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Valeria Termini Piccola ASTRE Economia 31 gennaio al 4 febbraio 2011 Valeria Termini Crescita economica e cambiamento climatico Terza lezione – 02 febbraio 2011

Economia 31 gennaio al 4 febbraio 2011 Valeria Terminihost.uniroma3.it/docenti/termini/astre/termini1.pdf · L’emissione di gas a effetto serra è un tipico caso di esternalità

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Economia31 gennaio al 4 febbraio 2011

Valeria Termini

Crescita economica e cambiamento climatico

Terza lezione – 02 febbraio 2011

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Crescita economica e cambiamento climatico

1. Crescita economica e cambiamento climatico

2. L’ambiente come “bene pubblico” strumenti di intervento proposti dalla teoria economica.

3. I trattati internazionali sul cambiamento del clima: criticità, risultati e prospettive

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Il cambiamento climatico: basi scientifiche

I mutamenti climatici sono variazioni del clima globale della terra, lentamente, nel tempo.

Esiste un “effetto serra” naturale senza il quale la terra sarebbe più fredda di circa 34°

Dalla rivoluzione industriale le attività umane hanno aumentato la concentrazione di gas serra di circa il 30% ad es. le emissioni di CO2 sono aumentate da 280 ppm di ½ 800 - livelli pre-industriali- a 368 ppm nel 2000. (Stern 2009).

Ora si discute di target pari a 450 /550 ppm al 2020 (IEA 09).

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Cambiamento climatico: indicatori dell’influenza umana sull’atmosfera nell’era industriale

Fonte: IPCC Third Assessment Report

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Il cambiamento climatico: variazione della temperatura terrestre

Fonte: IPCC Third Assessment Report 2001

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Emissioni di CO2: da uso industriale…

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…emissioni di CO2: da uso agricolo

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Il cambiamento climatico: impatto diretto e non

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GLI INDICATORIGli indicatori non sono “neutrali”

Ad esempio, se si sceglie come indicatore l’intensità di emissioni di CO2 nella produzione del settore industriale, i paesi asiatici mostrano certamente valori di inquinamento più alti dei paesi industrializzati: l’intensità industriale di emissioni in Cina è di 4.4 metric tonnes (mt) per 1000 $ di produzione industriale ($ PPP 2005), a fronte di 2.6 mt dell’India, di 2.1 mt dell’Italia, 2.6 mt degli USA e 1.4 mt della Gran Bretagna (Yale 2009).

Se invece si sceglie come indicatore il valore delle emissioni pro capite, il rapporto delle responsabilità si inverte. Si evidenzia il basso consumo di energia pro capite dei paesi emergenti rispetto ad altri paesi più ricchi e sviluppati come gli Usa o l’Australia: nel 2008, ogni cittadino americano ha emesso infatti, in media, 24,9 mt CO2 equivalenti; ogni cittadino dell’UE 10,7; mentre ogni cinese ha emesso solo 5,5 mt CO2 equivalente e ogni indiano 2.2.

(Apertacontrada 2009)

Le fonti

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The full report and data can be found online at:

http://epi.yale.edu

© Yale Center for Environmental Law & Policy

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Quanto influisce la crescita del GDP sul cambiamento climatico ?

Quali fattori esercitano maggiore influenza ?

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Relative global development of GDP measured in PPP (GDPppp), Total Primary Energy Supply (TPES), CO2 emissions (from fossil fuel burning, gas flaring and cement manufacturing) and Population (Pop).

Source: IPCC, 2007.

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A livello globale il settore energetico è il maggior responsabile delle emissioni di gas serra

MA

In molti PVS a basse emissioni di energia i maggiori responsabili dell’aumento dei gas serra sono la deforestazione e l’uso agricolo (l’Indonesia risulta essere il 3° paese inquinatore dopo Cina e USA)

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Il tasso di crescita sostenibile delle emissioni di GHG

G* = P* + y* + e* + f* + g*

G = GHGsy = Y/P reddito pro capite: Y/ popolazione (P)e = E/Y intensità energetica (E cons x unità di Y)f = F/ E quota di comb fossili x E consumatag = G/F intensità di GHG emessi x unità di

combustibili fossili consumata

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Sostenibilità della crescita

perché il tasso di crescita del reddito procapite sia sostenibile:

y* </= (e* + f* + g*)

ovvero perché G*</0e = E/Y intensità energetica f = F/ E quota di combustibili fossilig = G/F intensità di emissioni

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IEA scenario: un trend non sostenibile

World G* Y* P* y* E* e* F* g* f*1971-1980 2,8 4,1 1,9 2,2 3,0 -1,1 2,5 0,3 -0,5

1981-1990 1,6 3,2 1,9 1,3 2,1 -1,1 1,7 -0,1 -0,4

1991-2000 1,4 3,4 1,6 1,8 1,6 -1,8 1,2 0,2 -0,4

1971-2000 1,8 3,3 1,7 1,6 2,1 -1,2 1,8 0 -0,32003-2030 2,1 3,8 1,0 2,8 2,0 -1,8 2,1 0 0,1

Source: elaboration on IEA (2006) and British Petroleum (2006) data.Legend: G= CO2 emissions, Y= income, P= population, y= per capita income,E= primary energy demand, e= E/Y= energy intensity, F= total consumption of fossilfuels, g= G/F= CO2 intensity per unit of fossil fuel, f= F/E= share of fossil fuels on energyconsumption. The star above each variable indicates the growth rate of the variable.

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Il cambiamento climatico: i costiCosti stimati per l’aumento della temperatura di 2,5° e 6° in termini di percentuale del PIL

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Il cambiamento climatico: i costiPOCO COLPITI

USA: poiché economia poco dipendente dai mutamenti climatici, sistema sanitario avanzato, bassa vulnerabilità alle catastrofiRUSSIA e CANADA: beneficiano dell’incremento della temperatura soprattutto a livello agricolo

GRAVEMENTE COLPITIINDIA: estremamente vulnerabile ai Monsoni e alla dipendenza agricola, forte impatto sulla saluteAFRICA: aumento del fenomeno della desertificazione, forte impatto sulla saluteEUROPA: vulnerabile a causa del forte impatto sulla corrente del Golfo e dei mutamenti climatici derivanti per l’agricoltura e le coste

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Il cambiamento climatico: i costiIl rapporto Stern (2006, 2009) sugli effetti economici del riscaldamento globale ribadisce che:

I benefici di un’azione immediata e preventiva sugli effetti del cambiamento climatico superano i costi

Il cambiamento climatico mette a repentaglio le forme base di vita della popolazione mondiale: accesso all’acqua, la produzione di cibo effetti sulla salute

Nonostante alcuni effetti iniziali positivi su alcuni paesi a lungo andare l’impatto a livello globale è negativo per tutti e soprattutto per i paesi più poveri

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Come intervenire ?

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Cambiamento climatico: bene pubblico e free-riding

Ambiente come bene pubblico: l’ambiente non appartiene a nessuno e pertanto nessuno può farne pagare il suo utilizzo in modo da contenere le emissioni inquinanti.L’emissione di gas a effetto serra è un tipico caso di esternalità negativa, dal momento che è un sottoprodotto della maggior parte delle attività economiche e della vita quotidiana delle popolazioni del pianeta; chi e quanto dovrebbe pagare?Il mercato non potrà garantire la gestione del cambiamento climatico poichè gli Stati si comporteranno come dei free rider. Nessuno sceglierà volontariamente di pagare per un bene (l’ambiente) che si può ottenere gratuitamente e tutti cercheranno di scaricare sugli altri i costi del taglio alle emissioni (caso di fallimento del mercato)

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Strumenti economici per affrontare l’inquinamento ed i cambiamenti climatici

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Strumenti: tassazioneL’intervento pubblico può risolvere il problema delle esternalità anche in via indiretta, attraverso la tassazione delle attività che generano esternalità negative (A. C. Pigou, Welfare economics, 1910- Stiglitz 2008) (Sarkozy 2009)La tassazione indiretta delle attività che generano esternalità negative provoca un aumento dei costi marginali (e medi) di produzione delle imprese con conseguente avvicinamento all’equilibrio Il livello efficiente di tassazione è quello che genera la compensazione (l’annullamento) del costo socialeMA nel caso dei danni ambientali (buco nell’ozono, deforestazione, cambiamento climatico)è stato, in particolare, osservato che:

a – il livello del danno non è facilmente monetizzabile;b – il danno, anche se correttamente quantificato, potrebbe

non essere rimovibile.

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Strumenti: la regolamentazioneÈ la soluzione più antica ed è, in linea di principio, la soluzione più semplice.Consiste nella indicazione, in via normativa, dello standard massimo di esternalità negativa generabile (ovvero dello standard minimo di esternalità positiva da generare).I presupposti di una regolamentazione efficiente sono:

- la completezza delle informazioni;- la osservabilità (delle conseguenze) dei

comportamenti;- la congruità delle sanzioni.

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Strumenti: incentivi

L’incentivazione finanziaria può essere utilizzata per prevenire l’esternalità negativa ad esempio attraverso:

l’erogazione di sussidi pubblici all’introduzione di forme di risparmio energetico; contributi per la installazione di filtri agli scarichi, ecc).(V.OECD 2009 Crisi/incentivi viziosi e virtuosi “green economy”)

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Strumenti: diritti negoziabiliÈ la soluzione che Ronald Coase (Nobel 1991) ha proposto nel

1960 per “completare” i mercati evitando il manifestarsi di esternalità non previste.Nel caso dell’inquinamento le soluzioni possibili sono due:

1. Si può immaginare che il diritto di generare “inquinamento” sia assegnato alle “fabbriche” e che i danneggiati (per esempio gli agricoltori del contado) possano pagare gli industriali affinché essi non inquinino. In questo caso i danneggiati avrebbero interesse a pagare fino ad A per indurre gli industriali a produrre soltanto QS.

2. Si può immaginare che il diritto di generare “inquinamento” sia assegnato agli agricoltori del contado e che fabbriche, per poter produrre debbano comprare il permesso ad inquinare dai potenziali danneggiati. In questo caso gli industriali avrebbero interesse a pagare fino ad A per ottenere il permesso di produrre QS. (V Accordo a Lisbona 2007 + “get paid for polluting”: l’esito è connesso alla struttura del mercato)

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Accordi e Trattati internazionali

Il percorso verso un accordo globale sul cambiamento climatico1992: United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCC)1997- 2005: Protocollo di KyotoDicembre 2007: Conferenza di BaliDicembre 2009: Conferenza di Copenhagen

Oltre Kyoto ?

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Cimate Change: le attività negoziali in campo internazionale

Heiligendamm MEM

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UNFCC – Conferenza di Rio

Negoziato a cui presero parte 154 nazioniEntrata in vigore, senza alcun vincolo per i singoli Paesi, il 21 marzo 1994, la Convezione Quadro prevedeva una serie di adeguamenti o protocolli che, nel tempo, avrebbero introdotto limiti obbligatori alle emissioni di CO2. Obiettivo del trattato: il raggiungimento, entro il 2000, della stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera rispetto ai livelli del 1990. I Paesi più industrializzati si attribuirono gran parte delle responsabilità dei cambiamenti climatici.

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Protocollo di Kyoto 1997- 2005

Adottato a Kyoto nel 1997 ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005 a seguito della ratifica della RussiaIl trattato, che rappresenta il primo strumento di attuazione della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, prevede il vincolo per i Paesi industrializzati di ridurre le emissioni dei gas serra del 5,2% nel periodo 2008 –2012 rispetto alle emissioni del 1990.

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Protocollo di Kyoto: Meccanismi flessibili (I)

Il Protocollo prevede tre meccanismi innovativi - l’Emissions Trading, il Clean Development Mechanism e la Joint Implementation - disegnati per aiutare i industrializzati (Paesi Annesso I) a ridurre i costi associati al conseguimento dei loro impegni di riduzione attraverso interventi realizzati in Paesi dove i costi di abbattimento o assorbimento sono più bassi.

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Protocollo di Kyoto: Meccanismi Flessibili (II)

L’Emission Trading (ET) prevede la possibilità per i paesi dell’Annesso I di acquistare unità di riduzione da altri paesi Annesso I ed utilizzarli per rispettare il loro target di emissione. La Joint Implementation (JI) prevede la possibilità per i paesi Annesso I di realizzare progetti di riduzione delle emissioni o aumento degli assorbimenti in un altro Paese Annesso I (tipicamente paesi dell’est europeo e Russia), e conteggiare le unità di riduzione conseguenti per il raggiungimento del proprio obiettivo quantificato. Il Clean Development Mechanism (CDM) prevede la possibilità per i Paesi Annesso I di sviluppare progetti di riduzione delle emissioni in Paesi non Annesso I ( Paesi emergenti e in via di sviluppo) e utilizzare le conseguenti riduzioni certificate per rispettare i loro obiettivi di riduzione. Secondo quanto previsto dall’art. 12 del Protocollo di Kyoto tale meccanismo mira anche ad aiutare i paesi non Annesso 1 a raggiungere uno sviluppo sostenibile e contribuire all’obiettivo ultimo della Convenzione.

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Conferenza di Bali -dicembre 2007

Accordo per un’azione congiunta di lungo periodo: cosa fare dopo il 2012 (Dopo Kyoto)UE unita nell’esprimere una posizione comune, contrapposta a quella degli USA di BushLa “Road Map” di Bali ha:

due obiettivi di cooperazione e quattro pilastri per le azioni da attuare.

I due obiettivi sono: la cooperazione su obiettivi a breve termine (dove per breve termine si intende una scadenza compresa fra il 2020 e il 2030) e la cooperazione a lungo termine sull’obiettivo ultimo della Convenzione UNFCCC (dove per lungo termine si intende la scadenza al 2050 e prima del 2080).

I quattro pilastri delle azioni sono, invece, suddivisi in: due pilastri per le strategie (mitigazione ed adattamento) e due pilastri per gli strumenti di attuazione (strumenti finanziari e strumenti tecnologici).

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Road Map di Bali: i 4 pilastriMITIGAZIONE:

tutti i Paesi, inclusi gli Stati Uniti e i nuovi Paesi industrializzati come India, Cina e Brasile, dovranno contribuire agli sforzi di riduzione;i Paesi industrializzati dovranno attuare misure di riduzione comparabili, in particolare obiettivi di riduzione quantitativi analoghi a quelli attualmente previsti dal Protocollo di Kyoto;anche i nuovi Paesi industrializzati e i Paesi in via di sviluppo dovranno adottare misure volte a ridurre le emissioni a livello nazionale; dovranno essere adottate misure volte a ridurre le emissioni generate dal disboscamento e dalla distruzione delle foreste;

ADATTAMENTO:la cooperazione internazionale allo sviluppo dovrà sostenere i Paesi in via di sviluppo, in particolare i Paesi meno sviluppati e le isole più minacciate;dovranno inoltre essere attuate anche strategie di riduzione dei rischi e di protezione contro le catastrofi;dovrà essere promossa la diversificazione economica, dato che aumenterà la capacità dei Paesi di affrontare le ripercussioni dei cambiamenti climatici.

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Road Map di Bali: i 4 pilastriSVILUPPO E TRASFERIMENTO TECNOLOGICO:dovranno essere rimossi gli ostacoli tecnici, economici o politici all'accesso a tecnologie idonee da parte di Paesi in via di sviluppo;dovrà essere intensificata la collaborazione nell'ambito della ricerca e dello sviluppo

FINANZIAMENTO:dovrà essere garantito l'accesso sia ai mezzi finanziari necessari che al sostegno tecnico e finanziario;dovranno essere creati incentivi per stimolare la riduzione delle emissioni da parte dei Paesi in via di sviluppo; dovranno essere mobilitati il settore pubblico e l'economia privata

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Copenhagen dicembre 2009 …

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La crisi e il cambiamento climatico

Fonte: IPCC Third Assessment Report 2001