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itinerari enogastronomici Fuori Port a SAVUTO un fiume di vino fuoriporta.igiardinidelduglia.it | Numero 0 - Giugno 2011 Cosenza -Torino unite nel gusto

Fuori Porta

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magazine di enogastronomia in calabria

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itinerari enogastronomici Fuori Porta

SAVUTOun fiume divino

fuoriporta.igiardinidelduglia.it | Numero 0 - Giugno 2011

Cosenza -Torinounite nel gusto

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SOMMARIO18 Speciale pane in Calabria I parte di Mondo Calabria20 Tra i sentieri del gusto itinerario a cura della redazione42 La mattanza di Leonardo Procopio44 Fresco di stagione La fava di Francesca Cardillo 46 Nel mondo di Lucullo Intervista a Antonello San-tagata48 Speciale Vinitaly di Gennaro Convertini50 Biodiversità rurale di Silvio Greco52 L’azione quotidiana di Carlo Petrini

06 Editoriale 08 Giardini del Duglia il binomio magico pasta e fave 10 Museo del Gusto Calabria Partendo dalla scuola del ciabattino11 Dal fuori le mura al fuori porta di Eugenio Anselmo12 La rete dei Musei Cosenza-Frossasco unite nel gusto14 Savuto Un fiume di…vino di Tonino De Marco16 Gaglioppo Rosso Sangue di Cosimo Ricciato

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54 Spaghetti di celluloide Big night56 Bollito misto Mutazioni gastronomiche58 La borsa del paniere di Francesca Cardillo

on aspettiamo i cambiamenti, li promuoviamo affrontando a testa alta le difficoltà che comportano. E guardiamo avanti. Come la donna nella foto qui di fianco. È una gita fuori porta, qualche tempo addietro. Scorgiamo serenità e buon rapporto con l’ambiente, una condizione di rilassamento che sembra perduta ed è da ritrovare. Eppure

siamo lontanissimi dal “si stava meglio quando si stava peggio”. Gli strumenti e le tecnologie dell’oggi sono irrinunciabili. E ancor di più il sistema di diritti e doveri, da accrescere continuamente.Mettere in circolazione altra carta stampata, in un periodo in cui si legge poco e ci si informa soprattutto attraverso altri mezzi, è una responsabilità. Ma abbiamo scelto proprio la formula del magazine perché siamo convinti che sarà utile. Affiancherà le attività del Museo del Gusto Calabria, gli darà eco e sostegno. Ne divulgherà il progetto, darà risonanza alle iniziative. Siamo convinti che non può esserci alimentazione sana in un ambiente malato. Perciò vogliamo osservare e dare visibilità, separandole per comprensorio, alle realtà che giornalmente si impegnano per una produzione sana ed eco-compatibile. Abbiamo l’ambizione di contribuire a promuovere nel nostro territorio il passaggio dal consumismo tout-court a com-portamenti improntati a scelte di responsabilità civico-ambientale. Il miglioramento della qualità della vita passa non dal cercare nuovi beni materiali, ma dall’imparare a utilizzare al meglio le nostre risorse. A gustare ciò che abbiamo, spesso a portata di mano. Lavoreremo affinché il rapporto, non solo geografico tra città e campagna si rivitalizzi, dando forza alla conoscenza del valore degli alimenti, in primis le produzioni tipiche, che la campagna produce e fornisce ai consumatori. Vogliamo favorire il riconoscimento della difesa ambientale e paesaggistica svolta dall’impresa agricola multifunzionale di qualità, così come la validità dei servizi ricreativi e di ospitalità agrituristica. Lo faremo tracciando itinerari e percorsi enogastronomici, viaggiando in lungo e largo per la regione. Parleremo di vocazioni produttive legate alle specificità dei luoghi, coniugando il gusto al patrimonio artistico e ambientale di questa terra. Daremo la possibilità al lettore di avere conoscenza delle diverse offerte, gastronomiche e ricettive, cosi da potersi muovere più agevolmente per le “Vie

del Gusto”. I produttori e il mondo della ristorazione troveranno nel magazine uno strumen-to di contatto. Turismo di prossimità, genuinità, stagionalità, kilometro zero. Questi i nostri punti cardine. Nel terzo millennio globalizzato rischiamo di essere tutti più po-veri e più soli. Ecco: una sana convivialità può aiutarci. Riprendersi momenti per sé, vuol dire ritrovare le cose buone. Di una volta e di oggi. Fuori Porta va in questa direzione.

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EDITORIALE

"Nel terzo millennio globalizzato rischiamo di essere tuttipiù poveri e più soli

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Il binomio magico tra pasta e fave Racconto semi serio della prima uscita e del primo insuccesso della Redazione

Parlare di cucina ci appassiona. E farlo con chi condivide la stessa passione, ancor di più. L’occasione è la pasta e fave di Pippo. L’invito è nel centro storico di Cosenza, a casa di Mim-ma e Pippo. Scenario incantevole. Dal terrazzo si vede uno scorcio di tetti che ci lascia senza fiato. Saluti di rito e pre-sentazioni. Scambiamo subito quattro chiacchiere con Pippo (che ci tiene rigorosamente sull’uscio della cucina) sulla sua rinomata e misteriosa ricetta. Non si sbottona più di tanto. Sta sulle sue. Si muove guardingo. Si sa, le ricette non si svelano mai fino in fondo. Nessuno svela mai il suo ingrediente seg-reto, specie in cucina. È il nostro primo servizio. Le possibilità che Pippo ci sveli il suo segreto sono minime. Dice che deve presentarla al “Fes-tival della Fava”, e fino ad allora deve restare top-secret, pena l’esclusione . La nostra Direttrice, invece, vuole quella ricetta sul suo tavolo lunedì alle nove in punto. Ha saputo dal suo “soffia”- anche lei è una appassionata del noir anni Trenta- che anche i nostri rivali della rivista I Cannaruti sono sulle sue tracce. I manigoldi ci avevano già provato, spacciandosi per responsabili della produzione del programma di Anthony

Bourdain. A Pippo avevano detto di voler allestire il set a casa sua. Per motivi contrattuali avevano bisogno di esaminare in anticipo la ricetta. Ma l’inganno è stato scoperto rapidamente. Dunque: durante la preparazione non si entra in cucina, è questa la regola. Le informazioni a nostra disposizione ci pre-annunciavano che la ricetta manteneva, sì , la “concettualità” della tradizione. Grasso di maiale , cipolla e pancetta a for-mare il fondo, lenta rosolatura, si aggiungono le fave e si por-tano a cottura. Si scola la pasta molto al dente, generalmente cannaruzziaddri, si unisce il tutto e si termina la cottura. Ep-pure, qualcosa, nell’esecuzione, non rimaneva fedele all’antica ricetta. Qual era il suo ingrediente segreto, toccava a noi sco-prirlo. Si discute, con gli altri ospiti, di pasta e legumi. E come sempre ritorna l’atavico dualismo: vrudusa o ‘mmpacchiusa? Pippo è della Scuola dei ‘Mmpacchiusi. Dice sempre che la migliore ‘mmpacchiusità si ottiene con la lagana e ciciari, venerata dalla cerchia dei ‘mmpacchiusi. I nostri tentativi sono vani, non funzione neanche la proposta di dedicargli uno speciale.Strillando dalla cucina, Pippo ci avvisa. È pronto. La con-

I GIARDINI DEL DUGLIA

vivialità e il vino sono sempre ottimi alleati. Possiamo ancora tentare. Prendiamo posto. Notiamo subito l’apparecchiata. Tovaglia bian-ca, tulipano, tovagliolo. Come posate solo un cucchiaio e un cucchiaino, simile a quello del caffè, ma con l’impugnatura lunga. Il piatto è servito. La presentazione non bada all’estetica, ma il garbo con cui sono stati adagiati i can-naruzziaddri sul piatto è indice di cura e atten-zione. Le fave sono senza a corchia . Il colore vivace fa pregustare la prelibatezza. Il verde acceso indica una cottura breve, in padella e

a fuoco vivace, tenendole sempre sul filo dell’olio, bagnandole il necessario, in continuo salto, così da preservarne la fragran-za. Qua e là tocchetti di pancetta croccante, a integrare la monocromia delle fave. Semi di finocchietto tostati a sporcare il piatto. Parte l’assaggio. Pippo ci consiglia di cominciare col cucchiaino. Ma come? Pensavamo fosse per il dolce! Sarà mica questo l’espediente segreto? È questo che dobbiamo cogliere? Seguiamo le indicazioni. I due elementi principali, i com-ponenti del magico binomio, col cucchiaino possono essere prelevati e gustati singolarmente. Siamo obbligati: fava o can-naruzziaddru? La nostra scelta ricade sul secondo. Il profumo e il sapore della pasta svelano che il liquido di cottura non doveva essere neutro. Deve aver cotto in un brodo vegetale con finocchietto selvatico . La densità e la struttura della salsa ci inducono a pensare a una lunga mantecatura. Deve averla lavorata in padella a lungo, con un fondo di cipollotto fresco, aggiungendo, come per le fave, il brodo di finocchietto, poco per volta, fino a cottura della pasta. Nella pietanza si eviden-zia chiaramente l’affiliazione di Pippo alla celebre Scuola dei ‘Mmpacchiusi. Ma cosa avrà voluto dirci con la storia delle po-sate? Ci siamo! Nella sua pasta e fave siamo NOI a dover deci-dere se mangiarli insieme. Da qui la compresenza delle due posate. Esperimento ardito, quello su un accostamento , pasta e fave, ritenuti da sempre da gustarsi insieme. Davvero niente male, non c’è che dire. Le voci che circolavano erano fondate.Proprio nel bel mezzo di corali complimenti e dotte disqui-sizioni, l’occasione si fa ghiotta. Mimma sostiene che è in gra-do di clonare la pasta e fave di Pippo. Per affermare questo, la

compagna deve conoscere i segreti della ricetta, pensiamo. È l’occasione che aspettavamo. Lui cerca di liquidare la cosa come una sciocchezza. Le pietanze sono come gli esseri uma-ni, sostiene, unici e irripetibili. Ma Mimma fa vibrare i nostri taccuini. La lucida esposizione, supportata da concreti riferi-menti scientifici - era lì lì per svelarci il segreto, che brivido!- su come la clonazione della pasta e fave di Pippo fosse possibile ci gonfia il cuore di speranza. Siamo dentro la notizia. Stiamo sul pezzo. È l’ora di tirar fuori il mestiere. La incalziamo. La teniamo sotto pressione. E lei ci tiene sul filo. Intervalla i suoi interventi con occhiate di palese ammonimento a Pippo, come a dire: adesso ti rendo pan per focaccia, ora svelo il tuo seg-reto alla stampa! Capiamo che c’è dell’intimità in questo. Per deontologia non dovremmo alimentarlo, ma non ci importa, la Notizia prima di tutto. Meschinamente, tiriamo fuori la vec-chia storia sulle origini geografiche della stroncatura, cavallo di battaglia di Mimma, che Pippo in un eccesso di zelo criticò al seminario, da lei tenuto, dal titolo : “Stroncatura, le Origini”. Fomentiamo Mimma. Non abbiamo più scrupoli. Il dramma di Pippo non è affar nostro: se la ricetta sarà pubblicata, lui sarà escluso dal Festival della Fava. Non possiamo farci niente. È il nostro mestiere: è la stampa, bellezza! Ci spostiamo su Pippo. Vogliamo cogliere la sua espressione, il dolore fa sempre il suo effetto in un articolo. La Direttrice apprezzerà. Ma quella non era un’espressione di dolore . Al contrario, ecco uno che tira il fiato dopo aver avuto una pistola puntata alla tempia. Un gesto di Mimma deve averlo rassicurato che non affonderà la stoccata, se accetterà le sue condizioni. La sottomissione di Pippo è totale. Ora capiamo. È stata Mimma a organizzare la serata. Ha usato la passione di Pippo, servendosi di noi, per mettere in scena un suo romantico, quasi shakespeariano ri-catto d’amore. Potenza della cucina.

A cura della Redazione

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partendo dall'Accademia del Ciabattino I nostri ingredienti: cuore, passione, talento, istinto, responsabilità

MUSEO DEL GUSTO

Spesso si usa dire , a ragion veduta, che per ogni cosa ci vuole il suo tempo. Ogni lavoro è frutto di studio e ricerca. Ricerca, intesa come approfondimento dei fatti, indispensabile in qualsiasi campo. Si diventa bravi nel proprio lavoro, usando prima il cuore, poi la testa. E ara fini si cusa ra scarpa, così recitava Mastro Pasquale, Ciabattino rifinito. Nobile professione, mal interpretata per via (non sapremmo dire l’origine) di quell’ assurdo dire comune che un lavoro mal fatto sia opera di nu scarparu. Eppure nessuno è mai tornato indietro a reclamare per un lavoro mal fatto da Ma-stro Pasquale. Già, nessuno meglio di lui conosceva l’arte della cucitura. Era lui l’esperto. La sua ricerca sullo stile- senza cono-scere queste parole- delle calzature, era lo studio più avanzato all’epoca, in materia. Riconosceva al tatto la qualità dei materiali, e gli bastava un’ annusata per capirne la provenienza. Se ci fosse stata l’Università del Ciabattino, lui sarebbe stato il Magnifico Rettore. Vuole la leggenda che lui sapesse addirittura u numi da vacca da cui proveniva la pelle. Un portento. Era proprio n’archi i scienza. Lui illustrava i trucchi du mestìari. Non era geloso del suo sapere. Anzi, pensava che così facendo i suoi clienti sareb-bero aumentati. Si diceva: Ca mastru pasquali a scarpa ta cusa davanti. Questa era la sua Scuola. Era il nostro Maestro Perboni . La sua cattedra era bellissima. Il confronto con la cattedra della maestra proprio non reggeva. Era tutta di legno, ma non era grande. Ogni attrezzo, ogni chiodo, ogni ago, aveva il suo posto. Era perfettamente ordinata. La prima regola per essere un buon ciabattino è tenere il tavolo di lavoro sempre ordinato. Perché il Ciabattino usa tantissimi attrezzi: punteruoli di ogni lunghezza e forma, martelli dalle strane forme e altri strumenti che solo da lui si possono trovare. Il disordine è nemico del mestiere. Gli strumenti da lavoro vanno sempre mantenuti bene, questo vale in ogni campo, sottolineava il nostro Maestro. La bravura, non sta nel possederne tanti, ma nel saperli calibrare al proprio lavoro, affermava con tono severo. Ogni arte ha i suoi. Per esempio , raccontava che il Mastro Carpentiere, pur usandone meno di lui, non svolgeva un lavoro fosse più semplice : un Mastro Carpentiere usa a gaccia meglio di chiunque. E concludeva : per diventare Mastro Carpentiere ci vogliono anni di studio e di lavoro. Infilava severità e sapienza nella cruna del suo ago. Il momento più atteso della lezione era quello dedicato all’ideazione della forma della scarpa. Per abituare la pelle aduna certa piegatura, bisognava martellarla su una sagoma di ferro. Possedeva una serie di strani incudini a forma di scarpa, di svariate misure, che disponeva in fila. E quasi come se avesse davanti uno xilofono, cchu ru martiddruzzu iniziava a suonare. A ogni tocco del suo martello corrispondeva una nota. Imitava perfettamente il suono delle campane. Nessuno nel vicolo considerava rumore il suono du martiddruzzu i Mastru Pa-squali. Diceva za ‘Ndonetta, che abitava proprio sopra la Scuola di Mastro Pasquale, ca era miagliu di campani i San Franciscu . Era l’eco del campanile. Come ricorda la filastrocca: Si Pasquali crupa e ‘ngugna, tira fora lu timpagnu, si Pasquali ‘ngugna i fretta chista è l’ura du trisette. Era lui che scandiva il tempo.Che la lezione si avviasse al termine lo si capiva dall’arrivo dei suoi amici, che rispondendo al suo richiamo si preparavano alla partita. La copertura del tavolo di lavoro, quello era il suono della campanella . La lezione era finita. Già terminata, pensavo. E sperando che continuasse chiedevo: Mastru Pasquà, scusàti: ma a scarpa unnè finita! E lui: quadrarì! E tutt’oij ti vulissa ‘mparà?

a cura della redazione

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Il complesso monastico di S. Domenico rappresenta un’ importante “palinsesto” storico monumen-tale della città di Cosenza. I domenicani, vengono attestati a Cosenza a partire dal 1240 nella vecchia chiesa di S. Matteo, sito preesistente alla chiesa di S. Domenico. Il paesaggio delle confluenza carat-terizza all’origine i giardini e l’ortografia dei possedimenti dell’importante casato dei Sanseverino e della loro residenza fuori le mura del centro storico. Il convento venne fondato il 10 dicembre 1448 da Antonio Sanseverino Principe di Bisignano, con il breve assenso di Papa Niccolò V. Dopo lunghi mesi iniziarono i lavori di costruzione che furono conclusi con la prima celebrazione del Vespro il 25 gennaio 1469. I padri Domenicani teologi, filosofi, speziali, alluminatori e miniaturisti ebbero la capacità di predicare e deputare le grandi questioni “dell’uomo nuovo”, da Campanella a Telesio fino ai Bandello, noti novellieri e canzonieri della letteratura Italiana. L’importanza dello “Studium” e la co-spicua biblioteca fecero del convento il luogo di intrecci spirituali e culturali indirizzati alla compren-sione e alla divulgazione dei saperi. A partire dall’unità d’Italia, il convento diventa presidio militare, vivendo precedentemente la stagione delle soppressioni napoleoniche. In esso sono ancora evidenti numerosi ampliamenti e rifacimenti: alcuni terremoti, un alluvione e i bombardamenti dell’ultimo conflitto, hanno determinato l’attuale configurazione architettonica. Con la dimissione del presidio militare “caserma fratelli Bandiera” la proprietà è passata al demanio. Per oltre dieci anni il complesso è stato chiuso diventando patrimonio comunale dal 2009. Tale acquisizione ha permesso di avviare un’importante azione di tutela e salvaguardi del bene, denominata “lavori in chiostro”, con intrecci fra i settori municipali (lavori pubblici e cultura), l’università, le locali soprintendenza e le buone pratiche dell’ associazionismo locale. Dopo la XII settimana dei beni culturali, denominata “chiostri in chio-stro”, è iniziata l’azione di acquisizione del bene da parte di tutta la cittadinanza cosentina, registrando ingenti flussi di visitatori.Fruitori hanno consentito di superare il “limite invalicabile” del presidio militare continuando a svol-gere azioni di pulizia, piccola manutenzione e controllo con particolar riferimento al quadrilatero del chiostro ed delle aule annesse.Il bene culturale come bene comune ha permesso di avviare due percorsi convergenti: • l’areatematicadellarappresentanzadellamunicipalitàcosentina • L’areatematicadelgusto.La storia documentaria dell’importante monumento, andrà a costruire il primo “step” progettuale associato al risanamento dell’area claustrale e delle aule annesse. L’integrazione con le buone pratiche dell’associazionismo locale, rappresentato da “I Giardini del Duglia” ha invece permesso di avviare il rapporto di “coincidenza” fra l’insediamento e la fondazione “fuori le mura” del convento dei dome-nicani ad opera dei Sanseverino di Bisignano, e l’avvio del “Fuori porta” come primo itinerario del nascente Museo del Gusto, azione di riconversione de “I Giardini del Duglia” all’interno dell’ex circolo ufficiali. Azione locale, buone pratiche di tutela, risanamento conservativo associate al controllo dei

flussi all’ accoglienza ed alla trasmissione storico documentaria dell’importante monumento costituiranno il palinsesto della “rap-presentanza della municipalità cosentina” verso i percorsi del paesaggio del gusto, autoctoni e antropizzati del nostro territorio.

Eugenio Anselmo

Dal fuori le Mura al Fuori Porta

Cosenza - Frossasco unite nel gusto

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È stato sottoscritto il 12 mar-zo 2011 a Frossasco (Torino) il protocollo d’intesa tra l’As-sociazione Amici del Gusto e l’Associazione “I Giardini del Duglia” di Cosenza per la realizzazione del Museo del Gusto Calabria. Il Museo di Frossasco, sin dalla costitui-zione, coltiva come progetto prioritario la creazione di una

rete di Musei del Gusto in ogni regione d’Italia. Muovendo dal modello sperimentato in Piemonte, l’obiettivo è realizzare atti-vità di valorizzazione e promozione del gusto e delle produzioni locali in altre realtà e in diversi contesti regionali. Gli indirizzi che la Rete e quindi anche il nuovo Museo, con sede nel chiostro quattrocentesco di San Domenico nel centro storico di Cosenza, intendono perseguire sono precisi. Valorizzare le produzioni enogastronomiche locali e la cultura del gusto nazionale attraverso la riscoperta dei saperi e dei sapori regionali; attivare una rete tra produttori ai fini di migliorare la promo-zione delle produzioni locali; realizzare attività di formazione professionale destinata agli operatori di settore e didattica per le scuole di ogni ordine e grado; creare attività museali che si esplicheranno in interscambi nelle due sedi con mostre, convegni a tema; manifestazioni enogastronomiche, eventi e seminari. E tutto secondo una prospettiva di attrattività turistica e di scambi commerciali tra i produttori e i prodotti delle due regioni. Il protocollo è stato firmato per l’Associazione Amici del Gusto dal Presidente Franco Cuccolo. «La volontà di creare una rete di Mu-sei del Gusto regionali- ha dichiarato- ci ha già visti impegnati, anche con il già Presidente Elvi Rossi, in Lombardia e il Liguria dove abbiamo avviato importanti collaborazioni anche in vista di Expo 2015 a Milano. Frossasco- ha concluso Cuccolo- potrà così offrir-si e realizzarsi come modello esportabile, in Italia e non solo, per la cultura enogastronomica e per la visibilità delle ricchezze agro-alimentari del territorio Pinerolese, dei prodotti del Paniere della Provincia di Torino e delle eccellenze della Regione Piemonte». Il vice Presidente dell’Associazione “I Giadini del Duglia”, Michele Santagata, ha espresso il suo entusiasmo per il protocollo d’intesa, che dà di fatto l’avvio al Museo del Gusto Calabria. «Da tempo lavoravamo a quest’idea, vogliamo sostenere le nostre tradizioni enogastronomiche e creare un vero e proprio Museo del Gusto che sia soprattutto un centro vivo e vicino alla gente, in un rapporto stretto con il territorio calabrese, sull’e-sempio di ciò che il Museo di Frossasco, capofila della rete nazionale, realizza da tempo non solo in Piemonte». «Il nostro riferimento tecnico - afferma Ezio Giaj, Direttore del Museo del Gusto di Frossasco, -anche per questa operazione è la società di consulenza Quesite di Pinerolo, con il lavoro ormai triennale di Luca Veltri e Susanne Nilson. Ora vogliamo proseguire con la preparazione e la realizzazione del Museo di Cosenza e poi coltivare contatti con altre realtà».

di Francesco Saccomanno

" "E’ gonfio di verno e porta alberi all’impiedi

uesta è la storia di un fiume: il Savuto, antico “ Ocinarus” ( che scorre velocemente) dei greci e che i romani indicavano con il nome di “Sabatus”.

Un fiume che ha svolto con la sua valle, nel corso dei mil-lenni, un ruolo importante nella storia della civiltà. Ne sono testimonianza ancora, fra l’altro i ponti o i ruderi di essi, di costruzione greco-romana che  consentivano il collegamen-to fra le due sponde. La sua sorgente si trova a 1.360 metri di altezza nella località destro di Spineto (Comune di Aprigli-ano) in Sila; dopo un percorso di 50 Km il fiume riceve l’abbraccio perenne del Mar Tirreno nei pressi di Campora San Giovanni. Lungo il percorso riceve numerosi affluenti, fra cui le acque del Carviello, del Tarsitano, di Vaiano, del Tassitello, del Merone, del Cannavino ( che crea una sugges-tiva e caratteristica cascata ), del Mola, del Lara, del Bisirico, del Mentano, del Carito, dello Scolo ecc. Le acque del fiume in Sila si riposano per un breve tratto nel lago artificiale de-nominato appunto Savuto; poi procedono nel viaggio bag-nando i territori di Parenti, Rogliano, Santo Stefano di Ro-gliano, Marzi, Carpanzano, Malito, Scigliano, Pedivigliano, Altilia, Aiello Calalabro,Martirano, San Mango d’Aquino, Cleto, Nocera Torinese. Tracce di itinerari antichi sono sparse un po’ dappertutto lungo l’omonima valle;soprattutto di ponti. Fra questi quello “Alli Fratti”, il Tavolaria, il Musato o Gallizzano, ed il famoso ponte di Annibale, nei pressi di Sant’Angelo. Il ponte “Alli Fratti” come riporta “l’universo”, la rivista di divulgazione geografica dell’Istituto geografico militare di Firenze - è lungo 22 metri circa, ha la passerella larga m.2,80 e le spallette alte circa 45cm. Esso rappresenta una sistemazione medioevale di una costruzione-sostiene la citata rivista – che, anche in base al confronto con l’altro ponte antico di sant’Angelo può essere considerato di orig-ine romana. Distrutto diverse volte fu, in epoca recente, ricostruito dai francesi di Murat. A proposito del ponte di Gallizzano, Francesco Antonio Accattatis nel 1749 scriveva: «Nei pressi di Scigliano si trova il gran ponte di Trivetini,

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SAVUTOun fiume divino

edificato per comunicare il commercio tra Scigliano ed Altilia. Esso dal volgo comunemente vien detto il ponte Musato o di Gallizzano. L’antica tradizione ce lo fa credere opera del conte Ruggirei Normanno. È la magnificenza e maestà del lavoro, autentica questa nostra credenza. Esso è uno dei più belli e maestosi ponti della provincia, opera che potrebbe bene entro il recinto di ogni gran città, anziché in luogo alpestre e disabitato dove si trova. Negli anni passati fu danneggiato alquanto da persona con la speranza di trovarvi dentro qualche tesoro». Per quanto riguarda il ponte di Annibale, testimonianze di un tragitto, percorso da strateghi militari, il prof. Emilio Barillaro scrive: il ponte fu gettato dai romani a servizio della via Popilia nel 203 A.C.; distrutto dagli stessi costruttori all’epoca della sconfitta di Annibale per arrestare la fuga di costui ed impedirgli di raggiungere il mare e poi ricostruito con lo stesso materiale edilizio e con lo stesso modulo architettonico  dei genieri del generale cartaginese per il transito della sua armata. Ed il Padula in Calabria prima e dopo l’Unità. «Quel ponte può dirsi l’unico monumento architettonico della provincia. È solo arco colossale della luce di cento palmi che comincia dal suolo e non s’appoggia ai pilastri. Vi si ascende per una scaglionata che lascia tra sé e l’arco del ponte un vuoto dove si ricoverano i pastori. Mentre tu sali spesso ti viene all’orecchio uno scoppio di riso; e sono foresi e forosette che ridono sotto i tuoi piedi. Il ponte è di piperno ( roccia eruttiva effusiva, n.d.c.) e se ne ignora l’autore. Il volgo lo crede opera del diavolo e crede di vedere sopra alcune pietre l’impronta di sua mano e va a cercarvi tesori».Sulle condizione del ponte ai primi del 1900 abbiamo rinvenuto una relazione dell’archeologo Edoardo Galli che così, fra l’altro, lo de-scriveva: «Il ponte ad una sola luce,è ormai ridotto in misero stato,non però da essere del tutto inservibile. È naturale che in tanti secoli d’incuria molte opere secondarie siano rovinate; tuttavia resta lo scheletro dell’arco, tutto a grandi massi rettangolari di un tufo grigi-astro, frequente in quella località, sovrapposti solo e non legati con calce. Chi guarda il ponte con le spalle alla foce, vede a sinistra un corpo avanzato, una specie di terrapieno che in altri tempi doveva essere rivestito di un muro a grandi massi, ma che ora mostra la sua struttura interna “incerta”. Anche i parapetti sono crollati e sul piano stradale non si vede traccia di “crepidines” o marciapiedi laterali. Guardando, poi, le fiancate appare evidente l’intenzione dei costruttori di restringere artificialmente, ridurre quanto più possibile la valle, per soverchiarla con un solo, arditissimo arco. Questo è all’incirca, alto 13 metri e largo il doppio, ma nell’antichità doveva librarsi ad una altezza vertiginosa,poiché è risaputo che tra i fiumi della Calabria il Savuto è uno dei più noti e temuti per piene e devastazioni ( “è gonfio di verno e porta alberi all’impiedi” scriveva il Padula n.d.c.). Quindi non v’è dubbio – conclude l’architetto Galli – che in più di duemila anni il fiume abbia colmato una buona metà dell’altezza primitiva. Infatti non si vedono i pilastri su cui poggia la volta perché sono sotterrati nella ghiaia e come si può notare oggi, il fiume scorre a livello della corda dell’arco».Le sponde del fiume Savuto erano anticamente arricchite della presenza di torrette, dotate di piccoli sportelli in cima, che servivano per avvisare in tempo gli abitanti della zona dell’arrivo dei Saraceni e dei Turchi che con le loro scorrerie mettevano a dura prova la vita tran-quilla e laboriosa delle famiglie. Il 13 Aprile 1806 Giuseppe Bonaparte, percorrendo il Regno di Napoli conquistato dalle armi francesi, ricevette proprio nelle gole del Savuto un corriere che gli portava il decreto imperiale in data 30 Marzo con quale Napoleone lo creava, per diritto di conquista, Re del Regno di Napoli. Nel 1852 Rilliete, chirurgo ginevrino del 13° battaglione cacciatori, attraversò la Valle, a capo di una colonna mobile assieme a Ferdinando ll. Queste alcune delle impressioni  riportate dal Rilliet: «Dopo Rogliano attraver-sammo il piccolo villaggio di Li Marzi, al di là del quale la strada discende per immensi zig-zag in fondo alla Valle del Savuto che non è affatto meno del terribile Acheronte; essendo l’altro in Epiro. Non riuscirebbe a farsi un’idea dell’immenso sconvolgimento per il quale queste montagne sembrano qui essere gettate a caso, formando profonde vallate che si incrociano in tutte le direzioni mentre da tutte le parti si innalzano, quasi a picco, masse imponenti di rocce e di montagne in mezzo alla natura selvaggia e grandiosa…».

Tonino De Marco

La Calabria ha un territorio caratterizzato per il 42% da montagne, 50% da collina e solo l’8% dalla pianura che lentamente degrada verso le coste. I terreni derivano dallo sgretolamento di rocce cristalline, con delle zone ricche di argilla e calcare come quella sottostante il Pollino. Inoltre, sono presenti anche buone escursioni termiche e zone ben ventilate.Tutto questo potrebbe far pensare che sia una delle regione del Sud Italia con una produzione di vini di alta qualità, caratteristi-che, invece, che si cerca di sfruttare solo negli ultimi anni, con qualche vino degno di nota e con la consapevolezza che si è perso del tempo prezioso. La voce fuori dal coro l’ha fatta qualche produttore con coraggio e convinzione, cercando di valorizzare principalmente vitigni autoctoni, avvalendosi delle moderne tecniche di lavoro in cantina, tanto da raggiunge ottimi risultati proprio con ”il vitigno” della Calabria: il Gaglioppo.ll GaglioppoVitigno a bacca rossa antichissimo e dalle origini incerte, molti gli attribuiscono origini greche, come la maggior parte dei viti-gni autoctoni presenti nel bacino del mediterraneo. Un indizio che può confermare la sua provenienza dalla Grecia si nasconde nel suo nome: infatti, Gaglioppo deriva da un termine greco che significa “bellissimo piede”, dove la parola piede si riferisce al grappolo (la sua veduta risulta davvero appagante dal punto di vista estetico). Il Gaglioppo è il vitigno più coltivato in Cala-bria, raccomandato in tutta la regione. Tracce di Gaglioppo, inoltre, si possono trovare in Campania, Sicilia e nella zona del Piceno nelle Marche.DenominazioniVisto che il Gaglioppo è il più importante vitigno, entra a far parte in tutti i disciplinari della Calabria che prevedono la tipologia in rosso e rosato. Queste le Doc di cui ne fa parte: Donnici Rosso e Rosato DOC 50%min., Pollino DOC 60% min., San Vito dei Luzzi Rosso e Rosato DOC 60%max., Verbicaro Rosso e Rosato DOC 60-80%., Melissa Rosso DOC 75-95%., Sant’Anna di isola di Capo Rizzuto Rosso e Rosato DOC 40-60%., Savuto DOC 35-45%., Scavigna Rosso e Rosato DOC 60%max., Lamezia Rosso e Rosato DOC 25-35%., Bivongi Rosso e Rosato DOC 30-50%. CIRO’ Rosso e Rosato 95%min.Apro una piccola parentesi riguardo al vino CIRO’, vino in cui il Gaglioppo il più delle volte è presente in purezza. Una storia antichissima alle spalle, già noto ai greci, antichi colonizzatori di Cremissa, l’attuale Cirò Marina. Il Cirò, il “vino di Calabria”, ri-sulta essere il figlio del famoso e antico vino KREMISSA, conosciuto per essere offerto agli atleti partecipanti alle Olimpiadi. Prodotto sulle colline intorno al territorio comunale di Cirò, Cirò Marina, Melissa e Crucoli, su terreni argilloso-sabbiosi con vitigni allevati prevalentemente o in alcuni casi esclusivamente ad alberello.Caratteristiche del vitigno GaglioppoIl Gaglioppo si presenta con grappolo medio-grande (vedi fotografie precedenti) spesso provvisto di ala, compatto, con acino medio di colore nero con riflessi rossastri, la buccia è abbastanza consistente, pruinosa, con polpa succosa di sapore semplice. Vitigno molto vigoroso, con una maturazione medio-tardiva e con una produzione abbondante e quasi sempre costante. In Calabria è conosciuto con i sinonimi: Arvino, Gaglioppo di Cirò, Mantonico Nero, Galoffa, Lacrima di Cosenza e Uva Navarra. In molti gli attribuiscono caratteristiche dal punto di vista genetico quasi simili al Frappato e Aglianico.

GAGLIOPPOrossosangue

di Cosimo Ricciati

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PANEspeciale in Calabr ia

Il pane in Calabria è un’antica tradizione. Infatti, esiste ancora il “pane di casa”, quello prodotto all’antica maniera, genuino, friabile, profumato e, perchè no, appena sfornato. Si fa un largo consumo della famosa “pitta”, il pane a forma di ciambella e di varie qualità di pagnotte provenienti da piccoli paesi dove i metodi di produzione sono ancora quelli di un tempo. D’altra parte quella calabrese è una cucina che richiede il costante accompagnamento del pane, senza il quale non si gusta a sufficienza. Diversi i tipi di pane legati alle tradizioni religiose, come il pane ai semi di finocchio preparato per la festa dell’Immacolata; la versatile “pitta”, ottima per essere consumata a colazione, ma può anche essere farcita con le uova nel periodo di Pasqua, con verdure ed altri prodotti nel resto dell’anno.Un aspetto molto importante è la cottura del pane nel forno a legna tradizionale, utilizzando legna dei boschi, o meglio ancora legno e rami secchi di ulivo e di arancio, per dare fragranza e profumo al pane. Sono questi elementi che caratterizzano l’odore, il sapore, la digeribilità e la conservabilità del pane tipico. Anche i sistemi di coltivazione di un tempo contribuivano ad assicurare un ottimo pane. Il grano mietuto a mano e sistemato in covoni rimaneva di solito all’aperto per qualche settimana e durante questo tempo poteva prendere l’umidità notturna. Anche qualche piovasco poi attivava gli enzimi della fermentazione. Pagnotte, pitte, michette, panini, crocette, grissini; al sesamo, alle noci, all’olio d’oliva, al rosmarino, all’aroma di finocchio, alle patate, ecc, cotto a legna e no, si possono vedere e anche assaggiare appena sfornate, durante le numerose feste dedicate a questo gustoso e raffinato alimento. Ad Altomonte pittoresco borgo, situato sulle pendici del Pollino, sono oltre cento, gli eventi che si svolgono ogni anno. Nel borgo antico, per la Gran Festa del Pane, predisposti lungo un preciso itinerario, op-portunamente segnalato per i visitatori, che inizia dall’anfiteatro e sale fino alla maestosa chiesa di Santa Maria della Consolazione, oggi sede del Museo, sono stati compiuti i lavori, per il recupero di 20 forni, situati in altrettante abitazioni. In questi forni, durante i giorni dell’evento, esibiscono la loro professionalità molti fornai convenuti da tutta Italia. Oltre ai fornai calabresi, infatti, sono presenti fornai siciliani, emiliani, toscani, pugliesi, lucani, trentini, veneti, sardi. Il “pane di Cerchiara di Calabria” è un fenomeno a sé stante già per le dimensioni: il peso va dai 2 ai 3 chili e mezzo, la forma è rotonda con un rigonfiamento laterale (rasella) ottenuto ripiegando la pasta su se stessa. Le forme riposano in larghi cassettoni di legno adagiate su un telo per poi essere sagomate e cotte nel forno (a circa 300 gradi) alimentato con legna di castagno e faggio. Nel Savuto  il pane è l’alimento fondamentale. Il Rione rinomato per il suo pane è Cuti; qui sin dal 1700 si potevano contare circa 5-6 forni pubblici, e numerosi altri forni privati disseminati nei poderi della  zona. I mulini della zona, sistemati sui corsi d’acqua dei torrenti Lara e Calabrici, gestiti dagli stessi abitanti del rione o da famiglie conosciute, permettevano di macinare il grano, fornendo cosi i   30 kg di farina che le famiglie erano solite impastare. Quel profumo, quel modo di lavorare secondo la tradizione, quel Buon Pane di Cuti a lievitazione naturale, cotto in forno a legna non è andato perso. E’ a Cuti che un gruppo di giovani con la sola voglia di fare, di portare avanti con passione e tra-mandare, proprio come avevano fatto le loro mamme e le loro nonne, decidono di far rivivere quei sapori, quei magici e inebrianti profumi, di diventare produttori di cose buone, genuine. Che dire poi della lunga tradizione Mangonese legata ad una tecnica di panificazione antica, che ancora oggi possiamo trovare nelle nei forni presenti in paese. Tanto importante è questo aspetto per l’intera comunità che l’amministrazione ha deciso di dedicargli un Museo. Pellegrina e Ceramida, entrambi frazioni di Bagnara Calabra, rappresentano da sempre, il pane. I forni producono pane dal sapore antico e con farina locale che ne fanno certamente un elemento principale per la riuscita dello stesso. Numerosi sono i visitatori domenicali che accorrono per comperare diversi tipi di pane, dal filoncino alla pitta, tipico pane schiacciato.Ogni anno, il primo sabato di agosto, si svolge a Pellegrina e Ceramida, la Sagra del Pane di Grano, appuntamento atteso da moltissimi turisti e rinnovato da parecchi anni. Durante tale occasione viene offerta ai visitatori ad un prezzo simbolico, la degustazione di prodotti tipici come il pane, la pitta, i granetti e il biscotto, conzati rigorosamente con olio, peperoncino e origano. I prodotti gastronomici vengono presentati su vassoi di ceramica prodotti dalle fabbriche artigianali locali e che poi resteranno ad ogni singolo degustatore.

Mondo Calabria

Enzo Perna

Tradizione dal 1930 www.ilpaneditessano.it

Il pane di Tessano Via Pulsano, 61 - Dipignano (CS) - 0984.445523

itinerariotra i "sentieri del gusto

"in questo numero viaggeremo tra

ApriglianoCellaraMangone

S.StefanoBelsitoRogliano

AltiliaGrimaldi

Aiello C.

Apriglianoi poeti della cucina

Coordinate: 39°14′0″N16°21′0″EAltitudine: 725ms.l.m.Superficie: 121,27km²Abitanti: 2.728 Densità: 23,14ab./km²

Aprigliano si può raggiungere sia dal versante ovest del-la Calabria, uscendo allo svincolo A3 Rogliano-Grimaldi e proseguendo per Piane Crati (12 km) o, partendo dalla città di Cosenza, attraverso la S.S. 19 delle Calabrie e poi l’ex S.S. 178 per la Sila (17 km), che dal versante ionico attraverso la S.S. 107, uscendo a Lorica e proseguendo per la S.S. 108 e poi l’ex 178. Il suo territorio è uno dei più estesi della Sila ed è anche quello che più rappresenta la ricchezza di risorse idriche calabresi. Qui nasce la nota sorgente Zumpo, nel suo territorio sono situati in gran parte i laghi Arvo e Ampollino. Proprio qui, rispetti-vamente nella località Macchia Sacra e Destro di Spineto, nas-cono due fiumi calabresi: il Crati, il più rilevante della regione per volume d’acqua e bacino idrografico, e il Savuto. Intorno al fiume Savuto (Ocinarus per i greci e Sabatus per i romani) abbiamo avviato il primo degli itinerari del gusto, una serie di resoconti sull’enogastronomia di un comprensorio, resoconti originali e realizzati sul campo dalla redazione di fuori porta. Tra gli aspetti che meglio rappresentano Aprigliano, si seg-nalano il frazionamento, determinato da diverse contrade e nuclei abitati posizionati a una certa distanza tra loro, ed una significativa presenza di poeti dialettali: i gapulieri, Do-

menico Piro alias Duonnu Pantu, Carlo Cosentino. Ancora oggi, le chiese delle diverse frazioni e le rela-tive feste patronali, contribuiscono a mantenere in vita tradizioni locali improntate a un campanilismo spinto. Siamo stati ad Aprigliano prima della Pasqua. Scelta azzeccata. Guidati dalla nostra amica Giulia, abbiamo assaggiato le cuzzupe e i taralli dolci, prodotti di for-no semplici ma molto gustosi. Dalla nostra guida ap-prendiamo che un piatto importante nella tradizione apriglianese è la frittata con salsiccia, caciocavallo e formaggi. Girovagando per le diverse frazioni, prendi-amo atto che almeno le tradizioni culinarie sono condi-vise, a partire dalla pasta china, imbottita con salsiccia, polpettine di carne di maiale, uova sode e caciocavallo, preparata oggi al forno ma un tempo sulla brace. Un piatto che non può mancare a carnevale e nelle festiv-

Fuori Porta

Coordinate: 39°14′0″N16°21′0″EAltitudine: 725ms.l.m.Superficie: 121,27km²Abitanti: 2.728 Densità: 23,14ab./km²

ità più importanti. In questo periodo, ci racconta nonna Emilia, si fa grande uso delle verdure di stagione. Abbondano i piatti con le fave o con le minestre di verdure cucinate con parti di carne del maiale, le cotiche o le frittule, conservate tutto l’inverno nello strutto, oggi, surgelate. Molte sono le aziende agricole del territorio che producono patate e ortaggi e talune frutti e confetture in vasetto; in alcune si alle-vano ottimi bovini di razza podolica. La panificazione, come nel resto del Savuto, con la levatina (lievito casereccio) è di ottima qualità. Ter-miniamo la visita con un giro tra chiese e palazzi pregevoli, per la maggior parte ricostru-iti dopo il terremoto del 1783.

Agriturismo “i due fuochi” - c.da Ceci, Agriturismo “Massaro Peppe” - c.da Quaresima, Agriturismo “Casale dell’ Arvo” - c.da Barracchelle,Agriturismo “Silanella” - c.da Camarda, Azienda agroalimentare “Delizie di Marianna” - c.da Barracchella, Cooperativa “Domus Arva” produzi-one confetture e farro - c.da Barracchella, Chiarella Carmelo produzione ortaggi e confetture - c.da Spineto, “Spineto Sapori” vendita prodotti ti-pici - c.da Spineto, “Torre Oranges” di Perri Lina produzione pecorino - c.da Torre oranges, “Fratelli Venneri” produzione patate - c.da Cappello di paglia, “D’Ambrosio Mariateresa coltivazione di stagione e allevamen-to - c.da Tarsitano, “Gallo Giuseppe” Allevamento e vendita Podolica - c.da Capo rose, “Fratelli Rizzuto” produzione patate - c.da Cappello di paglia, Panificio “Maletta” - c.da Spineto, Panificio “Giordano & Vignia” - c.da S. Nicola, Panificio “Aquino” - c.da S. Nicola, Ristorante “Il Cap-riolo” - c.da Spineto, Grigleria - c.da Pino Collito, Trattoria “Il Geranio” - c.da Spineto.

OCCHIO AL CASERECCIO

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ORTI

Cellarai custodi del vino Coordinate: 39°13′0″N16°20′0″EAltitudine: 750ms.l.m.Superficie: 5km²Abitanti: 510Densità: 102ab./km²

Cellara, comune posto nella parte bassa della fascia presilana cosentina, ci viene disvelata attraverso le dritte della nostra guida, Gioconda, che si rivela in piena affinità con la filoso-fia del Museo del Gusto Calabria. Gioconda è impegnata nell’amministrazione comunale di questo borgo di poco più di cinquecento abitanti. Le origini del paese risalgono, come tutti i casali cosentini, alle incursioni saracene e al periodo in cui la Calabria fu invasa e depredata, certamente dopo l’anno 975 al-lorquando Cosenza fu distrutta e gli abitanti, scampati alle scor-rerie, si riversarono nei territori circostanti meno accessibili. Ma in alcune fonti si parla di un nucleo o fortezza preesistente, un luogo inaccessibile e fortificato. Oggi, invece, l’abitato di Cellara, adagiato a 800 metri di altitudine sulle falde occiden-tali della Sila Grande, ha una posizione geografica particolar-mente felice ed è posto in posizione baricentrica tra le località della costa tirrenica e quelle della Sila. Il territorio, che presenta un’elevata boscosità estendendosi fino in Sila a ridosso del lago Arvo, è indicato per turisti in cerca di pace e di tranquillità, visto che si possono ammirare scenari naturali di notevole bellez-za. Da citare la località Diroito, nel Parco nazionale della Sila. Il suo clima fresco è l’ideale per sfuggire alla calura estiva. Il sot-

tobosco è ricco di estesi roveti, che in agosto regalano suc-culente more, di teneri ed odorosi cespugli di fragoline, di piante cariche di mirtilli e di funghi di diverse varietà tra cui i ricercati porcini. In ottobre si tiene la sagra della cast-agna e i vicoli del paese pullulano di curiosi braceri forati. Abbiamo avuto il piacere, guidati dal nostro amico Mar-cello, di degustare una buona marmellata di castagne, ot-tima se, come l’abbiamo assaggiata noi, accompagnata da formaggi stagionati. A completare lo spuntino, insieme ad un buon bicchiere di vino prodotto dal nostro ospite, conserve di verdure e ortaggi. Su tutto, i succulenti salumi. Fino a non molti anni fa, ci ricordano, la tradizione della lavorazione del maiale e la preparazione dei salumi si viveva come un evento collettivo impor-tante per la comunità. Chiediamo lumi sulle origini del termine Cellara. Deriva, secondo alcune fonti,

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Coordinate: 39°13′0″N16°20′0″EAltitudine: 750ms.l.m.Superficie: 5km²Abitanti: 510Densità: 102ab./km²

da Cellae, luogo in cui si conservavano i pregiati vini, in di-aletto cellari, secondo altre da Gelsara, luogo ricco di gelsi. Una tradizione unica e dalle origini antiche e chiaramente pagane, con tanto di mascheramento e riti propiziatori, è la festa di San Sebastiano, durante la quale sfila Pulicinella. Mesi di lavoro per la costruzione delle maschere, i tummarini che iniziano a suonare i loro tamburi già tre giorni prima, per concludere con una parata dove tutti danzano, bevono e festeggiano fino alla piazza centrale, detta delle vasche, in cui tutti i fantocci vengono bruciati in un grande falò propiziatorio.

“Agriturismo Carpino Nella Teresa”, sito in C/da Diroito – Cellara, di Carpino Nella Teresa C/da Diroito 1., “B&B Bella Vista”, sito in Via Dante Alighieri 108 – Cellara, di Aiello Agostino, Via D. Alighieri., “B&B Dora”, sito in C/da Riposo 13 – Cellara, di Maione Marianna, “B&B SAROGIO”, sito in C/da Cognale del Piro 1 – Cellara, di Minardi Gioconda,– C/da Cognale del Piro, “B&B Orlando Emilia”, sito in Via Roma 11 – Cellara, di Orlando Emilia, Via Roma, Circolo Ritrovo “La Saletta”, sito a Cellara – Via Della Repubblica 3, di Nicoletti Salvatore, in Via della Repubblica,3.Azienda Agricola “MINARBIO” di Mauro Lucia – Prodotti Biologici – Via Salita al Castello,30

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Mangonepane e companatico

Coordinate: 39°12′0″N16°20′0″EAltitudine: 850ms.l.m.Superficie: 12km²Abitanti: 1.882 Densità: 150ab./km²

Per approfondire le conoscenze enogastronomiche di Man-gone e partire col piede giusto, vi arriviamo “armati” di al-cune fette di profumata mortadella. E non si scandalizzino i “tradizionalisti” calabri del gusto. Puntiamo, senza esitazione, dritti verso il forno di zi Teresina, decisi ad acquistare una pitta ancora calda per deliziare, con l’unione dei due alimenti, le nostre avide papille gustative. Detto, fatto. Un vero e pro-prio rito laico, che decidiamo di tenere all’aperto, dopo aver scambiato alcune parole con la mitica fornaia. Da lei scopri-amo che conduce dal 1950 questo scrigno di storia e sapori avviato con una licenza sin dal lontano 1908. E mentre degus-tiamo, Dario, la cui famiglia è originaria del posto, ci racconta che questa è terra di grandi lavoratori, mietitori e vangatori. Sui gammittari, famosi non solo in Calabria, si narra che ognuno di essi riuscisse a compiere il lavoro di tre uomini, e per questo venivano ingaggiati ovunque. Spesso veniva-no retribuiti anche attraverso il grano e la farina, e questo, secondo alcuni, è all’origine della produzione dei farinacei. Questa storia ci affascina molto e troviamo piacevole, ac-compagnati da Raffaele, nostro amico e primo cittadino, gi-

rovagare per i vicoli del borgo, tra interessanti edifici, come Palazzo Mauro e diversi portali in pietra, i ru-deri della Chiesa di Santa Maria e altri luoghi di culto come la famosa chiesetta della Madonna dell’Arco. La produzione del pane casaruolo in questo paese è centrale in tutte le case, rispecchiando la tradizione con l’uso rigoroso della levatina , il lievito naturale. Ma non mancano altre produzioni mangonesi, dal vino alle conserve alimentari di qualità, che nella zona di Piano Lago sono prodotte e distribuite da diverse im-prese artigianali. Una vista veloce in alcune ospitali ab-itazioni ci conferma che il meglio delle produzioni e delle tradizioni alimentari, come sempre nella nostra regione, si riesce ad assaporarle, quasi unicamente, a livello domestico. Infatti, molte famiglie continuano ad

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Coordinate: 39°12′0″N16°20′0″EAltitudine: 850ms.l.m.Superficie: 12km²Abitanti: 1.882 Densità: 150ab./km²

autoprodurre insaccati e ortaggi di stagione, freschi e conservati, che abbiamo modo di assaggiare mentre ci vengono elencati i piatti tipici del paese: strangugliaprevite (gnocchi di patate), tagliarini e surache (tagliatelle sottili e fagioli), ngnucculi mbrodu (pasta di semola di grano duro grattugiata con brodo di gallina), purpette cu verza (pol-pette di pangrattato e carne di maiale avvolti nella foglie di verza). L’origine del toponimo, risalente al 986, si deve, secondo alcuni stu-diosi, alla ricca famiglia nolana dei Mangoni, che comprò questi terreni e vi si stabilì, dopo la distruzione di Cosenza del 975, trapiantando nel posto anche la devozione campana alla Madonna dell’Arco. Di certo si sa che i Mangoni er-ano discendenti di un’illustre famiglia che per secoli parte-cipò alle sorti politico-eco-nomiche della città di Cosenza.

Azienda agricola Cantine Spadafora srl Zona Industriale Piano Lago di Mangone - Forno Zia Teresina Via Marco Berardi, Mangone - Prodotti tipici Calabria Food Zona Industriale Piano Lago -  Ristorante Giraluna Via Piano Lago2\c - Tavola Calda da EvaristoSS 19, Piano Lago - Funghi e tartufi Via Piano Lago - Ingrosso Dolciumi Via Parisi, 1 - Salumificio Co. Z. A. C. Srl Via Piano Lago

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S. Stefanoil sacro fungo

Coordinate: 39°12′0″N16°19′0″EAltitudine: 663ms.l.m.Superficie: 19km²Abitanti: 1.627 Densità: 80ab./km²

Santo Stefano è facilmente raggiungibile in auto, dall’Autostrada A3 uscendo allo svincolo di Rogliano. O, meglio attraverso un percorso panoramico ed ecosostenibile, utilizzando il caratter-istico e comodo trenino delle Ferrovie della Calabria, per esem-pio partendo anche dalla stazione di Cosenza centro. Un percor-so particolare che regala scorci e belle viste dei casali cosentini. Il nostro tour parte in mattinata, quando decidiamo di rag-giungere il paese proprio con il trenino. Arrivati sul posto non contattiamo immediatamente il nostro amico Francesco, orig-inario della zona e, come si usa dire dalle nostre parti, proprio una “buona forchetta”. Spieghiamo all’amico l’idea del Museo del Gusto Calabria e il nostro interesse per l’enogastronomia locale. Immediato e immancabile, come nella migliore tradizione calabrese, scatta l’invito a pranzo quale metodo migliore per vivere momenti conviviali e comprendere bene la natura e la storia dei piatti tipici locali. Si parte con un anti-pasto di formaggi stagionati, il capicollo, il guanciale, la salsic-cia , funghi e melanzane in vasetto, tutti prodotti artigianali. Anche il vino che degustiamo, di buona fattura, è prodotto in proprio dalla famiglia del nostro amico. In tanti, sul posto,

producono conserve sottaceto e sott’olio, vino, insac-cati e salsa di pomodoro. Impossibile non segnalare i famosi cullurielli, che non mancano mai durante sagre e feste, sia a Santo Stefano che nei paesi limitrofi. Du-rante questo periodo, ci racconta Antonio, musicista e amministratore comunale, comincia la lavorazione de-gli ortaggi da conservare, in particolare le melanzane. Nel pomeriggio, leggermente appesantiti, nel cen-tro storico incontriamo una simpatica nonna che, con grande piacere, ci racconta della festa paesana dedicata a Santa Liberata. Due le cose non pos-sono mancare, spezzatino e melanzane ripiene, vere specialità del luogo. Un altro prodotto tipico è il sanguinaccio, preparato con sangue di maiale, cioccolato e noci, un preparazione di origine an-tica emblema tradizionale e della lavorazione del

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Coordinate: 39°12′0″N16°19′0″EAltitudine: 663ms.l.m.Superficie: 19km²Abitanti: 1.627 Densità: 80ab./km²

maiale non solo a Santo Stefano ma in gran parte della Calabria. I funghi qui si trovano in grandi quantità e vengono consumati sia freschi che conservati, soprattutto sott’olio. La maggior parte delle conserve di funghi si realizza con i diffusissimi rositi. Fa-mosa la sagra del fungo che si svolge tra settembre e ottobre. A fine giornata, dopo aver percorso uno degli itinerari naturalis-tici del territorio comunale, visitiamo un’esposizione permanente sulla tradizione della lavorazione del maiale e, al municipio, le riproduzioni di alcune mon-ete antiche risalenti al V e VI secolo a.C., scoperte nel 1910 e oggi conservate nel Museo Nazionale di Reggio Calabria .

Pizzeria Ristorante L’incontro Via S. Maria 

Ristorante Il Cacciatore Perri Dario E De Luca Fabrizio Snc Via Nazionale 15

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Roglianosucco di pietra

Coordinate: 39°14′0″N16°21′0″EAltitudine: 660ms.l.m.Superficie: 41,36km²Abitanti: 5.851 Densità: 141,7ab./km²

Per conoscere bene l’enogastronomia del Savuto, è necessario recarsi a Rogliano, il centro propulsivo delle attività di questa parte di Calabria. Sulla scorta della nostra esperienza, consigli-amo di giungervi partendo da una delle stazioni della Cosen-za, con il trenino delle Ferrovie della Calabria, il mezzo più rilassante ed ecosotenibile, magari con bici al seguito. Sempre ammesso che la linea Cosenza-Catanzaro non sia interrotta. Discutiamo di questo e, soprattutto, delle bellezze naturali della zona mentre dalla stazioncina risaliamo verso il centro per in-contrare Fernando, nostro amico nonché assessore e cicerone. Sebbene non sia certa l’origine del nome, forse da Rublanum ov-vero “rosseggiante”, nome che si modificò in Praedium Rubiliani (1271) e Casalis Rublani (1326), qui tutti sono convinti che la città sia di origini almeno romane e che fu solo ripopolata dai cosentini in fuga per le invasioni saracene (975) che portarono alla nascita degli altri Casali. A proposito di Romani, l’incontrastato dominus del territorio era già citato al tempo di Plinio, quando primeggia-vano il Previtaro bianco e il Fulvus ,detto Zuccariello del Savuto. Ma in quei tempi, sappiamo, il vino veniva “tagliato” e quello puro era riservato solo ai malati come elemento terapeutico. Il Savuto rosso, prodotto con tralci autoctoni e già conosciuto con il nome di “Succo di Pietra”, dal 1975, quando è stata ri-conosciuta la DOC, ha visto crescere altre aziende e oggi, spe-cialmente dopo averli assaporati, segnaliamo i vini dell’azienda Colacino. Competenze e capacità portarono lo scrittore Mario

Soldati a scrivere, dopo essere stato a Rogliano, Il Sa-vuto… sta a Cosenza come il Barolo sta a Cuneo.La “capitale” del Savuto nel corso dei secoli si è sem-pre caratterizzata per importanti attività, botteghe di scalpellini e di intagliatori, per i suoi personag-gi, i “risoluti” del 1848 Donato e Vincenzo Morelli e il poeta Vincenzo Gallo detto ‘U Chitarraru, non-ché le istituzioni artistico-culturali come le sue rino-mate accademie (Costanti nel sec. XV, Intrepidi nel XVI, Redivivi nel XVII e Inseparabili metà XVIII). Qui Garibaldi, il 31 agosto del 1860, dal Palazzo Mo-relli decretò l’affrancamento delle terre silane, abolì la tassa sul macinato e abbassò il prezzo del sale. E quando la nostra guida ci accompagna a due passi dalla piazza centrale, dove ci attende premuroso zio Antonio con l’imperativo di “provare per credere”,

Fuori Porta

Coordinate: 39°14′0″N16°21′0″EAltitudine: 660ms.l.m.Superficie: 41,36km²Abitanti: 5.851 Densità: 141,7ab./km²

ispirandoci al grande Generale diamo il via ai combattimenti (gus-tativi, per fortuna!). E giù con un alcuni assaggi di piatti tipici, zuppe con i legumi, paste con fave e piselli, lagane (pasta sfoglia tagliata) con i ceci, fave secche cotte a mo’ di purea, maccarruni caserecci conditi con sughi corposi di carni suine o caprine, parmigiana di zucchine, gustosi formaggi pecorini, saporite sopressate. Qui si usa anche fare il pane in casa, ma a noi zio Antonio riserva il famoso Pane di Cuti, la tradizionale focaccia farcita con origano, pratica-mente un amore al primo assag-gio. Indimenticabile. Come il dolce finale, a base di farina, mandorle e miele, la ‘nsudda.

Ristorante Gabriele Carmine - Scheda azienda” Gabriele CarmineContrada PalmentiRistorante Pizzeria Da Nello Garofalo Nello - Scheda azienda” Ristorante Pizzeria Da Nello Garofalo NelloContrada Balzata, 40Panificio Gallo V.& C. Via Alcide De Gasperi 5/d  Panificio Marasco Panetterie Via Donnanni 1  Azienda Agricola Sapori E Natura Contrada Acqualatiglia 42  A.l.p.a. Sas Azienda Lavorazione Prodotti Agricoli Contrada Cutura 

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ORTI

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Belsitoborgo di ferro

Coordinate: 39°11′0″N16°17′0″EAltitudine: 600ms.l.m.Superficie: 11km²Abitanti: 963 Densità: 87ab./km²

Belsito, paese originato dai casali cosentini, un tempo chiamato Crepasito o Caprisito, dal latino cupressetum , bosco di cipres-si, o dall’ebraico Kapar-Ha-Sseeth ,villaggio eminente, deve il suo nome attuale a Carlo V che nel 1535, passandovi di ritorno dall’Africa, erroneamente informato che Caprisito volesse signifi-care luogo di capre, stabilì il nuovo nome legandolo al paesaggio. Mentre ci rechiamo verso il palazzo municipale a incontrare Antonio, giovane primo cittadino e nostra guida, notiamo un apprezzabile tentativo di valorizzare e recuperare prodotti e pro-duzioni locali: manifesti e volantini di dibattiti e incontri, segnal-azioni e informazioni sono ben in vista nell’ingresso dell’edificio.Come si suol dire, il buongiorno si vede dal mattino e subito, tra informazioni varie e discussioni, Antonio ci conduce a con-statare di persona le produzioni del posto, a partire dal famoso pane locale preparato con il lievito naturale e cotto nel forno a legna. È qui che Luigi, panificatore giovane ma con un espe-rienza più che decennale, ci fornisce magicamente anche il salume con cui accompagnare il nostro croccante e morbido alimento base: una sopressata di produzione artigianale che riconosciamo quando viene affettata, ben prima di gustarla, per la famosa “lacrima” che veramente ci intenerisce il core.

Proseguiamo solo dopo avere pescato a man bas-sa in un cesto contenente alcuni ottimi mo-staccioli, preparati semplicemente con fari-na e miele, ci assicurano, e dei fragranti biscotti.Man mano che prosegue l’itinerario tra le pro-duzioni locali, aumenta il carico dei prodotti da “verificare”: patate a pasta gialla e rossa, alcuni in-saccati di maiale e persino una bottiglia di vino pro-dotto dall’azienda agricola Greco, fuori dalla Doc Sa-vuto, nella zona a confine con il Comune di Paterno. Incontriamo poi Mimmo, ristoratore specializzato nella preparazione di carni arrostite che ci illustra con dovi-zia di particolari le maxi-melanzane viola ripiene alla belsitese. Quindi visitiamo il piccolo Museo dei mestieri, costituito nel 2009 al fine tramandare la cultura del la-voro, dove Antonio ci ricorda la celebrità dei forgiari di Belsito, conosciuti un tempo per la grande capacità di

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Coordinate: 39°11′0″N16°17′0″EAltitudine: 600ms.l.m.Superficie: 11km²Abitanti: 963 Densità: 87ab./km²

lavorare il ferro battuto. Trieste, nostro amico e noto musicista, si offre di accompagnarci in contrada Serre, dove è stata rinvenuta una necropoli alto-medievale. Gli scavi effettuali da Unical e So-printendenza ai Beni Archeologici hanno portato alla luce numer-osi reperti risalenti all’VIII secolo d.C. poi ci conduce nella zona Fugarello, in cui ammiriamo l’elevato patrimonio naturalistico del “Bel-Sito”. Il corso del torrente Jassa, diversi sentieri nei boschi, una secolare pineta in contrada Malacurina e le interessanti grotte natu-rali di Chiricone e Santa Maria.Una curiosità: passando da qui, cosa avrà mangiato Carlo V?

L’Hostaria del Bel Sito di Mimmo De CiccoRistorante, C/da Surda, 7 , Azienda Agricola Greco C/da San Vitale, Ristorante Oklahoma di Naccarato Michele Contrada Surda, 1, Panificio AMICI sncC/da Surda, Macelleria Mandarino C/da Surda, Emporio De Silva Stella Piazza Municipio, Patate Sila di Vizza SergioC/da Torre dei Galli, Museo dei Mestieri Via sopra casale

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Grimaldiil battente del cuore

Coordinate: 39°9′0″N16°14′0″EAltitudine: 650ms.l.m.Superficie: 24,39km²Abitanti: 1.778 Densità: 74ab./km²

Volendo arrivare in questo borgo dallo svincolo dell’A3 Ro-gliano-Grimaldi, dobbiamo percorrere un tratto della vec-chia strada statale 108 Silana di Cariati,ora strada provin-ciale 245, dopo aver superato Belsito e Malito. Grimaldi è praticamente visibile solo in prossimità della periferia del paese, come se lo si volesse tenere nascosto e protetto.Giunti nel centro abitato e chiedendo lumi al signor Fran-co, seduto a passare il tempo su una panchina, intento a osservare attentamente qualsiasi movimento avvenga at-torno a lui. Ci spiega che, dopo il terremoto violento del 1638 che distrusse il paese un tempo collocato sulla rupe perrupo, i grimaldesi lo ricostruirono nella vallata sot-tostante, dove le poche case erano tutte rimaste in piedi. Sulla scorta di alcune informazioni acquisite sulla rete internet, ci avviamo verso il centro storico. Ci facciamo indicare la piazza centrale e il Municipio. Restiamo colpiti dagli odori e profumi che, vista l’ora, provengono dalle cucine di alcune abitazioni. Le signore discutono mentre restano affacciate dietro le carat-teristiche menze porte, piccole ante basse di legno, utili per impedire l’accesso agli animali e necessarie per dare significato

alla continuità giornaliera della vita nella comunità, senza chiusure nette tra l’interno delle case e il vicinato. La signora Eleonora, evidentemente avvertita del nos-tro arrivo, è già pronta a fornirci informazioni. Si offre di accompagnarci a visitare il Museo della civiltà conta-dina del Savuto. Ci fa venire l’acquolina in bocca parlan-doci dei prodotti e dei piatti tipici nonché delle tradizio-ni alimentari del posto. E giù con una descrizione degli insaccati del maiale, sazizze, supressate e vrasciole e a seguire altre prelibatezze come purpette ‘e carnevale, taglierini e finocchi ‘e timpa, cottu, frittule, purpettini ‘e ficatu curu picchiu. Superate le 13:00, benché piacevolis-sime da ascoltare, l’elenco diventa come una fucilata al petto, per via del nostro ormai accresciuto appetito. Dopo aver ricevuto notizie riguardo a castagne, un

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Coordinate: 39°9′0″N16°14′0″EAltitudine: 650ms.l.m.Superficie: 24,39km²Abitanti: 1.778 Densità: 74ab./km²

tempo il frutto più importante per l’economia del territorio, olive schiacciate, olio e vino Savuto Doc di Monteorso e i dolci di Natale e Pasqua, chiediamo rassicurazioni sulla possibilità di assaporare le bontà citate in qualche ristorante del posto. Veniamo confortati dalla signora Eleonora. Sebbene, come nel resto della Calabria, la miglior tradizione culinaria si conserva soprattutto a livello domestico, è pos-sibile nel ristorante e nell’agriturismo locale, prenotandosi, ottenere buone soddisfazioni per il palato. Certi di tornare quanto prima a degustare qualche prelibatezza locale, ci congediamo con una gra-ditissima sorpresa. Riceviamo in dono una vaschetta conte-nente due vrasciole di maiale, soavemente adagiate nello strutto e pronte per prepa-rare un corposo sugo con cui condire gnocchi casarecci.

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ORTI

Fonte dell’Amore Acqua Minerale, Acquapura srl - C/da Merisacchio, Tel. 0984985886, Panificio Sant’Antonio Pane casereccio – Freselle, Via A. Moro, Panetteria Germanese – Via IV Novembre , RistorantiI Sapuri de na Vota – Via A.Moro, 2 – Tel. 3386326526 David - Via A. Moro, 27 – Tel. 0984964357, Carpe Diem – di Naccarato Lucia, Piazza Mancini, Agriturismo I Remaggi – C/da Piscata snc - Tel: 0984964863, 3201403734, Macelleria Salvati - Via IV Novembre, 11 - Tel. 0984964903, Macelleria Ianni – Piazza Mancini, 3297036341

Da visitareMuseo della Civiltà Contadina del Savuto, Corso Trento, 10 – 0984.964687

Gaglioppo

Ovini,BovinieCaprini

Pinisecolari,Faggi,Castagno PioppieOntan

Coltivazionidomestiche eattivitàagricole

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Altilianero di calabria

Coordinate: 39°8′0″N16°15′0″EAltitudine: 594ms.l.m.Superficie: 10,70km²Abitanti: 765 Densità: 72,8ab./km²

Un itinerario nelle tipicità dei territori bagnati dal Savuto deve nec-essariamente prevedere una tappa ad Altilia, caratteristico borgo posto a guardia della via d’accesso che dal mar Tirreno conduce-va verso Cosenza e i villaggi interni della bassa Calabria citeriore. Guidati da Adriano, altiliese doc, visitiamo il Ponte di An-nibale, che valica il fiume al confine con il Comune di Scigli-ano. Costruito dai Romani nel 203 a.C. lungo via Popilia, fu distrutto per arrestare la fuga dei cartaginesi verso il mare, per essere poi ricostruito, sempre in pietra e con uguale architettu-ra, dai guerrieri di Annibale al fine di farvi transitare l’armata.Nel paese ammiriamo antichi insediamenti monastici ed edi-fici ornati da splendidi portali, balconi e facciate in pietra, op-era dei maestri scalpellini altiliesi, conosciuti e ingaggiati in tutta la regione. Due date ci vengono segnalate da Adriano, il 1638 quando un terribile terremoto rase al suolo quasi tutto il paese e gli altri centri del Savuto e il 1811, anno in cui si costituì ad Altilia la prima “vendita” di carbonari calabresi guidata da Vincenzo Federici, detto Capobianco, rivoluzionario temuto e ricercato dai Borboni. Di notevole interesse naturalistico, a due passi dall’abitato grazioso della frazione Maione, è l’escursione sul fiume Rosso fino alle cave, Parrere, utilizzate dagli scalpellini.Un tempo qui si producevano gli stacci, utilizzati per sepa-

rare il fior di farina dalla crusca, per i quali il paese era noto in tutta la Calabria. Oggi, invece, primeggia l’allevamento allo stato brado del suino nero calabrese. Su questo tema, ascoltiamo Adriano Ferrari, e gli chie-diamo di farci da guida nel suo allevamento. I suini sono allevati con cura, per perseguire la selezione dei caratteri predominanti della razza suinicola autoctona, recuperata e salvaguardata dall’ARSSA. Nell’azienda, portata avanti su 12 ettari, di cui 2 dedicati alla ripro-duzione, abbiamo modo di constatare subito la qualità attraverso la prelibatezza degli insaccati realizzati con le carni dei suini neri, nello specifico salsicce e sopressate. Il seguito della nostra escursione è tutta discussione sui piatti altiliesi, dal delizioso e unico schipìeciu (baccalà con i porri), alle commoventi purpette de Carnelevare, dall’umile ’nchjiampa (frittata semplice, di farina e cipolle, senza uova), ai dolci fra cui gli immancabili ’ncinetti.

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Coordinate: 39°8′0″N16°15′0″EAltitudine: 594ms.l.m.Superficie: 10,70km²Abitanti: 765 Densità: 72,8ab./km²

Versi tratti da Il mio paese,Poesia di Attilio Adamo, 1946.

Altilia è paesetto di montagna,esposto al sole, al vento, alle tempeste;sito tra il rovo, il pruno ed il castagno,tra le querce, gli ulivi e le ginestre!È limitato da due fiumicelli:Savuto all’est, all’ovest Carito;lontani vedi borghi e paeselli,vaporosi e sfumanti all’infinito!Verso San Mango, in vista piccolino,“bocca di mare”, appena, si discerna;a manca la Gran Sila e il Reventino,a destra il monticel “Santa Lucerna”.L’aria è stupenda e molto salutare!Il paesaggio è proprio una bellezza:laggiù, laggiù, si vede un po’ di maree colli e valli nella loro ampiezza!Il paese poi abbonda d’ogni cosa:fave, cicorie, ceci e fagiolini;pecorelle, conigli e uova a iosa,e vino, e frutta, e galli e maialini…

Azienda Agricola Ferrari C/da Monti, Tel. 3345639303Produzione Miele, Azienda Tarolla - C/da Ranone, Azienda Ranuccio – C/da Campi, Panificio Bartolotta sasVia De Gotti, 16 , Ristoranti Russo, Via Nuova, 6, Da Toto – C/da Forna-celle, Perri Vincenza – C/da Petrarizzi , Metallo – C/da Petrarizzi, 1

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Aiellouna breccia tra le mura

Coordinate:39°7′0″N16°10′0″EAltitudine: 502ms.l.m.Superficie: 38km²Abitanti: 2.037 Densità: 57ab./km²

La visita ad Aiello Calabro, borgo interessante di antiche origini, giungendovi da Grimaldi attraverso la strada pro-vinciale 245, è affrontata con l’animo rinfrancato dalla bella visione del paesaggio, del territorio sottostante, del mar Tirreno nonché delle isole Eolie sullo sfondo da car-tolina, che si possono ammirare bene durante una pri-maverile giornata di sole, quale quella da noi prescelta.Che il paese un tempo fosse un feudo importante con tanto di Castello e di vasta cinta muraria, così come riportato su una vecchia stampa del Regno di Napoli mostrataci dalla nostra premurosa guida, l’assessore Lucia Baldini, ci viene confer-mato dai diversi toponimi della porte di accesso e dagli im-ponenti resti delle vecchie mura della fortezza, giudicata da Leandro Alberti, all’inizio del ‘500, «tra le prime fortezze del Regno di Napoli». Apprendiamo poi, dalla discussione che intavoliamo col sindaco Franco Iacucci e con alcuni cit-tadini incontrati nel paese, delle vicissitudini storiche vissute da Aiello nel corso dei secoli. Dalle dominazioni feudali dei conti Siscar e dei principi Cybo Malaspina, alle sollevazioni dei contadini, alle occupazioni delle terre ed alle lotte popo-lari e di emancipazione sociale intraprese sin dall’inizio del XX secolo dalle classi subalterne. Girovagando con piacere nel ben tenuto centro storico, accompagnati dalla gentile profes-

soressa Baldini, appassionata di storia e tradizioni lo-cali, abbiamo potuto osservare palazzi di notevole inter-esse, tra cui è giusto segnalare quello Cybo Malaspina, «identico a quello dello stesso casato presente a Massa», dice Baldini, che adorna e abbellisce la piazza princi-pale del paese, nonché edifici di culto di elevato valore storico-artistico. Ed è proprio passando nelle contorte vie dell’abitato storico che, iniziando a intercettare pro-fumi di pietanze in preparazione, ci avviamo ad affron-tare la discussione sulle peculiarità enogastronomiche locali. Le carni, prevalentemente quelli suine, lavorate e trasformate, come nella migliore cultura contadina, utilizzando tutte le parti senza buttare niente, al fine di realizzarvi non solo salsicce e sopressate ma molte al-tre specialità culinarie. Il capretto e l’agnello, come da

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Coordinate:39°7′0″N16°10′0″EAltitudine: 502ms.l.m.Superficie: 38km²Abitanti: 2.037 Densità: 57ab./km²

tradizione, soprattutto nel periodo pasquale e nella tarda primavera, da cucinare esclusivamente al forno. La savuza, che già conosciamo bene, un piatto delizioso di origine spagnola, a base di zucchine fritte sistemate in vassoio con mollica di pane, aglio, aceto e mentuccia selvatica. I taralli bolliti, molto noti e apprezzati nel comprensorio al punto che, scherzosamente, gli aiellesi vengono definiti “i taral-lari”, e le freselle integrali. Ma, soprattutto, quelle croccanti e tenere insieme, a base di farina di mais o, meglio, di grandianu. Per conclu-dere, oltre che coi tipici, biscotti ricoperti da una glassa di zucchero, con la lavorazione dei fichi secchi tipici del cosentino, qui pro-dotti dall’azienda Aloisio avviata nel 1930, nonché dei famosi e originali “Fichi Dot-tati al Cioccolato” prodotti sin dal 1950. Quando salutiamo la nostra guida, ap-prendiamo della prossima apertura ad Aiello Calabro di un Museo comunale in corso di allestimento e di un capiente cinema-teatro prossimo all’inaugurazione.

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ORTIAloisio di R. Aloisio e Figlio - largo San Francesco Panificio Guzzo di Francesco e Luigi snc - Via CampoPanificio La Romana di Sapienza Maria Antonietta Agriturismo “Giardini” - Località GiardiniAgriturismo “Fargani” - Località Fargani Agriturismo “Il Bianchetto” - Località Petrone Agriturismo “La Pineta” - C/da Calendola

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La mattanza è la fase finale della pesca dei tonni in cui sono ri-petutamente arpionati e uncinati prima di morire nella camera della morte nelle tonnare di una volta che venivano chiamate “a posta fissa”. Queste tonnare a posta fissa erano collocate in alcune zone, dove il passaggio dei tonni era quasi obbligato poiché ve-nivano dall’ Atlantico ne l Mediterraneo per la deposizione delle uova per il mare, sicuramente più caldo. Per come queste reti era-no sistemate, i tonni difficilmente potevano non entrarci. Come i tonni, entravano nell’isola, i tunnarotti (uomini della ciurma della Tonnara) per mezzo di un sistema di lenze che dalla barca Colannitu scendevano fino al fondo, riuscivano a sentire, con le mani, il passaggio dei toni e avvisavano  gli altri , che sostavano sulla barca Portanova, i quali, a loro volta avvisavano, in assoluto silenzio, il Rais (capo ciurma e responsabile assoluto di tutta la tonnara). Questo, al grido di: “leva, leva, levaaaa!!!”, allertava tutti gli uomini ed ognuno prendeva il proprio posto convenuto.Nel frattempo le lenza (naveji) venivano tese , impedendo la fuoriuscita dei tonni che erano convogliati verso la camera della morte. Dal silenzio assoluto i tunnaroti scoppiavano in grida di gioia e iniziano a cantare le “scialome” (canto della ciurma durante la mattanza) dopo essersi attrezzati con uncini, arpioni e ganci per uccidere i tonni e issarli sulle barche che poi li por-teranno a terra nella Loggia. Con il canto delle scialome l’uomo chiedeva scusa e perdono ai tonni per la loro morte , ma allo stesso tempo, li ringraziavano perché finalmente per quella giornata potevano avere una paga maggiore in base al pescato. Nel mare blu scuro, man mano che la rete inizia a salire dal fondo, s’intravedono dei lampi o saette di luce per la corsa sfrenata dei tonni che cercano una via di scampo: ma questa era una cosa impossibile, perché la ciurma armata fino a denti era pronta a iniziare la mattanza. Il mare diventava via via bianco e schiumoso e si vedono i tonni che guizzano da una parte all’altra per la foga di ossigenarsi o fuoriuscire dalle reti. I tonno venivano uncinati ripetutamente prima di essere issati a forza di braccia sulle barche, in una lotta impari, tra l’astuzia dell’uomo e la veemenza dei tonni che cercano una via di fuga. Il sangue che usciva dalle loro carni, sembrava che addirittura eccitasse gli uomini, i quali lavoravano con maggiore impegno. Il mare a quel punto cambiava colore e da bianco diventava rosso scarlatto per il sangue che usciva dalle ripetute ferite infierite ai tonni. In questa lotta furibonda, a volte succedeva che anche qualche tunnarotto andava a finire in ospedale per qualche colpo di coda maldestra tirata da qualche tonno. Finita la mattanza i tonni venivano portati nella “Loggia”. Leonardo Procopio

Direttore museo del mare Vibo Valentia

Fuori Porta43

La mattanzala tradizione

I legumi hanno avuto sempre enorme impor-tanza nella storia dell’alimentazione e della sopravvivenza dell’uomo,al quale hanno più di una volta permesso di superare lunghi periodi di carestia. Gli Egiziani le ritenevano cibo impuro e le davano agli schiavi,mentre i Romani li apprezzavano moltissimo:così la

tradizione gastronomica italiana vanta infinite ricette a base di legumi, sia freschi che secchi,provenienti dalle diverse culture contadine nazionali ma accomunate dal fatto che i legumi hanno rappresentato per secoli l’unica fonte alimentare altamente proteica accessibile alla stragrande maggioranza della popolazione,tanto da farli definire”la carne dei poveri”. Sintomaticamente gli ettari coltivati a legumi in Italia sono andati diminuendo con l’incremento del consumo di proteine animali,ma nel comp-lesso l’apprezzamento verso questi prodotti è ancora piuttosto alto,soprattutto nel Centro-Sud del nostro Paese.Questa pianta dalle foglie argentate e dai fiori bianco-azzurrini che tutti conosciamo,e che può purtroppo causare allergie anche gravi nei soggetti predisposti,teme le gelate e la siccità prolungata,ma anche i ristagni d’acqua:perciò può essere coltivata con successo in zone con inverni non troppo freddi ed in terreni calcarei e tendenti all’argilloso,ma non compatti ed asfittici. Come tutte le Leguminose apporta grandi quantità di azoto al terreno(60-70 kg/ha) e per questo viene seminata a fine autunno al Sud e all’inizio della primavera al Centro-Nord per farla seguire da una coltura di cereali. La semina avviene in piccole buchette nelle coltivazioni familiari,a righe in quelle di grande estensione,e richiede circa 200 kg di seme/ha,che è opportuno ammollare in acqua per favorire la germinazione. Questa avviene dopo una decina di giorni dalla semina, e appena la piantina avrà quattro foglie sarà bene procedere alla sarchiatura,operazione da ripetere poco prima della fioritura. Le avversità principali di questa pianta sono gli afidi,che attaccano gli apici vegetativi,ed il tonchio,che aggredisce i semi in maturazione danneggiandoli gravemente. La raccolta del prodotto fresco è scalare e può fornire 60/70 q/ha di prodotto,mentre la granella secca si raccoglie all’inizio dell’estate,con produzioni di 30/35 q/ha. Tra le varietà più note la medio-tardiva Aguadulce e la Histal, molto p r o d u t t i v a perché con un nume-ro mag-giore di semi per baccello.

PROPRIETA’ Dal punto di vista nutrizionale le fave fresche forniscono 41

kcal/100 grammi ed in percentuale contengono:Acqua 84-proteine 5,2-zuccheri 4,3 di cui amido 2,1-grassi 0,4;poi ,sempre per 100 grammi di prodottodibile,forniscono,in mg: Calcio 22-ferro 1,7-sodio 17-potassio 200-fosforo 93,nonché discrete dosi

di vitami- na A e C,B1 e B2. Le fave secche,con solo l’8-10% d’acqua,aumentano

ovviamente di molto tali contenuti. In par-

ticolare for-niscono 340

k c a l / 1 0 0 grammi di prodotto edibile al 22,9% di

proteine.

Fuori Porta44

La favafresco di stagione

Purè di fave e cicoriaPer 4 persone occorre ½ kg di fave secche sgusciate(fava bianca),1 kg di cicoria di campo o coltivata,olio d’oliva,sale.Si mettono a mollo le fave in acqua fredda per qualche ora,poi si scolano e si fanno cuocere a fuoco basso,con la pentola semicoperta dal coperchio, in acqua sala-ta che le copra bene, per circa 50’. A questo punto si scolano,si schiacciano con una forchetta e si fa bollire il purè così ottenuto ancora per qualche minuto ag-giungendo un po’d’acqua. Dopo aver lessato a parte la verdura si servono le fave separatamente o già mesco-late alla verdura stessa,dopo aver condito entrambe con l’olio d’oliva.

Siamo al Beattino, un locale “boutique”, con zona degustazione antistante il banco-bar e sala ristorante con trenta posti a sedere.Buona parte dell’arredamento, ci dice Paolo, è stato ricavato da mobili in legno provenienti dalla sagrestia di una chiesa inglese scon-sacrata, adattati sul posto per l’uso attuale, per esempio il bancone, il retro banco, le panche e lo specchio dell’ingresso. Il pavimento è quasi un’opera d’arte, con le sue mattonelle locali di inizio Novecento. L’invidiabile posizione su piazza Duomo ne fa l’unico locale “con vista” di Cosenza vecchia. Uno spettacolo. Oltre alla cucina dello chef Antonello, continua Paolo, grande risalto abbiamo voluto dare alle birre. Trappiste, d’abbazia e artigianali provenienti dal Belgio. Queste, nel Beat prima e nel Beattino ora, siamo stati i primi a proporle in città e a indicarle quali sinonimo di qualità, ideali per una serata perfetta per gli amanti del buon bere. Ci avviciniamo ai fornelli di Antonello Santagata, meglio conosciuto come Totonno. 38 Anni, lavora da tempo nel Ristorante Beattino, cuore antico di Cosenza. Cuoco da sempre, licenza media, autodidatta che ha imparato «affiancando a lungo Maestri di Cucina», sottolinea. «Come tutti i calabresi- afferma Totonno- amo la nostra tradizione, ma mi piace pensarla in maniera più ampia. La cucina calabrese vuol dire anche “dieta mediterranea”. Da qui le pro-poste che facciamo al Beattino. Mi piace usare le orecchiette pugliesi, i paccheri di Gragnano, magari condirli con sughi della nostra tradizione. Mi piace guardare alle peculiarità produt-tive dell’intera area mediterranea. Insomma contaminare le gastronomie, anche innaffiandole con birre particolari, come le trappiste belghe». Gli proponiamo di parlare di stagionalità e territorio. «Penso che una gastronomia che adot-ta il criterio della stagionalità sia già di per sé un passo avanti. Il nostro menù cerca di essere aggiornato mese per mese. Al territorio guardo sempre con molta attenzione, ma senza sca-dere nel campanilismo. Constato che una serie di prodotti territoriali sono difficili da repe-rire. Alcuni addirittura introvabili. Penso ad alcuni formaggi, a molte specie vegetali ormai estinte, a certe conserve, ma anche a razze animali sparite dai nostri pascoli». Totonno studia, ricerca: «A purpetta è sicuramente oggetto della mia sperimentazione. Mi piace prepararne in tanti modi, dalla classica, fino a quella che sto provando adesso con le sarde. La polpetta non è una preparazione facile come spesso si pensa. Una buona purpetta si costruisce a partire della giusta mescolanza degli ingredienti. Bisogna azzeccare l’amalgama dell’impasto, lì sta il segreto. Bisogna armonizzare la giusta umidità con la giusta consistenza, per avere una polpetta croccante fuori e morbida dentro. Mi piacerebbe un giorno riuscire a friggere la polpetta perfetta».In conclusione la pietanza di stagione«Spaghetti, alici e finocchietto selvatico. Un classico che non smetto mai di servire in questo periodo dell’anno».

a cura della redazione

Fuori Porta46Nel mondo

di LuculloIntervista ad Antonello Santagata

Di Gennaro Convertini *Se dal Vinitaly di Verona 2011 ci si aspettava un giudizio sul livello di qualità raggiunto dai vini

calabresi, questo è arrivato, e pure molto positivo: appassionati, giornalisti, operatori, hanno tutti apprezzato e sottolineato una Calabria enologica ormai allineata agli standard qualitativi del resto d’Italia.E non mancano le punte d’eccellenza, puntualmente presenti ed evidenziate dai responsabili delle principali guide italiane, che sempre più attenzione stanno dedicando ai vini della nostra regione.Il mio personale commento sull’argomento, da calabrese che da sempre crede nei vini calabresi, si limita a sottolineare che era prevedibile, in quanto la Calabria, per il mix di posizione geogra-fica e conformazione orografica, è una delle regioni italiane più vocate alla viticoltura di qualità.

A questa vocazione naturale si è aggiunta, nell’ultimo decennio, una generazione di imprenditori innovativi e lungimiranti che producono dai loro vigneti prodotti superlativi.

Se è vero quindi che ormai la qualità c’è ed è piuttosto diffusa, una riflessione sul futuro va fatta sul tema tipicità, carattere, personalità dei vini, che ancora rappresentano una Calabria

troppo eterogenea, al limite dell’estemporaneità del singolo, frutto di scelte orientate al vitig-no piuttosto che al territorio, alla moda del mercato piuttosto che al miglioramento della tradizione.

Forse, su questo, produttori e istituzioni sono chiamati alla discussione, sono temi che necessitano di con-fronto per l’individuazione di una strategia di medio e lungo termine, che possa consolidare una Calabria di qualità ma diversa dalle altre realtà viticole.Gaglioppo, Magliocco, Greco nero, Calabrese, Mantonico, Pecorello, Malvasia, Greco bianco giocano ancora un ruolo troppo marginale rispetto alle invadenti, anche se ottime, produzioni da uvaggi internazionaliDeve venir fuori il carattere Calabria, pur presente nelle vigne ma, per ora, meno evidente nelle bottiglie.

* Presidente AIS (Associazine Italiana Sommelier) Calabria

Vinitalyèun’esposizionefieristicadedicataalladegustazionedeimigliorivinidelmondochesisvolgeaVeronaconcadenzaannualedal1967eche raccoglieancheoltre150.000visitatori.Vinitalyè l’ambasciatoredelvino italianonelmondoed ilVinitalyin theworldorganizzaunaseriediTour,ovverosiaeventineiprincipalimercatiinternazionali(dall’IndiaagliStatiUniti,dallaSveziaallaRussia,dallaCinaalGiapponeedallaKorea),per facilitare lo scambio e la comunicazione tra i produttori italiani ed iprotagonistidelsettoreenologico.

cos'è

Fuori Porta48

Vinitalyspeciale

La biodiversità legata agli ecosistemi naturali si riduce man mano che aumentano i fattori di pressione che peggiorano la qualità ambientale di questi ecosistemi. Poiché i sistemi agricoli non sono altro che ecosistemi modificati dall’uomo a scopo produttivo, anche in questo caso la biodiversità sub-isce delle variazioni; si parla infatti di agrobiodiversità e cioè diversità legata ai sistemi agricoli. Dal punto di vista agroalimentare l’Italia possiede una grande biodiversità, favorita dalla sua geomorfologia, dal clima e dal fatto che il nostro territorio ospita gli ambienti semidesertici del sud, fino a quelli nordici delle Alpi. Questi fattori, uniti agli interventi umani e alle onde migratorie che hanno lasciato la loro impronta, sono alla base del grande patrimonio di agrobiodiversità che ha dato origine alla nos-tra gastronomia, così ricca e diversa da regione a regione, ma spesso anche da città a città. Durante il processo evolutivo dell’agricoltura, l’uomo ha se-lezionato nel tempo innumerevoli varietà frutticole, cereali-cole, ortive, in base alle sue necessità, guardando all’aspetto produttivo, qualitativo, sanitario etc. Ciò è avvenuto anche per le razze animali, in cui si è cercato di allevare i soggetti migliori, più produttivi e più facilmente adattabili alle di-verse condizioni climatiche e di allevamento.

Da studi effettuati dal Ministero dell’Ambiente, risulta che in Italia sono spariti negli ultimi 25 anni ben 25 specie di suini, 21 di bovini, 19 di pecore, 4 di asini, 2 di cavalli. Contem-poraneamente vi sono specie che sono a rischio di estinzi-one come 54 bovine, 10 asinine, 38 suine, 69 di pecore, 35 di capre e 6 di galline. Per le specie vegetali le cose non vanno meglio, infatti se noi guardiamo i dipinti di nature morte del Bimbi (pittore del 1600 che operava a Firenze), possiamo ve-dere molte varietà di pere, mele, uva, pesche, susine, ciliege. Oggi invece troviamo in commercio praticamente soltanto tre gruppi di mela e per le pere la situazione non è migliore. Molto più allarmante è la situazione a livello mondiale, dove solo dieci specie vegetali danno origine al 90% della produz-ione agricola da cui ricaviamo nutrimento. Senza le vecchie varietà, le nuove non potrebbero riprod-ursi e non potrebbero sopravvivere, per cui probabilmente il futuro dell’agricoltura non dipenderà dagli ibridi o dagli ogm, ma dalle specie selvatiche e dagli agricoltori custodi. In Calabria, e soprattutto nella collina e montagna si pos-sono ancora trovare vecchie razze, varietà fruttifere e ortive ancora gelosamente custodite da agricoltori molto legati al territorio e alle tradizioni.Nel corso delle attività svolte da Slow Food Calabria sul ter-

Biodiversità

ritorio relativamente al monitoraggio degli agroecosistemi, sono stati raccolti dati relativi a molte razze e varietà autoc-tone, alcune sono ancora presenti molte altre varietà di frutti dimenticati, soprattutto nelle vicinanze delle case coloniche ormai abbandonate: oltre a pere e mele di cui non si conosce la varietà possiamo trovare anche ciliegi, susini, mandorli, fichi etc. Una ricerca dettagliata di questi frutti biodiversi sarebbe auspicabile, soprattutto finalizzata a un recupero del germoplasma, onde evitare il rischio di erosione genetica e riproporne la coltivazione, sia pure in aree limitate e per pro-duzioni ridotte, soprattutto nelle aziende biologiche.Dalla biodiversità rurale, cioè quella legata all’agricoltura, deriva la biodiversità gastronomica che nel nostro territorio è così importante ed apprezzata da tutti. Solo grazie a una elevata biodiversità fatta di prodotti agroalimentari stretta-mente legati al territorio è stato possibile nel tempo mettere a punto, da parte delle massaie calabresi , innumerevoli ricette dal sapore unico e vario da zona a zona e addirittura da paese a paese. Si ricorda che generalmente il cibo locale ha un gusto superi-ore in quanto deriva da prodotti coltivati vicino al luogo in cui sono consumati, quindi più freschi e maturi. Il cibo locale, soprattutto se acquistato direttamente dal col-tivatore, non è un cibo anonimo ma è legato all’area di pro-

duzione e viene spesso identificato con il produttore stesso; oggi si sta diffondendo la tendenza di costituire dei gruppi di acquisto solidali (GAS) che possono calmierare i prezzi e gar-antire il permanere di un’agricoltura locale. Anche attraverso la scelta del cibo noi consumatori possiamo incidere sulla salvaguardia del territorio, attraverso il man-tenimento dell’agricoltura locale che, soprattutto in collina e montagna, svolge un importante ruolo di presidio del territo-rio contro il dissesto idrogeologico e l’abbandono.Attraverso la scelta del cibo quotidiano, possiamo contribuire in modo determinante alla salvaguardia della biodiversità agraria: i prodotti agroalimentari che troviamo sul mercato sono il frutto della domanda dei consumatori e siccome molti non conoscono buona parte delle produzionitradizionali, ormai difficili da reperire, ovviamente non le richiedono (e nessun produttore coltiverà ciò che non rich-iede il mercato).Solo una buona conoscenza dei prodotti tradizionali può per-mettere al consumatore di richiederli sul mercato e solo così gli agricoltori riorienteranno le loro produzioni che non sa-ranno più a rischio di estinzione.

Silvio Greco responsabile nazionale Slow Food Ambiente

AzioneQuotidiana

Un numero sempre crescente di persone considera la scelta del cibo come una partecipazione al lavoro degli agricoltori che va remunerato per i servizi che rende e non per i beni che

immette sul mercatoCosa c´è di nuovo in quello che si chiama “neo-ecologia”? Forse la novità sta nella consapevolezza che quel che ci hanno insegnato, da bambini, a chiamare “rispetto dell´ambiente” è fatto di tante cose legate tra di loro. Oggi parliamo di sostenibi-lità, un concetto importante legato a un´idea antica, il tempo. Ovvero il “quanto a lungo può reggere”. È una bella parola con una bella origine: si riferisce a un pedale del pianoforte, detto in inglese “sustain”, quello che serve per allungare le note, far-le durare nel tempo. Non per niente i francesi traducono con “durabilité”, capacità di durata.La consapevolezza che quel che ci proponiamo di intrapren-dere, a livello di comportamenti privati o pubblici o impren-ditoriali deve poter durare nel tempo e a tanti livelli (socia-le, economico e ambientale) è uno degli elementi chiave dell´ambientalismo di oggi. Quello di quarant´anni fa diceva che l´Italia doveva puntare sul turismo e non sulla siderurgia. Ma poi non controllava la devastazione di territorio che deri-vava dall´interpretare il turismo come pura ricezione alber-ghiera. Rapinare le risorse naturali, farne profitto privato e non pensare al futuro. Oggi al futuro ci si pensa, perché nell´idea di sostenibilità c´è anche la consapevolezza che il futuro non è roba nostra, così come non lo sono le risorse naturali. Sono patrimoni condivisi, che tocca alle generazioni in vita preser-vare per quelle che verranno.Ma c´è di più. Per proteggere tutto quello di cui vogliamo go-dere e tramandare non c´è un solo livello di azione: servono

le grandi impostazioni dei governi e le leggi. Ma servono, allo stesso modo, i gesti quotidiani e le scelte individuali, i quali non sempre danno la precedenza al guadagnare tempo e risparmia-

re denaro. Un crescente numero di cittadini, infatti, con-sidera il tempo speso nella scelta del cibo, come tempo investito nella cura della propria salute e dell´ambiente, e i soldi utilizzati per acquistarlo come una partecipazione a un mestiere, quello dell´agricoltore, che va remunerato per i molti servizi che rende alla società e non solo per i prodotti che immette sul mercato. Come, ad esempio, il

modello dei Gas, i gruppi di acquisto solidale.Certo, c´è un lato meno luminoso, dove la parola “neo-ecol-gismo” suona come un rimprovero verso la politica “ufficiale”. Proprio loro, che dovrebbero guardare lontano, pianificare e proteggere, sono i primi a non vedere le connessioni che risul-tano chiare a un numero crescente di famiglie. Perché il livello degli individui è uno dei tanti, e oggi è certamente il più attivo. Mentre il livello della politica, in particolare nel nostro paese, è quello più svagato, più assente. Ecco perché oltre ai movimenti per promuovere saggi comportamenti quotidiani si affiancano quelli contro il nucleare, il consumo del territorio, o la priva-tizzazione dell´acqua. Non siamo più nell´ambito privato: il movimento arriva dove la politica e le istituzioni chiaramente falliscono. Si tratta di inediti protagonisti, quasi sempre gio-vani, volti nuovi e sensibili al bene comune. Sarebbe auspica-bile che il palcoscenico dei media guardasse a queste persone, specie in occasione dei prossimi referendum. Sono preparati, parlano linguaggi accessibili e non sono inclini alle insoppor-tabili risse televisive di una casta che ormai bivacca nelle no-stre televisioni.È un ruolo importante quello assunto, in tanti modi e in tan-te forme, dai neo-ecologisti: crescere come individui e come società e al contempo cercare di limitare i danni creati da una politica inadeguata al momento e agli obiettivi.

Di Carlo Petrini  Presidente nazionale Slow Food Italia

Fuori Porta53

Ambientato negli anni '50, il low budget "Big Night" racconta dei fratelli Primo (Tony Shal-houb) e Secondo (Tucci), italiani abruzzesi emigrati nel New Jersey per tentare la fortuna aprendo un ristorante di cucina tipica italiana. Primo, il cuoco, è un vero e proprio artista dei fornelli che non sacrificherebbe mai la propria arte: e da qui nascono i problemi. "Paese che vai, gente che trovi", i possibili percorsi sono due (difficile il primo, improbabile il secondo): o ti adegui, o speri che gli altri si adeguino a te. Incapace di comprendere che la cucina è un aspetto della cultura di un popolo, e che la capacità di apprezzare la Buona Cucina è frutto di tradizione e di un processo educativo, Primo non può pensare di ade-guarsi, né di tentare di educare la propria clientela... (e quest'ultima non ci pensa proprio ad adeguarsi al cuoco). Non resta che l'incomprensione, se non lo scontro; e la delusione e la demotivazione nello chef. Secondo, al contrario, rappresenta la parte imprenditoriale della coppia; è deciso a raggiungere l'obiettivo prefisso, e piuttosto di risultare sconfitto prende in considerazione anche i compromessi. Il boss della comunità italo-americana

gli offre una chance: invita il famoso cantante Louis Prima a cena nel loro locale; sarà una grande serata che potrà lanciare il ristorante...

E' l'ultima occasione; oppure si chiude bottega. Primo e Secondo rappresentano due tipologie di immigrati: quello che rimane ancorato a ciò che ha lasciato, e trova difficoltà ad inserirsi in una società differente da quella d'origine; e quello determinato ad arrivare, a raggiungere passo dopo passo la meta per cui ha abbandonato le poche certezze, fedele al sogno di una terra promessa, patria delle grandi occasioni... Entrambi, tuttavia, ingenui e fondamentalmente onesti, non disposti a prendere scorciatoie; ed era infatti questa la volontà di Stanley Tucci, evitare i luoghi comuni sugli immigrati italiani e sulla loro inevitabile promiscuità con realtà mafiose. In "Big Night" gangsters, boss, loschi maneggioni, mafiosi sono relegati sullo sfondo, mentre in primo piano sono i due fratelli: è il loro rapporto che interessa i registi, le loro nature opposte e comunque complementari; il loro equilibrio sempre in bilico, incerto, eppure sempre miracolosamente, silenziosamente, re-instaurabile; la loro fondamentale incapacità di scontrarsi in maniera definitiva... Tucci e Campbell scelgono un taglio essenziale per quanto riguarda le sequenze ambientate nella cucina: l'immobilità della macchina da presa quasi concretizza il rispettoso sguardo del profano davanti alla disinvoltura con cui i due fratelli maneggiano pentole, affettano verdure, innaffiano di vino, saltano frittate...: un'immobilità ostentata che sottolinea il carattere rituale che ammanta ogni gesto. La cucina è un luogo sacro per i due fratelli: il silenzio regna incontrastato; chi vi si affaccia (gli invitati) ammutolisce; le beghe ed i litigi si svolgono rigorosamente al di fuori di quello spazio; il mattino seguente la "grande serata" la cucina sarà il luogo di riconciliazione di Primo e Secondo, in una splendida sequenza di chiusura praticamente muta.... Al di fuori del "tempio del timballo", la macchina da presa recupera scioltezza e mobilità, muovendosi in sintonia con la musica che continuamente accompagna le immagini. Il segmento clou è, come prevedibile, sia a livello narrativo che formale, quello della "big night" che si rivela presto una sorta di "As-pettando Godot" a sfondo enogastronomico: la micro-comunità italo-americana riunita in un banchetto luculliano in cui l'Arte di Primo sarà unanimamente riconosciuta ed apprezzata da chi di cibo se ne intende, e simbolicamente conquisterà anche gli americani nelle persone di un giornalista e delle compagne dei due fratelli. Nel complesso un lavoro pienamente riuscito, divertente ed amaro al contempo, gustoso (letteralmente), ben scritto - recitato - girato.

Recensione tratta da Neardark

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spaghetti di celluloide BIGNIGHT

  Quel colore Rossiccio del gelato alla fragola si chiama Rosso Coc-ciniglia ed è estratto dagli insetti appartenenti alla famiglia delle Dac-tylopius coccus.Anche nel succo di frutta all’arancia Rossa c’è il colorante rosso coc-ciniglia.....se non mettono quel colorante Rosso....il succo di aran-cia Rossa acquisterebbe il colore marrone perché il pigmento rosso dell’arancia si combina con l’ossigeno diventando marroncino

  

La transglutaminasi è un enzima ottenuto grazie a biotecnologie, permette infatti di unire insieme le proteine contenute in pezzi di-versi di carne. Ma se lo si desidera di può applicare anche a tipi di-versi di pesce. Si usa in polvere o in forma liquida e dopo aver fatto incubare con i pezzi di carne, si può dare forme diverse ai preparati. C’è chi afferma che i chicken nuggests siano fatti con questo enzi-ma come il surimi. Il marchio è Activa della giapponese Ajinomoto Food Ingredients LLC.

  Non è ancora prodotta su larga scala (per fortuna) ma la carne può essere ottenuta da cellule muscolari di diversi animali (bovini, ovini, suini ecc). Avvenuta la proliferazione, le cellule vengono fatte ade-rire a dei substrati adeguati e nutrite con soluzioni apposite (mezzi di coltura) ricche di sostanze nutritive. Si ricava carne priva di ossa, tendini e altre parti che abitualmente sono prodotti di scarto dei mat-tatoi. rossa in carne bianca? parti che poi possono essere riassemblate insieme in un prodotto dalle caratteristiche nuove.

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bollito mistoMUTAZIONI GASTRONOMICHE

L’associazione Kinder Country Club organizza la prima edizione della Manifestazione Bimbo in fabula estate che si svolgerà tra sa-bato 11 e domenica 12 giugno. Due giorni dedicati ai bambini con feste e programmi di intrattenimento per tutta la famiglia. Una manifestazione all’insegna della vitalità, dei giochi e della socia-lizzazione fra i giovani ma anche della cultura, dello sport e della natura. Durante tutta la festa saranno proposti spettacoli per pic-coli ma che entusiasmeranno anche i grandi e ancora, intratteni-mento, ritrovi musicali, cultura e svago. Saranno attivi gruppi di animatori a cura della cooperativa “pagliassi”: truccatori ,clown itineranti, personaggi in costume e intrattenimenti espressamente riservati ai bambini, con tantissimo spazio libero a disposizione.Saranno presenti “i peperoncini” del Centro Equestre rendese con straordinari spettacoli equestri, la Scuola di danza ADAC/Teatro della Ginestra, “i ragazzi della voce produzione di Cecilia Cesario in concerto”, “Piccolo Coro del teatro A. Rendano e l’Orchestra Piccola Philharmonia” e tanto, tanto altro. Durante la manifesta-zione la mascotte ufficiale del Parco Nazionale della Sila “Silotto de Silva” presenterà il volume per bambini “ la valle della musica incatata”, ispirata a Silotto e alla “compagnia del bosco”. Verranno inoltre proposti gli indimenticabili giochi della tradizione, giochi senza tempo, che sono stati tramandati da generazione in gene-razione; giochi che sono ancora capaci di stupire e di divertire i bambini di ogni età. Saranno proposte attività laboratotiali come il laboratorio di pittura, di ceramica, di bricolage dove i bambini saranno i veri protagonisti. Inoltre i bimbi potranno cimentarsi in attività sportive, seguiti da istruttori delle singole federazioni. Il tutto condito con le specialità di stands gastronomici. Si potranno ritrovare i sapori originali, gustando piatti tradizionali o lascian-

dosi tentare dalle proposte dell’angolo dei sapori. A rendere la pri-ma edizione della Festa di primavera di grande impatto e diverti-mento sarà anche l’ubicazione: tutta la manifestazione si svolgerà in un contesto naturalistico di particolare bellezza. Un ‘immersio-ne totale nel verde a pochi chilometri dal centro cittadino, ospitati dall’Azienda Agrituristica “Chianu e Piru” sita in Dipignano (CS)Kinder Country Club è un’associazione, principalmente orienta-ta al mondo giovanile che ha come scopo quello di favorire lo sviluppo di attività artistiche, culturali, sportive e naturalistiche. Nasce nel 2011 per volontà di un gruppo di professionisti, che operano da anni nei settori sopra citati, nella ferma convinzione che la formazione delle nuove generazioni non possa prescindere dalla conoscenza delle risorse artistiche, culturali e naturali di un territorio così ricco di peculiarità. Inoltre pone particolare atten-zione agli aspetti multi etnici che caratterizzano il nostro tempo, promuovendo e organizzando a vari livelli interscambi culturali tra popoli. Forte della professionalità e delle competenze dei suoi soci, l’Associazione realizza anche campi estivi e attività finalizzate all’aggregazione extra-scolastica di bambini e ragazzi.

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Associazione Kinder Country ClubC/da Piano di pero s.n.c. 87045 Dipignano

(Cosenza)Tel. 0984.621572 - 335.8376589

334.3001543 - 340.6330237 - 347.1803994

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In questa rubrica dal nome un po’curioso (di cui approfit-tiamo per ricordare a tutti di munirsi di…borse e panieri andando a fare la spesa,così da ridurre ulteriormente l’uso dei sacchetti in plastica,pur se biodegradabili!)vogliamo ri-portare ogni mese le”quotazioni”dei prodotti ortofrutticoli di maggior consumo rilevate a Cosenza presso un “Farmer Market”,i cui prodotti provengono direttamente dalle aziende agricole della provincia,ed un supermercato della “grande distribuzione”,nel quale invece la gran parte della merce fres-ca proviene dalle piattaforme nazionali di smistamento.Potremo così confrontare i prezzi di uno stesso prodotto nell’arco di tempo e rispetto al tipo di distribuzione, riflet-tendo sulle conseguenze non soltanto economiche derivanti dal consumo dei vari prodotti,una volta che ne conosceremo provenienza,prezzo e modalità di commercializzazione…e le sorprese non mancheranno!Per questo primo mese non potremo ovviamente fare dei confronti con i prezzi precedenti.Dal prossimo numero inizieremo a raccogliere l’intera serie dei prezzi dei vari prodotti e ne ricaveremo un grafico che ci indicherà l’andamento “di borsa”nel nostro”paniere”!...

 

rubriche.fuoriporta

Proseguiamoilnostroviaggioallascopertadei tesorienogastronomicidelnuovoitinerario.Luglioèilmesededicatoalmare.ViaggeremosulTirrenodaltrattochevadaAmanteafinoaTortora.Parleremodispiagge,soleedell’anticacu-cinamarinadeitantiborghipresentisuquestobellissimotrattodimare.

prossimo.numero

itinerari enogastronomici Fuori Porta

Giugno 2011 N°0In attesa di registrazione presso il Tribunale di Cosenza

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RedazioneMichele Santagata & Francesco Saccomanno

Segretaria di RedazioneKatia Santagata

Hanno collaborato Francesca Cardillo & Dario Guarasci & MariaGrazia Costanzo Progetto GraficoFelice Adriani & Stefano Burza Art Director Sergio Tranchino - BitmindPubblicità[email protected]

FotoL’associazione I Giardini del Duglia ringrazia coloro che hanno fornito leimmagini. E si scusa con quanti, autori delle foto, non è riuscita acontattare. È possibile rivolgersi alla redazione per eventualiprecisazioni.