERNAZIONALE 13, 14

� OSSERVATORIO ECUMENICO 16

� CRONACA SVIZZERA 20-22

dialoghi di riflessione cristiana

Comitato: Alberto Bondolfi, ErnestoBorghi, don Emilio Conrad, AldoLafranchi, Alberto Lepori, Daria Lepori,Enrico Morresi, Margherita NosedaSnider, Marina Sartorio, Carlo Silini.

Redattore responsabile: Enrico Morresi,via Madonna della Salute 6, CH-6900Massagno, telefono +41 91 - 966 00 73,e-mail: [email protected]

Amministratore: Pietro Lepori,6760 Faido Tengia, tel. 091 866 03 16,email: [email protected].

Stampa: Tipografia-Offset Stazione SA,Locarno.

I collaboratori occasionali o regolarinon si ritengono necessariamenteconsenzienti con la linea della rivista.

L’abbonamento ordinario annuale(cinque numeri) costa fr. 60.–,sostenitori da fr. 100.–Un numero separato costa fr. 12.–Conto corr. post. 65-7206-4, Bellinzona.

La corrispondenza riguardante gliabbonamenti, i versamenti, le richiestedi numeri singoli o di saggio e icambiamenti di indirizzo va mandataall’amministratore.

L’articolo sulla ricerca meritail nostro «sì»