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Programma completo Introduzione Ruolo degli educatori nella società moderna e cenni di miniteorie contemporanee Lezione 1 Lo sviluppo fisico e motorio Lezione 2 L’apprendimento: Il condizionamento classico (o pavloviano) Lezione 3 L’apprendimento: Il condizionamento operante Lezione 4 Lo sviluppo cognitivo: La teoria degli stadi di Piaget Lezione 5 Lo sviluppo cognitivo : Le teorie psicoanalitiche di Freud Lezione 6 Lo sviluppo cognitivo : Le teorie psicoanalitiche di Erikson Lezione 7 Lo sviluppo cognitivo : Le teorie dell’apprendimento sociale Lezione 8 Lo sviluppo cognitivo: Vygotskij e l’approccio socioculturale ELEMENTI DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO Docenti: Dott. A. Gautiero, Dott. R. Saraò LEZIONE 1

ELEMENTI DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO - Erba Sacra · 2015. 11. 18. · stesso dalla dinamica. ... campo della psicologia dello sviluppo per poi entrare nella prima lezione a trattare

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  • Programma completo Introduzione Ruolo degli educatori nella società moderna e cenni di

    miniteorie contemporanee

    Lezione 1 Lo sviluppo fisico e motorio

    Lezione 2 L’apprendimento: Il condizionamento classico (o pavloviano)

    Lezione 3 L’apprendimento: Il condizionamento operante

    Lezione 4 Lo sviluppo cognitivo: La teoria degli stadi di Piaget

    Lezione 5 Lo sviluppo cognitivo : Le teorie psicoanalitiche di Freud

    Lezione 6 Lo sviluppo cognitivo : Le teorie psicoanalitiche di Erikson

    Lezione 7 Lo sviluppo cognitivo : Le teorie dell’apprendimento sociale

    Lezione 8 Lo sviluppo cognitivo: Vygotskij e l’approccio socioculturale

    ELEMENTI DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO

    Docenti: Dott. A. Gautiero, Dott. R. Saraò

    LEZIONE 1

  • Centro di Ricerca Erba Sacra Elementi di Psicologia dello Sviluppoi Corsi On Line LEZIONE 1 Docenti: A. Gautiero, R. Saraò

    CENTRO DI RICERCA ERBA SACRA; www.erbasacra.com

    Dispense del Corso Cenni di Psicologia dello Sviluppo solo per uso didattico. Copia personale dello studente. Vietata la riproduzione

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    INTRODUZIONEINTRODUZIONEINTRODUZIONEINTRODUZIONE

    • Ruolo degli educatori nella società moderna;

    • Cenni a miniteorie contemporanee e approcci emergenti

    Ruolo degli educatori nella società moderna

    Il modo in cui un bambino viene allevato influisce enormemente sul suo sviluppo e su

    come sarà da adulto. Si può quindi capire l’importanza degli educatori (in primis dei

    genitori) in questo ruolo così delicato; spesso i genitori chiedono consiglio agli

    specialisti specialmente quando non riescono a decifrare il significato del

    comportamento del figlio o si sentono ansiosi circa il suo futuro, quando non sanno

    bene se e come intervenire o quando i tentativi da parte loro di correggerne la condotta

    rendono infelice il figlio e suscitano la sua resistenza.

    In tutti i problemi che si incontreranno nel processo dell’educare, l’educatore e

    l’educante sono il problema e contemporaneamente la sua soluzione (questo vale

    anche quando le circostanze esterne esulano dalla possibilità di controllo e di influenza

    dell’educatore, come in caso di malattie o di morti in famiglia o di fronte all’impatto

    con modelli sociali e culturali). Quello su cui l’educatore può influire è il modo in cui

    l’evento viene vissuto dall’educante e dunque il significato che esso assume per lui. Un

    bambino, per esempio, può vivere come un evento positivo una grave malattia, persino

    una malattia mortale, grazie all’assoluta dedizione e all’amore che essa ha messo in

    moto nel genitore, facendoli sentire vicini come non mai.

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    Di qualunque comportamento si tratti, la comprensione dei suoi aspetti emotivi e

    psicologici più importanti, della sua natura e delle sue origini ci aiuterà ad avvicinarci al

    bambino.

    Quello che intendiamo dare in questo corso è una visione il più completa possibile

    dell’attuale panorama teorico concernente la psicologia dello sviluppo, ma la finalità

    non è la mera ripetizione di teorie fine a se stessa quanto piuttosto una descrizione, ci

    auguriamo esaustiva, di come le teorie abbiano avuto ed hanno ancora oggi

    un’applicabilità pratica in questa complessa e feconda relazione tra educante e educato.

    In effetti, già alla luce delle ricerche epistemologiche in tutti i campi di questi ultimi

    venti anni riteniamo che questa stessa differenziazione (educante/educato) vada intesa

    in senso lato; infatti l’interazione tra i due soggetti (se ci vogliamo concentrare solo su

    questo rapporto come se fosse isolato dal resto) non può essere letta a senso unico. Fin

    qui niente di particolarmente nuovo. Ma in termini pratici in cosa si traduce quanto

    detto?

    Abbiamo cercato (e speriamo di essere riusciti) di presentare un lavoro per non

    specialisti, per persone che svolgono questa attività per professione o per coloro che

    vogliono sapere di più, genitori compresi.

    Avremo modo di vedere, nel susseguirsi delle lezioni del corso, come possa essere

    importante cogliere la natura della relazione nonché l’ambito culturale sociale ed

    emotivo in cui ha luogo.

    Ogni volta che parliamo di esseri umani, parliamo di realtà dinamiche in continuo

    cambiamento, ossia di interazioni che hanno solo in apparenza una staticità (genitore,

    educato, educante ecc.).

    In realtà stiamo dicendo che il nostro stato d’animo, la nostra fase esistenziale nonché

    quella della società e della cultura in cui siamo immersi entrano attivamente

    nell’interazione verso il bambino e dal bambino.

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    Lo sfondo teorico che proponiamo è quindi “solo “una cartina tornasole che useremo

    per cogliere lo schema di interpretazione del comportamento del bambino, ma per

    avere una competenza concreta ed efficace di cosa sta accadendo occorrerà sempre e

    comunque “fare i conti” con quello che pensiamo e sentiamo durante lo svolgimento

    di quel rapporto.

    Questa constatazione riteniamo sia naturalmente applicabile anche alla relazione tra

    adulti ma col bambino entrano in moto “fatti” emotivi che se non sono accompagnati

    da una presenza mentale agiscono senza che l’adulto se ne rende conto e che nelle

    conseguenze “giustificherà” in molti modi possibili ma sicuramente escludendo se

    stesso dalla dinamica.

    La “presenza mentale” di cui parliamo è un tipo di attenzione e consapevolezza che si

    possono attuare senza particolari conoscenze di se stessi, mentre per fatti emotivi

    consideriamo quelle interazioni che quotidianamente si possono riscontrare anche tra

    genitori e figli e quindi non di carattere patologico.

    Eppure pur rimanendo in questi confini avremo modo di scoprire quanti fattori

    entrano in gioco nella relazione con i bambini; oggigiorno inoltre vanno ormai

    considerati i ruoli molteplici che i mass media hanno (dalla funzione occupazionale a

    quella di apprendimento a quella di scoperta), le nuove peculiarità che la società

    presenta (nuclei familiari con genitori separati/divorziati, famiglie e bambini di diverse

    razze e cultura) ecc..

    Analizzarli tutti anche in termini generali esulerebbe dal tema di questo corso ma

    mantenendo la concentrazione nel microcosmo educatore educante potremmo

    apprezzarne l’effetto attraverso gli stessi protagonisti.

    Facciamo adesso un breve cenno a quelle che sono le attuali tendenze di studio nel

    campo della psicologia dello sviluppo per poi entrare nella prima lezione a trattare

    quelle che sono considerabili i pilastri su cui si fonda la psicologia dello sviluppo.

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    Cenni a miniteorie contemporanee e approcci emergenti

    Ai bambini viene raccontata la seguente storia che lo sperimentatore recita con l’aiuto

    di bambole: un bambino mette un po’ di cioccolata in un mobiletto blu e va a giocare

    fuori. In sua assenza la madre sposta la cioccolata nel mobiletto verde; poi il bambino

    torna per prendere la cioccolata: ai soggetti viene chiesto dove cercherà il bambino. I

    bambini di tre anni dicono immediatamente “nel mobiletto verde”, dove è attualmente

    la cioccolata anche se, in realtà, il bambino della storia non aveva possibilità di sapere

    che la cioccolata era stata spostata. Invece, i bambini di quattro e cinque anni di solito

    dicono “nel mobiletto blu” perché hanno una comprensione della mente in cui le

    persone agiscono sulla base delle loro credenze, anche quando le credenze sono false.

    Questa dimostrazione del sistema di credenze dei bambini di tre anni e del suo

    cambiamento nel successivo anno o due è diventato il paradigma di base della ricerca

    sulle teorie della mente. La teoria della mente è uno degli argomenti principali della

    “teoria della teoria”, un’importante corrente teorica dello sviluppo cognitivo. Questa

    teoria propone che i bambini, e forse anche gli infanti, abbiano la capacità di costruire

    teorie intuitive, popolari, ingenue che cercano di spiegare un dominio particolare; per

    esempio, i bambini hanno teorie della biologia, della fisica e della mente. Secondo la

    “teoria della teoria” il pensiero dei bambini procede molto similmente ad una scoperta

    scientifica: i bambini mettono alla prova la loro teoria e possono attraversare uno stato

    temporaneo di disorganizzazione cognitiva e una teoria non regge; però le loro teorie

    sono resistenti al cambiamento. I bambini inizialmente tendono a cercare di ignorare le

    prove che smentiscono la teoria o magari tentano di aggiustarla. Una implicazione per

    l’educazione è che i bambini oppongono resistenza ad abbandonare le loro teorie, per

    esempio la loro convinzione che il mondo sia piatto, basata sull’esperienza quotidiana,

    anche quando l’insegnante fornisce prove del fatto che il mondo è rotondo. Portare i

    bambini ad abbandonare una vecchia teoria è importante tanto quanto fornire loro una

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    nuova. Quando la contro evidenza continua ad aumentare, infanti e bambini possono

    costruire una nuova teoria cresciuta. La nuova teoria può essere una revisione della

    vecchia, ma può anche essere piuttosto diversa e incompatibile con la vecchia teoria.

    Qualcosa di correlato alla “teoria della teoria” è quello che si può chiamare innatismo

    modulare. L’innatismo modulare afferma che la mente è costituita da insiemi

    vagamente connessi di moduli innati, strutture o vincoli; ogni modulo è specializzato

    nella cognizione e/o percezione in un determinato dominio, come il linguaggio, cioè il

    cervello è strutturato in modo tale da fare assunzioni su queste entità. I moduli sono

    programmati per rispondere a tipi specifici di informazioni. Tutti i cambiamenti

    evolutivi nel pensiero sono causati da fattori esterni al modulo, come la maturazione

    che porta a un modulo successivo o una più efficiente elaborazione delle informazioni.

    I recenti progressi tecnologici, tra cui le tecniche di immagini sul cervello, in parte

    spiegano il recente boom delle neuroscienze. I neuroscienziati costruiscono mappe

    dell’attività cerebrale basati sui cambiamenti del flusso sanguigno, sull’attività

    metabolica del cervelletto o su quella elettrica. Per esempio, essi collocano degli

    elettrodi sensibili sul cranio, che misurano l’attività elettrica generata dall’attivazione di

    gruppi di neuroni. In questo modo identificano lo schema dell’attività quando, ad

    esempio, viene presentato uno stimolo. Inoltre il flusso sanguigno cerebrale genera

    immagini che indicano l’attività del cervello; in questo modo si possono paragonare gli

    schemi spaziali dell’attività cerebrale in bambini di diversa età o livelli di abilità

    impegnati in un dato compito o quelli di bambini della stessa età che svolgono compiti

    diversi. Un esempio di relazione tra biologia ed esperienza è la sovraproduzione di

    sinapsi nel primo sviluppo, alcune delle quali si estinguono perché non sono stimolate

    dall’esperienza. La maggior parte dei bambini, essendo fisicamente normali ed essendo

    allevata in un ambiente tipico per la specie, compie più o meno lo stesso tipo di

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    esperienze, così l’estinzione avviene lungo linee simili. Nei bambini con situazioni

    atipiche, invece, (per esempio sordi o ciechi che non possono ricevere stimoli uditivi o

    visivi), certe aree del cervello – che normalmente sarebbero dedicate all’elaborazione

    uditiva o visiva – gradualmente si specializzano completamente in elaborazioni diverse;

    perciò nei bambini ciechi certe aree del cervello vengono completamente dedicate

    all’elaborazione uditiva e nei bambini sordi l’area del cervello che normalmente

    sarebbe dedicata all’elaborazione uditiva se ricevessero le informazioni visive e uditive

    – man mano si specializza completamente all’elaborazione visiva. In generale, quando

    un’area del cervello non riceve gli input normalmente attesi, può essere usata per altri

    scopi. La natura dell’esperienza, e di conseguenza la natura dell’attività cerebrale,

    determina quali sinapsi saranno estinte e quali sopravviveranno. Ci sono ancora molte

    domande che si pongono i neuroscienziati alle quali stanno tentando di dare una

    risposta: i cambiamenti nel cervello durante lo sviluppo sono correlati con

    cambiamenti nella cognizione? Le aree del cervello diventano più specializzate durante

    lo sviluppo? Quanto contribuisce l’esperienza a questa specializzazione? Gli schemi

    spaziali dell’attività cerebrale durante l’esecuzione di un dato compito cambiano nel

    corso dello sviluppo? Ci sono ritmi evolutivi differenti nella specializzazione per diversi

    domini, diversi tipi di cognizione e diverse aree della corteccia?

    La teoria dei sistemi dinamici proviene dal lavoro sui sistemi non lineari in fisica e

    matematica, ma si adatta a modelli della biologia e della tradizione organismica in

    psicologia dello sviluppo. La teoria si occupa dei cambiamenti nel tempo in sistemi

    complessi olistici, soprattutto quelli auto-organizzanti. Dal punto di vista del “grande

    quadro” dei sistemi dinamici, si può comprendere lo sviluppo solo considerando le

    interazioni multiple e continue di tutti i livelli dei sistemi che si sviluppano, da quello

    molecolare a quello culturale, e i processi intrecciati che si dispiegano su molte scale

    temporali, dai millisecondi agli anni. Un corso d’acqua di montagna fornisce una

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    buona metafora per un sistema dinamico. In vari punti della montagna il corso d’acqua

    si manifesta come un torrente rapido, un piccolo rivolo, una cascata o un laghetto in

    base a molti fattori, tra cui la portata del flusso d’acqua che scende, il terreno, le

    condizioni climatiche; per la maggior parte del tempo lo schema è più o meno lo

    stesso: dopo una pioggia forte o una siccità, tuttavia la configurazione dell’acqua

    cambia, anche se in modi prevedibili. Per capire lo stato dinamico del corso d’acqua e

    il modo in cui si auto-organizza, dobbiamo considerare molti quadri temporali,

    dall’antica storia geologica della montagna al recente temporale; dobbiamo anche

    considerare molti livelli di cause, dal terreno della montagna alla gravità delle molecole

    dell’acqua. Quanto detto vale anche per i cambiamenti nei sistemi dinamici umani.

    La teoria dei sistemi dinamici si chiede: “Da dove vengono i nuovi comportamenti?”.

    Nuove forme complesse o abilità emergono dall’interazione delle parti di un sistema

    complesso, dalle relazioni tra le parti e dalla natura auto-organizzante degli organismi

    viventi.

    Dopo questo breve excursus sulle nuove tendenze di studio sulla teoria dello sviluppo,

    possiamo affermare che nessuna teoria evolutiva domina sulle altre. Come

    cambieranno le teorie dello sviluppo? Vediamo che sia le innovazioni tecnologiche che

    i cambiamenti nelle strutture sociali hanno un impatto sui bambini e sulla teorizzazione

    relativa ai bambini. La lavatrice e i pannolini usa e getta rendono l’addestramento

    precoce alla pulizia meno importante per i genitori impegnati. La televisione e gli asili

    nido offrono ai bambini istruzione ed un insieme più ampio di modelli sociali. Il

    computer e internet hanno creato nuove forme di svago e di istruzione.

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    Parte esperienziale

    Questa parte, che sarà presente in tutte le lezioni, ha l’obiettivo di permettere al lettore

    di cogliere come la teoria prima esposta possa essere utilizzata e applicata in termini

    concreti e di riflessione.

    Quando parliamo di esperienza nella relazione con gli altri è importante ricordare che

    gli “altri” sono visti attraverso il nostro mondo interno.

    Per mondo interno intendo quell’insieme di esperienze della vita che costituiscono la

    nostra coscienza ossia il nostro modo di pensare noi e gli altri.

    Nell’interazione col bambino è opportuno ricordare che le nostre personali esperienze

    saranno “attivate” dal comportamento del bambino che a nostra volta interagirà con la

    nostra reazione.

    Questa premessa è essenziale per dire quanto è utile percepire il nostro stato d’animo a

    seguito del comportamento del bambino; è essenziale per non isolare il bambino

    nell’idea che lui è l’oggetto osservato e passivo rispetto alla relazione con noi.

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    LEZLEZLEZLEZIONE 1IONE 1IONE 1IONE 1 ---- Lo sviluppo fisico e motorio Lo sviluppo fisico e motorio Lo sviluppo fisico e motorio Lo sviluppo fisico e motorio

    • Lo sviluppo prenatale;

    • La nascita e il neonato;

    • La crescita prima e dopo la nascita;

    • Lo sviluppo motorio;

    • Lo sviluppo sessuale;

    • Lo sviluppo del sistema nervoso;

    • Parte esperienziale.

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    Lo sviluppo fisico e motorio

    I cambiamenti fisici e neurologici sono il risultato della continua interazione tra fattori

    biologici e fattori ambientali. Conoscere questi fattori è importante sia per

    comprendere le modalità con cui si realizzano le caratteristiche comuni della specie, sia

    per cogliere le differenze che rendono ciascun individuo diverso dagli altri, nell’aspetto

    fisico come nel comportamento.

    Lo sviluppo prenatale

    Nel momento in cui nasce il bambino ha già alle spalle nove mesi di vita prenatale; in

    questo periodo si realizzano eventi che portano in un tempo relativamente breve

    all’organizzazione di un individuo maturo e capace di sopravvivere nell’ambiente

    esterno.

    Oltre a sviluppare il patrimonio genetico trasmessogli dai genitori, il feto è esposto a

    una serie di fattori ambientali a causa dello stretto rapporto con l’organismo materno

    nella vita intrauterina. L’ambiente uterino è adatto a proteggere e nutrire il giovane

    essere che si sta formando, lo mantiene a una temperatura costante, lo preserva dalle

    scosse e dagli urti. Tuttavia, attraverso il sangue materno passano non soltanto il

    nutrimento e l’ossigeno ma anche una serie di agenti (sostanze chimiche, ormonali e

    virus) che possono lasciare tracce sullo sviluppo successivo. Inoltre il sangue materno è

    carente di alcune sostanze nutritive richieste dall’organismo in crescita e lo sviluppo

    armonico di organi e apparati può risultarne alterato. Oggi fortunatamente sappiamo

    molto sugli agenti teratogeni, ovvero tutti quei fattori ambientali che causano un danno

    congenito nell’embrione e nel feto.

    Dopo che i processi di ovulazione, fertilizzazione e impianto dell’uovo hanno avuto

    luogo, distinguiamo due fasi nello sviluppo prenatale:

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    1. lo sviluppo dell’embrione:

    Il periodo embrionale va dalla terza alla fine

    dell’ottava settimana di gestazione. Nel

    corso di questo periodo l’embrione diventa

    un feto cioè un organismo con

    caratteristiche umane riconoscibili. Le

    cellule si differenziano dando origine alle

    diverse regioni corporee (testa, tronco e arti)

    e a tessuti specializzati come quello

    muscolare e nervoso. All’inzio della quarta

    settimana si sviluppano le cellule del sangue,

    inizia la formazione del sistema nervoso del

    cuore che comincia a battere. A partire dalla

    quinta settimana sono riconoscibili il

    cervello e il midollo spinale, gli occhi, le

    orecchie e il naso e si stanno già formando i

    reni e i polmoni. Questo rappresenta il

    periodo di più rapida crescita dell’intera vita

    umana; infatti alla fine del secondo mese

    l’embrione è lungo circa 2,5 cm

    2. lo sviluppo del feto.

    Il periodo fetale comincia con la nona

    settimana e si conclude al termine della

    gestazione; i diversi sistemi dell’organismo

    sono formati e cominciano a funzionare fin

    dal terzo mese. Una rete di controlli nervosi

    si sovrappone all’attività muscolare diffusa

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    che si integra e rende possibile un

    comportamento strutturato. Fin dal quarto

    mese la madre può avvertire i movimenti

    del feto, il quale apre e chiude la bocca,

    compie alcuni movimenti con la testa e si

    succhia il pollice. Fra il quarto e il quinto

    mese i polmoni sono ben sviluppati ma

    pieni di liquido amniotico e non ancora

    funzionanti. Dopo i cinque mesi la pelle è

    completamente sviluppata: compaiono

    anche i capelli e le unghie: il feto alterna

    periodo di sonno e periodi di attività e nel

    corso del sesto mese è in grado di aprire e

    chiudere gli occhi i quali ben presto

    distinguono la luce dall’oscurità. Negli

    ultimi mesi si completano l’accrescimento e

    la maturazione funzionale degli organi. Tra

    la ventesima e la ventottesima settimana il

    feto oltrepassa la linea di demarcazione che

    separa la sopravvivenza dalla morte, in caso

    di nascita prematura.

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    La nascita e il neonato

    Il bambino viene al mondo con le competenze necessarie per sopravvivere

    nell’ambiente extrauterino. Il passaggio dall’ambiente intrauterino a quello extrauterino

    non è facile. Il neonato si trova ad affrontare una serie di compiti nuovi: deve respirare

    ossigeno attraverso i polmoni anziché il cordone ombelicale, nutrirsi attraverso la bocca

    anziché dal sangue materno e termoregolare il proprio corpo in un ambiente che non

    ha più una temperatura costante; ma come dicevamo all’inizio, il bambino nasce ben

    equipaggiato a svolgere questi nuovi compiti: L’ossigenazione autonoma è assicurata

    dal riflesso respiratorio che mette subito in funzione i polmoni evitando un’ipossia

    (carenza di ossigeno); la possibilità di ingerire cibo è assicurata dalla presenza di riflessi

    di suzione già consolidati alla fine dello sviluppo fetale. La termoregolazione

    autonoma, però, presenta ancora qualche difficoltà: mancando quasi completamente di

    tessuti adiposi il neonato è svantaggiato nel mantenere costante la temperatura

    corporea.

    Nel corso della gravidanza il feto si prepara anche a rispondere allo stress della nascita,

    in particolare al rischio di ipossia, producendo livelli elevati di “ormoni dello stress”

    che gli consentono una importante protezione dalle situazioni sfavorevoli.

    Il periodo neonatale rappresenta una fase di estrema suscettibilità ai rischi di un

    insufficiente adattamento dell’organismo alle nuove competenze che vi vengono

    richieste. E’ necessario dunque porre grande attenzione ai bisogni fondamentali per

    una crescita e uno sviluppo ottimali, tra i quali rientrano sicuramente l’instaurarsi di un

    positivo rapporto madre-bambino; nei giorni successivi al parto, infatti, il rapporto tra

    madre e figlio continua ad essere assai stretto. La donna deve prendere decisioni

    importanti, ad esempio se allattare il bimbo al seno o artificialmente e deve poter

    contare sulla collaborazione sia del marito sia del personale medico, anche per

    superare quel senso di smarrimento o di “non essere all’altezza della situazione” che

    può manifestarsi di fronte a un compito nuovo e gravoso qual è indubbiamente quello

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    di allevare un figlio. Come diverse ricerche mostrano, una gravidanza serena e

    un’esperienza di parto positiva predicono che la madre sceglierà di allattare il bambino

    al seno e che l’allattamento durerà abbastanza a lungo. Viceversa una gravidanza e un

    parto vissuti come esperienze spiacevoli e traumatiche pregiudicano la scelta

    dell’allattamento naturale.

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    La crescita prima e dopo la nascita

    Con il termine “crescita” ci riferiamo a due tipi di fenomeni: distinti ma collegati tra

    loro: l’uno è rappresentato dalla crescita vera e propria, legata alla moltiplicazione

    cellulare che determina l’aumento di volume dell’organismo; l’altro consiste nel

    processo di differenziazione e di sviluppo delle diverse funzioni corporee e psichiche

    in senso sia funzionale che biochimico. La crescita è un processo continuo che tuttavia

    presenta ritmi e velocità diversi nelle diverse epoche dello sviluppo. Un’altra

    caratteristica della crescita è l’asimmetria, nel senso che i tessuti e gli organi non si

    sviluppano tutti nello stesso momento e con la stessa velocità: l’età del lattante ed della

    pubertà, per esempio, sono due epoche in cui la crescita avviene con una velocità

    superiore alla media.

    La velocità di crescita è massima nei primi sei mesi di gravidanza; si stima che in questo

    periodo l’organismo cresca in media di 1,8 mm al giorno. La crescita rallenta a partire

    dalla 35^ settimana, probabilmente perché la placenta non è più in grado di aumentare

    la quantità di sostanze necessarie a soddisfare le esigenze del feto. Insieme

    all’accrescimento staturo-ponderale si modificano le proporzioni corporee.

    Nell’embrione di due mesi la lunghezza della testa è pari ala metà della lunghezza

    totale. Mentre alla nascita essa si è ridotta ad un quarto d questa.

    La crescita postnatale viene suddivisa nelle seguenti fasi:

    • Il periodo neonatale (dalla nascita al 28° giorno di vita)

    • Prima infanzia (0 - 2 anni)

    • Seconda infanzia (2 -6 anni)

    • Terza infanzia (6 – 10 anni)

    • Adolescenza (da 10 anni al completamento dello sviluppo sessuale)

    L’accrescimento, ovvero il cambiamento delle caratteristiche fisiche misurabili con

    esattezza (peso, altezza, circonferenza cranica, lunghezza degli arti) è diverso negli

    individui e i parametri che rileviamo per ogni bambino vanno confrontati con quelli di

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    gruppi di soggetti di pari età e sesso per individuare variazioni che si discostino dalla

    norma.

    Se confrontiamo il neonato con il feto, il primo appare un organismo piuttosto

    autonomo, sia dal punto di vista della struttura anatomo-fisiologica che per quanto

    riguarda il repertorio comportamentale. Quest’ultimo viene tradizionalmente descritto

    in termini di postura (posizione del capo e degli arti da supino) e di riflessi. Il neonato

    presenta una postura con il capo ruotato e gli arti flessi a causa dello spazio ridotto in

    cui è stato costretto a vivere nelle ultime settimane di gestazione; egli presenta inoltre

    un repertorio di riflessi considerati classicamente come risposte motorie primitive e

    involontarie.

    Già nelle prime fasi di sviluppo il sistema nervoso è capace di produrre

    spontaneamente movimenti ritmici (come la suzione e la respirazione) o fasici. La

    visione per la quale un neonato è un organismo inerte finché non viene stimolato è

    stata soppiantata da una diversa concezione circa il funzionamento del sistema nervoso

    e il comportamento del neonato, che non soltanto reagisce agli stimoli ma è anche

    capace di produrre spontaneamente movimenti autogenerati. Pochi secondi dopo la

    nascita la respirazione è già efficace e ben coordinata con la suzione. Non appena il

    suo volto tocca il seno della madre, il neonato orienta la bocca verso il capezzolo inizia

    a succhiare in modo efficiente. Se qualcosa viene posto sul suo volto o se è steso

    bocconi, il neonato compie movimenti energici con le braccia e con il capo per

    liberarsi. Se gli accarezziamo il palmo della mano egli risponde afferrando strettamente

    le dita o l’oggetto che lo stimola. Se sente un forte rumore o subisce un improvviso

    cambiamento di posizione, il bambino reagisce inarcando la schiena estendendo

    braccia e gambe per poi chiuderle verso il centro del corpo come in un abbraccio

    (riflesso di Moro). Il significato della risposta di Moro non è chiaro a prima vista.

    Sappiamo che in alcune specie animali i piccoli vengono spesso tenuti sospesi al ventre

    della madre o sugli alberi; in questa posizione una risposta di abbracciamento in

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    seguito a stimolazioni brusche e improvvise è senza dubbio utile per impedire al

    piccolo di cadere. La presenza di alcuni movimenti nel neonato umano può essere

    dunque spiegata come un residuo di abilità utili ad altre specie ma che nell’uomo

    hanno perso di significato. Si tratta, infatti, di movimenti che scompaiono rapidamente

    dopo le prime settimane di vita.

    Oltre a produrre una serie di risposte motorie sotto forma di riflessi, il neonato è in

    grado di estrarre informazioni dall’ambiente che lo circonda tramite i suoi recettori

    sensoriali: vista, udito, odorato, gusto e tatto; sappiamo che il bambino alla nascita non

    è sordo, cieco e insensibile come un tempo si riteneva: i suoi sistemi percettivi in gran

    parte funzionano e sono efficienti. La maggior parte di ciò che il neonato è capace di

    percepire dipende da quello che chiamiamo il suo stato: se dorme oppure è sveglio, se

    è semplicemente sveglio oppure all’erta e attivo, se ha fame o se è appena stato nutrito.

    Heinz Prechtl distingue cinque “stati di coscienza”: sonno profondo, sonno attivo,

    veglia tranquilla, veglia attiva, pianto e irrequietezza. Questi stati si ripetono in modo

    ciclico durante la giornata, in media ogni due ore circa; ad esempio, il neonato passa

    dal sonno profondo a un sonno più leggero, all’irrequietezza e alla fame, quindi alla

    veglia attiva, dopo di che diventa sonnolento e si addormenta di nuovo in un sonno

    profondo.

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    Lo sviluppo motorio

    nella prima infanzia si verifica un rapido sviluppo delle capacità motorie. Nello spazio

    di alcuni mesi il bambino passa da una quasi completa dipendenza dall’adulto a una

    relativa autonomia: egli è capace di manipolare oggetti, muoversi nell’ambiente e

    esploralo. Lo sviluppo di queste abilità è senza dubbio collegato ai cambiamenti che

    avvengono nel sistema nervoso e in particolare nella corteccia celebrale.

    Nel corso dei primi due anni di vita il bambino conquista le principali abilità motorie.

    Analizzando questa conquista più in dettaglio, possiamo individuare due linee di

    sviluppo. La prima è la tendenza del bambino a raggiungere una sempre maggiore

    mobilità: essa gli permette di ampliare il proprio raggio di azione, esplorare un

    ambiente progressivamente più vasto, vedere cose nuove e raggiungere qualsiasi

    oggetto attragga la sua attenzione. La seconda linea di sviluppo consiste nella tendenza

    a conquistare la posizione eretta, in modo da avere le mani libere per fare cose

    interessanti piuttosto che usarle come appoggio o per camminare.

    Cominciamo ad analizzare le tappe attraverso cui il bambino acquisisce la posizione

    eretta (sviluppo posturale). Il neonato presenta una ipertonia dei muscoli flessori degli

    arti (braccia e gambe piegate) mentre il tono dell’asse del corpo è quasi inesistente. La

    prima tappa riguarda il sostenimento della testa che nei primi giorni di vita è

    ciondolante. Quando è coricato sul ventre il bambino prima solleva il mento (primo

    mese), poi solleva la testa e le spalle (secondo mese) e infine si appoggia sugli

    avambracci (terzo mese). La tappa successiva è la conquista della posizione seduta nel

    secondo trimestre di vita. Verso i quattro-cinque mesi il bambino sta seduto con un

    appoggio minimo; a sei mesi è in grado di mantenere questa posizione abbastanza a

    lungo: la schiena è ormai diritta mail tronco è ancora inclinato in avanti. A sette mesi il

    bambino riesce a stare seduto per un momento da solo, ma la posizione seduta senza

    appoggio è raggiunta completamente verso i nove mesi. La posizione eretta rappresenta

    una nuova tappa che il bambino comincia ad acquisire mentre ancora perfeziona la

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    posizione seduta già raggiunta. Verso il nono mese è capace di tenersi in piedi sorretto

    o appoggiandosi a un sostegno; verso gli 11-12 mesi riesce a stare in piedi da solo.

    Lo sviluppo della deambulazione procede parallelamente a quello posturale, ma ha

    inizio più tardi. Fino alla fine del primo semestre di vita il bambino è incapace di

    spostarsi in modo autonomo; comincia, quindi, a servirsi di una rudimentale modalità

    di spostamento: quando è coricato sul ventre “striscia” in avanti aiutandosi con le

    braccia e le gambe. Poi il bambino impara a camminare carponi, raggiungendo così

    una coordinazione dei movimenti delle braccia e delle gambe.

    .La deambulazione presuppone la capacità di stare in piedi e, da questo momento in

    poi, le due linee di sviluppo si saldano strettamente tra loro. Verso i 9-10 mesi il

    bambino compie qualche passo, sostenuto sotto le ascelle oppure appoggiandosi a

    sostegni. A un anno è capace di camminare se lo si tiene per mano e infine, verso i 13-

    14 mesi, cammina da solo.

    La conquista della deambulazione rappresenta una pietra miliare nella vita del

    bambino. Essa gli consente di ampliare enormemente il proprio ambiente e,

    liberandogli le mani per la manipolazione, rende pressoché illimitate le sue possibilità

    esplorative. Facilita la capacità di rappresentarsi il proprio corpo come indipendente

    nello spazio, contribuisce alla individuazione e alla rappresentazione di sé e da un forte

    impulso alla conquista dell’autonomia.

    Nel corso del primo anno e mezzo di vita si sviluppa un’altra abilità motoria, la

    manipolazione, il cui progresso dipende sia dalla maturazione neuromuscolare sia

    dall’esercizio. Sappiamo che alla nascita è presente una forma primitiva di prensione, il

    riflesso di presa. Intorno al primo mese di vita il riflesso di presa comincia a indebolirsi

    e scompare del tutto verso i due mesi. Pressappoco alla stessa età il bambino comincia

    a sviluppare la prensione vera e propria, la quale si differenzia dal riflesso in quanto è

    fin dall’inizio sotto il controllo volontario. Il gesto della prensione attraversa

    un’evoluzione progressiva: all’inizio l’oggetto viene afferrato dalla parte cubitale della

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    mano (sotto il mignolo), senza utilizzare il pollice (prensione cubito-palmare). In

    seguito esso viene condotto verso il palmo e afferrato utilizzando tre dita insieme,

    pollice, indice e medio (prensione digito-palmare). Infine l’oggetto viene posto sotto

    l’indice e la prensione implica l’opposizione del pollice e indice (prensione radio-

    palmare).

    Anche in un compito motorio la percezione visiva svolge un ruolo fondamentale di

    guida all’azione della mano. Il riflesso di presa neonatale scompare intorno al secondo

    mese di vita per poi ripresentarsi nei mesi successivi ma con caratteristiche

    funzionalmente evolute. La diversità tra prensione precoce e tardiva si spiega col il

    processo di differenziazione cui vanno incontro le modalità sensoriali inizialmente

    indifferenziate. Nel neonato il semplice vedere l’oggetto determina l’avvicinamento del

    braccio ad esso. In seguito alla maturazione e alla differenziazione fa i due canali

    sensoriali, l’attivazione di uno di essi (la vista) porta all’inibizione dell’altro (la

    prensione). Quando infine i due canali sensoriali ormai differenziati si coordinano tra

    loro, il movimento di orientamento verso l’oggetto ricompare sotto il controllo visivo.

    Dopo che ha imparato non soltanto ad afferrare, ma anche a trattenere in mano

    l’oggetto per guardarlo, manipolarlo o portarlo alla bocca, il bambino deve imparare a

    “lasciarlo cadere”. All’inizio egli perde semplicemente l’oggetto, perché la mano si apre

    involontariamente quando la sua attenzione e le sue energie si volgono altrove.

    Tuttavia, già tra i sei e otto mesi, il bambino impara a lasciar andare l’oggetto

    volontariamente e spesso questa nuova abilità viene esercitata in un gioco assai

    comune, nel quale il bambino lascia andare il suo giocattolo preferito soltanto affinché

    qualcuno glielo riporti ed egli possa lasciarlo andare di nuovo.

    Le tappe di sviluppo fin qui illustrate indicano una progressione che in realtà non è

    così lineare né identica in tutti i bambini. Riscontriamo infatti ampie differenze

    individuali per quanto riguardo non soltanto i tempi ma anche i modi e le strategie con

    cui ciascun bambino conquista specifiche abilità motorie, ad esempio la posizione

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    seduta o il cammino indipendente. Ogni bambino ha il proprio ritmo di sviluppo e

    impara le diverse abilità scegliendo i tempi e i modi che meglio si adattano al suo stile

    di movimento e gli obiettivi che di volta in volta si pone. La presenza di una consistente

    variabilità nello sviluppo motorio mette in crisi il tradizionale modello maturativo e

    l’idea di una sequenza invariante di tappe di sviluppo. Accanto alla maturazione

    neurologica altri fattori vengono chiamati in causa per spiegare i tempi e i modi di

    acquisizione di una nuova abilità motoria: in particolare fattori fisici e meccanici –

    come le modifiche di ossa e muscoli – e fattori ambientali – come le esperienze del

    bambino, la sua motivazione e le sollecitazioni ambientali.

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    Lo sviluppo sessuale

    Al momento della fecondazione si stabilisce il sesso cromosomico dell’embrione.

    Durante le prime fasi dello sviluppo embrionale non vi sono differenze in base alle

    quali stabilire se l’individuo sarà maschio o femmina. All’ottava settimana di gestazione

    diventano riconoscibili testicoli e alla nona settimana si differenziano nel testicolo le

    cellule che producono il testosterone, l’ormone responsabile della formazione dei

    genitali maschili. Alla pubertà, che rappresenta il momento di massima

    differenziazione sessuale nella vita postatale, l’individuo raggiunge la completa

    maturazione degli organi deputati alla riproduzione (maturità sessuale) grazie a

    complessi cambiamenti ormonali. Tali cambiamenti riguardano i caratteri sessuali

    primari (quelli necessari alla riproduzione) che secondari (non indispensabili per la

    riproduzione, come la comparsa dei peli o lo sviluppo del seno). Lo sviluppo puberale

    si caratterizza non solo per l’aumento delle dimensioni del corpo ma anche per i

    cambiamenti nella sua forma. Le modificazioni che completano la differenza fra i sessi

    (dimorfismo sessuale) riguardano tutti gli organi e gli apparati: in particolare la statura,

    la larghezza delle spalle e la forza muscolare sono maggiori nel maschio, mentre la

    larghezza dei fianchi è maggiore nelle femmine, ed è chiaramente associata alla

    funzione riproduttiva.

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    Lo sviluppo del sistema nervoso

    Dal punto di vista morfologico, il cervello cambia in grandezza peso e aspetto esterno

    con l’età gestazionale. Nel corso della gestazione la crescita del sistema nervoso è molto

    rapida ed è maggiore rispetto a quella di altri tessuti. Alla nascita è già presente la

    maggior parte dei neuroni (cellule celebrali) anche se le connessioni tra i neuroni

    (sinapsi) sono ancora imperfette. Inoltre, sulla superficie cellulare si sono formate

    quelle strutture (assoni e dendriti) attraverso cui sostanze chimiche e informazioni

    vengono ricevute e inviate da una cellula all’altra. Un altro processo importante è la

    mielinizzazione, che inizia durante la gestazione e continua fino all’età adulta, con

    tempi diversi a seconda delle diverse parti del cervello. La mielina è una sostanza che

    avvolge come una guaina le fibre nervose e svolge la funzione di aumentare la velocità

    di trasmissione dell’impulso nervoso; è utile ricordare che una malattia come la

    “sclerosi multipla” è dovuta al decadimento della mielina. La persona con sclerosi

    multipla perde gradualmente il controllo motorio e i sintomi specifici dipendono dalle

    parti del sistema nervoso che vengono colpite dalla malattia.

    L’esperienza svolge un ruolo non secondario nella formazione e organizzazione

    dell’architettura celebrale. Vi sarebbero in particolari periodi critici, collocati

    preferibilmente nelle fasi precoci dello sviluppo postatale, in cui esperienze anomale o

    traumatiche possono produrre effetti profondi sull’organizzazione cerebrale.

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    Parte esperienziale

    Le conoscenze acquisite durante lo studio di questa prima lezione non devono

    necessariamente essere considerate come un'appendice concettuale e culturale per

    questo corso.

    Sapere che, ad esempio, esiste una vita prenatale con dei tempi e delle fasi

    contraddistinte; può essere molto utile nel rapporto con un bambino la cui età può far

    pensare che ciò che accadde in quel periodo non ha particolare importanza. Infatti il

    primo contatto dell’educatore non è con l’educante ma col genitore. Spesso la madre

    ha un ruolo fondamentale per avere una conoscenza più ampia del bambino che

    dovremo educare.

    Così sapere dalla madre delle notizie riguardanti la vita prenatale ci può permettere di

    comprendere l’effetto che certi accadimenti possono aver avuto sul feto in base alla

    fase nella quale si sono verificati.

    Il fine naturalmente non è quello di trattare delle patologie fisiche o comportamentali

    (che ci possono essere “presentate” dal genitore), ma è quello di sapere qualcosa di più

    di quanto il genitore possa dire. Un qualcosa che arricchisce la conoscenza e

    l’iterazione con un essere che intuitivamente e pragmaticamente viene spesso pensato

    in maniera semplice e riduttiva.

    Questo, per riassumere, già ci permette di considerare che, contrariamente al senso

    comune, dobbiamo ricordare che il bambino ha l’età che ci viene comunicata più nove

    mesi.

    Raccogliere delle informazioni dai genitori su queste tre importanti fasi della vita del

    bambino può essere d’ausilio al rapporto col bambino ma deve comunque tener conto

    che stiamo interagendo con un genitore che in quanto tale ha dei profondi

    coinvolgimenti affettivi ed emotivi col figlio. Allora, in questo senso, la “raccolta “ può

    essere spontanea ossia ascoltare quanto e se il genitore vuole dirci qualcosa in

    proposito.

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    Così sapere che il parto è stato naturale o cesareo, o che l’allattamento è stato naturale

    o artificiale permetterà di avere un’idea su come i passaggi (p.es. dallo stato liquido (vita

    intrauterina) e quello aereo (parto) oppure dall’alimentazione al seno a quella al

    biberon) siano stati vissuti.

    Ricordiamoci che l’interazione che avremo col bambino sarà un piccolo passaggio per

    entrambi, dato che la novità della relazione è anch’essa assimilabile ad un “passaggio”