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1 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI Corso di Laurea in Economia e gestione aziendale A.A. 2014-2015 Economia e gestione delle imprese Dispensa ad uso degli studenti PARTE VI Cagliari, Maggio 2015

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI Corso di Laurea in Economia e gestione aziendale

A.A. 2014-2015

Economia e gestione delle imprese Dispensa ad uso degli studenti

PARTE VI

Cagliari, Maggio 2015

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INDICE

PARTE VI – La gestione per l’impresa di successo VI.1. Il marketing

1.1. Cenni introduttivi “ 3 1.2. Complessità di significato del vocabolo “marketing” “ 3 1.3. Campi di applicazione “ 4 1.4. Marketing come funzione di “confine” “ 5 1.5. Evoluzione del ruolo del marketing “ 6

1.5.1. Marketing passivo e l’orientamento alla produzione “ 7 1.5.2. Marketing orientato alla vendita “ 8 1.5.3. Marketing orientato al cliente “ 8 1.5.4. Market-driven management e orientamento al cliente “ 9 1.5.5. Open marketing e orientamento alla società “ 10

1.6. Contenuti del processo di marketing “ 11 1.6.1. Processo di marketing strategico “ 12 1.6.2. Connotati del marketing operativo “ 17

1.7. Verso una nuova fase evolutiva: il marketing esperienziale “ 22 VI.2. L’approvvigionamento

2.1. Natura e importanza “ 24 2.2. Forme di approvvigionamento “ 25 2.3. Oggetto della funzione “ 27 2.4. Politiche di approvvigionamento generali “ 29 2.5. Scelta della migliore forma di approvvigionamento “ 29 2.6. Politiche relative ai fornitori “ 31 2.7. Politiche per la quantità da acquistare “ 34 2.8. Criteri di scelta dei canali di approvvigionamento “ 34

VI.3. La produzione 3.1. Funzione di produzione nell’impresa: il sistema operativo “ 37 3.2. Tipologia dei sistemi produttivi “ 39 3.3. Progettazione dell’impianto “ 41 3.4. Programmazione e controllo delle operazioni di produzione “ 45 3.5. Controllo di efficienza della produzione e total quality control “ 46

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PARTE VI – La gestione per l’impresa di successo

VI.1. Il marketing 1.1. Cenni introduttivi

Che cosa è il marketing? Qual è il suo ruolo all’interno dell’impresa? E’ cambiato nel tempo il ruolo del marketing nell’impresa? Quali sono i principali processi che caratterizzano il marketing?

A queste domande si cerca di dare una risposta nei punti seguenti precisando tuttavia che il marketing costituisce un campo di approfondimento specifico che merita ben altra attenzio-ne di quella che si può riservare in un corso di Economia e gestione delle imprese. La princi-pale implicazione della considerazione appena svolta è che in questo testo si sofferma l’attenzione solo su alcuni aspetti ritenuti “di primo approccio al marketing” e, più esattamen-te, sui seguenti: - il significato del vocabolo marketing; - i campi di applicazione del marketing; - la funzione di cerniera svolta dal marketing per instaurare proficue relazioni tra l’impresa e

i contesti di riferimento; - l’evoluzione del ruolo del marketing; - i contenuti del processo di marketing; - verso una nuova fase evolutiva del marketing. 1.2. Complessità del significato del vocabolo marketing

In inglese le parole che finiscono con la desinenza “ing” indicano un’azione, tanto che il tempo del verbo che le caratterizza si denomina “presente progressivo”. Marketing, pertanto, è una parola che implica azione, qualcosa in divenire. Ecco perché una traduzione precisa del-la parola “marketing” risulta alquanto problematica, tanto che le definizioni che negli anni so-no state proposte dai diversi autori sono assai numerose (Fiocca, Sebastiani, 2010, p. 2). In ogni caso, il senso generale del termine è quello relativo alle modalità attraverso le quali un’impresa cerca di legittimare la propria esistenza presso i potenziali clienti, facendosi prefe-rire nella loro scelta d’acquisto per farli diventare propri clienti. “Fare marketing”, pertanto, significa realizzate un sistema di attività che si deve tradurre in analisi, decisioni e azioni la cui efficacia è misurata direttamente dalle vendite che l’impresa riesce a realizzare nel tempo con la propria offerta per dare risposte risolutive ai numerosi, crescenti e mutevoli bisogni espressi dai soggetti umani e dalle organizzazioni di qualsiasi tipo.

Tradizionalmente il termine marketing è utilizzato rispettivamente per: • denominare una specifica funzione aziendale; • individuare una disciplina di studio; • identificare una “filosofia gestionale” caratterizzata cioè da valori, modelli decisionali e

comportamenti cui l’impresa e, specificamente, il suo management dovrebbero ispirarsi per lo svolgimento delle attività direzionali e gestionali della stessa.

Il problema di capire il significato del termine marketing, pertanto, non è tanto di tipo sintattico quanto di tipo semantico: la comprensione profonda del concetto di marketing con-siste nel fare propria una modalità con la quale l’impresa decide di interagire col mercato, rappresentato dalla pluralità di potenziali clienti e con le azioni poste in essere per ottenere questo risultato. Ecco perché “nelle imprese che ambiscono a detenere posizioni competitive eccellenti, l’orientamento al mercato ed al cliente assurge da elemento strumentale ad indiriz-zo metodologico, tendendo a pervadere ogni funzione aziendale e comportando l’elezione del marketing ad un ruolo di coordinamento e di integrazione interfunzionale” (Barile, Pastore in Golinelli, 2002, p. 188). La scelta delle modalità relazionali più appropriate per rapportarsi

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con il mercato non è né facile, né scontata: al contrario essa presuppone la considerazione congiunta di molteplici elementi, vari, variabili e indeterminati tali che l’esito delle decisioni assunte e delle conseguenti azioni non è prevedibile a priori.

A dimostrazione della difficoltà e della complessità del processo di marketing si consideri che non sempre le azioni di marketing poste in essere dalle imprese soddisfano pienamente i clienti e i consumatori e, conseguentemente, non sempre si traducono per l’impresa nella con-quista del potenziale cliente in cliente effettivo. Secondo un’indagine ACNielsen e Er-nest&Young, per esempio, negli USA si è riscontrata una difficoltà importante nel lancio di prodotti innovativi tanto che il tasso di fallimento di nuovi beni di consumo è stato del 95%. La consapevolezza della difficoltà di predisporre azioni di marketing efficaci non sembra es-sere diffusa: un’altra indagine condotta da Bain & Company ha mostrato che mentre l’80% degli amministratori delegati delle imprese americane sia convinta che la propria marca sia capace di creare una “customer experience”1 migliore delle altre, la verifica fatta con i clienti ha confermato questa ipotesi solo per una percentuale pari all’8% (Boaretto A., Noci G., Pini F.M., 2009). 1.3. Campi di applicazione

Il marketing è nato nell’impresa per favorirne l’accesso al mercato ma oggi, come è stato opportunamente evidenziato, è dappertutto (Kotler e Keller, 2009). Formalmente o informal-mente, le persone e le organizzazioni sono impegnate in un vasto numero di attività nell’ambito delle quali il marketing svolge un ruolo spesso determinante ai fini del successo di quelle attività.

Il campo di applicazione del marketing è molto ampio, dal momento che esso trova appli-cazione sia nell’ambito dei rapporti tra imprese e clienti (business to consumer o B2C) che comprende il marketing dei beni e dei servizi di consumo, ma pure nell’ambito dei rapporti tra imprese o, più in generale, tra organizzazioni, definito marketing industriale (business to bu-siness o B2B) sia, ancora, nell’ambito più generale delle relazioni che coinvolgono le orga-nizzazioni senza fini di lucro come i musei, le università, i partiti politici, le associazioni di volontariato, le stesse organizzazioni religiose, ecc. (si parla in questo caso di marketing so-ciale) (Lambin, 2008).

È anche facile osservare come alcuni degli strumenti propri del marketing siano utili an-che a livello individuale dal momento che le persone, di norma, cercano di creare valore per se stessi e per i propri interlocutori, ricercando la legittimazione e la preferenza da parte di al-tri per ottenere un lavoro, per gestire un’amicizia, ecc. e questo lo fanno sviluppando le pro-prie capacità distintive, migliorando la propria capacità di comunicare se stessi, i propri obiet-tivi così da rendersi “utili” agli altri e creando, nel contempo, utilità per se stessi. Il marketing pertanto tende a configurarsi come qualcosa che pervade la società intera e che si avvale di concetti, tecniche, procedure e strumenti volti a migliorare i rapporti sociali tra individui e or-ganizzazioni.

Forse potrebbero essere sufficienti queste brevi considerazioni per evidenziare come il campo di applicazione del marketing, più in generale, riguardi il rapporto tra persone, singole o associate, che cercano il modo più adatto per legittimarsi nel contesto sociale di riferimento del quale il mercato non è che una delle manifestazioni attraverso cui queste relazioni si mani-festano. Secondo Winer “il marketing è utile e necessario ogni qualvolta un individuo o

                                                                                                                         1  Con  l’espressione  “customer  experience”  ci  si  riferisce  all’esperienza  che  il  consumatore  vive  quando  entra  in  relazione  con  una  qualsiasi  organizzazione  e,  nel  caso  specifico  con  le  imprese.    In  particolare  da  tale  esperienza  il  cliente/consumatore  trae  delle  percezioni  che  attengono  ai  vari  aspetti  della  relazione  che  (con  il  personale  che   lavora  nell’organizzazione,   con   il   contesto  della   struttura,   con  gli   eventuali   altri   clienti/consumatori)  non  riguarda  solo  l’oggetto  della  relazione  (per  esempio  il  prodotto  cui  eventualmente  si  è  interessati).  

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un’organizzazione si trovino dinanzi ad una scelta”. Non a caso, per esempio, Giampaolo Fa-bris nell’ultimo lavoro intitolato “Societing”, pone in evidenza come il marketing “se resta una disciplina aziendalistica non può che prendere consapevolezza, ed adeguarsi di conse-guenza, dei crescenti risvolti sociali del suo operato. Perché di fatto dei prodotti/servizi che deve promuovere la dimensione segnica, di attribuzione di senso, di significato e significante è sempre più importante”. Secondo tale interpretazione “i consumatori non esistono” mentre esistono le persone con le quali le imprese devono dialogare. L’impresa, infatti “non può più disinteressarsi delle conseguenze sociali dei prodotti che mette in circolo, delle nuove respon-sabilità sociali ed etiche della marca/impresa”. I mercati si trasformano in questo modo in uno spazio di relazioni tra pari (Fabris G.P., 2009)

In un corso di economia e gestione delle imprese, tuttavia, l’interesse per il marketing ri-

guarda in principal modo i rapporti tra imprese e tra queste e i clienti. In tale accezione il marketing, secondo l’American Marketing Association (AMA) has been defined as an organ-izational function and a set of process for creating, communicating, and delivering value to customers and for managing customer relationship in ways that benefit the organization and its stakeholders (AMA, 2004). Secondo Pride e Ferrel il marketing è “il processo svolto per creare, distribuire, promuovere e prezzare beni, servizi e idee al fine di facilitare relazioni di scambio soddisfacenti con i clienti in un ambiente dinamico (Pride e Ferrel, 2004, ed. it: 2005). Un’altra definizione evidenzia che il marketing “è l’insieme delle conoscenze, delle competenze, delle attività e degli strumenti utilizzati dall’impresa, finalizzato alla compren-sione, alle gestione e al controllo delle relazioni con il mercato” (Fiocca, Sebastiani, 2010, p. 2). Da ciò si evince che il marketing concorre in modo distintivo al governo dell’impresa ma non è il governo dell’impresa (Burresi A., Aiello G., Guercini S., 2006). Tale contributo si estrinseca proprio “nell’orientare le scelte strategiche (e le conseguenti politiche operative) alla soddisfazione del cliente ed all’ottenimento di posizioni di vantaggio competitivo soste-nibili nel tempo rispetto alla concorrenza” (Burresi A., Aiello G., Guercini S., 2006, p. XIII). 1.4. Marketing come funzione di “confine”

La funzione di marketing è stata definita come quella che “orienta e regola i rapporti di scambio con i mercati di sbocco, al fine di contribuire al conseguimento degli obiettivi di svi-luppo e redditività dell’impresa a medio termine” (Di Bernardo, Gandolfi, Tunisini, 2009).

Si tratta pertanto di una vera e propria funzione di confine, per il tramite della quale l’impresa non solo si distingue da altre imprese ma in base a tale identità cerca di costruire proficue relazioni con il contesto nel quale è inserita e, in particolare, con gli stakeholder rile-vanti (clienti, fornitori, sistema creditizio e finanziario, ecc.). L’esercizio di tale funzione si sostanzia nell’individuazione di unità organizzative alle quali viene attribuito il compito di gestire determinati rapporti con le diverse componenti ambientali con le quali l’impresa ha in-teresse o è “costretta” ad interagire.

Approfondimento La rilevanza della dimensione segnica si manifesta col fatto che il possesso di un bene o il consumo di un servizio è legato al significato che si attribuisce al marchio con il quale tale prodotto o servizio viene commercializzato. È per questa ragione che marchi come Dolce & Gabbana, piuttosto che Armani Jeans, Ferrari, Costa corciere, ecc. han-no la funzione di consentire a chi ne fruisce di identificarsi in qualche modo con il mondo di significati che ciascuno di questi marchi vuole esprimere. Ecco perché il brand (il marchio) rappresenta uno dei fattori distintivi più importanti sia dal lato del produttore che da quello del consumatore.

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Per il tramite del marketing l’impresa concepisce, attiva, orienta e coordina l’interscambio di beni, servizi e informazioni tra l’impresa e i suoi mercati di riferimento.

La funzione di confine, esercitata dai soggetti che a vario titolo ricoprono un ruolo nell’impresa, si sostanzia sia nella selezione di ciò che è funzionale alla stessa per la predispo-sizione della propria offerta da mettere a disposizione del proprio mercato di riferimento (energia, materie e materiali, persone, denaro, informazioni), sia nell’attivazione di relazioni con i diversi attori presenti nel mercato volte a legittimare la presenza dell’impresa nello stes-so (si pensi in quest’ultimo caso che qualunque dipendente di un’impresa in contatto effettivo o potenziale con il pubblico svolge attività di marketing e questo indipendentemente dal fatto che ciò rientri o meno nelle sue competenze) (Winer, 2002).

L’esercizio della funzione di “selezione” opera sia in ingresso che in uscita: nel primo ca-so, per esempio, la rete di vendita che è a contatto diretto con il cliente finale acquisisce una moltitudine di informazioni, alcune utili e altre meno rispetto all’attività degli organismi di vertice dell’impresa; questo implica che essi non debbano semplicemente svolgere un lavoro routinario ma, al contrario essere capaci di operare con “intelligenza” in modo da scegliere tra le informazioni da trasferire affinché si eviti un sovraccarico di lavoro al management azien-dale. D’altro canto la selezione opera anche in uscita dal momento che il management decide, stabilendo delle regole, le informazioni che ogni unità organizzativa può rilasciare all’esterno, così da assicurare una unitarietà di comportamento che se non ci fosse danneggerebbe la per-cezione dell’impresa presso il pubblico di riferimento.

Complementare all’attività di selezione è quella di collegamento per il tramite della quale l’impresa attiva e favorisce flussi informativi e di risorse verso l’esterno così da sviluppare e orientare l’integrazione dell’impresa nel contesto ambientale. Rientrano in tale ambito le atti-vità di ricerca di mercato attraverso le quali l’impresa cerca di conoscere i bisogni, i desideri e le aspettative del mercato ma anche le azioni di marketing con le quali l’impresa cerca di atti-vare proficue relazioni con i segmenti obiettivo di cui intende acquisire la preferenza.

1.5. Evoluzione del ruolo del marketing

Il marketing non ha una precisa data di nascita, tuttavia le sue origini possono farsi risali-re all’inizio del secolo scorso nel passaggio tra il XIX e il XX secolo allorché la rivoluzione industriale della fine dell’800 e l’inizio del ‘900 hanno posto le imprese di fronte alla necessi-tà di cercare nuovi sbocchi alle proprie produzioni. Più precisamente, sia sul piano applicativo che teorico c’è sufficiente convergenza nel ritenere che le prime forme codificate di marketing siano apparse agli inizi del Novecento soprattutto negli USA, mentre trovarono un più puntua-le compimento nel periodo 1920 – 1940, a cavallo tra le due guerre mondiali (Cozzi G., Ferre-ro G., 2004; Fiocca, Sebastiani, 2010)

A prescindere dalla data precisa cui far risalire le origini del marketing certo è che nel tempo esso è stato oggetto di profonde trasformazioni determinate da varie circostanze quali, ad esempio, lo sviluppo scientifico e tecnologico che ha consentito nuove e più diversificate modalità di interazione tra imprese e clienti, la progressiva apertura dei mercati derivanti da accordi economici, monetari e politici in campo mondiale, dai cambiamenti sociali che hanno modificato valori, atteggiamenti e comportamenti di persone e organizzazioni. Si tratta di una trasformazione ben lungi dal potersi considerare conclusa, proprio perché va di pari passo con l’evoluzione del mondo e della società.

A posteriori e solo col senno di poi è possibile tracciare un percorso per fasi che metta in evidenza i tratti più significativi delle diverse caratteristiche assunte dal marketing dalle sue origini fino ad oggi. La conoscenza di tali fasi, tuttavia, non è semplicemente di tipo storico ma al contrario essa consente di evidenziare le diverse modalità/atteggiamenti con le quali le imprese possono interagire col mercato posto che certi atteggiamenti, comportamenti e azioni

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che pure storicamente è possibile collocare in un certo periodo possono presentarsi nei com-portamenti di imprese esistenti oggi. Da qui la necessità didattica di evidenziarle per far capire come taluni di questi approcci al mercato possano risultare inefficaci dal punti di vista dell’ottenimento della preferenza da parte dei clienti potenziali cui l’impresa vorrebbe rivol-gere la propria attenzione e la propria proposta di vendita.

Tale evoluzione, secondo Lambin, può essere misurata sulla base dell’intensità della con-correnza e del grado di maturità del mercato e può essere schematicamente riassunta (Riqua-dro VI.1.) nelle seguenti fasi: • Il marketing passivo e l’orientamento alla produzione (o al prodotto) • Il marketing operativo e l’orientamento alle vendite • Il marketing strategico e l’orientamento al cliente • Il market driven management e l’orientamento al mercato • L’open marketing e l’orientamento alla società

L’evoluzione del concetto di marketing

Fonte: Elaborazione su schema tratto da Lambin e da Burresi, Aiello e Guercini

1.5.1. Marketing passivo e orientamento alla produzione (o al prodotto) Storicamente questo periodo è riconducibile ad un momento in cui la domanda era di

gran lunga superiore all’offerta e il problema fondamentale delle imprese era quello di risol-vere i problemi tecnici generati dalla necessità di riuscire ad aumentare le capacità produttive degli impianti per far fronte alle richieste del mercato. In tale situazione l’unico problema ri-guardante le relazioni con il mercato aveva per oggetto la gestione dei processi logistici volti a favorire il capillare raggiungimento dei mercati di sbocco delle produzioni realizzate.

Non è un caso che le competenze principali richieste dalle imprese in tale periodo fossero di tipo tecnico ingegneristico e che gli obiettivi principali fossero quelli della ricerca dell’efficienza produttiva, del contenimento dei costi, delle innovazioni di processo quale ri-sultante della capacità creativa di esperti tecnici impegnati nella produzione di beni di largo e generale consumo a prezzi decrescenti. In questo periodo i principali contributi in tema di management sono proprio quelli di Frederick Taylor (negli USA) e di Henry Fayol (in Euro-pa) che affrontarono il problema della gestione manageriale dei problemi delle imprese indu-striali.

In tale tipo di impresa non esiste neppure il problema di avere una organizzazione azien-dale nella quale fosse prevista la gestione di problemi legati alle relazioni con il mercato: sot-to la direzione generale infatti di norma venivano costituite la direzione della Produzione,

Riquadro VI.1.

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quella dell’Amministrazione e quella del Personale. Il servizio commerciale era posizionato all’interno della funzione amministrativa e finanziaria ed era dedicato principalmente a so-vrintendere l’amministrazione delle vendite e delle attività distributive.

In questa situazione le imprese non hanno stimoli né sul versante dell’innovazione né su quello della differenziazione dell’offerta dal momento che i prodotti realizzati si propongono di soddisfare solo bisogni di base.

Alcuni autori (Burresi, Aiello, Guercini, 2006) evidenziano una ulteriore fase di sviluppo del ruolo del marketing denominata orientamento al prodotto differenziandola da quella orien-tata alla produzione perché dinamicamente la progressiva soluzione dei problemi legati al mi-glioramento dei processi di produzione fa si che la crescita delle quantità prodotte consenta all’offerta di avvicinarsi in termini quantitativi al livello della domanda e ponendo pertanto a ciascuna impresa il problema di affermazione della propria offerta su quella delle imprese concorrenti.

1.5.2. Marketing orientato alla vendita

Il miglioramento delle capacità produttive delle imprese, da un lato, e l’aumento del red-dito disponibile delle famiglie, dall’altro, ha dato luogo ad una nuova fase del ruolo del mar-keting: nuovi operatori si affacciano sul mercato e crescono in questo modo le quantità pro-dotte al punto che l’offerta cresce fino ad eguagliare le capacità di assorbimento del mercato. Ciò comporta la nascita della concorrenza tra le imprese che per acquisire la capacità di spen-dita dei consumatori devono adoperarsi per cercare di “spingere” la vendita delle proprie pro-duzioni. A tal fine, si pone in essere un maggiore impegno teso a sviluppare la comunicazione pubblicitaria e altre forme di comunicazione personale e promozionali.

In tale approccio le imprese sono maggiormente impegnate nella promozione delle vendi-te e nell’organizzazione della distribuzione. Si tratta di una attività di vendita che in molti casi cerca di mettere sotto pressione il potenziale cliente attraverso strategie appropriate di comu-nicazione che oggi è possibile verificare soprattutto con riferimento a campi quali la vendita di enciclopedie, di prodotti assicurativi, di aspirapolvere o macchine a vapore per la pulizia della casa, e simili.

Storicamente si tende a collocare questo approccio nel periodo che va dal 1950 al 1965 (Cozzi – Ferrero, 2004, p. 48) e gli obiettivi perseguiti dalle imprese sono rappresentati dallo sviluppo delle vendite, dal ricordo della marca, dalla differenziazione psicologica dei prodotti mentre è del tutto marginale l’attenzione verso l’analisi dei bisogni da soddisfare, i mercati da servire, le tecnologie da adottare e i prodotti da realizzare in funzione di tali analisi.

1.5.3. Marketing orientato al cliente

Con questo approccio l’impresa sposta la sua prevalente attenzione dall’ambito interno a quello esterno: nasce in tal modo il marketing strategico attraverso il quale il cliente per la prima volta assume centralità nelle strategie delle imprese e diventa il soggetto intorno al qua-le si costruisce l’offerta. Questo cambiamento di prospettiva deriva sia dal processo di pro-gressiva saturazione della domanda nei paesi in cui le famiglie dispongono di un reddito da destinare a consumi, sia dall’articolazione della domanda stessa che da conto dell’evoluzione della struttura sociale e della proliferazione e convivenza di stili di vita differenti.

Il ruolo del marketing si evolve nel senso che si pone, per la prima volta, il problema di capire le possibili motivazioni dei potenziali clienti in ordine all’acquisto di beni e servizi e, conseguentemente, quali sono gli elementi per acquisirne la preferenza. Nascono e si diffon-dono a questo punto le ricerche di mercato e dall’altro, le imprese adottano strategie di marke-ting mix nelle quali l’offerta è definita non soltanto dal prodotto in senso stretto ma da una molteplicità di elementi variamente combinati tra loro che consentono di differenziare

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l’offerta e di trovare posizionamenti differenti in relazione ai diversi segmenti di domanda in-dividuati.

Attraverso l’analisi del mercato e, in particolare, dei bisogni (o, secondo Levitt, dei pro-blemi – Riquadro VI.2.) dei clienti si comprende come questi ultimi non siano solo quelli di base e più frequenti nella popolazione considerata. Si scopre invece che oltre al “nucleo” cen-trale vi sono altri segmenti con bisogni diversi e altrettanto importanti da soddisfare: una volta saturato il nucleo centrale di mercato, le imprese più attente si accorgono di un potenziale non sfruttato rappresentato da quei consumatori le cui preferenze di consumo non hanno riscontro nel prodotto “medio” utilizzato per soddisfare il nucleo centrale. È così che ha origine la seg-mentazione che l’impresa può realizzare nei limiti in cui conosca il mercato in termini di bi-sogni espressi dai consumatori, di vantaggi ricercati dagli stessi nei prodotti e, conseguente-mente, delle funzioni svolte dai prodotti esistenti nel mercato, così da poterne individuare di nuovi capaci di intercettare i bisogni non soddisfatti o non ancora emersi.

1.5.4. Market-driven management e orientamento al mercato L’approccio market-driven parte dall’analisi di ciò che l’impresa può fare e deve fare per

decidere la strategia che meglio valorizza le capacità distintive in un quadro coerente con i va-lori della cultura aziendale e con le attese degli stakeholder. Questa prospettiva di analisi parte da un’attenta considerazione dei cambiamenti più significativi intervenuti nel contesto mon-diale negli ultimi decenni (Lambin, 2008). In particolare meritano particolare attenzione i se-guenti: • la progressiva globalizzazione dell’economia; • la rivoluzione determinata dallo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione e della

comunicazione e dalla conseguente affermazione dell’e-commerce, fenomeno quest’ultimo che Drucker ha paragonato, per le implicazioni che sta determinando, a ciò che la ferrovia ha rappresentato per la rivoluzione industriale dell’800 (Drucker, 2003, p. 7-8);

• l’emergere di nuovi valori che tendono a fare della sostenibilità (economica, sociale ed ambientale) uno dei cardini della nuova società (Fiocca, Sebastiani, 2010, p. 21-24)

La differenza tra l’orientamento al mercato e quello al cliente del punto precedente è so-

 

Riquadro VI.2. Theodore Levitt e la soluzione di “problemi”

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stanziale benché alcuni autori e manager tendano a non fare distinzioni. In particolare mentre l’orientamento al cliente considera quest’ultimo come elemento centrale di riferimento dell’azione dell’impresa, l’orientamento al mercato considera quest’ultimo come un “ecosi-stema” complesso del quale fanno parte non soltanto i clienti ma anche altri importanti attori quali i fornitori, i distributori, i prescrittori ovvero tutti coloro che caratterizzano i due princi-pali sovra sistemi con i quali l’impresa dovrebbe rapportarsi: quello della distribuzione e quel-lo del consumo.

Un’altra caratteristica dell’orientamento al mercato è che la ricerca delle soluzioni da proporre ai clienti non è basata esclusivamente sulla domanda esistente (market-pull o marke-ting strategico di risposta), ma considera altresì i modelli innovativi legati allo sviluppo della tecnologia (market-push o marketing strategico proattivo).

L’affermazione dei valori ispirati alla sostenibilità trova spazio nella prospettiva dell’orientamento al mercato attraverso la considerazione congiunta di elementi valoriali, stra-tegici e operativi, circostanza questa totalmente diversa dal paradigma dell’orientamento alle vendite (modello delle 4P, teorizzato da Kotler negli anni ‘70) o dello stesso orientamento al cliente (che considera la dimensione strategica e quella operativa ma trascura quella culturale riguardante i valori).

L’ultima caratteristica dell’orientamento al mercato è che proprio perché presuppone un’attenzione a tutti gli stakeholder, il marketing non può essere relegato a mera funzione poiché essendo prima di tutto una filosofia di interpretazione delle relazioni tra attori essa pervade ogni livello e ogni funzione aziendale. In proposito è stato osservato che pur essendo la disciplina del marketing, nata da esigenze di natura commerciale, da un sistema di tecniche e strumenti finalizzati a promuovere le vendite, si è progressivamente evoluta includendo nel proprio ambito l’insieme delle modalità relazionali che l’impresa esprime sia al proprio inter-no che all’esterno.

1.5.5. Open marketing e orientamento alla società

La crescita quantitativa di clienti consumatori più preparati e istruiti attribuisce loro una maggiore capacità di governo della relazione con le imprese, non più subita ma assai spesso da essi costruita e controllata. Se questo aspetto si ribalta sul comportamento richiesto alle imprese allora per esse il problema diventa quello di costruire e mantenere nel tempo relazioni affidabili e attrattive con i clienti/consumatori facendo in modo che siano essi stessi ad “auto-segmentarsi” preferendo l’impresa che si pone, nel confronto competitivo, nella condizione di meglio soddisfare le loro aspettative.

Se il cliente/consumatore è una persona le cui scelte sono determinate da un insieme composito di circostanze interne al soggetto ed esterne ad esso è evidente che il suo compor-tamento si estrinseca in una condizione di razionalità contingente, nel senso che la coerenza di comportamento è all’interno della specifica situazione nella quale egli si trova ad operare.

Questo comporta che se si analizzano le sequenze di comportamento esse danno conto di un modo di operare “libero”, nel senso che egli non segue più una sequenza univoca nell’utilizzo dei canali ma li utilizza e li aggrega in relazione a specifici momenti e condizioni

A partire da queste modificazioni scaturisce il paradigma dell’open marketing i cui con-tenuti principali sono riconducibili all’innovazione e alla progettazione partecipata, che non possono essere gestiti secondo una prospettiva monocanale. Lo sviluppo di piattaforme colla-borative presenti nel world wide web favoriscono progressivi processi di partecipazione di una folla di persone (crowd) rappresentata da clienti, fornitori, utilizzatori, progettisti, ecc. nonché di esternalizzazione di funzioni e processi (outsourcing): nasce da qui per esempio la nuova prospettiva del crowdsourcing, parola composta proprio dall’unione dei termini crowd e sourcing.

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La multicanalità consiste pertanto nella possibilità di combinazione tra canali tradizionali e nuovi canali digitali. Da tale combinazione scaturisce un coacervo di opportunità di contatto per il cliente/consumatore il quale dal canto suo non si trova più nella condizione di “subire” passivamente i contenuti dei messaggi provenienti dai vari media ma, al contrario, egli è in grado di creare e condividere contenuti utilizzando dispositivi e piattaforme diverse sulla base dei suoi interessi, del suo sistema di valori e delle esigenze del momento. Ecco pertanto che il cliente consumatore diventa attore del processo di creazione del valore concorrendo in tale di-namica insieme a imprese ed altre entità organizzative.

È evidente che in tale contesto nel quale il cliente consumatore è profondamente cambia-to rispetto a quello di qualche anno fa, le imprese hanno il problema di gestire questa nuova fase di complessità che, come si può ben immaginare, non è né scontata né prevedibile.

1.6. Contenuti del processo di marketing

Il vocabolo “marketing” è talmente entrato nel linguaggio comune che gli “esperti” si moltiplicano a vista d’occhio, eppure è facile rilevare che non di rado questo è un termine spesso male utilizzato e ancor di più mal compreso. Ciò porta taluni ad attribuire a tale termi-ne contenuti che spesso sono riduttivi e non danno conto della sua complessità, soffermandosi magari solo su alcuni degli aspetti caratterizzanti tale campo di studio e di azione.

In particolare, l’errore più frequente è quello di attribuire al marketing un contenuto limi-tato, per esempio, alla sola pubblicità e/o alle azioni promozionali, ovvero a quelle iniziative volte ad esercitare sul mercato una pressione finalizzata alla sola crescita delle vendite. L’impresa che pensasse al marketing esclusivamente in questi termini adotterebbe quello che viene definito un approccio “mercantile”, non rispettoso della complessità sociale e di merca-to che negli anni è venuta a configurarsi.

Altra accezione riduttiva del contenuto attribuito al marketing si manifesta allorchè venga considerato solo come un insieme, spesso complesso e oneroso, di strumenti di analisi: si trat-ta, per esempio, dei metodi per la previsione delle vendite, per la individuazione dei “mercati obiettivo”, di modelli di simulazione e di ricerche di mercato volti a costruire un adeguato quadro conoscitivo dei bisogni espressi dal mercato, delle tecniche di segmentazione e posi-zionamento dei prodotti, ecc.

Una terza accezione del marketing di cui si da conto in letteratura è quella che considera lo stesso come “l’architetto della società dei consumi”, cioè, per dirla con le parole di Jean Jacques Lambin “il grande seduttore in un sistema mercantile nel quale gli individui sono og-getto di uno sfruttamento commerciale da parte del venditore” (Lambin, 2008, p. 4). In questa visione di tipo “socio-politico” si trova l’idea in base alla quale il marketing si caratterizze-rebbe in termini di onnipotenza rispetto alla capacità di indurre gli individui consumatori ad avere continuamente nuovi bisogni i quali, per effetto della pubblicità e dell’azione persuasiva dei venditori, si troverebbero nella condizione di sudditanza di accettare qualsiasi cosa. La comunicazione, concepita indipendentemente da qualsiasi preoccupazione in ordine alla sod-disfazione dei reali e concreti bisogni del cliente, sarebbe la leva sulla quale specializzarsi per ottenere tale risultato.

I dati citati in precedenza sul tasso di fallimento di nuovi beni di consumo e altri esempi proposti dalla letteratura ma pure riscontrabili nelle cronache di tipo economico e finanziario dimostrano che i consumatori non sono così sprovveduti e incapaci di resistere alle “tentazio-ni” provenienti dalle imprese.

Ciascuna delle indicate accezioni esprime una caratteristica del concetto di orientamento al mercato o di impresa “market-driven” e, più specificamente, una caratteristica di tipo cultu-rale, una di tipo strategico e un’altra di tipo operativo. Queste tre caratteristiche, schematizza-te nella figura seguente, esprimono se considerate congiuntamente, la complessità del proces-

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so di marketing (Riquadro VI.3). La dimensione culturale (o filosofica) evidenzia come il marketing non sia una semplice

funzione organizzativa o un insieme di tecniche e strumenti, quanto invece un approccio alle problematiche del rapporto tra impresa e ambiente. La dimensione culturale evoca “l’ampiezza del territorio disciplinare” tanto da affondare le proprie radici teoriche e operative in più discipline: economia, economia aziendale, economia e gestione delle imprese, ma an-che sociologia, psicologia, statistica, informatica, storia economica, politica, diritto, ecc.

Le caratteristiche del marketing nella prospettiva market-driven

Fonte: Adattamento da Lambin (2008)

In ogni caso il marketing si configura come un processo complesso che per consuetudine si distingue in marketing “strategico” e marketing “operativo”.

1.6.1. Processo di marketing strategico

Nell’ambito del processo di marketing strategico si sviluppano tutte le attività finalizzate ad assumere decisioni che generano un impatto di lungo periodo e dalla cui correttezza dipen-dono le possibilità di successo o di insuccesso dell’impresa.

Con l’espressione “marketing strategico”, convenzionalmente, ci si riferisce a quell’insieme di conoscenze, competenze, attività e strumenti volti ad individuare e compren-dere le caratteristiche dell’ambiente e del mercato nel quale l’impresa opera. Tale processo si articola in diverse fasi logicamente interrelate in modo non lineare nel senso che lo svolgersi di ciascuna di esse può richiedere di retroagire su quelle già svolte, evidenziando in tal modo la complessità del processo stesso.

Le fasi in cui si articola il processo di marketing strategico possono essere schematizzate nel modo seguente: a) Analisi dei bisogni e del comportamento d’acquisto del cliente; b) Definizione del mercato e delle aree strategiche d’affari nelle quali l’impresa intende ope-

rare (macro segmentazione); c) Individuazione, all’interno di ogni area strategica d’affari, dei gruppi di clienti cui indiriz-

zare l’offerta dell’impresa (micro segmentazione); d) Scelta delle strategie di copertura dei mercati obiettivo;

Cultura  (filosofia  di  ges0one)  

Analisi    (riflessione  strategica)  

Azione    (braccio  

commerciale)  

Riquadro VI.3.

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e) Scelta del posizionamento ricercato nei mercati obiettivo. L’analisi dei bisogni e del comportamento d’acquisto del cliente

Come precedentemente osservato, l’impresa per avere successo ha necessità che i poten-ziali clienti si trasformino in clienti effettivi attraverso atti di acquisto ripetuti nel tempo. Af-finché ciò avvenga l’offerta dell’impresa deve essere considerata da tali clienti superiore ri-spetto a quella di altre imprese: ciò avviene attraverso un confronto tra benefici percepiti e sa-crifici percepiti che ciascuna offerta presente nel mercato origina nei confronti di chi deve scegliere. Quando il beneficio differenziale percepito dell’offerta di un’impresa risulta supe-riore a quello di altre imprese significa che essa è stata capace, più di altre, di soddisfare i bi-sogni di tali clienti.

Il problema fondamentale dell’impresa diventa allora conoscere e comprendere i biso-

gni/problemi, consapevoli e non consapevoli, dei potenziali clienti così da poter allestire of-ferte che possano conquistarne la preferenza. Per poter conoscere tali bisogni/problemi l’impresa deve poter disporre di conoscenze e competenze utili a capire la natura dei processi cognitivi e comportamentali delle persone, sia considerate come singoli consumatori, sia nel caso in cui operino con responsabilità all’interno di organizzazioni di qualsiasi tipo. Nel pri-mo caso le conoscenze proprie della sociologia, della psicologia e della psicologia sociale aiu-tano a conoscere e capire le motivazioni che stanno alla base delle scelte individuali delle per-sone, mentre nel secondo caso, occorre avere consapevolezza dei processi decisionali che ca-ratterizzano entità organizzative complesse nelle quali il processo d’acquisto è la risultante del concorso di una pluralità di attori.

Funzionale al processo di conoscenza continua dell’evoluzione dei bisogni/problemi è l’esistenza di un idoneo “Sistema Informativo di Marketing” (SIM) attraverso il quale l’impresa si organizza per acquisire elementi volti a conoscere piuttosto che interpretare i bi-sogni/problemi del cliente. Per il tramite di un adeguato Sistema informativo l’impresa riesce a far fruttare sia l’enorme base di dati aziendali che quotidianamente si producono per effetto della normale gestione e che vengono codificati nella contabilità aziendale, sia le informazioni acquisite per il tramite di una sistematica e continua attività di intelligence (investigazione), sia, ancora, quelle rilevate attraverso apposite ricerche di mercato realizzate utilizzando sia dati secondari che dati primari. L’evoluzione tecnologica oggi consente di acquisire dati e in-formazioni in modo più sistematico e continuo favorendo in tal modo analisi sempre più ag-giornate rispetto alla dinamicità dei comportamenti dei diversi attori del mercato.

Il Beneficio Differenziale Percepito

È determinato dal rapporto tra Valore Differenziale Percepito

BDP = Sacrificio Differenziale Percepito

Tale rapporto avviene ogni volta che il potenziale cliente/consumatore opera una scelta tra alternative. Il valore differenziale deriva dalla percezione del cliente e non necessariamente coincide con il valore creato dall’impresa nella predisposizione dell’offerta. Nello stesso modo opera il sacrificio differenziale che dipende dalla percezione del costo monetario e da-gli altri costi di natura psicologica (legati, per esempio, al tempo, ecc.) che il potenziale cliente/consumatore dovrà sostenere per l’acquisizione di quel bene o servizio.

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La definizione del mercato e dei segmenti obiettivo nei quali l’impresa intende operare L’analisi dei bisogni/problemi consente all’impresa di assumere la prima decisione im-

portante: quella relativa all’individuazione del mercato di riferimento nel quale intende opera-re e dei segmenti obiettivo cui indirizzare la propria offerta.

Questa prima fase prende il nome di “macrosegmentazione” ed ha origine dalla consape-volezza che non è possibile soddisfare tutti i bisogni dei clienti con un unico prodotto o servi-zio. L’analisi dei bisogni, infatti, consente di acquisire consapevolezza del fatto che clienti di-versi hanno interessi diversi, sono motivati da valori diversi, manifestano desideri e compor-tamenti d’acquisto e di consumo diversi, ricercano nei prodotti utilità diverse e benefici diver-si. A tale diversità le imprese cercano di rispondere non più con prodotti “standardizzati” ma tendono a definire strategie di marketing indirizzate ad uno o più gruppi di clienti. Identificare questi gruppi significa realizzare il processo di segmentazione del mercato.

Questa operazione, soggettiva, è tra le più complesse del processo di marketing poiché i criteri utilizzati per individuare i gruppi di clienti, di fatto, definiscono la scelta degli stessi segmenti in cui operare. La segmentazione, pertanto, definisce il campo d’azione dell’impresa, orienta la scelta e l’implementazione della strategia e determina le conoscenze e le competenze necessarie affinché le componenti organizzative della stessa operino in funzio-ne del raggiungimento degli obiettivi prestabiliti. La definizione del mercato di riferimento passa attraverso la ricerca di una risposta alle seguenti domande: quale è o quali sono i nostri settori di attività? In quale (o quali) di questi dovremmo operare?

Per trovare un’adeguata risposta a tali domande l’impresa non può che adottare un orien-tamento al mercato, proprio di chi fa dei bisogni/problemi dei clienti il punto di partenza im-prescindibile per orientare anche le altre scelte di tipo organizzativo, tecnologico e operativo.

Partire dai bisogni/problemi dei clienti significa adottare un approccio volto a fornire, per il tramite del prodotto, una soluzione al bisogno/problema del cliente: quest’ultimo non com-pra un prodotto in sé, quanto una soluzione ad un proprio problema di cui il prodotto ne rap-presenta il mezzo. La definizione del mercato, pertanto, deve poter tenere conto sia del biso-gno/problema che della soluzione. L’individuazione dei gruppi di clienti-obiettivo

Una volta che l’impresa ha scelto il segmento o i segmenti nei quali operare deve indivi-duare al suo interno i singoli gruppi di clienti che richiedono prodotti con lo stesso “paniere di attributi”. Tale processo, definito di micro segmentazione, si basa sulla considerazione che all’interno della stessa combinazione prodotto-mercato, i clienti richiedano attributi di prodot-to differenti. In particolare l’appartenenza di gruppi di clienti allo stesso segmento significa che essi esprimono lo stesso bisogno in ordine alla funzione “base” del prodotto (per esempio il bisogno base di avere un mezzo per potersi spostare autonomamente), mentre la necessità di riferirsi all’interno di tale segmento a gruppi di clienti diversi sta a significare che tra tali clienti vi sono dei gruppi che non si accontentano di un prodotto che soddisfa solo la funzione di base, ma ad esso richiedono la soddisfazione di altre necessità. Da qui scaturisce il proces-so di “micro segmentazione” che si fonda sul concetto di prodotto come paniere di attributi.

Per poter individuare tali gruppi di clienti possono utilizzarsi classi diverse di variabili di micro-segmentazione: socio-demografiche (età, sesso, reddito, ubicazione geografica, ecc.), comportamentali (si fa riferimento in questo caso a domande quali “quando acquista”, “dove acquista”, “con quale frequenza”, “come utilizza il prodotto”, ecc.), basate sui benefici ricer-cati (il risparmio, il rispetto per l’ambiente, il modesto contenuto calorico, ecc.), socio-culturale o per stili di vita (con la quale si associano ai dati socio-demografici anche informa-

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zioni riguardanti l’insieme delle attività, degli interessi e delle opinioni caratterizzanti i con-sumatori, così da poter ricostruire “ritratti” più umani dei clienti).

Il prodotto come paniere di attributi Il marketing considera il prodotto come un insieme di attributi, tangibili e intangibili dalla cui combina-zione discendono vantaggi differenti per le diverse tipologie di clienti. Tale definizione comprende: - il prodotto fisico (l’oggetto offerto dal produttore); - i servizi aggiuntivi che l’impresa utilizza per accompagnare il prodotto fisico; - l’insieme dei vantaggi e/o benefici che il prodotto determina per i clienti o che questi ultimi si aspettano. La considerazione del prodotto come “paniere” di attributi consente all’impresa di individuare la funzione base del prodotto, ma anche un insieme di altri elementi, secondari rispetto alla funzione base che in taluni casi possono essere necessari per la commercializzazione del prodotto e, in altri, invece aggiunti. Sono proprio gli elementi secondari che consentono all’impresa di “differenziare” l’offerta da quella degli altri concorrenti in modo tale da influenzare, spesso significativamente, le preferenze dei clienti. Schematicamente Levitt (1980) propone i seguenti livelli di differenziazione: prodotto generico: è il prodotto in senso stretto, l’oggetto o il servizio base; prodotto atteso: si riferisce a quei servizi o elementi necessari per la commercializzazione del prodotto (si pensi al contenitore, senza il quale per esempio un prodotto liquido o in polvere non può essere venduto, o si pensi al servizio di reception per un albergo, senza il quale le camere non potrebbero essere agevolmente vendute o, ancora, alla qualità delle materie impiegate per la realizzazione del prodotto); prodotto aumentato (o aggiuntivo): che considera caratteristiche del prodotto non considerate indispensa-bili per la funzione base ma che concorrono a differenziare lo stesso rispetto ad altri beni e servizi (si pensi per esempio alla possibilità di fornire un’automobile dotata di seggiolini per bambini già compresi nel prezzo base, ovvero al servizio di garanzia sul prodotto acquistato, o ancora alle modalità di pagamento o consegna personalizzate in ragione di specifiche esigenze del clienti, ecc.). prodotto potenziale: fa riferimento a ulteriori caratteristiche che “potenzialmente” saranno in grado di at-trarre i consumatori e che possono essere legate ad associazioni mentali riferibili ad uno status symbol, alla capacità di suscitare emozioni, all’identificazione con luoghi, culture, stili di vita ecc. che vengono conside-rati come espressione di valori ritenuti importanti.

Ciascuna di queste classi di variabili presenta vantaggi e limiti e la scelta della classe da utilizzare per distinguere i gruppi di clienti target è soggettiva ed ha natura contingente e di-pende dal tipo di settore di attività e dal tipo di prodotto.

Le aree di differenziazione del prodotto

Prodotto  potenziale  

Prodotto  aumentato  

Prodotto  atteso  

Prodotto  generico  o  di  base  

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Fonte: Adattamento da Levitt, 1980

La scelta delle strategie di copertura dei mercati obiettivo

Una volta definiti i segmenti e i gruppi di clienti target l’impresa sceglie se operare su tut-to il mercato o su parti di esso.

La scelta di operare su tutto il mercato può essere una decisione da realizzare consideran-do lo stesso in modo indistinto (strategia di marketing indifferenziata o di massa), oppure di-stinguendo in esso due o più segmenti e decidere di operare su tutti con apposite strategie, di-verse per ciascuno dei segmenti considerati.

Nel caso in cui l’impresa scelga di operare solo su parti del mercato totale, essa potrebbe scegliere un solo segmento (strategia di focalizzazione o di concentrazione). La scelta tra le diverse forme di copertura del mercato dipende da diversi elementi: le risorse interne all’impresa, il grado di omogeneità del prodotto, lo stadio del ciclo di vita del prodotto, il li-vello di omogeneità del mercato, le strategie dei concorrenti.

La scelta del posizionamento ricercato nei mercati obiettivo

A Ries e Trout (1981) risale la diffusione della parola “posizionamento”, da essi definito come “la concezione di un prodotto e dell’immagine allo scopo di dargli, nel giudizio del con-sumatore, un posto favorevole e diverso da quello occupato dai prodotti concorrenti”. Più re-centemente, esso è stato definito come “la decisione dell’impresa relativa alla scelta del bene-ficio (o dei benefici) della marca che possono farle guadagnare un posto distintivo nel merca-to” (Lambin, 2008). In questa definizione emerge un aspetto importante del prodotto, la mar-ca, l’elemento cioè volto a favorire il processo di identificazione da parte dei clienti: la marca diventa il principale elemento di identificazione e quindi di posizionamento poiché essa rias-sume gli attributi propri dell’offerta.

La decisione inerente il posizionamento, pertanto, implica la ricerca di adeguate risposte alle seguenti domande: quali sono i benefici che derivano ai nostri clienti attraverso il ricorso alla nostra marca? Chi sono i gruppi di clienti interessati a questi benefici (e conseguentemen-te alla nostra marca)? In quali circostanze la nostra marca appare la più idonea a soddisfare i bisogni della clientela (occasioni d’uso e di consumo)? Nei confronti di quali altre marche la nostra si contrappone con le caratteristiche di cui è portatrice?

L’insieme di queste decisioni definisce la strategia di posizionamento le quali si basano sulla considerazione congiunta dei seguenti elementi: -­‐ i punti di forza e di debolezza dell’impresa; -­‐ le caratteristiche del contesto competitivo (concorrenti diretti e indiretti, potenziali nuovi

entranti, fornitori, acquirenti, prodotti sostitutivi); -­‐ la tipologia di vantaggio (o beneficio) distintivo che la marca è capace di offrire rispetto

alla concorrenza. Le decisioni sopra indicate saranno alla base del processo di comunicazione con il quale

l’impresa tenderà a far conoscere ai potenziali clienti le caratteristiche della propria offerta così da determinare in essi una chiara e definita percezione della stessa. Per il tramite di tale processo di comunicazione l’impresa fa conoscere la propria identità così da “costruire” nella mente dei propri potenziali clienti una “immagine di marca” coerente con le proprie aspettati-ve e obiettivi.

La scelta del posizionamento deve ispirarsi ad alcuni requisiti che Ries e Trout hanno ben evidenziato già nel loro articolo pubblicato nel 1981. Tali requisiti sono i seguenti: -­‐ la chiarezza, che implica una percezione comprensibile da parte del mercato obiettivo; -­‐ la coerenza, che si fonda sulla compatibilità (o sulla mancanza di conflitti) tra le decisioni

riguardanti gli elementi costitutivi dell’offerta (prodotto, prezzo, distribuzione, comunica-

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zione) e l’insieme dei valori su cui si fonda il modo d’essere dell’impresa; -­‐ la credibilità, che implica la percezione da parte dei clienti che le promesse contenute

nell’offerta dell’impresa possano essere rispettate; -­‐ la competitività, che implica la necessità di evidenziare la superiorità distintiva della pro-

pria offerta così da renderla percepibile da parte del mercato obiettivo. La scelta del posizionamento, pertanto, è la base del programma di marketing operativo

di cui al punto successivo. In particolare, le principali basi di posizionamento che la dottrina ha permesso di identificare sono evidenziate nel seguente Riquadro VI.4.

Riquadro VI.4. Le basi di posizionamento identificate dalla dottrina

- gli attributi fisici del prodotto (es.: contenuto di sodio per un’acqua minerale – Lete; produzione biolo-

gica di un alimento; ecc.); - gli attributi simbolici del prodotto, derivanti dall’immagine, dalla reputazione dell’impresa, dalla speci-

fica reputazione tecnologica, ecc.; - i benefici offerti alla clientela, quali quelli derivanti, per esempio, dalla silenziosità, dal basso consumo

energetico, dal valore estetico del bene, ecc.; - le occasioni d’uso e/o le funzioni assolte dal prodotto; - il prezzo relativo, che può essere alto o basso in relazione alle caratteristiche di come ci si vuole distin-

guere (es: Gucci, Cartier, Antonio Marras, Audi, Porsche, Ferrari per quanto riguarda prezzi alti, Lidl, Ikea, Ryanair per quanto concerne scelte di prezzi bassi);

- l’immagine percepita, spesso riconducibile alle caratteristiche degli utilizzatori (es.: complementi di ar-redo per la casa firmati “gente di Guzzini”; profumi firmati quali Light Blue di Dolce e Gabbana, Hugo Boss, ecc.);

- l’immagine derivante dal luogo di origine, valido con riferimento a diversi livelli territoriali, dal “made in” che identifica il Paese di origine (birra tedesca, tecnologia giapponese, design italiano, ecc.), fino a specifici contesti territoriali (es.: arance di Sicilia, pasta di Sardegna, ecc.).

1.6.2. Connotati del marketing operativo

Al marketing operativo compete l’insieme delle decisioni volte ad operativizzare nel bre-ve termine le scelte strategiche sotto forma di combinazione delle diverse leve (o fattori) che stanno alla base del marketing mix. Per ciascuna delle leve si pongono problemi decisionali complessi inerenti gli obiettivi che ci si propone di raggiungere, gli strumenti da attivare per raggiungerli, le linee di azione alternative che si rende necessario adottare per far si che gli obiettivi si traducano in risultati.

Saranno proprio i risultati a determinare l’efficacia delle strategie e la bontà degli stru-menti e delle linee di azione adottate.

L’impresa deve predisporre un sistema di leve (o marketing mix), per ciascuna delle quali adottare appropriate e coerenti decisioni. Il marketing mix si configura pertanto come un “abi-to su misura” da verificare nel tempo in ragione delle dinamiche interne ed esterne all’impresa.

Philip Kotler fu il primo studioso a proporre un insieme di leve operative di marketing, note con l’espressione “4P” che indicano product, price, place e promotion. Pur riconoscendo il fondamentale contributo di Kotler, attualmente risulta più adeguato – rispetto agli specifici connotati che caratterizzano i mercati e gli ambienti nel periodo attuale – fare riferimento ad un “sistema dei fattori di marketing” nell’ambito del quale possono essere ricondotti, in modo flessibile e specifico per ciascuna impresa, tutti o alcuni dei molteplici elementi che concorro-no alla fisionomia che possono assumere le “4P” di Kotler.

Di seguito si richiamano in sintesi le principali problematiche inerenti alcune delle leve di

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marketing e, più esattamente, quelle che più frequentemente si riscontrano nella generalità delle imprese. Le scelte concernenti il prodotto

Il concetto di prodotto, come è stato messo in evidenza in precedenza può essere inteso in senso stretto (l’oggetto o il servizio base) o in senso ampio (il prodotto totale o il concetto di prodotto come paniere di attributi). Si è anche precisato che è quest’ultimo quello al quale fa-re riferimento per la definizione delle strategie di marketing mix.

Il prodotto come paniere di attributi rappresenta pertanto l’interfaccia che consente all’impresa di entrare in relazione con i clienti e attraverso il quale quest’ultima cerca di at-trarre prima l’attenzione e poi la preferenza in ordine alla possibilità che esso possa risolvere i propri problemi.

Il prodotto si configura come la soluzione specifica e contingente al problema che il cliente manifesta in un particolare momento e in una particolare situazione (il bisogno deriva-to). La capacità del prodotto di essere “soluzione” ha valore pro-tempore, il che pone all’impresa il problema di verificare nel tempo la capacità dello stesso di rispondere a tali bi-sogni.

Si ricava che il prodotto ha un suo “ciclo di vita” (Riquadro VI.5) per cui dopo la sua in-troduzione nel mercato attraversa delle “fasi” che esprimono il suo andamento nel tempo (in-troduzione e lancio, sviluppo, turbolenza, maturità, declino).

In relazione alla fase nella quale si trova il prodotto l’impresa può definire attributi diver-si e politiche di prezzo, di distribuzione e di comunicazione specifiche.

Il modello standard del Ciclo di vita del prodotto

Fonte: Lambin, 2008

Affinché l’impresa possa interagire col mercato in modo positivo deve necessariamente

prevedere politiche di prodotto nell’ambito delle quali non soltanto adoperarsi per migliorare quelli esistenti, ma anche per sviluppare nuovi prodotti, capaci di sostituire quelli diventati obsoleti o, anche di intercettare nuovi bisogni prima non soddisfatti, o nuovi problemi prece-dentemente non esistenti o non percepiti. Le scelte relative alla marca e alla sua gestione

La marca svolge un ruolo strategico all’interno dell’impresa: per il suo tramite l’impresa

Riquadro VI.5.

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definisce la propria “identità” e quella dei propri “prodotti” o “famiglie” di prodotti. Nel defi-nire la propria identità, l’impresa favorisce anche il processo di identificazione da parte del mercato. La marca, pertanto, è un presupposto imprescindibile per essere riconoscibili e per potersi posizionare nel mercato.

La marca tende quindi ad evocare in modo sintetico nella mente dei consumatori una “storia”, un “vissuto”, un “mondo” (es: Nutella, Nike, Ferrari, Barilla); e sono proprio questi ricordi evocati che determinano il posizionamento della marca.

La marca, dal punto di vista tecnico, secondo l’American Marketing Association, può es-sere definita come:

“un nome, una parola, un simbolo, un disegno, una combinazione di questi elementi, finalizzata ad identificare un prodotto o un servizio offerto da un venditore o da un gruppo di venditori e a renderlo differente da quello dei concorrenti” (AMA, 1960)

La marca svolge diverse funzioni sia verso il cliente che verso l’impresa. Tali funzioni,

almeno con riferimento al mercato B2C sono riconducibili a quelle dello schema seguente.

Le funzioni della marca nei mercati B2C

Funzioni per il cliente: • Identificazione (orienta le scelte) • Rassicurazione e garanzia implicita • Memorizzazione (praticità) • Personalizzazione (Status symbol o espressione personalità) • Ludica (scoperta, sorpresa, cambiamento) Funzioni per l’impresa: • Posizionamento • Comunicazione • Protezione legale • Capitalizzazione (brand equity) • Fedeltà • Barriera all’entrata (potere di mercato)

La marca si configura pertanto come uno dei fattori di marketing da gestire sia con rife-

rimento alla definizione dell’identità, sia con riferimento alla sua immagine. La marca può ri-guardare l’impresa nel suo complesso (Barilla), oppure linee di prodotti (Il Mulino Bianco), o ancora singole referenze (Le Macine, i Rigoli, ecc.). Le scelte relative al prezzo Il prezzo è definito come:

La quantità di moneta o di credito monetario ceduta dall’acquirente al venditore in cambio di un prodotto o di un servizio

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Il prezzo rappresenta tanto il sacrificio sostenuto dall’acquirente per avere la disponibilità del prodotto, quanto il valore attribuito allo stesso dall’impresa.

Questo duplice punto di osservazione (quello dell’impresa e quello del cliente) impone un’attenta valutazione delle decisioni sul prezzo: esso, in altre parole, deve essere determinato all’interno di una forbice i cui estremi sono rappresentati rispettivamente, dal costo sostenuto dall’impresa per la produzione e immissione del mercato del prodotto (soglia minima di prez-zo) e dal valore percepito come “appropriato” dal cliente, al di sopra del quale viene meno la disponibilità a pagare (soglia massima di prezzo).

All’intero di tale forbice l’impresa fissa il prezzo in funzione degli obiettivi generali posti nel piano di marketing (definiti dai volumi di vendita, dalle quote di mercato, dalla redditività, ecc.), della fase del ciclo di vita in cui si colloca il prodotto, del segmento di mercato cui si ri-volge l’offerta, e delle caratteristiche degli altri fattori di marketing. Tali scelte configurano le politiche di prezzo che di volta in volta possono prevedere prezzi bassi, prezzi alti, prezzi last-minute, prezzi di penetrazione, prezzi di scrematura, ecc. Ciò implica che i metodi attraverso cui l’impresa decide il prezzo sono diversi e molteplici. Le scelte relative alla distribuzione

La distribuzione si configura come il processo mediante il quale il prodotto viene reso di-sponibile al cliente finale. In tale processo possono intervenire solo due attori (il produttore e il cliente) oppure possono inserirsi anche altri soggetti (definiti intermediari) il cui numero può variare in relazione a varie circostanze quali la natura del prodotto e la distanza geografi-ca intercorrente tra produttore e consumatore.

Lo svolgimento del processo distributivo avviene pertanto all’interno di un “canale” defi-nibile come:

Una struttura formata da partner interdipendenti che mettono beni e servizi a di-sposizione dei consumatori o delle imprese industriali utenti (Lambin, 2008, p. 355) Nel corso del tempo il processo distributivo si è evoluto, soprattutto per effetto delle in-

novazioni tecnologiche che hanno riguardato lo svolgimento di tutte le funzioni in passato svolte essenzialmente dagli intermediari. Ciò ha dato luogo sia a processi di disintermediazio-ne, sia a processi di nascita di nuovi intermediari (cybermediari, per esemio), sia alla trasfor-mazione del modo con cui le imprese intermediatrici si pongono sia nei confronti del mercato di consumo sia nei confronti degli stessi produttori.

Le scelte relative alle modalità di comunicazione

Per comunicazione di marketing si intende il processo mediante il quale l’impresa entra in relazione con il mercato con l’obiettivo precipuo di far conoscere se stessa e la propria of-ferta, in armonia con le altre politiche di comunicazione dell’impresa.

Gli strumenti adottati a tale fine di norma sono riconducibili ai seguenti: • la pubblicità • la promozione delle vendite, sia al consumatore finale che alla distribuzione; • l’azione persuasiva del personale di vendita (personal selling); • le pubbliche relazioni;

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• le sponsorizzazioni. Ciascuno degli strumenti indicati consente di perseguire obiettivi di marketing specifici,

dispone di proprie modalità operative e richiede conoscenze e competenze altrettanto specifi-che. Alcuni degli strumenti sopra indicati sono di tipo impersonale (pubblicità, pubbliche re-lazioni, sponsorizzazioni), altre invece coinvolgono in modo personale il potenziale cliente (sia esso finale che intermediario).

La scelta del mix comunicazionale varia in relazione a diversi fattori ascrivibili sia a ca-ratteristiche del mercato di riferimento (dimensioni, fase del ciclo di vita, ecc.), sia a caratteri-stiche proprie dell’impresa (storia, posizionamento competitivo, ecc.).

Il piano di comunicazione è il documento di programmazione che consente all’impresa di progettare la propria strategia di comunicazione in modo coerente e finalizzato.

Tale documento deve dare conto sia degli obiettivi che l’impresa si propone di persegui-re, sia dell’articolazione temporale del processo di comunicazione, nonché del relativo piano di spesa necessario per realizzare quanto progettato.

Gli strumenti di comunicazione Pubblicità È una forma di comunicazione a pagamento e impersonale che si avvale di mezzi di comunica-zione di massa quali giornali, radio, telefono, televisione, computer. Obiettivi perseguibili possono essere: informare, persuadere, ricordare. Promozione delle vendite Sono tutte le attività dirette ad incentivare l’acquisto o la prova di beni e servizi. Esse si caratterizzano per una durata temporale limitata e per l’esistenza di un chiaro vantaggio a favore del cliente. L’obiettivo specifico di questo strumento è quello di sollecitare una risposta immediata da parte del cliente. Le modalità operative possono assumere la forma di buoni omaggio, sconti, operazioni a pre-mio, concorsi, ecc. L’azione persuasiva del personale di vendita Consiste nella comunicazione esercitata dalla forza vendita ogni qualvolta entra in contatto con il cliente, sia per effetto di una azione di ricerca ad hoc, sia nella gestione di un punto vendita. Essa è bidirezionale e adattabile alle caratteristiche del cliente. Può essere persuasiva, ma anche informativa e comparativa. Ha nella variabilità del personale di vendita l’elemento di maggiore criticità e richiede un ag-giornamento continuo e costante degli stessi sia per favorire il processo di aggiornamento, sia per cercare di “standardizzare” il sistema delle conoscenze minime comuni, sia tecniche e che comportamentali. Le pubbliche relazioni “Comprendono le comunicazioni elaborate dall’impresa allo scopo di farne conoscere l’attività, le finalità e il valore e sviluppare un’immagine favorevole nella mente del pubblico generalmen-te inteso e, più in particolare, dei principali attori del mercato” (Lambin, 2008, p. 461). Le sponsorizzazioni Si collocano nell’ambito degli strumenti di comunicazione e promozione, attraverso le quali un’impresa fornisce un supporto, che può essere finanziario e/o di beni e o servizi in natura, ad un individuo, un gruppo o un’ organizzazione, al fine di permettere a questi di svolgere le loro attività e nel contempo di ottenere, in virtù dell’associazione dell’attività, della manifestazione o dell’evento sponsorizzato, al proprio nome e/o alla propria marca, soprattutto in termini di noto-rietà e di immagine complessiva verso i diversi pubblici di riferimento dell’impresa.

Un elemento cui prestare attenzione è dato dallo sviluppo delle tecnologie web che stanno

progressivamente modificando il modo di comunicare delle imprese con il mercato: sempre

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più si va verso una comunicazione interattiva mentre si riduce il peso (anche in termini di budget assegnato) assunto da ciascuno degli strumenti tradizionali.

A fronte della necessità di rivisitare concetti antichi e di introdurne di nuovi vi è l’esigenza di considerare con la giusta attenzione nuovi fenomeni che impattano per esempio sui modelli di analisi di mercato che, grazie alle moderne tecnologie della rete consentono di modificare i metodi di acquisizione delle informazioni sui comportamenti di acquisto e di consumo dei clienti, sui valori di riferimento che ispirano il loro essere clienti/consumatori e cittadini, ecc. Per il tramite di blog e social network per esempio è possibile mettersi in ascol-to delle percezioni, delle opinioni, delle attitudini inerenti non solo i comportamenti di acqui-sto e di consumo ma più in generale la loro stessa visione della società che cambia.

1.7. Verso una nuova fase evolutiva: il marketing esperienziale

L’autore che per primo ha esposto i concetti inerenti il marketing esperienziale (experien-tial marketing) è Bernd H. Schmitt (1999). Il marketing esperienziale ha assunto rilievo in quanto il marketing tradizionale ha ampiamente ignorato la nozione di “esperienza”.

L’approccio al marketing esperienziale si fonda su alcuni punti chiave che possono essere sintetizzati come segue: 1. l’attenzione è sull’esperienza che il cliente vive nell’acquisto e nell’uso del prodotto e non

sul prodotto e sui suoi presunti benefici oggettivi; 2. l’analisi dei comportamenti dei clienti deve includere le scelte razionali e quelle emozio-

nali, spesso più determinanti nelle motivazioni d’acquisto; 3. i test per stabilire la validità del prodotto devono essere condotti ricostruendo le fasi reali

di acquisto/fruizione del prodotto; 4. la metodologia di indagine deve essere fluida, integrando analisi quantitative e qualitative

alla ricerca dell’esperienza soggettiva del cliente. Schmitt, durante una conferenza alla Società del Marketing nel 2007, ha sottolineato che “le esperienze si possono cogliere nel loro divenire soltanto osservando il cliente nel suo habitat naturale. Ecco perché i ricercatori passano parte del loro tempo al fianco dei consumatori, os-servandoli sul campo, chiedendo le loro impressioni sul prodotto/servizio nel momento stesso in cui lo consumano. È così che riescono a cogliere la realtà dal loro punto di vista, anziché doversi affidare a risposte artificiali prodotte dalle tradizionali ricerche di mercato. Le imprese hanno bisogno dei consigli dei clienti perché le aiutano a realizzare le piattaforme esperienzia-li (uno strumento che sostituisce il tradizionale concetto di posizionamento) e a implementarle usando al meglio i loro suggerimenti”. Secondo Bernd Schmitt la segmentazione e posizionamento sono strumenti sempre meno ido-nei a comprendere la fenomenologia dell’acquisto. Egli afferma: “Dobbiamo andare oltre la superficie dei dati, soprattutto statistici. Bisogna scoprire cosa fa diventare l’atto d’acquisto un generatore di sensazioni, un impulso che guida le nostre scelte. L’obiettivo è cogliere l’essenza dell’esperienza, poiché noi non acquistiamo solo un prodotto ma, soprattutto, un’esperienza”. Ed è proprio l’esperienza il terreno della competizione. Gli strumenti tradizionali del marketing sono inadeguati per Schmitt. “Le strategie di marke-ting concepite con le 4P sono incentrate sul prodotto e stabiliscono la necessità di confezio-narlo, dargli un prezzo, promuoverlo e distribuirlo. Ma nel modello delle 4P, dov’è la C (il cliente)?” I modelli del marketing tradizionale sono guidati più dall’ingegneria e dalla logistica che dal cliente: − approfondiscono le caratteristiche e i benefici del prodotto, ma non le sue qualità intangi-

bili (sensoriali, di immagine) e l’esperienza che tali qualità attivano nei clienti; − i mercati e i concorrenti sono misurati in base ai criteri oggettivi dei prodotti, senza tener

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conto del contesto in cui vengono utilizzati; − considerano i clienti dei decisori razionali, mentre molte decisioni d’acquisto sono dettate

da impulsi emotivi. Anche le analisi sulla customer satisfaction non sono convincenti, nella misura in cui si con-centrano sulla valutazione del risultato del prodotto/servizio (il cosa) ma trascurano il proces-so (il come) e non approfondiscono il significato effettivo di ciò che costituisce soddisfazione per il cliente. Secondo Schmitt è più utile fare riferimento al Customer Experience Management (CEM), un sistema che parte dall’analisi del “mondo esperienziale” del cliente per poi costruire la “piat-taforma esperienziale”, su cui basare la “brand experience”, organizzare i punti di contatto con il cliente e impegnarsi in un‘innovazione continua.

La struttura CEM

Brand experience – Comprende il brand “look and feel” (logo, segni, packaging, ecc.), le comunicazioni (pubblicità, siti web, ecc.), il disegno e le caratteristiche esperienziali del prodotto. Customer interface – Include tutti contatti con i consumatori. I contatti face-to-face (nei punti vendita, nel check-in in hotel, specifici eventi per i consumatori, ecc.), interazioni mediate (call-centers, email, messaggi), interazioni automatiche (e-commerce, distributo-ri automatici). Innovation – Le innovazioni migliorano la vita personale e lavorativa dei consumatori. Essi trovano l’esperienza avvincente, rilevante e unica. Essi possono spostarsi da impor-tanti nuovi prodotto a piccole innovazioni di design, a nuove campagne di marketing. Per fornire la corretta esperienza al consumatore attraverso la brand experience, l’innovazione richiede una struttura integrata – proprio la struttura dei cinque step del CEM.

Inoltre, Schmitt sottolinea: “Possiamo considerare i diversi tipi di esperienze che siamo in grado di realizzare, come i 5 moduli strategici esperienziali (SEM): 1. sense: percepire attraverso i cinque sensi (smell, vision, taste, hearing, touch and balance); 2. feel: sentire attraverso i sentimenti che fanno parte della sfera emozionale; 3. think: pensare razionalmente (le esperienze cognitive); 4. act: agire che riguarda le esperienze corporee, i comportamenti, le interazioni; 5. relate: contiene aspetti degli altri quattro È un concetto di management, che punta a realizzare per il consumatore esperienze olistiche, che mettano insieme tutti i cinque moduli, come fa ad esempio la Singapore Airlines, tra le compagnie aeree a più elevata redditività, che si sforza di essere visivamente interessante e elegante (sense), gentile e ospitale (feel), innovativa e creativa (think), orientata al servizio e all’azione (act), internazionale (relate).

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I cinque moduli SEM si attivano per mezzo di strumenti che Schmitt indica come “fornitori di esperienze” (experience provider – ExPro): la comunicazione, l’identità, i prodotti, il co-branding, l’ambiente, i siti web, le persone.

Con i SEM e gli ExPro Schmitt riesce a costruire la sua griglia esperienziale, da usare per la pianificazione di questo approccio di marketing. Il manager la può compilare rispondendo a questa domanda: “Per definire l’immagine esperienziale dell’organizzazione e della marca, quale ExPro dovrò usare per stimolare quali SEM?” VI.2. L’approvvigionamento 2.1. Natura e importanza

Nella funzione di approvvigionamento, considerata, nel senso più ampio, possono farsi rientrare le operazioni di provvista delle attrezzature, delle materie, materiali, merci, dei capi-tali finanziari, dei servizi vari.

In questo scritto l’esame della funzione di approvvigionamento, viene riferito, in modo particolare, alle materie e ai materiali utilizzati dalle imprese industriali; tuttavia, talune delle osservazioni possono essere valide anche per lo studio nel reperimento delle merci, da parte delle imprese commerciali, e delle immobilizzazioni tecniche e dei servizi vari, da parte di imprese di qualsiasi tipo.

L’attività di approvvigionamento esiste in ogni tipo di impresa pubblica o privata, indu-striale, commerciale, bancaria o di servizi, di grandi o di piccole dimensioni, ecc.

Tuttavia, le modalità utilizzate per la sua attuazione sono molto differenti in relazione alla dimensione, al sistema di direzione e di organizzazione adottato, alle caratteristiche del pro-cesso produttivo, alla natura delle materie e dei materiali, ecc. Anche la complessità della fun-zione di approvvigionamento varia in conformità all’insieme di elementi diversi.

E’ quindi evidente la difficoltà di indicare con precisione le attività elementari che posso-no rientrare nella funzione di approvvigionamento.

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La funzione di approvvigionamento è strettamente connessa con altre funzioni dell’impresa (produzione, distribuzione, gestione scorte, amministrazione, ecc.) e i fatti am-ministrativi, che ne determinano il necessario collegamento, non sono facilmente scindibili e riferibili ad una sola di esse.

Per lo stesso motivo, in non pochi casi l’approvvigionamento si fa coincidere con l’atto materiale dell’acquisto, considerato in senso stretto. Di conseguenza c’è chi attribuisce un contenuto molto limitato e poca importanza agli approvvigionamenti, o li fa rientrare nell’ambito di qualche altra funzione dell’impresa (produzione o amministrazione). E’ però vero che, soprattutto nelle imprese di grande e media dimensione, si attribuisce alla funzione di approvvigionamento un’ampiezza tale da comprendervi, oltre che l’atto materiale di acqui-sto, pure altre importanti operazioni precedenti e successive.

Questa circostanza implica di per sé notevole rilevanza per la funzione di approvvigio-namento. Ciò appare giustificato da molte ragioni, tra le quali possono citarsi le seguenti: 1. l’approvvigionamento costituisce premessa indispensabile per l’attività produttiva di qual-

siasi impresa: l’interruzione del flusso di reperimento determina ovviamente l’arresto della produzione;

2. l’approvvigionamento non conforme ai requisiti voluti nel tempo, luogo, qualità, costo, de-termina notevoli conseguenze negative nella gestione, poiché può creare inconvenienti per diverse altre funzioni di impresa (produzione, distribuzione, amministrazione, finanzia-mento);

3. la continuità delle lavorazioni nel tempo presupposto per la riduzione del costo di produ-zione, è assicurata da un efficiente sistema di approvvigionamenti, in mancanza del quale la redditività della gestione non può essere soddisfacente;

4. i costi connessi con la funzione di approvvigionamento costituiscono, per molte imprese, la parte principale del costo complessivo;

5. l’approvvigionamento non ha avuto in passato un processo di razionalizzazione paragona-bile a quello di altre funzioni (produzione, gestione del personale, distribuzione) e pertanto, da una maggiore analisi dei suoi problemi e da una migliore attuazione delle attività, pos-sono ancora ottenersi rilevanti economie interne in molte imprese.

2.2. Forme di approvvigionamento

Nella pratica d’impresa i termini “approvvigionamento” e “acquisto” spesso si usano in-differentemente per indicare la stessa funzione o le stesse operazioni e, nelle imprese meno progredite, entrambi vengono riferiti “semplicemente all’atto di comperare un certo materiale ad un determinato prezzo”.

Le forme di approvvigionamento hanno le seguenti principali caratteristiche tecnico-economiche: a) Acquisto. E’ questo il modo più diffuso per attuare i rifornimenti dei fattori produttivi ma-

teriali, quello al quale quasi tutti gli Autori si riferiscono implicitamente quando esamina-no la teoria degli approvvigionamenti. E’ il tipo di rifornimento più complesso e conte-nente il maggior numero di operazioni elementari: comprende un intenso lavoro di prepa-razione, definizione, attuazione e controllo, che investe i vari settori dell’Ufficio preposto

•  Complesso delle attività necessarie per avere a disposizione, nel luogo e nel tempo stabiliti, le materie e i materiali di qualità, quantità e costi adeguati al conseguimento degli obiettivi dell'impresa

Approvvigionamento

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alla funzione di approvvigionamento, mentre le altre forme di rifornimento sono meno complesse e richiedono l’impegno di una sola parte dell’Ufficio stesso. È indubbio infatti che, quando l’approvvigionamento non avviene secondo la forma “dell’acquisto”, le com-petenze e le responsabilità dell’Ufficio diminuiscono e talvolta non esistono;

b) Apporto da parte del proprietario o dei proprietari dell’impresa. Questa forma di approv-vigionamento si verifica all’atto della costituzione o degli aumenti del capitale o in casi di fusione o trasformazione di imprese. Proprio perché connesso con momenti della vita dell’impresa che hanno particolare rilevanza giuridica, gli approvvigionamenti attuati per mezzo di apporti sono regolati da norme di legge e si svolgono in modo tale da rendere ir-rilevante l’azione dell’Ufficio acquisti, poiché vengono stabiliti dai più importanti organi dell’impresa. Ovviamente, anche in questi casi l’intervento dell’Ufficio preposto agli ap-provvigionamenti è pressoché nullo, poiché tempo, luogo, valore e modalità dell’operazione sono stabiliti sulla base di particolari obbiettivi, che prescindono dalla specifica attività dell’Ufficio stesso;

c) Costruzione in economia. Molte imprese industriali di medie e grandi dimensioni possono trovare conveniente la fabbricazione diretta di taluni materiali o attrezzi che servono per l’attuazione della produzione fondamentale . I motivi di convenienza possono essere con-nessi con particolari situazioni del mercato, ovvero, con la tendenza all’autosufficienza tecnico-produttiva dell’impresa. In realtà, taluni materiali o particolari attrezzi possono es-sere soggetti a variazioni di prezzo, di qualità, o di quantità, che creano nell’impresa ac-quirente gradi di rischio economico molto elevato, con conseguenti aggravi nel costo di produzione. Altre volte sono le caratteristiche produttive dell’impresa, ovvero la possibili-tà di conseguire economie interne, a indurre alla costruzione diretta di materiali o di parti-colari attrezzi. In molti casi, tale forma di approvvigionamento non determina un’effettiva riduzione dell’attività di acquisto perché, anziché i materiali o gli attrezzi, che costruisce direttamente, l’impresa deve acquistare le materie necessarie per tale costruzione;

d) Ottenimento da imprese collegate. Questo tipo di approvvigionamento si verifica, in modo particolare, quando due o più imprese integrate economicamente, cioè appartenenti allo stesso soggetto economico, hanno altresì le produzioni integrate in senso verticale, nel senso cioè che i prodotti ottenuti da una di esse costituiscono la materia prima per un’altra, che, a sua volta, ottiene prodotti utilizzabili da altra impresa per la trasformazio-ne, e così via. Il tipo di approvvigionamento di cui trattasi, non ha le caratteristiche so-stanziali dell’acquisto, neppure nei casi in cui motivi contabili o fiscali o giuridici induca-no a presentarlo come un acquisto. Comunque, l’ottenimento di materie e materiali da im-prese collegate non richiede da parte dell’Ufficio acquisti la responsabilità e l’impegno necessari per gli approvvigionamenti da economie esterne;

e) Rifornimento da particolari settori produttivi della stessa impresa. Questo tipo di approv-vigionamento si verifica per le imprese industriali, che dispongono di miniere o di attività operative agrarie, dalle quali ottengono le materie necessarie per il proprio ciclo produtti-vo. Il rifornimento da particolari settori produttivi della stessa impresa può essere diffe-renziato dai due tipi di approvvigionamento esaminati in precedenza (costruzione in eco-nomia e ottenimento da imprese collegate) per i seguenti motivi: 1) nel caso in esame, a differenza dell’approvvigionamento per costruzione in economia,

l’unità produttiva, che consente il rifornimento (miniera, impresa agraria), ha caratteri-stiche tecnico-produttive ben individuabili anche geograficamente e forme di organiz-zazione produttiva necessariamente ben distinte, rispetto alla struttura organizzativa principale. Ciò ovviamente comporta particolari conseguenze economicamente rile-vanti e richiede un grande impegno da parte dell’Ufficio acquisti dell’impresa. E’ pure rilevante la differenza relativa alla quantità e qualità dei beni approvvigionati. Infatti,

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in generale, la costruzione in economia si attua per materiali, per piccoli attrezzi e per imballaggi, e per quantitativi limitati. Invece, il rifornimento dai particolari settori produttivi della stessa impresa avviene per le materie prime e, spesso, per una quantità uguale al fabbisogno d’impresa;

2) le differenze principali tra il rifornimento dai particolari settori produttivi e l’ottenimento da imprese collegate sono relative a motivi di ordine legale e fiscale. In-fatti le imprese collegate, spesso, conservano individualità giuridica pur appartenendo allo stesso soggetto economico, al contrario dei diversi settori produttivi della stessa impresa. Da ciò derivano, nel caso di imprese collegate, particolari adempimenti giu-ridici e fiscali per taluni dei quali necessita l’opera dell’Ufficio che attua gli approvvi-gionamenti.

Anche dal breve esame fatto, si può dedurre che l’acquisto richiede, da parte dell’Ufficio preposto alla funzione di approvvigionamento, maggior impegno, responsabilità e competen-za rispetto alle altre forme di rifornimento. L’acquisto, inoltre, è evidentemente la forma di approvvigionamento più diffusa in pratica. Per tali motivi la teoria dell’approvvigionamento ha approfondito, in modo particolare, le attività connesse con l’acquisto. Non appare, quindi, ingiustificato che, quando ci si riferisce alla più importante forma di approvvigionamento, come avviene in questo testo, i termini “acquisto” e “approvvigionamento” si usino come si-nonimi.

2.3. Oggetto della funzione

Come rilevato in precedenza, lo studio degli approvvigionamenti viene riferito in modo particolare alle materie e ai materiali utilizzati nelle imprese industriali. In questo paragrafo pare opportuno, quindi, illustrare il concetto di “materie” e “materiali” e indicare le loro prin-cipali caratteristiche tecnico-economiche.

Secondo un significato generale, le “materie” sono i beni di origine animale, vegetale o minerale che devono essere trasformati prima dell’utilizzazione.

La “materia prima” può essere merceologicamente distinta nelle tre classi di materie, se-milavorati e prodotti finiti. La classificazione, pur valida per studi di merceologia, economia politica e statistica economica, origina qualche difficoltà di interpretazione, se utilizzata per analizzare le singole imprese: per esempio, “beni” che sono da considerare “semilavorati” sul-la base della precedente classificazione, costituiscono invece la materia dalla quale parte un’altra impresa per ottenere il prodotto da vendere ovvero il risultato dell’attività di trasfor-mazione. Così la farina è un bene che apparterrebbe alla classe dei “semilavorati” ma, se rife-rita all’industria molitoria, costituisce il suo prodotto finito.

La classificazione merceologica pertanto non appare soddisfacente per gli studi di Eco-nomia e gestione delle imprese ed è preferibile attribuire alla distinzione tra materie, semila-vorati e prodotti finiti un contenuto più propriamente dell’impresa. In tal modo con l’espressione “materie prime” vengono indicati i beni che nell’impresa considerata devono es-sere trasformati. I “semilavorati” sono le materie per le quali è già iniziato il ciclo di trasfor-mazione, il quale peraltro non è stato completato; questi beni non sono stati trasformati ancora in prodotti finiti e, in generale non sono ancora pronti per la vendita. I prodotti finiti, infine, si ottengono al termine del ciclo di trasformazione e sono destinati alla vendita.

Sulla base di tale classificazione, in ogni impresa industriale si individuano le materie, i semilavorati e i prodotti finiti. Ovviamente le materie di un tipo d’impresa sono prodotti finiti per le imprese che si trovano nella fase precedente del ciclo di trasformazione industriale dei beni. La farina, citata in precedenza, è materia per il pastificio o per l’impresa dolciaria e pro-dotto finito per l’industria molitoria.

Per le imprese che operano nella prima fase del ciclo generale di trasformazione indu-

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striale, i beni da considerare “materie prime”, secondo questa classificazione, sono gli stessi “materiali di base” che si ottengono dalle attività produttive primarie (minerarie e agricole) e che vengono indicate come “materie prime”, anche sulla base della classificazione merceolo-gica.

In definitiva, può affermarsi che le “materie prime”, sono i beni di qualsiasi provenienza, che nell’impresa considerata devono essere sottoposti a processi di trasformazione fisica, chimica o meccanica (conglobamento, montaggio, frazionamento, ecc.), tali da impegnare i macchinari o gli impianti industriali, al fine di ottenere il prodotto da vendere.

Anche a causa del crescente sviluppo tecnologico, le imprese industriali moderne nor-malmente utilizzano più di una materia per lo stesso ciclo produttivo, cioè per ottenere uno stesso prodotto. In tali casi si distingue tra “materie prime” e “materie sussidiarie” e, con quest’ultima espressione, si indicano i beni che, rispetto alla materia principale, si usano in piccole quantità, ovvero quelli il cui valore è esiguo.

Una siffatta distinzione risulta praticamente irrilevante, perché l’approvvigionamento del-le materie sussidiarie origina, in generale, gli stessi problemi dell’approvvigionamento delle materie prime.

Inoltre, la differenza di quantità o di valore fra le diverse materie utilizzate per il ciclo produttivo, spesso è limitata e quindi non è possibile, né utile, distinguerle in materie prime e materie sussidiarie.

I materiali, considerati come oggetto della funzione di approvvigionamento, sono i beni, che, anche se non entrano direttamente nella formazione del prodotto, sono indispensabili per la sua fabbricazione (utensili, pezzi di ricambio, lubrificanti), o per il suo condizionamento (imballaggi), o per la sua distribuzione (carburante, lubrificanti, attrezzi e pezzi di ricambio per gli automezzi), ovvero per l’attività amministrativa dell’impresa (cancelleria, stampanti, ecc.).

Possono costituire oggetto di approvvigionamento anche prodotti finiti e semilavorati. I prodotti finiti possono essere acquistati per due diversi motivi:

a) per essere utilizzati direttamente, cioè senza ulteriore trasformazione, come parte del pro-dotto finito dell’impresa (motori, accessori vari per macchine e attrezzi, per automezzi, ecc.);

b) per soddisfare le richieste dei clienti, le quali non possono essere “coperte” con la propria attività produttiva. Questa condizione si può verificare per tre tipi di cause di carattere ge-nerale: 1) cause di interna gestione: eventi dannosi possono ridurre la capacità produttiva

dell’impresa e, quindi, non consentire di attuare il ciclo di lavorazione sulla base dei programmi prestabiliti. tra i prefati eventi possono farsi rientrare i gravi danni ai mac-chinari e gli scioperi dei propri dipendenti;

2) cause connesse con i mercati di approvvigionamento: improvvisi blocchi alle forniture, che non siano stati previsti o, comunque, “coperti” con apposite scorte, possono deter-minare interruzioni o riduzioni della produzione. Possono originare uguali conseguenze negative pure gli scioperi dei dipendenti di imprese, che forniscono servizi vari necessa-ri per la produzione. Tuttavia, tra le cause di cui trattasi, particolare rilevanza hanno quelle connesse con eventi di natura politico – internazionale (guerre, crisi politiche, ecc.);

3) cause connesse con il mercato di vendita: dilatazioni della domanda non previste o, co-munque, non fronteggiabili con la propria offerta, possono indurre l’impresa che non voglia “perdere” i propri clienti ad acquistare i prodotti finiti da imprese concorrenti e soddisfare, in tal modo, le richieste. Ciò si verifica soprattutto quando la dilatazione del-la domanda appare temporanea, ovvero durante il periodo che precede l’adeguamento

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della capacità produttiva alla nuova condizione di mercato. Come i prodotti finiti, talvolta anche i “semilavorati” possono costituire oggetto

dell’attività di approvvigionamento dell’impresa industriale. Ciò avviene quando si verificano le cause di interna gestione, ovvero quelle connesse con il mercato degli approvvigionamenti, indicate in precedenza a proposito dell’acquisto dei prodotti finiti.

E’ indubbio che le materie prime e sussidiarie ed i materiali costituiscono l’oggetto fon-damentale della funzione di approvvigionamento: i rifornimenti di semilavorati e di prodotti finiti derivano da situazioni affatto eccezionali e possono considerarsi poco importanti per la gestione delle imprese. Per tale motivo, nelle pagine seguenti si fa riferimento solo agli acqui-sti di materie e materiali.

2.4. Politiche di approvvigionamento generali

Secondo un’eccezione di carattere generale, con l’espressione “politiche dell’impresa” si indica l’insieme di norme che indirizzano l’azione degli organi dell’impresa verso il conse-guimento degli obiettivi prestabiliti.

Pertanto, per politiche di approvvigionamento deve intendersi il complesso dei principi che, unitamente alle procedure ad essi relative, orientano nel modo voluto il conseguimento degli obiettivi della funzione di approvvigionamento.

Inoltre, possono individuarsi particolari politiche in relazione alla qualità, alla quantità, luogo, tempo e costo di approvvigionamento delle materie e dei materiali.

Le politiche di approvvigionamento condizionano le altre politiche settoriali e ne sono condizionate: se si utilizza una politica tendente a conseguire la migliore qualità delle materie da acquistare, pure la qualità dei prodotti, a parità di altre condizioni, tende ad essere ottima. Peraltro, se, in conformità al prezzo fissato per la vendita dei prodotti, questi devono avere un costo di produzione basso, a parità delle altre condizioni, la qualità della materia da acquistare non può essere molto buona: quindi le politiche di approvvigionamento connesse con la quali-tà delle materie da acquistare devono uniformarsi a tale condizione e anche le politiche di ap-provvigionamento relative agli altri obiettivi (tempo, quantità, luogo e costo) subiscono evi-denti condizionamenti.

Ciascuna delle politiche di approvvigionamento influenza non solo le altre politiche del settore, ma pure le altre politiche dell’impresa, le quali peraltro condizionano, a loro volta, le politiche di approvvigionamento. Risulta, quindi, evidente che, come le operazioni dell’impresa, anche le politiche che le indirizzano devono essere coordinate tra loro in modo da costituire un insieme unitario nel tempo e nello spazio.

Le politiche d’approvvigionamento sono più strettamente connesse con le politiche delle vendite e con quelle finanziarie, piuttosto che con le altre politiche dell’impresa.

In generale, le politiche, che si formulano nelle imprese industriali per l’approvvigio-namento delle materie e dei materiali, possono essere relative a: 1. forma di approvvigionamento; 2. fornitori; 3. quantità da acquistare; 4. canali di approvvigionamento.

Ciascuno di tali punti costituisce oggetto di particolari politiche di approvvigionamento che vengono illustrate distintamente nei prossimi punti.

2.5. Scelta della migliore forma di approvvigionamento

In precedenza si è notato che esistono le seguenti forme di approvvigionamento delle ma-terie e materiali: a) acquisto;

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b) apporto; c) costruzione in economia; d) ottenimento da imprese collegate; e) rifornimento da particolari settori produttivi della stessa impresa.

In pratica, la scelta tra le varie forme di approvvigionamento può essere fatta, di norma solo tra “acquistare” e “costruire in economia”, in quanto le altre forme sono relative a parti-colari situazioni dell’impresa e difficilmente si presentano come alternative.

Una scelta corretta tra le due forme indicate richiede, preliminarmente la conoscenza di due dati da confrontare: a) il costo da sostenere per la produzione interna o diretta; b) il prezzo di mercato.

Se nessun altro elemento influisce, viene scelta la soluzione che rende massima la diffe-renza tra prezzo e costo.

Anche nel semplice caso sopra prospettato, vi sono varie difficoltà da superare, in merito all’esatta determinazione dei due dati da confrontare. Per una soluzione soddisfacente del problema, il costo della produzione diretta deve essere rettificato in relazione alla possibilità di sfruttare i fattori produttivi in modo più economico: una produzione integrata con l’attività precedente dell’impresa consente un suo sviluppo verticale, che determina il conseguimento di notevoli economie di scala.

Nel contempo, è necessario considerare che i costi connessi con l’approvvigionamento della materia, che determina la scelta, vengono sostituiti in vario modo da quelli occorrenti per l’acquisto della materia o del materiale per attuare la nuova fabbricazione.

Anche il prezzo di mercato utilizzato per il confronto, viene sottoposto ad opportune retti-fiche: infatti per attuare l’acquisto, oltre che i costi diretti della materia, si sostengono quote di costi connesse con il funzionamento dell’apposito servizio di approvvigionamento

Pertanto, anche nel caso in cui la scelta tra acquistare e fabbricare possa farsi confrontan-do il prezzo di mercato e il costo di produzione, permane un ampio margine di incertezza, che costituisce la causa di molti rischi.

Le difficoltà della scelta, normalmente, sono maggiori di quelle sin qui prospettate perché in pratica vengono considerati altri elementi, che possono influire sull’adozione della forma di approvvigionamento. Uno di questi è relativo al tipo di processo produttivo da attuare per fabbricare la materia o il materiale: se le caratteristiche di tale processo sono completamente diverse da quelle del processo già esistente e tali da richiedere competenze e perizie difficil-mente conseguibili, risulta evidente che è preferibile acquistare anziché produrre.

Inoltre, la produzione diretta può essere preferita perché determina i seguenti vantaggi: a) ottenimento di materie e materiali aventi particolari qualità che non si trovano nel mercato

di approvvigionamento; b) possibilità di disporre di materie e materiali la cui qualità sia uniforme nel tempo, cioè non

soggetta a variazioni derivanti da modifiche che, talvolta, i fornitori apportano indipen-dentemente dalla volontà dei clienti;

c) sicurezza nei rifornimenti, che risultano più svincolati dall’andamento del mercato di ap-provvigionamento;

d) necessità di superare gli inconvenienti connessi con particolari condizioni di mercato quali accordi tra fornitori per l’imposizione di prezzi elevati (price pool), situazione di monopo-lio, mancanza o scarsezza della materia o del materiale, ecc.;

e) coordinamento tra ritmi di approvvigionamento e ritmi della produzione, che si riesce ad attuare con maggiore difficoltà se si adotta la forma dell’acquisto, a causa di possibile inefficienza dei fornitori, o di difficoltà varie che possano influire in modo particolare quando l’approvvigionamento deve essere effettuato in aree molto distanti dall’ubicazione

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dell’impresa. I maggiori vantaggi che si ottengono con l’approvvigionamento per mezzo dell’acquisto

sono i seguenti: a) possibilità di disporre di materie e materiali sempre migliori. I fornitori specializzati, in-

fatti, hanno maggior propensione ad applicare i nuovi processi tecnici per le loro produ-zioni, più di quanto ne abbia un’impresa, che attua la fabbricazione come attività seconda-ria e che, comunque, per quella produzione non subisce concorrenza. Per le stesse ragioni, inoltre, i fornitori già operanti possono avere maggiore competenza tecnica e possibilità di attuare e utilizzare nuovi brevetti; più in generale, possono trovarsi in condizioni di mag-giore efficienza tecnico – produttiva e, quindi, produrre materie e materiali sempre miglio-ri o meno costosi;

b) minor rigidezza della funzione di approvvigionamento. La funzione di produzione, poiché presuppone l’uso di immobilizzazioni tecniche, determina la rigidezza dell’impresa indu-striale. Se l’approvvigionamento si attua per mezzo della forma di fabbricazione diretta il grado di rigidezza dell’impresa aumenta. Al contrario, l’acquisto consente di adattare l’approvvigionamento alle reali esigenze dell’impresa, in relazione alla qualità e quantità delle materie e materiali occorrenti, ai tempi di rifornimento e alle altre varie condizioni. L’implicazione delle precedenti considerazioni è che tanto per l’acquisto che per la pro-

duzione diretta, possono verificarsi importanti vantaggi e, quindi, non si può indicare la forma di approvvigionamento che sia valida in ogni caso. L’impresa che effettua la scelta confronta i vantaggi e gli inconvenienti riferibili alla propria gestione, attribuisce un particolare “peso” a ciascuno di essi e, quindi, sceglie la forma di approvvigionamento più conveniente.

Esistono casi in cui la scelta non è possibile, in quanto l’impresa deve necessariamente procedere all’approvvigionamento per acquisto: ciò si verifica, per esempio, se la materia è prodotta in condizioni di monopolio privato o pubblico, che non si può evitare per divieto di legge, ovvero perché il produttore è in possesso di brevetto.

2.6. Politiche relative ai fornitori

Particolarmente importanti sono le politiche di approvvigionamento che orientano la scel-ta dei fornitori e il tipo di rapporti commerciali da instaurare con essi.

Le caratteristiche tecnico – economiche dei fornitori hanno grande influenza per il conse-guimento della massima efficienza ed efficacia del servizio approvvigionamenti ed è, pertan-to, necessario predisporre idonee politiche, che indichino con precisione i principi da seguire nella fase di scelta dei fornitori potenziali;

Criteri di scelta dei fornitori potenziali.

E’ opportuno esaminare distintamente ciascuno degli elementi indicati.

1) Caratteristiche tecnico – economiche dei fornitori da preferire. Le politiche relative alle caratteristiche tecnico – economiche dei fornitori si propongono

•  Caratteristiche tecnico-economiche dei fornitori

•  Ubicazione dei fornitori •  Numero dei fornitori

Criteri di scelta

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di indicare i criteri generali per la loro scelta, sulla base della dimensione, struttura produttiva, efficienza, ecc. In altre parole, si stabilisce se è preferibile instaurare rapporti commerciali con fornitori aventi ottime caratteristiche tecnico – economiche, ovvero con fornitori poco effi-cienti.

La scelta di cui trattasi è possibile se i fornitori di ciascuna delle due categorie possono rispettare i limiti minimi stabiliti in relazione a tempo, luogo, costo, qualità e quantità delle forniture. Quindi, essa è possibile a parità di tali condizioni.

Le principali considerazioni che orientano la scelta di cui sopra sono le seguenti. Le imprese con ottime caratteristiche tecnico – economiche, più facilmente delle altre,

possono consentire agevolazioni creditizie ai propri clienti e questo elemento può essere de-terminante per la scelta da parte delle piccole imprese acquirenti che spesso ricorrono al credi-to mercantile soprattutto perché hanno difficoltà per l’ottenimento del credito bancario.

Ancora, le imprese migliori possono garantire forniture di qualità elevata e costante nel tempo. Questo elemento è di grande importanza, al fine della scelta del fornitore, soprattutto per le imprese industriali che producono strumenti di precisione o, comunque, beni la cui qua-lità è strettamente connessa con le materie e i materiali che utilizzano. E’ pure importante per le imprese operanti in settori soggetti a continui progressi tecnologici: solo le grandi imprese fornitrici offrono garanzia di essere artefici delle innovazioni o, comunque, di adottare tempe-stivamente le nuove scoperte anche a vantaggio dei propri clienti.

Altro elemento, che può indurre a preferire fornitori più efficienti, è quello relativo alla quantità delle forniture. Se l’impresa ha necessità di effettuare acquisti di quantità elevata e non uniforme nel tempo, la scelta viene fatta in favore dei fornitori con caratteristiche tecnico – economiche più soddisfacenti, perché per essi è più agevole soddisfare le mutevoli esigenze degli acquirenti. L’elemento di cui trattasi viene valutato con particolare attenzione dalle im-prese che lavorano su commessa e che, pertanto, sono più delle altre soggette a rifornimenti variabili nel tempo.

Gli elementi positivi prospettati in precedenza, talvolta possono non essere sufficienti per indurre ad indirizzare la scelta dei fornitori tra le imprese con caratteristiche tecnico – econo-miche ottime. La piccola impresa, spesso, preferisce avere rapporti d’affari con i fornitori di analoga dimensione, perché ad essi può imporre più facilmente le proprie condizioni di nego-ziazione. Anche imprese medie e grandi talvolta preferiscono indirizzare la scelta dei fornitori tra le piccole imprese. Ciò, per esempio, può avvenire perché le altre imprese fornitrici fanno parte di gruppi economici concorrenti, ovvero perché le materie o i materiali occorrenti hanno caratteristiche particolari e vengono fabbricati solo da piccole imprese create appositamente per soddisfare tali esigenze.

2) Ubicazione dei fornitori.

Altro elemento da considerare per la scelta dei fornitori è costituito dalla loro ubicazione. Molte ragioni possono indurre a scegliere fornitori operanti nella stessa zona di influenza dell’impresa acquirente.

Su tali fornitori è relativamente facile ottenere informazioni tempestive e ciò, ovviamen-te, agevola le scelte economiche dell’impresa acquirente, in quanto le consente di presentarsi alla trattativa con ogni utile notizia in merito alle possibilità dell’impresa fornitrice.

Ancora, la vicinanza consente risparmi di costo. Infatti, la minor distanza tra la fabbrica dell’impresa fornitrice e i magazzini dell’impresa acquirente, determina innanzi tutto evidenti riduzioni delle spese di trasporto che, in tal modo, incidono in minor misura sul costo della fornitura. Altre riduzioni di costo, talvolta ben più importanti, sono connesse con la possibilità di ridurre la scorta minima di materie e materiali. La vicinanza dell’impresa fornitrice consen-te di diminuire il tempo tra l'emanazione dell’ordine e il ricevimento della fornitura e, quindi,

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il “tempo di riapprovvigionamento”. Nello stesso modo, la quantità di materie e materiali da vincolare per fronteggiare i rischi

connessi con i ritardi, può essere ridotta al minimo. Infatti i ritardi derivanti dal trasporto sono limitati e, comunque, possono essere comunicati con la massima tempestività.

La vicinanza rende più agevoli anche i “solleciti” della impresa acquirente e, quindi, con-sente di eliminare o minimizzare taluni ritardi derivanti da cause estranee al trasporto.

Risulta, quindi, evidente la possibilità di risparmi di costo in relazione agli immobilizzi di capitali impiegati nelle scorte.

La scelta di fornitori operanti nella stessa zona può essere utile pure per motivi connessi con la necessità di contribuire allo sviluppo economico della zona nella quale si svolge l’attività. Le imprese, infatti, hanno interesse ad agire in un ambiente economicamente evolu-to, nel quale, oltre che le infrastrutture basilari, siano presenti altre imprese valide, mano d’opera specializzata, tecnici e dirigenti preparati, imprese del settore terziario, che garanti-scono la prestazione dei servizi e che si assumano i rischi propri dell’attività commerciale.

A tal fine, pertanto, molte imprese preferiscono stipulare i contratti di acquisto con im-prese operanti nella stessa zona, in modo da favorire il loro sviluppo.

La scelta dei fornitori con tale ubicazione, talvolta, viene fatta pure per motivi di “pubbli-che relazioni”. Un’impresa che compie operazioni commerciali con le altre imprese locali è sicuramente apprezzata dagli uffici e enti pubblici (politici e amministrativi) ai quali più spes-so deve rivolgersi. Inoltre, anche i consumatori possono essere indotti a scegliere i prodotti delle imprese che partecipano attivamente allo sviluppo economico della loro zona, a causa della preferenza che essi attribuiscono ai rapporti commerciali con imprese locali.

In tal modo, può crearsi intorno all’impresa un “clima” favorevole, che facilita la solu-zione dei problemi di carattere ambientale.

3) Numero dei fornitori.

Altro elemento da considerare all’atto della formulazione delle politiche relative alla scel-ta dei fornitori è costituito dal numero delle imprese con le quali attuare le negoziazioni.

Si tratta di stabilire se è opportuno ridurre al minimo il numero dei fornitori, ovvero in-staurare rapporti d’affari col maggior numero possibile di essi e, al limite, ripartire la quantità da acquistare attribuendone una quota a ciascuna impresa fornitrice appartenente a un gruppo prescelto. Il più importante scopo di una politica di approvvigionamento tendente a ridurre il numero dei fornitori è di carattere strettamente economico: riducendo il numero di fornitori risultano maggiori le “partite” acquistate da ciascuno di essi ed è, pertanto, possibile ottenere forti sconti connessi con l’elevata quantità della fornitura.

Altro scopo che si consegue con tale politica, è la instaurazione di importanti vincoli commerciali, che inducono i fornitori prescelti a usare sistemi di vendita favorevoli in rela-zione al costo, alle dilazioni di pagamento, alla tempestività della consegna, e a ogni altra modalità delle forniture.

Peraltro, il frazionamento degli acquisti tra più imprese può essere realizzato al fine di ri-durre i rischi di mancata fornitura. Infatti, nel caso che particolari eventi dannosi dovessero impedire improvvisamente l’attuazione dell’ordine da parte di un fornitore, l’impresa acqui-rente avrebbe la possibilità di ottenere il rifornimento dagli altri suoi fornitori, con i quali in-trattiene normali rapporti commerciali.

La politica di suddivisione degli acquisti tra più imprese può pure essere attuata al fine di porre in concorrenza tra loro i fornitori e, quindi, di ottenere sistematicamente le migliori condizioni. Tale politica, inoltre, introduce nel sistema degli approvvigionamenti elementi di fluidità, indubbiamente positivi per ridurre la rigidezza dell’impresa: la possibilità di scelta tra più fornitori e di reciproca sostituibilità tra di essi può essere considerata uno strumento irri-

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ducibile per adattare le caratteristiche di approvvigionamento alle mutevoli esigenze dell’impresa.

2.7. Politiche per la quantità da acquistare

In relazione alla quantità da acquistare, le politiche dell’impresa possono ispirarsi ai se-guenti criteri generali: a) stabilire le quantità da acquistare sulla base delle esigenze periodiche, limitando al mas-

simo le scorte di magazzino; b) effettuare gli acquisti in relazione alle condizioni di mercato.

Nel primo caso, si intendono conseguire le economie della funzione di approvvigiona-mento, riducendo al massimo i costi connessi con la giacenza di materiale e materiali, mentre con il secondo tipo di politiche, oltre che ridurre i costi delle materie e dei materiali per mezzo dello sfruttamento delle congiunture del mercato, si intendono talvolta conseguire utili con la vendita di una parte o di tutta la materia acquistata.

Le politiche, che si propongono di minimizzare le scorte, si estrinsecano in acquisti riferi-ti alle esigenze immediate, ovvero al fabbisogno di un determinato periodo: si tratta di acqui-sti programmati che tendono a “ridurre al minimo i costi inerenti al trasferimento delle gia-cenze nel tempo”.

Tale tipo di politiche è particolarmente vantaggioso per le imprese che utilizzano materie facilmente deperibili e soggette a esigue variazioni di prezzo nel tempo. E’ pure da preferire per le imprese che abbiano mezzi finanziari a disposizione e per quelle che utilizzano materie o materiali la cui conservazione sia molto onerosa.

Le politiche tendenti a sfruttare le oscillazioni dei prezzi delle materie sono utilizzate in misura limitata. Esse comprendono essenzialmente gli acquisti speculativi, che sono tipici delle attività mercantili, anziché di quelle industriali

Gli acquisti speculativi richiedono condizioni diverse rispetto a quelle ottenibili sulla ba-se delle tipiche caratteristiche tecnico – economiche delle imprese industriali. Infatti, queste imprese conseguono i loro redditi per mezzo dell’attività di trasformazione, e, in tal senso, le attività di acquisto delle materie e di vendita dei prodotti, seppure di grande importanza, sono sussidiarie rispetto ad essa.

Le imprese industriali, inoltre predispongono un sistema distributivo conforme alle carat-teristiche dei prodotti da vendere. E questo può essere non idoneo a garantire la vendita delle stesse materie acquistate, per la quale occorrono, in generale, tecniche e politiche differenti.

E’ pure da notare che gli acquisti speculativi originano rischi di oscillazione dei prezzi, che non possono essere facilmente fronteggiati dalle imprese industriali: tali acquisti richie-dono previsioni di andamento dei costi delle materie ed elasticità tecnico – economica, che sono normalmente estranee alle condizioni in cui agisce l’impresa industriale, la quale, al con-trario, tende a limitare tali rischi con varie tecniche.

2.8. Criteri di scelta dei canali di approvvigionamento

Le politiche di approvvigionamento devono svolgere la loro funzione orientatrice anche relativamente alla scelta delle “vie” attraverso le quali si ottiene il rifornimento.

I “percorsi commerciali” che i beni devono compiere per giungere all’impresa acquirente possono definirsi “canali di approvvigionamento”.

L’impresa industriale, di norma, acquista le materie e i materiali dalle seguenti fonti: a) direttamente dai produttori; b) da grossisti; c) per mezzo di commissionari.

Nel caso che si acquisti direttamente dall’impresa produttrice si utilizza uno dei seguenti

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canali di approvvigionamento: 1) produttore – acquirente; 2) produttore – ausiliario – acquirente; 3) produttore – ausiliario – ausiliario – acquirente.

Il canale di cui al numero 1) è indubbiamente il più semplice e viene prescelto, in modo particolare, nei casi in cui venga adottata la politica esaminata nelle pagine precedenti di pre-ferire i fornitori locali.

Gli acquisti attraverso l’ausiliario possono essere distinti in due categorie, in quanto que-sti può operare in modo sistematico a favore dell’impresa produttrice ovvero dell’impresa ac-quirente. Gli ausiliari in esame possono essere agenti o rappresentanti.

Anche il canale indicato al numero 3) (produttore – ausiliario – ausiliario – acquirente) può avere diverse configurazioni a seconda che il rappresentante e l’agente siano in rapporto duraturo con il produttore o con l’acquirente.

Se l’acquisto si attua da grossisti, si può scegliere uno tra i seguenti canali di approvvi-gionamento: 1) produttore – grossista – acquirente; 2) produttore – grossista – ausiliario – acquirente; 3) produttore – ausiliario – grossista – acquirente; 4) produttore – ausiliario – grossista – ausiliario – acquirente; 5) produttore – ausiliario – ausiliario – grossista – acquirente;

Come si può notare, dalla parziale elencazione presentata, la posizione degli ausiliari (agente e rappresentante) può essere varia e influire sul percorso commerciale delle materie e dei materiali. Inoltre è da notare, che i prefati ausiliari possono essere collaboratori del pro-duttore, del grossista o dell’acquirente e, quindi, al limite, se ciascuno di tali operatori utilizza ausiliari, il trasferimento avviene attraverso un canale del seguente tipo, che, per maggior evi-denza, viene indicato in senso verticale: A produttore; B ausiliario di vendita del produttore; C ausiliario di acquisto del grossista; D grossista; E ausiliario di vendita del grossista; F ausiliario d’acquisto dell’acquirente; G acquirente.

L’acquisto da commissionari viene effettuato soprattutto per le materie prime di vasto mercato e che richiedono la formazione di partite omogenee.

L’acquisto di cui trattasi può essere attuato per mezzo dei seguenti canali di approvvigio-namento: - produttore – commissionario – acquirente; - produttore – grossista – commissionario – acquirente; - produttore – commissionario – grossista – acquirente.

Anche in questi casi possono inserirsi gli ausiliari del produttore, del grossista, del com-missionario e dell’acquirente e originare, in tal modo, una articolazione più lunga e complessa del trasferimento di materie e materiali dal produttore all’acquirente.

E’ da notare infine che le imprese, talvolta, effettuano acquisti da dettaglianti locali. In questi casi, il canale di approvvigionamento può assumere una forma ancora più complessa. Gli acquisti da dettaglianti, quando non sono relativi a pochi materiali di scarsissima impor-tanza, denotano situazioni di inefficienza del settore di approvvigionamento: infatti possono essere originati da improvvise deficienze di scorte, ovvero da ritardi delle normali forniture.

Le politiche di approvvigionamento tendenti ad originare la scelta del canale di acquisto

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più opportuno sono influenzate da diversi fattori che, talvolta, limitano le alternative di scelta del canale stesso.

Tra le condizioni di carattere generale che in varia misura agiscono sulla scelta del canale di acquisto di ogni impresa sono da notare, in modo particolare, le seguenti: a) natura merceologica della materia o dei materiali da acquistare; b) condizioni tecnico – economiche delle imprese produttrici; c) struttura del sistema commerciale nell’ambito del quale si deve operare.

La natura merceologica delle materie di trasformazione costituisce una prima base per la scelta dei diversi canali d’acquisizione. Le imprese industriali che operano nel settore dei pro-dotti alimentari difficilmente possono approvvigionarsi direttamente dal produttore. Le pro-prietà intrinseche di taluni prodotti agricoli e la produzione assai frazionata, comportano la necessità di un lavoro di una prima manipolazione e conservazione che determinano l’inserimento, tra l’impresa acquirente e i vari produttori, di operatori, che svolgono un lavoro capillare di raccolta e spedizione verso mercati locali e provinciali. È assai difficile che l’impresa industriale disponga di una organizzazione di raccolta efficiente, oltre che in rela-zione alle caratteristiche merceologiche del bene, anche in virtù del notevole valore intrinse-co, che il bene stesso può avere. In quest’ultimo caso l’impresa deve sostenere un forte im-mobilizzo finanziario non adeguato alla sua struttura tecnico – produttiva, per cui preferisce utilizzare il canale di acquisizione non diretto. Si utilizza invece il canale produttore – acqui-rente nei casi in cui i beni oggetto d’acquisto abbiano un valore unitario piuttosto basso.

Le condizioni tecnico – economiche dell’impresa produttrice hanno particolare importan-za per la scelta dei canali d’acquisizione.

Anche la distanza o, meglio, l’ubicazione delle fonti d’approvvigionamento rispetto all’impresa industriale influisce sui canali di acquisizione. La notevole distanza può, nella maggior parte dei casi, causare la interposizione di persone e organizzazioni tra impresa uti-lizzatrice e fonti produttive.

Tra i fattori di carattere generale, anche la struttura del sistema commerciale nell’ambito del quale si deve operare, ovvero l’estensione dei punti in cui l’impresa può approvvigionarsi, influiscono sulla scelta dei canali d’acquisizione. È da supporre preferibile un canale diretto, in quei sistemi dove esiste una certa capillarità dei punti di vendita delle materie, dove queste sono facilmente reperibili in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, talché non esiste il ri-schio di non continuità del processo produttivo. Se, al contrario, l’offerta di materie da tra-sformare è concentrata in pochi punti di vendita, che non assicurano un regolare flusso verso l’impresa industriale, è da ritenere che occorra l’interposizione di persone o gruppi commer-ciali, che funzionino da equilibratori nel tempo e nello spazio della domanda e dell’offerta.

Emerge che l’impresa industriale può scegliere tra diversi canali, alcuni meno onerosi di altri, ma, in realtà, anche meno efficienti. Ovviamente fra tutte le possibili alternative, che si presentano, viene scelta quella che assicura maggior redditività; tuttavia è alquanto difficile precisare ulteriormente i criteri che orientano la scelta del canale di acquisizione, in quanto, oltre ai fattori sopra illustrati, è necessario, in concreto, considerare le molte condizioni parti-colari, che possono influire sulla tendenza alla maggiore efficienza e efficacia.

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VI.3. La produzione2 3.1. Funzione di produzione nella gestione industriale: il sistema operativo.

La funzione di produzione assume caratteristiche molto differenti da impresa a impresa, differenziandosi soprattutto nel caso della produzione di beni o servizi. La prima richiede ge-neralmente un impianto complesso, costituito da immobili industriali, macchine e attrezzatu-re; la seconda si avvale principalmente del lavoro umano e comporta un limitato impiego di immobilizzazioni. Inoltre, a differenza dei beni, i servizi sono intangibili e difficilmente con-servabili, con la conseguenza che i problemi di allestimento della capacità di produzione e di stoccaggio si pongono con gradi di difficoltà molto diversi. L’impossibilità di immagazzinare i servizi rende più complesso il problema della dimensione dell’impianto a causa dell’inesistenza del volàno delle scorte, mentre nell’ipotesi di produzione di beni l’allestimento di strutture di magazzinaggio consente di abbassare il grado di inutilizzo dell’impianto.

È chiaro, comunque, che soprattutto nell’impresa industriale i problemi della produzione assumono un ruolo prioritario sia per i riflessi direttamente esercitati sulla strategia competiti-va sia per l’incidenza assunta dai costi di produzione nel conto economico aziendale.

Per poter produrre dei beni occorre allestire uno stabilimento, organizzare le maestranze, predisporre le procedure di programmazione dei cicli di produzione e di controllo dei prodotti semilavorati e finiti, creare i servizi a supporto della fabbrica: tutto ciò comporta cospicui in-vestimenti finanziari e organizzativi.

A causa dell’orientamento nel lungo termine delle scelte da formulare e della loro diffici-le reversibilità, emerge, dunque, chiaramente il carattere strategico della maggior parte delle decisioni afferenti a questa particolare area della gestione.

La funzione di produzione riguarda il processo di trasformazione dei beni, cioè il com-plesso di operazioni mediante il quale le risorse acquistate dall’impresa (materie prime, ausi-liarie, semilavorati, ecc.) sono tramutate in prodotti finiti da collocare nel mercato. Il ciclo produttivo si pone, pertanto, al centro del processo di gestione, dovendo essere preceduto dal-la fase degli approvvigionamenti e seguito da quella delle vendite.

La funzione di produzione è strettamente collegata alle altre funzioni aziendali. Il rappor-to con la funzione di approvvigionamento è necessario per la corretta e tempestiva alimenta-zione delle linee di produzione; quello con la funzione commerciale è di duplice ordine, sia per la necessità di indirizzare la produzione secondo le tendenze di mercato, sia per porre in fase il ciclo di produzione e quello di vendita; il rapporto con la funzione finanziaria è molto stretto sotto il profilo della programmazione del fabbisogno di capitale fisso e circolante; e così il discorso potrebbe proseguire accennando alle relazioni con la funzione di ricerca e svi-luppo, del personale, ecc.

Le scelte di produzione si collocano nell’ambito delle strategie aziendali, senza scordare che accanto al profilo strategico va attentamente considerato quello più puramente operativo, incentrato in prevalenza sui problemi di logistica industriale. La produzione si svolge, infatti, secondo cicli che debbono essere coordinati nelle fasi di predisposizione degli input, di tra-sformazione e di ottenimento degli output.

La logistica in entrata, riguardante l’approvvi-gionamento e la gestione delle scorte di materie; il processo di lavorazione; e la logistica in uscita (gestione delle scorte di prodotti e distribuzione commerciale) si legano, dunque, in un sistema operativo, che diviene il sistema centrale di gestione. Il punto cardine dell’efficienza dell’intero sistema operativo aziendale è rappresentato, come si è detto, dal coordinamento tra i processi d’approvvigionamento, di                                                                                                                          2    Questo punto è realizzato avvalendosi di alcuni paragrafi – con modificazioni - del capitolo 18 del testo di S.

Sciarelli, Economia e gestione dell’impresa, Volume secondo, La gestione operativa dell’impresa, II edizione, Cedam, Padova, 2002.

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produzione e di vendita. Questo coordinamento che sarebbe di tipo solo temporale nell’ipotesi di unicità del prodotto da realizzare, si complica notevolmente a causa della varietà del mix produttivo. La necessità di offrire una gamma di prodotti al consumatore o utilizzatore richie-de che siano coordinati non solo i tempi dei tre processi, ma anche gli assortimenti e le quote di produzione dei vari beni. Il coordinamento assume, quindi, aspetti quali-quantitativi, con-cretandosi nel disciplinare i flussi di approvvigionamento e di lavorazione relativi ai vari pro-dotti in funzione prevalentemente delle esigenze di mercato.

Tenere raccordati nel tempo e nelle quantità questi flussi significa ridurre i tempi e i costi di funzionamento dell’intero sistema operativo: il risultato è quello di migliorare il time-to-market, di ridurre gli immobilizzi in scorte, di comprimere i tempi d’ozio dei vari fattori pro-duttivi.

Ai fini del processo produttivo possono pesare diversamente la ricerca, il capitale e il la-

voro. Vi sono, infatti, le produzioni ad elevata tecnologia (high-tech) per le quali la prossimità ai centri di ricerca e, più in generale, al mondo della cultura tecnica, rappresenta un elemento di fondamentale vantaggio; quelle che sono attuate per grandi serie (produzioni di massa), per le quali il fattore essenziale è il capitale necessario per l’allestimento di impianti altamente au-tomatizzati; e, infine, vi sono le produzioni a maggiore contenuto artigianale o comunque quelle che richiedono un più significativo apporto di lavoro umano. Mentre, come detto, per le produzioni high-tech appare preferibile l’insediamento in ambienti caratterizzati da un più forte tasso di sviluppo delle innovazioni, per le produzioni cosiddette labour-intensive il con-testo in cui il fattore umano è più ricco e meno costoso offre indubbiamente vantaggi econo-mici comparati di più rilevante interesse; e, in ultimo, per le produzioni capital-intensive l’ambiente più congeniale è quello in cui si ha disponibilità di sistemi di assistenza e servizi complementari al ciclo lavorativo di base.

Per effetto di fenomeni che attengono al mutamento della tecnologia, dei sistemi econo-mico-sociali, dell’assetto politico mondiale, la geografia della produzione industriale sta pro-fondamente cambiando e, tendenzialmente, si sta orientando (salvo che per le produzioni high-tech) verso i Paesi meno sviluppati secondo una logica di decentramento internazionale. Le scelte che ricadono nell’area della produzione, possono essere distinte nei tre gruppi indi-cati nel Riquadro VI.6.

È da osservare che, a volte, nella stessa impresa manifatturiera l’attività di produzione può risultare meno importante rispetto a quella di servizio, collegata a tutte le fasi di raccordo con i mercati di approvvigionamento e di vendita. Questo avviene perché il ciclo di trasformazio-ne tende a produrre margini di contribuzione sempre più ristretti, a causa del livellamento del-le tecnologie e del maggior peso percentuale assunto dal ciclo dei servizi aziendali. In tali casi si ribalta, ovviamente, il ruolo centrale della produzione e quello di supporto delle altre fun-zioni di gestione, nel senso che la funzione di produzione potrebbe essere in larga misura de-legata all’esterno, in modo da sfruttare la flessibilità produttiva (maggiori possibilità di modi-ficare il mix quali-quantitativo di prodotti da collocare nel mercato) e quella strutturale (mino-re peso dei costi fissi).

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Le tipologie di scelta dell’area produzione

3.2. Tipologia dei sistemi produttivi Propedeutico all’esame delle scelte di produzione, è l’individuazione delle differenti tipo-

logie di processo di lavorazione. Al riguardo, una ricorrente sistematizzazione identifica quat-tro tipi fondamentali di lavorazione:

Questi tipi di produzione si ordinano, in effetti, secondo il grado di ripetitività e di uni-formità dei prodotti: si passa, infatti, da prodotti unici eseguiti su commessa, a prodotti distinti per lotti o posti in essere in serie oppure lavorati secondo processi continui.

Il primo caso è quello di produzioni che si differenziano, di volta in volta, per caratteristi-che sostanziali (prestazioni tecniche, standard qualitativi, dimensioni, ecc.) in rapporto a indi-cazioni specifiche del committente. La produzione su commessa comporta un’elevata capacità di adattamento alle richieste della clientela (che spesso si dà direttamente carico della proget-tazione del prodotto), attrezzature meno specializzate e personale più versatile. Ogni commes-sa richiede l’apposita programmazione dell’intero ciclo di lavoro e il costante controllo del suo avanzamento. Generalmente, si adatta a prodotti di valore considerevole, che impegnano gran parte delle risorse disponibili nell’impresa. È questo, ad esempio, il caso consueto di un’impresa costruttrice di impianti industriali, di impianti elettrici di grande potenza, di navi.

All’altro estremo si colloca la produzione per processo, che è caratterizzata dalla conti-nuità e dall’indifferenziazione dei prodotti posti in essere; è il modello tipico delle lavorazioni petrolchimiche, del cemento e dell’acciaio, che si svolgono secondo processi continui presso-ché totalmente automatizzati.

In posizione intermedia si situa, invece, la produzione di massa, che può assumere, tutta-via, degli orientamenti diversi in funzione delle esigenze di mercato.

L’organizzazione di una produzione di massa standardizzata è comune nelle situazioni in cui è possibile sfruttare a fondo il principio delle economie di scala. Questo – s’intende - quando l’omogeneità del mercato consente di fornire agli acquirenti il medesimo tipo di pro-dotto. Nell’ipotesi di fronteggia mento di più strati diversi di consumatori, la soluzione prece-dente dev’essere infatti adattata alle esigenze specifiche della domanda da soddisfare. La pro-

•  Produzione di beni per unità distinte •  Produzione di massa differenziata •  Produzione di massa standardizzata •  Produzione omogenea continua

Tipi di lavorazione

1. scelte strategiche, il cui obiettivo è di concorrere alla creazione del vantaggio com-petitivo

2. scelte strutturali, il cui scopo è di costituire il sistema operativo, coordinando le ri-sorse disponibili

3. scelte di gestione operativa, la cui finalità è di razionalizzare l’operatività del pro-cesso produttivo mediante la programmazione e il controllo della produzione

Riquadro VI.6.

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duzione assume, allora, in carattere delle lavorazioni di massa differenziate, basate su un’elevata standardizzazione delle parti componenti e sulla creazione della differenziazione in fase di montaggio finale (per es. un televisore, composto di pezzi del tutto identici, ma dotato di una differente carrozzeria). Questo tipo di produzione, che in sostanza risponde al principio di standardizzare soprattutto ciò che non è visibile e differenziare ciò che è visibile agli occhi dell’acquirente, si definisce “per lotti”, in quanto si sviluppa nell’allestimento di particolari serie di prodotti, caratterizzate da alcune differenze (ad es. in un’auto il montaggio di una tap-pezzeria speciale, di cristalli termici, ecc.). essa richiede, ovviamente, una programmazione più flessibile del ciclo produttivo poiché bisogna, di volta in volta, predisporre le operazioni in funzione delle caratteristiche dei lotti da allestire.

La scelta di un determinato modello di produzione è quasi sempre obbligata dalla partico-lare natura e destinazione del bene da produrre, perché anche l’orientamento di mercato dell’impresa in molti casi è vincolato dalle politiche correnti a livello competitivo. È comun-que vero che su tale orientamento influisce la strategia competitiva prescelta, che può fondarsi su una più o meno spinta differenziazione produttiva.

Le politiche di produzione, incidenti direttamente sull’allestimento dell’impianto, con-cernono le scelte quali-quantitative attinenti alle modalità di attuazione del processo di tra-sformazione. La progettazione dell’impianto si lega, infatti, alla tecnologia da adottare e alla capacità produttiva da installare. Gli aspetti qualitativi e quantitativi sono intimamente corre-lati perché la scala di produzione desiderata può imporre o suggerire, in termini di convenien-za comparata, l’impiego di una particolare tecnologia e, a sua volta, la disponibilità di un va-lido know-how può indurre a dimensionare l’impianto ad un certo livello. È inoltre intuibile che su entrambi gli aspetti peserà il tipo di organizzazione da conferire al processo produttivo per quanto riguarda le caratteristiche della produzione finale (standardizzata, differenziata, di-versificata, ecc.) e l’integrazione o il decentramento delle fasi di lavorazione.

Le scelte d’impianto sono del resto strumentali rispetto alle politiche di produzione e pos-sono essere esaminate isolatamente solo a fini didattici. Nella realtà, infatti, rientrano nelle politiche generali di gestione, che l’impresa intende attuare, e rispondono agli obiettivi strate-gici imprenditoriali.

Sempre ai fini di un più preciso inquadramento dei problemi che saranno esaminati in questa sede, bisogna osservare che spesso le imprese, e non solo quelle di grandi dimensioni, suddividono la loro produzione tra più stabilimenti. In queste imprese multiplant, pertanto, l’organizzazione dei cicli produttivi si amplia fino a comprendere un modello di rete di im-pianti, differentemente articolato da caso a caso. Quando, infatti, un’impresa dispone di più unità produttive, oltre al problema del dimensionamento di ciascuna di esse, si presenta l’esigenza di scegliere un determinato modello di suddivisione dei cicli o delle linee di produ-zione. In certe situazioni potrà, ad esempio, convenire che ciascun impianto produca gli stessi prodotti, in altre che ogni stabilimento si specializzi in una fase particolare del processo, in al-tre ancora che le singole unità lavorino prodotti differenti. I modelli adottabili sono indicati nel Riquadro VI.7.

In realtà, non è raro che i tre modelli si trovino frammisti, anche se quasi sempre uno di essi tende ad assumere una maggiore importanza nell’organizzazione delle unità tecniche di produzione. Bisogna constatare in proposito che la scelta di un modello di rete è, sovente, il risultato della sommatoria di decisioni assunte nel tempo senza una precisa strategia di svi-luppo. Le imprese, infatti, inizialmente tendono a replicare le unità produttive per ampliare il volume di prodotti e, solo dopo essere giunte ad un certo stadio di crescita, cominciano a con-siderare scelte alternative e a delineare un vero e proprio modello di espansione della rete di impianti. L’orientamento, che questo assumerà, dipenderà dal peso rivestito dalle economie di scala, dalle economie d’interrelazione, dai costi di trasporto, dalla specializzazione e dalla

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flessibilità da assicurare al complesso delle unità tecniche da allestire.

I modelli di multiplant adottabili

Per concludere questi cenni sui problemi di organizzazione della produzione, è opportuno

presentare qualche considerazione sul fenomeno del decentramento produttivo, che ha rappre-sentato – soprattutto nelle grandi imprese – una politica comune in vari settori industriali.

Il decentramento si traduce in un rapporto stabile e durevole con esecutori esterni all’impresa, in grado di assolvere allo svolgimento di particolari operazioni comprese nel ci-clo produttivo dell’impresa decentrante o, ma il caso è meno frequente, in grado di fornire prodotti finiti dello stesso tipo di quelli realizzati dall’impresa decentrante.

Il decentramento, quindi, si pone come una politica con obiettivi opposti a quelli del’integrazione verticale o orizzontale e rappresenta una scelta importante nell’organiz-zazione della funzione di produzione. Esso conduce, in effetti, ad una diversa divisione del lavoro tra imprese e all’ulteriore specializzazione, per fasi, dei cicli produttivi. Il decentra-mento può essere attuato con modalità differenti (ricorso al mercato delle sub-forniture, colle-gamento contrattuale con una o più imprese sub-fornitrici, assunzione di partecipazioni mino-ritarie in imprese fornitrici) e comportare, quindi, diverse condizioni e rischi di approvvigio-namento. Vi è da sottolineare che la via tipica del decentramento produttivo è rappresentata dal collegamento contrattuale con una o poche imprese sub-fornitrici.

3.3. Progettazione dell’impianto

Per produrre l’impresa manifatturiera ha bisogno di strutture tecniche d’impianto, orga-nizzate all’interno di uno stabilimento. Quest’ultimo è un’unità complessa, che comprende più parti tra loro intimamente collegate. Esso solitamente include un capannone industriale (nel quale sono ubicate le linee di lavorazione), gli uffici, i depositi, una serie di centri di ser-vizio per il personale (mensa, spogliatoi, ambulatorio) e degli spazi esterni per la movimenta-zione delle merci, per aree di parcheggio, aree a verde, ecc. se per “impianto” si intende, inve-ce la parte relativa alle sole linee di lavorazione, si può distinguere il problema più ampio del-la progettazione dello stabilimento da quella, nella prima ricompreso, della progettazione dell’impianto.

Un modello di ripetizione degli impianti, quando ogni centro produttivo lavora fondamentalmente gli stessi prodotti

Un modello di parcellizzazione del ciclo produttivo, allorchè ciascun impianto svolge una certa parte del processo di fabbricazione

Un modello di specializzazione delle produzioni, quando ogni impianto produce un particolare tipo di prodotto inserito nella gamma aziendale

Riquadro VI.7.

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La disposizione fisica delle strutture tecnico-produttive, che compongono lo stabilimento e, più in particolare, l’impianto, costituisce il cosiddetto lay-out, termine che deve intendersi come la disposizione delle strutture edilizie, delle macchine, delle attrezzature e dei posti di lavoro della fabbrica. La progettazione del lay-out è l’elemento fondamentale dell’allesti-mento dell’impianto perché incide sull’ampiezza e sull’utilizzazione degli spazi coperti dello stabilimento. Con la scelta del lay-out si definiscono soprattutto la collocazione di posti di la-voro (macchine e uomini) nella sequenza ottimale richiesta dal tipo e dalle condizioni di pro-duzione e si disciplinano i flussi di materiali e l’ubicazione dei servizi di fabbrica. Una dispo-sizione ottimale delle macchine e della forza lavoro deve contribuire ad ottimizzare l’impiego delle quattro “M” che gli americani includono nell’equazione della produzione (men, mate-rials, machines, money), rendendo più rapido e diretto il movimento dei materiali in corso di lavorazione e riducendo i tempi di ozio. La concezione del lay-out è strettamente legata alla programmazione del ciclo di produzione, che stabilisce dove (cioè presso quale reparto o macchina), in quale quantità e quando le singole operazioni dovranno essere realizzate.

Modalità di svolgimento dei cicli di lavorazione

Con riferimento alle modalità di svolgimento dei cicli di lavorazione, l’impresa talvolta è libera di scegliere tra più alternative, tal’altra è costretta ad adottare una particolare forma di organizzazione. Quest’ultima è legata soprattutto alla tecnologia utilizzata, che può imporre o rendere più convenienti processi di lavorazione a ciclo continuo, intermittente o misto.

I primi, che si caratterizzano per il fatto che la lavorazione si svolge ininterrottamente dall’ingresso in ciclo dei materiali fino all’uscita del prodotto finito, possono infatti essere imposti dalle modalità tecniche di produzione o da ragioni di economicità. Produrre su una base di flusso e ad un livello predeterminato, cioè senza interruzione del processo e conse-guente accumulo di scorte in alcuna fase del ciclo è, infatti, necessario nell’ipotesi di produ-zioni per processo (vedi produzione della ghisa o dei prodotti della distillazione del petrolio). In altri casi, invece, l’adozione di processi continui è dettata da motivi di convenienza econo-mica e si traduce nell’allestimento di linee di montaggio. Ciascuna linea è suddivisa in stazio-ni (tappe di lavoro), presso cui si svolgono operazioni successive secondo procedure e tempi prestabiliti.

L’adozione di linee continue di produzione esige la soluzione di molti problemi organiz-zativi, che investono sia l’aspetto tecnico sia quello psicologico del lavoro di fabbrica. Nell’allestimento della catena di lavorazione bisognerà infatti risolvere il problema del bilan-ciamento, in modo da ottenere che le varie operazioni possano essere realizzate con la stessa velocità senza la creazione di strozzature (colli di bottiglia). Ciò richiederà che ciascuna sta-zione abbia una capacità di servizio adeguata alle prestazioni richieste (adeguata significa che deve esistere, comunque, un certo coefficiente di sicurezza tra i tempi di servizio e quelli di movimentazione dei pezzi lungo la linea).

I cicli di lavorazione possono essere organizzati anche in modo intermittente, cioè suddi-videndo il processo in fasi e assegnando ciascuna di queste ad un particolare reparto o centro operativo. In tal modo, per ogni fase vi sarà un accumulo di scorte in entrata e in uscita e bi-sognerà risolvere il problema di coordinamento dei tempi di lavorazione. Questo tipo di orga-nizzazione viene preferito in tutti i casi di cicli di produzione meno facilmente automatizzabili e richiedenti prestazioni di lavoro per qualche aspetto differenziate (ad esempio il confezio-namento di abiti, la produzione di mobili,e cc.). Il terzo tipo di ciclo è quello misto, organiz-zato in parte in modo continuo e in parte in modo intermittente. Esso è adottabile allorché cer-te fasi di lavorazione si prestano ad essere totalmente automatizzate, mentre altre richiedono delle operazioni più complesse da affidare ad appositi reparti.

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Progettazione dell’impianto: le scelte qualitative Le scelte qualitative nella progettazione dell’impianto riguardano la determinazione del

lay-out, il livello della tecnologia e l’organizzazione del lavoro in fabbrica. Gli obiettivi di queste scelte sono, ovviamente, quelli di disporre di strutture tecnicamente efficienti e in gra-do di minimizzare i costi di produzione e i rischi di mercato. Mentre sul primo aspetto, che concerne la funzionalità e la sicurezza dell’impianto, non potremmo aggiungere in sede teori-ca che considerazioni molto generiche e di impronta prevalentemente ingegneristica, ritenia-mo utile fermare l’attenzione sull’aspetto economico, per sottolineare la naturale contrapposi-zione tra minimizzazione dei costi e minimizzazione dei rischi di produzione.

Quasi sempre nell’organizzazione del sistema di produzione la riduzione dei costi unitari si accompagna al crescere della specializzazione e dell’automazione dell’impianto; quella dei rischi, per converso, si collega all’aumento della versatilità e della flessibilità del sistema nel suo complesso. È da osservare che nel primo caso il principio del minimo costo è condiziona-to dal grado di sfruttamento delle risorse disponibili (macchine e forza lavoro), che è a sua volta dipendente dall’attendibilità delle previsioni di mercato formulate in sede di allestimen-to del sistema. Più queste previsioni si avvicineranno alla realtà, meglio l’impresa sarà in gra-do di sfruttare le sue capacità produttive. Allorquando, invece, la variabilità delle condizioni di mercato appare un fatto normale e il mutamento della domanda diviene un fenomeno con-tinuo e difficilmente prevedibile nel tempo medio-lungo, è evidente che strutture rigide di im-pianto possono determinare gravi rischi per le imprese. In queste condizioni, pertanto, l’esigenza di fondo diviene quella di assicurare flessibilità al sistema di produzione senza, pe-raltro, rinunciare ai princìpi essenziali della produttività e dell’economicità di funzionamento del sistema stesso. Problema comune in molti settori industriali è dunque quello di pervenire a soluzioni flessibili di produzione, che siano economicamente valide.

In relazione alle caratteristiche dell’impianto bisogna distinguere tra le due possibilità in-dicate nel Riquadro VI.8.

Caratteristiche dell’impianto

Il concetto di flessibilità dell’impianto può essere considerato sotto il profilo tecnico (op-

portunità di variare il mix produttivo) e sotto quello economico (capacità di assorbire le ridu-zioni del volume di produzione). In rapporto a questo secondo aspetto, un impianto è tanto più flessibile quanto minore è l’incremento dei costi unitari di produzione al ridursi del gardo di utilizzazione dell’impianto stesso. In altri termini, la flessibilità economica dell’impianto è

a) il grado di elasticità o flessibilità economica, ovvero la capacità dell'impianto di rimanere competitivo anche in condizioni di parziale utilizzazione

b) il grado di flessibilità tecnica, ossia la capacità dell'impianto di adattarsi a produrre beni differenti senza incorrere in costi non sopportabili sotto il profilo competitivo

Riquadro VI.8.

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funzione del rapporto tra costi fissi e variabili di produzione. È chiaro che sia la flessibilità tecnica sia la flessibilità economica tendono a contrapporsi alla produttività dell’impianto e rappresentano un costo che l’impresa decide di sostenere per ridurre i rischi di produzione.

L’obiettivo di rendere compatibili attributi di specializzazione e di versatilità dell’impianto e delle maestranze non è certamente facile.

Il grado di specializzazione dell’impianto, insieme con il modello di organizzazione del ciclo produttivo, incide sulle opportunità di automazione delle operazioni di trasformazione. L’affermarsi dei processi continui ha portato ad una minore flessibilità generale dell’impianto, da valutarsi non solo in termini di minori alternative di produzione attuabili, ma anche in rap-porto alla maggiore rigidità delle singole fasi del processo produttivo. La catena di montaggio esige un assoluto rispetto dei tempi di lavorazione e un controllo assiduo degli standard di tol-leranza previsti per ciascuna operazione. La necessità di assicurare la massima precisione all’intero ciclo tecnologico ha favorito, peraltro, la diffusione di automatismi di produzione e ha fatto crescere il grado di autoregolazione dei processi.

Nel tempo si è passati dalla fabbrica fordista tradizionale a quella ad alta automazione, per giungere – soprattutto nelle imprese più grandi – alla fabbrica integrata, caratterizzata dall’applicazione di una tecnologia complessa ad un modello di produzione snello (pochi li-velli gerarchici, integrazione tra fase di progettazione e di esecuzione, coordinamento con una rete di fornitori dislocati anche all’interno della stessa unità di produzione.

L’avvento delle tecnologie informatiche ha inciso profondamente sul modo di competere perché la possibilità di comunicare velocemente a distanza e l’opportunità di automatizzare una serie di procedure nell’attività di produzione e di distribuzione hanno conferito al fattore tempo una posizione di rilievo nel quadro competitivo. In altri termini, i sistemi computeriz-zati sono divenuti una fonte preziosa di vantaggio competitivo. I progressi in fabbrica sono stati straordinari sotto due profili: l’automazione e la flessibilità.

L’automazione ha raggiunto un suo punto ottimale mediante l’informatica e la robotica: la prima consente, oggi, il governo dell’intero ciclo di produzione mediante computer, che non solo coordinano le singole fasi del processo, ma che consentono di produrre a ciclo conti-nuo “su commessa” (allestendo cioè il prodotto secondo le specifiche richieste dal cliente all’atto dell’ordinazione); la seconda ha permesso di sottrarre all’uomo i lavori più pericolosi e faticosi, che vengono svolti da robot sempre più sofisticati.

Per quanto attiene alla flessibilità, il governo computerizzato del processo ha reso possi-bili variazioni nelle fasi di lavorazione con tempi di preparazione e attrezzaggio (setup) nell’ordine di pochi minuti.

Oggi, nell’allestimento dell’impianto si vanno sempre più affermando i sistemi compute-rizzati per la gestione delle fasi di progettazione dei prodotti, per il controllo dei cicli di pro-duzione, per la movimentazione di materie, semilavorati e prodotti finiti. Anche senza giunge-re al concetto di fabbrica totalmente automatica, frequente è l’applicazione di sistemi compu-terizzati per la progettazione (CAD e CAE), per la trasformazione industriale (CAM) e per la gestione dei fabbisogni di materiali (MRP).

Insieme con l’automazione di parti del sistema d’impianto, le imprese tendono a conferire maggiore flessibilità alle strutture di produzione, per poter disporre di capacità di adattamento ai mutamenti dell’ambiente e, più specificamente, del mercato. L’introduzione di sistemi fles-sibili di produzione è, in effetti, la risposta alle condizioni di maggiore incertezza entro cui si svolgono le gestioni industriali. A questo riguardo, il problema è quello di ottenere la flessibi-lità senza rinunciare ai vantaggi dell’automazione, dati i riflessi positivi da questa generati sull’economicità del processo produttivo.

I vantaggi dell’automazione flessibile, che non è altro che l’intelligente integrazione tra automazione e informatica, si possono valutare anche sotto l’aspetto del risparmio di costi

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connesso con la riduzione del capitale circolante: la comprensione dell’immobilizzo in scorte e la maggiore velocità del ciclo di trasformazione si traducono in una consistente riduzione del capitale circolante. In altri termini, l’automazione ha rappresentato lo strumento per trarre il massimo vantaggio dalle economie di scala, mentre l’automazione flessibile ha prodotto vantaggi di tempo e di varietà, perché è riuscita a far diminuire i tempi di lavorazione e ha consentito di ridurre gli sprechi dovuti alla produzione di beni non richiesti dal mercato. I vantaggi fondamentali dell’automazione flessibile si sono concentrati nella riduzione del monte scorte e nella più rapida risposta alle richieste del mercato (time-based competition).

La progettazione dell’impianto ha potuto così mirare a soluzioni in grado di ottimizzare la funzione di produzione a livello di sistema, ossia a creare le condizioni strutturali per rag-giungere la più elevata produttività globale nell’utilizzo di macchinari, nell’impiego dei lavo-ratori, nell’uso dei materiali, nella gestione delle scorte, ecc. Il miglioramento della produtti-vità del sistema si è perciò riflesso sulla riduzione del capitale impiegato nel ciclo di produ-zione per effetto dell’uso ottimale delle risorse sia dell’accorciamento temporale del ciclo stesso. Risultato, questo, che, è forse superfluo dire, assume un’importanza rilevante nella ge-stione di qualsiasi tipo d’impresa.

3.4. Programmazione e controllo delle operazioni di produzione

Per quanto concerne la programmazione della produzione, occorre distinguere l’ottica di lungo termine, ovvero la programmazione della capacità produttiva dell’impianto, da quelal di breve termine, ossia la programmazione delle operazioni di produzione durante l’esercizio.

La programmazione di breve termine – o operativa – riguarda le decisioni circa l’assortimento e i volumi di prodotti da realizzare nell’esercizio annuale o in tempi ancora più ristretti; spesso essa si riferisce all’approntamento di lotti di prodotti.

Il piano di produzione fissa, di esercizio in esercizio, i traguardi e le direttrici di marcia da seguire nello svolgimento dell’attività produttiva. Esso, perciò, serve di base per sviluppare la programmazione operativa dei cicli di lavorazione. In questo senso, programmare la produ-zione significa stabilire, tenendo conto della gamma e della quantità dei prodotti da ottenere nel periodo di piano, il fabbisogno di risorse e la loro allocazione in funzione delle operazioni da attuare. Le risorse principali d’impianto, di mano d’opera, di materiali e di servizi dovran-no essere suddivise tra i vari cicli di lavorazione, in modo da consentirne il regolare svolgi-mento. Ciò significa che inizialmente, e ogni volta che la ciclo dovranno essere apportate del-le variazioni, bisognerà procedere alla programmazione operativa, vale a dire alla preparazio-ne del lavoro, definizione delle operazioni da eseguire e dei tempi), all’assegnazione delle ri-sorse e alla fissazione dei tempi di avvio e di completamento del processo.

Atteso che le vendite raramente si sviluppano in modo costante durante l’anno e attesa al-tresì l’opportunità di evitare sovradimensionamenti dell’impianto, l’obiettivo della program-mazione della produzione è di ridurre al minimo i costi di produzione, operando mediante il volano delle scorte e ricorrendo a strumenti eccezionali di incremento delle quantità prodotte. Come si è già osservato, le scorte possono concorrere ad attenuare la stagionalità del processo di vendita, ma presentano un costo di immobilizzo e di mantenimento e richiedono strutture fisiche (magazzini), che comunque hanno dei limiti di capacità. Per questo motivo, molte im-prese preferiscono ricorrere all’aumento dei turni di lavorazione e al lavoro straordinario per incontrare le punte più elevate di domanda. È intuibile che i problemi di programmazione del-la produzione saranno tanto più avvertiti quanto più accentuato è il fenomeno della stagionali-tà delle vendite.

Definire il programma di produzione significa ricercare la soluzione più economica di impiego delle risorse per raggiungere il livello e la composizione del mix produttivo fissato nel programma annuale di gestione. Questa soluzione va comunque ridefinita durante

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l’esercizio per effetto non solo dell’andamento stagionale delle vendite, ma anche della ridu-zione delle ore lavorate. Quando si formula il piano di produzione, si ipotizza di sfruttare ap-pieno le ore lavorabili (vale a dire i giorni lavorativi dell’anno), mentre le ore effettivamente lavorate saranno influenzate da fenomeni ricorrenti ma non prevedibili in termini quantitativi (ad es. le fermate dell’impianto per scioperi, guasti dei macchinari, manutenzione straordina-ria, ecc.). Un’efficace programmazione della produzione deve articolarsi così come indicato nel Riquadro VI.9.

Articolazione di un’efficace programmazione della produzione

Per quanto attiene specificamente alla programmazione operativa della produzione nel

brevissimo termine, essa comporta un processo che, di norma, si sviluppa in quattro fasi. Tali fasi sono esposte nel Riquadro VI.10.

In complesso, la programmazione della gestione produttiva richiede, quindi, una partico-lare attenzione perché si traduce in scelte che impegnano l’impresa per tempi non brevi e che esigono l’investimento di cospicue risorse finanziarie. Da ciò l’esigenza di studi accurati di carattere previsionale e progettuale e l’adozione di strumenti incisivi di controllo delle scelte e dell’operatività inerenti l’attività di produzione. È peraltro intuibile che la complessità della programmazione della produzione è funzione del sistema di fabbricazione adottato nell’impresa e soprattutto della sua “regolarità” nel tempo.

Nell’ipotesi di produzioni di serie, organizzate con cicli continui, la programmazione as-sume un carattere standard e si attua mediante procedure che possono essere agevolmente au-tomatizzate; nell’ipotesi, invece, di produzioni di beni per unità distinte per le quali bisogna, di volta in volta, programmare la commessa di lavorazione, il problema sume aspetti sempre nuovi e richiede procedure particolari.

3.5. Controllo di efficienza della produzione e total quality control

Per quanto attiene al controllo, occorre porre nella dovuta evidenza la crescente impor-tanza che esso ha acquisito nell’ottica dell’efficienza, da un lato, e della customer satisfaction, dall’altro.

Il controllo della produzione riguarda sia il ciclo di svolgimento delle operazioni produt-tive sia i prodotti finiti da destinare al mercato. Il suo obiettivo è quello di prevenire anomalie nel ciclo e nei prodotti, al duplice scopo di evitare di sopportare costi a vuoto e di garantire la

Nel medio-lungo termine per

precostituire la capacità produttiva

necessaria in rapporto agli

obiettivi strategici dell'impresa

Nel breve termine per allocare le

risorse disponibili, in modo da

raggiungere i traguardi di

produzione posti dal programma

annuale di vendita

Nel brevissimo termine per

organizzare il lavoro dei centri di

produzione in funzione delle

quote settimanali, quindicinali o

mensili da realizzare

Riquadro VI.9.

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qualità del consumatore. Il total quality control, pur interessando le attività complessive dell’impresa e ponendosi come uno strumento strategico di rilevante interesse, trova le sue ra-dici nel controllo di produzione e mira soprattutto all’ottenimento di prodotti senza difetti (ze-ro defect products). Un prodotto difettoso costa molto in termini economici e di immagine perché fa perdere tutti i costi sopportati per realizzarlo e indebolisce la fedeltà dei clienti verso l’impresa. Nell’area della produzione il controllo dovrebbe articolarsi nel: 1) controllo dei risultati di produzione (prestazioni fisiche in termini di assortimenti

posti in essere e indici di produttività delle risorse impegnate); 2) controllo di qualità dei prodotti (rispondenza dei prodotti alle specifiche tecniche

di progettazione e alle caratteristiche di rendimento garantite all’utilizzatore); 3) controllo economico o di valore (value analysis), per individuare le aree di ri-

sparmio di costi nella funzione produttiva. Per quanto riguarda quest’ultimo tipo di controllo, il concetto base è che, partendo dalle caratteristiche che deve avere il prodotto, è possibile comparare alternative o singole fasi di produzione al fine d’individuare quella più economica. Con essa, si punta ad attuare le stesse attività in modo più conveniente, cioè ottimizzando l’impiego delle risorse e evitando operazioni superflue. L’importanza dell’analisi del valore è comprovata dal co-stante risparmio di costi (non è raro che quest’ultimo raggiunga il 10% del costo totale di produzione), conseguente alla sua applicazione nell’impresa.

Programmazione operativa della produzione

Poiché spesso è vero che i costi si fanno sui prezzi, diviene elemento essenziale

l’efficienza organizzativa che si traduce nel miglioramento dell’economicità dei processi aziendali. La ricerca dell’efficienza, nell’impresa industriale, è orientata soprattutto nell’area della produzione, là dove si genera la maggior parte del costo del prodotto.

I fattori di efficienza nel processo produttivo vengono indicati nel Riquadro VI.11.

La preparazione del lavoro (routing), con la quale si stabilisce quali articoli mettere in produzione, con l'impiego di quali risorse e con quali modalità esecutive

La costruzione del programma di lavorazione (scheduling), con il quale si distribuisce il lavoro tra i centri produttivi, si determina il carico macchine, l'allestimento delle squadre e si fissano i tempi di svolgimento del lavoro

L'avvio della lavorazione (dispaching), con il quale si dà materialmente inizio alla lavorazione, emettendo rodini e istruzioni affinché tutte le risorse necessarie (materiali, utensileria, disegni, ecc.) siano rese disponibili presso i reparti o centri di lavorazione

Il controllo dell'esecuzione (follow-up), con il quale, sulla base dei programmi di lavoro fissati, si sorveglia l'avanzamento della produzione e si adottano, se necessario, gli interventi correttivi suggeriti dall'entità degli scostamenti via via rilevati

Riquadro VI.10.

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Fattori di efficienza del processo produttivo In effetti, all’interno degli elementi richiamati si combinano fattori statici o strutturali di

efficienza e fattori dinamici o operativi, con la conseguenza che l’ottimizzazione del processo è sempre la risultante di una struttura tecnologicamente avanzata e di un’organizzazione alta-mente coordinata. Ad essa contribuiscono sostanzialmente gli investimenti di ammoderna-mento delle strutture impiantistiche e gli investimenti organizzativi.

Come si è osservato, il controllo di efficienza della produzione può essere attuato sotto il duplice aspetto quantitativo e qualitativo. Un indice sintetico per valutare il grado complessi-vo di sfruttamento delle risorse disponibili è dato dal rapporto tra le ore produttive (impegna-te) e quelle teoricamente impegnabili. Le ore produttive sono quelle di attività effettiva delle macchine e misurano, ovviamente per differenza, quelle non produttive collegate con tempi di attrezzaggio delle macchine stesse, con i periodi di manutenzione, con l’interruzione del flus-so di materiali e via dicendo. È chiaro che un impianto o una macchina ferma comporta una perdita di produzione (e quindi di opportunità di ricavi) a fronte del sostenimento comunque di costi fissi.

Quando per cause ordinarie, ossia non legate a fatti straordinari come possono essere considerati scioperi del personale, sostituzione di parti dell’impianto, carenze di rifornimenti dovuti a scarsità di prodotti, ecc., le ore di effettiva lavorazione si riducono al di là di livelli ritenuti fisiologici nel particolare settore di attività, si impongono drastici e immediati inter-venti di miglioramento dell’efficienza del sistema operativo, senza i quali gli sprechi di risor-se diventano un fattore di squilibrio del conto economico aziendale.

Un altro obiettivo di fondo dell’organizzazione della produzione è costituito dalla ridu-zione degli scarti, dovuti a difetti dei materiali o di lavorazione. Questi possono essere sia re-lativi a materie prime e semilavorati, sia a prodotti finiti.

Nel caso di materie prime e semilavorati il danno consiste nello spreco di materiali e ore di lavoro con conseguente riduzione dell’output produttivo (e contemporanea lievitazione dei costi); nell’ipotesi di prodotti finiti, se la difettosità non viene accertata prima dell’invio del prodotto al cliente, oltre ai danni economici, si subiscono anche danni d’immagine, spesso an-cora più gravi dei primi.

Il problema della resa di prodotti difettosi o ritenuti tali dal cliente comporta degli oneri

a) dallo sfruttamento ottimale dell’impianto (massimizzazione delle ore la-vorabili con riduzione dei tempi di fermata e delle operazioni di set-up)

b) dalla razionalizzazione dei consumi di materia prima mediante riduzione di sfridi, perdite e cali di lavorazione

c) Dalla produttività dei gruppi di lavoro mediante il miglioramento dell’organizzazione e la formazione del personale

d) Dall’idoneità dei servizi di supporto alla produzione (magazzino, ricerca, trasporti interni, ecc.)

Riquadro VI.11.

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di amministrazione collegati alla gestione del fenomeno, che si vanno a sommare a quelli già sostenuti per la produzione del bene. Da ciò l’assoluta importanza del controllo di qualità che, condotto con procedimenti e tecniche appropriate, si pone come uno strumento essenziale di efficienza della gestione produttiva nel suo complesso.