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magazine Orchestra europea Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna n.10 gennaio 2016

Filarmonica · Mona Di ORIO MONOM Italia MONTALE Paris NABUCCO Parfums NAOMI GOODSIR Parfums NASO MATTO Profumi Off.Profumo S.Maria Novella ORMOND JAYNE ORTO PARISI PANTHEON ROMA

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Filarmonicadel Teatro Comunaledi Bologna

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Qualche tempo fa, ho partecipato a unconvegno in cui una persona, moltomotivata nell'impegno di otteneredall'Unesco la protezione delMelodramma, come “patrimonioimmateriale dell’Umanità” - una dellepossibili forme di tutela da partedell’Unesco - ha incominciato il propriointervento, rivendicando la non politicitàdella propria iniziativa. Insieme, affermavacon forza anche la non partiticità diquesta proposta.

Queste affermazioni mi hannofrancamente colpito: la deriva per cuipolitico e partitico hanno assunto ormaipraticamente lo stesso significato edentrambi i termini sono consideratispregiativamente, è un fatto molto triste epreoccupante.

Siamo ormai abituati a vedere nellapolitica solo un esercizio di potere fine a sestesso, e, addirittura, di abuso dello stessoin senso clientelare e affaristico. Ricorrentiscandali arrivano a toccare anche figurecome l’ultimo Presidente dellaCommissione Cultura, Scienza e Istruzionedella Camera dei Deputati, che hacontinuato, nonostante una condanna, aesercitare il suo alto istituto in seno al

Parlamento. Così, è chiaro che venga ildesiderio di tenersi il più possibile lontanodal mondo della politica, col rischio però,di lasciarlo proprio in mano a chi nonvorremmo mai che se ne occupasse.

Personalmente, ritengo che il terminepolitico non solo mantenga tuttora la suavalenza positiva, ma che anzi questa debbaessere riscoperta, difesa, rinnovata nellasua forza radicalmente concreta. La polisnon può prescindere dalla politica. Finchénon si prenderà coscienza che fare culturaè un gesto politico, che difendere la culturaè un gesto politico, che finanche scriveresu una rivista che si dovrebbe occuparesolo di apparentemente innocui temi legatialla musica, non può non essere che ungesto politico - se fatto in manierapienamente etica - fintanto che tutto ciònon avverrà, dunque, la parola politicasarà per l'appunto vittima delle suedistorsioni, delle sue derive, sarà appiattitaal termine partitica ed equivocata inquesto senso. Essa sarà, infine, preda deipoliticanti che se ne riempiranno la boccaper giustificare ogni oltraggio che invece,in suo nome, essi perpetreranno.

Credo profondamente che una dimensionepolitica, etica, delle scelte culturali di un

Paese, di questo Paese, sia necessaria. E,proprio ripartendo da qui, forse si potràritornare sulla via di un progresso che -come Pasolini tanti anni fa aveva, con lasolita lucidità, già capito - è ben altra cosarispetto allo sviluppo. Non uno sviluppomeramente economico, che veda solocittadini/clienti, passivi di fronte alle scelteculturali di uno Stato, se non addiritturaperfettamente indifferenti - e sembrapurtroppo la fotografia del presente.Invece, un progresso che sia in grado diprocurare all’Italia, ai suoi cittadini, unanuova consapevolezza delle propriepotenzialità, non solo economiche,turistiche - che, ormai, la Cultura pare siasolo “un’umile ancella” di queste attività- ma anche in termini etici e di civiltà.

Così, in quest’ottica, cosa c’è di piùpolitico che salvaguardare un patrimoniodell’Umanità come il Melodramma, con lasua storia e il suo presente?

EDITORIALE

Guido GiannuzziDirettore Responsabile

“Filarmonica Magazine”[email protected]

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Orchestra europea

Filarmonicadel Teatro Comunaledi Bologna

Sede legale: Via A.Bertoloni, 1140126 BolognaSede operativa c/o Teatro Auditorium Manzoni via De' Monari1/2, 40121 Bolognae-mail: [email protected]

Filarmonica Magazinen. 10 mese gennaio anno 2016Aut. Tribunale di Bologna N. 7937 del 5 marzo 2009

EditoreAssociazione Filarmonica del Teatro Comunale di BolognaVia Bertoloni, 11 – Bologna

RedazioneSede operativa c/o Teatro Auditorium Manzoni via De'Monari 1/2, 40121 Bologna

Direttore responsabileGuido [email protected]

RedazioneMichele [email protected]

Hanno collaboratoAndrea DulbeccoMassimiliano MarzoCecilia MatteucciClaudio Rastelli Alberto Spano

Foto di copertina© Matteo Trentin

Foto© Marco Caselli Nirmal

Foto Rossini (pag. 9)Nadar, 1856

Progetto graficoPunto e Virgola, Bologna

Pubblicità [email protected]

UN RINGRAZIAMENTO PARTICOLARE A

www.filarmonicabologna.it

SOMMARIO

Editoriale | 03

Rubriche | 05

“Musica senz’ombra.” | 07

Alcune riflessioni... | 11

Ascoltare gli ascoltatori... | 14

Fra musica scritta e improvvisazione | 17

Recensioni | 19

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LE MIE DOMANDEdi Cecilia Matteucci

A Pierluigi Masini, Direttore Progetti e Iniziative Editoriali della Poligrafici Editoriale dal 2012. Nell’88vince una delle 25 borse di studio del Gruppo Monti Riffeser per l’avviamento alla professionegiornalistica. Interrompe la borsa di studio dopo soli 4 mesi (dei 18 previsti) per essere assunto al Piccolodi Trieste. Arriva al Carlino nel ’90, alla redazione di Rimini. Nel ‘91 diventa giornalistaprofessionista. Nel marzo ’93 viene nominato capo della redazione di Ferrara. Nel ’97 a Bologna per lepagine del Primo Piano nazionale. Nello stesso anno, a novembre, con l’avvio di QN – QuotidianoNazionale diventa vicecapo dell’Economia di Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno. Nel ’98 diventavicecapo delle Cronache italiane. Nel ‘99 viene chiamato dall’Editore a progettare un settimanale dadiffondere con le tre testate su Internet e dintorni: nasce Quotidiano Net che verrà diffuso in 700.000copie. E’ il primo supplemento dedicato alle nuove tecnologie che un quotidiano vara in Italia. Nel 2001l’Editore gli affida la vicedirezione del Resto del Carlino. Nel 2007 propone il “Premio Marco Biagi - IlResto del Carlino”, dedicato alla figura del giuslavorista bolognese ucciso dai terroristi il 19 marzo 2002,che dal 2007 assegna risorse economiche a Onlus, cooperative sociali e fondazioni.

Cecilia Matteucci e Pierluigi Masini

La musica preferita? Quella che non ho ancora ascoltato.Parafrasando Nazim Hikmet: “Il piùbello dei mari è quello che nonnavigammo. Il più bello dei nostri figlinon è ancora cresciuto. I più belli deinostri giorni non li abbiamo ancoravissuti. E quello che vorrei dirti di piùbello non te l'ho ancora detto”. Vuoldire che sono così felicementeignorante da essere attratto più dallascoperta che dal già noto.

L’opera lirica? Direi Mozart, Don Giovanni. C’èdentro tutto, un’opera universale, unamusica per l’eternità. Tirso de Molinae Lorenzo da Ponte, due religiosi chein fatto di sfumature dell’animoumano se ne intendevano.

La sinfonia? La Nona di Dvořák, perché mi vienevoglia di invadere l’America. Un po’quello che dice di provare WoodyAllen con la Polonia quando ascoltaWagner.

Ricorda come ci siamo conosciuti?Ci siamo conosciuti a Macerata,ricordo che tu sei stata subito attrattadal mio abito rosso sfavillante e nonconvenzionale. O forse il contrario?Ammetto di non ricordarmelo (ride).

La canzone della sua adolescenza? Vincent di Don McLean, omaggio aVincent Van Gogh. Mi ricorda unosceneggiato che si chiamava Lungo ilfiume e sull’acqua che mi piacevatanto guardare: era il 1973, la tv erain bianco e nero, io lo vedevo a casadei miei nonni a Roma mentremangiavo pane e olio.

La sua grande passione?Il design è una passione travolgente,mia e di mia moglie Antonella. Siamocollezionisti compulsivi e siamo anchecuriosi indagatori del trentennio daglianni ‘50 agli anni ‘80 in cui l’Italia haespresso il massimo al mondo in fattodi design. Per questo abbiamo varatoDesignFollia, una pagina Facebookin cui mettiamo contenuti veri adisposizione degli appassionati.Aspettiamo ancora il tuo like, Cecilia!

È stato più emozionante essereassunto al Piccolo di Trieste oessere nominato Responsabile deiprogetti e delle iniziative editorialidella Poligrafici Editoriale?L’emozione del direttore che ti dice“ti assumo” non te la dimentichi.Quel giorno di marzo dell’89 a Triestepioveva di brutto, acqua a più nonposso, tutto era grigio e bagnato.Uscii dal Piccolo, immaginai di

LE VIE DEI CANTI a cura di Guido Giannuzzi

Gli arpisti spendono il novanta per cento del loro tempo

accordando le loro arpe e il dieci percento suonando scordati.

Igor Stravinskij“ ”

risalire e di guardare il golfo, le rive,il Castello di Miramare, Duino, ilsentiero Rilke… Atterrai alla guidadella Passat mentre mi suonavanoperché era scattato il verde.

Una domanda che non le ho fatto? Ma lei è sicuro che interessi aqualcuno quello che mi ha appenadetto? Risposta mia: no. Ma abbiamoriempito la pagina (e ci siamodivertiti).

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Giuseppe Mazzini (1805-1872) è stato il grande (e discusso) uomo politico e pensatore che tutti noi abbiamo conosciutofin dai banchi di scuola, figura centrale del Risorgimento italiano. Forse, però, non in tanti sanno che fu competenteconoscitor di musica e provetto chitarrista. La sua passione per quest’arte si concretò in un saggio dal titolo Filosofiadella Musica, pubblicato nel 1836, dal quale riportiamo un estratto, particolarmente significativo per le considerazionisulla musica italiana e di Rossini in particolare.

“MUSICA SENZ’OMBRA.” MAZZINI E LA MUSICA DI ROSSINI.a cura di Guido Giannuzzi

La musica italiana è in sommo gradomelodica. Fin da quando Palestrinatradusse il cristianesimo in note, e iniziòcolle sue melodie la scuola italiana, essaassunse questo carattere e lo conservò.L'anima del medio Evo spira in essa e lasuscita. L'individualità, tema, elementode' tempi di mezzo, che in Italia più chealtrove ebbe in tutte cose espressioneprofondamente sentita ed energica, haispirata, generalmente parlando, la nostramusica, e la domina tuttavia. L'io v'è re:re despota e solo. S’abbandona a tutticapricci; segue l' arbitrio d' una volontàche non ha contrasto: va come può e dovespronano i desiderii. Norma razionale eperpetua, vita progressiva unitaria,ordinata pensatamente a un intento nonv'è. V'è sensazione prepotente, sfogorapido e violento. La musica italiana sicolloca in mezzo agli oggetti, riceve lesensazioni che vengono da questi, poi nerimanda l' espressione abbellita,divinizzata. Lirica sino al delirio,appassionata sino all'ebbrezza, vulcanicacome il terreno ove nacque, scintillantecome il sole che splende su quel terreno;modula rapida, non cura - o poco - deimezzi e delle transizioni, balza di cosa incosa, d'affetto in affetto, di pensiero inpensiero, dalla gioia estatica al doloresenza conforto, dal riso al pianto, dall' iraall' amore, dal cielo all' inferno - e semprepotente, sempre commossa, sempreconcitata ad un modo, ha vita doppia dell'altre vite: un cuore che batte a febbre. Lasua è ispirazione; ispirazione di tripode,ispirazione altamente artistica, nonreligiosa. Prega talora - e quandointravvede un raggio del cielo, dell'anima,quando sente un'aura del grande universoe si prostra, e adora, è sublime - e la sua èpreghiera d'una santa, d'una rapita; mabreve: - tu senti che s'ella piega la fronte,la rileverà forse un istante dopo

in un concetto d' emancipazione e d' indipendenza: tu senti che s'è curvatasotto l' impero d' un passeggeroentusiasmo, non sotto l' abitudine d' unsentimento religioso immedesimato conessa. Le credenze religiose vivono d'unafede in tal cosa ch'è posta al di là delmondo visibile, d' una aspirazione all' infinito, e d'un intento, d'una missione

che invade tutta intera la vita, e trapelane' menomi atti. Ed essa non ha fede chein sé, non ha ad intento che sé. L'Arte perl'Arte è formola suprema per la musicaitaliana. Quindi il difetto d'unità, quindi ilprocedere frazionario, sconnesso,interrotto. Cova segreti di potenza cheattemperata ad un fine, sommoverebbe,per raggiungerlo, tutto quanto il creato.

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Ma dov'è questo fine? Manca il puntod'appoggio alla leva, manca il vincolo trale mille sensazioni che le sue melodierappresentano. Come Fausto, essa puòdire: ho percorso del mio volo l'intero

universo; ma a parti e sezioni, coll'analisi,di cosa in cosa - l' anima, e il Dio dell' universo, ove sono?A musica siffatta, come ad ogni periodo, opopolo o disciplina che rappresenti e idolegginel suo sviluppo l' individualità, dovevasorgere corrispondente un uomo cheriassumendole tutte in sé, si collocasse asimbolo e la conchiudesse.

E venne Rossini.

Rossini è un titano. Titano di potenza ed'audacia. Rossini è il Napoleoned'un'epoca musicale. Rossini, a chi benguarda, ha compíto nella musica ciò che ilromanticismo ha compíto in letteratura.Ha sancito l'indipendenza musicale:negato il principio d'autorità che i milleinetti a creare volevano imporre a chi crea,e dichiarata l'onnipotenza del genio.Quand'egli venne le vecchie regolepesavano sul cranio all'artista, come leteoriche d'imitazione, e le viete unitàaristoteliche del classicismo inceppavan lamano a qualunque s'attentava di scriverdrammi, o poemi. Ed egli si posevendicatore di quanti gemevano, ma nonosavano d'emanciparsene, di quellatirannide; gridò rivolta, e osò. Codesta èlode suprema; forse s'ei non osava - se aivecchi che gracchiavano: non fate, ei nonsi sentiva l'animo di rispondere: fo - nonrimarrebbe a quest' ora speranza dirisorgimento alla musica, dal languore cheminacciava occuparla ed isterilirla. Rossini,ispirandosi ad un bel tentativo di Mayer, eal genio che gli fremeva nell'anima, ruppei sonni e l' incanto. Per lui la musica èsalva. Per lui, parliamo oggi d'iniziativamusicale europea. Per lui, possiamo, senzapresumere, aver fede che questa iniziativaescirà d'Italia e non d'altrove. Non però

giova esagerare o frantendere la parte chespetta a Rossini ne' progressi dell' arte; lamissione ch' egli s' assunse, è missioneche non esce da' confini dell' epocach'oggi gridiamo spenta o vicina a

spegnersi. È missione di geniocompendiatore, non iniziatore. Nonmutò, non distrusse la caratteristica anticadella scuola italiana: la riconsacrò. Nonintrodusse un nuovo elemento checancellasse o modificasse potentementel'antico: promosse l'elemento dominatoreal piú alto grado di sviluppo possibile; lospinse all' ultima conseguenza: lo ridussea formola, e lo ricollocò su quel trono d' onde i pedanti l'avevan cacciato senzapur pensare, che chi strugge un potere, hadebito di sostituirne un migliore. E i moltiche guardano anch'oggi in Rossini, comein un creatore di scuola e di epocamusicale, come nel capo di una rivoluzioneradicale nella tendenza e ne' destini dell'arte, travedono, dimenticano le condizioninelle quali, poco innanzi a Rossini, si stavala musica, commettono lo stesso erroreche s' è commesso intorno al romanticismoletterario da quanti han voluto trovarvi unafede, una teorica organica, una nuovasintesi di letteratura, e -- quel che è peggio-- perpetuano il passato, pur gridandoavvenire. Rossini non creò, restaurò.Protestò - ma non contro l'elementogeneratore, non contro il concettoprimitivo fondamentale della musicaitaliana; bensì a favore di quel concettoobliato per impotenza, contro la dittaturade' professori, contro la servilità deidiscepoli, contro il vuoto che gli uni e glialtri facevano. Innovò, ma più nella formache nell'idea, più ne' modi di sviluppo ed'applicazione che nel principio. Trovònuove manifestazioni al pensierodell'epoca; lo tradusse in mille guisediverse; lo incoronò di così minutointaglio, di tanta fecondità d'accessorii, ditanto fiore d'ornato, che taluno potrà forsesederglisi a fianco, non superarlo: loespose, lo svolse, lo tormentò fin che

l' ebbe esaurito. Non lo varcò. Più potentedi fantasia che di profondo pensiero, o diprofondo sentimento, genio di libertà enon di sintesi, intravvide forse, nonabbracciò l'avvenire. Fors'anche privo di

quella costanza e di quell'alterezzad'animo che non guarda, se non dietro leesequie, alle mille generazioni vegnenti,anziché a quell'una che si spegne con noi,cercò fama, non gloria; sacrificò all'idoloil Dio; adorò l'effetto, non l'intento, non lamissione; però gli rimase potenza acostituire una setta, non a fondare unafede. Dov'è in Rossini l'elemento nuovo?Dove un fondamento di nuova scuola?Dove un concetto unico, dominatore ditutta la sua vita artistica, che armonizzi aepopea la serie delle sue composizioni?Chiedetelo ad ogni scena, o meglio adogni pezzo, ad ogni motivo delle suemusiche; non al sistema, non all'opere,non ad un'opera intera. L'edificio ch'egliha innalzato, come quel di Nembrotte,ferisce il cielo; ma v'è dentro, come in queldi Nembrotte, confusione di lingue.L'individualità siede sulla cima: libera,sfrenata, bizzarra, rappresentata da unamelodia brillante, determinata, evidente,come la sensazione che l'ha suggerita.Tutto in Rossini è appariscente, definito,saliente; l'indefinito, lo sfumato, l'aereo,che parrebbero appartenere piùspecialmente all' indole della musica, handato luogo, quasi fuggenti dinanzi all' invasione d' uno stile avventato,tagliente, d'una espressione musicalepositiva, risentita, materialista. Diresti lemelodie rossiniane scolpite a basso-rilievo.Diresti fossero sgorgate tutte dallafantasia dell'artista sotto un cielo d'estatedi Napoli, in sul meriggio, quando il soleinonda su tutte cose, quando batteverticalmente, e sopprime l' ombra de'corpi. È musica senz'ombra, senza misteri,senza crepuscolo. Esprime passioni decise,energicamente sentite, ira, dolore, amore,vendetta, giubilo, disperazione - e tuttedefinite per modo che l'anima di chi

L'Arte per l'Arte è formola suprema

per la musica italiana

“”

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ascolta è interamente passiva: soggiogata,trascinata, inattiva: - gradazioni d' affettiintermedi, concomitanti, non sono o poche:aura del mondo invisibile che ci circonda,

melodia - Rossini, e la scuola italiana diche egli ha riassunto e fuso in uno i diversitentativi, i diversi sistemi, rappresentano l' uomo senza Dio, le potenze individualinon armonizzate da una legge suprema,non ordinate a un intento, non consacrateda una fede eterna.

nessuna. Spesso l'istrumentazione accennaun eco di questo mondo e par si affacciall'infinito; ma quasi sempre retrocede,s'individualizza, e diventa anch' essa

E venne Rossini“ ”

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ALCUNE RIFLESSIONI SULLA GESTIONE ECONOMICADELLE FONDAZIONI LIRICO-SINFONICHE di Massimiliano Marzo*

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La crisi economica degli ultimi sette anni(speriamo che il tempo biblico dellecarestie volga al termine per permetterciuna svolta positiva reale) ha attraversato,purtroppo, tutti gli aspetti della nostra vitae il settore della cultura non ne è statoesente. Ciò, d’altro canto, rappresenta ungrande e tragico paradosso, dal momentoche è proprio in momenti di grave crisieconomica e sociale e di grande incertezzaper il futuro che si registra un forteincremento di domanda per la fruizione diiniziative culturali da parte delle persone.E’, infatti, nella cultura che troviamosempre la risposta alle nostre domande,alle nostre paure e incertezze. È la cultura– nella sua accezione più ampia – che ciconforta nei momenti difficili e ci dà ilsegnale, a volte, per la risoluzione deiproblemi stessi che ci attanagliano, a voltaancora, per riportarci al senso ultimo dellanostra esistenza. Tuttavia, come disse unautorevole Ministro dell’Economia delnostro paese, con la cultura non si mangia,e allora nei programmi elettorali, nei pianidi sviluppo, nei piani di revisione di spesa,i progetti culturali sono sempre in testa aitagli da fare e alle revisioni di bilancio.

All’interno del settore cultura vi è, inparticolare quello della musica e dellospettacolo dal vivo, che, in questi ultimianni, appare in seria sofferenza. Sono atutti note le vicissitudini del Teatrodell’Opera di Roma, dove l’orchestra èstata licenziata in toto dalla direzione delTeatro, per poi obbligare i professorid’orchestra a riunirsi in una cooperativache avrebbe dovuto prestare il servizio alteatro stesso. Per fortuna questo non èavvenuto e i licenziamenti sono rientrati.Anche il nostro Teatro Comunale non èimmune da questi problemi: nel corsodell’ultimo anno i professori d’orchestrahanno più volte dovuto rinunciare al loroemolumento mensile al fine disalvaguardare il posto di lavoro nel futuro.E questa, per ogni lavoratore ma ancora dipiù per chi ha investito anni e anni nellapropria formazione professionale constudio, corsi di perfezionamento, èveramente una tragedia, una sconfitta pertutti. Anche perché molti membridell’orchestra dispongono di strumenticostosi che hanno acquistato anche condebiti e con sacrifici, con uno scarso (senon inesistente) supporto da parte delle

istituzioni musicali presso le qualilavorano. Questi fatti evidenziano unagrave tendenza in atto da qualche tempopresso chi ha il gravoso compito di dirigereistituzioni musicali: quella di considerarel’orchestra (intesa come aggregato dimusicisti) e il coro come gli ultimiresponsabili della crisi economica delteatro. L’obiettivo, neanche tropponascosto, sembra essere quello di risanarei conti degli enti lirici italianiridimensionando gli organici orchestrali, ecomprimendo gli incentivi almiglioramento artistico dei lorocomponenti. È come se il manager diun’azienda licenziasse, non già gli operai,ma le macchine con le quali produce i suoiprodotti. Senza l’orchestra o, conun’orchestra ridotta, come sarà possibilegenerare quel prodotto che, a sua volta,attrae il consumatore-spettatore dal qualesi ottengono i veri ricavi dell’azienda teatrodati dalla vendita dei biglietti? Chi eseguiràuna sinfonia o un’opera? I dipendentiamministrativi del teatro o i sovrintendentistessi?

È evidente che questa è una stradatotalmente sbagliata da seguire. È troppofacile, infatti, identificare negli orchestralifonti di parassitismo. Spesso si dice:suonano troppo poco. Qualcuno haconsapevolezza del fatto che per andare inscena o sul palco bisogna prima studiare eprovare? I tanti soloni che oggi criticano illavoro dei musicisti sanno veramente cosasignifica mettere in scena un repertoriodifficile, complesso e innovativo? Nonsembra proprio. Ma ancora, tra le criticherivolte ai professori d’orchestra del teatrodell’Opera di Roma vi era quella relativaall’indennità per l’umidità per le esecuzioniall’aperto. Non tutti sanno che glistrumenti (essendo tutti costruiti in legnopregiato, e quindi reattivo di fronte allesollecitazioni esterne) sono molto sensibilirispetto alle condizioni atmosferiche e,l’indennità rappresenta una sorta diassicurazione contro i rischi dideformazione permanente dei legni o perprocedere a riparazioni degli strumenti. Eancora: la creazione di una cooperativaesterna al teatro formata da professorid’orchestra sarebbe stata uno degliennesimi paradossi delle politiche dioutsourcing che denota, in questo caso,anche una scarsissima cultura aziendale. In

generale, infatti, l’outsourcing deveessere effettuato con servizi non essenzialial core business dell’azienda: in questomodo, anziché avere dipendenti inorganico si decentralizzano, ad esempio, lepulizie, alcuni servizi di contabilità egestione (il servizio paghe) o servizi legali.Qual è il core business di un teatro? Lamusica, ovviamente. Ed è proprio quellache è stata decentralizzata in outsourcingnella cooperativa. Logica avrebbe volutoche si creasse una società esterna conservizi non specifici, quali, appunto, lacontabilità, la gestione del magazzino, ealtro. Perché allora accanirsi con imusicisti?

Insomma, è del tutto evidente che oggi sisentono in diritto di discutere di gestionedei teatri sempre più soggetti che nonhanno la minima idea di cosa significhisuonare uno strumento in termini diformazione e aggiornamento continuo enon conoscono nemmeno il significato delmestiere di musicista. La scarsa cultura ela vasta ignoranza in materia produconoscelte gestionali sbagliate anche sul pianodella razionalità economica e manageriale,non riuscendo ad individuare le vereproblematiche all’origine del dissesto deiteatri. E’ inutile negarlo: nei teatri vi èspesso una pletora di personale assuntocon logiche puramente clientelari nelpassato, quando le risorse eranoabbondanti. E, si badi bene, non si tratta dipersonale artistico, ma quasi sempreamministrativo. Che cosa costerebbecreare società di servizi esterne(partecipate anche al cento per cento dasoci pubblici: comuni e regioni in primis)per gestire la contabilità, i contratti, ecc.che possano anche lavorare per unamolteplicità di strutture artistichemettendo a fattor comune tutte leproblematiche gestionali del settore. Inquesto modo si sgraverebbero i teatri dialcuni costi fissi importanti, generandoforti economie di scala nella gestione dellacultura cittadina e regionale. Questo è soloun esempio, ma dovrebbe servire a cercaresoluzioni alternative al continuoaccanimento verso le orchestre dimostratoda diversi amministratori di teatri. Più ingenerale, dovrebbe essere chiaro cheaccanirsi contro i musicisti non è utile peralmeno due ragioni: in primo luogo, nonrisolve il problema delle uscite dei teatri,

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che non è negli stipendi dei musicisti, maè nei costi delle produzioni (su questotornerò in seguito) e nei costi fissi di uneccesso di personale non artistico. Insecondo luogo, additare alla pubblicaopinione il musicista come fannullone nonfa altro che alimentare quel pubblicodiscredito su queste figure, figlio diun’educazione scolastico-letteraria basatasul classicismo che vedeva (erroneamente)il primato della letteratura su tutte le altrearti, che finisce con l’allontanare i giovanidalla professione del musicista. E quandogli stranieri ci dicono: voi italiani avete untalento musicale innato ma avete pochimusicisti, non meravigliamoci echiediamoci il perché.

Per risolvere il problema è ora necessarioaffrontare la realtà con un cambio di passo

non più rinviabile. In primo luogo è urgenterivedere le forme di finanziamento dellamusica, del teatro dal vivo e, più ingenerale, della cultura. Per troppo tempoassessori e sovrintendenti hanno bussatoalla porta di banche, fondazioni, ricchimecenati per ottenere contributi a fondoperduto. Questa epoca è finita ed è urgentemettere in campo strumenti e iniziativenelle quali il finanziatore si veda parteattiva di un progetto di ampio respiro e, altempo stesso, possa vedere il suocontributo non a fondo perduto. Uno deiproblemi dei teatri è, infatti, rappresentato

da uno scarso livello di capitale circolante(working capital). Oggi questo èassicurato dal credito bancario. E’ ormaiineludibile la necessità di procedere alladefinizione di strumenti finanziari, con lagaranzia dello Stato, necessari perfinanziare il capitale circolante e allentarela dipendenza degli enti lirici dal creditobancario. In questo modo, con strumentifinanziari fungibili (obbligazioni o quote dicapitale), privati e fondazioni possonoinvestire, ricavandone anche unaremunerazione che, potrebbe essere fissataa un livello socialmente sostenibile (graziealla garanzia pubblica), al di sotto deiparametri di mercato per ridurre gli onerifinanziari dei teatri. In una direzione simileè andato il provvedimento ‘Art Bonus’recentemente varato dal governo: il creditod’imposta previsto dalla legge è, in una

certa misura, la remunerazione delcontributo erogato a favore dei teatri edegli enti lirici.

In ogni caso, va comunque rivista lapolitica di spesa dei teatri non già con lafinalità di generare risparmi a scapito dellaqualità artistica, quanto piuttosto perincentivare l’assunzione di musicisti di altolivello e per attirare artisti che oggiraramente i teatri italiani possonopermettersi di ingaggiare. A tale scopo,tutto ciò che è costo fisso e nonstrettamente legato alla produzione

artistica andrebbe energicamente gestitoall’esterno del teatro tramite contratti dioutsourcing. In più, sarebbe importanteinvestire maggiormente sulle co-produzioni con più teatri, italiani estranieri, in modo da ripartire i costi fissidella messa in scena di opere liriche su piùteatri.

Ma soprattutto è ormai ineludibile che lapolitica inizi a selezionare la classedirigente dei teatri e degli enti lirici conmaggiore attenzione, senza dover rischiaredi trovarsi consiglieri di amministrazioneche si auto-investono di ruoli non conformial loro mandato. In troppi casi assistiamoa situazioni dove alcuni credono, anche inbuona fede, di esperire logiche gestionali(per la verità in molti casi estranee alla loroformazione e al loro percorso

professionale) corrette, non comprendendodove i problemi sono effettivamentelocalizzati. È questa improvvisazione,spesso ammalata di un aziendalismo diprovincia che rischia di marginalizzare inostri teatri e la nostra grande tradizioneesecutiva, non i componenti diun’orchestra il cui lavoro è contendibile egiudicabile con chiarezza.

*Università Di Bologna - Dipartimento di ScienzeEconomiche.

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Compositore, direttore artistico, insegnantedi scuola media, divulgatore. Sulla carta ilmio punto d'osservazione è assai ampio.Rivolgo lo sguardo in modo diretto aistituzioni -pubbliche e private - mondodella musica, della politica, della scuola,dell'associazionismo, e, con sguardo piùpanoramico e trasversale, a chi "ascolta lamusica".Rarissimi sono i casi di persone a-musicali,credo di averne conosciute due in tutta lamia vita. Gli altri, intravisti, osservati,incontrati, conosciuti, intimi, sono tuttiascoltatori: curiosi, immobili, distratti,onnivori, selettivi, presenzialisti, sinceri,dubbiosi, avventurosi...Li vedo dalpalcoscenico, dalla cattedra, di fianco a me,di passaggio, per iscritto. Li osservo, ascoltocosa dicono, guardo come si comportano,mi scopro a immaginare i loro pensieri. Gliascoltatori sono una moltitudine. Più uno. Il punto d'osservazione comprende ancheme stesso, ovviamente. Anzi, no, non èovvio. Ma è così. Un po' per gioco e un po'per interesse tento di sperimentare su mestesso quello che, si dice, provano "glialtri": lo spaesamento, il disgusto, ilfastidio, il sonno, la noia e tutti i rispettivicontrari, compensativi e superlativi.Secondo me - in questo caso l'incipit mipare piuttosto appropriato - diventointeressante oggetto di osservazionesoprattutto quando "gioco fuori casa",quando mi avventuro in territori nei qualisono costretto ad azionare le mieconoscenze, competenze, talenti etrasportare il tutto in ambiti menofamiliari. In pratica, quando esco dalmondo strettamente musicale e vado auno spettacolo di danza, di prosa, a unamostra, a un reading di poesia. In questicasi, mi dico, la mia posizione forsesomiglia a quella degli ascoltatori nonmusicisti che vanno a un concerto. E allorami indago, sento che mi interesso di più.Parto dalla punta dell'iceberg, dalladichiarazione ufficiale di spaesamento eautoassoluzione, cioè da una frase sentitamiliardi di volte ai concerti; la trasferisconell'ambito in cui mi trovo, prendo il

respiro e m'immagino mentre mi dico: "Ionon capisco niente di danza" (o di prosa,pittura, scultura, poesia...). Suona male. Mi pare addirittura di nonaverla mai sentita riferita alla danza. Eccoperchè stona. Vuol dire che le persone sisentono ignoranti in musica e lo sonomeno, o per nulla, in altri ambiti artistici?Non saprei. Allargo lo sguardo.A Modena, nelle tante belle giornate disettembre passate in Piazza Grande, nonricordo di aver mai sentito dire "Io noncapisco niente di Filosofia". Già, ma non èun ambito artistico - non lo è!? - o forsenella marea di gente al Festival dellaFilosofia non si percepiscono i singolicommenti. Comunque suona male. E forseho allargato troppo lo sguardo.Invece "Io non capisco niente di musica"suona bene. E' così comune da sembrareconiata proprio dagli ascoltatori.Probabilmente mi è familiare perchè sonoun musicista, e allora, anche solo per unveloce scambio prima/dopo il concerto, ilnon musicista che m'incontra non si sentea proprio agio e dice la fatidica frase "Ionon capisco niente di musica". Vorrei tantoche non la dicesse, ma non resiste. La dice,anteponendola a un "però" e continuandocon quello che m'interessa: il suo pensiero,il suo punto d'ascolto. "Io non capisconiente di musica, però...". Ma io, quandofruisco in trasferta, ho mai detto o pensato"io non capisco niente di..."? Non potreigiurarlo. Provo a credere di no. Forse perchémi suona male, e questo per un musicista ègià un buon motivo. O forse perché finora hosolo evitato il pericolo dribblandodanzatori/attori/registi/pittori/.../. Invece gliascoltatori lo dicono, anche se, secondome, non lo pensano. Di sicuro non lopensano mentre ascoltano la musica, esecondo me anche quando non laascoltano. Potrebbero pensare "io noncapisco la musica contemporanea", manon gli viene in mente di pensare "io noncapisco niente di musica". Perché? Perchénon è vero. Ma allora perché lo dicono? Eperché sempre a me e ai colleghi musicistie non ad altri artisti? Penso: sto cercando

di dimostrare che la Musica è la piùsfortunata? Voglio fare la vittima osemplicemente ho una visione limitata inquanto musicista? Non sono certo che questa frase riguardisolo la Musica. Adesso telefono ad alcuniamici attori, registi, fotografi, e chiedo loro:"Fanno così anche con voi? Esiste ancheda voi Io non capisco niente di? Qual èla vostra "fatidica frase?". Ma in questomomento sono le 8 di domenica mattina,potrebbero rispondere in modo pocoelegante alle mie domande. Li chiamo piùtardi, anzi, domani. E allora torno a frugarenella mente del fruitore in trasferta. Bologna, Teatro San Leonardo, primi mesidel 1996, dopo il lungo monologo teatraleio e l'amico che era con me, spaesati eammirati, ci confidiamo lo stesso pensiero:"Ma come fa a ricordarsi tutte quelleparole?". Lui era fidanzato con lasegretaria di produzione di quellospettacolo e andammo a dirlo a lei, cherispose, calma: "Vi perdete in un bicchierd'acqua". Che figura. Ecco perché è tornato a galla,persino l'anno mi ricordo, e circa anche ilmese. Dentro di me scatta immediato ilsistema di difesa: "Beh, mica ero andato adirlo all'attore!...e poi non avevo detto "Ionon capisco niente di Teatro". Bene. Maperchè l'abbiamo detto? Che bisognoc'era? Che rabbia. Quella frase è ilcorrispettivo di "Prof, come fa a spingeretutti quei tasti? Come fa a spingere proprioquelli giusti?". I miei allievi hanno 11-13anni, io nel '96 ne avevo già 33. Comunquemi sto mettendo in discussione, io.Oggigiorno quanti lo fanno? Autoassolto.Stanno arrivando alcune risposte ai mieisms e whatsapp. Non sono riuscito atrattenermi. Del resto i "messaggini" puoimandarli quando vuoi, a qualsiasi ora,anche alle 8 di domenica mattina. Mirisponde un amico fotografoprofessionista: "Che bella questa foto,sembra un quadro; come mi piace il biancoe nero, sembrano le foto di una volta".Dice che queste frasi sono molto frequenti,ma "Io non capisco niente di Fotografia"

ASCOLTARE GLI ASCOLTATORISENTITO DIRE, VISTO FARE, IMMAGINATO IL RESTOdi Claudio Rastelli

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non l'ha mai sentita. Il mio amico regista:"Io vado poco a teatro" - è quella chesomiglia di più alla "fatidica" - per il restomi riporta testimonianze di due suoi amici:un poeta "La poesia mi annoia, non lacapisco"(eccola!) e un pittore "Lo sapreifare anch'io". Frugo nel mio archivio etrovo"Come mi piace il bianco e nero".Sono certo di averlo detto più volte proprioal mio amico fotografo. Forse il suo sms èuna sottile vendetta che aspettava da anni.Comunque ho smesso di dirlo nel 2010, oranon lo direi mai, e comunque non ho maidetto "sembrano le foto di una volta". Maalla fine, quindi, un contributo di"fatidiche" l'ho dato anch'io. Allora nonposso fare la vittima. Penso: "almeno mimetto in gioco, io". Che fatica, però.Chiudo l'archivio.Pare quindi che la poesia abbia unrepertorio di frasi simili a quelle destinatealla musica. In effetti hanno molto incomune. Certo la Poesia almeno ha leparole, la musica nemmeno quelle. Anchela fotografia e le altre, però, sembranosoffrire. Non rifletto oltre perché mi appareimprovvisa un'immagine molto recente.Sono a uno spettacolo di Vie Festival,rassegna di teatro contemporaneo curatada Emilia Romagna Teatro. E' pieno digiovani! Un pubblico bello, vivo, moltoidratato. Poi qualche finto giovane, altri piùapertamente âgés, qualche addetto ailavori, qualcuno vestito da addetto ailavori. Di certo ci sono molti giovani,interessati e abituati a stare in teatro:buona tenuta psicofisica, concentrazione,postura piuttosto dignitosa e funzionalealla fruizione. Complessivamente "un veropubblico", espressione di una sinceradomanda di teatro. Penso: ma quanto è"sincera" oggi la domanda di musica? Esubito dopo: quanto è sincera l'offertamusicale attuale? Pessimista: è possibileoggi un'offerta musicale sincera?Musicista: è sincero ciò che proponiamo alpubblico? Seduto in platea: quelli che vedosono fruitori migliori di quelli che vanno aiconcerti? E tutti questi giovani...Certo, dauna vita a scuola si studia la letteratura eil teatro, la musica invece inizia e finiscealle scuole medie. Provo a pensare male: infondo i giovani seguono le mode e andarea teatro, probabilmente, è figo.Non trovo una risposta al mio pensieromeschino, ma mi pare che per un giovanenon sia figo andare a sentire la musica

classica. E siccome da almeno un paio didecenni la categoria dei "ggiovani" si èampliata, ora la parte degli idratati toccafarla ai 40enni. Una volta all'opera liricaero seduto esattamente a metà di una filadi platea; sono rimasto incastrato tuttol'intervallo aspettando che le persone allamia destra e sinistra rinvenissero,riuscissero ad alzarsi e a guadagnare lerispettive uscite. Insomma non riuscii adandare in bagno. Del resto anche parecchidi loro non ce la fecero. I giovani, dicevo. La discriminazione per chifa "una cosa da vecchi" - andare allaclassica, ancora peggio alla lirica - iniziamolto presto, ne sono testimone. I giovanili vedo nascere e crescere a scuola. Mifanno paura, possiedono già un repertorioadulto di pregiudizi e motivazioni. Hoanche il sospetto che una cosa da vecchisia qualcosa che ha a che fare con lacomplessità. In classe: "Prof, quanto civuole a imparare a suonare così?...No, alConservatorio non ci vado, troppodifficile". La difficoltà è un'accusa e unpericolo. I genitori, senza volere,proteggono spesso i bambini dalladifficoltà e, nel caso della musica,chiedono solo disimpegno ("in musicadevono divertirsi"). Insomma, la musicanon è importante: è intrattenimento. Nondeve essere complessa. Non dobbiamodare fastidio, nè io nè la Musica. E poi direo produrre qualcosa giudicata difficile tirinchiude automaticamente nella torred'avorio. Anche gli insegnanti, a volte, senza volere,si comportano come avessero orrore dellacomplessità. Una mia - brava - ex collegadi Lettere: "Tu fai l'opera lirica a scuola!?Ma è difficile!" Risposta mia: "Tu faiLeopardi a scuola!? Ma è difficile!".Rispondo sempre così, riportando ognisimile sciocchezza nei campi importanti,facendola esplodere. Per fortuna, daprecario, cambio scuola quasi tutti gli anni. Comunque i bambini e i ragazzi che vedoalle mie lezioni-concerto di lirica sidivertono, apprezzano e capiscono. Allafine della lezione quando li saluto dicendo"Portate i vostri genitori all'Opera Lirica!"penso che solo in pochissimi ce la faranno. Stanno arrivando le risposte al mio invitosu Facebook per il concertod'inaugurazione della stagione degli Amicidella Musica di Modena: "cerco di venire;se posso vengo; ci provo; spero di farcela;

mi piacerebbe ma...; mi organizzo per laprossima volta; grazie Claudio! Continua apubblicare perché prima o poi riuscirò avenire!". Ma perché mi hanno risposto? Ilmio era un invito generico su unsocialnetwork, non una telefonata.Potevano non rispondere o cavarsela conun "mi piace". Invece vogliono partecipareanche senza partecipare. O forse significa"Non vengo, ma non credere che non amila musica, o che non frequentiabitualmente i concerti...". Devo fermarmi. Mi accorgo che si fasempre più disordinata l'accoglienza,l'organizzazione e la stesura dei pensieri.Stesura? Sto parando colpi! Vengono datutte le parti, sembra di stare nel bel mezzodi una battaglia. Non vedo la fine, nonriesco a delimitare il campo, figurarsi a fareaffermazioni o tantomeno a cercarerisposte. Colpa dell'argomento, anzi deltitolo stesso. Colpa mia. Mica me l'avevanoimposto l'argomento, tantomeno il titolo;ma perchè l'ho scelto!? E poi io non sonouno studioso in questo campo, non mioccupo di meccanismi sociali, psicologici,comunicativi e quant'altro... devofermare anche questi pensieri, sento chesto quasi per dire io non capisco nientedi quello di cui ho parlato finora. Sì, devofermarmi, e poi ho già superato il numerodi battute richieste. Sento il bisogno di dare maggior pesospecifico, di dire qualcosa d'importante,insomma, almeno di terminare seriamente.Quindi non userò parole mie.Emanuele Arciuli, fine pianista e pensatoreitaliano: Siamo così sicuri che la veraurgenza del Paese sia quella dialfabetizzare la popolazione italianaalla musica? Io non credo. Quello èun compito importantissimo, percarità. Ma lo è in condizioni di"pace". Noi invece siamo in guerra.(...) La crisi culturale, che nel nostropaese è devastante, non è l’effettodella crisi economica, ma ne è lacausa.

Queste parole invece sono mie: mettiamociin gioco.

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FRA MUSICA SCRITTA E IMPROVVISAZIONEdi Andrea Dulbecco

Spesso le mie riflessioni sulla musica sonoincentrate sulle differenze fra musica scrittae improvvisazione, sui confini che dividonoqueste due pratiche o sui loro eventuali tratticomuni.É normale che il mio pensiero vaghi spessosu questi argomenti visto che la mia attivitàmusicale si muove fra la musica coltacontemporanea e il jazz, e che la miaformazione musicale sia iniziata con il jazz,la prima musica che ho ascoltato e amato, eproseguita con gli studi in conservatorio eduna formazione accademica.Per questa ragione, in queste mie riflessionisull'improvvisazione, parlerò principalmentedi questa musica, non perché unicaesponente della pratica dell'improvvisazione,ma in quanto genere che suono e conosco.

Venendo da una famiglia di fanaticiappassionati di jazz, è stato normale essereimmerso in questa musica fin dalla piùtenera età. Ciò ha generato in me una sortadi fascinazione verso l'improvvisazione,verso la creazione estemporanea, versol'ebrezza che si prova ogniqualvolta siincominci un a solo o si dialoghiimprovvisando con altri musicisti. Anchenelle esperienze per me più formative nelcampo della musica scritta, non sono ancorariuscito a provare il trasporto e la gioiaprofonda provata durante un concerto benriuscito di jazz. Ciò sicuramente si puòimputare ad una mia indole più propensaall'improvvisazione piuttosto che alla musicascritta, comunque questa insoddisfazione miha fatto più volte riflettere sulla stranaseparazione che si è venuta a creare frascrittura e improvvisazione. Gli strumentistiche improvvisano fanno come parte di unafamiglia diversa, si dedicano a musichedifferenti e spesso fra gli interpreti e gliimprovvisatori nel mondo musicale di ogginon esiste un vero rapporto o una felicecollaborazione. Forse, essendo così diversi gliapprocci e i generi a cui si dedicano, è quasiutopico pretenderlo.

Nelle epoche passate invece l'improvvisazioneera una pratica comune a tutti i musicisti. Dalrinascimento al barocco, dallo stile classico alromanticismo, sia i normali musicisti che i grandisolisti o compositori, tutti praticavanol'improvvisazione. Questa dunque non venivarelegata a forme folcloriche con repertoritrasmessi oralmente, ma era parte integrantedella musica colta. Nel secolo scorso inveceè avvenuto un evento inedito nella storia

della musica: a parte rari casi,l'improvvisazione è praticamente scomparsadalla musica colta diventando unapeculiarità delle cosiddette musiche extracolte quali il jazz, il blues, il rock ecc.oltre naturalmente la musica folk. Dicendociò logicamente mi riferisco alla tradizionemusicale occidentale, poiché in paesi comel'India, le cose si sono svolte diversamente.Le ragioni di questa frattura avvenuta inoccidente non è facile scoprirle eprobabilmente sono imputabili a una seriedi cause. Non essendo un etnomusicologoma uno strumentista, non mi è facilerispondere in maniera sensata a una taledomanda, però tenterò qualcheconsiderazione: fra la fine dell'800 e i primidel 900 si è incominciato a considerare ilcompositore come il creatore unico, el'interprete come l'esecutore materiale delpensiero del compositore. Questoatteggiamento probabilmente rispecchial'ideale romantico del compositore qualedemiurgo e artefice che traspone il propriopensiero musicale nella partitura, el'esecutore ha il dovere morale di dare vitafedelmente ai suoni in essa contenutiseguendo con attenzione tutte le indicazioniche il compositore vi appunta. Questo tipodi pensiero ha fatto si che il margine diinvenzione estemporanea degli strumentistiandasse via via diminuendo: mi riferisco allapossibilità di fiorire un tema secondo ilproprio gusto o di improvvisare un bassocontinuo, prassi tipiche della musica barocca,o una cadenza in un concerto solistico. Ilraggio di azione del libero arbitrio degliesecutori è andato costantementeaccorciandosi sotto il peso di partiture conindicazioni sempre più particolareggiatenella dinamica, agogica, fraseggio, timbricae quant'altro. L'ambito temporale di questoprocesso si può collocare fra i primi anni del900 e l'estetica post-weberniana, cioèintorno al 1950. Grosso modo in questolasso di tempo si è consumata la progressivascomparsa dell'improvvisazione dalla musicacolta. Tuttavia, proprio come reazioneall'iperdeterminismo della scrittura post-weberniana, arrivata in alcuni casi ad unasorta di ineseguibilità per numero ecomplicatezza delle indicazioni, apparirannocomposizioni di musica aleatoria diimportanti compositori quali Maderna,Stockhausen, Cage, Bussotti. In questel'esecutore verrà nuovamente chiamato adun ruolo diverso rispetto a quello del“semplice” esecutore/interprete.

Questa esperienza della musica aleatorianon è però riuscita ad invertire la tendenzae di fatto, ancora oggi, la stragrandemaggioranza di musicisti classici svolgono laloro attività nel campo della musica scritta,con eccezione della musica contemporaneain cui c'è una maggiore osmosi fra le duepratiche.

Il processo che ho appena descritto hagenerato una situazione singolare che hosentito riassumere nei seguenti termini daun noto etnomusicologo: “nel mondomusicale accademico di oggi sappiamoscrivere la musica ma non sappiamoparlarla”; esattamente come una qualsiasipersona che conosce le regole grammaticalidi una lingua straniera e comprende ilsignificato di testi anche complessi ma nonsa, per contro, pronunciare delle semplicifrasi in una banale conversazione.

Non abbiamo delle prove in proposito, peròmi piace pensare che ci fosse una relazionefra le improvvisazioni che Beethoveneseguiva in un salotto viennese e le suerivoluzionarie sonate per pianoforte, o diquelle che Bach suonava all'organo, comequella fatta sul tema di Federico II in suapresenza, e la mirabile architetturadell'Offerta Musicale da lui composta inseguito. Come se la spontaneità el'estemporaneità delle idee musicalisviluppate durante l'improvvisazione potesseservire a questi grandi geni come spunto persuccessive elaborazioni.

Proprio questo punto risulta essere uno degliaspetti più affascinanti dell'improvvisazione:la capacità di comporre in tempo realenegandosi, perciò, la possibilità di potercorreggere gli eventuali errori formalicommessi. L'improvvisatore è come schiavodi un tempo che fluisce incessante e che loobbliga a dover compiere delle scelte chepossono essere non sempre felici. Gli vienenegata, insomma, la possibilità che ilcompositore ha di rivedere un passaggiostrumentale o di cancellare eventualiinterventi superflui. Per spiegare meglioquesto concetto risulta illuminante la frasedel grande pianista jazz Thelonious Monkche, visibilmente insoddisfatto dopo una suaimprovvisazione, se ne usci con questa frase“Questa sera ho commesso gli errorisbagliati”. D'altronde l'improvvisazione ècome una sorta di aggiustamento di piccolierrori, che possono essere considerati

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“giusti” quando sono utili ad avvicinarci adun obbiettivo che è spesso sfuggente o daicontorni non perfettamente definiti. Percontrastare questa fuggevolezza, chi studiaimprovvisazione sovente, durante gli annidella formazione, passa attraverso unprocesso di emulazione a cui dovrebbe fareseguito un processo di creazione vera epropria. Moltissimi giovani improvvisatoripassano anni ascoltando i grandi solisti jazz,cercando di riproporne nella maniera piùfedele possibile il suono, l'approccio ritmicoe dinamico o addirittura le frasi. Con ilpassare degli anni un improvvisatore, anchequando avrà una personalità già formata,continuerà a immagazzinare nella propriamente, con lo studio, sempre nuovesituazioni armoniche, melodiche e ritmiche,che andranno ad accrescere il suo repertoriofraseologico. La ripetizione costante diquesta sorta di serbatoio improvvisativoaiuterà il suo cervello a memorizzarle anchemuscolarmente, velocizzando così il

passaggio dell'idea musicale all'esecuzionestrumentale. In questo modo l'esecutoredovrebbe riuscire a compiere le scelte piùcoerenti durante l'improvvisazione al fine delraggiungimento dell'obbiettivo prefissato, oa reagire in maniera efficace agli stimoli chearrivano dagli altri componenti del gruppo.Dunque, anche nell'improvvisazione, sipossono elaborare delle tecniche di studioche per molti aspetti sono simili a quelledella musica scritta.

Interessante è anche analizzare come deveessere fatta una composizione finalizzataall'improvvisazione. Sia nel campo della

musica scritta che in quellodell'improvvisazione, ci sono delle forme odelle composizioni che si sono rivelate esseredei mezzi più efficaci ad esprimere il pensieromusicale dei compositori o degliimprovvisatori. Nella musica scritta miriferisco principalmente alla forma sonata,alla fuga o al “tema con variazioni”.Quest'ultimo tipo di composizione forsepotrebbe essere considerato il parente piùprossimo della musica scritta alla prassiimprovvisativa, perlomeno a quella in usoabitualmente nella musica jazz.Componendo un “tema con variazioni”,nella musica dei secoli passati il compositoreelaborava una serie di trasformazioni dellastruttura melodica, armonica e ritmica deltema prescelto facendo, in alcuni casi, unlavoro abbastanza simile a quello che unmusicista di jazz compie in tempo reale. Sipuò notare come ci fossero temi chegodessero di maggior successo, e venisseroscelti con una maggior frequenza daicompositori perché, a causa della lorofluidità melodica e armonica,particolarmente adatti ad essere “variati”.Dal canto loro, sin dagli albori, i musicisti jazzhanno prediletto le forme del blues, delrhythm changes o della forma canzone perla stessa ragione. Ciò dimostra che sia icompositori che gli improvvisatori sonospesso alla ricerca di un canovaccio, di unasorta di intelaiatura che sia funzionale ai lorofini. Alcune delle suddette forme tradizionalisono andate progressivamentescomparendo, soprattutto dalla musica coltacontemporanea, lasciando il posto a formeche meglio rappresentano le estetiche dellanostra epoca. Nel jazz le forme tradizionalihanno resistito con maggior successo alpassare del tempo; probabilmente grazie allasicurezza che esse danno all'esecutore,permettendogli di concentrare tutte le sueenergie creative sull'improvvisazione.

In alcuni casi nel jazz si è arrivati astravolgere in maniera considerevole laforma o anche lo stesso tema di partenza.Un perfetto esempio di questo approcciosono le libere interpretazioni di famosistandards fatte dal quintetto di Miles Davisnei tardi anni '60, fortunatamenteimmortalate su di disco, che sono ancoraoggi di grande attualità e fonte di ispirazioneper moltissimi jazzisti contemporanei. Perspiegare meglio questo approccio stilisticomi posso avvalere delle parole del grandebatterista Paul Motian: egli sosteneva chel'improvvisazione non è altro che metterealla prova la struttura di una composizione.Come se il compito del musicista di jazzfosse quello di testarne la duttilità, e come

essa sa resistere al potere dirompentedell'improvvisazione.

Anche nella musica scritta, siacontemporanea che del passato, spesso gliautori hanno cercato di piegare le forme aipropri fini per evitare che esse diventasserouna gabbia, ma fossero invece una mappautile ad orientare e indirizzare l'ispirazione ele loro scelte espressive.

Vorrei concludere queste mie riflessioni sullamusica scritta e improvvisata con un ultimo,forse molto personale, pensiero: penso cheuna improvvisazione sia legataintrinsecamente alla sua esecuzione, cioè cheil modo in cui viene eseguita non sia menoimportante del “cosa” venga suonato. Comeun grande solista classico usa la qualità delsuo timbro, i colori, i respiri per ottenere unfraseggio espressivo al fine di raggiungereuna interpretazione personale così, di unaimprovvisazione, ritengo che un grandeimprovvisatore sappia usare gli stessi artificicon eguale maestria, riuscendo ad imporlicome equivalenti ai suoni improvvisati.Naturalmente sono perfettamente conscioche i grandi improvvisatori hanno lasciato unsegno indelebile nella storia del jazz grazieal valore “compositivo” delle loroimprovvisazioni ed alle novità musicali chehanno proposto con esse, però sono ancheconvinto che la freschezza delle loroimprovvisazioni dipenda anche dal lorovalore esecutivo. Ascoltando le grandiincisioni di John Coltrane, Charlie Parker oBill Evans mi rendo conto che riescono adappagare tutte le aspettative. Pur essendocomposizioni in tempo reale, imbrigliate nelflusso del tempo, e perciò esposte a possibili“errori” formali riescono, anche grazie alloro valore esecutivo, a superarel'inappellabile prova del tempo.

Siamo giunti al termine di queste breviriflessioni sul rapporto fra scrittura eimprovvisazione e mi accorgo che ci sipotrebbe dilungare ulteriormentesull'argomento, senza probabilmente potermai raggiungere delle risposte esaustive suquali siano le reali differenze o i punti incomune fra queste due pratiche.Probabilmente i secondi sono più numerosidelle prime. Forse l'unica sostanzialedifferenza sta dentro l'indole più profondadel musicista. La predilezione verso una ol'altra pratica si può formare lentamente,come nel mio caso, grazie a un retroterraculturale di un certo tipo o arrivareimprovvisa, come di sorpresa, e condurre lavita del musicista verso l'una o l'altra spondadi questi affascinanti mondi di suoni.

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RECENSIONIdi Alberto Spano

UN BRAHMS D'ANNATA BRAHMS E IL SUO PIANO LA SEMINA DI BACH SEMIRAMIDE REGALE NON REA

J. BRAHMSThe Piano concertosDaniel BarenboimStaatskapelle BerlinGustavo Dudamel, direttore (2 CD Deutsche Gramophon 47904899, € 20.90)

Registrazione commovente quant'altremai: è il 2 settembre 2014, ilsettantunenne Daniel Barenboimsuona nella stessa sera allaFilarmonica di Berlino i due concerti diBrahms con la Staatskapelle di Dresdadiretta dal 33enne Gustavo Dudamel.Il “vecchio” pianista-direttore e ilgiovane puledro del podio. A partiinvertite si bissa l'impresa delBarenboim di 47 anni prima: il“giovane puledro della tastiera col“veccchio” direttore Sir JohnBarbirolli. Sullo spartito gli stessi dueconcerti di Brahms, due capolavorisicuramente, ma anche due corazzateche bisogna saper guidare. Dopo quasi50 anni è quasi immutatal'impostazione di Barenboim: i tempisono sempre comodi, la tendenza èancora di dilatare questo Brahms giàdi per sé opulento e grandioso. Là eraforse Barbirolli e il suo lungo respiro acomandare, poiché l'allora puledroBarenboim doveva solo mettere afuoco una sua naturale tendenza allamagniloquenza. Qui Dudamel èaltrettanto bravo a seguire passopasso il vecchio leone che non ha piùla scioltezza di un tempo, però èsempre un signor musicista, uno cherisolve tutto musicalmente, anchequando prevale qualche affanno (nelfinale del secondo Concerto) e qualchemancanza di affondo. Che meravigliaperò quando Barenboim cesella unafrase, la disegna nell'aere come lastesse dirigendo. E questo alla facciadei virtuosi d'assalto che popolanocentinaia di concorsi. Qui è il trionfodella musica, dell'intelligenza, dellavolontà. La Staatskapelle di Dresdaasseconda il tutto con una trasparenzae una precisione che lascia senza fiato.Grande disco, e superba registrazione.

J. BRAHMSHändel Variations op. 24 2 Rapsodie op. 79Fantasie op. 116 Sofya Gulyak, pianoforte (CD Piano Classics PCL0085, € 11,99)

Dalla dinamica etichetta olandesePiano Classics giunge la nuovaregistrazione della pianista russa SofyaGulyak, vincitrice nel 2009 delConcorso Leeds, spesso presente nellestagioni concertistiche bolognesi. Ilsuo infallibile raggio laser stavoltaillumina la musica pianistica diBrahms: prima di tutto le Variazionisu un Tema di Händel op. 24 cheaffronta con la giusta dose divirtuosismo, un suono sempre moltoteso e con autentica baldanza tecnica.Ogni variazione è splendidamentecondotta e rifinita, sempre moltoconvincente nella sua estremamodernità e asciuttezza lirica. NellaFuga conclusiva il pianismo atleticodell'interprete trova il suo zenit,soprattutto grazie alla scelta di suonoparticolarmente denso e una tenutaquasi implacabile. Anche nelle dueRapsodie op. 79 questa tensionespasmodica di suono e tactus èpresente, ma già l'affondo è piùrilassato e naturale. Il passobrahmsiano più contemplativo SofyaGulyak lo conquista nelle 7 Fantasiecomponenti l'opera 116, musica dellapiena maturità, in cui Brahms conpoche note disegna fantastici universisonori dalla meravigliosa consistenzatimbrica e dall'umbratile malinconia.Apice la track n. 35 corrispondenteall'enigmatico “Andantino teneramente”dell'Intermezzo in mi maggiore, pochiaccordi interrogativi che vagano sullatastiera, rare note disseminate qua elà, quasi una passeggiata lunare abalzelli e piccole fermate. Qui laGulyak ricrea tutto lo stupore sonoronecessario, con un suono finalmenteliquido e come liberato.

INSPIRED BY BACH(Musiche di J. S. Bach, Bach/Kodaly,Schachtner, Brahms, Brahms/Gürsching,Beethoven, Reger), Julius Berger, violoncello Oliver Kern, pianoforte (2 CD Nimbus 6302, € 22.00)

Dall'Inghilterra giunge un ricco estimolante 'concept disc', cioè un albumil cui contenuto apparentementedisomogeneo ruota attorno ad un temapreciso. Qui musiche di Bach o da Bachispirate. Un soffione in copertina èeloquente, come lo è la citazione colta inesergo al saggio interno: “Non siamo noiil significato, ma significativo è ciò che ciillumina” della scrittrice ebrea austriacaIlse Aichinger. Ovviamente è Bach ailluminarci, a cominciare dal brano cheapre il primo cd, il Preludio e fuga in reminore BWV 853 dal Clavicembalo bentemperato, che Zoltán Kodály trascrissenel 1951 per violoncello e pianoforte,ventisette anni dopo aver trascritto per lastessa formazione i Preludi Corali cheaprono il secondo cd. C'è poi un branooriginale del tedesco Johannes X.Schachtner (classe 1985), Relief n. 3“ich schrei aus tiefer Not”, ispirato dalPreludio BWV 686 di Bach, poi unPreludio Corale BWV 727 di Bach cheè fonte quasi certa di ispirazione per laSonata in minore op. 38 di JohannesBrahms, qui eseguita nella prima edizionein quattro movimenti. Ecco ancoraBrahms di un magnifico Lied (ilMinnelied, Canto d'amore) trascritto percello e pianoforte da Albrecht Gürsching(classe 1934), quindi “Gottes Ziet ist dieallerbeste Zeit” dalla Cantata Actustragicus BWV 106 (qui trascritta daBerger per Andrea Barner). Chicca delsecondo cd la prima versione del primomovimento della Sonata op. 69 diBeethoven, altro grande “fan” di Bach,cui segue l'Aria “Es ist vollbracht” dallaPassione secondo Matteo (trascritta daBerger), infine la densa Sonata in dominore op. 116 per violoncello epianoforte e l'Aria op. 103 n. 3 di MaxReger (1873-1916), il quale non ha maismesso di pagar debito a Bach: in questocaso utilizzando il tema del Corale “Wennich einmal soll scheiden” nel finale delLargo di questo, secondo Berger,capolavoro post-bachiano assoluto delsecolo scorso. Esecuzioni strepitose,difficilmente eguagliabili.

SEMIRAMIDE, La Signora Regale(Arie e sinfonie di Caldara, Porpora,Jommelli, Bernasconi, Traetta, Paisiello,Bianchi, Borghi, Nasolini, Catel,Meyerbeer, Rossini, García,Händel/Vinci)Anna Bonitatibus, mezzosoprano,Accademia degli Astrusi, La Stagione Armonica, Federico Ferri, direttore (2 CD Deutsche Harmonia Mundi88725479862, € 16.99)

Uno dei migliori “concept album” degliultimi anni, ideato e realizzato constraordinaria bravura dal mezzosopranoAnna Bonitatibus e dedicato alla figuraleggendaria di Semiramide, regina assiro-babilonese del'800 a.c. che aveva sposatoil Re Nino (fondatore della città Ninive) el'aveva sostituito nel potere fino allamaggiore età del figlio Ninja. Una donnasensuale e potente, dalle umili origini, unaregina-madre dai forse facili costumi (Dantela collocherà fra i lussuriosi), che conquistail potere dell'Asia e lo gestisce abilmenteper 42 anni prima come moglie poi comemadre-amante del figlio. Un concentrato dipregi e difetti (fu accusata dei peggiori vizi,compreso l'incesto e l'amore coi cavalli) cheispirarono opere di poeti, drammaturghi,scrittori e musicisti. Più di cento le notazionimusicali del soggetto, da cui la nostrainterprete ha saputo sintetizzare novantaminuti dalle opere più varie e con le piùvarie declinazioni del tema. Rossini peresempio opta per la versione cruenta di leiche uccide il marito per conquistare ilpotere. Grandi autori attraverso due secoliche vanno dal napoletano Antonio Caldarae la sua Semiramide in Ascalona fino aManuel García e la sua Semiramis,passando per Porpora, Jommelli,Bernasconi, Traetta, Paisiello, FrancescoBianchi (sua la Vendetta di Nino da cui siascolta la bella sinfonia), Borghi, Nasolini,Charles-Simon Catel, Meyerbeer, Händel-Vinci e Rossini (Bel raggio lusinghier dalla“Semiramide” del 1823). Su 15 brani ben12 prime incisioni assolute. Ottima laprestazione dell'Accademia degli Astrusi edella Stagione Armonica di SergioBalestracci, dirette con slancio e grandecura filologica dall'ottimo Federico Ferri.Superlativa la prova di Anna Bonitatibus,che da ogni aria sconosciuta sa estrarre ilnocciolo musicale con una classe immensa.Lussuosa quanto il ricchissimo libretto laregistrazione, realizzata da MichaelSeberich al Teatro Consorziale di Budrio.

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