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ISSN 2283-5873 SR Scienze e Ricerche MENSILE - N. 8 - GIUGNO 2015 8. 8. SR Scienze e Ricerche MENSILE - N. 8 - GIUGNO 2015 ISSN 2283-5873

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ISSN 2283-5873

SRScienze e RicercheMENSILE - N. 8 - GIUGNO 2015

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Il tema del land grabbing – l’accaparra-mento indiscriminato di ampie superfici di terra da parte di compagnie private o di Stati stranieri nei paesi del Sud del mondo per soddisfare i propri bisogni alimentari ed energetici – ha conosciuto negli ultimi anni un esteso dibattito tan-to in ambienti accademici quanto nella discussione pubblica. Questo testo colloca tale discussione entro un orizzonte problematico ampio, che comprende le contese e competizio-ni attorno alla proprietà e all’uso della terra, i sistemi di produzione del cibo e la sicurezza alimentare, la salvaguardia ambientale, le identità, i valori e le cultu-re dei territori. Il testo, oltre a presentare in forma agi-le e succinta il fenomeno dell’accapar-ramento di suolo nella sua estensione quantitativa, sotto il profilo giuridico, economico e nei suoi legami con la produzione di cibo, propone un’ampia varietà di casi di studio che ci conduco-no dal Brasile alla Tailandia ai contesti africani ed europei e che abbracciano tanto l’epoca coloniale quanto il perio-do postcoloniale.

Collana: I colori del mondoEdizione: 2015Pagine: 288Formato: 14x21 cm, brossuraIsbn: 9788895458823

a cura di Cristiana Fiamingo, Luca Ciabarri, Mauro Van Aken

I conflitti per la terraTra accaparramento, consumo e accesso indisciplinato

Cristiana Fiamingo è ricercatore presso la facoltà di Scienze Politiche Economiche e Sociali dell’Università degli studi di Milano, dove insegna Storia e istituzioni dell’Africa e History and Politics of Sub-Saharan Africa.

Luca Ciabarri è ricercatore in Antropologia Culturale presso l’Università degli Studi di Milano.

Mauro Van Aken è ricercatore in Antropologia Culturale presso l’Università di Milano-Bicocca, dove insegna antro-pologia culturale e antropologia economia e sviluppo.

Edizioni Altravista | via D. Alighieri 15 - 27053 Lungavilla (PV)

tel. 0383 36 48 59 - fax 0383 37 79 26 - www.edizionialtravista.com - [email protected]

www.edizionialtravista.comSCOPRI IL LIBRO SUL SITO

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8. Sommario

COPERTINALUCIANO CELIL’informatica, il web e la guerra pag. 5

GAETANO OLIVAIl ruolo dei militari nella crisi di un regime. Cile 1970-1973 pag. 7FRANCESCO MANFREDI E MICHELE SAVIANOResponsabilità e scelte morali: elementi per una bioetica valdese pag. 38ALESSIO RUSSOLe avventure del dottor G nei labirinti della mente pag. 50STEFANIA SANTAMARIASport: dai valori al doping pag. 53ROBERTO TOSCANORicerca scientifica e documentazione online: Mars-500 Project pag. 59ANTONIO TRINCONELe avventure chimiche di Sherlock Holmes pag. 67

COMUNICAZIONIL’edizione 2015 del Premio Nazionale di DivulgazioneScientifica bandito dall’Associazione Italiana del Libro pag. 72

RICERCHESERGIO FERROUn approccio di disinfezione aspecifico che mima il sistemaimmunitario dei vertebrati pag. 73CESARIO BELLANTUONOAntidepressivi in gravidanza e rischio di malformazioni: qualievidenze dalla ricerca clinica? pag. 77ANDREA CANDELAEthical Implications and Theories of Discount Rate in Climate Change Issues pag. 80MAURO GIARDIELLOL’adolescenza come generazione nell’epoca dell’individualizzazione:appartenenza e nuove identità pag. 85

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ISSN 2283-5873 Scienze e Ricerchen. 8, giugno 2015

Coordinamento• Scienze matematiche, fisiche e naturali:

Vincenzo Brandolini, Claudio Cassardo, Alberto Facchini, Savino Longo, Paola Magnaghi-Delfino, Giuseppe Morello, Annamaria Muoio, Andrea Natali, Marcello Pelillo, Marco Rigoli, Carmela Saturnino, Roberto Scan-done, Franco Taggi, Benedetto Tirozzi, Pietro Ursino

• Scienze biologiche e della salute: Riccardo N. Barbagallo, Cesario Bellantuono, Antonio Brunetti, Davide Festi, Maurizio Giuliani, Caterina La Porta, Alessandra Mazzeo, Antonio Miceli, Letizia Polito, Marco Zaffanello, Nicola Zambrano

• Scienze dell’ingegneria e dell’architettura: Orazio Carpenzano, Federico Cheli, Massimo Guarnieri, Giuliana Guaz-zaroni, Giovanna La Fianza, Angela Giovanna Leuzzi, Luciano Mescia, Maria Ines Pascariello, Vincenzo Sapienza, Maria Grazia Turco, Silvano Vergura

• Scienze dell’uomo, filosofiche, storiche e letterarie: Enrico Acquaro, Angelo Ariemma, Carlo Beltrame, Marta Bertolaso, Ser-gio Bonetti, Emanuele Ferrari, Antonio Lucio Giannone, Domenico Ien-na, Rosa Lombardi, Gianna Marrone, Stefania Giulia Mazzone, Antonella Nuzzaci, Claudio Palumbo, Francesco Randazzo, Luca Refrigeri, Franco Riva, Mariagrazia Russo, Domenico Russo, Domenico Tafuri, Alessandro Teatini, Patrizia Torricelli, Agnese Visconti

• Scienze giuridiche, economiche e sociali: Giovanni Borriello, Marco Cilento, Luigi Colaianni, Riccardo Gallo, Ago-stina Latino, Elisa Pintus, Erica Varese, Alberto Virgilio, Maria Rosaria Viviano

Abbonamenti in formato elettronico (pdf HD a colori):• annuale (12 numeri + supplementi e numeri monografici): 42,00 euro

(per sconti e tariffe particolari si rinvia alle informazioni contenute nel sito)

Supplemento per ricevere anche la rivista in versione cartacea (HD coper-tina a colori, interno in b/n):• 12 numeri: 96,00 euro • 6 numeri: 49,00 euro Una copia in formato elettronico: 11,00 euroUna copia in formato cartaceo: 13,00 euro

Il versamento può essere effettuato:• con carta di credito, utilizzando il servizio PayPal accessibile dal sito:

www.scienze-ricerche.it• versamento sul conto corrente postale n. 1024651307 intestato a Scienze

e Ricerche, Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 Roma• bonifico sul conto corrente postale n. 1024651307 intestato a Scienze e

Ricerche, Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 Roma IBAN: IT 97 W 07601 03200 001024651307

Gli articoli pubblicati su Scienze e Ricerche sono disponibili anche onli-ne sul sito www.scienze-ricerche.it, in modalità open access, cioè a li-bera lettura, a meno che l’autore non ritenga di inibire tale possibilità.

La rivista ospita essenzialmente due tipologie di contributi:• interventi, analisi, recensioni, comunicazioni e articoli di divulgazione

scientifica (solitamente in italiano).• ricerche e articoli scientifici (in italiano, in inglese o in altre lingue).

Gli articoli scientifici seguono le regole della peer review.

La direzione editoriale non è obbligata a motivare l’eventuale rifiuto op-posto alla pubblicazione di articoli, ricerche, contributi o interventi.

Non è previsto l’invio di copie omaggio agli autori.

Scienze e Ricerche è anche una pubblicazione peer reviewed. Le ricer-che e gli articoli scientifici inviati per la pubblicazione sono sottoposti a una procedura di revisione paritaria che prevede il giudizio in forma anonima di almeno due “blind referees”. I referees non conoscono l’identità dell’autore e l’autore non conosce l’identità dei colleghi chiamati a giudicare il suo contributo.

Gli articoli scientifici inviati per la pubblicazione vengono resi anonimi, protetti e linkati in un’apposita sezione del sito. Ciascuno dei referees chiamati a valutarli potrà accedervi esclusivamente mediante pass-word, fornendo alla direzione il suo parere e suggerendo eventuali modifiche o integrazioni. Il raccordo con gli autori sarà garantito dalla redazione.

Il parere dei referees non è vincolante per la direzione editoriale, cui spetta da ultimo - in raccordo con il coordinamento e il comitato scientifico - ogni decisione in caso di divergenza di opinioni tra i vari referees.

L’elenco dei referees impegnati nella valutazione degli articoli scientifi-ci viene pubblicato con cadenza annuale.

Chiunque può richiedere di far parte del collegio dei referees di Scienze e Ricerche allegando alla richiesta il proprio curriculum, comprensivo della data di nascita, e l’indicazione del settore scientifico-disciplina-re di propria particolare competenza.

Scienze e RicercheSede legale: Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 RomaRegistrazione presso il Tribunale di Roma n. 19/2015 del 2/2/2015Gestione editoriale: Agra Editrice Srl, RomaTipografia: Andersen Spa, BocaDirettore responsabile: Giancarlo Dosi

[email protected]

N. 8 - GIUGNO 2015

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SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015 | COPERTINA

L’informatica, il web e la guerra LUCIANO CELI

Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per i Processi Chimico-Fisici, Pisa

digmatica storia di Alan Turing, il matematico che inven-tò una macchina – un vero e proprio calcolatore chiamato “The Bomb” dalla potenza di un “pentium 5”, grande però quasi quanto una stanza – necessaria a decrittare i messag-gi di guerra nazisti cifrati mediante “Enigma”, una macchi-na che diede gran filo da torcere al gruppetto che si costituì a Bletchley Park proprio intorno ad Alan Turing. Le onde radio con le quali i sottomarini nazisti comunicavano sono diventate mutatis mutandis i pacchetti di zero e uno che pas-sano dai router di tutto il mondo.

Ma facciamo un passo indietro: Arpanet viene progettata per essere resistente agli attacchi esterni e, nel peggiore dei casi, nucleari. L’idea è che se un nodo di questa rete fosse stato fisicamente distrutto, i dati si sarebbero dovuti instrada-re su altri nodi, magari più lontani, per giungere comunque a destinazione. Questa caratteristica, chiamata resilienza, è stata ereditata in pieno dall’attuale internet.

Ma perché allora si temono gli attacchi sul web? La que-

1. LE ORIGINI

Leggere la storia che ha portato alla nascita del web per come la conosciamo oggi – una rete globale che collega (potenzialmente) tutto il mondo – è quasi come leggere la pagina di una moderna mitologia. Il progetto nasce

in ambito militare su impulso del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti nel 1969 e il suo nome originario, Arpanet, già conteneva il suffisso “-net” che, rubato il fuoco agli dei militari per portarlo ai comuni mortali, sarebbe rimasto come il seme – “net” sta per “network”, rete appunto – del più im-ponente progetto collaborativo dell’umanità: internet.

Un progetto militare diventa quindi civile e pacifico, di co-operazione e collaborazione, anche se è chiaro che le guerre di oggi e quelle future si combatteranno anche attraverso la rete. Anzi: l’esito stesso della Seconda Guerra Mondiale già prefigurava uno scenario del genere: a suggerirlo è la para-

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COPERTINA | SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015

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gli Stati Uniti, temendo la politica estera iraniana e la capa-cità di dotarsi di armamenti nucleari da parte di quel gover-no, nell’ambito dell’operazione “Giochi Olimpici” iniziata da Bush nel 2006, pianificò un’ondata di “attacchi digitali” contro l’Iran. In particolare l’attacco venne condotto in col-laborazione col governo Israeliano alla centrale nucleare di Natanz.

Scopo dell’attacco era sabotare la centrifuga della centra-le, responsabile della produzione di acqua pesante, tramite l’esecuzione di specifici comandi da inviarsi all’hardware di controllo della centrifuga stessa, responsabile della velocità di rotazione delle turbine. L’hardware era prodotto dalla te-desca Siemens e per i paesi occidentali non fu difficile venire a conoscenza delle caratteristiche della macchina e delle sue vulnerabilità software.

Come si è arrivati a conoscere questa storia? Il problema è stato un errore di programmazione nel virus stesso che ne ha permesso la propagazione alle aziende fornitrici e partner del programma atomico iraniano: il fatto che fosse così “selettivo” lo ha reso identificabile dai servizi di intelligence dei paesi d’origine delle aziende colpite dal virus, rendendo il caso di pubblico dominio e creando un incidente diploma-tico.

Ma in tempi più recenti il binomio web e guerra è tornato alla ribalta in altro modo: l’utilizzo per la propaganda e la promozione di un conflitto. Il caso, sotto gli occhi di tutti, è quello dello “Stato Islamico”. Uno scenario che sembrava fantascienza e invece è realtà.

stione è in qualche modo storica: la rete è passata da un uso miliare a un uso civile che però in un primo momento è stato sostanzialmente scientifico-accademico e quindi con le stes-se caratteristiche di concepimento iniziali: quelle di una rete chiusa. Temere attacchi “esterni” quindi era comprensibile e lecito, tanto che inizialmente la rete non ha sviluppato proto-colli di sicurezza interni come l’autenticazione e verifica del-le utenze: i problemi si sono quindi avuti con il boom di in-ternet per come lo conosciamo oggi e per come si svilupperà in futuro. È difficile immaginare oggi un attacco “esterno”: la rete comprende e pervade quasi tutto ormai. Con l’introdu-zione dell’internet protocol versione 6 (IPv6) l’idea è quella di fornire un indirizzo IP non solo a tutti i nostri disposi-tivi portatili “classici” (pc, tablet, telefoni cellulari), ma di estenderli in primo luogo ai dispositivi di casa (lavatrici, tv, frigorifero, lavastoviglie) integrando in un solo colpo quella che fino a questo momento era stata una disciplina secon-daria o comunque poco nota: la domotica. E, in definitiva, allargando ancora il concetto, immaginare una rete “internet delle cose”, dove dispositivi disomogenei “parlino” in effetti tra loro.

2. L’INFORMATICA E LA GUERRA: QUALCHE

(MALDESTRO) 007 E IL CASO STUXNET

Il caso, già noto agli addetti ai lavori, salì agli onori delle cronache per essere letteralmente sfuggito di mano ai pro-grammatori informatici. Partiamo dall’inizio: il governo de-

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SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015 | STORIA

città e delle campagne.Il trionfo popolare aprirà così la via al regime politico più democratico della storia del paese.In materia di struttura politica il governo popolare ha il duplice com-pito di:- preservare e rendere più effettivi i diritti democratici e le conquiste dei lavoratori;- trasformare le attuali istituzioni per fondare un nuovo Stato in cui i lavoratori e il popolo abbiano l’esercizio reale del potere.1

Le forze popolari avevano come scopo della loro politica quello di rimpiazzare la struttura economica esistente, met-tendo fine al potere del capitale monopolistico nazionale e straniero per avviare la costruzione del socialismo in Cile.

Dopo laboriose trattative per la scelta di un candidato pre-sidente comune, la coalizione di UP il 22 gennaio 1970 scel-se il nome di Salvador Allende già candidato per il partito socialista nelle elezioni del 1958 e del 1964.

Le lezioni del 4 settembre 1970, che si svolsero dopo una campagna elettorale particolarmente accesa, decretarono la vittoria di stretta misura di Unidad Popular e del suo candi-dato Salvator Allende. Un fatto nuovo e per molti versi unico nella storia politica, non solo del Cile. Per la prima volta, infatti, un presidente espressione di una coalizione di forze di sinistra, era stato portato al potere da una vittoria eletto-rale ottenuta sulla base di un programma di radicali riforme strutturali. Ma secondo la Costituzione cilena del 1925, non avendo nessun candidato ottenuto la maggioranza assoluta dei voti, spettava al Congresso scegliere, entro 50 giorni, fra i due candidati che avevano ottenuto il maggior numero di consensi.2

La borghesia cilena e una parte della DC con a capo il pre-sidente uscente Frei erano state colte di sorpresa dalla vitto-ria di Allende e reagirono con estrema durezza e aggressivi-

1 Programma di Unità Popolare in AA.VV., Il Cile. Saggi, documenti, interviste, Roma, Editrice «Il Manifesto», 1973, p. 244.2 Nel Congresso le forze politiche erano così ripartite: DC 75 fra deputati e senatori, UP 80, Destra 45.

Il ruolo dei militari nella crisi di un regime. Cile 1970-1973 GAETANO OLIVAUniversità Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Istituto Universitario “Carolina Albasio” di Castellanza (VA)

PREMESSA

Questo lavoro intende analizzare come e perché le Forze Armate cilene, “costituzionaliste” e tradi-zionalmente apolitiche, assunsero il potere nel

1973.Inoltre vuole spiegare il ruolo tradizionale avuto dalle

Forze Armate cilene, secondo la Costituzione del 1925 e il relativo ordinamento giuridico, e le relazioni delle Forze Ar-mate col potere civile, rilevando la loro apparente apoliticità e mettendo in risalto le norme legislative che regolano tali relazioni.

Il 9 ottobre 1969 i rappresentanti dei partiti comunista, so-cialista, radicale, del MAPU (Movimento d’azione popolare unitaria – l’ala cosiddetta “rebelde” della DC), del piccolo Partito socialdemocratico e di un raggruppamento d’in-dipendenti di sinistra (API), si incontrarono nella sede del Partito socialista e crearono un comitato di coordinamento incaricato di elaborare un programma e di trovare un accor-do per la presentazione di un candidato comune alle elezioni presidenziali del 1970. Qualche mese dopo, il 17 dicembre 1969 fu comunicato il programma con cui la coalizione del-le sinistre (UP – Unidad Popular) intendeva presentarsi allo scontro elettorale. Il manifesto politico di UP si apriva con la seguente dichiarazione:

Il programma di Unità Popolare

Il potere popolare. — I cambiamenti rivoluzionari di cui il paese ha bisogno potranno essere realizzati soltanto se il popolo cileno prende-rà il potere e lo eserciterà effettivamente.Il popolo cileno ha conquistato, attraverso un lungo processo di lotte, determinate libertà e garanzie democratiche la cui difesa richiede una costante vigilanza e lotta. Ma non ha conquistato il potere.Le forze popolari e rivoluzionarie non si sono unite per lottare per la semplice sostituzione di un presidente della repubblica con un al-tro, né per rimpiazzare al governo un partito con un altro, bensì per realizzare i cambiamenti di fondo che la situazione nazionale esige contando sul trapasso del potere dagli antichi gruppi dominanti ai la-voratori, ai contadini e ai settori progressisti delle classi medie delle

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STORIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015

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nale ed esse diventano “i protettori armati” della nazione.

Su misión durante la paz es contribuir al progreso general y a la instrucción de las clases menos preparadas, a la vez que ga-rantir el funcionamiento de las institucio-nes y el respeto a las leyes siendo en caso de guerra el mejor exponente de la virili-dad del país y el firme baluarte en que ha de estrellarse la ambición y la audacia de los que pretenden desconocer sus derechos u hollar su libertad.5

I concetti di “difesa del territo-rio” e di “protettori armati della na-zione” sono equivoci. Il territorio nazionale, senza i relativi abitanti, è una specie di recipiente vuoto e può non avere un rilevante valore umano. A sua volta il concetto di “nazione” può essere un’astrazio-ne, se si prescinde dal popolo che le dà concretezza e valore; e in questo modo le parole “protettori

armati della nazione” possono essere una frase vuota.Di fatto nelle nazioni democratiche la difesa del territorio

nazionale coincide con la difesa degli interessi, soprattutto economici, delle classi dominanti.

A tale proposito si è voluto osservare le origini e l’evolu-zione delle Forze Armate cilene e delle loro istituzioni e in particolar modo la loro ideologia, trattando inoltre i problemi di difesa nazionale del Cile e l’uso delle risorse.

El desarrollo material de las Fuerzas Armadas, de su equipamiento, le su poderío bélico, estaba fuertemente exigido por la inercia de su propio proceso de modernización. Su modernización constante de-pendía enteramente, in embargo, de las posibilidades de equipamiento provenientes de la producción bélica de los países industriales desa-rrollados. En este sentido, el desarrollo que ellas alcanzaban no estaba sustentado en la producción interna, en el desarrollo de las fuerzas productivas nacionales, y tendía, por tanto, a crearse un hiato entre la modernización castrense y el desenvolvimiento de las fuerzas pro-ductivas internas. Este no se expresaba en el desarrollo de las Fuerzas Armadas. Mas bien, el nivel alcanzado por ellas expresaba una situa-ción divorciada respecto de su base material en la sociedad: “con sus cascos en punta, sus monóculos y sus mostachos, pero sin industria pesada y sin mercados de capitales extranjeros por conquistar”.6

Le Forze Armate di ogni società civile, organizzata secon-do lo schema dei moderni stati democratici, hanno avuto la

5 Augusto Varas, Felipe Agüero, El Desarrollo Doctrinario de las Fuerzas Armadas Chilenas, Ed. Andres Bello, Santiago, 1979, p. 3. Le considerazioni riportate dagli autori sono tratte da una conferenza dal titolo La Defensa Nacional, tenuta presso l’Università del Cile nel 1917 dal Colonnello dell’esercito cileno Mariano Navarrete. Successivamente pubblicata nel «Memorial del Ejército», n. 358, novembre-dicembre 1970. 6 Augusto Varas, Felipe Agüero, Fernando Bustamante, Chile Democrazia Fuerzas Armadas, Santiago, FLACSO, 1980, pp. 31-32. Le frasi comprese tra le “” sono state riportate da Alain Joxe, Las Fuerzas Armadas en el sistema politico chileno, Santiago, Ed. Universitaria, 1970, p. 51.

tà. Nei due mesi che separarono le lezioni dalla ratifica del Congresso, la destra usò tutte le armi possibili per impedire le elezioni di Allen-de, compresa quella del terrorismo economico. Iniziò una campagna coordinata di sabotaggio economi-co: furono prelevati dalle banche cilene e trasferiti all’estero 650 mi-lioni di escudos, migliaia di capi di bestiame attraversarono l’Argenti-na nel sud del paese, molte imprese rallentarono la produzione, sospe-sero le vendite a credito, arresta-rono l’acquisto di materie prime e di pezzi di ricambio, sospesero dal lavoro gli operai. Tale campagna trovò ampia risonanza su tutta la stampa conservatrice che cercò con ogni mezzo di diffondere il panico nell’opinione pubblica e di ingene-rare una sorta di psicosi collettiva circa le conseguenze disastrose che avrebbe avuto per l’economia cilena l’avvento di un governo socialista. Si tentava con questi mezzi di esercitare pressioni sulla DC e sulle Forze Armate, incitandole a impedire l’ele-zione di Allende.3

A tale proposito sono indicative le parole del Generale Schneider Comandante in Capo dell’Esercito cileno:

Esa intervención en política esta fuera de todas nuestras doctrinas. Somos garantes de un proceso legal en el que se funda toda la vida constitucional del país. Por ello no se puede permitir que se realicen tales actividades. Es nuestra doctrina garantizar la estabilidad interna y a ello deben tender todos nuestros esfuerzos y es una razón pode-rosa por la cual no debemos tener preferencia por ninguna tendencia, candidatura o partido.[…]Insisto en que nuestra doctrina y misión es de respaldo y respeto a la Constitución Política del Estado. De acuerdo con ella el Congreso dueño y soberano en el caso mencionado y es misión nuestra hacer que sea respetado en su decisión.Si se producen hechos anormales nuestra obligación es evitar que ello impidan que se cumpla lo que indica la Constitución. El Ejército va a garantizar el veredicto constitucional.4

In tutte le nazioni o stati che possiedono un ordinamento economico, sociale e politico democratico, il ruolo delle For-ze Armate si fonda sul concetto di difesa del territorio nazio-

3 Il 24 ottobre 1970 il Congresso cileno eleggeva Allende Presidente con 153 voti contro i 35 a Alesandri candidato delle destre. Il martedì 3 novembre Allende assumeva ufficialmente la carica insieme al governo da lui nominato.4 Internista al Comandante in Capo dell’esercito cileno il Generale René Schneider riportata dal giornale «El Mercurio» l’8 maggio 1970. Il contenuto di tutta l’intervista fu definita dalla stampa dell’epoca la “Dottrina Schneider”. Il fondamento di tale dottrina si basa sulla interpretazione del concetto di subordinazione delle Forze Armate al potere civile, in uno stato di diritto, cioè le istituzioni armate sono professionali, gerarchizzate, disciplinate, obbedienti e non deliberanti.

Salvador Allende

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SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015 | STORIA

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tes legales; el Gobierno y las Fuerzas de Orden tienen la obligación de mantener el orden interno a todo trance.9

Molti capi militari, che erano maggiormente condizionati dallo spirito di classe o dai privilegi economici e sociali del-la classe, cui appartenevano per nascita o per acquisizione; sfruttarono abilmente tutte le circostanze concrete, che la situazione politica determinò degenerando in tutto il paese, occupando il posto dei colleghi entrati in crisi e diventarono gli alfieri della “difesa del territorio nazionale” o della “sicu-rezza nazionale”.

LA SICUREZZA NAZIONALE

Può sembrare strano che le Forze Armate cilene, “costitu-zionaliste” e tradizionalmente apolitiche, abbiano assunto il potere nel settembre del 1973.

Analizzando però diversi aspetti di “le Forze Armate cile-ne”, si comprende che la presa del potere da parte dei militari fu il prodotto quasi spontaneo di una serie di fattori, che si vogliono considerare in questo capitolo.

Il punto di partenza di ogni dottrina militarista, e quindi anche quella cui s’ispiravano e s’ispirano i militari cileni, è la sicurezza nazionale. Nella mente dei militari cileni tale sicurezza era intesa soprattutto come quella degli interessi della borghesia cilena, collegati a quelli dell’imperialismo americano. È ovvio che la natura specifica di tale sicurezza affiori apertamente quando sorge una minaccia contro il si-stema economico-socio-politico borghese e, soprattutto, in una situazione di crisi le Forze Armate manifestano con la massima evidenza che sono una dei più importanti elementi dell’ordinamento borghese dello stato.

La oligarquía se libera del sistema presidencial monárquico y auto-ritario con ayuda de la marina; la clase media se libera del sistema parlamentario oligárquico y corrompido con ayuda del ejército de tie-rra. La marina actúa, en 1891, como una fracción de la oligarquía; el ejército, en 1924, como una fracción de la clase media. En cada caso, la acción militar lleva a cierto progreso en el camino de la democrati-zación formal, a un acrecentamiento de la participación política real, a un aumento del cuerpo electoral (especialmente a partir del Frente Po-pular), así como a la mayor eficacia del sistema, acompañándose todo este conjunto de hechos — de manera no fortuita — por la aceleración en cierto tipo de inversiones extranjeras que conducen a una expan-sión y a un fortalecimiento del poder económico del estado en el in-terior del país al mismo tiempo que de su dependencia del exterior.10

Le Forze Armate cilene erano, come in ogni società demo-cratica, i protettori della nazione, perché dovevano:

- difendere la sovranità nazionale e l’integrità territoriale;- salvaguardare l’ordine interno e garantire il governo co-

stituzionale.Per ora si lascia da parte la difesa dell’integrità territoriale

e della sovranità nazionale e concentriamoci invece su “or-

9 Maggiore Juan de Dios Barriga, Lo que debemos saber sobre Seguridad y Defensa Nacional, «Memorial del Ejército», n. 373, maggio-agosto, 1973.10 Alain Joxe, Las Fuerzas Armadas en el sistema político Chileno, Santiago, Editorial Universitaria, 1970, p. 115.

fondamentale funzione di difendere gli interessi delle classi dominanti e sono state sempre i difensori armati di tali inte-ressi.

El desarrollo del hombre en el cuartel aumenta triplemente el capital hombre: el desarrollo físico, (más resistencia para el trabajo y ma-yores horas para producir), desarrollo intelectual (mejor calidad de producción y mayor producción), desarrollo moral (más honradez para producir, exactitud en el trabajo, etc.). Todo redunda a favor de la producción, cuyo aumento es auge económico. El Ejército con su existencia, da seguridad a la industria y al comercio que pueden desa-rrollarse tranquilamente.7

Nel 1970 in Cile fu eletto un governo costituito da un’al-leanza di forze politiche di Unità Popolare. Nel testo si cer-cherà di spiegare la politica e gli avvenimenti del governo di Unidad Popular: esaminando gli eventi cileni tra il 1970 e il 1973, tracciando semplicemente il loro contesto storico politico e i passi tattici fatti dai diversi settori della società cilena, evidenziando come il corpo dei capi militari cileni sia passato dall’apparente apoliticità al decisivo intervento armato contro il legittimo potere di UP.

Considerábamos la neutralización del Ejército, su no intervención contra el movimiento popular, como condición necesaria y suficiente para la conquista del Gobierno, como ocurrió efectivamente. Luego, con el Gobierno en las manos, pensábamos que seriamos capaces de modificar el carácter de las FF. AA., contando con una correlación de fuerzas favorables en el país y apoyándonos en los sectores de-mocráticos de las instituciones militares. Esta concepción se mostró insuficiente. De hecho, aunque tenía en cuenta el carácter de clase de las FF. AA., lo subvaloraba.8

In una nazione democratica che possiede un esercito effi-ciente, viene a determinarsi un “assurdo storico” nel momen-to in cui il relativo ordinamento economico, sociale e politico è radicalmente modificato. Anche se molti capi militari erano pienamente convinti del rispetto per la Costituzione e per la suprema autorità legittimamente costituita, la loro devozione a essa e la loro cieca e militaresca obbedienza al Capo dello Stato furono messe in crisi dall’incalzare degli eventi.

Aún así, desafortunadamente, tenemos grupos de ciudadanos que, al margen de la ley, tratan de quebrar nuestra Institucionalidad, creando en menor o mayor medida, angustias, dudas e intranquilidad en los in-tegrantes de nuestra sociedad. La solución es principalmente POLITI-CA, y es nuestro Gobierno, legalmente constituido quien debe buscar las soluciones más adecuadas, considerando algo que constituye un defecto del sistema democrático, cual es el ROBUSTECIMIENTO DE LOS PRINCIPIOS DE AUTORIDAD.El eterno problema del sistema democrático está en plena vigencia en nuestro país. HASTA DONDE CADA INDIVIDUO ES LIBRE DE HACER LO QUE LE PLAZCA SIN QUE ATROPELLE EL DERECHO DE LOS DEMAS Y PONGA EN PELIGRO NUESTRO SISTEMA DE VIDA.Si la acción de una parte de la sociedad chilena rebasa todos los lími-

7 Colonnello Agustín Benedicto, El Ejército en el Estado Moderno, «Memorial del Ejército», Santiago, Año XVIII, Febrero 1929, p. 138.8 Ivi, p. 209. Gli autori hanno riportato la relazione presentata al Comitato Centrale del Partito Comunista cileno dal Segretario Generale Luis Corvalán nell’agosto del 1977. Pubblicata in seguito nell’Edizione Colo-Colo, 1978, p. 29.

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essere sintetizzata nelle seguenti affermazioni:1) l’individuo non esiste;2) i popoli sono miti;3) esiste solo la nazione e senza di essa non può esistere

l’uomo come singolo né come gruppo o popolo;4) la nazione coincide con lo stato, ed esso non è altro che

il potere della nazione o la nazione che esercita il potere; 5) il mondo non è altro che una totalità di nazioni che sono

poteri in conflitto permanente; cioè la nazione per definizio-ne esiste solo in conflitto e richiede competitività per sussi-stere ed espandersi;

6) la guerra è la condizione naturale delle nazioni e quindi dei popoli e dei singoli uomini, la cui funzione è reale solo in seno alla nazione;

7) lo stato e la nazione poiché è soggetto di potere è uno organismo, che deve crescere ed espandersi; quindi deve di-fendersi e lottare, perché la sua legge primordiale è occupare sempre altro spazio;

8) “la guerra è la cosa più naturale, il problema quotidia-no. La guerra è eterna. Non vi è pace e tutta la vita è lotta o guerra” (Adolf Hitler).

Nell’attuale sviluppo della lotta l’antagonismo fondamen-tale è tra Est e Ovest, Nord e Sud, o tra Comunismo e Cristia-nesimo, Paesi Occidentali e Fondamentalismi Islamici, e, di conseguenza, tutte le nazioni o stati e i relativi popoli e uo-mini sono necessariamente amici o nemici in una situazione permanente di guerra, che permea tutte le relazioni: diritto, morale, arte, ecc.

In questa visione la nazione non ammette nessun superiore a se stessa e nessuna limitazione al suo potere. A sua volta “la nazione latinoamericana”, basata sul vincolo geografico, economico, strategico e storico, si definisce come totalità di nazioni allineate, ad eccezione di Cuba, e dipendenti dal blocco occidentale “cristiano e anticomunista” dominato da-gli USA.

La strategia totale. La strategia è la scienza della condu-zione della guerra. L’antagonismo “Comunismo-Cristiane-simo” o “Est-Ovest” rileva che la guerra è totale e quanto apparentemente sembra, una situazione di pace non è altro che “guerra fredda” o “guerra di religioni”. Se la guerra è to-tale, tutti ne sono coinvolti, militari e civili, col risultato che tutte le attività umane, sia collettive sia individuali, sono in funzione della guerra. Il nemico è ovunque e qualsiasi azione o lo danneggia o lo favorisce.

Se la guerra è totale, anche la strategia è totale e si basa su tre concetti: il progetto nazionale, la sicurezza nazionale e il potere nazionale.

Il progetto nazionale è l’insieme degli obiettivi dello stato che si possono conseguire, date le risorse disponibili. A sua volta la sicurezza nazionale è la base del progetto o lo scopo che s’intende conseguire con l’insieme degli obiettivi. Infi-ne il potere nazionale, assoluto o incondizionato, giustifica e legittima tutte le attività pubbliche e private, che sono in funzione degli obiettivi o del progetto e dello scopo o della sicurezza nazionale. Ne consegue che tutti i cittadini devono vivere e lavorare perché il potere nazionale aumenti e diventi

dine interno” e “governo costituzionale”. Trattandosi di una società classista, è ovvio che il governo costituzionale non sia altro quello di una o più classi dominanti, che nelle socie-tà moderne sono in genere classificate come “borghesia”. La stessa cosa si deve dire per l’ordine interno: è quello instau-rato soprattutto per gli interessi della borghesia.

Si ha che sino al 1970 “il governo costituzionale cileno” e “l’ordine interno” della società cilena coincidevano con gli interessi della borghesia, e non era necessario che le Forze Armate cilene manifestassero chiaramente la loro reale fun-zione. Invece con l’amministrazione Allende alla borghesia sfuggì il controllo della situazione e per la difesa dei suoi interessi si fecero avanti le Forze Armate.

LA SICUREZZA NAZIONALE COME IDEOLOGIA

Come per ogni esercito, anche per quello cileno la sua fun-zionalità esige la professionalità e l’efficiente utilizzazione del complesso armamento degli eserciti moderni. Il presup-posto è che esso sia molto disciplinato e organizzato in modo gerarchico, centralizzato e autoritario e che tutti i sottoposti siano stati addestrati all’ubbidienza cieca e automatica.

Premesso ciò, si determinano meglio i tre concetti fonda-mentali, nei quali si sviluppa l’ideologia della sicurezza na-zionale delle Forze Armate cilene, fondata sulla geopolitica, la strategia totale e il ruolo privilegiato delle Forze armate.

La Geopolitica è una scienza creata da ideologi tedeschi durante la prima guerra mondiale, sviluppata dai nazisti al tempo della seconda guerra mondiale e insegnata per molti anni nelle accademie militari di tutto il mondo.

La Geopolítica la ubicamos como ciencia a principios del presente siglo como la culminación de un proceso de ideas políticas, geográ-ficas y filosóficas acumuladas durante siglos. Luego, el concepto de una estrecha relación entre las constantes geográficas con las políticas no es fruto ni de un determinado pensador ni ha surgido en forma espontánea. Un análisis del proceso humano sobre la tierra muestra cómo un grupo complejo de ciencias se ha movido entre los extremos geográficos y políticos.11

È in diretta opposizione alla scienza universale del marxi-smo-leninismo, offre una concezione totale dell’uomo e può

11 Augusto Pinochet Ugarte, Geopolitica, Santiago, Editorial Andres Bello, 1984, p.53. Lo stesso autore definisce il rapporto tra Geopolitica e Stato: «La Geopolítica considera al Estado como un organismo supraindividual y, como tal, un organismo vivo que se halla empeñado en una lucha constante por la existencia. La Tierra, por su configuración natural, está dividida en cierto número de espacios que son el escenario de estas luchas entre los Estados. Este hecho condiciona una política encadenada al espacio, con leyes determinadas y constantes que afectan, en forma permanente, a los pueblos que actúan en una región, a medida que van haciendo su aparición en la Historia. […] Uno de los objetivos de la Geopolítica es el de proporcionar antecedentes sobre la posible aplicación y utilización de estas leyes espaciales en la política exterior del Estado y en el periodo de desarrollo. La eterna actitud beligerante de los pueblos entre sí obliga a que la política exterior del Estado prime sobre la interna. Las ideologías políticas y los sistemas de gobierno dan solidez y ayudan a obtener en forma más eficaz aquellos objetivos de carácter nacional dentro de las condiciones geográficas donde se asienta el Estado». Ivi, p.31.

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tuzione principale” delle società latinoamericane. Il pubblico americano in generale e i militari latinoamericani, che fre-quentano i corsi nelle accademie militari USA, sanno molto bene che gli eserciti latinoamericani sono utili ed essenziali per quello che gli USA definiscono “sviluppo”.

Comunque, il punto di vista di Pye, rappresentativo della politica internazionale del Pentagono, segnala che i militari sono la migliore organizzazione esistente o la più “chiamata” ad assumere il potere con la forza delle circostanze.

Non è pura coincidenza che i militari, a parte le loro fun-zioni spesso mitiche e tradizionali di “difesa”, sono predesti-nati come i principali agenti istituzionali della strategia geo-politica per due ragioni importanti: l’incapacità, il tradimen-to e la demagogia politica dei popoli civili, e, la primordiale necessità geopolitica o l’ansia sfrenata per una guerra totale.

Estas orientaciones, que son el resultado de un muy meditado análisis, y que están avaladas por la experiencia de una larga vida al servicio de la Patria, tienen por objeto servir de guía a los Oficiales de los Estados Mayores destinados al trabajo de apreciación que debe hacerse antes de llevar a la práctica la conformación de un instrumento bélico más moderno, tanto en su estructura orgánica, en sus medios, en sus pro-cedimientos, como en su gestión profesional, para seguir garantizando el desarrollo del país y asegurar el cumplimiento de nuestras misiones constitucionales.13

Infatti, il “disordine” sociale ed economico legittima l’in-tervento dei militari come l’unica struttura alternativa, capa-ce di “rigenerare e recuperare” la società e il potere statale. La nazione e lo stato sono fondamentalmente dei poteri ma se le strutture civili diventano inoperanti per il salvataggio interno ed esterno, l’istituzione militare resta l’unica depo-sitaria del potere reale della macchina dello stato. Il risultato finale è che i vertici militari, nelle cui mani sono le Forze Armate, si assumono il compito di “salvare la nazione”. In situazione di guerra totale le Forze Armate non possono quindi permettersi di essere neutrali poiché essendo l’unico elemento nazionale debitamente integrato nel sistema intera-mericano o nelle strutture imperialistiche, il loro ruolo sarà di essere al fianco degli USA contro “il nemico” o contro “il comunismo internazionale” sia dentro sia fuori le frontiere nazionali.

IL CONDIZIONAMENTO ISTITUZIONALE

La suddetta ideologia serve per comprendere meglio la dottrina dei militari cileni, nella quale si devono distinguere due aspetti: la dottrina istituzionale delle Forze Armate e le dottrine individuali dei suoi membri. La prima consiste nelle funzioni attribuite dalla Costituzione e dall’ordinamento giu-ridico cileno alle Forze Armate. Tali funzioni, già analizzate, sono in genere un risultato storico. Invece le dottrine indivi-duali dei militari suppongono una particolare situazione so-

13 Augusto Pinochet Ugarte, Ejercito de chile: trayectoria y futuro, Santiago, FASOC Vol. VII, No. 4, 1992. Fascicolo pubblicato dopo una lezione magistrale di Pinochet all’Università di Santiago Facoltà di Scienze Politiche il 21 de agosto de 1992.

sempre più efficiente. In questo modo la strategia assume le seguenti forme:

- nel campo economico lo sviluppo consiste soprattutto nell’aumento della capacità offensiva della sicurezza nazio-nale, e quindi è data priorità assoluta ai settori produttivi di alto valore strategico;

- nel campo culturale sono utilizzate al massimo tutte le idee, particolarmente religiose, che sviluppano nella psiche dei singoli il valore del potere nazionale. In altre parole, la verità e la falsità delle idee dipendono dal loro contributo po-sitivo o negativo al raggiungimento degli obiettivi strategici;

- nel campo della politica le attività di tutti gli organismi sociali e tutte le manifestazioni civiche sono collegate con la strategia totale e perciò sono guidate dal proposito di mobi-litare il popolo per la guerra contro “il comunismo interna-zionale”;

- nel campo militare si crea uno stato di “all’erta” perma-nente per l’uso della forza militare, dove sia necessario. Vedi particolarmente la fase iniziale di stabilizzazione di un regi-me e l’eliminazione dei suoi nemici più vicini.

Per conseguire la massima sicurezza e un potere nazionale sempre più efficiente sono necessari dei sacrifici. Perciò nel campo dell’economia si giustificano livelli di vita di sussi-stenza, e in quello dei diritti civili la soppressione delle li-bertà individuali; e in entrambi i casi, il limite è determinato soprattutto dalla reale efficienza del potere nazionale. In altre parole la vita di sussistenza può avvicinarsi anche allo zero e le libertà personali possono essere soppresse totalmente, se così è richiesta dall’efficienza del potere nazionale.

Il ruolo privilegiato delle Forze Armate. Solo “l’èlite na-zionale” può gestire la strategia; e la massa può e deve par-tecipare alla strategia, ma solo perché è guidata e controllata per la realizzazione del progetto nazionale. A sua volta l’èli-te, dopo che ha elaborato il progetto nazionale e quindi la sicurezza e il potere nazionale, si rivolge ai suoi agenti o alle Forze Armate perché mettano in atto la strategia.

Augusto Varas riporta un saggio di Lucien Pye, preparato per dei corsi di scienze sociali e di sicurezza nazionale dello Smithsonian Istituto in USA. Vi si legge quanto segue:

Nella maggioranza delle società sottosviluppate il problema è la diffi-coltà di creare organizzazioni effettive capaci di usare adeguatamente tutte le attività fondamentali della vita moderna.Generalmente in tali società vi è uno squilibrio nello sviluppo delle or-ganizzazioni. Se una di esse si sviluppa efficacemente e rapidamente, molto presto deve compiere anche le funzioni delle altre organizza-zioni. Cioè quelle più salde e autonome assumono il compito di quelle che sono meno strutturate. Pertanto le autorità militari spesso devono controllare le più importanti organizzazioni della società e possono essere forzate dai fatti a sostituirsi alle autorità civili.12

Questo modo di pensare vuole giustificare il mantenimen-to di un esercito bene equipaggiato e addestrato, come “isti-

12 Augusto Varas, Las nuevas relaciones de poder en América Latina. Escenario y perspectivas. Santiago, Ed. Quimantu, 1980, p. 22. Inoltre cfr., Lucien Pye, Aspects of Political Development. An Analytical Study, Toronto, Little Brown and Co., 1966, pp. 87-88.

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Este, poco tiempo después se ha vuelto en contra de las propias insti-tuciones democráticas, sea bajo la modalidad de formas de acomoda-ción autonómicas o bien en nuevas intervenciones militares.14

A sua volta il valore dell’esclusiva funzionalità dei militari o il relativo comportamento predefinito verso il settore civi-le produce lo sterile apolitismo, fondato sul principio della non deliberazione, e soprattutto l’isolamento culturale con la conseguente chiusura mentale, che è impenetrabile più che in altre istituzioni, compresa la chiesa.

Questa chiusura è comune a ogni istituzione. Nel caso del-le istituzioni militari latinoamericane è ulteriormente accen-tuata dal concetto di difesa della “civiltà occidentale”, che è piena di deformazioni ideologiche e di falsificazioni stori-che. Tale concetto, istillato nella mente dei giovani militari al tempo del loro addestramento nelle accademie di guerra, è fondamentale per l’accettazione incondizionata della difesa della propria regione nella cornice della difesa degli USA, dell’emisfero e della cultura cristiano-occidentale.

Si aggiunga che tale accettazione è collegata alla dipen-denza delle forze militari delle varie regioni dagli USA per l’equipaggiamento, per l’addestramento e per i rifornimenti, senza dei quali i militari delle varie regioni latinoamericane non potrebbero sopravvivere.

Per concludere questa panoramica, è importante dire che quello che manca allo forzo democratico latinoamericano — od anche alla chiesa o ai cristiani, in quanto interessati a questo tipo di discorso sul futuro della società. latinoamericana — è la capacità di prospettare una po-litica, un progetto politico alternative all’esistente, dove si rifletta sul problema dei militari in una prospettiva diversa dall’attuale.Uno dei punti più deboli del movimento democratico in A. L. è pro-prio il fatto che non ha saputo esprimere fino ad oggi, una riflessione sufficiente sul problema militare in una prospettiva storica o politica distinta: una riflessione su quella che dovrebbe essere la funzione dei militari in un nuovo progetto politico per l’A. L. o sul problema della sicurezza nazionale in una prospettiva democratica.È questa una riflessione che ancora dobbiamo fare ed è questo uno dei punti cardinali essenziali per una futura politica. Io penso che per arrivare a questo, dobbiamo partire da questa premessa fondamentale:Non bisogna più parlare di “sicurezza emisferica”, ossia della sicurez-za di un sistema dove stanno insieme Stati Uniti o America Latina, ma parlare di sicurezza latinoamericana. Cambiare cioè il soggetto della sicurezza: da un sistema dove c’è da una parte una superpotenza nu-cleare e dall’altra paesi sottosviluppati, bisogna passare al concetto di un sistema dove il soggetto di questa. sicurezza sia l’America Latina in quanto tale e non l’A. L. legata agli USA.Questo suppone ridefinire i rapporti economici, sociali, politici o mili-tari dell’A. L. con gli USA, partendo dall’idea che l’A. L. è un sogget-to a sé stante, geopolitico, diverso dagli Stati Uniti: per alcuni aspetti può essere complementare, per altri contrastante, ma comunque diver-so. Non ci sono cioè interessi comuni fra USA e A. L.Partendo quindi da questa nuova base che è il concetto di sicurezza latinoamericana (dove si vede come minaccia a questa sicurezza per. esempio l’egemonia di una superpotenza straniera), si deve trovare un rapporto diverso con gli USA.È a partire da questo concetto di sicurezza latinoamericana che si può arrivare a collegare la sicurezza al popolo, vale a dire, collegare la fun-zione della sicurezza a una funzione di liberazione del popolo, in cui il popolo si trasforma in soggetto della vita politica, culturale, econo-mica, ecc. e dove si mette l’accento su tutti gli aspetti di integrazione comune latinoamericana.Si devono individuare nuovi rapporti tra il popolo è le forze armate,

14 Augusto Varas, Las nuevas relaciones de poder en América Latina. Escenario y perspectivas, cit., p. 1.

cio-economica e ideologica, collegato alla selezione sociale e quindi alla posizione di classe e alla situazione culturale e politica dei militari nella società.

Si precisa che quando si parla degli atteggiamenti più o meno dottrinali dei militari latinoamericani, ci si riferisce quasi soltanto al settore degli ufficiali. Infatti, la truppa è in genere un miscuglio amorfo d’individui delle classi più basse, ai quali dall’indottrinamento militare e forse anche da quello religioso è stata tolta ogni autonomia mentale e devo-no solo eseguire gli ordini al modo delle parti inanimate di una macchina.

Il contesto storico della dottrina è dato dalla storia del mondo latinoamericano. Limitando il discorso alla sola sto-ria militare, quella degli ultimi venti anni occupa molti vo-lumi. Però la vittoria militare popolare di Cuba nel 1959 e i golpe militari apparentemente progressisti, il 1968 nel Perù e il 1971 in Bolivia, hanno fatto cambiare gli atteggiamenti dei militari poiché devono affrontare le nuove richieste delle masse latinoamericane. Ben presto, però, la combinazione delle dipendenze militari e la manipolazione diretta dall’e-sterno della forza militare locale hanno pian piano annullato gli effetti positivi dei tre avvenimenti ed hanno motivato un “contro indottrinamento” nelle scuole militari interamerica-ne e locali.

Non solo gli USA ma anche le classi dominanti delle va-rie regioni del mondo latinoamericano sono ora molto attenti che non si ripeta un’altra Cuba.

Più che nel passato ora i militari latinoamericani non vi-vono in una specie d’isolamento dalla lotta di classe. Anche se non contaminati dalla realtà socio-economica,vivono im-mersi in essa e quindi nella realtà politica dei vari stati e nel-la relativa dipendenza economica dal capitalismo mondiale, diretto soprattutto dagli USA.

Si può anche dire che i militari latinoamericani sono una specie di casta, indipendente dalle classi. Ciò è dovuto ai par-ticolari valori sociali, culturali e politici, che sono permessi e si rafforzano in seno all’istituzione militare. Così il valore dello “spirito di corpo” produce la subordinazione indivi-duale e la dedizione assoluta all’istituzione militare e ai suoi obiettivi e pian piano riduce e cancella le diversità ideologi-che individuali.

América Latina se ha caracterizado por una secular dificultad para es-tabilizar acuerdos democráticos. Esta limitación explica - en parte - el permanente, recurso o tentación de usar la fuerza militar para resolver disputas políticas internas o para imponer determinados proyectosde desarrollo que no cuentan con una legitimación social mayoritaria. Sin embargo, las élites democráticas poco o nada conocen de la vida, historia, necesidades y perspectivas de la institución militar y la defen-sa nacional en sus respectivas sociedades.En consecuencia, el uso y abuso de las FFAA en política ha dejado un negativo saldo en su estabilidad y desarrollo institucional. A su vez, los proyectos de estabilización democrática que se han intentado en la región con posterioridad a las intervenciones militares han adolecido de una falla básica en materias de política hacia las FF AA. En la medida que las democracias latinoamericanas no dan cuenta adecua-damente del problema de la inserción de las fuerzas armadas en el proceso democrático, definiendo los temas de la defensa nacional al interior de sus proyectos de cambio, han dejado sin resolver un pro-blema crucial.

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Artículo 4.o Sin perjuicio de lo dispuesto en el Título II del Libro II del Código Penal y en otras leyes, cometen delito contra la seguridad interior del Estado los que en cualquiera forma o por cualquier medio, se alzaren contra el Gobierno constituido o provocaren la guerra civil, y especialmente:a) Los que inciten o induzcan a la subversión del orden público o a la revuelta, resistencia o derrocamiento del Gobierno constituido y los que con los mismos fines inciten, induzcan o provoquen a la ejecución de los delitos previstos en los Títulos I y II del Libro II del Código Penal o de los de homicidio, robo o incendio y de los contemplados en el artículo 480 del Código Penal;b) Los que inciten o induzcan, de palabra o por escrito o valiéndose de cualquier otro medio a las Fuerzas Armadas, de Carabineros, Gendar-mería o Policías, o a individuos pertenecientes a ellas, a la indiscipli-na, o al desobedecimiento de las órdenes del Gobierno constituido o de sus superiores jerárquicos;c) Los que se reúnan, concierten, o faciliten reuniones tinadas a pro-poner el derrocamiento del Gobierno constituido o a conspirar contra su estabilidad;d) Los que inciten, induzcan, financien o ayuden a la organización de milicias privadas, grupos de combate u otras organizaciones se-mejantes y a los que formen parte de ella, con el fin de sustituir a la fuerza pública, atacarla o interferir en su desempeño, o con el objeto de alzarse contra el Gobierno constituido;e) Los empleados públicos del orden militar o de Carabineros, policías o gendarmerías, que no cumplieren las órdenes que en el ejercicio legítimo de la autoridad les imparta el Gobierno constituido, o retarda-ren su cumplimiento o procedieren con negligencia culpable;f) Los que propaguen o fomenten, de palabra o por escrito o por cualquier otro medio, doctrinas que tiendan a destruir o alterar por la violencia el orden social o la forma republicana y democrática de Gobierno;g) Los que propaguen de palabra o por escrito o por cualquier otro medio en el interior, o envíen al exterior noticias o informaciones tendenciosas o falsas destinadas a destruir el régimen republicano y democrático de Gobierno, o a perturbar el orden constitucional, la se-guridad del país, el régimen económico o monetario, la normalidad de los precios, la estabilidad de los valores y efectos públicos y el abastecimiento de las poblaciones, y los chilenos que, encontrándose fuera del país, divulguen en el exterior tales noticias. Artículo 5.o Los delitos previstos en el artículo anterior serán castiga-dos con presidio, relegación o extrañamiento menores en sus grados medio a máximo, sin perjuicio de las penas accesorias que correspon-dan según las reglas generales del Código Penal.16

In questo modo si ha una specie di cintura di sicurezza per ogni informazione sui militari. Inoltre la medesima legge proibisce tutte le incitazioni, di parole e di fatti, all’indisci-plina o alla disubbidienza nelle Forze Armate; e così l’isti-tuzione militare è validamente difesa contro tutte le infiltra-zioni comuniste, nemico numero uno di ogni disciplinato esercito gerarchico e antipopolare.

L’ESTRAZIONE SOCIALE DEI MILITARI CILENI

Per determinare meglio la definizione di “casta” dei mili-tari cileni si deve tenere presente la loro particolare funzio-ne nel sistema statale, che fin dal principio del secolo XX difendeva gli interessi riformisti della classe media contro il dominio dell’oligarchia e allo stesso tempo, reprimeva le

16 Ministerio del Interior Ley 12927 Seguridad Interior del Estado del 02-08-1958. Cfr., il seguente sito URL: http://www.leychile.cl/N?i=27292&f=1958-08-06&p= Biblioteca del Congreso Nacional de Chile.

in quanto espressione di uno stato democratico, di un continente pre-occupato della sua sicurezza come unità a se stante, nel concerto delle nazioni del mondo.In questo modo l’A. L. potrebbe svolgere un ruolo nella creazione del cosiddetto “nuovo ordine internazionale”, in collegamento con le di-verse unità geografiche e politiche esistenti, come Europa, USA, Paesi socialisti, Paesi del Terzo Mondo, ecc.Riassumendo, la realizzazione di questo compito suppone:1. Ripensare alla funzione geopolitica dell’A. L.2. Ammettere il pluralismo politico all’interno della comunità latino-americana.3. Infine, in funzione di questo processo pluralistico o democratico, ripensare il collegamento fra Forze Armate professionali e popolo de-mocratico e cosciente.Se si potesse fare tutto questo, sarebbe più facile che si potesse svi-luppare una corrente democratica all’intorno delle F. A., condizione questa necessaria per mutare la situazione dell’A. L.15

Limitando il discorso al Cile, era ovvio che alla fine i mili-tari cileni siano entrati in conflitto con la politica antimperia-lista e indipendente di UP nel 1970.

Come casta, gli interessi dei militari sono difesi nei mo-menti di crisi politica ed economica sia come mantenimento e miglioramento del livello di vita e sia come condizioni per l’efficienza dell’attività militare. Segue che i militari for-mano, soprattutto nei momenti più critici per la vita di un popolo,un costante gruppo di pressione.

Se poi la crisi penetra nelle caserme, utilizzando il seve-ro codice della giustizia militare, gli elementi sospetti sono espulsi o congedati o anche semplicemente corretti col meto-do delle sanzioni sociali e della pressione pubblica.

Parallelamente a questo meccanismo istituzionale di auto-difesa c’è una sezione del codice penale, ugualmente rigoro-sa, che tratta tutti i crimini contro la “inviolabilità” costitu-zionale dei militari. Un esempio della protezione militare dei militari si trova nella legge di sicurezza dello stato del 1958, che definisce crimine qualsiasi offesa contro la dignità o la morale delle Forze Armate da parte dei politici, della stampa e di altri; e la punizione relativa può consistere in multe, pri-gioni e censura di pubblicazioni.

TITULO IIDelitos contra la Seguridad Interior del Estado

15 José Antonio Viera Gallo, América Latina, Trabajo presentado en la Comisión de Estudios Institucionales de los partidos de izquierda chilenos en Roma 18 de septiembre de 1977, pp.15-16. Durante el gobierno del presidente Allende fue subsecretario de Justicia, desde noviembre de 1970 hasta diciembre de 1972. José Antonio Viera Gallo después del golpe militar en 1973, partió al exilio, radicándose en Italia, donde continuó desempeñando su profesión, entre otras actividades. En Roma editó la revista de opinión “Chile-América”. Trabajó como Consultor de la UNESCO, CEPAL, FAO y en el Consejo Mundial de Iglesias. Ocupó, también, la Secretaría General Adjunta del International Documentation Center, IDOC, con sede en Roma. Asimismo, integró el Consejo Directivo de HUIRIDOCS, Sistema de Información y Documentación sobre Derechos Humanos, con sede en Oslo, Noruega. En abril de 2007 fue nombrado ministro por la Presidenta Michele Bachelet Jeria, en el Ministerio Secretaría General de la Presidencia, cargo que desempeñó hasta el 10 de marzo de 2010. La Presidenta lo nombró miembro del Tribunal Constitucional, en el cargo de ministro, labor que cumplirá por los próximos 3 años, a contar del 11 de marzo de 2010. Il testo è dattiloscritto in italiano mentre le note biografiche sono scritte in spagnolo. Si trova nella Sezione B- Riviste, bollettini, periodici, dell’archivio Ferdinando Murillo Viana.

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Più esatto è invece lo studio, condotto sugli ufficiali cileni raccolti nel 1965. Si riporta il questionario distribuito duran-te le interviste:

Como parte de un estudio sobre las FFAA estamos recogiendo infor-mación a ofíciale, militaros que han prestado sus servicios profesio-nales en el Ejército y que debido a su experiencia nos ayudará a com-prender mejor la relación entro el ejército y el pueblo de Chile. Desde luego quedaremos especialmente agradecidos a Ud por la cooperación que pueda prestarnos contestando a las preguntas que le haremos a continuación. Debido a su carácter estrictamente científico ellas son estrictamente confidéncialos, ya que serán sometidas a procesos pos-teriores de análisis estadístico que hacen imposible la identificación de los autores de las opiniones. Asimismo ostas preguntas solo consti-tuyen una base de explicación científica y no son bajo ningún aspecto una prueba de conocimientos o de inteligencia.Dada la finalidad eminentemente científica del trabajo que estamos realizando, las opiniones que Ud se sirve manifestarnos a continua-ción no necesitan llevar su firma, y son, por lo tanto, estrictamente confidenciales.a) Grado b) Arma de Servicio c) Unidad de escuela, Academia de Guerra, o Politécnica Militar d) Lugar de nacimiento e) ocupación de su padre f) ocupación del padre de su esposa g) parientes en las fuerzas armadas o Carabineros (especificar grado de parentesco, grado alcanzado y si están en servicio activo o no) h) Educación (numero de años) Universidad, Escuela Militar, Academia de Guerra, Academia Politécnica, Escuelas Militares Extranjeras i) Antigüedad obtenida en el curso militar de la Escuela Militar Preguntas de “orientación de opinión”: 1) Si tuviera que escoger entre las siguientes alternativas, en cuál de ellas se situaría hoy políticamente?: derecha, hacia la derecha, hacia la izquierda, izquierda. Por favor, comente las razones de su decisión y el significado que le da a la alternativa escogida. 2) Un cuestionario distribuido a una muestra de la población de Chile mostró que los civiles tienen gran confianza en que si fuere violada la Constitución, los militare la defenderían. Concretamente, en que circunstancias cree Ud que los militares deberían intervenir en este problema? 3) Hasta que punto cree Ud que la participación en programas de desa-rrollo es incompatible con la eficacia militar del ejército? 4) En su opinión, cuál debería ser la actitud del gobierno respecto a una mayor participación del ejército en dichos programas? 5) Cree Ud que una amplia participación de los oficiales en los pro-gramas de desarrollo es compatible con su función profesional y su propia imagen como oficiales? 6) En cierto modo, una guerra limitada es buena para el país ya que largos periodos de paz producen un debilitamiento general de la po-blación?7) Los militares son necesarios para un país aunque no haya guerra, para actuar como guardianes de la Constitución en caso de que el go-bierno decidiera violarla?19

Il livello degli ufficiali graduati, intervistati nella scuola militare “Bernardo O’Higgins” fu il seguente. Apparteneva alla classe medio-alta il 42%, alla classe media il 39% e alla classe medio-bassa il 19%. A sua volta il livello sociale dei

di un numero limitato di giornalisti alla fine del 1969. Cfr., Ibidem.19 Hansen riuscì a intervistare solo 200 militari. Nonostante il numero relativamente basso d’interviste, il suo lavoro è uno dei pochi che presenta una visione documentata della realtà militare cilena dell’epoca. Infatti, poco dopo i fatti del “Tacnazo” uno studente americano che aveva collaborato con Hasen, tentò di vendere i fogli originali con le domande del questionario a ufficiali in servizio e in pensione. Inoltre l’importanza delle informazioni contenute nel suo lavoro furono di grande utilità agli uffici della CIA in Santiago per creare una rete di contatto tra i militari cileni che parteciparono successivamente al complotto per eliminare il proprio Generale Schneider nel 1970. Cfr., Ivi, p. 346.

classi più basse e i lavoratori. In questo modo c’è una stretta connessione tra le classi rappresentate dai militari e le fun-zioni attribuite a essi.

Lo studio di Roy Allen Hansen che analizza i generali dell’esercito cileno, congedati tra il 1952 e il 1964, mostra che sino agli anni del 1940 le classi medie predominavano nelle file degli ufficiali, in precedenza dominate dalle classi superiori e dall’aristocrazia, e che tra gli anni 1950 e 1960 gli aspiranti ufficiali dell’esercito furono reclutati principalmen-te tra le classi medio-basse a causa del declino del prestigio militare.17

I trentasette ufficiali studiati da Hansen hanno origine nella classe media, definiti dai redditi paterni. Non è esatto ubicare gli ufficiali nel settore della classe media attenendosi unica-mente al loro reddito poiché in questo modo si finiscono col trascurare i molti vantaggi e privilegi, che i militari in genere hanno in materia di trasporti e di alloggio18.

17 Roy Allen Hansen, Military culture and organizational decline. A study of the Chilen army. Phd thesis at University of California , Los Angeles, 1967. Avaible from University Microfilms Service, N. XUM 68-7466, Ann Arbor, Michigan, USA, pp.170-210.18 Per illustrare la ricerca scientifica di Hansen, vale la pena riportare alcuni passaggi rilevanti del suo lavoro. Alla fine del 1964 egli si recò in Cile e si mise in contatto con il segretario generale dell’Accademia di Guerra, Generale René Schneider, che gli diede pieno accesso alla biblioteca dell’Accademia e gli permise di intervistare i membri della Forza Armata. Il risultato del suo lavoro entrò a far parte della sezione classificata della biblioteca dell’Accademia di Guerra e fu a disposizione

Augusto Pinochet

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sario inculcare contemporaneamente nei combattenti — e anzitutto nei capi incaricati della direzione operativa — una forte motivazione politica. Di qui il sempre maggior interesse per la formazione psi-cologica e professionale di ufficiali e di sottufficiali, compito che il governo della Casa Bianca ha assegnato a una rete di insediamenti militari destinati a istruire il personale straniero e, in particolare quello latino-americano.21

Come si vede, all’interno della gerarchia dell’esercito ci-leno nel 1970 esisteva un’eterogenea suddivisione, derivante dalla forte influenza dell’ambiente circostante, dall’educa-zione familiare e da una mentalità, formatasi sulle tesi di difesa emisferica, diffuse nel continente. Tuttavia tenendo, presenti i risultati dei tre studi esaminati e particolarmente l’ultimo, nel 1970 gli ufficiali dell’esercito cileno proveniva-no, dal generale al sottotenente, dal ceto medio-alto22.

Per la formazione dello spirito di “casta” il comportamen-to militare è sottoposto, sin dall’adolescenza, al forte influsso delle norme e dei precetti dell’istituzione. Dall’età di quin-dici o sedici anni ci si assoggetta a un regime di vita, che ha una marcata somiglianza con quella propria della formazione ecclesiastica e segna in modo indelebile la personalità, cre-ando una notevole differenza con i civili di qualsiasi attività.

In quanto alle associazioni, cui partecipavano gli ufficiali, si può dire che nell’ultimo decennio erano notevolmente di-minuiti gli aderenti alla massoneria.

In conclusione, gli ufficiali cileni del 1970 erano elementi della democrazia borghese imperante, avversi al marxismo e inclini al modo di vita nordamericano.

I SOTTUFFICIALI E I COSCRITTI

Intorno al 1970 i sottufficiali formavano un’omogeneità sociale quasi completa. La loro provenienza dalla classe ope-raia e dai contadini li rendeva tipici rappresentanti del popo-lo salariato, senza che s’identificassero tra essi strati genera-zionali caratterizzati dall’influenza dell’evoluzione politica.

Il sottufficiale coltiva con sapienza una tradizione di asso-luta apoliticità. Il suo mondo è la caserma e la famiglia. Per lui la disciplina militare costituisce un elemento di ordine e di rigida sottomissione alla gerarchia imposta dalla carriera. La sua massima ambizione è di raggiungere il grado di sot-tufficiale maggiore. Egli a sempre coltivato con orgoglio le virtù militari, inculcandole con determinazione nei giovani coscritti, e adempie gli ordini degli ufficiali in piena accetta-zione della gerarchia del comando. Se quegli ordini andava-no più in là dei limiti di legittimità, si adeguava al principio secondo il quale chi li impartiva ne era responsabile.

Neanche i sottoufficiali più anziani, con trent’anni di ser-vizio e più, si erano trovati nelle condizioni di dover seguire un’avventura, che li portasse a infrangere il giuramento alla bandiera. Le attività politiche, svolte da alcuni capi militari, non erano giunte al punto di coinvolgerli.

21 Cfr., Raul Ampuero, La formazione del soldato multinazionale, in «Mondoperaio», Roma, n. 4, aprile 1977, p. 41. Traduzione dallo spagnolo di Gabriella Lapasini.22 Cfr., Augusto Varas, Felipe Agüero, El Desarrollo Doctrinario de las Fuerzas Armadas Chilenas, cit., pp. 1-42

graduati militari intervistati nell’accademia di guerra e al po-litecnico militare, diede questi risultati: il 29% degli intervi-stati apparteneva alla classe alta, il 65% a quella media, e il 6% alla classe bassa.

Un altro importante studio è di Agüero, che si riferisce alla situazione all’inizio degli anni 1970, quando era possibile individuare cinque strati orizzontali del corpo degli ufficiali cileni.

Il vertice era costituito da generali, che avevano più di trentacinque anni di servizio e in genere provenivano dal-le numerose “promozioni” degli anni 1929, trenta, trentuno e trentadue. Si erano formati durante l’ultimo periodo del governo Ibáñez20 e al tempo della successiva anarchia rivo-luzionaria, avevano conosciuto le amare vicissitudini della reazione civile antimilitarista. Questi erano di elevatissima professionalità e la loro lunga carriera si era svolta nell’am-bito dei principi di non deliberazione e di distacco dalle con-tingenze politiche.

Seguiva un sottile strato di colonnelli, che aveva trenta, trentacinque anni di servizio e provenivano dalle poche pro-mozioni avvenute tra il 1933 e il 1938. Questo gruppo era caratterizzato dalla formazione avuta in una scuola militare adatta ai programmi d’insegnamento del ginnasio in un pe-riodo di grande povertà delle istituzioni armate e di scarsi incentivi professionali. E tutto ciò richiedeva che vi fosse in essi una solida vocazione militare.

Veniva poi un grosso strato di ufficiali, che avevano venti, trenta anni di servizio ed erano usciti dalla scuola militare alla fine del 1939, durante la seconda guerra mondiale e nel periodo della “guerra fredda”. Erano in genere caratterizzati da una non dissimulabile simpatia per la causa nazista.

Il quarto strato, promosso tra il 1949 e il 1957, aveva una mentalità certamente anticomunista. Erano inoltre ufficiali di formazione classica e caratterizzati dall’esperienza compiuta con gli armamenti tradizionali.

C’era infine lo strato più giovane, formato a partire dal 1958. Erano giovani educati alla concezione della guerra antisovversiva, nella quale perdeva attualità l’eventualità di un’aggressione armata extracontinentale in America Latina mentre emergeva la guerriglia come la più pericolosa minac-cia per la sicurezza continentale. La loro formazione militare era avvenuta in modo differente e vi erano stati introdotti mezzi come i comandos, i paracadutisti e i metodi d’istru-zione della controguerriglia. La successiva partecipazione di numerosi contingenti di questi giovani ai brevi corsi della scuola delle Americhe, istituita dagli Stati Uniti, diedero loro un chiaro orientamento nordamericano.

Ogni struttura bellica si basa, in ultima analisi, sul soldato. E allora non bastano un sistema di stretti legami interistituzionali, un equipag-giamento moderno e adeguato, un coordinamento dottrinario e stra-tegico per rendere efficiente una macchina da guerra: e ancor meno bastano quando essa è destinata a combattere contro uomini che vi-vono sulla stessa terra e sono, quindi, compatrioti. È dunque neces-

20 Il colonnello, poi generale, Carlos Ibáñez del Campo, eletto presidente nel 1927, fu costretto nel 1931 a lasciare il potere da un movimento di borghesia urbana contrario ai suoi metodi autoritari.

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In quanto alla coscrizione, ragioni fondamentalmente di bilancio la limitarono, sino al 1970, a contingenti molto li-mitati, comprendenti un terzo o un quinto della base di co-scrizione annuale. Per questo, salvo l’eccezione di limitati e periodici corsi studenteschi, quasi il cento per cento dei coscritti chiamati annualmente nelle file dell’esercito erano giovani figli di operai e contadini, non ancora iscritti nei re-gistri elettorali.

UNO SGUARDO D’INSIEME

Il 1970 le Forze Armate cilene rappresentavano gli inte-ressi e le contraddizioni della media borghesia. E ciò per-ché la loro struttura disciplinare le sottometteva all’azione di comando di un’èlite, formata dagli ufficiali e quantitativa-mente minoritaria ma investita di tutte le attribuzioni legali e regolamentari per organizzare, insegnare e usare lo stru-mento coercitivo dell’esercito secondo le proprie concezioni ideologiche, anche se la maggioranza dei membri delle Forze Armate erano della più pura estrazione popolare.

Così l’opinione, secondo la quale l’esercito cileno appar-tiene alla classe media, è ampliamente giustificata riguardo agli ufficiali. Non si può dire la stessa cosa dei sottufficiali e della truppa. Vale il commento generale che anche in questi settori ci sono soldati professionali, e come tali difendono anche la gerarchia istituzionale e i relativi diritti professio-nali.

ALTRI FATTORI

Si considerano altri aspetti per determinare meglio la fisio-nomia o il pensiero personale degli ufficiali cileni sull’im-portante problema delle relazioni tra l’ordinamento civile e quello militare.

Durante la loro carriera gli ufficiali del sud avevano con-tatti soprattutto con l’alta classe rurale o con l’aristocrazia possidente; invece nel nord li avevano con i professionisti e i commercianti, che erano considerate classi “alte” in termini locali e medie su scala nazionale. Quelli che dimorarono più lungamente a Santiago ebbero maggiori contatti con la nuova classe media urbana.

Le esperienze, fatte dai militari durante la loro carriera, possono essere rilevanti per determinare la loro personalità. In genere però è difficile ottenere soddisfazioni nella carriera in funzione puramente militari, sempre che non si tratti di attività di alto livello.

Una particolare esperienza fu l’incorporazione dei militari ai programmi di sviluppo nazionale di “Azione Civica”. Essa fu promossa il 1961 dal pentagono per migliorare l’immagi-ne dei militari presso i civili ma portò solo uno scarso nume-ro di militari al contatto diretto con i problemi sociali, umani ed economici. Inoltre questa deviazione dell’attività militare, che sino allora era esclusivamente orientata alla difesa, non fu ben accolta da tutti i settori militari poiché i progetti di sviluppo potevano essere portati a termine più economica-mente dai soli civili. Comunque, l’incorporazione di ufficiali

Ne consegue che la truppa e i sottufficiali partecipavano senza troppi problemi alle repressioni avvenute in piazza Bulnes a Santiago il 194623, ancora nella capitale il 2 aprile 195724, nella borgata Josè Marìa Caro nel dicembre 1962, e, nella miniera di El Salvador nel 196625, adempiendo gli ordi-ni superiori al fine di ristabilire l’ordine pubblico.

23 Tale repressione fu la conseguenza dei seguenti avvenimenti politici che avvennero in quegli anni: «Las conspiraciones peronista. A partir de 1943 se hizo sentir la influencia del peronismo sobre la imaginación política de los oficiales chilenos, igual que ocurría en el conjunto de América Latina. Hasta se constituyó, en 1946, un «Ministerio del Tercer Frente», en la confusión que reinaba durante la enfermedad del presidente Juan Antonio Ríos, poco antes de la muerte de éste, y como resultado de los conflictos que dividían a comunistas y socialistas, y al día siguiente de la mortífera represión de una manifestación callejera en Santiago. Dicho Ministerio se apoyaba en la alianza de algunos jefes socialista con ciertos jefes militares inspirados en el peronismo». Cfr., Alain Joxe, Las Fuerzas Armadas en el sistema político chileno, cit., p.79.24 Los desordenes de abril, 1957. En 1957 le fueron otorgados nuevamente píenos poderes, a causa de los des ordenes anárquicos producidos en Santiago. Durante los tres primeros días de abril se produjeron graves desórdenes como consecuencia del alza del costo de la vida y de la congelación de los salarios, insertada en el marco de la política antiflacionista aplicada por Ibáñez, aconsejado por la misión de expertos norteamericanos, Klein-Sacks. La causa inmediata de los desórdenes, sobre los cuales no existe ningún estudio histórico serio, fue un aumento de las tarifas de transportes colectivos. Los revoltosos que bajaron de sus «callampas» hacia el centro de Santiago, trataron de apoderarse del palacio presidencial, de incendiar la Catedral y el Congreso, apedrearon la sede de «El Mercurio», saquearon las tiendas e incendiaron automóviles. Los desordenes pudieron tomar tal incremento, en parte, porque según se dijo, se dejó pasar un lapso demasiado largo entre el momento en que los carabineros, literalmente vencidos por la muchedumbre, habían abandonado la calle a los revoltosos y el momento en que el general jefe de plaza que tenia la responsabilidad de mantener el orden a título del estado de urgencia, pudo iniciar la represión. Ciertos comentaristas vieron en esta incuria la huella de una intervención indirecta de grupos de derecha que deseaban provocar la represión. El Gobierno atribuyó los hechos a la influencia comunista, pero los comunistas tentaron, al contrario, de contener esta agitación anárquica que no controlaban, de manera alguna. Para restablecer el orden la tropa disparó y según las cifras oficiales, causó 18 muertos, según fuentes oficiosas, causó 70 muertos y más de 200 heridos. El Presidente, que había recibido píenos poderes, renunció a ellos al cabo de pocos días. Cfr., Ivi, pp. 82-83. Inoltre cfr., «Keesing’s Contemporary Archives», April 2-9 1957, p. 1500.25 Gli accadimenti avvenuti alla miniera di El Salvador sono connessi al mandato militare in zona di emergenza durante l’amministrazione Frei: «Sin embargo, bajo la administración Frei, estas facultades fueron extendidas, hasta abusivamente, y los usos técnicos y logísticos de las fuerzas armadas fueron extendidos hasta incluir sus funciones represivas (legalmente justificadas). Para explicar este fenómeno, podemos citar el ejemplo de la masacre de ocho trabajadores de El Salvador, en marzo le 1966. El coronel Manuel Pinochet (primo del dictador) fue designado Comandante de la Zona (Jefe de Plaza) declarada por Frei zona de emergencia, como resultado de una prolongada huelga de mineros del cobre. Al mismo tiempo, Pinochet fue nombrado interventor militar (director temporáneo) de la compañía minera. Esta posición dual está agravada por el hecho de que las funciones del Comandante de Zona están lejos de ser claramente definidas, y, ambiguamente, incluyen el control del Orden Público, así como una superposición de autoridad sobre los tradicionales poderes civiles locales. Efectivamente, el Comandante de Zona es el representante elegido por el Presidente, llenando el papel temporal de dictador local. Pinochet emergió del escándalo público suscitado por la muerte de los trabajadores completamente indemne; intocado por la ley civil y protegido por la ley militar, con la justificación de que las muertes eran el resultado de una misión pacificadora de parte de los militares. El papel dual de Comandante de Zona permite llevar a cabo dos aspectos de la represión antipopular, en interés de la Seguridad del Estado y del capitalismo». Cfr., Raul Ampuero, El poder político y las Fuerzas Armadas, cit., pp. 3-4.

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vislumbra como un proceso difícil?Vamos a llegar a la elección manteniendo nuestra tradición de pleno respaldo a las decisiones del Gobierno Constitucional de la Repúbli-ca, vamos a garantizar la normalidad del proceso eleccionario y a dar seguridad de que asuma el Poder Ejecutivo quien resulte electo.Puede darse el caso de que ninguno de los candidatos obtenga ma-yoría absoluta en septiembre. Se ha dicho en varios tonos que podrá ocurrir por primera vez que el Congreso chileno no ratificara al po-seedor de la mayor cantidad de votos y, en cambio, designara como Presidente de Chile a quien obtenga la segunda mayoría. Cuál sería en ese caso la actitud del Ejército?Insisto en que nuestra doctrina y misión es de respaldo y respeto a la Constitución Política del Estado. De acuerdo con ella el Congreso es dueño y soberano en el caso mencionado y es misión nuestra hacer que sea respetado en su decisión.

CUMPLIREMOS LA CONSTITUCION

- Y si en ese caso se produce una situación de seria convulsión interna que incluso podría degenerar en algo mayor?Si se producen hechos anormales nuestra obligación es evitar que ellos impidan que se cumpla lo que indica la Constitución. El Ejército va a garantir el veredicto constitucional- Después de las circunstancias vividas últimamente, cuál es, según su concepto, la situación del Ejército? Puede asegurarse que existe estabilidad total?Pequeñas situaciones locales no implican un síntoma de inestabili-dad. Hay solidez institucional. Los hombres del Ejército viven una sociedad viva, que vibra, es imposible, entonces, que están totalmente al margen de lo que ocurre a su alrededor, pero es indispensable que no participen. Y, en último caso, quien tenga una inquietud grande con respecto a ciertas ideas, ciertas tendencias, o ciertas actividades políticas y desee participar en ellas, lo mejor es que deje el uniforme y las abrace como un civil. Esa es nuestra posición.

DISCIPLINA

- Los mismos sucesos mencionados hacen pensar a muchos que se ha relajado la disciplina en el Ejército. Existe la misma obediencia y disciplina de antes?La disciplina se mantiene inalterable, naturalmente que con los cam-bios derivados de la época en que vivimos. La disciplina se funda-menta en la conciencia de superior y subalterno, en el ascendiente de mando. Lógicamente no es como antaño cuando no había acceso a la gestación de las órdenes. Ahora el subordinado piensa e incluso sugiere y esto es un aporte a la efectividad de esa orden, pero, llegado el momento de cumplir lo resuelto, se cumple sin discusión26

René Schneider, con quarantuno anni di carriera nell’eser-cito e ufficiale di stato maggiore, fu designato comandante

26 Generale René Schneider intervista rilasciata dal Comandante in Capo dell’Esercito al periodico «El Mercurio» l’8 maggio 1970. René Schneider Chereau, oficial de Estado Mayor brillante carrera militar, fue designado Comandante en Jefe el 23 octubre de 1969, en circunstancias conflictivas para las Fuerzas Armadas. Su saludo al Ejército en el momento de asumir traduce en compleja situación que entonces vivía la institución castrense: “Al asumir el mando del Ejército deseo expresar a todos sus miembros el alto honor que significa comandar a nuestra institución, cuya trayectoria profesional cuyos fundamentos doctrinales y de principios permanecen inconmovibles e inalterables frente a quienes han pretendido perturbar su normal conducto de acción”.Militar constitucionalista sucedió en el Alto Mando al General Sergio Castillo Arànguiz, quien debió dejar su cargo, llamado a retiro, porque no judo controlar un pronunciamiento que se produjo en las filas, al frente del cual apareció Roberto Viaux Marambio, a la sazón General de Ejército, pero llamado a retiro. Ese acontecimiento se le conoce en jerga popular como “El Tacnazo”, porque Viaux escogió el cuartel del Regimiento de Artillería Tacna, en Santiago, para precipitar el pronunciamiento, que constituyó un grave problema para el gobierno de la época presidido por el democratacristiano Eduardo Frei. Cfr., AA.VV., El caso Schneider, Santiago, Editora Nacional Quimantú, 1972, pp.172-173.

superiori in istituzioni civili fu l’inizio di un’integrazione istituzionale nei compiti dello sviluppo nazionale e gli effetti di tale integrazione furono considerati positivi perché favori-va una fuori uscita dal forzoso mutismo politico dei militari. La sfortunata contropartita di tale processo fu, nel periodo di Allende, l’emergere di atteggiamenti chiaramente fascisti in molti ufficiali superiori.

Si consideri di nuovo la dottrina istituzionale dell’esercito cileno, che ha una chiara evoluzione storica e una pratica corrispondente. L’influenza prussiana, stabilita dalla missio-ne tedesca diretta da Emil Körner alla fine del secolo scor-so, è riconosciuta ancora oggi come effettiva e come fattore primordiale nel mantenimento della disciplina. Sebbene non si possa determinare bene l’importanza, l’influenza USA era considerevole e comincia a essere rilevante soprattutto dopo la seconda guerra mondiale. Tale influenza è decisiva come conseguenza dello spostamento dell’attenzione dalla difesa esterna a quella antisovversiva e la conseguente adozione, com’era avvenuto in altri paesi latinoamericani, di pro-grammi di azione civica e lo sviluppo di efficienti forze di “pacificazione”o di polizia.

Nel primo capitolo si è considerata la dottrina militare ci-lena, com’è stabilita dalla Costituzione del 1925 e dal codice di giustizia militare del 1926. Considerando anche le succes-sive modificazioni, risultava che nell’apparato statale l’eser-cito era molto repressivo. Tuttavia gli interventi militari nel passato erano stati piuttosto pochi, uno ogni circa quaranta anni. Si può allora dire che sino al 1969 i militari erano “sod-disfatti” della posizione loro concessa nel sistema. Si trattava però di un delicato equilibrio della relazione civico-militare poiché esso era fondato anche sull’obbedienza al “Generalis-simo”. In questo modo l’equilibrio reggeva perché almeno una parte dell’alta gerarchia militare era dalla parte del go-verno costituzionale. Quando però un tale settore fu elimi-nato, come nell’agosto del 1973, l’equilibrio fu rotto e restò aperto il cammino alla completa insurrezione istituzionale.

LA DOTTRINA SCHNEIDER

Riallacciandosi a quanto si è già detto riguardo a settori della gerarchia, sostenitori della linea costituzionalista, dob-biamo far riferimento a quella che fu definita la “dottrina Schneider”.

LA DOCTRINA SCHNEIDER

- Que piensa el Comandante en Jefe con respecto a la participación de personal militar en actividades políticas?Esa intervención en política está fuera de todas nuestras doctrinas. Somos garantes de un proceso legal en el que se funda toda la vida constitucional del país. Por ello no se puede permitir que se realicen tales actividades. Es nuestra doctrina garantizar la estabilidad inter-na y a do deben tender todos nuestros esfuerzos y es una razón pode-rosa por la cual no debernos tener preferencia por ninguna tendencia, candidatura o partido.

GARANTIZAMOS

- Cuál es su pensamiento con respecto a la próxima elección que se

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della violenta risposta reazionaria, data dagli USA e dagli oppositori di Allende alla “via pacifica al Socialismo”.28

Il 21 dicembre del 1970 il Presidente Allende descrisse Schneider come il simbolo del soldato con una coscienza umana e civica, che serve la madre patria in pace, obbedendo alla legge.

La dottrina Schneider fu forse una continuazione del mito delle Forze Armate, e servì per mantenere una cecità gene-rale rispetto alla presenza politica dei militari. Inoltre fu in-gannata l’opinione pubblica, facendola pensare che Allende controllava le Forze Armate.

La dottrina, un pò mitizzata dall’assassinio di Schneider, non fu conosciuta apertamente fino al 1970. In un discorso del 13 marzo del 1970 egli riaffermò la credenza popolare

28 Il Generale Prats racconta l’avvenimento nel suo diario: «El jueves 22 de octubre me encontraba trabajando en mi oficina del 50 piso del Ministerio de Defensa Nacional, cuando a las 08:30 suena el citófono interno y siento la emocionada voz del ayudante del Comandante en Jefe, Comandante Santiago Sinclair, quien me avisa apresuradamente que Schneider ha sido victima de un atentado, que está herido y que fue trasladado al Hospital Militar. Parto con el General Manuel Pinochet al Hospital Militar y nos encontramos con la dolorosa noticia de que el estado de Schneider es gravísimo. Su automóvil había sido bloqueado poco después de las 08:00 en la intersección de Martín de Zamora con Américo Vespucio por varios automóviles, para permitir que un grupo de individuos jóvenes rodeara su vehiculo, y destrozara con martillos los cristales traseros y de la puerta lateral izquierda. Estos, al percatarse de que Schneider intentaba usar su pistola, descargaron sus armas de fuego, algunas calibre 45, sobre su cuerpo vulnerable y huyeron. El conductor, viendo que Schneider se desangraba, se traslado a gran velocidad al Hospital Militar, donde — en los momentos en que llegamos con el General Manuel Pinochet — era eficientemente sometido a los auxilios que el grave caso requería por un grupo de cirujanos militares. Veo el cuerpo inconsciente de Schneider, inmóvil sobre la camilla, con su rostro hecho mármol y su busto bañado en sangre. Uno de los tres balazos le había perforado los pulmones, le rozó el corazón y le destrozó su hígado. Siento un intenso dolor ante la tragedia del gran amigo y me siento como si rodara por un negro precipicio, en medio de una vertiginosa iluminación de imágenes siniestras en que se alternan multitudes enloquecidas y despavoridas que gritan desaforadamente en medio del agudo traqueteo de ametralladoras y el ronco estallido de bombas. […]. A las 10:00 concurre el Presidente Frei al Hospital Militar, profundamente impresionado por lo ocurrido. Analizamos rápidamente la situación, te impongo de las medidas que he adoptado y me confirma su confianza como Comandante en Jefe Subrogante del Ejército. […] . A medianoche espero en el Hospital Militar el resultado de una segunda operación de Schneider. Lamentablemente, sólo puede lograrse el taponaje de la región abdominal. Su estado es de suma gravedad. Durante el día viernes 23 de octubre, entre viajes al Hospital Militar y a la Comandancia en Jefe, reviso y apruebo las medidas de seguridad para el funcionamiento del Congreso Pleno del día siguiente. La situación de orden público se presenta aparentemente controlada. En todos los cuarteles del Ejército se vive un estado de tensa indignación y de angustiosa espera de la evolución de los esmerados cuidados que los cirujanos militares prestan día y noche a Schneider. A las 13:00 del sábado 24 de octubre, es proclamado Salvador Allende Gossens como Presidente de la República: 153 votos a su favor de los partidos de la Unidad Popular y Democracia Cristiana, 35 votos en favor de Alessandri y 7 votos en blanco. A las 19:00, los tres Comandantes en Jefe, Almirante Tirado, General Guerraty y yo, con el General Director de Carabineros, Vicente Huerta, cumplimos el deber protocolar de saludar al Presidente Electo en su domicilio. Es la primera vez que converso con Salvador Allende. Enseguida, me traslado al Hospital Militar donde recibo esperanzado el informe médico de que Schneider ha experimentado una leve reacción favorable. El domingo 25 de octubre, a las 07:30 me avisan telefónicamente del Hospital Militar que Schneider ha sufrido un paro cardiaco. Llego a las 07:50 a la sala de operaciones, en el momento que el Comandante en Jefe deja de existir». Cfr., Carlos Prats Gonzales, Memorias. Testimonio de un soldado, cit., pp. 184-187.

in capo il 23 ottobre del 1969 in circostanze abbastanza con-flittuali per le Forze Armate. Infatti, si trattava di un periodo politico particolarmente nuovo per Cile, con il movimento popolare in ascesa e con una campagna elettorale presiden-ziale particolarmente difficile, nella quale figuravano tre can-didati:

- Salvatore Allende, candidato di UP (coalizione di sini-stra: PC, PS, Partito Radicale, Movimento di alleanza popo-lare (MAPU) e Partito Socialista Democratico);

- Jorge Alessandri, candidato dalla destra nazionalista;- Radomiro Tomic, candidato dalla DC (Democrazia Cri-

stiana).Si andava alle urne con una situazione politica, che vede-

va da un lato un forte schieramento di sinistra e dall’altro le tendenze moderate, divise in due schieramenti: la DC e le forze di destra.

In questo quadro politico, alla vigilia della campagna elet-torale il generale Schneider, comandante in capo dell’eserci-to, dichiarò l’8 maggio del 1970, in un’intervista nella prima pagina del «El Mercurio», i seguenti punti:

1) l’esercito garantirà il verdetto costituzionale o eletto-rale;

2) l’intervento dell’esercito nella politica è contrario a tutte le nostre dottrine;

3) se ci saranno delle anormalità o dei turbamenti, sarà no-stro dovere assicurare il totale completamento del processo costituzionale;

4) sarà Presidente il candidato deciso dall’elettorato, se otterrà la maggioranza assoluta; o quello designato dal Con-gresso, nel caso che nessuno dei candidati lo ottenesse;

5) ogni membro delle Forze Armate, che sia “preoccupa-to” per certe idee politiche o attività e tendenze, dovrebbe lasciare le file della propria Arma e continuare a vivere come civile.

Una serie di congetture e d’interpretazioni seguirono alle affermazioni del generale, in quanto si era in presenza di due fattori, che davano alle elezioni un carattere incerto ed enig-matico:

- la generalizzata convinzione che lo scarto di voti per la vittoria dei tre candidati, sarebbe stato minimo;

- la circostanza che nessuno di essi avevano l’appoggio maggioritario in Parlamento.

Pertanto la solenne dichiarazione di rispetto dei procedi-menti costituzionali poneva le Forze Armate e il suo coman-dante in capo in una posizione precisa di fronte a tutte le forze politiche, nessuna delle quali avrebbe potuto pensare di ribaltare la situazione politica, che si veniva a creare dopo le elezioni, con l’aiuto delle Forze Armate.

Dopo la vittoria di UP, il 2 settembre 1970 Schneider di-chiarò: «Noi appoggeremo e proteggeremo sino alla fine il Presidente che è eletto dal congresso».27

Il 25 ottobre 1970 Schneider fu assassinato da un com-plotto politico organizzato dalla destra e alcuni membri delle Forze Armate. L’uccisione di Schneider fu il primo esempio

27 Ivi, p. 182.

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La dottrina Schneider fu un prodotto storico del ruolo dei militari sino al 1970, soprattutto come un gradino nell’evolu-zione della relazione che le Forze Armate avevano col potere civile, relazione che era subordinata alla situazione politica, formulata in difesa degli interessi della sicurezza nazionale basati sulla Costituzione del 1925. Le opinioni politiche del generale non andavano di conseguenza molto più in la della Costituzione e avevano soprattutto l’intento di convincere sia i settori civili sia quelli militari del dovere costituzionale dei militari.

La dottrina Schneider non è una dichiarazione rappresen-tativa del pensiero degli ufficiali cileni ma piuttosto un’opi-nione personale, con effetti soprattutto orali o non necessa-riamente pratici.

Si aggiunge che il relativo terreno di prova furono gli av-venimenti del 1970-73, quando la dottrina fu portata alla pratica dal generale Prats, secondo comandante in capo di Schneider e comandante in capo sotto Allende.

Per una migliore conoscenza della dottrina o del pensie-ro di Schneider si riportano le frasi più importanti di alcuni suoi appunti, stesi nei momenti cruciali di settembre-ottobre del 1970. Sono note personali su un seminario, che lui tenne all’accademia di guerra il 10 settembre e quelle relative a un

che le Forze Armate avrebbero rispettato il sistema legale democratico:

Nel nostro paese viviamo sotto un governo legale, il quale è stato elet-to, accettato e controllato dal popolo, dalla nazione. Il sistema eletto-rale, dal quale è derivato il presente governo, è definito con assoluta precisione; e nel relativo processo legale le Forze Armate devono agire come una garanzia e un pilastro per la sua normale e giusta com-prensione.29

29 Il discorso è tenuto da Schneider il 13 marzo del 1970 al Consiglio Generale delle Forze Armate Cilene. Il Generale Carlos Prats, presente alla riunione, descrive l’avvenimento nelle sue memorie: «El 13 de marzo se inicia un Consejo de Generales. al que asisten los generales de división Manuel Pinochet, Pablo Schaffhauser, Camilo Valenzuela, Francisco Gorigoitía y yo; los generales de brigada Eduardo Arriagada, Raùl Poblete, José Larrain, Galvarino Mandujano, Augusto Pinochet, Orlando Urbina, Furique Garín, Manuel Torres de la Cruz. Oscar Bonilla, Ervaldo Rodriguez, José Valenzuela, Alfredo Canales, Eduardo Cano, Pedro del Río y José Rodríguez, y el Coronel Mario Sepúlveda. No concurrieron, por encontrarse transitoriamente en el extranjero los generales de brigada Rolando González y Héctor Bravo y el Agregado Militar en los EE.UU., General de brigada Ernesto Baeza. He enumerado los asistentes a este consejo, porque, además de ser el primero en que Schneider reunía a todos los generales, es la oportunidad en que el Comandante en Jefe define con absoluta claridad su pensamiento completo sobre la situación que vivía el Ejército, y señala las pautas orientadoras de la marcha de la Institución en el futuro». Ivi, pp. 147-148.

La Moneda

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I fattori storici che hanno forgiato il carattere dei militari cileni (Forze Armate e Carabinieri) non sono una serie li-neare di elementi trascendenti. Invece, molti dei problemi del ruolo delle Forze Armate nella vita della società cilena si trovano, di fatto, mascherati col risultato che tra il dettato costituzionale e l’azione quotidiana dei militari si sviluppano divari e contraddizioni tra le Forze Armate e la società.

La Costituzione del 192532 fornisce il referente essenziale per comprendere adeguatamente il comportamento e l’attivi-tà dei militari per tutto il periodo del governo costituzionale in Cile sino al 1973.

Uno dei miti della cultura politica cilena è che le Forze Armate sono fuori o sopra le parti, dalle lotte e dei problemi sociali e politici della società. Per tale cultura la presenza delle Forze Armate nella società è solo in funzione della di-fesa delle frontiere nazionali e dei relativi interessi strategici, includendo in tale difesa quella del patrimonio nazionale e della sicurezza di tutti i cittadini o dell’ordine interno.

Così dovrebbe essere. Così forse non è stato nel Cile al tempo della crisi dal 1970 al 1973. Infatti, tale concezione di-mentica che in genere le Forze Armate hanno un alto potere coercitivo col risultato che in una situazione di forte polariz-zazione politica possono avere un ruolo traumatico.

ORIGINE DELLA COSTITUZIONE DEL 1925

Alla prima Costituzione del Cile, nel 1828, caratterizzata come liberale pur essendo stata emanata sotto la presidenza di Francisco Antonio Pinto, che era stato un generale dell’e-sercito cileno, seguì la Costituzione del 1833 fondata, a dif-ferenza della precedente, su “principii nettamente autoritari e conservatori”; e anche questa volta il Presidente della Re-pubblica, Joaquin Prieto, era un generale dell’esercito cileno.

Nel 1891 l’ordinamento costituzionale fu notevolmente modificato, il potere esecutivo fu ridotto quasi all’impotenza e si rafforza invece quello legislativo-parlamentare.

Il testo della Costituzione del 1833, interpretata erroneamente da buo-na parte della storiografia come la carta autocratica voluta dal ministro

32 Hasta el 11 de Septiembre de 1973 rigió en Chile la Constitución de 1925, preparada en ese año por una comisión pluralista designada por el entonces Presidente de la Republica don Arturo Alessandri y aprobada plebiscitariamente en Agosto del mismo año. Su contenido, en lo fundaméntale es el mismo de la Constitución de 1833, aunque hizo avances en materia de garantías individuales e y sociales, definición del régimen político y perfeccionamiento de Estado de Derecho. Por ello, puede decirse que ha habido en Chile, formal y sustantivamente, una notable continuidad y regularidad constitucional, desde 1833 hasta 1972, es decir, durante 140 años. Cfr., Jorges Tapia Valdés, Poder Judicial, gobiernos de facto y protección de la Constitución: el caso de Corte Suprema de Chile, Rotterdam, Institute for the New Chile, 1979, p. 33. Jorge Tapia Valdés, abogado y profesor universitario, desempeñó tareas docentes en la Universidad de Chile como Profesor de Derecho Constitucional. En los últimos años ha sido investigador y docente en varias universidades latino y norteamericanas. Actualmente es Profesor Visitante de Derecho Publico en la Universidad Erasmo de Rotterdam y asociado del Instituto para el Nuevo Chile. Durante el gobierno del Presidente Allende desempeño las carteras ministeriales de Justicia y Educación. El presente trabajo fu expuesto y debatido durante el Seminario sobre Seguridad Nacional y Fuerzas Armadas, organizado por el Instituto para el Nuevo Chile en Febrero de 1979.

suo discorso all’accademia del politecnico il 15 ottobre.Dagli appunti sul seminario si deduce che per lui due pro-

blemi si presentavano all’esercito e soprattutto al suo coman-dante in capo:

1) l’esercito non doveva convertirsi in un ostacolo tra le due principali forze elettorali;

2) il futuro dell’esercito trascendeva la politica qualunque fosse il partito eletto per governare.

Qual è il nostro atteggiamento? L’unico: la legalità. Gli altri atteggia-menti ci dividono, e ci collocano contro il popolo. I risultati elettorali sono sotto la nostra responsabilità. La soluzione è politica e spetta al Congresso; non è sicuramente una soluzione armata. No alla guerra civile. Il nostro futuro è inquietante e insicuro, anche sotto altri aspetti. Assicurare la nostra istituzionalità: difficile, ma non impossibile. Sia Allende sia Alessandri richiedono appoggio per governare. Ci sono dettagli precisi per negare quest’appoggio: il Congresso. Uniti, sare-mo capaci.30

Negli appunti per il suo discorso all’accademia del politec-nico militare, il 15 ottobre del 1970, scrisse:

L’ambiente istituzionale attuale richiede dimostrazione di tranquillità professionale. Riconosco inquietudine nelle persone, dubbi sul futuro, angoscia personale che io ho. Questo non può cambiare il nostro atteg-giamento professionale. L’ho detto molte volte che è l’unica cosa che ci unisce. Intimidazioni, infiltrazioni multiple, Generale Viaux, politi-ci diversi, lettere, telefono,conversazioni; obbiettivo rompere l’unione (...). Politica seguita mantenimento della posizione legale. Mantenere contatto (...); appoggio a ciò che decide il Congresso. Per golpe, in-formazioni opportune. Mantenere l’unione istituzionale, preparazione per attuarla, piani e analisi di ogni circostanza. Politica: futura garan-zia costituzionale nostra principale difesa, nostra inalterabile posizio-ne, dottrina chiara e precisa; unione istituzionale (dentro l’esercito) e tra istituzioni (con marina e aviazione). Proporre al futuro governo politica di difesa nazionale, politica istituzionale. Pianificazione per sei anni: definizione, obiettivi, classificazione; programmare la nostra evoluzione. Non fermare l’evoluzione e i cambi. Dobbiamo accettarli, dirigerli; non cadere in estremi. Ciò che non desidero: sono colpi di stato militari o civili, organizzazioni civili con molteplici obiettivi, campagna del terrore.31

Questa dottrina illumina, nelle vissute circostanze del 1970, certe posizioni strategiche che adottò Schneider come militare costituzionalista e non come un politico civile né con interessi in mente, che non fossero quelli puramente de-mocratici. Possiamo riassumerle brevemente:

1) l’esercito deve appoggiare l’evoluzione democratica;2) l’esercito è il garante di questo processo, e come tale ha

l’ultima parola in questi problemi;3) l’appoggio del parlamento e dell’esercito è essenziale

per il governo, sia di sinistra sia di destra;4) l’unità dell’esercito è fondamentale per evitare una si-

tuazione di guerra civile;5) l’unità può essere raggiunta soltanto con l’appoggio to-

tale al regime legale.LA COSTITUZIONE DEL 1925

30 Cfr., Joan Garces, Allende y la experiencia chilena – las armas de la critica, Barcelona, Ed. Ariel, 1976, p. 273-274. Inoltre cfr., AA.VV., El caso Schneider, cit., pp. 187-192. 31 Ibidem.

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Il 30 agosto del 1925 fu votata la nuova Costituzione che rimase in vigore fino al 1980.

ALCUNI RILIEVI SULLA COSTITUZIONE DEL 1925

La Costituzione del 1925 è divisa in dieci capitoli, con un totale di 110 articoli, più dieci disposizioni transitorie.

La commissione Consultiva fu consigliata da un gruppo di tecnici, che la perfezionarono dal punto di vista lessico-grammaticale e giuridico. Tuttavia, per la ristrettezza del tempo, si commisero degli errori, così ad alcune materie non si diedero l’ubicazione e l’importanza che le circostanze ri-chiedevano.

Inoltre la Costituzione del 1925 non è stata applicata nella sua integrità perché i precetti, che contengono alcune del-le più interessanti riforme, non sono stati mai regolati. Così avvenne con le assemblee provinciali, i tribunali ammini-strativi, l’indennizzo per i condannati poi risultati innocen-ti, la proprietà familiare, e altre disposizioni, che sono state chiamate “le disposizioni programmatiche incomplete della Costituzione del 1925”. A esse si deve aggiungere che il de-centramento amministrativo, cui aspiravano i costituzionali-sti del 1925, non si realizzò mentre, di fatto, si accentuò la centralizzazione, con evidente danno per la vita delle pro-vincie e specialmente degli organi di amministrazione locale che sono le municipalità.

Sono numerosi i progetti di riforma che sono stati presen-tati per modificare la Costituzione del 1925, ma molti di essi non sono stati nemmeno discussi. Solo due leggi di riforma sono state promulgate:

- la legge n. 7727, del 23 novembre del 1943;- la legge n. 12548, del 30 settembre del 1957.La prima aveva come finalità principale quella di ordinare

la finanza; l’altra invece trattava della nazionalizzazione dei nati in Spagna e della perdita della nazionalità cilena.

Dal 1925 fino al 1973 si è creata una nutrita e interessante legislazione complementare e regolamentare della Costitu-zione35, in vigore sino al 1980, anno in cui è stata promulgata la nuova Costituzione cilena da Pinochet.

L’ARTICOLO 22 DELLA COSTITUZIONE

Per comprendere in maniera sufficientemente adeguata “il mito militare cileno” e quindi la reale funzione dei milita-ri nella vita della Repubblica, si deve soprattutto analizzare l’articolo 22 della Costituzione, che fu ridefinito nel 1970.

Art. 22.- La fuerza pública está constituida única y exclusivamente

35 El estudio de la Constitución de 1925, de las decisiones judiciales y de la práctica política chilena, lleva a la conclusión de que el país había elaborado un vasto y complejo sistema de protección de la supremacía constitucional. Dentro de dicho sistema, podían distinguirse tres niveles de control de la constitucionalidad: el de los actos del Poder Legislativo, el de los actos políticos de Gobierno, y el de los actos comunes de la Administración ordinaria. Cfr., Jorges Tapia Valdés, Poder Judicial, gobiernos de facto y protección de la Constitución: el caso de Corte Suprema de Chile, cit., p.12.

degli interni [Diego Portales], rappresenta la volontà dei costituenti di andare al di là dell’emergenza politica e dei rapporti di forza del momento e di disegnare una istituzionalità di più ampio respiro. In essa vengono recepite le inquietudini dei liberali dell’epoca e in essa convivono, in una sorta di curioso equilibrio, elementi di presidenzia-lismo e di parlamentarismo. Non a caso rimane in vigore, per quasi un secolo, sino al 1925 e garantisce il quadro istituzionale del paese anche durante l’esperienza del parlamentarismo (1891-1925).33

Con l’inizio del nuovo secolo la situazione politica diventa ancora più instabile per l’inasprirsi della questione sociale e anche in Cile fecero la loro comparsa “i partiti democratici”, che nelle elezioni del 1924, ebbero la maggioranza in en-trambe le camere sotto la presidenza di Arturo Alessandri, un civile di origine italiana che in precedenza aveva formulato un programma politico democratico e quasi rivoluzionario per quegli anni. Basta pensare al decentramento amministra-tivo, al suffragio femminile, alla separazione della chiesa dallo stato, all’imposta sul reddito, al codice del lavoro e al controllo del governo sull’industria dei nitrati.

Esasperati dall’indifferenza con cui i parlamentari affrontano la loro richiesta di aumenti salariali, il 2 settembre 1924, 56 ufficiali dell’e-sercito fanno irruzione nel Senato mentre è in corso un dibattito su un progetto di legge per l’istituzione di uno stipendio ai parlamentari (le cariche parlamentari non sono retribuite) come strumento di democra-tizzazione del Congresso che avrebbe permesso l’accesso a persone senza fortune personali, e esprimono la loro protesta. Qualche giorno dopo formano un comitato che presenta a Alessandri un memoran-dum con una serie di petizioni. Queste ultime, vanno al di là delle rivendicazioni dei militari e includono una serie di punti contenuti nel programma elettorale di Alessandri mai realizzati. Tra questi viene contemplata la riforma della Costituzione, la promulgazione imme-diata di uno statuto dei lavoratori, l’approvazione di un’imposta alla rendita e una serie di altre leggi riguardanti la questione sociale. […].All’Esercito intanto si associa nella protesta la Marina, dichiaratamen-te antialessandrista. Dinanzi a questa situazione Alessandri rinuncia alla sua carica e abbandona il paese. L’11 settembre del 1924 si costi-tuisce una giunta militare che annuncia i suoi propositi di “abolire le falde politiche” e convocare una libera assemblea costituente con l’o-biettivo di redigere una nuova Costituzione che ponga fine al “parla-mentarismo selvaggio” degli ultimi trent’anni e accolga le aspettative legittime di ordine e progresso del popolo cileno. Alla fine di questo processo le forze armate sarebbero ritornate nelle loro caserme. […].Dopo pochi mesi la giunta militare si scioglie e dà vita, insieme a esponenti dei Partiti radicale, democratico e a alcune frazioni dei li-berali, a un movimento di militari e civili che chiedono il ritorno di Alessandri e la formazione di un governo civile. Il presidente riassume il suo incarico alla fine del gennaio 1925 […] nomina immediatamen-te una commissione consultiva costituita dai rappresentanti di tutte le tendenze politiche, inclusi i comunisti, e delle organizzazioni sociali con il compito di preparare e organizzare un’assemblea costituente che però, per problemi dovuti alle tensioni politiche, non viene mai eletta. La commissione consultiva si fa quindi carico della stesura del-la nuova Costituzione che, sottoposta a plebiscito, viene votata in ago-sto e promulgata il 18 settembre 1925. Sottraendo al Congresso una serie di prerogative in materia finanziaria, […] Alessandri instaura un regime di tipo presidenziale. […]. Ma il punto debole di questa Costituzione è il nodo non risolto della relazione presidente-parlamento. Il grande potere extraparlamentare dei partiti politici che era stato un elemento fondamentale della crisi del sistema politico precedente, sopravvive alla riforma del 1925 e nel corso dei decenni successivi si consoliderà sempre di più.34

33 Maria Rosaria Stabili, Il Cile. Dalla Repubblica Liberale al dopo Pinochet (1861-1990), Firenze, Giunti Gruppo Editoriale, 1991, p.13.34 Ivi, pp. 49-51.

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di chiusura dei circoli militari, soprattutto degli ufficiali. A volte la chiusura è tale che gli iscritti sembrano membri di una casta.

Per alcuni teorici l’esclusione dei militari dalla vita politi-ca è un elemento del sistema sociale borghese, studiato per isolare i militari dai conflitti presenti nelle società borghesi. Tale fatto però si tratta di un equivoco perché gli ufficiali, in genere di formazione borghese, interverranno con tutta la forza repressiva delle armi se i conflitti sociali mettono in pericolo gli interessi o i privilegi della borghesia.

Il mito della professionalizzazione dell’esercito fu rotto dal Tacnazo del 1969 quando il reggimento blindato “Tac-na” distanza a Santiago, occupò la caserma (come l’anno prima avevano fatto gli studenti con l’Università e i cristiani di sinistra con la Cattedrale) e pose una serie di rivendicazio-ni professionali (più armi) e sindacali (più salario). Il capo dell’iniziativa era il generale Viaux, messo a riposo proprio alla vigilia del colpo e molto popolare per le sue prese di po-sizione “sindacali” in favore dei militari. La rivolta si spense non appena fu data la garanzia che sarebbero state accolte le rivendicazioni; ma se solo il reggimento blindato si ribellò apertamente, in pratica tutto l’esercito fu complice poiché l’aviazione si rifiutò di intervenire e i “reparti fedeli” non diedero l’assalto alla caserma occupata.

L’episodio del Tacna, “il primo sciopero dei militari in Cile”, fa sospettare «al livello più alto della gerarchia mili-tare, un abbozzo di manovra più politica che professionale, tendente a revocare alla Democrazia Cristiana il beneficio dello sforzo che essa si decideva in extremis a compiere in favore delle Forze Armate, obbligandola ad agire sotto la pressione delle baionette»37: un’operazione di inequivocabi-le segno di destra.

È importante chiarire che se la ribellione poté passare ed avere una conclusione vincente fu a causa di una frattura, ormai consolidata all’interno delle Forze Armate. La rottura del rigoroso professionalismo, che da quarant’anni circa ave-va caratterizzato l’esercito nella sua interezza, significava il rifiuto, di segno politico uniforme, di “un’ideologia militare” che si basava su una sostanziale adesione al regime.

L’esercito risentiva delle forti tensioni sociali e le esprime-va al suo interno mostrandosi politicamente non unificato, fra un’ala di destra golpista e fascista, di “stampo brasiliano”, e un’ala di sinistra, addirittura di estrema sinistra. In mezzo vi era la massa indecisa, turbata dal pronunciamento del Tac-na, ma che si rifiutava di dargli un contenuto propriamente politico e che una volta soddisfatte le domande relative agli stipendi e agli armamenti, accettò la capitolazione degli am-mutinati e le sanzioni per avere attentato alla disciplina.

La forza pubblica gerarchizzata. Cioè è un’organizzazione centralizzata o di vertice, e tutto l’esercito è subordinato al

37 Gli avvenimenti citati sono avvenuti durante il governo Frei. Dopo tali eventi il governo nomina al comando dell’esercito il generale Schneider, un militare assolutamente costituzionalista e professionalmente rispettato che avrà il difficile compito di restaurare la disciplina nei ranghi militari. Cfr., Alain Joxe, I militari cileni dal legalismo alla violenza istituzionale, in «Politica Internazionale», n.11, novembre 1973, p.49.

por las Fuerzas Armadas y el Cuerpo de Carabineros, instituciones esencialmente profesionales, jerarquizadas, disciplinadas, obedientes y no deliberantes. Sólo en virtud de una ley podrá fijarse la dotación de estas instituciones. La incorporación de estas dotaciones a las Fuerzas Armadas y a Carabineros sólo podrá hacerse a través de sus propias escuelas institucionales especializadas, salvo la del personal que deba cumplir funciones exclusivamente civiles.36

Secondo tale articolo «La forza pubblica è essenzialmente ubbidiente. Nessun gruppo armato può deliberare». Nel 1970 si precisò che «La forza pubblica è istituita unicamente ed esclusivamente dalla Forza Armata e dai carabineros, istitu-zione professionale, gerarchizzata, disciplinata, obbediente e non deliberante».

In primo luogo la forza pubblica è un’istituzione professio-nale. La sua unica funzione è l’intervento tecnico, difensivo e repressivo, per la conservazione dell’ordinamento legale e costituzionale della società cilena. Pertanto la forza pubblica non deve infiltrarsi in nessun altro campo di attività e tanto meno in quello politico.

In astratto la professionalità della forza pubblica è senz’al-tro un alto valore sociale ma per la sua adeguata valutazione, deve essere considerata nel concreto della società cilena.

Nel 1925, quando fu promulgata la Costituzione, l’ordina-mento economico-sociale della Repubblica cilena era di na-tura capitalistico-borghese, e per di più il capitalismo cileno era subordinato a quello internazionale e soprattutto a quello statunitense.

In questo modo “la professionalità” o l’efficienza difensiva e offensiva dei militari serviva alla difesa dell’ordinamento capitalistico della società.

Quest’aspetto negativo della professionalità dei militari cileni è sottolineata dal fatto che gli ufficiali potevano parte-cipare alle elezioni nazionali mentre ai soldati invece questo diritto era negato. Gli ufficiali in genere avevano una for-mazione alto-borghese, la più favorevole all’ordinamento sociale ed economico capitalistico e, di conseguenza la loro partecipazione attiva alla vita e alla lotta politica non poteva essere un pericolo per tale ordinamento. Invece i soldati, in genere di estrazione popolare, aderiscono molto facilmente soprattutto a movimenti politici contrari al capitalismo. Di qui la necessità di negare loro il diritto al voto nelle elezioni nazionali affinché salvaguardassero la loro professionalità militare. Così i soldati potevano essere usati come dei burat-tini, che devono attendere unicamente a quanto gli ufficiali, ordinavano.

Un altro limite della professionalità dei militari, partico-larmente se eccessiva, è una specie d’isolamento sociale. La specializzazione tecnica di tipo militare può rendere difficile l’inserimento nella società civile, quando si lascia il servizio militare. Da tutto ciò deriva una lunga permanenza degli uf-ficiali ed anche sottufficiali nell’esercito, con il conseguente quasi totale distacco dal resto della società.

L’aspetto negativo del fenomeno è evidenziato dal grado

36 Artículo sustituido por la Reforma Constitucional contenida en la Ley N. 17.398, de 9 de Enero de 1971.

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la morte.39

L’articolo 335, considerato attentamente, non è contra-rio all’articolo 6 del regolamento militare ma lo rafforza. Di fatto il sottoposto può momentaneamente sospendere o modificare un ordine del superiore, solo perché si realizzi meglio lo scopo per il quale l’ordine è stato emanato e che circostanze concrete, sfuggite al superiore, possono impedi-re il conseguimento. Deve perciò avvertire al più presto il superiore, che, di fatto, accetta la momentanea sospensione dell’esecuzione dell’ordine impartito o la sua modificazione solo o soprattutto in funzione dello scopo reale, che si era prefisso nell’emanarlo. In conclusione, la disciplina delle ca-serme cilene è simile al funzionamento di una macchina o di un robot. Tutti devono eseguire bene e presto qualsiasi ordi-ne, soprattutto in circostanze difficili, al di fuori di qualsiasi considerazione sulla sua obiettiva razionalità e del suo valore umanamente non negativo.

La forza pubblica è obbediente. Per l’articolo 22 della Costituzione l’aggettivo “obbediente” non si riferisce all’ob-bedienza automatica, propria dell’istituzione militare; ma a quella istituzionale dei militari di grado superiore al potere civile, perché il capo supremo costituzionale di tutti i mili-tari è il Presidente della Repubblica, riconosciuto come “Ge-neralissimo”. Non si tratta di un’autorità puramente deco-rativa o non funzionale nell’amministrazione militare. È un potere discrezionale, del quale la Costituzione ha investito il Presidente e che discuteremo più avanti. Qui si vuole rilevare soltanto che, nella relazione tra potere civile e quello milita-re, l’obbedienza-servizio dei militari di grado superiore mol-to facilmente genera insoddisfazione in essi, perché possono sentirsi minacciati dal potere del Presidente.

La forza pubblica è non deliberante.40 Questo termine deve essere collegato a professionale e si riferisce alla “pre-scindenza politica” delle Forze Armate, tanto quanto istitu-zione che riguardo ai suoi membri soprattutto di grado supe-riore: è loro proibito di deliberare su qualsiasi aspetto della società cilena.

39 Ivi, p. 112.40 La Constitución Política actual transcribió el antiguo Art. 157 y le dio un nuevo numero: 22. Las Actas de las Comisiones de Reforma, al referirse a este artículo dicen escuetamente: “no dio lugar a debate; se aprueba tal como estaba en la Constitución de 1833”. Y en esta forma los Constituyentes de 1925 jugaron una mal pasada a los miembros de las Fuerzas Armadas y no aclararon su verdadero sentido y alcance. La caída de O’ Higgins; la tentativa o’ higginista de 1825; el motín de Campino; la disolución de tres Congresos; las renuncias de Blanco y Eyzaguirre; los motines militares por falta de pago; el hábito de cuartelazos y pronunciamientos; todos son antecedentes concretos que indujeron a los constituyentes de 1833 a poner fin a este estado de desintegración cívica mediante un precepto constitucional riguroso, inflexible, lacónico: “La Fuerza Pública es esencialmente obediente, Ningún Cuerpo Armado puede deliberar”. Era la fórmula más positiva de terminar con este espíritu de turbulencia; había que encauzar a las Fuerzas Armadas de esa época por un sendero diferente; ellas debían, antes que la sociedad, conjurar el peligro y la anarquía. Y éstos son, a mi juicio, los antecedentes que indujeron a los constituyentes de 1833 a contemplar una disposición rígida, ajustada a la época […]. Cfr., Capitán Fernando Montaldo Bustos, Ningún cuerpo armado puede deliberar, «Memorial del Ejército», Julio-Agosto, 1953.

controllo di un ristretto gruppo degli alti membri dell’élite professionale. Invece la massa dei militari prima è addot-trinata con i valori astratti di “Nazione”, “Ordine”, “Madre Patria” e simili, dietro i quali sono però nascosti i reali e con-creti interessi della borghesia. Tutto ciò porta a sviluppare tra di essi differenze economiche, sociali e di prestigio, e così si mantiene fra i militari una permanente atmosfera competiti-va. Segue l’ubbidienza cieca o meccanica perché, eccettuati i pochi che riescono ad analizzare adeguatamente le mistifi-cazioni, tutti pensano che la fedeltà agli ordini di quelli che stanno al vertice dell’organizzazione è per la salvaguardia dei suddetti valori.

La forza pubblica è disciplinata. La disciplina militare, che riguarda la struttura stessa delle Forze Armate, è l’in-sieme delle norme sull’ubbidienza o sull’obbligo dei militari di eseguire gli ordini ricevuti dai propri superiori; e dipende proprio da tale obbedienza la forza del principio gerarchico.

Le norme sull’ubbidienza militare sono contenute soprat-tutto nel libro del regolamento militare. Ad esempio l’arti-colo 6:

Il soldato deve essere cosciente che, solo compiendo esattamente il suo dovere nel suo rango, gli può essere riconosciuta la più alta stima dai suoi superiori; perciò deve dimostrare un grande amore per il ser-vizio, ambizioni oneste ed un costante desiderio di essere utilizzato in situazioni di alto rischio; deve inoltre dimostrare valore, talento, preparazione e costanza in tempo di pace e di guerra; ed un grande spirito di sacrificio, contrario a qualunque altra intenzione egoistica. 38

Le forme più rilevanti d’indisciplina sono la sovversione, l’ammutinamento, la diserzione, l’omissione d’informazione su attività sovversive e l’insubordinazione. Tali forme d’in-disciplina sono considerate crimini e la loro pena massima è la morte.

È facile avvertire che la disciplina militare, così concepita, riduce i soldati e i sottufficiali ma anche gli ufficiali inferiori a degli automi nelle mani dei più alti gradi militari, dei quali già si è detto che anche in Cile erano soprattutto di estrazione borghese e perciò a servizio del relativo ordine sociale di tipo capitalistico.

Vi sono però l’articolo 335 e parte dell’articolo 336 del codice di giustizia militare, che contengono delle norme ap-parentemente contrarie al suddetto articolo 6.

Art. 335. Se un inferiore ha ricevuto un ordine e sa che il superiore nel dettarla non ha potuto verificare sufficientemente la situazione, o quando gli avvenimenti hanno anticipato gli ordini, o se teme con ragione che l’esecuzione di un ordine produce un male grave che il superiore non ha potuto prevedere, o l’ordine tende notoriamente all’esecuzione di un delitto, il subalterno potrà sospendere l’esecu-zione dell’ordine e nel caso urgente anche modificarlo, dandone però l’immediato resoconto al superiore. […]. Art. 336 […]. Se però il subalterno non si attiene all’ulteriore ingiun-zione del superiore di eseguire l’ordine, momentaneamente sospeso o modificato, potrà ricevere la massima reclusione militare e persino

38 Reglamento de Disciplina para las Fuerzas Armadas, n. 1445, Santiago, 14 de diciembre de 1951, in Código de Justicia Militar, cit., p. 301.

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ti economici e di potere e purché la volontà per le riforme socialiste non avesse mai toccato i fondamenti dell’ordina-mento capitalistico-borghese del Cile. In altre parole era un assurdo storico e sociale l’idea di realizzare il socialismo, in una società come quella cilena, con l’aiuto delle Forze Ar-mate.

CONFERMA TEORICA

L’assunto è dimostrato anzitutto teoricamente. In tutte le società storiche del passato, l’esercito è stato sempre lo stru-mento più efficace del potere di una o più classi dominan-ti. L’esempio più tipico possono essere gli eserciti popolari della Rivoluzione Francese. Da quando Napoleone diventò Primo Console, l’esercito francese combatté soprattutto per gli interessi della classe borghese, che si stava sostituendo all’antica nobiltà nella funzione di classe dominante.

Limitando il discorso al Cile, si può dire che né il pro-fessionalismo né la neutralità ideologica potevano impedire che le relative Forze Armate non fossero in funzione dell’or-dinamento capitalistico o per il mantenimento di un ordine sociale, che difende e sviluppa i privilegi di una o più classi dominanti. E conosciamo bene i relativi meccanismi.

A) La stretta dipendenza dell’individuo dall’istituzione militare.

1) Nonostante la legislazione militare cilena preveda, come quelle europee, il principio dell’obbedienza critica, l’imposta abitudine ad assimilare l’ordine gerarchico genera nel solda-to un meccanismo di ubbidienza automatizzata, fino a dare alla subordinazione gerarchica un carattere quasi assoluto.

2) L’istituzione militare garantisce al soldato, che ha ubbi-dito agli ordini, una protezione nei confronti delle istituzioni civili; e ciò da un lato dà sicurezza al soldato, dall’altro lo lega irrimediabilmente a una concezione corporativa della giustizia.

3) La formazione professionale, unilaterale ed escludente qualsiasi utilizzazione civile, contribuisce a legare i soldati e soprattutto gli ufficiali all’istituzione.

4) Il principio della cosiddetta neutralità ideologica, di fat-to, consiste nella proibizione a deliberare. Inoltre si attua con maggior vigore e quasi soltanto negli strati più bassi della scala gerarchica, dove assume la funzione di barriera contro l’eventuale contagio d’idee, soprattutto valide, che possono mettere in crisi la cieca ubbidienza militaresca. Invece di-venta sempre di più, specialmente negli alti gradi, pretesa a un ordinamento sociale nel quale i militari, particolarmente i più alti in grado, devono essere favoriti come e più di tutti gli altri cittadini di pari dignità e professionalismo.

B) La fusione istituzionale con il sistema socio-politico capitalista.

1) La Costituzione prevedeva un controllo sulle Forze Ar-mate; ma con una serie di meccanismi si cercò sempre di sottrarle a ogni forma di controllo democratico. A questo scopo era funzionale la suprema ed esclusiva autorità del Presidente sopra i corpi armati, vera e propria garanzia del mantenimento dell’esercito al di fuori di ogni contatto con

Su questo tema il comandante in capo generale Carlos Prats entrò in una disputa pubblica con i senatori democri-stiani, di opposizione, circa l’integrazione di alcuni alti capi militari imposti da gabinetti politici nel 1972.

Posteriormente e stando in esilio Prats commentò che la tanto discussa prescindenza politica della Forze Armata cile-na ha contribuito al suo isolamento dalla vita sociale e a una concezione profondamente deformata dei problemi socio-politici.41

Perciò nel pieno della crisi del 1972 Prats patrocina alme-no l’integrazione del comandante in capo in ogni ramo del governo. E prima di questa crisi il corpo dei generali aveva consegnato al Presidente Allende un memorandum, che è ri-prodotto nel libro-memorie di Prats e dal quale traspare con molta chiarezza il carattere nettamente politico e di natura almeno centrista ma forse anche di destra della loro richiesta. Essi erano in accordo con la posizione del partito Democrati-co Cristiano e senz’altro avrebbero costituito, con la loro pre-senza in seno al governo, “un gruppo di pressione politica” in linea con gli elementi più di destra di tale partito.

Da quanto si dirà studiando il pensiero di Prats, la richie-sta di partecipazione alla vita politica da parte dei generali è disegno contrario a quanto intendeva Prats. Quest’ultimo era per l’inserimento dei supremi comandi delle Forze Armate nella vita politica allo scopo di un migliore sviluppo della società cilena e quindi di tutti i suoi cittadini. L’alta ufficia-lità invece, pensava che con la loro presenza nel governo, si rafforzava la pressione politica di centro e di destra.

IL PROBLEMA MILITARE CILENO

Raul Ampuero, parlando del problema militare cileno al tempo del governo di UP 1970-73, si pone due domande:

Fu il rispetto della legalità formale, che permise alla coalizione di UP di guadagnarsi il favore delle Forze Armate per instaurare il sociali-smo? O al contrario l’appoggio, che queste dettero al governo, rese impossibili i cambiamenti rivoluzionari?42

Il presente lavoro ha cercato di rispondere nel seguente modo alle due domande. La fedeltà formale al dettato costi-tuzionale, secondo il quale gli alti ufficiali delle Forze Arma-te cilene non hanno un potere deliberante e il loro capo su-premo è il Presidente della Repubblica, ebbe un’importanza rilevante perché esse si mettessero dalla parte del Presidente legittimamente eletto dal popolo e poi designato dal Con-gresso. Le Forze Armate, infatti, appoggiarono il Presidente nella relativa azione governativa per la realizzazione del so-cialismo per la via pacifica; ma solo nella fase iniziale o sino a quando la collaborazione produceva per essi miglioramen-

41 Cfr., Carlos Prats González, Memorias testimonio de un soldado, Santiago, Ed. Pehuèn, 1985, pp. 580-610. Inoltre cfr., Guido Vicario (a cura di), Il soldato di Allende. Dalle “Memorie” di Carlos Prats González, Roma, Editori Riuniti, 1987, pp.229-233.42 Raúl Ampuero, El poder político y las Fuerzas Armadas, Santiago, Ed. Punto Final, 1973.p. 2

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CONFERMA STORICA

L’assunto è forse confermato con più evidenza da un in-sieme di fatti, che sono strettamente legati tra di loro come effetto a causa. Sorvolando sulla precedente storia del Cile, con l’inizio del XX Secolo la sua classe dominante era for-mata da un ristretto gruppo di oligarchi che, circondati da funzionari, professionisti, commercianti e industriali piutto-sto piccoli, sfruttavano la massa delle classi inferiori con gli strumenti delle istituzioni liberali e borghesi.

Anche nel Medioevo era così. I nobili e l’alto clero si go-devano la vita col lavoro delle masse dei contadini, che erano lasciati nell’ignoranza e nella miseria.

Nel mondo moderno le masse sfruttate non sono formate solo dai contadini ma anche e soprattutto da quelli che la-vorano per la produzione industriale e per i molti e grandi lavori pubblici; l’unità di tali masse genera in essi, prima la coscienza di classe sfruttata e poi una lotta sociale sempre più aspra.

Nel mondo moderno le masse popolari non possono essere tenute nell’ignoranza e nella miseria, perché una minoranza si goda sfacciatamente la vita, senza la decisiva efficienza delle Forze Armate, le cui numerose truppe possono essere solo di origine popolare. In altre parole in ogni società bor-ghese l’eventuale ricorso alla violenza armata dell’esercito è una necessità costituzionale.

Così nel Cile nel 1957 una rivolta generale delle bidonvil-les, provocata dalla crisi che seguì alla fine del boom corea-no, fu repressa dall’esercito con estrema durezza e secondo gli osservatori stranieri i morti furono parecchie centinaia.43

Dopo tale data le Forze Armate cilene hanno sempre sapu-to ricordare al popolo, mediante piccoli massacri, l’esistenza dei grandi massacri e la pesante autorità dei capi militari. Nel Cile, quando è indetto uno sciopero generale di tipo ri-vendicativo per il raggiustamento dei salari o per altro simile motivo, è proclamato automaticamente lo stato di emergenza e l’esercito assume il comando dei carabineros e mette unità militari in servizio di ordine pubblico; e di solito capitano dei morti “accidentali”, perché i militari non sanno fare altro che sparare.

Siamo al 1969. In genere i giovani ufficiali, formati negli Usa,sono inquieti per i problemi sociali ed economici e, come in genere gran parte della classe media, sono snazionalizzati e hanno come ideale la vita dei borghesi degli Stati Uniti. Perciò, con un’inflazione cronica che nel 1969 tormentava il Cile, gli ufficiali esigono un raggiustamento degli stipendi, superiore a quello delle altre categorie dei dipendenti dello stato. E vogliono anche l’ammodernamento delle armi, che sono il fondamento per uno stipendio superiore. Se non si può dimostrare la propria efficienza armata, alla fine non si potrà giustificare neanche uno stipendio alto.

Pertanto le Forze Armate fecero pervenire al Presidente Frei, per via gerarchica e senza “deliberare” né riunirsi, in

43 Cfr., Alain Joxe, I militari dal legalismo alla violenza istituzionale, Politica Internazionale, n. 11, novembre 1973, pp. 47-48.

le idee ed i partiti rivoluzionari; e furono proprio le Forze Armate che eliminarono, anche fisicamente il legittimo Pre-sidente costituzionale.

2) In tutte le norme di diritto e canoni di comportamento ideologico, che legano l’esercito agli organi del potere, l’i-stituzione della “zona di emergenza” è quella che fa meglio risaltare l’integrazione della macchina militare con il potere civile e, in particolare,con i partiti che specificatamente lo esercitano. Infatti, nella zona, dichiarata di emergenza, il co-mandante del corpo militare assume anche il potere civile. Inoltre, mentre inizialmente tale istituzione era legata a si-tuazioni di minaccia militare esterna o di calamità naturale, sotto l’amministrazione democristiana fu data la facoltà al Presidente di dichiarare una zona di emergenza per affron-tare situazioni di agitazione sociale o politica. Un esempio efficace è dato dai fatti di El Salvador, quando l’autorità del comandante della piazza si estese fino all’interno della fab-brica Andes Copper, diventando lo strumento della direzione della fabbrica.

3) La rigorosa stratificazione, vigente all’interno dell’eser-cito, durante il processo di formazione degli ufficiali è spinta a un tal punto, che fra ufficiali e sottufficiali si forma una vera e propria barriera quasi infrangibile.

4) La negazione del diritto di voto ai sottufficiali i quali rimangono gli unici cileni a non poter votare, cioè a non usu-fruire di quel diritto di cui godono gli analfabeti, gli invalidi e tutti i cittadini maggiori di diciotto anni.

C) Subordinazione della difesa nazionale del paese a una concezione “emisferica”.

Questa subordinazione si manifesta attraverso i trattati, che avevano il loro centro nei Patti di Mutuo Aiuto (PAM) ed erano stati sottoscritti e firmati dal Cile nel 1952. Con essi il sub-continente diventa una specie di santuario del “mondo libero”, il cui nemico fu identificato nell’Unione Sovietica e nel campo socialista. Inoltre il PAM aggiunge un nuovo anello alla catena della dipendenza cilena, quello della su-bordinazione logistica e strategica al Pentagono, che diven-ta l’arbitro silenzioso dell’equilibrio del sub-continente per mezzo della discriminata assegnazione delle risorse e degli armamenti. Tali accordi permettono agli USA di colpire du-ramente ed anche direttamente i paesi soggetti a sovversione. L’ingresso dei cileni nel sistema di difesa dell’emisfero com-porta così un’adesione implicita al sistema capitalista.

Il carattere dipendente delle Forze Armate cilene al piano imperialista, che ne deriva, è stato evidenziato dal ruolo as-segnato alla marina cilena nelle manovre congiunte con gli USA (“Unita”); infatti, è coinvolta in combattimenti contro potenze extra continentali, nemiche degli USA, ma non “ne-mici naturali” dei cileni.

È vero che durante il governo di UP vi fu un’apertura tec-nica verso altre esperienze istituzionali (Cuba, URSS) e una diversificazione nell’acquisto delle armi dall’Europa; e que-sti fatti dettero alle Forze Armate cilene una relativa auto-nomia dall’America; ma contemporaneamente continuarono tutti gli impegni che legavano l’esercito cileno al Pentagono e all’Organizzazione degli Stati Americani.

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Fu a questo punto che Allende pensò all’esercito come a un sostituto della DC, e l’entrata del primo generale nel governo nel 1972 permise al Presidente di continuare a governare.

Nei mesi di luglio e agosto dello stesso anno andò a vuoto una nuova fase di negoziato con la democrazia cristiana, la borghesia intensificò la propria azione contro il governo e la situazione diventò sempre più difficile.

Infatti, le forze di opposizione cambiarono atteggiamento nei confronti delle Forze Armate, e il loro scopo fu di privare il governo dell’appoggio dei militari. Il concetto di “legalità” e “neutralità” delle Forze Armate che animava l’opposizione, fu spiegato in un editoriale di «El Mercurio». L’editorialista scriveva che non bastava che le Forze Armate si limitassero a non deliberare; questo significava, infatti, non intervenire in politica, sino a quando non era ben chiaro che lo spirito di lealtà alla Costituzione non era usato in modo che esse rimanessero inerti mentre si violavano i principi della Co-stituzione.

La Semana PolíticaLa Doctrina del Ejército

El artículo comenta la petición de retiro del general Alfredo Canales Márquez, solicitado por el comandante en jefe del Ejército, general Carlos Prats González. El general Canales se desempeñaba como director de instrucción del Ejército, y se dijo que se le solicitaba la renuncia «por convenir al interés institucional». El general Canales señala que la petición se debe a una conversación sostenida con el contraalmirante Horacio Justiniano, en que manifestó su inquietud por la situación del país.

Un escueto comunicado del Ejército informó oficialmente que el co-mandante en jefe, general don Carlos Prats González, pidió al Gobier-no el retiro del general de brigada don Alfredo Canales Márquez, «por convenir al interés institucional». La medida tuvo inevitable trascen-dencia política tanto porque se la vinculaba a las especulaciones en torno a un «Plan Septiembre», denunciado por el Gobierno, como por-que esta decisión no está dentro del mecanismo eliminatorio normal de los institutos armados. Además, el separar a un general diciendo que ello conviene al «interés institucional» implica dejar al afectado en una situación pública controvertible. El general Canales, por su parte, sintiéndose autorizado para explicar a sus conciudadanos y a sus compañeros de armas las causas de su separación del Ejército, y obrando en defensa de su honor militar, formuló declaraciones públi-cas severas. Explicó el general que se había pedido su retiro teniendo sólo a la vista una relación escrita del señor almirante don Horacio Justiniano, que le fue remitida al general Prats por el Comandante en Jefe de la Armada, almirante don Raúl Montero Cornejo, relación que daba cuenta de una conversación sostenida por el general Canales con el almirante Justiniano en que el primero había manifestado opiniones políticas. El general rechazó en forma terminante los cargos y el pro-cedimiento que se emplearon para su retiro.Cualquiera que sea el juicio definitivo que el país se forme de esta incidencia militar, debe lamentarse desde luego que ella se hubiera prestado de algún modo para hacer surgir resquemores o sospechas entre dos ramas de la Defensa Nacional. A no dudarlo, hay en los partidos marxistas que gobiernan la intención próxima o remota de cambiar al Ejército profesional y a las demás instituciones armadas de la República por otra que está en consonancia con los principios de la revolución marxista-leninista y que históricamente ha sido uno de los pasos fundamentales para consolidar todos los regímenes comunistas del mundo. No puede pretender Chile ser una excepción en esta ma-teria, si, como dicen los comunistas, el proceso chileno está sometido como los demás a las leyes generales del socialismo.Nuestras Fuerzas Armadas tienen pues enemigos muy poderosos, y cualquier tentativa de desunirlas o de abrir paso a incomprensiones entre ellas favorece a tales enemigos.

una maniera molto costituzionale, una serie di richieste che riguardavano gli stipendi e gli armamenti.

Queste richieste, non soddisfatte, fecero crescere l’odio dei militari per Frei e per la democrazia cristiana; ma soprattutto spiegano il tacnazo o l’occupazione, sotto la direzione di un generale messo a riposo qualche giorno prima, della propria caserma da parte del reggimento “Tacna”.

Si ha così la prima sicura comparsa, tra gli ufficiali cileni, di una destra che pensa soprattutto all’aumento dei privilegi economici e sociali e forse anche al potere politico.

L’aviazione rifiutò di intervenire contro gli ammutinati e le cosiddette “truppe fedeli” non si prestarono a dare l’assalto. Comunque gli alti ufficiali, soddisfatte le domande riguar-danti, gli stipendi e agli armamenti, accettarono la capito-lazione degli ammutinati e le relative sanzioni. Subito dopo Frei nomina alla testa dell’esercito il generale Schneider.

Dopo i militari anche i giudici reclamarono il raggiusta-mento dello stipendio; e i due fenomeni, uniti all’ingente acquisto di armi moderne, dettero il via a una ripresa cata-strofica dell’inflazione.

È questo il primo momento della dimostrazione storica. Ai più alti comandi militari cileni il proprio favore a un eventua-le governo di tipo socialista doveva significare soprattutto, anche se inconsciamente, un più alto prestigio e aumentati benefici economici.

Alle elezioni del 1970 Allende, candidato di UP, ottenne la maggioranza relativa del 36,3% dei voti e fu designato Pre-sidente dal Congresso dopo un negoziato con la democrazia cristiana. Ebbe così inizio il governo di UP e il primo anno fu un successo economico. Le tensioni sociali furono ridotte al minimo, salvo nelle campagne,dove la riforma agraria prese talvolta aspetti di rivoluzione agraria. L’esercito fu oggetto, da parte del governo, di cure attente. Il potere di acquisto e il livello di vita dei militari migliorarono a seguito del rag-giustamento dello stipendio e di vantaggi in natura di ogni sorta. Inoltre l’esercito era soddisfatto anche sotto il profilo professionale, grazie alla continuazione del piano di acqui-sto di armi moderne. E vi erano per di più soddisfazioni di amor proprio: mai sotto nessun regime, da vent’anni, i mili-tari erano stati presi tanto in considerazione. Come esperti di questioni di difesa partecipavano alle decisioni di sviluppo regionale; e numerosi generali furono designati come gerenti o rappresentanti del governo nelle industrie nazionalizzate o sul punto di esserlo.

Quest’atteggiamento del governo verso i militari si spiega con la necessità, in cui si trovava, di convincere le Forze Ar-mate ad appoggiare il processo cileno di transizione pacifica al socialismo. Infatti, tutti quelli che erano contrari alla svol-ta socialista, quasi dal giorno stesso della vittoria elettorale di Allende non fecero altro che moltiplicare le iniziative perché ciò non fosse; e col passare dei mesi la democrazia cristiana, che si era accordata con UP perché Allende fosse designato Presidente dal Congresso, cominciò a condizionarlo sempre più pesantemente; quindi, collegata con la destra parlamen-tare, nemica di UP, mise il governo nell’impossibilità di por-tare avanti le riforme e persino di legiferare.

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Fundamental relativos a la naturaleza de tales fuerzas, a su misión y a su eficacia defensiva.Papel actual de las fuerzas armadasDurante muchos años estas columnas insisten en la necesidad de que las Fuerzas Armadas, así como otros institutos y servicios que satis-facen necesidades permanentes y esenciales del Estado, tuvieran el trato que corresponde a su alta jerarquía. En concreto, la seguridad nacional, la administración de justicia y el magisterio parecen dignas de especial trato para el buen desempeño de las respectivas funcio-nes y para que puedan constituirse en expectativas atrayentes para la juventud. Por desgracia, el interés de los Gobiernos por sus propios programas económicos o sociales postergó muchas veces las aspira-ciones legítimas de los servicios e institutos básicos del Estado. En lo que concierne a las Fuerzas Armadas, justo es reconocer que este Go-bierno adoptó una política de mayor atención hacia las más urgentes necesidades de aquellas instituciones.Lo cierto es que este nuevo trato a las ramas castrenses del Estado ha permitido que los hombres de armas recuperen poco a poco la posi-ción que antes tenían en la sociedad chilena, superando así un estado de relativa postergación que fue posible merced a que nunca se es-clareció hasta dónde llegaba la obediencia constitucional de las Fuer-zas Armadas y hasta dónde la paciencia para soportar con heroísmo riesgos graves de paulatino deterioro profesional por falta de medios indispensables. La expectación suscitada por el retiro forzoso del ge-neral Canales no habría tenido lugar si los militares se mantuvieran en el antiguo plano relegado. Por el contrario, es la importancia adquirida por las Fuerzas Armadas lo que da singular relieve a la referida deci-sión del comandante en jefe del Ejército. Mientras las Fuerzas Arma-das se mantengan como «instituciones esencialmente profesionales, jerarquizadas, disciplinadas, obedientes y no deliberantes», como lo establece la Constitución, su papel será cada vez más prestigioso y decisivo en la convivencia chilena. No son los militares, los marinos y los aviadores quienes han ambicionado o impuesto ese nuevo papel. Son más bien los hechos la causa determinante de dicha situación. Tanto el Gobierno como los opositores rodean a las Fuerzas Armadas de creciente consideración. Día a día se abren nuevas oportunidades para que los miembros de aquéllas reciban más estrechos contactos con la organización productiva estratégica del país y logren un cono-cimiento más acabado de los problemas políticos, sociales y econó-micos que se relacionan directa o indirectamente con el gran tema de la seguridad nacional. Mientras las condiciones de nuestra economía no sigan el curso de una inflación galopante y de una crisis grave de divisas, que hoy caracterizan al país, las necesidades de equipo e instalaciones así como las rentas del personal pueden ser atendidas en forma correspondiente a la alta misión de las Fuerzas Armadas.Este proceso de verdadera reivindicación del papel de las Fuerzas Ar-madas es saludable para el país y beneficioso profesionalmente para dichas instituciones. Si las ramas de la Defensa Nacional conservan su integridad, su naturaleza, su unidad y su función específicamente castrense e intactos los caracteres que la Constitución y las leyes les fijan, podrá llegar el caso en que sean ellas el único o acaso el único ejemplo de intachable constitucionalidad mientras un fermento corro-sivo continúe debilitando las bases chilenas.44

Allora Allende pensò di porre fine alla crisi, facendo entra-re diversi generali nel governo e affidando loro posti impor-tanti; ma gli ufficiali di grado superiore, che non volevano saperne di adesione neppure alla linea moderata di UP, erano sufficientemente numerosi e stavano al gioco solo apparen-temente.

A marzo del 1973 le elezioni legislative furono un succes-so per i partiti di UP. Ottennero, infatti, il 44% dei voti e non era escluso che alle successive potessero arrivare al 50%. Pertanto dopo le elezioni di marzo il solo strumento, per impedire la riforma socialista dell’ordinamento sociale ed economico, era il colpo di stato militare. Un primo tentativo

44 Articolo pubblicato sulla rivista «El Mercurio» il 24 settembre 1972.

La introducción de posibles malas interpretaciones en los mandos me-dios de alguna rama castrense respecto de otras, o el empleo de medi-das para alejar progresivamente de las filas a los jefes y oficiales que se mantienen en la verdadera doctrina de nuestra Defensa Nacional serían recursos extraordinariamente perjudiciales para los institutos armados y para la propia seguridad del país. Corresponde, sin duda, a la superioridad del Ejército calificar las elevadas razones que le han dado motivo para provocar el retiro del general Canales, pero la opi-nión pública está cierta de que tal determinación obedece a la llamada doctrina del Ejército, expuesta públicamente ante la ciudadanía, en su tiempo, por el general Schneider y, con ocasión de las Fiestas Patrias, en forma reiterada por el general Prats. No debe llamar la atención que este tema profesional castrense adquiera jerarquía política. Ello se debe a que la revolución que desenvuelve el Gobierno del Presidente Allende toca puntos esenciales para la vida de la República y, en estos instantes, parece estar poniendo en juego nada menos que el criterio constitucionalista que ha de imperar en nuestros hombres de armas.Un problema de esta especie rebasa el marco de las instituciones a las cuales afecta. El principio constitucional que rige la conducta de las Fuerzas Armadas es que ellas son esencialmente obedientes y que no pueden deliberar. Esto significa que deben cumplir con fidelidad las instrucciones de sus superiores jerárquicos en la esfera en que éstos son competentes y que no pueden intervenir en el juego de la política contingente. Mientras las acciones de un Gobierno han quedado libres de todo reproche de inconstitucionalidad, la obediencia y la prescin-dencia profesional de la política no presentan problemas ni en la teoría ni en la práctica para los institutos armados. Las dificultades nacen cuando hay riesgos de que la Constitución quede sobrepasada, ya sea por acciones individuales del gobernante, ya sea por la virulencia de un proceso, revolucionario que tiende precisamente a destruir el or-den actual. Rige en este segundo caso la doctrina constitucionalista de obediencia y no deliberación del Ejército y con mayor vigor que nunca, a condición de que no se confunda la verdadera doctrina del Ejército con la falta de personalidad en el mando y con la sumisión indiscriminada a las posibles arbitrariedades que provengan del Go-bierno.La doctrina del Ejército exige lealtad a la Constitución y al país, más que a hombres, a regímenes o a gobiernos. Estos últimos pasan, en tanto que las instituciones armadas están al servicio de valores per-manentes. Por hondos que sean los cambios en la sociedad y en las propias instituciones castrenses, conforme a las exigencias de los tiempos, regir. siempre la defensa de la patria, concebida como una totalidad, instalada sobre un territorio, constituida en nación y dueña de un destino que cumplir en el concierto de los pueblos.Según esto, no corresponde a un concepto constitucional y profesional del Ejército aquella política que emplee los llamados resquicios lega-les o los ardides reglamentarios para transformar a la institución en otra cosa que lo que ella es y debe ser en concepto de la Constitución Política del Estado y de las demás leyes y principios fundamentales de la República.Así como no puede ser válida una interpretación de la norma cons-titucional que destruya a la Constitución misma, tampoco puede ser válida una interpretación de la doctrina del Ejército que haga posible la destrucción de éste. Los principios constitucionales que gobiernan la conducta leal del Ejército parten del supuesto evidente de que tales principios exigen la existencia misma del Ejército, de modo tal que jamás podrán interpretarse en forma que contraríen a la misión especí-fica, a la naturaleza jerárquica y disciplinada o a la unidad fundamen-tal de la institución. Y lo que decimos del Ejército parece aplicable a la Armada Nacional y la Fuerza Aérea, así como a las tres ramas de la Defensa Nacional consideradas como un dispositivo de seguridad integrado y verdaderamente funcional.Forzoso es llegar entonces a la conclusión de que cualquier medida conducente a transformar en órganos políticos a las instituciones que la Carta Fundamental describe como «esencialmente profesionales» o que, aspirando a una supuesta democratización, desnaturalice su carácter de «jerarquizadas», de «disciplinadas» y de «obedientes» es contraria a la auténtica doctrina Schneider que tanto ha proclamado el actual Gobierno.No basta entonces que las Fuerzas Armadas se limiten a no deliberar, esto es a no intervenir en política contingente, sino que es preciso que su espíritu de lealtad a la Constitución no sea utilizado para que se mantengan inertes mientras se violan los demás principios de la Carta

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La Cámara de Diputados aprueba un proyecto de acuerdo que de-clara que el Presidente Allende ha quebrantado gravemente la Con-stitución.

Santiago, 23 de agosto de 1973.A S. E. EL PRESIDENTE DE LA REPUBLICA.

Tengo a honra poner en conocimiento de V. E. que la Cámara de Di-putados ha tenido a bien prestar su aprobación al siguiente Acuerdo:«Considerando:1°. Que es condición esencial para la existencia de un Estado de De-recho, que los Poderes Públicos, con pleno respeto al principio de independencia reciproca que los rige, encuadren su acción y ejerzan sus atribuciones dentro de los marcos que la Constitución y la ley les señalan, y que todos los habitantes del país puedan disfrutar de las garantías y derechos fundamentales que les asegura la Constitución política del Estado;2°. Que la juridicidad del Estado chileno es patrimonio del pueblo que en el curso de los años ha ido plasmando en ella el consenso funda-mental para su convivencia y atentar contra ella es, pues, destruir no sólo el patrimonio cultural y moral de nuestra nación sino que negar, en la práctica, toda posibilidad de vida democrática;3°. Que son estos valores y principios los que se expresan en la Consti-tución Política del Estado que, de acuerdo a su artículo 2°., señala que la soberanía reside esencialmente en la nación y que las autoridades no pueden ejercer más poderes que los que ésta les delegue y, en el articulo 3°., se deduce que un Gobierno que se arrogue derechos que el pueblo no le ha delegado, incurre en sedición;4°. Que el actual Presidente de la República fue elegido por el Con-greso Pleno, previo acuerdo en torno a un estatuto de garantías de-mocráticas incorporado a la Constitución política, el que tuvo como preciso objeto asegurar el sometimiento de la acción de su Gobierno a los principios y normas del Estado de Derecho, que .l solemnemente se comprometió a respetar;5°. Que es un hecho que el actual Gobierno de la República, desde sus inicios, se ha ido empeñando en conquistar el poder total, con el evi-dente propósito de someter a todas las personas al más estricto control económico y político por parte del Estado y lograr de ese modo la ins-tauración de un sistema totalitario, absolutamente opuesto al sistema democrático representativo que la Constitución establece;6°. Que, para lograr ese fin, el Gobierno no ha incurrido en viola-ciones aisladas de la Constitución y de la ley, sino que ha hecho de ellas un sistema permanente de conducta, llegando a los extremos de desconocer y atropellar sistemáticamente las atribuciones de los de-más Poderes del Estado, violando habitualmente las garantías que la Constitución asegura a todos los habitantes de la República, y permi-tiendo y amparando la creación de poderes paralelos, ilegítimos, que constituyen un gravísimo peligro para la nación, con todo lo cual ha destruido elementos esenciales de la institucionalidad y del Estado de Derecho;7°. Que, en lo concerniente a las atribuciones del Congreso Nacional, depositario del Poder Legislativo, el Gobierno ha incurrido en los si-guientes atropellos:a) Ha usurpado al Congreso su principal función, que es la de legis-lar, al adoptar una serie de medidas de gran importancia para la vida económica y social del país, que son indiscutiblemente materia de ley, por decretos de insistencia dictados abusivamente o por simples reso-luciones administrativas fundadas en «resquicios legales», siendo de notar que todo ello se ha hecho con el propósito deliberado y confeso de cambiar las estructuras del país, reconocidas por la legislación vi-gente, por la sola voluntad del Ejecutivo y con prescindencia absoluta de la voluntad del legislador;b) Ha burlado permanentemente las funciones fiscalizadoras del Con-greso Nacional al privar de todo efecto real a la atribución que a éste le compete para destituir a los Ministros de Estado que violan la Consti-tución o la ley o cometen otros delitos o abusos señalados en la Carta Fundamental, yc) Por último, lo que tiene la más extraordinaria gravedad, ha hecho «tabla rasa» de la alta función que el Congreso tiene como Poder Constituyente, al negarse a promulgar la reforma constitucional sobre las tres .reas de la economía, que ha sido aprobada con estricta suje-ción a las normas que para ese efecto establece la Carta Fundamental;8°. Que, en lo que concierne al Poder Judicial, ha incurrido en los

fallì il 29 giugno; ma nello stesso tempo i generali, che erano ancora per il colpo di stato, fecero il censimento dei capi e delle unità fedeli al governo; e i mesi successivi vide la loro sistematica repressione all’interno dell’istituzione militare.

In precedenza, nell’ottobre del 1972 il Congresso aveva votato una legge, che fu promulgata per un’inspiegabile ne-gligenza dell’esecutivo, che poteva porre il veto. La legge dava alle Forze Armate poteri d’inchiesta e di perquisizioni esorbitanti e il diritto di avocare davanti a tribunali militari tutte le cause concernenti detenzioni di armi, da quelle di guerra a quelle “bianche”. La legge, che poteva essere usata perché i militari reprimessero le milizie armate organizzate dalla destra, sino al 29 giugno del 1973 restò lettera morta; invece dopo e soprattutto da agosto in poi la misero in opera.

In questo modo gli alti ufficiali, che si preparavano al col-po di stato, a cominciare da agosto agirono su due fronti: da un lato con l’epurazione di elementi, della marina e dell’a-viazione, vicini al governo, dall’altro lato con un’attenta per-quisizione all’interno delle imprese sia pubbliche sia private con grande spiegamento di reparti delle Forze Armate usan-do una violenza e torture inaudite nei confronti dei contadini nelle regioni dove la riforma agraria aveva preso un anda-mento più rivoluzionario.

Alla fine di agosto i generali, riuniti in assemblea, votaro-no contro il mantenimento a capo dell’esercito di Prats, che intendeva restare fedele al governo costituzionale. Prats dette le dimissioni e gli successe Pinochet.45

In questo modo i fatti di agosto del 1973 dimostrarono che l’esercito stava ritrovando la sua unità intorno al nucleo poli-tico di destra, che non era alla sommità del comando ma che deteneva il potere reale; e col colpo di stato dell’11 settembre sarebbe stata eliminata tutta l’opposizione costituzionalistica dell’esercito. In altre parole i fatti di agosto rilevarono molto bene l’autentica anima delle Forze Armate cilene, che non potevano essere qualitativamente diverse da quella di ogni esercito borghese: i militari a servizio di un’oligarchia so-prattutto economica o di un ristretto gruppo d’individui, che vogliono moltiplicare ricchezze e privilegi in modo dinami-co e selvaggio; ma con la pretesa più o meno esplicita che essi, gli alti comandi militari, sono la punta di diamante di tutti i privilegiati e del relativo ordinamento sociale, econo-mico e politico; e perciò essi, gli alti comandi militari, sono per diritto i massimi fruitori dei privilegi economici e sociali.

LA LEGITTIMAZIONE DEL GOLPE

Sulla scena politica la coalizione di UP subì una sconfitta nel Congresso Nazionale da parte dell’opposizione. Fu ap-provata una mozione che dichiarava “illegale” il governo di Allende.

Acuerdo adoptado por la H. Cámara de diputados, el día 23 de agosto de 1973, y dirigido a S. E. el Presidente de la Republica.

45 Cfr., Alain Joxe, I militari dal legalismo alla violenza istituzionale, cit., p. 53.

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ticos, además de las ya señaladas con respecto a los periodistas, y ha tolerado que las víctimas sean sometidas en muchos casos a flagela-ciones y torturas;h) Ha desconocido los derechos de los trabajadores y de sus organiza-ciones sindicales o gremiales, sometiéndolos, como en el caso de El Teniente o de los transportistas, a medios ilegales de represión;i) Ha roto compromisos contraídos para hacer justicia con trabaja-dores injustamente perseguidos como los de Sumar, Helvetia, Ban-co Central, El Teniente y Chuquicamata; ha seguido una arbitraria política de imposición de las haciendas estatales a los campesinos, contraviniendo expresamente la Ley de Reforma Agraria; ha nega-do la participación real de los trabajadores de acuerdo a la Reforma Constitucional que les reconoce dicho derecho; ha impulsado el fin de la libertad sindical mediante el paralelismo político en las organiza-ciones de los trabajadores;j) Ha infringido gravemente la garantía constitucional que permite salir del país, estableciendo para ello requisitos que ninguna ley con-templa;11°. Que contribuye poderosamente a la quiebra del Estado de Dere-cho, la formación y mantenimiento, bajo el estimulo y la protección del Gobierno, de una serie de organismos que son sediciosos porque ejercen una autoridad que ni la Constitución ni la ley les otorgan, con manifiesta violación de lo dispuesto en el artículo 10, N° 16 de la Carta Fundamental, como por ejemplo, los Comandos Comunales, los Consejos Campesinos, los Comités de Vigilancia, las JAP, etc.; destinados todos a crear el mal llamado «Poder Popular», cuyo fin es sustituir a los Poderes legítimamente constituidos y servir de base a la dictadura totalitaria, hechos que han sido públicamente reconocidos por el Presidente de la República en su último Mensaje Presidencial y por todos los teóricos y medios de comunicación oficialistas;12°. Que en la quiebra del Estado de Derecho tiene especial gravedad la formación y desarrollo, bajo el amparo del Gobierno, de grupos armados que, además de atentar contra la seguridad de las personas y sus derechos y contra la paz interna de la Nación, están destinados a enfrentarse contra las Fuerzas Armadas, como también tiene especial gravedad el que se impida al Cuerpo de Carabineros ejercer sus im-portantísimas funciones frente a las asonadas delictuosas perpetradas por grupos violentistas afectos al Gobierno. No pueden silenciarse, por su alta gravedad, los públicos y notorios intentos de utilizar a las Fuerzas Armadas y al Cuerpo de Carabineros con fines partidistas, quebrantar su jerarquía institucional e infiltrar políticamente sus cua-dros;13°. Que al constituirse el actual Ministerio, con participación de altos miembros de las Fuerzas Armadas y del Cuerpo de Carabineros, el Excmo. señor Presidente de la República lo denominó. «de seguri-dad nacional» y le señaló como tareas fundamentales las de «imponer el orden político» e «imponer el orden económico», lo que sólo es concebible sobre la base del pleno restablecimiento y vigencia de las normas constitucionales y legales que configuran el orden institucio-nal de la República;14°. Que las Fuerzas Armadas y el Cuerpo de Carabineros son y de-ben ser, por su propia naturaleza, garantía para todos los chilenos y no sólo para un sector de la Nación o para una combinación política. Por consiguiente, su presencia en el Gobierno no puede prestarse para que cubran con su aval determinada política partidista y minoritaria, sino que debe encaminarse a restablecer las condiciones de pleno imperio de la Constitución y las leyes y de convivencia democrática indispen-sables para garantizar a Chile su estabilidad institucional, paz civil, seguridad y desarrollo;15°. Por último, en el ejercicio de las atribuciones que le confiere el articulo 39 de la Constitución Política del Estado, La Cámara de Diputados acuerda:PRIMERO. ─ Representar a S. E. el Presidente de la República y a los señores Ministros de Estado miembros de las Fuerzas Armadas y del Cuerpo de Carabineros, el grave quebrantamiento del orden constitu-cional y legal de la República que entraña los hechos y circunstancias referidos en los considerándoos N° 5° a 12 precedentes;SEGUNDO. ─ Representarles, asimismo, que, en razón de sus funcio-nes, del juramento de fidelidad a la Constitución y a las leyes que han prestado y, en el caso de dichos señores Ministros, de la naturaleza de las instituciones de las cuales son altos miembros y cuyo nombre se ha invocado para incorporarlos al Ministerio, les corresponde poner inmediato término a todas las situaciones de hecho referidas, que in-

siguientes desmanes:a) Con el propósito de minar la autoridad de la magistratura y de do-blegar su independencia, ha capitaneado una infamante campaña de injurias y calumnias contra la Excma. Corte Suprema y ha amparado graves atropellos de hecho contra las personas y atribuciones de los jueces;b) Ha burlado la acción de la justicia en los casos de delincuentes que pertenecen a partidos y grupos integrantes o afines del Gobierno, ya sea mediante el ejercicio abusivo del indulto o mediante el incumpli-miento deliberado de órdenes de detención;c) Ha violado leyes expresas y ha hecho «tabla rasa» del principio de separación de los Poderes, dejando sin aplicación las sentencias o resoluciones judiciales contrarias a sus designios y, frente a las denun-cias que al respecto ha formulado la Excma. Corte Suprema, el Presi-dente de la República ha llegado al extremo inaudito de arrogarse en tesis el derecho de hacer un «juicio de méritos» a los fallos judiciales, determinando cuándo éstos deben ser cumplidos;9°. Que, en lo que se refiere a la Contraloría General de la República ─ un organismo autónomo esencial para el mantenimiento de la juri-dicidad administrativa ─ el Gobierno ha violado sistemáticamente los dictámenes y actuaciones destinados a representar la ilegalidad de los actos del Ejecutivo o de entidades dependientes de él; 10°. Que entre los constantes atropellos del Gobierno a las garantías y derechos fundamentales establecidos en la Constitución, pueden des-tacarse los siguientes:a) Ha violado el principio de igualdad ante la ley, mediante discrimi-naciones sectarias y odiosas en la protección que la autoridad debe prestar a las personas, los derechos y los bienes de todos los habitantes de la República, en el ejercicio de las facultades que dicen relación con la alimentación y subsistencia, y en numerosos otros aspectos, siendo de notar que el propio Presidente de la República ha erigido estas discriminaciones en norma fundamental de su Gobierno, al pro-clamar desde el principio que .l no se considera Presidente de todos los chilenos;b) Ha atentado gravemente contra la libertad de expresión, ejercien-do toda clase de presiones económicas contra los órganos de difu-sión que no son incondicionales adeptos del Gobierno; clausurando ilegalmente diarios y radios; imponiendo a estas últimas «cadenas» ilegales; encarcelando inconstitucionalmente a periodistas de oposi-ción; recurriendo a maniobras arteras para adquirir el monopolio del papel de imprenta, y violando abiertamente las disposiciones legales a que debe sujetarse el Canal Nacional de Televisión, al entregarlo a la dirección superior de un funcionario que no ha sido nombrado con acuerdo del Senado como lo exige la ley, y al convertirlo en ins-trumento de propaganda sectaria y de difamación de los adversarios políticos;c) Ha violado el principio de autónoma universitaria y el derecho que la Constitución reconoce a las Universidades para establecer y mante-ner estaciones de televisión, al amparar la usurpación del Canal 9 de la Universidad de Chile, al atentar por la violencia y las detenciones ile-gales contra el nuevo Canal 6 de esa Universidad, y al obstaculizar la extensión a provincias del Canal de la Universidad Católica de Chile;d) Ha estorbado, impedido y, a veces, reprimido con violencia el ejer-cicio del derecho de reunión por parte de los ciudadanos que no son adictos al régimen, mientras ha permitido constantemente que grupos a menudo armados se reúnan sin sujeción a los reglamentos pertinen-tes y se apoderen de calles y camiones para amedrentar a la población;e) Ha atentado contra la libertad de enseñanza, poniendo en aplicación en forma ilegal y subrepticia, a través del llamado Decreto de Demo-cratización de la Enseñanza, un plan educacional que persigue como finalidad la concientización marxista;f) Ha violado sistemáticamente la garantía constitucional del derecho de propiedad, al permitir y amparar más de 1.500 «tomas» ilegales de predios agrícolas, y al promover centenares de «tomas» de estableci-mientos industriales y comerciales para luego requisarlos o intervenir-los ilegalmente y constituir as., por la vía del despojo, el .rea estatal de la economía; sistema que ha sido una de las causas determinantes de la insólita disminución de la producción, del desabastecimiento, el mercado negro y el alza asfixiante del costo de la vida, de la ruina del erario nacional y, en general, de la crisis económica que azota al país y que amenaza el bienestar mínimo de los hogares y compromete gravemente la seguridad nacional;g) Ha incurrido en frecuentes detenciones ilegales por motivos polí-

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illegale, e così obbligava i generali-ministri, parte integrante dell’esecutivo, a scegliere la legalità parlamentare o l’illega-lità governativa. Ovviamente, la risoluzione di tale dilemma non fu difficile per quei generali che già sostenevano posi-zioni contro la coalizione di UP. Nei restanti giorni di agosto del 1973, aumentò la tensione nei circoli militari.

Il 24 agosto si dimisero il generale Guillermo Pickering, comandante degli istituti militari, e il generale Mario Sepùl-veda, comandante della seconda divisione dell’esercito, di istanza a Santiago. Furono rimpiazzati rispettivamente dai generali Sergio Arellano Stark e Herman Brady, conosciuti entrambi come simpatizzanti della DC e fautori del golpe di settembre. Invece i due generali uscenti erano, anche se taci-tamente della stessa linea politica di Prats.

Il 28 agosto chiese le dimissioni dal governo anche all’am-miraglio Raùl Montero, Ministro delle Finanze, che tornò al suo posto di Comandante della Marina; questo perché Allen-de non aveva fiducia nel comandante supplente, vice-ammi-raglio Toribio Merino.

Immediatamente si formò un nuovo gabinetto politico, ma ci fu solo l’inclusione del comandante in capo dei Carabine-ros. L’intento era di mantenere la stabilità istituzionale intor-no ai leader del momento.

Caras nuevas, cambios y enroques:¡El nuevo gabinete!

A raíz de las renuncias de ministros militares, se forma un nuevo ga-binete, en el que participan el contraalmirante Daniel Arellano y el general de división Rolando González.Los ministros debutantes en el Gabinete del Presidente Allende son solamente tres: el contraalmirante Daniel Arellano, quien asumió la cartera de Hacienda en reemplazo del almirante Raúl Montero, y el general de división, Rolando González, quien se desempeñará como ministro de Minería en lugar del ingeniero Pedro Felipe Ramírez, y el doctor Mario Lagos, que reemplaza al doctor Jirón. El contraalmirante Arellano ha cumplido una brillante carrera en las filas de la Arma-da Nacional, siendo jefe de la Primera Zona Naval. Por su parte, el general González es especialista en Geología y Geodesia, disciplinas íntimamente relacionadas con la cartera que desempeñará. El doctor Lagos es profesor universitario y especialista en cirugía del tórax.Volvió «pinocho»Al Ministerio del Interior regresó el ex ministro Carlos «Pinocho» Briones. Su nombramiento fue hecho en carácter de independiente de izquierda y como señaló expresamente el Presidente, «lo nombraba de acuerdo a sus prerrogativas constitucionales».Otros cambios«Fanta» Letelier, que dejó la Secretaría del Interior, asumió la Cartera de Defensa, reemplazando al general Carlos Prats. Pedro Felipe Ra-mírez pasó de Minería a Vivienda, mientras el resto del equipo minis-terial quedaba «igual pascual».Los que se fueronAdemás del general Prats y el almirante Montero, cuyas renuncias ya se conocían, dejaron el gabinete los ex ministros de Salud, Dr. Arturo Jirón y el «Pibe» Palma, que desde su puesto de ministro de Vivienda pasará a colaborar directamente con el Presidente en otro cargo de alta responsabilidad. Y así se cumplió la reestructuración del gabinete.48

Il direttore generale dei Carabineros, Josè Maria Sepùlve-da, fu nominato Ministro dell’Agricoltura; il controammi-raglio Daniel Arellano alle finanze, sostituendo Montero; il

48 Articolo pubblicato sul diario «Clarín» il 29 agosto del 1973.

fringen la Constitución y las leyes, con el fin de encauzar la acción gu-bernativa por las vías del Derecho y asegurar el orden constitucional de nuestra patria y las bases esenciales de convivencia democrática entre los chilenos;TERCERO. ─ Declarar que, si así se hiciere, la presencia de dichos señores Ministros en el Gobierno importaría un valioso servicio a la República. En caso contrario, comprometerán gravemente el carác-ter nacional y profesional de las Fuerzas Armadas y del Cuerpo de Carabineros, con abierta infracción a lo dispuesto en el artículo 22 de la Constitución Política y con grave deterioro de su prestigio ins-titucional, yCUARTO. ─ Transmitir este acuerdo a S. E. el Presidente de la Repú-blica y a los señores Ministros de Hacienda, Defensa Nacional, Obras Públicas y Transportes y Tierras y Colonización». Dios guarde a V. E.Luis Pareto González (Presidente), Raúl Guerrero Guerrero (Secre-tario).46

Dopo la presentazione della mozione, i militari presenti nel governo si affrettarono a fare la seguente dichiarazione che fu pubblicata dalla stampa:

I ministri militari, conforme alla risoluzione approvata, autorizzati dal loro giuramento di fedeltà alla Costituzione, porranno fine a tutte le si-tuazioni che infrangono la Costituzione e la legge; guideranno le azio-ni governative in modo coerente con la legge, e assicureranno l’ordine costituzionale. D’altronde, il carattere nazionale e professionale delle Forze Armate sarebbe messo in pericolo seriamente con un’aperta in-frazione della Costituzione.47

Questa mozione, una chiara “messa in piazza” del ruolo dei militari e dei loro doveri, in realtà mancava di validità giuridica. Dimostrava però tutto il suo peso politico e per-suasivo. Il potere legale dichiarava che il potere esecutivo era

46 Cfr., AA.VV., Antecedentes Histórico-Jurídicos Años 1972-1973, Santiago, Editorial Jurídica de Chile, 1980, pp. 143-148.47 Dichiarazione contenuta in un articolo della rivista «El Mercurio» del 24 agosto del 1973. Nello stesso articolo fu pubblicata anche una dichiarazione di UP: «Declaracion UP. El comité ejecutivo de la Unidad Popular emitió el siguiente comunicado: Compañeros: La obcecación de la oposición ha llegado al límite más peligroso de estos últimos tiempos. En ese objetivo deben entenderse el acuerdo irracional, sin destino jurídico e inconstitucional de la mayoría de la Cámara de Diputados y la embestida contra las Fuerzas Armadas, especialmente canallesca en el caso del ataque al hogar y la persona del ministro de Defensa, general Carlos Prats. La dirección nacional de la Unidad Popular, declarada en estado de emergencia y de reunión permanente, ha decidido ordenar a sus organismos y militantes a lo largo de todo el país lo siguiente: 1.- Todas las directivas provinciales y comunales de la Unidad Popular y sus bases deben constituirse en sesión permanente, cualquiera que sea el estado de los actos o conflictos provocados por las fuerzas reaccionarias para intentar, una vez más, el derrocamiento del Gobierno Popular. 2.- Respecto de la clase trabajadora y sus tareas, este comité ejecutivo respalda en todas sus partes y hace suyo el instructivo general emitido por la Central Única de Trabajadores y declara que ese organismo será el que mantenga la conducción de la clase en su lucha por la defensa del Gobierno constitucional. 3.- La gravedad extrema del momento que vive Chile exige la mayor y más férrea unidad de los partidos populares. 4.- Formulamos un llamado a todos los sectores que se opongan al enfrentamiento sangriento entre chilenos, a unirse en torno a la defensa del Gobierno legítimo 5.- Todos nuestros militantes y simpatizantes deben colaborar y cumplir sin pausa con las tareas de vigilancia, trabajo voluntario y en las labores de abastecimiento y movilización que realicen y planteen las autoridades de Gobierno para que el país mantenga su marcha incontenible hacia un destino superior. Los obreros, empleados, campesinos, profesionales y técnicos, juventudes, hombres y mujeres de todos los sectores patrióticos responderán con su fuerza al desafío criminal del golpismo y lo aplastarán definitivamente. ¡Unidad y combate, venceremos! Comité Ejecutivo Nacional Unidad Popular».

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dividualizados. Los sumarios están desarrollándose con gran agilidad, de acuerdo a las instrucciones que en tal sentido se han impartido, a fin de descubrir en toda su amplitud el movimiento que pretendía soli-viantar al personal de la Escuadra con fines hasta ahora desconocidos. Tanto la Comandancia en Jefe de la Escuadra como la Comandancia en Jefe de la Primera Zona Naval han observado rigurosa reserva so-bre este hecho, expresándose solamente que cualquier informe será entregado por la Comandancia en Jefe de la Armada en Santiago, a través de su Departamento de Relaciones Públicas. Acuarteladas fuerzas armadas en ValparaisoValparaíso.- (por Eduardo Parra, corresponsal).- De acuerdo con dis-posiciones emanadas de sus respectivas jefaturas, fueron acuartelados en primer grado las Fuerzas Armadas y Carabineros en la provincia. La medida fue dispuesta ante la situación reinante en la zona y en ge-neral en todo el país. Contingentes fuertemente armados comenzaron ayer a custodiar algunos centros vitales de la zona, vías de comunica-ción, etc., con el objeto de evitar cualquier atentado.49

I cento lavoratori e marinai degli arsenali navali furono ar-restati; e senza essere giudicati, furono torturati brutalmente con metodi nazisti, tipici dal golpe di settembre in poi: scos-se elettriche, simulazione di soffocamento, ecc… Quando poi furono giudicati, i lavoratori non ebbero neppure la pos-sibilità di una difesa legale, e si formularono vaghe accuse di “non aver adempiuto doveri militari”.

Altamirano e Garreton denunciarono clamorosamente i fatti accaduti. La reazione militare fu immediata, entrambi furono accusati dalla corte navale di Valparaiso e il mandato di comparizione fu firmato da uno dei cospiratori, l’ammi-raglio Toribio Merino. Questi pretendeva che fosse tolta ai due politici l’immunità parlamentare, e che si presentassero davanti alla corte militare. Nei fatti, i marinai e i lavoratori detenuti erano stati forzati a confessare, sotto la tortura, che stavano eseguendo ordini di Altamirano, Garreton e Enri-quez.

Marineros torturados

La situación de los marineros y trabajadores de ASMAR (Astilleros y Maestranzas de la Armada) detenidos bajo la acusación pública de profesar ideas de izquierda, causa honda preocupación. Con alguna lentitud, debido a la prolongada incomunicación en que han perma-necido los prisioneros, han comenzado a fluir informaciones que han conmovido a la clase trabajadora. En efecto, se ha sabido que los ma-rineros y trabajadores detenidos fueron sometidos a crueles torturas. Algunas de ellas, en materia de sadismo, no tienen nada que envidiar a las que aplican a sus opositores algunos regimenes fascistas como el brasileño. Se ha pretendido arrancarles confesiones para configurar presuntos delitos, entre ellos el de insurrección. Se ha buscado vincu-lar a los suboficiales y marineros detenidos con partidos políticos de izquierda y con imaginarios planes para apoderarse de buques de la Escuadra. Sin embargo, a pesar de los repudiables métodos usados, el Fiscal Naval se ha tenido que conformar con acusarlos de “incum-plimiento de deberes militares”. Este es un concepto muy vago que, cuando mas, sirve para encubrir cargos que no es posible sostener por falta de pruebas. Lo que ha quedado en clara, en cambio, es que los suboficiales, marineros y trabajadores de ASMAR detenidos y tor-turados, han sido objeto de estos tratos inhumanos por su negativa a sumarse a los planes golpistas que descaradamente propugnan secto-res de la oficialidad. Los testimonios en este sentido son variados y elocuentes. Las victimas de esta insólita represión interna en la Ar-mada, al parecer están unidos por un vínculo común: su decisión de no prestarse para aventuras golpistas que pretenden agredir a la clase trabajadora. Es por eso que la situación de los marineros y trabaja-

49 Articolo pubblicato sulla rivista «El Mercurio» l’8 agosto del 1973.

generale di divisione Rolando Gonzales alle miniere; il ge-nerale di brigata Humberto Magliochetti ai trasporti e opere pubbliche. A sua volta Orlando Letelier rimpiazzò il genera-le Prats al Ministero della Difesa.

Queste nomine provocarono uno scandalo sulla stampa di opposizione al governo, che fece sentire la sua voce con diversi articoli come ad esempio: “Infiltrazioni marxiste nei carabineros”, ecc…

La situazione nella marina era lontana dall’essere stabile. Il 7 agosto, quando la stampa d’opposizione denunciò “attività sovversiva di sinistra tra i marinai e i lavoratori portuali”, tre politici, Garreton (MAPU), Atamirano (PS) ed Enriquez (MIR), s’interessarono della faccenda, soprattutto perché i lavoratori e i marinai erano stati accusati di sedizione e posti sotto la legge di sicurezza interna dello stato. Allende stesso approvò l’applicazione della legge.

ACCION DE EXTREMISTASArmada detecto movimiento subversivo en dos unidadesLa oficina de Relaciones Públicas de la Armada comunicó de manera oficial la detección de un movimiento subversivo en dos unidades de la Escuadra, apoyado por elementos ajenos a la Institución.La Comandancia en Jefe de la Armada, a través de la oficina de Re-laciones Publicas, informó oficialmente ayer tarde que «en los últi-mos días de la semana pasada» fue detectada la gestación de un mo-vimiento subversivo en dos unidades de la Escuadra, «apoyado por elementos extremistas ajenos a la institución». La declaración expresa textualmente: «En los últimos días de la semana pasada fue detec-tada por los Servicios de Inteligencia de la Armada la gestación de un movimiento subversivo en dos unidades de la Escuadra, apoyado por elementos extremistas ajenos a la institución. De inmediato se procedió a la substanciación de un sumario interno que ha permitido individualizar y detener a varios tripulantes, presumiblemente com-prometidos. En el citado proceso que se instruye se han formulado cargos por faltas graves a la disciplina y a las disposiciones del Código de Justicia Militar al personal que habría deliberado con elementos ajenos a la institución, cuya vinculación y responsabilidad una vez es-clarecida será sancionada rigurosamente de acuerdo con el reglamento de disciplina de la Armada y el Código de Justicia Militar. Estos he-chos son consecuencia evidente de la intensa campaña de propaganda perniciosa que han estado desarrollando grupos extremistas mediante continuos llamados a la desobediencia. La Armada Nacional condena violentamente todo intento destinado al quebrantamiento de la disci-plina y la cohesión institucional que afecta a la institución, expresando que será inflexible en la aplicación de las medidas tendientes a contro-lar la situación y sancionar a sus responsables». Pedro Barahona Lopetegui, capitán de Fragata, jefe de Relaciones Pú-blicas de la Armada.

Santiago, 7 de agosto de 1973.

Valparaíso.- (Corresponsal).- Según ha trascendido, en el crucero, «Almirante Latorre» y en el destructor «Blanco Encalada», que se en-cuentran atracados al molo de abrigo en Valparaíso, se iba a concretar el pasado fin de semana una acción subversiva aprovechándose de que gran parte de la dotación no se encontraría a bordo por efecto de las guardias que tienen franco.Esta acción, cuyos verdaderos alcances están siendo conocidos en es-tos instantes por la justicia naval, a través de los jefes y oficiales en-cargados de estructurar los sumarios correspondientes, concentra bá-sicamente a personal de distintos grados de las tripulaciones de ambas naves. Los movimientos, que, al parecer, consultaban incluso el des-plazamiento de unidades, fueron detectados a tiempo por miembros de la Inteligencia Naval, lo que permitió lograr controlar la situación a tiempo. Esto derivó en la inmediata detención de quienes aparecían como responsables e implicados en los hechos, estableciéndose la ac-tuación de varios elementos infiltrados que ya están perfectamente in-

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Declaración sobre la campaña contra las torturas en la Armada(6 de agosto de 1973)

“Es decisión del Gobierno impedir el enfrentamiento entre chilenos y por esa superior razón señala que las acciones o declaraciones que contribuyen a dificultar un proceso crítico como el que vive la nación, son altamente perjudiciales.“El Gobierno ha insistido en que no puede deformarse la realidad chilena con un falso antagonismo entre el pueblo y las Fuerzas Ar-madas. Instituciones estas que deben mantener su integridad y pro-fesionalismo para cumplir con las elevadas responsabilidades que imponen la defensa y seguridad nacionales.“El Gobierno, de acuerdo con su conducta invariable de respeto al Estado de Derecho, no puede ni debe emitir juicio alguno sobre los hechos que se investigan y que se encuentran en estado de tramita-ción “En relación con las denuncias públicas sobre flagelaciones a miembros de la Marina sometidos a proceso, ha sido informado que algunos de éstos han ejercitado las acciones legales ante los tribunales respectivos.“Por otra parte, ha dispuesto que se tomen todas las medidas que sean necesarias para esclarecer los hechos referidos y se adopten las medi-das concordantes con los resultados de la investigación.“Si hay culpables de torturas, serán sancionados; en caso contrario, serán castigados los que se hayan hecho responsables de imputaciones sin fundamentos”.52

il comitato esecutivo dell’UP pubblicò in seguito una ver-sione più moderata nel tono di quella precedente.53

I marinai leali e antigolpisti torturati e incriminati scrissero una lettera aperta ad Allende e ai lavoratori del Cile:

Carta de los marineros torturados a Salvador Allende(Agosto de 1973)

A su Excelencia el Presidente de la República, y a los trabajadores de todo el país:

Nosotros los marinos de tropa, antigolpistas, les decimos a las auto-ridades, a los trabajadores de todo Chile y a nuestros familiares, que ni las amenazas que nos hacen nuestros jefes, de volver a flagelarnos, ni mil torturas más, nos impedirá decirle la verdad a nuestra gente, la clase obrera y a nuestros compañeros de tropa del Ejército, Fuerza Aérea y ciudadanía en general.Los reaccionarios han usado todos los medios de convicción para mentirle al pueblo diciendo que nosotros los marinos, con los señores Altamirano, Garretón y Enríquez, íbamos a bombardear las ciudades de Viña del Mar, Valparaíso y otras.Los hechos son diferentes, nosotros esclarecemos estos hechos tan

52 Ivi, p. 4904. È interessante tradurre la parte in corsivo del testo che evidenzia la polemica con l’esecutivo di UP: «Il governo non deve creare falsi antagonismi tra il popolo e le Forze Armate, le quali devono conservare il loro professionalismo e la loro integrità per portare a termine i loro compiti ed eccezionali responsabilità nella difesa e la sicurezza nazionale».53 Si riporta la seconda dichiarazione rivisitata dopo l’intervento di Allende: «Unidad Popular (Comité Político): Declaración sobre las torturas en la Armada (6 de agosto de 1973). El Comité Político de la UP, autoridad máxima de los partidos de izquierda, declara que el comunicado del Comité Ejecutivo del Partido Federado de la Unidad Popular sobre el proceso que sigue la Fiscalía de la II Zona Naval no tiene los alcances que le han dado algunos sectores, en el sentido de que implicaría un apoyo a los actos subversivos en la Armada. La UP está convencida que el proceso establecerá que los inculpados no han cometido acto alguno de subversión. Por lo misma razón, el Comité Político de la UP reafirma su solidaridad con el Secretario General del PS, senador Carlos Altamirano, y con el Secretario General del MAPU, diputado Oscar Garretón. Está fuera de toda lógica que pudieran participar en actividades subversivas personeros de partidos integrantes del Gobierno y de una coalición que ha expresado reiteradamente su posición de respecto irrestricto al carácter profesional y constitucionalista de los institutos armados». Ivi, p. 4906.

dores presos ha despertado la más amplia solidaridad en todo el país. Numerosas organizaciones de masas, partidos políticos, personalida-des, órganos de prensa, etc., han protestado enérgicamente por esta situación y han expresado su solidaridad con los detenidos. Como es lógico, PF se suma a su vez a esas manifestaciones. Los trabajadores ven en los marineros hoy torturados, en los militares, aviadores y ca-rabineros que también rechazan el golpismo, a sus mejores amigos. El pueblo esta con quienes, dentro de las FF. AA. y Carabineros, hacen lo posible por contrarrestar la creyente amenaza golpista que manipulan la burguesía y el imperialismo.50

Qualche tempo dopo, il giorno precedente al golpe, Al-tamirano dichiarò che una volta si era unito a un gruppo di marinai, che l’avevano invitato ad ascoltare la loro denuncia su dei piani insurrezionali, organizzati da ufficiali importanti della marina.

Le persistenti denuncie della stampa di sinistra sulle atti-vità dei cospiratori furono ostensibilmente lasciate da parte dall’esecutivo, che preferì avere fede nei procedimenti della giustizia, allora sotto “l’imparziale” direzione di Toribio Me-rino. Persino Allende criticò il comitato esecutivo dell’UP per aver fatto delle dichiarazioni d’appoggio ai marinai de-tenuti:

Unidad Popular: (Comité Ejecutivo Nacional):Declaración sobre las torturas en la Armada(6 de agosto de 1973)

“Frente a la siniestra campaña derechista respecto de los sucesos ocurridos en la Armada, el Comité Ejecutivo de la Unidad Popular declara:1. Su solidaridad con los marinos y suboficiales procesados cuya úni-ca actitud fue defender la Constitución y la ley y rechazar a quienes pretendieron comprometer a la Armada en el golpismo. Igualmente acuerda hacer llegar todo su apoyo y solidaridad a las esposas, hijos y familiares de los procesados.2. Denunciar que las torturas sin precedentes a que han sido sometidos y que nadie ha podido desmentir, constituyen un atentado a los dere-chos humanos. El pueblo exige garantías de corrección, trato digno y respeto por los derechos inalienables de los marinos injustamente acusados.3. Entregar su más amplio respaldo a los compañeros Carlos Altami-rano, Secretario General del Partido Socialista; Oscar Garretón, Se-cretario General del Partido MAPU, y Miguel Enríquez, a quienes se pretende implicar en una supuesta subversión. La Unidad Popular y el pueblo saben que no están en su seno quienes pretenden permanente-mente dividir a las Fuerzas Armadas. Por el contrario, ha sido y es su política de siempre el respeto irrestricto por su carácter profesional y constitucionalista.4. Alertar al pueblo sobre esta nueva maniobra reaccionaria que atenta contra la seguridad nacional al pretender separar al pueblo de las Fuer-zas Armadas intentando comprometerlos con los intereses golpistas del imperialismo y los reaccionarios.¡¡El pueblo exige castigo para los golpistas!!¡¡Contra la sedición y el fascismo, unidad y combate, venceremos!!

Comité Ejecutivo Nacional Unidad Popular”51

In base al seguente intervento fatto da Allende:

Salvador Allende:

50 Articolo pubblicato sulla rivista «Punto Final», Santiago, Año VIII, n. 191, Martes 28 agosto de 1973, p. 1.51 La dichiarazione è pubblicata in Víctor Farías, La Izquierda Chilena 1969-1973, Santiago, Centro de Estudios Publicos, 2000, p. 4907.

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Alvarado. Cabo 1° (EL) Mariano Ramírez. Marinero 1° (MR-AF-MQ) Alejandro Retameo. Marinero 1° (MR-AF-MQ) Luis Fernández R. Operador 3° (MQ) Bernardino Farina. Operador 3° (MQ) Víctor Martínez C. Marinero 1° (MQ) Nelson Córdoba. Marinero 1° (MA) Orlando Véniz V.54

Le denuncie di queste ingiustizie, formulate dai partiti PS, MAPU e MIR, facevano parte di una campagna diretta ai soldati, aviatori e marinai, stimolandoli a disobbedire agli ordini insurrezionali e antipopolari.

Mancando però una ferma organizzazione nelle caserme, tali appelli suonarono nel vuoto. La stampa di sinistra pub-blicava sui giornali articoli con i titoli come “Soldato, ferma-mente con il popolo” oppure “Soldato, la madre patria è la classe operaia”; inoltre pubblicava entusiastici articoli sulle Forze Armate rivoluzionarie di Cuba e i concetti sulla sicu-rezza nazionale popolare adottati dalla politica militare cu-bana. E questi articoli erano intercalati da altri sulla tortura, sulla repressione militare, su incursioni e controlli delle armi fatti alle organizzazioni dei lavoratori, ecc…

Altro motto costante, fatto da alcuni settori della sinistra, era: “No alla guerra civile”. Il MIR definì queste posizio-ni politiche, come “criminalmente insufficienti, difensive e apolitiche”.

Il conflitto nella direzione militare della marina non era ancora risolto. All’inizio di settembre la stampa d’opposizio-ne attaccava costantemente il comandante in capo Montero, accusandolo di:

- aver permesso, negli anni passati, che navi della flotta sovietica penetrassero nelle acque cilene offendendo la so-vranità, l’onore, la sicurezza e l’indipendenza dello stato, in realtà una missione sovietica, accompagnata da ufficiali del-la marina cilena, aveva svolto compiti d’ispezione;

- non aver risolto e chiarito il problema della concessione del porto di Colcura alla Russia; in realtà, c’era solo il pro-getto della costruzione di un porto peschereccio, con l’aiuto di un credito sovietico.

Montero come risposta a tali accuse offrì immediatamente le sue dimissioni come comandante in capo, Allende le re-spinse dicendo che era nel “supremo interesse della nazione” e per “imperativo di superiore gerarchia” che egli doveva rimanere al suo posto fino alla fine dell’anno, quando auto-maticamente si sarebbe ritirato, al termine di quaranta anni di servizio.

La situazione di Montero era insostenibile; tuttavia man-tenne il suo ruolo di comandante in capo fino al giorno del golpe, quando fu sostituito da Merino.

All’inizio di settembre, ci furono delle manovre militari congiunte con la marina nordamericana, realizzate annual-mente sotto l’auspicio della Giunta Interamericana di Difesa (JID). Le attività della JID avevano coinciso di solito con momenti di crisi politica nei vari paesi Latinoamericani. Nel

54 Ivi, pp. 4908-4910. È interessante tradurre le frasi in corsivo del testo: «Se difendere il governo, la Costituzione, la legalità e il popolo è un crimine, e al contrario violare la legge e distruggere la vita di molti esseri umani non lo è, quale è allora la legalità? Che i lavoratori rispondano».

inmensamente distorsionados por la derecha reaccionaria junto a los oficiales y grupos golpistas de la armada, que por fuera se ven limpios, blancos – y por dentro están podridos.Es falso que los señores Altamirano, Garretón y Enríquez nos dirigie-ran. Es distinto.Nosotros acudimos a distintas personalidades para dar cuenta del golpe de Estado que preparaba la oficialidad golpista coludida con los reaccionarios de otras ramas de las Fuerzas Armadas y partidos políticos de derecha.Nosotros los marinos, antigolpistas de tropa, buscamos por todos los medios comunicarles al pueblo y al Gobierno de este golpe de Estado que planificaba la oficialidad golpista de la Armada. Para nosotros era vital evitar esa gran masacre contra el pueblo, que estaba ya pla-nificada con fecha definida entre el 8 y el 10 de agosto, por datos e informaciones concretas, sumando a éstos las diferencias de nuestros jefes para con nosotros, la tropa, donde nos explicaban que por tales o cuales razones el Gobierno marxista debía ser derrocado y limpiado el pueblo de dirigentes marxistas.Era, sin duda, el Plan Yakarta, como nosotros habíamos logrado saber por ellos mismos y corroborado en el proceso que se nos sigue.En tanto a hechos, por ejemplo: A uno de nosotros, el comandante Bilbao, Fiscal, le preguntó de cómo se iba a restituir la legalidad, cuando no iba a quedar después del golpe ningún líder de izquierda vivo. También para nosotros dentro de este plan, la suerte era incierta.En el juicio que se nos sigue podrán darse cuenta ustedes, la ciudada-nía, de los tenebrosos planes que iba a ejecutar la oficialidad golpista contra la clase trabajadora, nuestra clase, porque nosotros los marinos de tropa somos hijos del pueblo, por lo tanto, jamás haríamos fuego contra él.Nuestro delito Oponerse al golpe de Estado, por lo cual ellos fracasaron. Se nos ha flagelado y torturado criminalmente.Se nos ha ofrecido no flagelarnos más, inclusive dejarnos en libertad, con tal de que nosotros cooperemos y digamos que los señores Alta-mirano, Garretón y Enríquez nos dirigían y que nos habían ordenado bombardear Valparaíso, Viña, la Escuela Naval y otras cosas por el estilo.Como nos negamos, nos seguían golpeando en la cruz, nos colgaban en ataúd, nos hacían tomar las meadas de los verdugos, nos colgaban de los pies y nos sumergían en el agua, nos sumían en pozos de barro, nos aplicaron corriente, nos tiraban agua caliente en el cuerpo, des-pués fría y decenas de cosas más.En Valparaíso nos vendaron los ojos En Talcahuano (la tortura) fue sin venda y estuvo a cargo, en forma de hecho, de los señores Koeller, capitán Bhuster, teniente Jaeger, Lete-lier, Luna, Alarcón, Tapia, Maldonado, Leatich.Nos hacían hablar en grabadora lo que ellos querían en Talcahuano. Pegándonos culatazos por todos lados y nos decían: tienen que hablar lo mismo donde el Fiscal.Y el Fiscal nos preguntaba: “¿Se sienten mal?”, !Si les han hecho algo, díganme”.Llegábamos machucados. Apenas sí podíamos hablar, otros no podían andar, otros con conmoción cerebral no podían venir a declarar.Nosotros le preguntamos a la ciudadanía si a los señores Viaux, Sou-per, comandante Sazo (de la Armada y que aún se encuentra en servi-cio) ¿los torturaron? Si defender al Gobierno, la Constitución, la le-galidad, el pueblo, es un delito, y, al contrario, derrocar al Gobierno, atropellar la ley y terminar con la vida de miles de seres humanos, eso es legal.¡Que contesten los trabajadores!

Firmado: Sargento 2° (MG) Juan Cárdenas. Cabo 2° (Artill.) Alberto Salazar. Marinero 1° (MA) Ernesto Zúñiga S. Marinero 1° (MA) Er-nesto Carvajal. Cabo 2° (EL) José Lagos A. Marinero 1° (Art.) David Valderrama. Marinero 1° (Art.) Claudio Espinoza. Marinero 1° (CF) José Velásquez A. Marinero 1° (CF) Luis Rojo G. Marinero 1° (Art.) Mario Mendoza U. Marinero 1° (EL) Roberto Fuentes F. Cabo 2° (MQ) José Jara. Cabo 1° (ME) Miguel González. Marinero 1° (MQ) Tomás Alonso. Cabo 1° (Art.) Pedro Lagos. Cabo 2° (Art.) Juan Ro-dán B. Marinero 1° (MA) Jaime Salazar. Cabo 2° (E) Pedro Blasset C. Cabo 2° (MA) Sebastián Ibarra V. Marinero 1° (Art.) Luis Ayala N. Marinero 1° (Art.) Carlos Ortega D. Marinero 1° (Art.) Rodolfo Claro C. Cabo 2° (MA) Teodosio Cifuentes R. Marinero 1° (Art.) Juan Segovia A. Marinero 1° (Art.) Juan Dotts. Cabo 1° (MQCA) Carlos

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cano en su forma actual, encuentra su contrapartida en la emergencia de estos principios y elementos orgánicos en que tiende a expresarse la presencia latinoamericana en el mundo contemporáneo. Tenemos los latinoamericanos la obligación de concebir con audacia una perspec-tiva y un programa que sirvan para ir articulando iniciativas dispersas y recogiendo experiencias comunes y para diseñar una meta que im-prima sentido y organización a este irresistible movimiento histórico que pugna por nacer, expresarse y afirmarse. Lo que hemos estado acostumbrados a llamar “El sueño de Bolívar”, parece ahora, en una versión de fines del siglo XX, querer convertirse en realidad.En la perspectiva de promover la progresiva institucionalización de un sistema latinoamericano, la regulación de la convivencia interameri-cana, hemisférica, cambia de sentido y de naturaleza.Lo que hasta ahora ha sido el sistema interamericano dispositivo de dominación del norte sobre el sur, debe llegar a ser en el futuro y en la medida en que un sistema latinoamericano se expresa institucio-nalmente, la estructura orgánica y hemisférica que sustente el diálogo entre los Estados Unidos, por una parte, y la América Latina por otra. Tal diálogo estaría dirigido a regular el conflicto latente manifiesto entre ambas partes, buscarle respuestas constructivas y propósitos co-munes que puedan servir de cimiento a una política de cooperación interamericana en el plano económico-social y en el plano cultural, científico y tecnológico.Es por ello necesario y urgente:1. Que los órganos competentes de la entidad dejen sin efecto incon-dicionalmente las sanciones políticas y económicas contra Cuba, que Chile, como otras naciones latinoamericanas rechaza, cuestionando su legitimidad. Por nuestra parte, pensamos que la subsistencia de tan insólita situación no sólo conspira contra todo intento serio de reorga-nizar el sistema interamericano en el futuro, sino que hasta amenaza con obstruir el normal funcionamiento de la organización en su actual etapa.2. Que se disuelva prontamente la “Comisión Especial de Consulta sobre Seguridad”, tal como lo ha planteado la representación chilena en el Consejo de la OEA, por estimar incompatible su existencia con el irrestricto derecho de cada país de darse el régimen político y social que soberanamente desee, sin discriminación ideológica de ninguna naturaleza.3. Que se reexaminen, a la luz del principio que acabamos de señalar, aquellos tratados y convenciones Ínter-hemisféricas que, como el Tra-tado interamericano de Asistencia Recíproca, o entidades que, como la Junta Interamericana de Defensa o el Colegio Interamericano de Defensa, se inspiran y contienen disposiciones o prácticas incompa-tibles con la neutralidad política e ideológica sobre la que necesaria-mente debe sustentarse toda estructura que quiera regular las relacio-nes entre los Estados Soberanos del continente. […].56

La soluzione proposta dal Ministro si basava sul riesami-nare, alla luce del principio del diritto di ogni paese di darsi il regime politico e sociale che sovranamente desidera e senza discriminazione ideologica di nessuna natura, quei trattati e convenzioni interemisferici, come il trattato internazionale di assistenza reciproca, e quegli enti, come la giunta inte-ramericana di difesa o il collegio interamericano di difesa, che s’ispiravano e contenevano disposizioni o pratiche in-compatibili con la neutralità politica e ideologica, sulla quale necessariamente deve sostenersi tutta la struttura che regola le relazioni tra gli stati sovrani del continente.

Il giorno 6 settembre 1973 Allende ordinò espressamente ai capi della marina di uscire da Valparaiso e di riunirsi con la flotta americana il giorno dieci.

56 Discorso fu pronunciato dal Ministro delle Relazioni Estere del Cile, Clodomiro Almeyda, nel III Periodo Ordinario della Sessione dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani il 4 aprile 1973 a Washington D.C., USA. È stato pubblicato sulla rivista «Estudios Internacionales», Santiago, Anno VI, n. 21, 1973, pp. 84-90.

caso del Cile non fu il prodotto di una semplice coincidenza, ma la coordinazione di piani esistenti tra gli USA e le Forze Armate cilene. Tradizionalmente le manovre “Unite” si ese-guivano a settembre ed erano state stabilite in conformità del patto di aiuti militari, firmato tra il Cile e gli USA nel 1952 e approvato dal Senato dell’epoca con 25 voti favorevoli e 6 contrari. Negli anni precedenti la crescente opposizione, so-prattutto sotto l’amministrazione Frei, indusse il governo ci-leno a ottenere che avessero una forma diversa. Le manovre continuarono, però fuori dalle acque territoriali; e i marinai nordamericani non sbarcavano nei porti cileni come invece succedeva nelle manovre precedenti.

Nel programma base di UP si dichiarava l’intenzione di «denunciare, rivedere e respingere gli accordi che signifi-cavano compromesso e limitavano la nostra sovranità; spe-cialmente il trattato di assistenza reciproca (Rio1947), il pat-to mutuo di aiuti (1952) e altri patti firmati tra il Cile e gli USA»55. Nel 1973, le operazioni “Unite” compivano però ventuno anni di pratica; e quindi l’Unidad Popular, nei suoi tre anni di vita, non aveva mantenuto le sue promesse eletto-rali, riguardo a tale proposito. Non bisogna dimenticare però una risoluzione su tale problema, proposta dal ministro delle relazioni estere del Cile, Clodomiro Almeyda, all’assemblea generale dell’organizzazione degli stati americani nel 1973:

El fundamento histórico de la situación que analizamos, se encuentra en la naturaleza del contexto internacional que rodeó y condicionó la configuración formal definitiva del sistema interamericano a fines de los años 40. Eran los tiempos de la más aguda guerra fría y la potencia hegemónica en el continente necesitaba, aquí, como en otras partes del mundo, de un dispositivo jurídico e institucional de seguridad y dominación que a la vez legitimara su hegemonía y le permitiera in-cluso utilizar en su favor los recursos naturales y hasta humanos del subcontinente latinoamericano.La tercera reunión de consulta de los ministros de Relaciones Exte-riores en Río de Janeiro en 1948; la Conferencia sobre la Guerra y la Paz en Chapultepec, México, en 1945; y la Conferencia Sobre el Mantenimiento, de la Paz y la Seguridad Continentales en Río de Ja-neiro en 1947, que aprobó el tratado de asistencia recíproca de los Estados Americanos y finalmente, la Novena Conferencia de Esta-dos Americanos que se reunió en Bogotá en 1948, articularon todo un sistema de relaciones hemisféricas que encubrió e institucionalizó la dependencia de América Latina respecto a los Estados Unidos e insertó todo ese sistema naciente en el proceso político de la guerra fría sobre el supuesto de una presunta solidaridad hemisférica, que ni la historia, ni la economía, ni la política, han podido verificar en el pasado ni en el presente.Con relación al presente, basta con aludir al impresionante material de investigación disponible, acumulado por los organismos interna-cionales que proporcionan una abrumadora evidencia acerca de la oposición de intereses y divergencias de políticas entre el norte y el sur, para reafirmar que la supuesta solidaridad hemisférica ha sido y es un gigantesco artificio que no puede servir de cimiento para construir nada como no sea ayudar a la deformación de la conciencia de los pueblos latinoamericanos, obstaculizando su despertar y su liberación.[…]Está naciendo ya, aunque no nos lo hayamos propuesto consciente-mente, el germen de lo que puede y debe llegar a ser un verdadero sistema latinoamericano, constituido por políticas comunes, movidas por intereses, ideales y principios comunes, que tienden a buscar for-mas orgánicas e institucionales para manifestarse.Creemos los chilenos que ha llegado la hora de promover consciente-mente este proceso, La caducidad irreversible del sistema interameri-

55 Programa Básico de Gobierno de la Unidad Popular, cit., p. 33.

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Le notizie sul ritorno della marina a Valparaiso, alle prime ore della mattina del giorno undici, furono simultanee alle prime informazioni sul golpe.

LO SCENARIO DEL GOLPE 10 SETTEMBRE 1973

Per la preparazione del golpe ci furono vari movimenti anormali di truppe. Il reggimento Buin, di Santiago che i cospiratori supponevano che avrebbe fatto resistenza, poco prima del golpe fu inviato nel sud del paese con vari pretesti.

Aerei civili DC-8 furono trasferiti alla base aerea di Los Cerrillos, in previsione di dover trasportare truppe.

Parte dello squadrone di jet da combattimento Hawker Hunter fu trasferito da Santiago a Conception. Secondo le dichiarazioni del generale Leigh dopo il golpe, questo fu fat-to per timore di sabotaggi da parte di “elementi di estrema sinistra”.

Durante la notte del 10 settembre, Allende fu informato del ritorno della flotta a Valparaiso e che da San Felipe, 100 kilometri dalla capitale, si muovevano truppe verso Santia-go. Quando cercò conferma di quello che stava succeden-do, non ebbe nessuna risposta dai suoi comandanti in capo. Solamente il comando superiore dei carabineros rispose alla sua domanda iniziale e rimase alla Moneda tutta la mattina dell’undici, durante l’attacco.

Forze dei carabineros difesero il perimetro del palazzo con carri blindati e armi corte fino a quando il suo centro di con-trollo delle comunicazioni fu preso dall’esercito e ricevette l’ordine di ritirarsi.

Molti politici e consiglieri della coalizione di UP si trova-rono il giorno 11 nel palazzo presidenziale. Allende rifiutò l’offerta, fatta dal generale dell’aviazione Gabriel Van Scho-wen, di uscire dal Cile sano e salvo, e aggiunse:

Dite al generale Van Schowen che il Presidente del Cile non prenderà un aereo per scappare, saprà comportarsi come un soldato, come Pre-sidente della Repubblica.58

Durante la mattinata del giorno 11 Allende parlò per radio al popolo varie volte, rivolgendosi alla classe operaia nel suo insieme,tra il rumore delle mitragliatrici e dei razzi lanciati dagli Hawker Hunters contro il palazzo della Moneda.

«Estas son mis ultimas palabras» dijo Allende a las 9.20 de hoyEl Rancagüino, que es el único diario que salió a la calle el medio-día del 11, informa sobre las palabras de Salvador Allende a través de Radio Magallanes, en la cual se despide de la ciudadanía, en los mismos instantes en que se desarrolla el golpe militar.A las 9.20 de la mañana el Dr. Allende se dirigió al país por cadena de radios de la Unidad Popular, expresando que ésta era la última oportunidad que tenia para dirigirse al pueblo y que estas serían sus últimas palabras:«Pagaré con mi vida la lealtad al pueblo», dijo, agregando que la se-milla sembrada en miles y miles de chilenos no podrá ser cegada. Ellos tienen la fuerza y podrán avasallarnos, dijo, pero no se detienen los procesos con el crimen ni con la fuerza. La victoria es nuestra.

58 Joan Garcés, Allende y la experiencia chilena las armas de la critica, cit., p. 381.

Realidades y FantasíasEl diario Clarín señala que los allanamientos efectuados por las Fuerzas Armadas son provocadores para la clase obrera, y que deben evitar que disminuya el afecto del pueblo por las Fuerzas Armadas, ya que esto también atenta contra la seguridad nacional.La derecha chilena sueña con una ayuda «infinita» del imperialismo norteamericano, pero no se detiene a meditar en la realidad que en-frenta ese país, estremecido por los escándalos políticos y económicos mayores del siglo.El caso Watergate y las acusaciones de fraude contra el vicepresidente Spiro Agnew son sólo una manifestación del hondo drama que corroe el corazón mismo del imperio. Ello se refleja también en las fluctua-ciones del valor de la divisa nacional, el dólar, lo que a su vez crea una inflación interna fruto de la inestabilidad de los capitalistas y acarrea, igualmente, inflación a otras naciones de la Tierra. Por último, es pre-ciso recordar que EE.UU. viene saliendo de una feroz derrota militar en Indochina y que su opinión pública es visiblemente hostil a otras aventuras externas, incluyendo muy especialmente los vastos territo-rios de América Latina.Como resultado de los hechos que someramente hemos indicado, el nuevo Secretario de Estado, Kissinger, trata de mejorar la «imagen» de esa gran potencia ante los ojos de los pueblos débiles del Tercer Mundo. No solamente ha promovido el término de la guerra en el sudeste asiático y ha intentado relajar las tensiones con los países so-cialistas, sino que ha insinuado la posibilidad de normalizar las re-laciones con Cuba. Ello deriva de conveniencias para las empresas transnacionales en que gira el capital imperialista, más que de razones humanitarias o convicciones teóricas, pero de todas maneras es una realidad que debe ser analizada y aceptada.En estos momentos, pues, para los Estados Unidos, no es un «buen negocio» complicarse en un golpe de Estado en Chile o financiar al Gobierno que sugiere de esa sedición antidemocrática y gorila.Uso y abuso de los militaresTal vez por eso la derecha, cazurra y sofisticada, quiere sacar las cas-tañas con la mano del gato y busca la quiebra de la disciplina de las Fuerzas Armadas, para empujarlas a un gobierno militar, que no po-dría solucionar los problemas que el país enfrenta y que acarrearía sobre los uniformados el odio pasional de los trabajadores y de la ciu-dadanía. Sólo entonces intervendrían los políticos reaccionarios, que habrían así liquidado a todos los sectores de la nación interesados en modernizar las instituciones y erradicar los grupos oligárquicos que siempre se beneficiaron con las riquezas nacionales.Los militares que sienten atracción por la aventura deben pensar en la responsabilidad que asumirán al desacreditar a un ejército cuya tra-dición democrática y profesional le ha dado prestigio en el exterior y afecto en el interior, ya que no es posible «echar por la borda» como material en desuso, la doctrina Schneider-Prats, de prescindencia polí-tica y de respeto a las autoridades legítimamente constituidas.En estos asuntos se sabe cómo se comienza, pero jamás como se ter-mina, tanto más cuanto que el pueblo no está dispuesto a tolerar una dictadura gorila que humille la conciencia y violente la paciencia de los trabajadores.Allanamientos provocadoresA este respecto no podemos dejar de referirnos a los allanamientos en búsqueda de inexistentes armas que sólo sirven para provocar a una masa obrera que siempre ha respetado y querido a sus Fuerzas Armadas, pero a la que se hace víctima de un trato brutal y vejatorio.Este trato se ha extendido a los periodistas que acuden a cubrir el fren-te de la noticia, todo lo cual parece maquiavélicamente calculado para empujar a grupos militares a hechos imprevisibles. Las armas están, justamente, en manos de los que denuncian a los trabajadores y, sin embargo, a ellos no se les allana ni se les veja. En Chile no hay clases privilegiadas, por mandato de la Constitución, por lo que estas discri-minaciones resultan particularmente odiosas. No se ha sabido de que se haya allanado con la bayoneta calada ninguna mansión del barrio alto ni que se haya obligado a alguna señorona a tenderse de bruces sobre el pasto mojado de los jardines, como se hace con las obreras sobre el barro inmundo de las calles suburbanas. Los jefes castrenses deben impedir que se deteriore el afecto popular por las Instituciones Armadas, pues de ello depende también la «seguridad nacional».57

57 L’articolo fu pubblicato dal diario «Clarín» il 7 settembre 1973.

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L’11 settembre, il popolo e i cittadini del Cile ricevettero una pioggia di volantini lanciati da aerei ed elicotteri. Dice-vano:

Disciplina civile

Le azioni portate a termine dalle Forze Armate e carabineros sono unicamente per il bene del Cile e dei cileni e contano sull’appoggio civile.Non si avrà compassione per gli estremisti stranieri che sono venuti a uccidere cileni.Cittadino, rimani all’erta per scoprire chi sono e denunciali alle au-torità militari più vicine.61

CONCLUSIONI

L’instaurazione di un governo militare fu solo possibile grazie all’uso della Forza Armata.

ACTA DE CONSTITUCION DE LA JUNTA DE GOBIERNODecreto ley N. 1.- Santiago de Chile, a 11 de Septiembre de 1973.El Comandante en Jefe del Ejército, General de Ejército don Augusto Pinochet Urgarte; el Comandante en Jefe de la Armada, Almirante don José Toribio Merino Castro; el Comandante en Jefe de la Fuerza Aérea, General del Aire don Gustavo Leigh Guzmán y el Director General de Carabineros, General don César Mendoza Durán, reunidos en esta fecha, y Considerando:1.- Que la Fuerza Pública, formada constitucionalmente por el Ejérci-to, la Armada, la Fuerza Aérea y el Cuerpo de Carabineros, representa la organización que el Estado se ha dado para el resguardo y defensa de su integridad física y moral y de su identidad histórico-cultural;2.- Que, por consiguiente, su misión suprema es la de asegurar por sobre toda otra consideración, la supervivencia de dichas realidades y valores, que son los superiores y permanentes de la nacionalidad chilena, y3.- Que Chile se encuentra en un proceso de destrucción sistemática e integral de estos elementos constitutivos de su ser, por efecto de la intromisión de una ideología dogmática y excluyente, inspirada en los principios foráneos del marxismo-leninismo;Han acordado, en cumplimiento del impostergable deber que tal mi-sión impone a los organismos defensores del Estado, dictar el siguien-te, Decreto-ley:1.- Con esta fecha se constituyen en Junta de Gobierno y asumen el Mando Supremo de la Nación, con el patriótico compromiso de res-taurar la chilenidad, la justicia y la institucionalidad quebrantadas, conscientes de que ésta es la única forma de ser fieles a las tradiciones nacionales, al legado de los Padres de la Patria y a la Historia de Chile, y de permitir que la evolución y el progreso del país se encaucen vi-gorosamente por los caminos que la dinámica de los tiempos actuales exigen a Chile en el concierto de la comunidad internacional de que forma parte.2.- Designan al General de Ejército don Augusto Pinochet Ugarte como Presidente de la Junta, quien asume con esta fecha dicho cargo.3.- Declaran que la Junta, en el ejército de su misión, garantizará la

que fue leal a la lealtad de los trabajadores. El pueblo debe defenderse, pero no sacrificarse. El pueblo no debe dejarse arrasar ni acribillar, pero tampoco puede humillarse. Trabajadores de mi patria: Tengo fe en Chile y su destino. Superarán otros hombres este momento gris y amargo, donde la traición, pretende imponerse. Sigan ustedes, sabiendo, que mucho más temprano que tarde, de nuevo, abrirán las grandes alamedas por donde pase el hombre libre, para construir una sociedad mejor. ¡Viva Chile! ¡Viva el pueblo! ¡Vivan los trabajadores! Estas son mis últimas palabras y tengo la certeza, de que mi sacrificio no será en vano. Tengo la certeza de que, por lo menos, habrá una lección moral que castigará la felonía, la cobardía y la traición». Cfr., http://www.salvador-allende.cl/Discursos/1973/despedida.pdf.61 I volantini sono depositati in originale presso l’archivio Fernando Murillo – Sezione B- Riviste, bollettini, periodici.

Enseguida comenzó a expresar agradecimientos en primer lugar a los trabajadores de su Patria, por la lealtad y la confianza que depositaron en un hombre que empeñó su palabra de respetar la Constitución y las leyes. Agregó que por ser esta la última oportunidad en que se dirigía a los trabajadores, les pedía que aprovecharan la lección y acusó al capital foráneo, al imperialismo y la reacción de haber creado el clima que hizo que las Fuerzas Armadas rompieran su tradición. Se dirigió después a las mujeres y a la juventud, a los campesinos y a los inte-lectuales, advirtiendo que el fascismo ya está presente. Expresó que estaba hablando por medio de Radio Magallanes, que seguramente seria acallada. Dijo que el pueblo debía defenderse pero no sacrificar-se. «Tengo fe en Chile y su destino que superará con otros hombres este momento amargo de la traición», expresó. Sus últimas palabras fueron: «Viva Chile, viva el pueblo, vivan los trabajadores. Tengo la certeza de que mi sacrificio no será en vano y que se castigará la felonía y la cobardía».59

Le forze dell’esercito, che attaccavano il palazzo, esige-vano la sua resa ma egli continuo a rifiutarla fino alla morte. Nel suo ultimo messaggio dalla radio Magellano disse:

Il capitale straniero e l’imperialismo uniti alla reazione, hanno creato un clima per cui le Forze Armate hanno spezzato la loro tradizione, quella segnalata da Schneider e riaffermata dal comandante Araya. Le Forze Armate sono vittime dello stesso settore sociale che oggi è chiuso nelle case, sperando che altre mani conquistino il potere per continuare a difendere i loro privilegi.60

59 Articolo pubblicato sul diario «El Rancagüino» l’11 settembre 1973.60 Joan Garcés, Allende y la experiencia chilena las armas de la critica, cit., p. 394. L’ultimo discorso di Allende prima di morire: «Seguramente esta es la última oportunidad en que me pueda dirigir a ustedes. La Fuerza Aérea ha bombardeado las torres de Radio Portales y Radio Corporación. Mis palabras no tienen amargura, sino decepción, y serán ellas el castigo moral para los que han traicionado el juramento que hicieron... soldados de Chile, comandantes en jefe titulares, el almirante Merino que se ha auto designado, más el señor Mendoza, general rastrero... que sólo ayer manifestara su fidelidad y lealtad al gobierno, también se ha nominado director general de Carabineros. Ante estos hechos, sólo me cabe decirle a los trabajadores: ¡Yo no voy a renunciar! Colocado en un tránsito histórico, pagaré con mi vida la lealtad del pueblo. Y les digo que tengo la certeza de que la semilla que entregáramos a la conciencia digna de miles y miles de chilenos, no podrá ser segada definitivamente. Tienen la fuerza, podrán avasallarnos, pero no se detienen los procesos sociales ni con el crimen... ni con la fuerza. La historia es nuestra y la hacen los pueblos. Trabajadores de mi patria: Quiero agradecerles la lealtad que siempre tuvieron, la confianza que depositaron en un hombre que sólo fue intérprete de grandes anhelos de justicia, que empeñó su palabra en que respetaría la Constitución y la ley y así lo hizo. En este momento definitivo, el último en que yo pueda dirigirme a ustedes, quiero que aprovechen la lección. El capital foráneo, el imperialismo, unido a la reacción, creó el clima para que las Fuerzas Armadas rompieran su tradición, la que les enseñara Schneider y que reafirmara el comandante Araya, víctimas del mismo sector social que hoy estará en sus casas, esperando con mano ajena reconquistar el poder para seguir defendiendo sus granjerías y sus privilegios. Me dirijo sobre todo, a la modesta mujer de nuestra tierra, a la campesina que creyó en nosotros; a la obrera que trabajó más, a la madre que supo de nuestra preocupación por los niños. Me dirijo a los profesionales de la patria, a los profesionales patriotas, a los que hace días estuvieron trabajando contra la sedición auspiciada por los Colegios profesionales, colegios de clase para defender también las ventajas que una sociedad capitalista da a unos pocos. Me dirijo a la juventud, a aquellos que cantaron, entregaron su alegría y su espíritu de lucha. Me dirijo al hombre de Chile, al obrero, al campesino, al intelectual, a aquellos que serán perseguidos... porque en nuestro país el fascismo ya estuvo hace muchas horas presente en los atentados terroristas, volando los puentes, cortando la línea férrea, destruyendo los oleoductos y los gasoductos, frente al silencio de los que tenían la obligación de proceder: estaban comprometidos. La historia los juzgará. Seguramente Radio Magallanes será acallada y el metal tranquilo de mi voz no llegará a ustedes. No importa, lo seguirán oyendo. Siempre estaré junto a ustedes. Por lo menos, mi recuerdo será el de un hombre digno

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SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015 | STORIA

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dei militari nella crisi di un regime (1970-1973), Arona, Edi-tore XY.IT, 2015.

Inoltre:AA.VV., El caso Schneider, Santiago, Editora Nacional

Quimantú, 1972.AA.VV., Il Cile. Saggi-Documenti-Interviste, Roma, Edi-

zioni «Il Manifesto», 1973.Salvador Allende, Nuestro camino hacia el socialismo: la

vía chilena, Buenos Aires, Ed. Papiro, 1971.Raul Ampuero, El poder político e las Fuerzas Armada,

Santiago, Ed. Punto Final, 1973.Raul Ampuero, El pueblo en la defensa nacional, Santia-

go, Documento del USP, 1971.Alain Joxe, Las Fuerzas Armadas en el sistema político de

Chile, Santiago, Ediciones Universitaria, 1970.Alain Joxe, I militari cileni dal legalismo alla violenza

istituzionale, Politica Internazionale, n. 11, novembre 1973.Alberto Polloni, Las Fuerzas Armadas de Chile en la vida

nacional, Santiago, Editorial Andrés Bello, 1972.Carlos Prats, Memorias. Testimonio de un soldado, Santia-

go, Edición Pehuén, 1985.Carlos Prats, Una vida por la legalidad, México, Fondo de

Cultura Económica, 1976.

plena eficacia de las atribuciones del Poder Judicial y respetará la Constitución y las leyes de la República, en la medida en que la actual situación del país lo permitan para el mejor cumplimiento de los pos-tulados que ella se propone.Regístrese en la Contraloría General de la República, publíquese en el Diario Oficial e insértese en los Boletines Oficiales del Ejército, Armada, Fuerza Aérea, Carabineros e Investigaciones y en la Recopi-lación Oficial de dicha Contraloría.JUNTA DE GOBIERNO DE LA REPUBLICA DE CHILE.- AU-GUSTO PINOCHET UGARTE, General de Ejército, Comandante en Jefe del Ejército.- JOSE T. MERINO CASTRO, Almirante, Coman-dante en Jefe de la Armada.- GUSTAVO LEIGH GUZMAN, General del Aire, Comandante en Jefe de la Fuerza Aérea.- CESAR MENDO-ZA DURAN, General, Director General de Carabineros.Lo que se transcribe para su conocimiento.- René C. Vidal Basauri, Teniente Coronel, Jefe Depto. Asuntos Especiales, Subsecretario de Guerra subrogante.62

L’eliminazione della resistenza si è ottenuta mediante as-sassinii, torture, carcerazioni arbitrarie e persecuzioni indi-scriminate.

Gli organi rappresentativi popolari politici, sindacali, so-ciali e la stampa furono smantellati e i servizi pubblici posti sotto il controllo militare: scuole, ospedali, università.

La cultura popolare fu inquinata da valori militari e “pa-triottici”. In poche parole, l’eliminazione di quello che la giunta militare di Pinochet chiamava “il cancro marxista”, portò tutta la società cilena dell’epoca verso un processo di “militarizzazione”. Le Forze Armate erano diventate l’unico partito legale.

Ancora prima del golpe, le Forze Armate avevano assunto un ruolo sempre più importante nella vita nazionale cilena. Per salvaguardare gli interessi dell’imperialismo, i partiti po-litici dell’opposizione alla coalizione di UP si erano conver-titi in guardiani inadeguati della situazione nazionale. Quan-do aumentò la crisi di dominazione, le Forze Armate erano strettamente legate ai settori della destra. Il loro ruolo tradi-zionale come istituzione professionale, con l’incarico della difesa nazionale, fu compromesso dal processo generale di politicizzazione.

Mentre la destra organizzava i suoi gruppi paramilitari, aiutata da importanti ufficiali e da ex membri delle Forze Armate, la facciata tradizionale andò decadendo, e i militari furono chiamati a “deliberare” nella politica nazionale.

I fatti dal 1970-73, hanno mostrato che quando il regime civile diventa incapace di controllare efficacemente la si-tuazione nazionale in virtù di operazioni destabilizzanti, la risposta della classe dominante è di servirsi delle Forze Ar-mate per riaffermare il suo dominio sulla società. In questo modo si determina un dominio sociale con la violenza armata o “all’eliminazione chirurgica dell’opposizione”, usando una definizione della giunta di Pinochet.

Questo è quello che si chiama “Dittatura della Sicurezza Nazionale”.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Gaetano Oliva, La costituzione cilena del 1925. Il ruolo

62 Cfr., Biblioteca del Congreso Nacional de Chile - www.leychile.cl.

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FILOSOFIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015

Responsabilità e scelte morali: elementi per una bioetica valdese FRANCESCO MANFREDI E MICHELE SAVIANOAssociazione Culturale DiSciMuS RFC

spazio interpretativo non soltanto peculiare, ma determinante per la comprensione della complessità delle «bioetiche con-fessionali». A tal proposito, le principali analisi speculative e ricostruttive rivolte al panorama bioetico valdese – da Sergio

Rostagno a Ermanno Genre – tendono a sottolinearne tale rilevanza. Il percorso interpretativo che segue si propone, dunque, di individuare i nessi fondamentali che caratterizza-no, in ambito valdese, il rapporto tra dimensione speculativa e piano applicativo evidenziandone specificamente, a partire dalla complessità categoriale, l’intensità dell’impatto «pro-cedurale» rispetto alle principali questioni bioetiche.

II. Com’è noto il termine protestantesimo ingloba diverse realtà di gruppi religiosi. Nell’universo delle sue componenti un’espressione quanto mai significativa è rappresentata dalla Chiesa evangelica Valdese. Il movimento valdese origina e prende forma a cavallo tra il XII e il XIII. Più esattamente la vicenda valdese3 ha inizio in Europa verso la fine del XII

3 Il termine valdese è riferibile ad una realtà geografica collocabile nel

I. La complessa articolazione del dibattito bioetico contemporaneo ha assunto un ca-rattere cogente e, allo stesso tempo, coor-dinate specifiche all’interno dell’ampio segmento di riflessione che po-

tremmo definire «confessionale». Le prospettive interpretative delle differenti «bioetiche confes-sionali», attraverso un’intensa e variegata dia-lettica fatta di confronti, tensioni e convergenze, costituiscono un orizzonte di ricerca e di analisi determinante per la strutturazione e la configu-razione complessiva della riflessione bioetica in quanto tale. Il carattere «confessionale» conferi-sce alle differenti prospettive di analisi un carat-tere peculiare ed al tempo stesso orientato ver-so ciò che potremmo definire in termini etici un processo di «oggettivazione». Appunto in questa dialettica tra peculiarità confessionale e tensione per un’«oggettivazione etica»1 si delinea la por-tata speculativa ed applicativa di una prospettiva bioetica. In tal senso, l’analisi della prospettiva bioetica valdese2 ci consente di delineare le coordinate di uno

1 Cfr. P. PIOVANI, Principi di una filosofia della morale, Napoli 1972.2 Nel contesto delle cosiddette “bioetiche confessionali” o “religiose” non pochi sostengono la tesi della non esistenza di una “bioetica protestante” , in senso stretto, a causa della ricchezza di sfumature teologiche di cui è portatore il protestantesimo i cui esiti storici hanno disegnato una pluralità di espressioni ecclesiali e soprattutto l’assenza di un’autorità “centrale” in materia dogmatica. “Secondo alcuni non esisterebbe una bioetica protestante, al modo in cui esistono una bioetica cattolica romana, una bioetica ebraica e una bioetica secolare […] il protestantesimo è intrinsecamente pluralista, sia per ragioni di carattere storico, sia per ragioni di carattere teologico. L’assenza di un’autorità dogmatica ed ecclesiale universale fa sì che nessuna chiesa, e nessun teologo, possa parlare a nome di tutto il protestantesimo; la distinzione fra il piano delle fede, che rimanda alla coscienza individuale, e quello delle opere, configura l’etica protestante come un’etica della responsabilità, fondata sul rifiuto di principi assoluti”. L. SAVARINO, Bioetica cristiana e società secolare. Una lettura protestante delle questioni di fine vita, Torino 2013, p. 15.

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SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015 | FILOSOFIA

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avamposto protestante in Italia7. Dall’Europa della Contro-riforma e nei tre secoli che seguono il Concilio di Trento, la storia del movimento valdese, che come un fiume carsico sembra scomparire senza lasciare traccia per poi riemergere con rinnovato vigore, narra di persecuzioni, di radicamento nel ghetto alpino, di esili e di tenaci tentativi di resistenza8, fino al fatidico anno 1848 che, come Chanforan, rappresenta una tappa fondamentale del valdismo italiano. La conces-sione delle Lettere Patenti, che riconoscono alle popolazioni valdesi (e agli ebrei) i diritti civili e politici pur non conce-dendo nulla sul piano della libertà di culto e riaffermando il cattolicesimo romano come religione del Regno Sardo, chiudeva definitivamente l’esperienza del ghetto e con essa secoli di vessazioni riconoscendo ad una sparuta minoranza religiosa un ruolo nella comunità nazionale9.

I decenni che seguono vedono i valdesi accogliere le idee risorgimentali10, mentre nell’immediato periodo post-uni-tario l’azione evangelistica è espressa nei termini culturali ed assistenziali: creare scuole ed opere assistenziali, di que-sto ha bisogno la giovane nazione11. Nel corso del tempo la

7 I valdesi aderiscono infatti alla Riforma nel 1532 nel corso del Sinodo di Chanforan, un’assemblea popolare, aperta, in cui liberamente parteci-pa e si esprime il popolo della zona. “Le chiese riformate del Piemonte costituiscono la nuova fase del movimento valdese dopo l’adesione alla Riforma della Svizzera di lingua francese (1532). Una quindicina di chiese così vissute per tre secoli nel ghetto alpino delle «Valli valdesi» in una situazione di continua precarietà in cui si alternavano periodi di tolleranza di fatto a persecuzioni. L’impostazione di fondo di queste chiese, come si rileva dalla Confessione di fede del 1655, è in linea con quella calvinis-ta dei riformati svizzeri e francesi, dei presbiteriani scozzesi, dei puritani olandesi”. F. GIAMPICCOLI, Una chiesa senza papa, Torino 2003, p. 12.8 Nell’Europa sconvolta dalle guerre di religione fino alla pace di Utrecht (1713) che finalmente spegneva le passioni religiose, per la piccola encla-ve valdese due date restano scolpite nella memoria per la tragicità degli eventi che le segnarono: il 1655 quando il massacro conosciuto come le Pasque piemontesi sollevò l’indignata protesta dell’Europa e l’intervento dell’Inghilterra di Cromwell, e il 1685, quando a seguito del divieto di Lu-igi XIV re di Francia ai protestanti di professare la loro fede – attraverso la revoca dell’editto di Nantes col quale Enrico IV nel 1598 aveva concesso alle chiese delle riforma una larga autonomia – il culto riformato venne abolito nella val Pragelato e val Chisone e i locali di culto abbattuti. 9 L’8 febbraio del 1848 Carlo Alberto firma lo Statuto, il 17 dello stesso mese il re concede le Lettere patenti, “che restituiscono alle popolazioni valdesi i diritti civili e politici, parificandoli a tutti i sudditi del Regno sardo: diritto alla studio, all’esercizio delle professioni, all’acquisto delle terre. Per quanto concerne la libertà religiosa la situazione permaneva im-mutata e le Patenti lo precisavano: «Nulla però è innovato quanto all’eser-cizio del loro culto…» […] La sera è tutto un fiammeggiare di fuochi sulle alture; il 27 febbraio la delegazione valdese sfila per le vie di Torino […] Il ghetto era definitivamente finito”. G. TOURN, I Valdesi. La singolare vicenda di un popolo-chiesa, Torino 1999, p. 218.10 Diversamente dalla Chiesa di Roma i valdesi nell’aderire alle idee ris-orgimentali “hanno scelto l’avvenire e non il passato, il rinnovamento non la restaurazione. Si trovano così insieme a liberali, radicali e più tardi so-cialisti a combattere contro l’oscurantismo delle posizioni papaline. Sono una «forza progressista» rispetto a Roma, ed una religione moderna”. Ivi, p. 236. Su questo specifico tema si veda anche, G. SPINI, Italia liberale e protestanti, Torino 2002; e dello stesso autore, Risorgimento e protestanti, Torino 1998.11 Il principale problema dell’Italia post-unitaria è l’analfabetismo e per i valdesi l’attività evangelistica, nella direzione della promozione culturale, mira alla costruzione anzitutto di cittadini responsabili e poi di credenti maturi. “In ogni borgata o città dove trovò accoglienza, la chiesa valdese si preoccupò di organizzare una scuola, affidandone la responsabilità ad un insegnante; la cappella venne solo in un secondo tempo […] l’Italia

secolo, in un periodo di profonde trasformazioni sociali e in fondo di crisi della società europea. In realtà dell’origine del movimento si sa poco: in particolare le fonti a disposizione sono riconducibili ai verbali dell’inquisizione o all’operato di «cronisti» dell’epoca. La rottura con la Chiesa di Roma si consuma a partire dalla pretesa di Valdo4 di rivendicare, per sé e per i suoi accoliti, il diritto di predicare liberamente. Quando l’autorità religiosa gli vieta di predicare, Valdo rifiu-ta; i Poveri dapprima vengono espulsi da Lione e tra il 11845 e il 1190 sono dichiarati eretici6 e condannati.

Con la Riforma del 1517 le valli alpine diverranno un

Piemonte occidentale e ad una comunità evangelica, cristiana, fondata al-cuni secoli prima della Riforma. Per un ulteriore approfondimento dell’ar-gomento nella vastissima produzione bibliografica si veda: E. COMBA, Storia dei valdesi, Torre Pellice (To) 1930; L. SANTINI, Il Valdismo ieri e oggi, Torino 1966; G. GONNET, Le confessioni di fede valdesi prima della Riforma, Torino 1967; G. G. MERLO, Eretici e inquisitori nella so-cietà piemontese del ‘300, Torino 1977; ID., Valdesi e valdismi medievali, Torino 1984; H. ARNAUD, Il Glorioso Rimpatrio dei Valdesi, Torino 1989; A. A. HUGON, Storia dei Valdesi. Dal sinodo di Chanforan all’Emancipazione, vol. II, Torino 1989; G. G. MERLO, Identità valdesi nella storia e nella storiografia, Torino 1991; G. GONNET, Enchiridion Fontium Valdesium, vol. II, Torino 1998.4 La questione del nome dell’iniziatore del movimento ha sollevato nu-merose dispute che, in verità, hanno finito per complicare ancora di più un problema di per sé abbastanza intricato. “Il suo nome latinizzato era sicuramente Valdesius, perché così viene indicato in tutte le fonti dirette […] per quanto taluni preferissero latinizzare il nome con la forma equiva-lente Valdius (Alano da Lilla, 1194-95 e Pietro di Vaux-de Cernay, 1218). Due fonti tardive, degli ultimi anni del XV secolo, latinizzano il nome in Valdeus. L’unica eccezione rilevante a Valdesius, nelle fonti più antiche, è quella di Goffredo d’Auxerre (1187-1188), che ha conosciuto Valdo di persona poiché era presente al Sinodo provinciale di Lione nel 1180, e lo chiama Waudesius […] Dunque, in latino si chiamava Valdesius. Ma qual era il suo nome nella lingua parlata, in volgare? A questo proposito mi sembra decisiva la testimonianza del chierico gallese Walter Map che lo ha incontrato (o almeno ne ha sentito parlare dai suoi discepoli) a Roma nel 1179, durante il III Concilio Lateranense. A quanto sembra, egli riporta il nome esattamente come lo ha sentito pronunciare a Roma: Valdes”. C. PAPINI, Valdo di Lione e i «poveri nello spirito». Il primo secolo del movimento valdese (1170-1270), Torino 2001, pp. 85-87.5 Nell’autunno del 1184 papa Lucio III e Federico I imperatore si incontra-no a Verona; divisi su diverse questioni concordano sulla necessità di con-trastare l’eresia. Il documento di condanna dell’eresia, noto come Ad abo-lendam, identifica le molteplici condizioni di eresia elencandole minuz-iosamente. Scorrendo l’elenco accanto a Catari e Patarini, Giosefini, ed altri, compaiono i poveri di Lione. I valdesi sono in questo modo collocati in quella vasta galassia di gruppi e movimenti eterodossi del XII secolo. La ragione della condanna è contenuta nello stesso decretale e rinvia alla pretesa di predicare anche di fronte al diniego dell’autorità ecclesiastica. “In tali modi essi usurpavano una funzione loro non spettante e si pone-vano in contrasto con l’autorità del versetto paolino di Romani (10, 15): «Quo modo predicabunt nisi mittantur? [Come predicheranno se non sono inviati?]». Sembrerebbe di poter dedurne che la scomunica avesse valore in conseguenza dell’esercizio di una predicazione non legittimata dal pap-ato o dagli ordinari diocesani indipendentemente dai contenuti teologici e sacramentali della predicazione stessa”. G. G. MERLO, Valdo l’Eretico di Lione, Torino 2010, pp. 64-65. 6 Per uno studio delle eresie e degli eretici del medioevo si rinvia ai saggi: O. CAPITANI, L’eresia medievale, Bologna 1971; ID, Medioevo eretica-le, Bologna 1977; G. G. MERLO, Eretici ed eresie medievali, Bologna 1989. Sulla repressione dell’eresia a cavallo tra il XII e il XII secolo, si veda: ID., Contro gli eretici. La coercizione all’ortodossia prima dell’In-quisizione, Bologna 1996.

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FILOSOFIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015

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sull’etica protestante14 non può che muovere dall’esigenza di determinare i nessi tra l’annuncio evangelico e l’agire umano interpretato alla luce della rivelazione divina. Il nodo proble-matico del rapporto tra religione ed etica si staglia sullo sfon-do del pensiero riformato che fin dalle origini presuppone una «inequivalenza» fra religione ed etica, l’impossibilità di identificare il credere con l’agire. In realtà la problematicità della relazione fra pensiero e prassi, intenzione e risultato, è già posta dalla tradizione biblica alla luce del comandamento divino dell’amore nella duplice accezione dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo15.

14 L’etica protestante è nella sua essenza riconducibile al cristianesimo delle origini, appare perciò infondata la pretesa di ricondurre la riflessione etica protestante esclusivamente alla sola Riforma. “Gli elementi emersi nella riflessione teologica dei primi secoli si legano intimamente alla po-sizione assunta dal pensiero protestante. Proprio la ridiscussione di questi elementi, e soprattutto la valutazione della loro mediazione tradizionale attraverso l’epoca antica e medievale, determineranno gli indirizzi e le opzioni sia della teologia protestante classica, sia degli indirizzi etici che da essa possono derivare”. S. ROSTAGNO, Etica Protestante. Un percor-so, Assisi 2008, p. 15. In realtà è vero anche che l’etica protestante non può essere ricondotta ad un preciso schema per la ricchezza di risvolti teorici e pratici prodotti: “Dal puritanesimo al femminismo, dalle dichiarazioni sui diritti dell’uomo alle crociate contro l’alcool o il fumo, dalla fondazione della Croce Rossa alle conferenze ecumeniche sulla realizzazione del cris-tianesimo nel mondo e alla lotta contro ingiustizie e razzismo”. Ivi, p. 207. 15 Il tema dell’alterità, della possibilità di una concreta apertura all’altro e in particolare di condividere la sofferenza altrui, è al centro della rifles-sione critica sull’etica della medicina e più in generale della riflessione etico-filosofica. La questione della giustificazione dell’alterità pone ad esempio Ricoeur e Marcel in polemica con la filosofia husserliana per la quale l’esperienza originaria è solo quella dell’io al contrario di quella del tu che rappresenta un’esperienza derivata. “Lo sforzo dei tre pensato-ri francesi è quello di mediare tra la priorità husserliana assegnata all’io trascendentale e il rinvio all’alterità, in un riconoscimento dell’altro, che renda impossibile sia il solipsismo che il rapporto oggettivante postulato da Sartre”. M. T. RUSSO, L’etica della medicina e la bioetica fra solleci-tudine e giustizia nel pensiero di Paul Ricoeur, in Paul Ricoeur in dialogo. Etica, giustizia, convinzione, a cura di D. Iannotta, Cantalupa (To) 2008, p. 139. Sembra perciò degno di interesse tentare di analizzare le condizioni, le premesse, affinché l’altro diventi prossimo. La categoria della prossimità è investigata da Ricoeur, in particolare nel saggio Histoire er véritè del 1955, a partire dalla pericope evangelica del buon Samaritano (Luca 10, 25-37). La parabola che Gesù racconta origina dalla domanda postagli, da un dottore della legge, su chi sia il prossimo: «Chi è il mio prossimo?». Secondo Ricoeur è significativa la risposta di Gesù alla domanda sul chi è il prossimo; Gesù infatti risponde ponendo all’uditore, al termine della parabola, un’altra domanda di questo tono: «Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che si imbatte nei ladroni?» (v. 36). In questo modo la prossimità è definita non nei ter-mini di un oggetto sociale (Chi è il prossimo), ma di un comportamento, di una teoria dell’azione, ed è in tal senso che non esiste una scienza del prossimo, una sociologia del prossimo, perché essa sarebbe immediata-mente inficiata da una concreta prassi del prossimo: “Non esiste una te-oria del prossimo, ma piuttosto una prassi del prossimo, che si realizza attraverso un incontro da persona a persona. Per questo, nota Ricoeur, i due passanti incapaci di compassione sono definiti nella parabola tramite la loro categoria sociale, un sacerdote, un levita: questo sta ad indicare che sono non soltanto occupati, ma assorbiti completamente in un ruolo, in una funzione sociale e pertanto indisponibili ad accogliere quegli avveni-menti che comportano un autentico incontro con l’altro. L’incontro, infatti, porte sempre con sé la capacità di lasciarsi sorprendere e di essere disposti ad un comportamento imprevisto: cambiare il proprio programma e, nel caso del Samaritano, cambiare strada, aprendosi ad una relazione faccia a faccia, da persona a persona. L’elemento significativo è costituito pro-prio dalla categoria dell’incontro: il Samaritano, che non è ingombrato da una categoria sociale, «è una persona grazie alla sua capacità di incontro», la sua condotta non s’inquadra, pertanto, solo in una carica istituzionale,

Chiesa valdese ha assunto una dimensione organizzativa di tipo presbiteriano-sinodale12.

Questa vocazione strutturalmente assembleare trova con-crete modalità applicative nella costituzione di gruppi di la-voro ad hoc per la riflessione e la messa a punto di documenti da sottoporre al vaglio del comunità locali e del Sinodo. È il caso ad esempio della Commissione sui problemi etici po-sti dalla scienza (o commissione bioetica) il cui ruolo, più che offrire pacchetti di risposte preconfezionate, è quello, nel solco della tradizione delle chiese protestanti, di offrire spunti di riflessione critica in relazione alle pratiche scienti-fiche e mediche. Non quindi risposte desumibili da una pre-cisa catena precettistica, ma una tensione ermeneutica che impegna la comunità nella sua interezza. L’approccio alle questioni etiche che il progresso tecno-scientifico solleva pur muovendo dall’Evangelo descrive tali questioni sulla base di alcuni principi guida quali: l’autonomia della scienza, la re-sponsabilità che deriva da ogni nuova soglia di conoscenza, il rispetto che si applica ad ogni forma di vita e all’ambiente e il rispetto delle scelte individuali, per cui la libertà della persona non può essere compressa dall’affermazione di vi-sioni filosofiche e religiose, infine la solidarietà verso le per-sone sofferenti. “Le norme che ci possiamo dare quali esseri umani devono avere un carattere pubblico, confrontabile con esigenze di carattere pragmatico ed empirico, e non devono esser considerate l’espressione di un legame metafisico con qualche verità pretesamente ultima, alla quale verrebbe data traduzione pratica mediante norme a carattere etico”13.

Si tratta di una proposta etica che nella sua strutturazio-ne muove senz’altro da specifici riferimenti teologici e da una precisa fonte di ispirazione rintracciabile nel più ampio e complesso orizzonte dell’etica protestante.

III. Una riflessione sull’etica cristiana e in particolare

ha bisogno di scuole, non di cattedrali, di libri non di immagini sacre, di riflessione non di processioni”. G. TOURN, op. cit., pp. 238-239. Si tenga anche conto che proprio tra le popolazioni valdesi delle valli questo pro-gramma pedagogico esprime il suo massimo grado di coerenze attraverso la costruzione di una fitta rete di scuole, biblioteche, produzione libraria. 12 Presbiteriano in quanto è dirigere l’insieme dei presbiteri (termine del Nuovo Testamento che si traduce con “anziano”) a dirigere la comunità, sinodale perché il sinodo è l’autorità in tutti i campi della vita della chiesa: dottrinale, disciplinare, amministrativo. La chiesa è retta da una gerarchia di assemblee a garanzia del carattere collegiale e democratico delle comunità, al cui vertice si colloca il Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste, che rappresenta l’autorità massima del-la Chiesa in materia dottrinaria, legislativa, giurisdizionale e di governo. Esso è costituito dai deputati delle chiese locali, da un numero di mini-stri di culto equivalente e dai responsabili di particolari settori di attività (ad esempio le opere diaconali). Alla fine dei lavori il Sinodo elegge le commissioni amministrative cui compete la responsabilità di attuarne le decisioni e gli indirizzi sinodali oltre che amministrare i diversi settori di attività. Per un approfondimento della realtà organizzativa della Chiesa valdese si veda: CHIESA EVANGELCA VALDESE. UNIONE DELLE CHIESE VALDESI E METODISTE, Raccolta delle discipline vigenti nell’ordinamento valdese, Torino 2009.13 Gruppo di lavoro sui problemi etici posti dalla scienza, Bioetica - Ri-cerca e Orientamenti (17 luglio 1995), § 82, in «Protestantesimo» (Rivista trimestrale pubblicata dalla Facoltà Valdese di Teologia), L: IV (1995), p. 317.

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alla dimensione etica, mondana, dell’amore. In tal senso, la teologia luterana e più in generale quella riformata propone una radicale reinterpretazione dei concetti di fides e caritas e soprattutto una loro radicale distinzione20. La necessaria di-stinzione tra questi due aspetti, nel pensiero riformato, dice che l’uomo si trova nella condizione di essere il beneficiario della promessa divina. È l’azione divina che riscatta l’essere umano e a questo atto unilaterale iniziale della grazia di cui l’uomo, si diceva, è esclusivamente beneficiario, non ineri-sce un imperativo etico, un dover essere, che in quanto tale renderebbe l’azione umana in qualche modo determinante nell’economia della salvezza21. L’etica che Lutero proclama si delinea come risposta alla grazia immeritatamente ricevuta «ma l’approvazione vera e propria non può essere fondata mediante un procedimento logico: essa rimane propria di un ambito intraducibile in etica e riservato alla dimensione speciale chiamata teologia o fede»22. L’etica protestante a partire dalle premesse teologiche poste dal pensiero di Lu-

per lui. La salvezza o la dannazione di una persona stanno totalmente nelle mani di Dio, che ha fatto liberamente la sua scelta da tutta l’eternità. Sem-bra tuttavia che l’importanza attribuita da Zwingli all’onnipotenza divina e all’impotenza umana derivi in ultima analisi dalla sua lettura di Paolo, e abbia semplicemente ricevuto un appoggio dalla riflessione di Seneca as-sumendo una rilevanza esistenziale a motivo del suo incontro ravvicinato con la morte nell’agosto del 1519”. A. E. McGRATH, Il pensiero della riforma. Lutero – Zwingli – Calvino – Bucero. Una introduzione, (secon-da ed.), Torino 1995, p. 171. Si ritiene, non a caso, che la dottrina della predestinazione (Sulla dottrina della predestinazione si veda: G. TOURN, La predestinazione nella Bibbia e nella storia. Una dottrina controversa, Torino 1978) sia una delle idee portanti della teologia riformata associata solitamente al pensiero di Calvino. In realtà una controversia intorno alla predestinazione aveva avuto luogo già nel IX secolo quando il monaco benedettino Godescalco da Orbais aveva formulato una concezione della doppia predestinazione non diversa da quella che Calvino elaborò più tar-di. “Ragionando in modo rigorosamente logico sull’affermazione che Dio ha predestinato alcuni alla condanna eterna, Godescalco sosteneva che era quindi assolutamente errato dire che Cristo era morto anche per loro: infat-ti, se lo avesse fatto, sarebbe morto invano, poiché la sua morte non avreb-be modificato il loro destino. Godescalco, perplesso e intimorito dalle con-seguenze delle sue posizioni, avanzò l’idea che Cristo fosse morto solo per gli eletti. La portata della sua opera redentrice era dunque limitata a coloro che avrebbero tratto beneficio dalla sua morte. Molti autori del secolo IX reagirono negativamente a queste affermazioni, ma l’idea doveva risorgere nel calvinismo posteriore”. A. E. McGRATH, op. cit., pp. 183-184. 20 “La teologia medievale presuppone che l’uomo sia in possesso di mez-zi, mediante i quali, sia pure con qualche difficoltà, raggiunge un soddisfa-cente rapporto con Dio. La teologia riformata contesta radicalmente questa impostazione. Non sono più i mezzi che contano in vista della salvezza di fronte a Dio, è la realtà di Dio quella che determina la salvezza e il discor-so teologico può soltanto commentare questa realtà. […] Per Lutero fides e caritas si divaricano […] La novità di Lutero consiste nel distinguere, non nell’opporre, credere e operare […] La fides è esclusiva, rispetto alle opere, nel momento in cui nella fede si considera soltanto il suo costituirsi come rapporto con la misericordia divina. Qui l’essere umano non può partire che da quel che riceve. Non esiste un apporto umano, in termini di carità, in questo momento costitutivo e logicamente iniziale della fides”. S. ROSTAGNO, Etica Protestante. Un percorso, cit., pp. 37-39. 21 Per Lutero la distinzione fra fede ed etica (o opere) costituisce la premessa per deprivare l’agire umano di qualsivoglia potere salvifico. Se fino alla Riforma la riflessione teologica immagina l’etica, le opere, come lo spazio della visibilità della fede che in quanto tale rende, in un certo sen-so, compartecipe l’uomo della salvezza divina, Lutero, al contrario, ribalta questo schema sulla base dell’assunto che la realtà quotidiana, mondana, nel suo dipanarsi non può aggiungere null’altro alla promessa salvifica. 22 S. ROSTAGNO, Etica Protestante. Un percorso, cit., p. 50.

Le due dimensioni strutturanti il comandamento dell’amo-re si intrecciano, senza alcun dubbio, rimandando, come in un gioco di specchi, l’una all’altra, pur tuttavia rappresenta-no «aspetti distinti e non confondibili»16. La trama interpre-tativa e strutturante del cristianesimo è fin dalle sue origini la riflessione cristologica non quella etica: «sulla necessità di fare il bene per piacere a Dio non c’è motivo di scontrarsi, tanto la cosa può apparire ovvia. Ma il discorso non comincia qui. Il cristianesimo si separa da un discorso così normale: il suo pensiero strutturante sarà cristologico e non etico. Deci-sione carica di conseguenze. Le novità etiche saranno poche; di rilievo, invece, quelle teologiche»17.

L’itinerario dialettico tra teologia ed etica18 muove, nel pensiero riformato del Cinquecento, dalla disputa fra fides e caritas; mentre il primo polo della discussione sussume la relazione verticale Dio-Uomo19, la caritas allude invece

predeterminata e prevedibile, ma si presta alla creatività della risposta che l’altro sollecita”. Ivi, pp. 143-144. La prossimità rappresenta dunque una modalità di relazione che trascende le intermediazioni sociali. Essa è nel contempo condizione ma anche effetto della compassione la cui capacità creativa mi rende riconoscibile il prossimo, la sua sofferenza, le sue ne-cessità. Su questo tema si vedano le considerazioni contenute nel saggio di L. BOLTANSKI, Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica, Milano 2000, pp. 10-16. 16 S. ROSTAGNO, Etica Protestante. Un percorso, cit., p. 12.17 Ivi, p. 13.18 La costruzione di una teologia morale come un sistema rigidamente definito nel quale ogni singola cosa viene fatta dipendere da una partico-lare idea o da uno specifico concetto, non risponde alla domanda sul sen-so della testimonianza cristiana vissuta alla luce della propria vita morale nel mondo contemporaneo. In realtà la discussione sulla teologia morale e sull’assolutezza delle norme morali riflette, soprattutto in ambito cattol-ico, una tensione mai sopita fra due visioni sostanzialmente antitetiche; la prima immagina la teologia morale ad uso dei confessori come supremo giudice e censore delle coscienze. Quest’approccio nel porre un’enfasi par-ticolare sull’attività magisteriale ne rivendica una presunta infallibilità in materia di norme morali, sebbene il Magistero stesso abbia quasi mai pre-teso l’infallibilità in ordine all’insegnamento morale. Una seconda opzione al contrario si muove nella direzione di una teologia della co-responsabil-ità, della fedeltà e della libertà creativa. “La semplice discussione sulle norme individuali e sulla loro assolutezza o meno continuerà all’infinito, se non si diventa più consapevoli che siamo di fronte allo scontro fra due mentalità e persino fra due scopi dell’insegnamento morale. Sussiste tutto-ra una concezione della teologia morale che la vede come una guida per dei confessori che si considerano principalmente come giudici e controllori delle coscienze; e c’è anche una teologia morale il cui scopo è di presen-tare la totalità della vita cristiana nella chiesa e nella società secolare come “co-responsabilità”. Non c’è dunque da meravigliarsi se l’urto diventa par-ticolarmente evidente quando si giunge alle questioni e conclusioni fonda-mentali riguardanti l’etica normativa e il ruolo delle norme nella vita dei cristiani”. B. HÄRING, Liberi e fedeli in Cristo. Teologia morale per preti e laici, vol. I, Roma 1979, p. 410. Per uno sguardo più ampio sugli sfor-zi compiuti dai teologi moralisti resta ancora attuale il contributo offerto da S. PREVITERA, La fondazione della morale, in «Rivista di Teologia Morale», IX (1977). 19 Un’idea che ha profondamente segnato la teologia riformata è il con-cetto di sovranità divina. Il pensiero di Zwingli la cui esperienza e il cui ministero si compie nella Zurigo del XVI secolo è, ad esempio, intriso da un radicale senso di sovranità assoluta di Dio e dalla completa dipendenza dell’uomo dalla Sua volontà: “L’idea zwingliana dell’assoluta sovranità di Dio venne sviluppata nella sua dottrina della provvidenza, specialmente nel suo famoso trattato De providentia Dei. Molti lettori tra i più critici di Zwingli hanno notato delle somiglianze tra le sue idee e il fatalismo di Sen-eca e hanno detto che egli non fece altro che “battezzare” il fatalismo del filosofo antico. Quest’osservazione assume un certo peso per il fatto che, nel suo De providentia Dei, Zwingli menziona Seneca e mostra interesse

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figurarsi come arbitrarietà di comportamento, dal momento che per Lutero resta ineludibile il riferimento all’etica come spazio della «responsabilità»28. In realtà Lutero propone un’antropologia specifica le cui dimensioni costitutive sono appunto quelle della fides e della caritas, distinte, e tuttavia coessenziali. Mentre la prima informa il rapporto uomo-Dio nell’orizzonte della redenzione e pertanto non può che con-figurarsi nei termini di gratitudine, da parte dell’uomo, per il dono ricevuto, la caritas modella il rapporto uomo-prossi-mo, configurandosi invece come pressante istanza etica che impone l’urgenza di doversi «prendere cura» del prossimo29. Ancora una volta sullo sfondo dell’orizzonte etico disegnato da Lutero si staglia prepotentemente la dimensione cristo-logica.

Nella seconda metà del Novecento lo sviluppo delle bio-tecnologie, la crescente medicalizzazione della società e, più in generale, la «questione antropologica» posta dal progres-

nell’impegno e nella fedeltà man mano che i suoi scopi vengono plasmati dall’ascolto e dalla risposta. Dobbiamo ascoltare la natura delle cose e il messaggio di tutta la creazione, ma soprattutto i bisogni e le risorse intimi delle persone. Le nostre intenzioni e i nostri scopi devono collocarsi entro la struttura responsoriale di un’etica veramente cristiana”. B. HÄRING, op. cit., pp. 120-121.28 Il tema della responsabilità rappresenta nell’ etica protestante uno snodo problematico che si pone come premessa e fondamento del concetto di persona. Una riflessione sul concetto di persona che assume come considerazione preliminare il tema della precarietà dell’essere persona si muove, è evidente, entro uno spazio argomentativo nel quale l’idea di persona non può essere considerato alla stregua di un dato ontologico certo, ma, al contrario, persona appare come ha scritto Jervis “un’attribuzione dai confini approssimativi” (G. JERVIS, Persona, soggetto, società, in «Protestantesimo» (Rivista trimestrale pubblicata dalla Facoltà Valdese di Teologia), LI: II (1996), p. 165), incerti, al punto che l’avanzamento tecno-scientifico e i profondi mutamenti culturali che hanno accompagnato la modernità, aprono ancora oggi, scenari che impongono di ripensare alcune tradizionali categorie etico-filosofiche. Nella prassi giuridica e nel linguaggio comune l’attribuzione dello statuto di persona è appannaggio del solo soggetto responsabile è questo il motivo per cui si ritiene un bambino non ancora nella pienezza dell’essere persona al punto di non considerarlo punibile qualora commetta un’azione configurabile come reato proprio perché incapace di riflettere sulle effetti delle sue azioni.29 Nella riflessione di Lutero le opere si spogliano del loro carattere “religioso”, per così dire, per attestare la solidarietà verso il prossimo bisognoso. È in questo senso che il criterio dell’agire etico è individuato nella responsabilità verso l’altro e non tanto nella buona volontà religiosa. “Il prossimo, per così dire, configura per me un dovere; mentre proprio il rapporto con Dio, invece, si può configurare unicamente nella misura della gratuità e non già nella misura di un qualsiasi dovere che mi verrebbe imposto […] L’esigenza della caritas mi è posta da chi sta davanti a me come altro da me. Egli rappresenta per me, nel suo bisogno, la necessità della norma etica e un vincolo al di là del quale il mondo si dissolve […] Si esprime qui con forza un elemento tipico della teologia luterana. La caritas non è definita in base a una sua buona volontà psicologica, ma in base a un elemento del tutto esterno ad essa, il «bisogno» del prossimo. Come la fede era, nel suo contenuto, definita dal verbum, così la caritas dal prossimo”. S. ROSTAGNO, Etica Protestante. Un percorso, cit., pp. 54-55. Negli sviluppi successivi dell’etica protestante e in particolare nel Novecento, resta in tutta la sua problematicità il tema del rapporto tra etica e religione. Per esempio nel pensiero di Karl Barth la limitatezza e la contingenza definiscono l’agire etico che non può descriversi nei termini di adeguamento ad un imperativo divino, assoluto, e dunque in sé perfetto.

tero si costruisce nella direzione di una radicale messa in di-scussione dell’etica teleologica e dell’idea che l’uomo possa, attraverso le opere, garantirsi in qualche modo la salvezza23. Solo liberandosi dell’ossessione della perfezione morale da raggiungere attraverso le opere di giustizia e accettando il dono della grazia divina si apre per l’umanità un orizzonte di vera libertà e grazia. L’intero impianto teorico-dottrinale dell’etica cristiana - nell’orizzonte protestante - è fondato esclusivamente su un principio, quello dell’«agàpe», l’amore del prossimo24.

IV. Come in tutti i tentativi di sistematizzazione etica, an-che nella prospettiva protestante un problema ineludibile re-sta il conflitto tra il «principio etico» in quanto tale, ad esem-pio l’«amore per il prossimo», e il contesto empirico, rela-zionale – un complesso intreccio di interessi e valori spesso contrapposti – all’interno del quale applicare direttamente il principio etico25. Per questo motivo occorre tentare di con-figurare una modello strutturale che renda traducibile con-cretamente il principio dell’«agàpe» attraverso la decisione individuale del soggetto agente26. Una struttura realistica è quella che colloca su un piano il contesto empirico-descrit-tivo, all’interno del quale trovano posto la realtà fattuale, i valori e gli interessi confliggenti, e sull’altro i principi nor-mativi, ovvero la giustizia e l’amore cristiano e i principi teo-logici. Naturalmente il processo etico-decisionale si realizza proprio nel punto di intersezione tra il contesto descrittivo e l’orizzonte normativo; e se da un punto di vista puramente teorico il processo decisionale dovrebbe compiersi secondo uno schema lineare che dal sostrato dei principi muove ver-so la nuda realtà dei fatti, nel concreto la decisione etica si compie secondo percorsi tortuosi e poco schematizzabili. A tal proposito va detto che l’intraducibilità in termini etico-normativi della relazione uomo-Dio27 non può tuttavia con-

23 “Lutero si persuase, come aveva mostrato l’apostolo Paolo nella let-tera ai Romani, che la vita cristiana non è una scuola di ginnastica morale. L’ingresso in cielo non è garantito a chi ottiene il massimo dei voti in cam-po etico. Non siamo salvati per i nostri meriti, ma unicamente per la grazie di Dio rivelata in Cristo”. W. BEACH, L’etica cristiana nella tradizione protestante, Torino 1993, p. 29.24 In realtà il principio dell’agàpe non è appannaggio esclusivamente del cristianesimo dal momento che esso rappresenta una premessa impre-scindibile per tutte quelle etiche laiche, umanistiche, che pongono al centro del loro discorso etico, declinata secondo diverse modalità, l’inviolabilità della persona. 25 Cfr. Y. REDALIÉ, Nuovo Testamento ed etica: quale prospettiva?, in «Protestantesimo» (Rivista trimestrale pubblicata dalla Facoltà Valdese di Teologia), LVII: I (2002), pp. 29-34.26 Cfr. W. BEACH, op. cit. 27 L’irriducibilità della fede alla morale rappresenta la premessa della riflessione etica nel protestantesimo: “Il protestantesimo è proprio tutto il contrario della trasformazione della fede in etica. In Lutero l’irrazionale e il razionale si applicano ad ambiti diversi e distinti, l’irrazionale a quello della gratitudine riconoscenza, il razionale a quello della responsabilità. La fusione di questi due campi non è fedele al messaggio della Riforma, ma ne rappresenta invece l’abbandono. Il protestantesimo non si identifica con la passione irrazionale della fede trasformata in insindacabile comportamento etico”. S. ROSTAGNO, Etica Protestante. Un percorso, cit., p. 223. La morale cristiana della responsabilità, il cui fondamento è l’essere in Cristo, non è riducibile ad un’arida etica del dover fare o non fare qualcosa: “Una persona diviene sempre più “responsabile” e creativa

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impegnano in maniera significativa la discussione etico-filosofica e la riflessione teologica. Nel secondo Novecento l’etica protestante si è, in larga parte, consolidata su posi-zioni particolarmente attente alle «novità», intendendo così raccogliere le sfide poste dalla modernità, pur riconoscendo che rispetto ad esse non esiste una soluzione che si possa dire «definitiva» e che qualsiasi risultato non può che essere «provvisorio»32. Su un piano più squisitamente metodologi-co l’etica protestante segue un percorso che potremmo defi-nire «dialettico»: essa postula la presenza di una pluralità di principi, di punti di vista, identificando «come dogmatismo il fatto di attenersi a uno solo di essi»33.

V. L’attenzione alla nuova configurazione della contem-poraneità, che caratterizza l’etica protestante, assume aspet-ti peculiari per ciò che concerne lo spettro di questioni che possono essere definite «bioetiche»; in questo orizzonte in-terpretativo la specificità della prospettiva bioetica valdese si è andata definendo in tutta la sua rilevanza in maniera de-terminante rispetto al segmento problematico che concerne le scelte etiche di fine vita. Il valore da attribuire alla vita, la dignità del morire e il diritto di richiedere la sospensione di trattamenti finalizzati al solo prolungamento di un’esistenza senza possibilità di guarigione, la possibilità e l’opportuni-tà di porre un margine di scelta consapevole all’intervento medico, la necessità per l’istituzione medica di affrontare un tema spinoso e scomodo come quello del morire oggi in con-testi ipermedicalizzati34, tutto ciò costituisce la gamma pro-blematica di questioni rispetto a cui è chiamata ad esprimere un parere etico la riflessione valdese. All’interno del dibattito bioetico nel nostro Paese il contributo che la Chiesa Valdese ha dimostrato di poter offrire si configura come «narrazione»

cura di S. Spinsanti, Cinisello Balsamo (Mi) 1987, pp. 74-75. 32 Si tratta evidentemente di modello, quello dell’etica della provvisorietà, che si colloca su un fronte diametralmente opposto a quelli in cui da un deontologismo rigoroso discendono tutta una serie di assoluti e divieti morali slegati dalla precarietà e dalla provvisorietà della vita. “Si danno così linee direttrici dell’etica mediante i richiami a un universalismo aperto, che compie volentieri tratti insieme con una certa etica laica, per esempio quella liberale di John Rawls”. S. ROSTAGNO, Etica Protestante. Un percorso, cit., p. 176.33 Ivi, p. 215. 34 L’opportunità di riflettere sul fitto intreccio tra medicina, tecnica e possibilità di autodeterminarsi nelle scelte che riguardano la propria salute e malattia è avvertita dalla Commissione Bioetica della tavola Valdese che nel documento Direttive anticipate – Procreazione afferma: “Il potere che la tecnica consegna alla medicina è inarrestabile e trasforma non solo la prassi medica, ma la stessa concezione della medicina, modificando in profondità il rapporto tra il paziente e il medico. Si tratta di un mutamento culturale di grande portata e che investe la vita intera delle persone. Più cresce il potere del medico, più si fa acuta la domanda di autonomia del paziente in cura. La domanda «qual è il ‘bene’ del paziente?» è spesso un enigma anche per il medico. Ed è precisamente in questo punto che si fa problematico il concetto di ‘proporzionalità delle cure’ o di ‘uso proporzionato’ dei mezzi terapeutici. Che cosa è proporzionale, e in riferimento a che cosa e a chi? È realmente possibile stabilire un criterio di orientamento “oggettivo” che possa fungere da arbitraggio? Questi interrogativi diventano drammatici soprattutto nelle fasi finali di un’esistenza umana”. COMMISSIONE DELLA TAVOLA VALDESE PER I PROBLEMI ETICI POSTI DALLA SCIENZA (Commissione Bioetica), Direttive Anticipate – Procreazione, Milano, 24 luglio 2007.

so tecno-scientifico30 sullo sfondo di contesti «complessi»31,

30 Non meno pressante appare la domanda circa il ruolo che può svolgere l’etica cristiana nell’ambito di una società, quella moderna, che si percepisce come pluralista e secolarizzata e che, in quanto tale, riconosce priva di valore un’etica cristiana che si presenti come un’etica normativa di contenuto precettistico. Anche se comunemente si riconosce l’etica cristiana tout court come un’etica di rigidi precetti, in realtà, la morale cristiana desumibile sia dall’Antico Testamento (il decalogo) che dal nuovo patto (il discorso della montagna) non è una morale precettistica, nel senso che nel decalogo più che una mera impostazione di precetti si coglie un’esortazione alla realizzazione di una modalità di organizzazione etico-giuridico di fatto mutuata da coevi ordinamenti sociali. Allo stesso modo il contenuto del discorso della montagna non è un codice di precetti ma rappresenta una parenesi rivolta all’uomo a favore di una radicale apertura verso l’altro. In realtà è soprattutto nel campo della teologia morale cattolica che le verità morali assumono un carattere normativo quasi in analogia alle leggi positive. Le norme morali pur non essendo leggi positive “continuano ad essere viste in analogia alle leggi positive: quasi fossero paragrafi di un codice giuridico o una summa di leggi che la comunità ecclesiale ha bene o male accolto e che l’autorità ecclesiastica dichiara essere vincolanti. Proprio per tale motivo queste norme morali vengono definite «oggettive», dichiarano dunque, come leggi positive, un comportamento richiesto come «oggettivo», rendendolo il parametro per singoli casi concreti”. J. FUCHS, Etica cristiana in una società secolarizzata, Roma 1984, p. 41. Posto dunque che l’etica cristiana, nell’interpretazione protestante, non vuole essere un’etica di precetti si dovrà convenire sulla tesi che essa si è diversificata nel corso del tempo nella misura in cui norme, convinzioni, consuetudini, sono mutate nel corso della storia in ragione dei cambiamenti sociali o per esempio del progresso tecnico-scientifico. “Ne troviamo alcuni esempi nella storia dell’etica cristiana, ad esempio per quanto concerne la schiavitù, la posizione sociale della donna, il prestito su interesse, la libertà religiosa”. Ivi, p. 15. In rapporto al progresso tecno-scientifico è emerso, spesso in modo pretestuoso il tema delle frontiere, dei limiti, della scienza. A fronte della incognite e anche dei rischi che la scienza solleva la tentazione di trovare un rifugio molto più rassicurante in verità assolute, di cui sarebbe detentrice la religione, diviene sempre più forte. Il protestantesimo esprime generalmente una inclinazione culturale che si colloca in un orizzonte alternativo alle pretese di una etica religiosa normativa che pretende di dettare regole e fissare confini. Il crinale sul quale si attesta l’etica protestante è, lo si ripetuto spesso, l’idea di responsabilità. Responsabilità che non è legata al compimento di un atto di cui a priori si sa già se è buono o cattivo, ma è da intendersi come ricerca della responsabilità dal momento che, anche per il credente, la volontà divina non è confezionata in una lista di precetti biblici di cui è interprete esclusiva la chiesa, ma può affiorare solo nell’incessante ricerca della verità. La nozione di limite ha in sé una intrinseca ambivalenza: “L’essere umano ha già da sempre avuto una certa nozione del limite, inteso come una soglia significativa, che spinge a riflettere fino in fondo sui motivi essenziali delle proprie azioni; dall’altra quello stesso essere umano ha anche sempre scavalcato il limite in quanto tale, proiettandosi al di là di esso con una specie di ebbrezza del nuovo e della scoperta”. S. ROSTAGNO, Religione: un limite per la ricerca scientifica?, in «Protestantesimo» (Rivista trimestrale pubblicata dalla Facoltà Valdese di Teologia), L: IV (1995), p. 280. 31 Cfr. AA.VV., Modernità, politica e protestantesimo, Torino 1994. Il progresso medico e tecnico è tale da porre tutti di fronte a domande ineludibili per il futuro. Diverso comunque è l’atteggiamento del protestantesimo nei confronti della scienza e in particolare della medicina, alla cui radice è rintracciabile l’idea di Lutero di chiamata divina e di vocazione: “Secondo Lutero tutti i cristiani hanno la vocazione, e la testimonianza deve essere mediata dalle diverse professioni e occupazioni (denominate ben presto «vocazioni»), che i cristiani, uomini e donne, esercitano. Di conseguenza, grazie al concetto di vocazione di Lutero, la medicina divenne una «vocazione divina», in forza della quale il credente poteva essere testimone dell’azione della grazia di Dio nei confronti degli uomini. Grazie a questa dottrina, il medico divenne un sacerdote: non in quanto dottore, ma i quanto cristiano. Ma allo stesso tempo, poiché ricevere una «vocazione» implica essere chiamati a un ufficio particolare, la vocazione cristiana ricevuta dal medico esige che egli eserciti il suo sacerdozio mediante l’opera terapeutica”. J. T. JOHNSON, Storia dell’etica medica protestante, in AA. VV., Bioetica e grandi religioni, a

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sito la possibilità offerta dalla medicina contemporanea37 e

sul principio di autorivelazione di Dio, non si presta a questa scorciatoia che semplifica e banalizza la relazione stessa con il divino, un divino che resta non-disponibile per una tale oggettivazione […] Guai se la teologia pastorale pretendesse di impugnare la spada della verità da usare contro le discipline umane per sostenere un proprio punto di vista insindacabile. È vero che questo è l’atteggiamento massimalista della morale cattolica ufficiale; è una posizione rispettabile ma non è la posizione cristiana tout court, è una posizione fra altre, discutibile come le altre, ed è infatti discussa da molti cattolici che ne prendono apertamente le distanze”. COMMISSIONE DELLA TAVOLA VALDESE PER I PROBLEMI ETICI POSTI DALLA SCIENZA (Commissione Bioetica), Direttive Anticipate – Procreazione, Milano, 24 luglio 2007.37 Sulla necessità di giungere ad una ridefinizione dello statuto stesso della medicina che superi il modello teleologico di salute per approdare ad una profonda revisione del rapporto medico-paziente, all’interno del quale non sia esclusa a priori la possibilità di dare la morte in ben definite circostanze, scrive Franco Toscani: “Alla medicina la tradizione ha attribuito un fine intrinseco, e i medici lo hanno accettato a volte consapevolmente, come un manifesto della propria professione, e a volte in modo acritico […]Tuttavia sono chiaramente visibili i segni di una trasformazione profonda. Per secoli si è morti soprattutto per malattie acute, e da giovani; oggi si muore da vecchi, anzi, da vecchissimi, e di malattie croniche evolutive, quelle per intenderci, che non guariscono mai, che non migliorano, che distruggono sia la vita biologica, sia la vita biografica; che fanno perdere la dignità all’individuo, che creano solo sofferenza e umiliazione […] La medicina si sta ridefinendo e rifondando continuamente, ed è lecito chiedersi se di «fini» della medicina non ne possano esistere una pluralità, a seconda della situazione, del malato, della techne che un dato medico esprime, del contesto sociale e culturale. In particolare, quel rispetto sacrale per la vita (biologica) umana che è stato vessillo e scudo di generazioni di medici oggi non è più né universalmente condiviso né condivisibile. Forse, si potrebbe ipotizzare che tra gli scopi della medicina possa essere compreso anche il dare la morte in determinate circostanze. È verosimile che non tutti i medici siano disposti ad accettare una tale trasformazione, ma è altrettanto verosimile che alcuni, forse molti, la riterranno compatibile con i propri valori […] È certo comunque che

impegnata a de-ideologizzare il dibattito stesso «per scende-re sul terreno della prassi, dell’accompagnamento delle per-sone malate»35. In realtà anche per la bioetica d’ispirazione valdese la riflessione su quell’insieme di questioni rubricate sotto la voce «fine della vita» muove dalla constatazione che il progresso tecno-scientifico ha negli ultimi quarant’anni irreversibilmente mutato lo scenario del morire e del veni-re al mondo rendendo «obsolete le categorie e le soluzioni dell’etica tradizionale»36. Rappresenta un dato ormai acqui-

35 E. GENRE, Dare dignità al morire, in AA. VV., Eutanasia. La legge olandese e commenti, a cura di P. Ricca, Torino 2002, p. 52.36 L. SAVARINO, Quale spazio per la scelta tra arbitrio e dispotismo, in «Bioetica. Rivista interdisciplinare», I/A (2010), p. 9. Pur mostrando preoccupazione per le possibili derive di una medicina, percepita a volte come onnipotente, nel prendere posizione sui problemi sollevati più in generale dall’avanzamento tecno-scientifico, la Chiesa Valdese, lungi dal negare “gli innegabili vantaggi che, proprio in virtù delle possibilità offerte da scienza e tecnologia, possono essere messi alla portata di qualsiasi persona” (I problemi etici posti dalla scienza, Documento approvato dal Sinodo delle Chiese Valdesi e metodiste nell’agosto 2000), non rivendica alcuna pretesa di assolutezza del proprio punto di vista etico: “Quando si parla di un atteggiamento critico della pastorale nei confronti del potere della medicina non lo si intende, ovviamente, in senso unilaterale, quasi che la teologia pastorale avesse in sé, per decreto divino, la capacità di potere e dovere giudicare, dall’alto delle sue conoscenze, gli orientamenti della medicina e delle sue applicazioni tecnologiche alla vita umana. Questa funzione critica e anche di denuncia di certi orientamenti della medicina moderna deve certamente potersi esercitare in tutta libertà, ma non potrà mai fare a meno della stessa capacità critica e autocritica nei confronti del proprio sapere teologico e pastorale, che non può rivendicare per sé alcuna padronanza assoluta della vita. E qui si situa un luogo conflittuale con talune affermazioni della morale cattolica ufficiale; essa tende infatti ad assolutizzare il proprio punto di vista morale, fondato sulla legge naturale e che ritiene di dover proporre a tutti, indistintamente, identificando questo criterio con la volontà stessa di Dio. La teologia cristiana però, fondata

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relazionale». Nel 1998 il Sinodo valdese, l’assemblea cui spetta prendere le decisioni di carattere dottrinale e tracciare le linee del lavoro pratico, approva un documento elaborato dal Gruppo di lavoro sui problemi etici posti dalla scienza dal titolo L’eutanasia e il suicidio assistito che esprime ancora la posizione dei valdesi italiani40.

Una posizione ribadita ancora nel 2002 attraverso il docu-mento A proposito di eutanasia41 presentato al Sinodo e lar-

40 Vi si legge tra l’altro: “Le maggiori controversie riguardano naturalmente l’eutanasia (attiva) e l’assistenza al suicidio. Di solito ci troviamo di fronte a persone che la medicina ha tenuto in vita per lunghi periodi, grazie a tecnologie sempre più complesse. Queste persone hanno consapevolmente accettato i trattamenti che il medico ha loro proposto: è comprensibile che gli possano chiedere, quando egli abbia spiegato chiaramente che la medicina non è più in grado di controllare i sintomi, non solo di sospendere ogni altra inutile cura, ma di intervenire attivamente per accelerare la morte, in modo indolore e rapido. Quando siano rispettate le condizioni di libera scelta, non esiste alcun valido motivo per costringere una persona a prolungare una sofferenza che egli reputa inutile e disumana […] Ciò che distingue la vita umana è l’insieme delle esperienze, delle relazioni con le altre persone, delle gioie, dei dolori e delle sofferenze, delle speranze nel futuro, delle attese, degli sforzi per rendere degna e umana la vita. In altri termini, è necessario distinguere la vita biologica dalla vita biografica: quando la vita biografica cessa, come nelle malattie terminali, deve essere presa in considerazione l’eventualità di porre termine alla vita biologica […] Fino ad oggi in ambito cristiano, a parte alcune eccezioni, è prevalso un giudizio negativo nei confronti dell’eutanasia attiva. Esso si fonda sulla Bibbia e soprattutto sulla morale cristiana, e si riassume nell’affermazione che Dio solo è colui che dà la vita e la può togliere […] Intervenire in questa relazione di vita e di morte vorrebbe dire ‘prendere il posto di Dio’. Ma significa veramente sostituirsi a Dio accogliere la domanda di un malato grave che intende porre termine alla sua vita? Si sottrae a Dio una parte della sua signoria sul mondo e sulla vita accogliendo la richiesta di un malato grave di poter morire? O si mette in questione il potere acquisito dalla medicina moderna di mantenere in vita un corpo che produce dolore senza più poter accedere a un senso della vita? […] Nell’ambito della pastorale si parla molto del rispetto della spiritualità del malato. Ma questo rispetto sembra arrestarsi improvvisamente di fronte alla richiesta del malato inguaribile che chiede di poter morire. […] Con quale autorità spirituale posso io contrastare la libertà e responsabilità di un altro di decidere il tempo della sua morte quando il vivere è un’umiliazione quotidiana senza speranza? Qual è la fonte dell’autorità che mi impone di costringere una persona inguaribile a continuare a vivere una vita di morte? […] Da quale parte sta il Dio della vita e della promessa? Dalla parte del non-senso del dolore acuto di un malato inguaribile o dalla parte del suo umano desiderio di morire? Per quanto paradossale possa essere, in una tale situazione accogliere la domanda di morte significa accogliere la domanda di vita, accogliere il diritto di morire coscientemente la propria morte […] Il medico che si rende disponibile al suicidio assistito o all’eutanasia non commette un crimine, non viola alcuna legge divina, compie un gesto umano, di profondo rispetto, a difesa di quella vita che ha un nome e una storia di relazioni”. GRUPPO DI LAVORO SUI PROBLEMI ETICI POSTI DALLA SCIENZA, L’eutanasia ed il suicidio assistito, Roma 07/02/1998.41 Questi alcuni dei passaggi più indicativi: “Il prolungamento della vita, conseguito grazie ai progressi della medicina e specialmente alla sua evoluzione dalla dimensione umanistica alla dimensione tecnologica, comporta uno stravolgimento della realtà della morte. Da momento costitutivo essenziale della vita, accettato e vissuto alla stregua delle altre tappe della vicenda umana e per i credenti come termine di una lunga attesa della vera patria, essa è diventata segno di sconfitta del potere dell’uomo sulla natura, relegata nel novero dei fatti di cui è meglio non parlare. Lo sviluppo delle scienze biologiche e mediche sembra anzi rafforzare la speranza in una mitica stagione dell’immortalità, in cui tutte le malattie saranno prima o poi sconfitte. Non sorprende pertanto che la subdola e regolare crescita delle morti per cancro o per AIDS sia vissuta con l’angoscia degli avvenimenti che non si possono controllare […] L’attenzione per la persona, per le sue paure, per i suoi dubbi nel momento finale della vita è relegata in secondo piano nei confronti

dalle tecniche ad essa applicate di posporre il momento della morte in situazioni nelle quali, in un passato piuttosto recen-te, ben poco poteva essere fatto per prolungare la vita. Gli spettacolari progressi della medicina hanno reso sempre più sfumati e incerti i confini fra cura ed accanimento al punto che, ormai di frequente, appare problematico tracciare una netta linea di demarcazione fra intervento medico e ostina-zione terapeutica. Spesso infatti i trattamenti terapeutici più che recuperare alla vita hanno il solo scopo di dilazionare la morte: in casi simili, si assottigliano i confini fra ordinario e straordinario, fra interventi proporzionati e sproporzio-nati38. Sulle questioni di fine vita la Chiesa Valdese italiana rivendica l’originalità del proprio approccio, i cui contenuti non di rado divergono da quelli del Magistero cattolico39, a partire dai primi anni Ottanta quando, assumendo come piattaforma di discussione la Relazione sui diritti dei malati-morenti preparata da una commissione ad hoc di pastori e di medici, si auspicava - attraverso l’atto sinodale n. 69-1982 - fosse «riconosciuto il diritto a richiedere la sospensione di trattamenti rivolti solo a prolungare la sopravvivenza da par-te di soggetti senza speranza di guarigione, e in presenza di dolore o altre condizioni fisiche o psichiche che ne rendano l’esistenza intollerabile e ne alterino profondamente la vita

tutto questo implica una profonda trasformazione dei modi e dei ruoli del medico, e richiede una altrettanto profonda revisione del rapporto tra medico e paziente”. F. TOSCANI, Medico e paziente alla fine della vita, in «Bioetica. Rivista interdisciplinare», III (2002), pp. 499-500.38 Sulla necessità di sospendere misure terapeutiche che si rivelano particolarmente onerose per la persona senza alcuna prospettiva di guarigione si registra una piena sintonia tra le posizione della Chiesa Valdese e quelle espresse dalla bioetica cattolica, oltre che di quella laica; è invece sul crinale della rivendicazione del primato del principio dell’autodeterminazione della persona nelle scelte di fine vita che si situa il dissenso di fondo: “Tutti i tentativi di ricondurre il concetto di “proporzionalità delle cure” a un principio fondativo, oggettivo, che prescinda dalla autodeterminazione della persona, rivelano un difetto di ordine antropologico e teologico al tempo stesso. Vi può essere proporzionalità soltanto nell’ambito di una reale “alleanza terapeutica” tra operatori sanitari e paziente, costantemente da rimisurare e in cui la volontà e i desideri del paziente sono anch’essi sempre da decodificare. Il che richiede ascolto. Probabilmente è questa capacità di ascolto la competenza più importante che infermieri, medici e pastori devono acquisire: ascolto critico, libero da pre-giudizi, al di là di ideologie precostituite, religiose e non religiose”. COMMISSIONE DELLA TAVOLA VALDESE PER I PROBLEMI ETICI POSTI DALLA SCIENZA (Commissione Bioetica), Direttive Anticipate – Procreazione, Milano, 24 luglio 2007.39 “Per ragioni storiche in parte note ed in parte ancora da scoprire connesse alle vicende della Riforma, del concilio di Trento e altro, ai più sembra quasi che in Italia il cristianesimo proponga una dottrina monolitica, sistematica e organica come quella presentata nel catechismo della chiesa cattolica romana. Questo appare ancora con maggior forza quando si affrontano temi di bioetica che negli ultimi anni stanno sempre più attirando l’attenzione dell’opinione pubblica […] Senza cercare qui di vedere in che senso la rivoluzione biomedica in corso e la nascita della bioetica come movimento culturale portatore di una nuova etica stanno sgretolando il quadro tradizionale sopra delineato, si può osservare quanto sia limitata e limitante l’idea del cristianesimo come prospettiva unitaria e monolitica. Chi vive o viaggia oltralpe coglie con forza la varietà dei cristianesimi, mentre in Italia tocca alla chiesa valdese il compito di far sentire una voce diversa capace di mostrare quanto variegate e diverse siano le interpretazioni del messaggio cristiano. Quella valdese è una testimonianza davvero preziosa ed unica che consente di incrinare luoghi comuni soprattutto per quanto riguarda i temi bioetici”. M. MORI, Nota introduttiva, in «Bioetica. Rivista interdisciplinare», I/A (2010), pp. 3-4.

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di Dio. Ma non è questa vita anche il frutto della scelta di procreazione dei nostri genitori […] e non è perciò affidata alla responsabilità dell’uomo?»43.

Non accade forse nel cristianesimo una relativizzazione della morte e del morire in forza della quale «la vera morte non è quella fisica e la vera vita non è quella biologica»44? Sprofondare nella morte per il cristiano non vuol dire rima-nervi intrappolato in forza della promessa escatologica nella risurrezione e della definitiva sconfitta della morte stessa.

VI. Riflettere sulla morte e il morire significa anzitutto de-finire la «vita» nelle sue accezioni più peculiari. Nella Scrit-tura la prima accezione della parola «vita» fa riferimento al carattere «biologico» dell’esistenza, ma subito dopo il vivere si configura nella sua dimensione relazionale come fitta rete di legami con Dio, con gli altri esseri viventi, con l’intero creato. In questo senso emerge, dal racconto veterotestamen-tario, una concezione della vita che mette sostanzialmente in discussione il paradigma «biologista». L’esperienza rela-zionale di cui è intessuta la biografia individuale, è perciò essenziale al progetto di un’umanità che si definisce nell’ol-trepassamento del mero dato biologico dell’esistenza e nella possibilità di aprirsi all’alterità. Quando questa possibilità è preclusa ne consegue lo scadimento ad una creaturalità puramente biologica. In questo orizzonte etico - che costi-tuisce il riferimento diretto della riflessione bioetica valdese sulle questioni di fine vita - non è in discussione la difesa della vita, ma il modo attraverso cui essa si articola a partire dalla distinzione tra «vita biologica» e «vita biografica»45, cioè tra quell’insieme di funzioni e condizioni bio-chimiche comuni ad ogni essere vivente, dagli organismi più elemen-tari a quelli più complessi, che delimitano il perimetro della semplice esistenza biologica, e quel complesso di relazioni, esperienze, sentimenti, speranze, aspettative, progetti, che definiscono una vita propriamente umana46. Evidentemente

43 W. JENS - H. KÜNG, Della dignità del morire, Milano 1996, pp. 62-63. 44 P. RICCA, Vivere: un diritto o un dovere? Problematiche dell’eutanasia, in AA. VV., Eutanasia. La legge olandese e commenti, cit., p. 39.45 “La vita biologica, risultato di un processo determinista e programmato, è la continuazione di eventi avvenuti milioni di anni fa, riprodotti in milioni di copie simili le une alle altre e costituiti da strutture trasferibili facilmente dall’uno all’altro. Al contrario la vita personale, risultato di un processo indeterminista e non programmato, riflette eventi avvenuti durante la vita di ogni singolo essere umano, presenti in copia unica e non trasferibili dall’uno all’altro essere umano […] La vita personale è la somma di tutte le sue relazioni umane. Soltanto con il concetto di vita personale è possibile capire il valore della vita e il male della morte”. G. F. AZZONE, La rivoluzione dell’etica medica. Il principio di autonomia e la concezione evoluzionista, in «Bioetica. Rivista interdisciplinare», I (1999), p. 63.46 Su questa ferma distinzione di fondo la Chiesa Valdese ha inoltre incardinato la propria riflessione etica sull’interruzione volontaria di gravidanza nel riconoscimento della drammaticità dei diritti e dei valori chiamati in causa dal problema dell’aborto che non può che porre seri problemi di coscienza a credenti e non credenti. “Tuttavia, proprio da un punto di vista globale, è ancora legittima una differenza tra biologia e biografia. Si può ancora far valere il fatto che la vita umana è sì individuata in modo scientificamente chiaro nel suo fenomeno biologico di base, ma si situa poi, per gli individui, ad un livello di interrelazione e di sviluppo

gamente approvato. I due documenti rappresentano la traccia da seguire per tentare un approfondimento di un punto di vista - quello della Chiesa Valdese - che, teologicamente fondato, vuole però essere nel metodo sostanzialmente laico. In questo senso la posizione bioetica di ispirazione valde-se si configura come sostanzialmente alternativa al modello confessionale cattolico fondato sul principio unitario della «sacralità della vita»42. Il Magistero cattolico, all’interno di tale orizzonte etico, afferma l’assoluta illiceità di qualunque pratica che si configuri come un atto eutanasico o di assisten-za al suicidio. Se dunque Dio ci ha donato la vita e Cristo è venuto per ridarcela ne consegue che essa è sacra. E tuttavia se si assume come punto di partenza della prassi etica il tema della responsabilità e dell’autonomia da esperire in quello spazio ermeneutico posto fra il finito e l’infinito, fra l’asso-luto e il relativo, non si può non rintracciare una limpida coerenza in quanto scrive l’eminente teologo cattolico Hans Küng: «mi si dice che la vita è «dono dell’amore di Dio», e perciò l’uomo non può disporne. Ma è vero anche quest’altro aspetto: la vita è per volontà di Dio anche compito dell’uomo e perciò è rimessa alla nostra propria decisione responsabile (e a nessun’altra) in un’autonomia che si fonda sulla teono-mia. Si aggiunge che la vita dell’uomo è solo “creazione”

degli interventi tecnici. Gli interventi medici a favore del morente sono largamente positivi, perché sono in grado di alleviare la sofferenza fisica e psichica. Tuttavia la morte, rimossa come argomento di comunicazione fra il malato, il medico, i familiari e la figura pastorale, si ripropone sotto forma d’angosciose domande sul modo di affrontarla. Essa non può essere pensata come un momento di serenità, ma l’essere umano chiede almeno che gli sia lasciata la speranza di poterla affrontare con la minor angoscia possibile. Negli ultimi giorni della vita, ogni donna, ogni uomo esige il rispetto dei valori ai quali la sua vita si è ispirata. L’autonomia delle decisioni, il diritto di rifiutare inutili sofferenze fisiche e psicologiche, sono elementi fondanti delle decisioni etiche sui momenti finali della vita. Nella realtà sociale dell’Occidente moderno, in cui la medicina ha così profondamente cambiato (quasi sempre in modo positivo) lo svolgimento della nostra vita, il rispetto delle decisioni dell’individuo è la massima espressione di libertà, che deve essere assicurata ad ogni essere umano. La richiesta d’eutanasia e di suicidio assistito, peraltro statisticamente assai poco frequente nei Paesi in cui è ammessa, non è certamente l’unica risposta alla paura dell’uomo di fronte alla morte, specialmente nel contesto di malattie croniche accompagnate da gravi sofferenze e menomazioni. Tutte le società civili sono tenute a sviluppare e incoraggiare, anche con scelte legislative, le cure palliative, il rifiuto dell’accanimento terapeutico e l’accompagnamento del morente, visti come atteggiamenti indispensabili per uno sviluppo della medicina che abbia come suo obiettivo principale la dignità della persona. Tuttavia, dopo che siano state assicurate le migliori cure palliative, rimane intatto il diritto dell’essere umano, come suprema affermazione di libertà e autonomia, di rifiutare il proseguimento della vita e di chiedere di anticipare il momento della morte. Una società che garantisce il rispetto di una simile scelta, tutela la dignità dell’individuo e assicura il pieno rispetto dei valori che ispirano l’esistenza di ognuno”. GRUPPO DI LAVORO SUI PROBLEMI ETICI POSTI DALLA SCIENZA, A proposito di eutanasia, Presentato al Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste e al pubblico in agosto 2002.42 «L’espressione «sacralità della vita» (sanctity of life) sembra aver fatto la sua prima apparizione nell’opera di William Edward Hartpole Lecky, History of European Morals (1869). Quando tale nozione viene richiamata nel dibattito sull’eutanasia, ciò accade, in generale, con delle intenzioni e in una prospettiva ben precise: essa è posta a fondamento di alcune argomentazioni che tendono a mostrare l’intrinseca immoralità dell’eutanasia». J. Y. GOFFI, Pensare l’eutanasia, Torino 2006, p. 55. L’argomentare fondato sulla metafora del dono ha sicuramente una forte presa ed, almeno apparentemente, un’intrinseca coerenza.

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lora la propria «qualità della vita» risulti irrimediabilmente compromessa, di porre termine ad un’esistenza che la per-sona giudica incapace di accedere più ad alcun significato50. Certamente, nel cuore di ogni preoccupazione etica e bioe-tica vi è l’idea di indisponibilità e intangibilità della dignità della persona, ma proprio per questo motivo fondamentale è necessario che ogni cura medica e ogni pratica pastorale abbandonino, di fronte al letto di un malato inguaribile, i principi assoluti rivestiti di ideologie (religiose e laiche), e si confrontino con la «biografia» e il volto di quella persona, unica e irripetibile. Per la riflessione bioetica ispirata dalla Chiesa Valdese imprescindibile resta il rimando ad un’etica che muove dalla persona umana - da contrapporre ad un’a-stratta etica dei principi -, un’etica della «situazione»51 che non esclude la fissazione dei principi, ma ne scongiura il «feticismo» esasperato. Nel Vangelo di Marco è detto chia-ramente che «il Sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il Sabato», e tutta la narrazione evangelica è più volte costellata di atti miracolosi, che il Cristo compie nel giorno di sabato, stigmatizzati dalla casta sacerdotale, dai custodi dell’ortodossia del principio, come violazione del precetto del sabato. Ma, il richiamo dei sacerdoti ad una «normatività forte», la loro ossessione normativa (il principio che non am-

critiche da parte della bioetica cattolica: “Va evidenziato come il principio di autodeterminazione (o di autonomia, che dir si voglia), se trasferito dal piano delle azioni (ogni atto umano consapevole è autodeterminato) a quello dell’esistenza tout court, si dimostri privo di fondamento: nessuno di noi ha autodeterminato il suo venire all’esistenza, l’essere in vita lo abbiamo ricevuto come un dono. Siamo “contingenti” e debitori del dono della vita, amministratori di essa e non padroni assoluti autorizzati ad ogni dispotismo. Pensare diversamente è errore e presumere di impossessarci di ciò che in realtà non possediamo equivale semplicemente a farsi del male”. A. FIORI – E. SGRECCIA, Vera solidarietà come alternativa all’abbandono terapeutico e all’eutanasia, in «Medicina e Morale», V (2006), pp. 885-886. Anche in relazione alla delicata vicenda Englaro i valdesi hanno espresso la loro solidarietà alla famiglia di Eluana in forza proprio del riconoscimento dell’autonomia nelle scelte riguardanti la propria salute e il proprio corpo, una libertà che non va guardata sospettosamente né può essere confusa con l’arbitrio: “La Commissione Bioetica della Chiesa Valdese intende esprimere la propria solidarietà nei confronti della famiglia Englaro e ribadire la propria posizione a favore della libertà di cura, che è sempre e contestualmente libertà di rifiutare la cura. I giudici hanno ritenuto dimostrata sia l’irreversibilità dello stato vegetativo della paziente, sia la conformità della scelta di interrompere la nutrizione e idratazione forzate alla volontà espressa a suo tempo da Eluana Englaro, e alla sua concezione della dignità e qualità della vita. Come cristiani riteniamo sia necessario guardare alle persone viventi e alla loro sofferenza, che non può essere dimenticata in nome di principi universali e astratti, né può essere subordinata a una norma oggettiva e precostituita che venga ritenuta valida in quanto presunta “legge naturale”. Crediamo infatti che il cuore dell’etica cristiana debba essere la sollecitudine verso le persone nella loro irrinunciabile singolarità, spesso sofferente, talvolta – come nel caso di Eluana - addirittura tragica: di qui discende, secondo noi, un’idea della medicina come terapia rivolta a soggetti in grado di autodeterminarsi e in grado di decidere il proprio destino”. COMMISSIONE DELLA TAVOLA VALDESE PER I PROBLEMI ETICI POSTI DALLA SCIENZA (Commissione Bioetica), Considerazioni sul caso Englaro, Torino 09/07/2008.50 “Pare a me, che il diritto alla vita sia rinunciabile o abdicabile, per parte di colui che ne è il soggetto, e che l’uomo, cioè, come ha il diritto di vivere così abbia diritto di morire”. D. NERI, Eutanasia. Valori, scelte morali, dignità delle persone, Bari 1995, p. 143.51 F. BECCHINO, Eutanasia o medicina palliativa?, in AA. VV., Eutanasia. La legge olandese e commenti, cit., pp. 66-67.

in condizioni normali esiste una naturale ed ovvia sovrap-ponibilità fra «vita biologica» e «vita biografica», così che l’una include l’altra, e tuttavia, in particolari situazioni, ad esempio in quelle condizioni cliniche note come stati vegeta-tivi, è palesemente incontestabile che si sia in presenza sol-tanto di un simulacro di ciò che è stata una «biografia», che tende a ridursi a mera espressione «biologica». Distinguere fra «vita biologica» e «vita biografica», fra l’«essere in vita» ed «avere una vita», vuol dire essere consapevoli dell’unicità e della singolarità dell’esperienza propriamente detta umana, irriducibile a semplice dato biologico, significa inoltre porre il problema della «qualità della vita»47.

VII. Alla luce di questa configurazione dicotomica, la bio-etica valdese pone l’accento sullo stretto e concreto legame tra la dimensione «biografica» dell’esistenza ed il tema del-la «dignità del morir» in quanto spazio eticamente rilevante della rivendicazione di un diritto della vita umana - indivi-dualmente definita - a determinarsi nelle scelte che riguarda-no la salute e al tempo stesso la propria conclusione48.

Affermare il diritto ad una morte dignitosa vuol dire rico-noscere ad individui autonomi la libertà di decidere49, qua-

culturale che può costituire una nuova soglia di percezione e di valutazione del fenomeno. È infatti innegabile che il carattere tipico della vita umana risiede largamente nella funzione nervosa e nella vita di relazione. La vita, negli esseri umani, è essenzialmente e indissolubilmente legata alle funzioni psichiche e tali funzioni risentono in maniera determinante delle relazioni interpersonali e con l’ambiente in cui un essere umano si sviluppa, cresce, vive e muore. Proteggere la vita, perciò, può voler dire proteggere un fenomeno in tutti i suoi aspetti, ma può voler dire, insieme, anche essere in grado di relativizzare un aspetto rispetto ad un altro. In tal senso si potrebbe per esempio valorizzare la vita biograficamente intesa rispetto alla semplice vita di un embrione, quand’anche si sappia per certo che da esso si sviluppa l’essere completo. Alla luce delle considerazione fatte, sembra che la vita umana sia da considerarsi come l’insieme e l’evoluzione di tutte le esperienze, le relazioni, le aspirazioni, il sentire, in altre parole come la storia personale di un essere umano, che lo definiscono come unico e irripetibile. La vita umana non può avere esclusivamente o prevalentemente una connotazione biologica; la sua specificità è anche biografica ed è questa globalità e interdipendenza che va salvaguardata”. GRUPPO DI LAVORO SUI PROBLEMI ETICI POSTI DALLA SCIENZA, Interruzione volontaria della gravidanza, 21/09/1996.47 Il riferimento al principio della qualità della vita come tentativo di umanizzazione dell’esistenza, che diviene paradigma orientativo per una bioetica laica, “non è un problema secondario, accessorio, marginale, facoltativo, un problema cioè che si può porre o non porre. Questo problema è intrinseco alla vita stessa così come noi uomini la sperimentiamo”. P. RICCA, Vivere: un diritto o un dovere? Problematiche dell’eutanasia, in AA. VV., Eutanasia. La legge olandese e commenti, cit., p. 45.48 “Il tema del morire si precisa e si scompone. Vivere e morire si avvicinano fino a sovrapporsi. Morire con dignità e morire bene non sono semplici formule descrittive, ma situazioni esistenziali sempre più declinate in termini di diritti della persona […] La dignità del morire rimanda così a dinamiche sociali sempre più intricate, e rivela una ormai ineliminabile radice tecnologica. L’artificio accompagna il morire e, irresistibilmente, pone la questione del perché l’artificio, tenacemente difeso di fronte alla morte, dunque per mantenere in vita, viene respinto quando vuol rendere possibile la nascita, dunque il dare la vita. Qual è il criterio, il principio, che può reggere la distinzione?”. S. RODOTÀ, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano 2006, p. 249.49 L’autonomia delle decisioni, la centralità del principio di autodeterminazione posto a giustificazione dell’opzione eutanasica, mentre rappresenta la cornice etica all’interno della quale riflettere sulla fine della vita anche per la Chiesa valdese, al contrario, sono oggetto di aspre

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FILOSOFIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015

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S. ROSTAGNO, La morte elemento della vita, in Medici-na ed etica di fine vita, a cura di M. Coltorti, Quaderno n. 3,

mette deroghe), rischia di lasciare nella sofferenza colui che invoca aiuto. «Che cosa deve valere per un cristiano, che si è posto al seguito del Gesù misericordioso e in ogni caso non di un’etica fatta di semplici divieti e di pure sanzioni? […] Aderire alla parola di Gesù richiede la scelta di una vita eti-camente responsabile dall’inizio alla fine»52. Le decisioni da prendere al capezzale del morente non sono mai semplici, al contrario causano conflitti spesso laceranti per la coscienza umana e in particolare per quella cristiana; esse, in ogni caso, esigono comprensione, compassione, dovere e capacità di ascolto. La riflessione su un’etica di fine vita chiama in causa drammaticamente e irreversibilmente la nostra responsabilità profondamente umana. Una responsabilità che restando con-finata nel dominio dell’umano e del finito non mette nessuno, e tantomeno il credente, al riparo dal rischio di errori53. È in questo orizzonte etico che le chiese valdesi si muovono e intendono raccogliere le sfide della bioetica.

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52 W. JENS - H. KÜNG, op. cit., p. 68.53 “La responsabilità umana comporta una zona di imprecisione, un margine di possibile errore. Non si può ridurre a zero la possibilità di errore insita in ogni decisione: essa va dunque assunta […] Nella decisione concreta […] la doverosa assunzione di responsabilità esprime insieme la rattristante fallibilità dell’essere umano […] La morte, anche quando è scelta, farà apparire l’impotenza dell’umano a raggiungere una meta esente da contraddizioni”. S. ROSTAGNO, La morte elemento della vita, in Medicina ed etica di fine vita, a cura di M. Coltorti, Quaderno n. 3, Atti del convegno Napoli 22–24 Aprile 2002, Napoli 2004, p. 90. “Le chiese sono uno dei soggetti che possono contribuire in modo significativo alla promozione di un’esistenza umana responsabile e solidale. Responsabilità e solidarietà che devono anche essere in grado di confrontarsi criticamente con quegli aspetti della medicina e della tecnologia medica che non prendono in conto le derive di una medicina che si può rivoltare contro la vita stessa, violando la libertà e la dignità dell’essere umano. Al tempo stesso pensiamo che le chiese cristiane non siano chiamate a pronunciare giudizi preventivi (e definitivi) a favore o contro la decisione delle singole persone, ma debbono piuttosto sviluppare con umiltà e con amore una pastorale di accompagnamento delle persone inguaribili e nelle fasi finali della vita, che si situi dalla loro parte ed in difesa della loro eventuale scelta di voler concludere la loro esistenza. Se da una lato crediamo che si debbano combattere gli abusi della medicina che hanno la tendenza a disumanizzare la vita umana non rispettandone più i limiti, dall’altro lato è anche necessario che le chiese cristiane abbandonino la vecchia strada di una visione della vita unilateralmente legata al dato biologico e naturale da cui fanno derivare degli assoluti morali che passano accanto alla sofferenza e mostrano la loro totale irrilevanza per la situazione concreta in cui vivono le persone. L’insegnamento della parabola del samaritano misericordioso (Lc. 10,25-37) può essere ripreso e valorizzato anche in questo contesto ed in questo orizzonte come la buona via da seguire al di là di ogni ideologia”. GRUPPO DI LAVORO SUI PROBLEMI ETICI POSTI DALLA SCIENZA, A proposito di eutanasia, Presentato al Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste e al pubblico in agosto 2002.

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SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015 | FILOSOFIA

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COMMISSIONE DELLA TAVOLA VALDESE PER I PROBLEMI ETICI POSTI

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Atti del convegno Napoli 22–24 Aprile 2002, Napoli 2004;ID., Etica Protestante. Un percorso, Assisi 2008;M. T. RUSSO, L’etica della medicina e la bioetica fra sol-

lecitudine e giustizia nel pensiero di Paul Ricoeur, in Paul Ricoeur in dialogo. Etica, giustizia, convinzione, a cura di D. Iannotta, Cantalupa (To) 2008;

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DOCUMENTI VALDESI

CHIESA EVANGELCA VALDESE. UNIONE DELLE CHIESE VALDESI E METODISTE, Raccolta delle disci-

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MATEMATICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015

Le avventure del dottor Gnei labirinti della mente ALESSIO RUSSODipartimento di Matematica e Fisica, Seconda Università degli Studi di Napoli

2 IL RACCONTO

Quella sera il dottor G, tremante per la febbre che gli era sopraggiunta nel pomeriggio, decise di andare a dormire mol-to presto. L’indomani aveva un importante appuntamento cui non voleva mancare. Messosi a letto, si ricordò di un libro che aveva finito di leggere qualche giorno prima. Ripensò alle tante difficoltà che il protagonista aveva dovuto superare per uscire da quello strano castello in cui era rinchiuso. Gli tornarono alla mente le parole che Ludwig aveva pronuncia-to mentre cominciava ad assaporare la libertà: «Noi sentiamo che, persino nell’ipotesi che tutte le domande scientifiche ab-biano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati. Certo, allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta. La risoluzione del problema della vita si scorge allo sparire di esso...». Le armi mentali, che aveva utilizzato per uscire da quella prigione in cui ave-va scelto di stare da sempre, gli erano servite per arrivare a contemplare un mondo nuovo in cui quelle stesse armi non avevano alcun senso.

Riflettendo su tutto ciò, ebbe l’impressione che probabil-mente l’autore avesse voluto mostrarci che nel momento in cui entriamo in confidenza con la vita dobbiamo disfarci del-la scala che ci ha permesso di approdare ad essa. Gli stru-menti della ragione non ci fanno afferrare la vita nella sua essenza. Possono solo servire ad evitare di coglierla come un problema. Mentre questi pensieri affioravano numerosi nella sua mente, quasi azzuffandosi tra loro, si addormentò.

Dopo qualche ora di sonno sereno, cominciò a sognare, e … di colpo, si ritrovò in quel castello che già prima di addor-mentarsi l’aveva fatto pensare tanto. Gli sembrò subito un luogo familiare. Davanti a sé vi erano numerose porte però tutte chiuse, ed una scala, con molti gradini. Essa conduceva ad un corridoio che era così lungo da non permettere che se ne scorgesse il fondo. Incuriosito, cominciò a camminare. Man mano che procedeva notò sui muri delle scritte che, lette alternativamente prima sulla parete di destra e poi su quel-

1 INTRODUZIONE

La matematica ha spesso attirato l’attenzio-ne di scrittori e, più in generale, di artisti che hanno creato le loro “finzioni” traendo spunto dall’incredibile ventaglio di mondi possibili che i matematici hanno percorso

da quando, nella seconda metà dell’Ottocento, cominciarono ad affrancarsi dalle “catene” del reale. Chi non ricorda, per citarne solo alcuni, i racconti di J. L. Borges, di I. Asimov, di S. Lem, di D. R. Hofstadter, di L. Carroll o di J. Cortàzar? In tale ordine d’idee, si legga, ad esempio, l’interessante rac-colta di racconti matematici di C. Bartocci [1] o il libro di Hofstadter [2].

In questo lavoro, già pubblicato precedentemente in [3], si è, in un certo senso, seguito un cammino inverso. Precisa-mente, è stato utilizzato lo strumento letterario del racconto breve per introdurre questioni classiche di logica cercando di attirare l’attenzione del lettore attraverso il dispiegarsi della vicenda immaginaria del protagonista, il dottor G (si tratta di Gödel?). Come l’autore ha avuto modo di constatare, propo-nendo il racconto qui riportato a studenti di scuola superiore e del primo anno del Corso di Laurea in Matematica, questo tipo d’approccio ha suscitato in loro molta curiosità che ha consentito di introdurre con una certa facilità delicate que-stioni sui fondamenti della matematica, sul rapporto fra ve-rità e dimostrabilità, sulla completezza e così via. Non solo, ma queste «carezze furtive», come le chiamava A. Weil, fra ambiti diversi, ha spianato facilmente la strada ad un discor-so interdisciplinare. Anche per questo, oltre all’indubbio fa-scino, si è scelto come libro letto dal dottor G una delle opere più importanti di L. Wittgenstein, il Tractatus [4], di cui si riporta il celebre aforisma 6.52. Per finire, qualche parola sulla scelta dei nomi dei vari personaggi del racconto. Sono stati utilizzati nomi o parti di nomi di persone che ebbero un ruolo importante in questo capitolo affascinante della storia della matematica, e più in generale, della cultura.

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SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015 | MATEMATICA

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to che nella penombra presero forma due volti perfettamente somiglianti. «Saranno Dave e Bert!» esclamò tra sé. Que-sti lo guardarono abbozzando un sorriso enigmatico. Subito dopo, parlando simultaneamente, lo invitarono a chiedere qualunque cosa. Ovviamente, il dottor G voleva sapere quale di quelle due porte era quella giusta, sicché, ripensando al messaggio che aveva in precedenza letto sui muri del corri-doio, cominciò a riflettere sulla domanda che avrebbe dovuto fare a Dave e a Bert. Purtroppo, essi non erano distinguibili l’uno dall’altro, e pertanto se avesse semplicemente chiesto quale era la porta giusta, dalla risposta di uno dei due non sarebbe stato in grado di capire se fosse quella che gli servi-va. Così s’interrogava e al tempo stesso si angosciava sen-za riuscire a capire cosa fare. Dopo un po’ di tempo, ebbe un’illuminazione, e pensò tra sé: «La domanda da porre deve essere, come dicono i logici, di tipo tautologico, cioè deve essere tale che Dave e Bert devono dare ad essa la stessa ri-sposta». Si convinse di essersi indirizzato verso la soluzione del problema, e ciò gli diede molto coraggio. Bisognava solo trovare la domanda giusta. Continuò a pensare, finché, ecco

la di sinistra, formavano un messaggio che sembrava scritto apposta per lui. Le parole erano più o meno queste: «Proce-di tranquillo fino alla fine. Troverai una porta attraverso cui entrerai in una stanza. Lì ti aspettano due persone, Dave e Bert, nell’aspetto identici come gocce d’acqua. Anche il tono della loro voce è lo stesso. Tuttavia, Dave è uno che mente sempre qualunque cosa dica. Bert, invece, quando parla dice sempre la verità. Inoltre, essi si conoscono molto bene. Tu, caro dottor G, puoi rivolgere a loro una sola domanda …». Quella che prima era in lui soltanto curiosità si trasformò in impazienza mista ad angoscia. «Perché mai dovrò fare una domanda a queste persone?», si chiedeva tra sé.

Quando finalmente ebbe varcato la soglia di quella stan-za che ormai occupava ogni suo pensiero, si rese conto di trovarsi in un luogo veramente inquietante. Non vi erano fi-nestre, le pareti erano dipinte di un colore grigio scurissimo. Soltanto due piccole candele, accese chissà da quando, fa-cevano un poco di luce in quella fitta oscurità. Guardandosi intorno scorse due porte identiche. «Chissà quale delle due porte conviene aprire?» si chiese ansioso. Fu in quel momen-

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frase da pronunciare all’orecchio del volto di pietra doveva essere vera o falsa. Mentre era intento a pensare a ciò, gli si parò davanti l’altro (Dave o Bert?) che gli disse: «Per essere libero devi pronunciare una frase falsa». Povero dottor G! Gli sembrava di impazzire, aveva la sensazione che Dave e Bert fossero degli spiriti diabolici che erano stati mandati lungo la sua strada per prendersi gioco di lui.

Dopo un po’, quando la disperazione si andò via via stem-perando, cedendo il posto al naturale istinto di sopravvivenza che in lui era più che mai presente, si mise a pensare. «Dal momento che non c’è nessun modo per capire se ha parlato prima Dave e poi Bert o viceversa, non devo tener conto di nessuno dei due suggerimenti poiché... . O forse, … sì certo, è così!». Il problema era allora cosa dire in quel maledetto orecchio di pietra che lo stava aspettando in fondo alla strada chissà da quanto tempo. Man mano che si avvicinava alla fine della strada, le pulsazioni del suo cuore aumentavano a dismisura; si sentiva mancare e cominciò a sudare. Gli sem-brò che era ormai finita per lui.

Si svegliò di soprassalto. Però dopo qualche minuto di confusione, si rese conto che la febbre non c’era più. Era l’al-ba, poteva finalmente alzarsi ed andare a quell’appuntamento cui tanto teneva. Strada facendo ripensò a quello strano so-gno e a come era riuscito a pronunciare la frase giusta che gli aveva permesso di venir fuori da… quel labirinto della mente.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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[2] Hofstadter D. R., Gödel, Escher, Bach, Milano, Adel-phi, 2001.

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…, una nuova illuminazione. Aveva capito quale era il giusto quesito da porre … .

Ascoltata la risposta, aprì la porta giusta ed uscì in un am-pio giardino. «Come è strano questo posto!» esclamò. Infatti, sulla sua destra poteva vedere alberi verdeggianti circondati da aiuole fiorite. Inoltre, tra i rami, giochi di luce prodotti dai raggi del sole rendevano il tutto piacevole da guardare. Invece, alla sua sinistra vi erano soltanto pochi alberi con rami quasi spogli, le cui foglie erano ormai secche e pronte a cadere. Non vi erano giochi di luce. Il cielo sopra quest’an-golo di giardino era grigio e minaccioso, foriero di chissà quali sinistri presagi. Istintivamente, s’incamminò sul lato destro. L’aria che finalmente respirava, il colore dei fiori e quel leggero fruscio del vento tra le foglie degli alberi lo mi-sero di buon umore. Pensava che forse fra non molto sarebbe stato libero. Distratto da questi pensieri, non si accorse di un pendio davanti a sé. Scivolò e perse i sensi. Al risveglio si trovò su una piccola barca insieme con un vecchio dal cui volto traspariva affetto e compassione per lui. Sembrava che questi lo stesse conducendo ad un’isola attraverso un fiume. Il vecchio spiegò al nostro eroe che quel luogo era abitato da persone tutte somiglianti a Dave o a Bert, i simildave ed i similbert, che lo avrebbero sottoposto ad una nuova prova. Solo dopo averla superata, egli avrebbe potuto ricondurlo nel giardino fiorito in cui era stato così bene. Il dottor G non aveva altra scelta.

Scese dalla barca, salutò il vecchio e si mise alla ricerca dei simildave e dei similbert. Finalmente ne incontrò uno il cui nome era Bertrand. Questi appena lo vide, con aria di sfida gli pose quest’enigma: «Kurt, Rudolf e Adele sono altri abi-tanti di quest’isola. Kurt afferma che Rudolf è un simildave, ma Rudolf afferma che Adele è una simildave e Adele affer-ma che Kurt è un simildave. Che cosa ne deduci?». Questa volta il dottor G fece abbastanza presto a trovare la risposta … . Superata anche questa prova, ritornò dal vecchio che lo accolse con un sorriso quasi paterno e lo riportò nel giardi-no fiorito. Un altro passo verso la libertà era stato compiuto. Prima di congedarlo, il vecchio gli disse che ormai doveva superare un’ultima prova, la più difficile. Avrebbe percorso, a partire dal giardino, una lunga strada alla fine della quale avrebbe trovato un volto scolpito su una pietra. All’altezza di una delle orecchie vi sarebbe stato un foro. Attraverso di esso egli avrebbe dovuto pronunciare una frase che se fosse sta-ta quella giusta l’avrebbe condotto direttamente alla libertà. Inoltre, lungo il cammino egli avrebbe nuovamente incontra-to Dave e Bert, però questa volta non insieme.

Il dottor G, preoccupato, ma al tempo stesso fiducioso, s’incamminò nella direzione che gli sembrò ad intuito la più conveniente. Dopo un tempo abbastanza lungo, vide da lon-tano una persona sola che gli veniva incontro. Ricordando le ultime parole del vecchio, si chiese tra sé: «Chissà se questo è Dave o Bert?». Quando costui fu davanti al dottor G disse: «Per essere libero devi pronunciare una frase vera». Detto ciò si allontanò. Allora il dottor G pensò che quest’indicazio-ne non gli era di grande aiuto. Infatti, non essendo in grado di sapere se quello era Dave o Bert, non poteva capire se la

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SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015 | SCIENZE MOTORIE

Sport: dai valori al Doping STEFANIA SANTAMARIADipartimento di Scienze Motorie e del Benessere, Università degli Studi di Napoli Parthenope

corpo per fini meramente estetici4 o per motivi ricreazionali. Inoltre, contemporaneamente alla diffusione del fenomeno e quindi all’aumento della richiesta delle sostanze dopanti, si ampliavano anche le vie di accesso alle medesime.5 6

Il doping è un problema di portata mondiale: mina il prin-cipio della leale e giusta competizione, scoraggia la pratica dello sport e mette sotto un’eccessiva pressione coloro che praticano agonismo.7 Proprio per questo motivo, si è sentita

4 C.d. “doping estetico”5 Si pensi, soprattutto, all’e-commerce6 Thevis M. e Scänzer W. (2014), Analytical approaches for the detec-tion of emerging therapeutics and non –approved drugs in human doping controls, J. Pharm Biomed Anal, 101, 66-83; Santamaria S., Ascione A., Tafuri D. e Mazzeo F. (2013) Gene Doping: biomedical and law aspect of genetic modification of athletes, Med. Sport., 17 (4): 193-199; Lippi G., Banfi G., Franchini M. e Guidi G. C. (2008), New strategies for doping control, J Sports Sci, 26(5), 441-5; Council of Europe (1989), Anti-Doping Convention, da: http://www.coe.int/t/dg4/sport/doping.7 “In ogni tempo le prassi di doping hanno costituito una violazione dei principi fondamentali dell’etica sportive. Al giorno d’oggi, a causa della proliferazione dei casi rilevati, il fenomeno del doping nello sport ha trasceso il quadro ristretto dell’etica sportiva per diventare anche un problema di salute pubblica. L’attività fisica e sportiva infatti deve in linea

INTRODUZIONE

Il desiderio di accrescere le proprie performance fisiche al fine di ottenere migliori risultati nello sport ha portato gli atleti a cercare metodi alternativi ai duri allenamenti, indipenden-temente dai loro risvolti sulla salute e dalla

loro liceità. Il doping è un fenomeno che ha origini antichissime. Secondo alcuni studiosi esso sarebbe nato con lo sport1. Infatti, a partire dal momento in cui gli individui hanno cominciato a praticare attivi-tà fisica in competizione con altri, hanno cercato di migliorare le proprie prestazioni assumendo miscugli composti da vari tipi di piante e/o da sangue di ani-mali. In effetti, sembra che il termine “doping” derivi dal termine olandese “dop” che trova a sua volta le proprie origini da un antico dialetto africano2 “doop” con il significato di “miscela o pozione”. Purtroppo, la volontà di controllare l’esito delle competizioni ha coinvolto, come vittime, anche gli animali, in parti-colar modo gli equini.

Il doping, nel corso degli anni ha inglobato nella propria trappola gli atleti (professionisti e dilettanti, normodotati e diversamente abili) e tutto l’universo di relazioni che ruotano intorno ad essi: amici e parenti, staff medico, farmacisti, bio-logi, chimici, case farmaceutiche ed, ovviamente, organizza-zioni criminali3. Ma non solo. Infatti, esso, da “sotterfugio” per vincere illegalmente la competizione ha assunto anche un’altra veste: quello di strumento per migliorare il proprio

1 Questo tema verrà trattato successivamente.2 Della tribù degli Zulù3 Marclay F., Mangin P., Margot P. e Saugy M. (2013), Perscpetcives for Forensic Intelligence in anti-doping: Thinking outside of the box, Foren-sic Science International, (229) 133-144; Mazzeo S. e Varriale L. (2014), Doping policy: a brief juridical and ethical analysis. In: International Con-ference on Sport Science and Disability: Book of Proceeding. Napoli, 15 febbraio, 146-7.

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ticolare dei giovani sportivi.”10

LO SPORT COME FORMA DI DOPING

Isidori11 e Derrida12 sostengono la tesi della trinomia sport-doping-droga.

Isidori definisce lo sport come un phàrmakon che può ave-re effetti positivi che negativi per la salute, al pari dell’as-sunzione di una sostanza stupefacente. L’atleta, d’altronde, non pratica sport soltanto per un fine meramente salutistico ma anche per uno agonistico. Il successo, inoltre, genera la produzione di endorfine le quali, scatenando sensazioni di euforia, possono causare dipendenza nell’atleta. Egli, infatti, correrà il rischio di ricercare spasmodicamente il successo collegato alla vittoria, l’ossessione per la perfetta forma fisica ed infine quel senso di euforia legato alla produzione delle predette endorfine.

La dipendenza da questa sensazione euforica viene defi-nita “Runner’s High”13 (sballo del corridore) e si produce durante la pratica sportiva prolungata. Non solo: lo spasmo-dico allenamento ingenera meccanismi fisici e psichici pari a quelli prodotti all’atleta che fa uso di sostanze dopanti per il medesimo fine. Seguendo tale teoria, si può, pertanto, con-cludere che lo sport, nello stesso momento in cui provoca una dipendenza nella volontà di superamento delle proprie capacità, è sovrapponibile al doping e, di conseguenza, alle sostanze stupefacenti.

Nel corso degli anni, numerosi scienziati si sono interroga-ti sulle possibili cause generative della dipendenza. Il primo fra tutto fu il celeberrimo Freud il quale osservò che l’assun-zione di cocaina creava una esperienza euforica e di felicità al pari di quelle vissute da un soggetto che non ne avesse assunta. Gli scienziati, pertanto, compresero che ogni volta che un individuo ricercasse quella particolare esperienza pia-cevole assumeva quella determinata sostanza. Essi, pertanto, concentrarono le loro ricerche sul concetto di “ricompensa”, ove per tale termine si deve intendere la ricerca frequente di un determinato stimolo, ad. es: cocaina, che rafforza un de-terminato comportamento14. Il meccanismo della ricompensa sfrutta un particolare neuro-ricettore: la dopamina. Il sistema dopaminergico viene attivato da tutti i comportamenti fina-lizzati alla sopravvivenza del singolo e della specie e in tutte le circostanze “piacevoli” per l’individuo tale per cui porta a ripetere le esperienze gratificanti in un continuo rinforzo positivo del comportamento. Orbene, allorquando vi è l’as-

10 Trattato di Lisbona (2007), Sez. 5 Art III-282 lett. g). da: http://europa.eu/eu-law/decision-making/treaties/pdf/treaty_establishing_a_constitu-tion_for_europe/treaty_establishing_a_constitution_for_europe_it.pdf.11 Isidori E.(2014), Il doping nello sport tra diritto, etica ed educazione, RIDES, 1, 52-62.12 Derrida J. (1989), Rhétorique de la drogue, Autrement, 106, 197-214.13 Boecker H., Sprenger T., Spilker M. E, Henriksen G., Koppenhoefer M., Wagner K. J., Valet M., Berthele A., Tolle T. R. (2008), The Runner’s High: Opioidergic Mechanisms in the Human Brain, Cerebral Cortex No-vember;18:2523-31.14 Russo V. (2011), Comunicazione e strategie di intervento nelle tossi-codipendenza, Carucci editore, Roma.

la necessità, da parte delle istituzioni sportive di creare un ente ad hoc che avesse come unico obiettivo la lotta a que-sti dilagante fenomeno. Infatti, nel 1999 fu creata la World Anti Doping Agency (W.A.D.A.): un’organizzazione con lo scopo di sconfiggere il doping nello sport ponendosi come “faro” per la creazione di una legislazione antidoping, il co-ordinamento dei test anti-doping, la redazione di una lista di sostanze da bannare ed aggiornare costantemente grazie an-che alla collaborazione di appositi laboratori accreditati e di istituzioni sportive e governative8.

I VALORI DELLO SPORT

Lo sport ingloba in sé tre attività diverse: fisica, ludica ed agonistica. La sua pratica consente l’acquisizione di una serie di valori etici che possono essere racchiusi nel concetto di “fair play”. Con tale termine, infatti, si vogliono esprimere i principi di onestà, dignità, rispetto per i compagni di squadra per gli avversari e per gli arbitri di gara.

Secondo Tamburrini9, poi, lo sport dovrebbe essere carat-terizzato dalle seguenti caratteristiche: fluidità di gioco, capa-cità, competizione, eccitazione, drammaticità ed infine, gioia. Pertanto, lo sport dovrebbe essere un duello leale tra avversa-ri di pari livello, ove vince chi mostra maggiori abilità e nel quale l’ansia per il risultato termina inesorabilmente o in una gioia per coloro che vincono o in un “dramma” per i perdenti.

Ciò che deve sottolinearsi è che la competizione sportiva deve svolgersi in una condizione di parità tra gli atleti. Ciò significa che essi devono sfruttare tutti gli strumenti leciti al fine di migliorare la propria prestazione. Il vincitore sarà, pertanto, colui che ha sfruttato al meglio i predetti strumenti. Sotto questa prospettiva, il doping lede ogni valore sportivo. A tutela dei valori appena evidenziati, l’Unione Europea, con il Trattato della Costituzione Europea, dopo aver sottolineato l’aspetto formativo dello sport per la gioventù, si è impegnata “a sviluppare la dimensione europea dello sport, promuo-vendo l’imparzialità e l’apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l’integrità fisica e morale degli sportivi, in par-

di principio contribuire a migliorare la qualità della vita del cittadino. Orbene, il ricorso a sostanze vietate o l’abuso di farmaci porta pregiudizio alla salute del praticante ed entra così in contraddizione con la finalità stessa dello sport. Nel quadro dello sport di competizione il doping sim-bolizza l’antinomia dello sport e dei valori che egli ha tradizionalmen-te rappresentato, quali la lealtà e il superamento di sé stesso tramite lo sforzo fisico”. Così la Commissione Europa (1999), Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale ed al Comitato delle regioni. Piano di sostegno comunitario alla lotta contro il doping nello sport [COM(99) 643 def.] da: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:51999DC06438 Dvorak J., Baume N., Botré F., Broséus J., Budgett R., Frey WO., Geyer H. et al.. (2014), Time for change: a roadmap to guide the imple-mentation of the World Anti Doping Code 2015, Br J Sport Med, 0, 1-6; Valkenburg D., de Hon O. e van Hilvoorde I. (2014), Doping control, pro-viding whereabouts and the importance of privacy for elite athletes, Int. J. Drug Policy, 25, 212-8.9 Tamburrini C. (2007), After Doping What? The Morality of Genetics Engineering of Athletes, in W. Morgan, Ethics in Sport, Champaing IL, Human Kinetics, 290-296.

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benefici che l’atleta dopato attribuisce al consumo di sostan-ze dopanti, egli tenderà a reiterare la condotta fraudolenta in quanto è ormai pacifico che laddove una sostanza sia in grado di apportare un beneficio psico-fisico – appunto una ricom-pensa -, la persona sarà alla costante ricerca di quel partico-lare effetto.

Da un punto di vista motivazionale, il ricorso al doping rappresenta l’emblema di come l’utente finale – rectius l’at-leta – non sempre opti per la scelta più razionale o in ogni caso migliore. Tversky17 e Kahneman18 individuano quattro cause che fanno propendere verso il doping: l’effetto di for-mulazione, il principio di utilità, l’euristica dell’accessibilità e della rappresentatività. Per “effetto di formulazione” si in-tende la modalità in cui un messaggio viene comunicato in quanto esso verrà modificato a seconda dello scopo che si intende raggiungere. Nel caso del doping, al fine di indurre un atleta a doparsi, si formulerà un messaggio in cui si sotto-lineeranno i vantaggi sottovalutando gli altissimi rischi. Ana-logo discorso può farsi con il “principio di utilità” ma la pro-spettiva muta: il messaggio a vantaggio del doping parte non da un soggetto terzo ma dello stesso atleta il quale tenderà a guardare solo gli aspetti positivi e l’utilità di cui beneficerà attraverso il ricorso al doping per il suo fine primario: quello di vincere la competizione non analizzando metodi alternati-vi per il perseguimento del medesimo scopo.

Per “euristica dell’accessibilità” si intende l’ignoranza de-gli effetti negativi del doping. Il giovane atleta tenderà ad assumere sostanze dopanti perché non conosce farmacologi-camente gli effetti collaterali della sostanza e giuridicamente le sanzioni a seguito di una controllo. Ciò è dovuto soprat-tutto alla circostanza che gli atleti, che subiscono gli effetti collaterali delle sostanze assunte, tendono a nascondersi e i mass media, dopo aver dato la notizia della positività di un atleta, raramente diffondono altrettante notizie sugli esiti del processo sportivo19. Pertanto, i giovani atleti rischiano di rin-correre dei falsi idoli senza essere in grado di discernere se un determinato risultato è stato raggiunto in maniera fraudolenta o lecita e senza comprendere le possibili conseguenze 20

L’assenza della capacità di discernimento e che porta a scelte errate è racchiuso nella c.d. euristica della rappresen-tatività. Con tale ultimo fattore si fa riferimento alla emula-zione di stereotipi, che nel caso di specie. sono errati modelli da imitare. I giovani atleti, in sostanza, rimangono affascinati dalla prestanza fisica e/o dai risultati ottenuti in maniera ille-cita da un atleta dopato omettendo volontariamente di consi-

17 Tversky A. e Kanheman D. (1974), Judgment under Uncertainty: Heu-ristics and Biases Science, New Series, 185 (4157), 1124-31.18 Kanheman D. e Tversky A. (1979), Prospect Theory: An Analysis of Decision under Risk, Econometrica, 47(2), 263-91.19 Tranne i rari casi di sportivi particolarmente popolari20 I”l doping quando si manifesta a livello giovanile o amatoriale – è – un esempio eclatante di una carenza di educazione e cultura del movimen-to inteso come una delle forme di espressione più elevate della potenzialità psico-motorie dell’essere umano.” Così si è espresso Schena F., I vantag-gi in saluti della pratica sportiva e i rischi del doping (2006), in Doping. Aspetti medici, nutrizionali, psicopedagogici, legali ed etici e indicazioni per la prevenzione, p. 82, da: www.droganet.org

sunzione di droghe – rectius sostanze dopanti – l’organismo le recepisce come sostanze endogene, quali la dopamina, e, agendo sul sistema dopaminergico, instaurano il processo ri-petitivo dovuto alla ricompensa. Per di più la sostanza eso-gena così assunta risulta più duratura, in quanto ad effetti, rispetto a quella endogena15.

LE MOTIVAZIONI AL DOPING

Seguendo la tesi riportata precedentemente, purtroppo si deve rilevare che il ricorso al doping non rappresenta sola-mente un’infrazione volontaria alle regole da parte del sin-golo atleta, ma rappresenta anche un modo per affrontare o fuggire dalla realtà. Ed è proprio dal tipo e dalla modalità di condizionamento da parte della realtà circostante che si possono individuare varie cause che spingono gli atleti al do-ping: sociali, fisiologiche e psicologiche ed emotive.

Tra le cause sociali si riscontra l’eccessiva pressione pati-ta verso il raggiungimento di un determinato risultato. Detta pressione può essere causata dallo staff tecnico e dirigenziale di appartenenza dell’atleta così come, ampliando il discorso in generale, alla società odierna che impone una smaniosa ricerca del miglior risultato nel minore tempo possibile.

Tra le cause fisiologiche vi si inglobano la necessità di per-dita di peso per entrare in determinate categorie, la repentina riabilitazione in seguito ad un infortunio e la riduzione del dolore così come l’aumento di energia.

Da un punto di vista psicologico-emotivo, in primo luogo si fanno rientrare, a titolo esemplificativo, la paura di insuc-cesso e la ricerca della perfezione che possono essere con-seguenza diretta di messaggi negativi derivati dalla famiglia del soggetto.16 Inoltre, la reiterazione/dipendenza può essere causata anche dalla c.d. “gratificazione indiretta”. Essa si sostanzia in tutte quelle situazioni che comportano un mi-glioramento psicologico e/o materiale quali l’ascesa sociale, l’inclusione in una categoria superiore, la vittoria di una me-daglia, l’essere considerato “campione” etc.

Possiamo, pertanto, dire che se per gratificazione diretta s’intende l’aumento – fraudolento - della prestazione fisica, la stipula di contratti di sponsorizzazione rappresenta un tipi-co esempio di gratificazione indiretta.

Ad ogni buon conto, la reiterazione della predetta condotta gratificante non implica necessariamente uno stato di dipen-denza. Essa, infatti, è un processo dinamico dipendente da fattori sopra descritti e dal tipo di sostanza assunta: in parti-colare dall’interazione della sostanza sul sistema neuropsico-biologico dell’individuo. Si tratta, in sostanza, di considera-re, in ultima analisi, la risposta dell’organismo alla sostanza assunta.

Inoltre, e ribadendo quanto già detto sul concetto di “ri-compensa”, considerato l’aumento delle prestazioni e/o dei

15 Gessa G. L. (2008) Cocaina, Soveria Mannelli, Rubettino. 16 Per Isidori E. (2014), Il doping nello sport tra diritto, etica ed educa-zione, cit., il doping può essere anche considerato come un metodo per fuggire dalla esperienza psicologica conseguente alla sconfitta che l’atleta vive in maniera negativa

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a laboratori e/o centri medici che non solo offrono maggiori sicurezze in termini di igiene ma soprattutto potrebbero ope-rare un’adeguata attività di informazione e sensibilizzazione verso coloro che intendono doparsi.

Appare doveroso, a questo punto, offrire anche una visua-le opposta. Le posizioni avverse al doping, considerano tale pratica come una spasmodica quanto “artificiale” rincorsa vero l’aumento innaturale delle proprie capacità psico-fisi-che toccando inesorabilmente problemi di matrice etica e medica. Tra i primi annoveriamo la minaccia all’uguaglianza tra gli individui25, il maniacale quanto innaturale desiderio di modificare la natura al fine di creare un mondo artificiale distruggendo “la dimensione del dono che caratterizza le ca-pacità e i successi umani”26. Tra i motivi etici, mettendo da parte il ragionevole pericolo di “programmare e progettare” le future generazioni, al pari di demoniaci progetti di un pas-sato non lontano, l’uso di sostanze dopanti ed il ricorso alla modifica genetica ingloba in sé la mancanza di conoscenze certe in merito ai loro effetti sul lungo periodo27. Inoltre, la carenza di igiene in cui la pratica del doping viene attualmen-te consumata può incidere ulteriormente sulle conseguenze negative per la salute dell’atleta28.Con riferimento partico-lare al doping genetico, la modifica dei geni può causare nel breve e nel lungo periodo la nascita di soggetti con un DNA modificato e, cosa ben più grave, la nascita di nuovi e sco-nosciuti virus.

MISURE PREVENTIVE

Al di là della posizione che si voglia assumere in merito al doping, al momento lo stato di fatto è che esso continua a mietere vittime e di fronte a ciò non ci si può esimere dal esprimere qualche considerazione sulle misure preventive da attuare in merito. Posto che una prima misura preventiva può essere considerata anche quella della liberalizzazione, sembra quasi pleonastico affermare che il primo passo da percorrere verso la strada della prevenzione sia la diffusione della conoscenza in merito al fenomeno, in particolar modo sui suoi effetti negativi sulla salute29. Ma per quanto banale sembra essere tale soluzione è sicuramente la più efficace e la meno attuata se si considera che ancora oggi molti atleti non hanno abbastanza conoscenze in merito – per non dire che ne sono completamente all’oscuro. E’ necessario, pertanto, che tutti gli stakeholders avviino campagne di informazione e sensibilizzazione, partendo, soprattutto dalle più giovani fa-

25 Fukuyama F. (2005), Biotecnologie: la fine dell’uomo, Corriere della Sera, 10 febbraio, da http://www.corriere.it/Primo_Piano/Scienze_e_Tec-nologie/2005/02_Febbraio/10/biotecnologie.shtml; 26 Sandel M. (2007), Against Perfection: Ethics in the age of genetic en-gineering: The Belknap Press, Cambridge.27 Gaffney GR e Parisotto R. (2007), Gene Doping. A Review of Per-mormace-Enhancing Genetics, PediatrClin N Am; 54: 807-22.28 Diamanti-Kandarakis E, Kostantinopoulos P. Papailiou J, et al. (2005), Erythropoietin Abuse and Erythropoietin Gene Doping. Detection Strategies in the Genomic Era, Sports Med, 35(10): 831-40.29 Thomas J. O., Dunn M., Shift W. e Burns L. (2011), Illicit drug knowledge and information-seeking behaviours among elite athletes, J. Sci. Med. Sport, 14, 278-282.

derare che, a fronte di numero minimo di successi ottenuto illecitamente, c’è una enorme percentuale di insuccessi per non parlare di conseguenze disastrose per la salute.

EXCURSUS VERSO LA TEORIA DELLA LIBERALIZZAZIONE

DEL DOPING E TESI AVVERSE

L’excursus oggetto del presente paragrafo analizza breve-mente la posizione di alcuni studiosi i quali sono a favore del ricorso al doping sino ad arrivare all’affermazione più espli-cita della sua liberalizzazione – rectius abolizione di ogni di-vieto contro il suo ricorso -. La prima voce in merito è il neu-ro-scienziato Gazzaniga21 il cui pensiero si fonda essenzial-mente su due corollari: l’autodeterminazione dell’individuo e la sua capacità di adeguamento a contesti in continua evolu-zione. Egli, infatti, non stigmatizza il ricorso a sostanze né ai metodi dopanti, in particolare al doping genetico, in quanto l’individuo compie volontariamente e coscientemente una scelta verso la strada alternativa al sacrificio ed all’impegno dell’allenamento. Lo scienziato, considera, nella sua analisi, contrariamente alle teorie menzionate precedentemente, che un individuo sarà in grado in ogni caso di prendere la decisio-ne migliore per se stesso. Il filosofo Dennet22, poi, partendo dall’assunto che è intrinseco nell’uomo la tendenza al miglio-ramento, ritiene che quest’ultimo, quant’anche attuato attra-verso la modifica del proprio patrimonio genetico – doping genetico – non debba essere stigmatizzato. I filosofi Bostrom e Roache23 si spingono oltre, sostenendo che i farmaci che consentono un miglioramento delle capacità dell’individuo che abbia le caratteristiche della sicurezza ed efficacia non dovrebbero essere vietato, bensì incentivati! La coraggiosa proposta di liberalizzare24 (rectius legalizzare) il doping è da attribuire ai Professori B. kayser, A. Mauron, A. Miah, i qua-li, sono partiti dall’assunto che il proibizionismo vigente ha avuto come unica conseguenza il fallimento di un efficace controllo sulla diffusione del fenomeno in quanto coloro che vi ricorrono compiono detta pratica nella più totale oscurità. E’ facile immaginare, inoltre, gli ambienti insalubri in cui gli atleti si sottopongono alle più svariate pratiche. Vien da sé, che la segretezza e la mancanza di dati rende inefficaci qual-sivoglia azione preventiva. Orbene, secondo i fautori della liberalizzazione del doping, l’attuale sistema di “polizia” ha fallito nel suo intento. Si rende, pertanto, necessario consen-tire il libero uso di sostanze e/o la libera sottoposizione alle pratiche dopanti al fine di porre rimedio a tutti i problemi appena evidenziati. La liberalizzazione avrebbe come effetto immediato la reale comprensione della diffusione del feno-meno in quanto gli atleti avrebbero la possibilità di affidarsi

21 Gazzaniga M. S. (2006), La mente etica, Edizioni codice.22 Dennett D.C. (1984), The Elbow Room: The Varieties of Free Will Worth Wanting, Oxford, Clarendon, New York, Viking Press, trad. it. di M. Pagani (2004) L’evoluzione della libertà, Milano, Cortina,.23 Bostrom N. e Roache R. (2009), Smart Policy: cognitive enhancement and the public interest, da; http://philpapers.org/archive/BOSSPC.pdf24 kayser B., Mauron A., Miah A. (2005), Viewpoint: Legislation of Per-fomance – Enhancing Drugs, The Lancet, 366: S21

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trovato, poi, piena attuazione soltanto nel 2000 con la Legge n.376 con la quale si sono ottenuti due principali risultati: una prima chiara definizione di doping nel primo articolo36 e la “creazione” del reato di doping nell’art. 9. Inoltre, con l’in-troduzione della Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive (CVD)37 il nostro Paese si è dotato di un ulteriore valido stru-mento per predisporre programmi di ricerca delle sostanze, dei metodi e dei farmaci da proporre poi al Ministero della Sanità al fine della loro inclusione in altrettanti classi da ban-nare. Essa determina, ancora, le metodologie dei controlli anti-doping ed individua le competizioni e le attività sporti-ve da sottoporre ai detti test. Infine, la Sezione, oltre a pro-muovere campagne di informazione per la tutela della salute nelle attività sportive e di prevenzione del doping - in modo particolare presso tutte le scuole statali e non statali di ogni ordine e grado ed in collaborazione con le amministrazioni pubbliche, il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), le federazioni sportive nazionali, le società affiliate, gli enti di promozione sportiva pubblici e privati, i medici specialisti di medicina dello sport - mantiene i rapporti operativi con l’U-nione europea e con gli organismi internazionali, garantendo la partecipazione a programmi di interventi contro il doping.

Ciò detto, una ultima ed importante considerazione è d’ob-bligo. Il doping è un fenomeno che riesce ad espandersi facil-mente e muta costantemente volto: riesce a fiutare e rubare le nuove scoperte scientifiche per i propri fini. Basti pensare al doping genetico. Pertanto, si auspica che il livello di guardia nei confronti di detto male non si abbassi mai e che, soprat-tutto non manchino mai le necessarie risorse economiche sia per le attività di prevenzione, ossia informazione e sensibiliz-zazione, che per la ricerca di nuove sostanze e metodi.

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36 Guariniello R. (2002), La legge sul doping tra Corte di Cassazione e Ministero della Salute, Foro It.,37 In seguito alla Legge 4 novembre 2010, n. 183, la CVD è divenuta sezione h) “Sezione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive” del Comitato Tecnico Sanitario

sce d’età e utilizzando gli attuali strumenti di comunicazione di massa: i Social Network. A tal proposito, il Dipartimento per politiche Antidroga ha creato un’apposita sezione “Social Network” con collegamenti diretti con Facebook, Twitter e YouTube30. E’ necessario, inoltre che le istituzioni gover-native e sportive collaborino anche finanziariamente a spon-sorizzare questo tipo di attività, oltreché ad aumentare i test antidoping ed, ovviamente, la ricerca verso le nuove sostanze e i nuovi metodi dopanti31. I mass media non possono essere esentati dalla grande responsabilità che ricoprono nel diffon-dere precise ed aggiornate notizie sul fenomeno32.

Su un piano diverso, i medici, svolgono un ruolo ancora più delicato ed importante in quanto rappresentano la prima interfaccia con cui l’atleta si relaziona prima di decidere di doparsi. Essi, pertanto, devono avere una competenza tecni-ca e psicologica di alto livello in grado di comprendere le motivazioni che spingono l’atleta a doparsi ed allontanarlo da tale intento33.

CONCLUSIONI

Lo sport, nel corso dei secoli, ha subito una profonda evo-luzione passando da una mera attività ludico-ricreativa ad un vero e proprio fenomeno complesso che ha fortemente influenzato vasti settori della scienza umana: dall’etica, alla medicina, passando per l’economia. Il doping né è un tipico esempio. Lo sport ed il tempo libero hanno acquisito sem-pre maggiore rilevanza economica su scala mondiale tale per cui l’afflusso di ingenti somme di denaro ha esposto gli atleti a ricercare modi sempre “migliori” per attirare a sé l’atten-zione degli sponsor e quindi di denaro. Lo sport, pertanto, è diventato un vero e proprio business, terreno fertile per il proliferarsi del fenomeno doping. Purtroppo si deve osser-vare che inizialmente detto fenomeno è stato sottovalutato dalla istituzioni governative le quali lo hanno considerato esclusivamente un problema “sportivo”. Fu principalmente grazie alla Convenzione di Strasburgo del 198934 che furono esortati gli Stati a cooperare con le istituzioni sportive al fine di contrastarne l’ulteriore diffusione35. In Italia, la detta Con-venzione è stata ratificata nel 1995 con la Legge n.522 ed ha

30 http://www.politicheantidroga.it/31 de Mérode A. e Schamasch P. (1999) , Harmonisation of methods and measures in the fight against doping in sport. Final report, European Commission. Directorate General for Research, Luxembourg: Office for Official Publications of the European Communities.32 de Mérode A. and Schamasch P. (1999 ), Harmonisation of methods and measures in the fight against doping in sport. Final report, cit.33 de Mérode A. and Schamasch P. (1999), Harmonisation of methods and measures in the fight against doping in sport. Final report, cit.34 Council of Europe (1989), Anti-Doping Convention, cit35 “[…]considerati i regolamenti, le politiche e le dichiarazioni adottate dalle organizzazioni sportive internazionali nell’ambito della lotta contro il doping; coscienti delle responsabilità complementari che i poteri pub-blici e le organizzazioni sportive volontarie hanno nell’ambito della lotta contro il doping nello sport e, in particolare, nel garantire un corretto e leale svolgimento delle manifestazioni sportive come pure della tutela della salute di coloro che vi partecipano; riconoscendo che detti poteri e organizzazioni devono collaborare a tutti i livelli[…]”, così si legge in Council of Europe (1989), Anti-Doping Convention, cit

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stione di reti di comunicazione e condivisione dati1, il web ha acquisito, soprattutto a seguito della diffusione planetaria della propria architettura e della commerciabilità delle pro-prie funzioni, una potente penetrabilità all’interno del corpus delle società e delle nazioni, operando nell’uomo un marcato processo di mutazione della propria mente/identità, dei lin-guaggi e della conoscenza, della visione del mondo, delle

società, della/e loro storia/e e del loro divenire.In virtù di tali fenomenologie lo stesso sistema geopoli-

tico mondiale interpreta ormai la rete come una quinta di-mensione soggetta a specifiche normative internazionali, in aggiunta alle precedenti (terra, mare, spazio atmosferico e spazio extra-atmosferico), oltre che non luogo di scenari di cooperazione ma anche di contrapposizione e conflitti fra en-tità sovranazionali, organizzazioni non governative e stati2.

In tale clima di costante instabilità di sistema, dove la stes-sa rete assiste ultimamente alla comparsa di un proprio clone, o web shadow, simbolo e luogo di moti ormai planetari di ri-

1 D. Ragazzini, La nascita della storiografia digitale, in D. Ragazzini, (a cura di), La storiografia digitale, Utet, Torino, 20042 F. W. Engdal, Full Spectrum Dominance: Totalitarian Democracy in the New World Order. 2011, Progressive Press. USA

Ricerca scientifica e documentazione online: Mars-500 Project ROBERTO TOSCANO

L’innovativa tecnologia in dotazione ai personal devices di ultima generazione disponibili sul mercato ha generato, e genera tuttora, nuovi scenari nel mondo della comunicazio-ne, dell’informazione e della conoscenza ma anche in altri settori quali la diffusione e la documentazione della ricerca scientifica.

Il web, da protocollo sperimentale per la connessione e ge-stione delle reti di comunicazione e condivisione dati, si configura oggi come un non luogo all’inter-no del quale le informazioni, le identità e le culture si ibridano costantemente.

Nonostante la propria natura manifestamente fluida, la rete, grazie alla propria morfologia mul-tidimensionale in costante aggiornamento, si con-figura come un funzionale strumento per la docu-mentazione e diffusione delle conoscenze scienti-fiche, ovviamente nel rispetto dei protocolli e delle procedure specifiche per la convalida dei dati.

Il presente articolo intende proporre un’intro-duzione generale al tema della documentazione scientifica online attraverso un focus specifico sul Progetto di simulazione Mars-500, paradigma sperimentale posto in essere presso l’Istituto per i Problemi Biomedici dell’Accademia Russa delle Scienze sotto l’egida dell’Agen-zia Spaziale Russa.

I . INTRODUZIONE

Il World Wide Web, la cui operatività viene uffi-cialmente documentata a partire dalla data del 2 Settembre 1969 (giorno in cui si realizzò il primo nodo tra un prototipo di router Imp ed un terminale host Sds Sigma 7 dell’UCLA) ha subito nel corso

dei decenni un impressionante processo evolutivo, ancora at-tualmente in corso.

Da semplice protocollo sperimentale di connessione e ge-

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multicommunication system ma come utile strumento di ri-cerca, documentazione e trasmissione di un’informazione.

Ad una generica analisi strutturale la rete si configura es-senzialmente come una macroarchitettura, all’interno della quale prendono forma non luoghi (siti-portali) interpretabili come microarchitetture ipertestuali, quest’ultime in alcuni casi con semplice modalità accrue, e ciò in relazione alla loro potenziale natura dinamica di accumulazione-modifica-zione-aggiornamento di informazioni, che si susseguono in un determinato flusso temporale, cumulandosi nel corso del tempo10.

In virtù di tale contesto, il concetto stesso di documenta-zione viene ad acquisire nuove dimensioni dove, all’attività di analisi-interpretazione connessa al processo di costruzio-ne-condivisione-comunicazione della conoscenza11, si af-fiancano le varie procedure di trattamento dell’informazione per ottimizzarne la reperibilità e la fruizione. il tutto secondo specifici ed inediti formati legati oggi alla natura multidi-mensionale dei new devices.

La rivoluzione informatica, sin dagli esordi, ha imposto in ambito storiografico una reinterpretazione del concetto reperto/fonte così come i processi stessi di riproduzione e documentazione hanno assistito ad una loro rimodulazione, in linea con le potenzialità della computer technology12.

Il successivo e recente avvento dei new media e la com-parsa di nuove modalità multicode per processare l’infor-mazione, hanno ulteriormente posto in evidenza la necessità di individuare specifiche metodologie per la gestione di un piano di azione efficace nel campo della ricerca storiografica e della documentazione, in linea con la matrice polisemica delle fonti, unitamente all’analisi ed all’individuazione di modalità e codici funzionali per efficaci protocolli di comu-nicazione-divulgazione della ricerca stessa.

Internet comprende ufficialmente oggi più di 6 miliardi di siti ed il numero è quotidianamente in costante aumento esponenziale. Tale scenario impone, particolarmente in am-bito scientifico, una metodica verifica dei vari protocolli per una corretta e funzionale catalogazione e conservazione del-le informazioni online, quali per esempio il Semantic-Sensi-tive Web Information Retrieval, il cui protocollo, in continuo aggiornamento, consente di recuperare, nello spazio di pochi secondi, le informazioni testuali e non testuali di milioni di documenti presenti nella rete in vari formati13.

Attualmente sul web, accanto al pregevole contributo di alcune iniziative volte ad organizzare e raccogliere il più am-pio numero di materiali fruibili online quali l’Internet Archi-ve14, si segnala la comparsa di alcuni siti posti in essere per

10 S. Vitali, Una memoria fragile: il web e la sua conservazione, in D. Ragazzini (a cura di), La storiografia digitale, Utet, Torino, 200411 E. Gori, (a cura di), La documentazione e la scuola di qualità, Le Lettere Firenze, 200812 D. Ragazzini, La nascita della storiografia digitale, in D. Ragazzini (a cura di), La storiografia digitale, Utet, Torino, 200413 Y.Bassil- P. Semaan, [2012], Semantic-Sensitive Web Information Retrieval Model for HTML Documents, European Journal of Scientific Research, ISSN 1450-216X Vol.69 No.4, pp. 550-55914 http://www.archive.org

vendicazione di un neoumanesimo solidale, antimonopolista ed ecomilitarista3, i devices presenti sul mercato modificano in tempo reale le proprie prestazioni e funzioni, passando dai recenti personal devices in modalità virtual truth o increased truth4 agli adaptive devices in modalità multisensory, tuttora in fase sperimentale ma di prossima immissione sul mercato, dove una innovativa adaptive technology assicurerà proces-si di modificazione delle funzioni mediante connessione ed adattamento live con vari devices intercettati nella cloud. Il tutto in costante osmosi con la rete globale, ormai da inten-dersi come vitale sistema nervoso artificiale del pianeta5.

L’estrema dinamicità di tali teatri geomediatici, ha genera-to, e genera ancora oggi, specifici fenomeni socio-culturali, quali la comparsa di una sorta di collective mind network, dove nuovi mondi ed inedite culture virtuali (in alcuni casi di evidente matrice neo-tribale6) vedono il soggetto, dal ca-rattere transidentitario e comunicante attraverso un insolito ibridismo linguistico multicodice, contaminare costantemen-te i contenuti presenti in rete, attraverso azioni compulsive di lettura/scrittura/rielaborazione/mistificazione di stampo semantico-simbolica7.

In particolare i processi osmotici di video-writing/video-re-ading/video-making, peculiari nei new devices hanno gene-rato, e continuano a generare, un’inedita forma di testualità-comunicazione-conoscenza, dove la tradizionale scansione sequenziale della fruizione, o stesura di un testo/contenuto, viene ad essere sostituita da una new textuality8 multidimen-sionale e multicodice, aspetti che alcuni analisti interpretano come modalità sorgente di un epocale salto sistemico socio/culturale in progress dell’uomo del XXI secolo, scenario da molti letto come una fra le cause dell’attuale crisi globale9.

In tale situazione di costante noise e, in alcuni casi, di ma-nifesto inquinamento comunicativo e cognitivo, si impone la necessità di attivare con sempre maggiore urgenza, un pro-cesso ricorrente di analisi e restoration di una funzionalità ottimale del web, particolarmente in quei contesti dove la rete viene ad identificarsi non solo quale net economy and

3 I. F. Akyildiz, Xudong Wuang, [September 2005], A Survey on Wire-less Mesh Networks, in «IEEE Communications Magazine», vol 43, n. 9, pp. 523-530,. In merito alle ultime informazioni sulla natura e funzionalità del web shadow si segnalano i seguenti siti: http://freedomboxfoundetion.org, www.funkfeuer.at/index.php?L=1, www.mesh-networks.org.4 Modalità che si configurano come evoluzione dei vari protocolli, sino ad oggi disponibili, di augmented reality, mixed reality, modified reality, modulated reality, mediated reality, augmented reality, augmented thin-king, augmented imagination, concetti con i quali si è inteso identificare diverse configurazioni di simulazione o potenziamento della realtà per-cepita.5 L. Kleinrock, [maggio 2012], Ho inventato la rete (e vi spiego come cambierà), in «Limes Rivista Italiana di Geopolitica» Quaderno Speciale, anno IV, n. 1, pp. 41-456 D. De Kerckhove, [maggio 2012], Il Web produce tribù, in «Limes Ri-vista Italiana di Geopolitica» Quaderno Speciale, anno IV, n. 1, pp. 35-407 L. Toschi, La comunicazione generativa, Apogeo, Milano, 20118 Idem9 Per una preziosa riflessone sul concetto di crisi e sulla necessità di una transdimensionalità della riflessione filosofico-scientifica come strumen-to/azione da contrapporre allo scenario del mondo occidentale contempo-raneo si segnala M. Serres, Tempo di crisi, Bollati Boringhieri, Torino, 2010

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ne, aventi come obiettivo l’allestimento e la documentazione della sperimentazione di missioni umane di nuova genera-zione unitamente alla verifica, sul piano biomedico e psico-logico, degli effetti della lunga permanenza di un equipaggio umano all’interno di prototipi di moduli abitativi (dispositivi di volo, basi orbitanti o di superficie).

Il primo ciclo di studi condotti dai laboratori dell’ Insti-tute of Biomedical Problems di Mosca sulla simulazione di una lunga permanenza di un equipaggio umano in stato di confinamento, fu eseguito tra il novembre 1967 ed il novem-bre 1968 (nome in codice Un anno terrestre a bordo di una capsula spaziale21). La ricerca vide un equipaggio di tre co-smonauti virtuali vivere per un anno all’interno di un modulo abitativo di circa 90 m³, ermeticamente isolato in biosistema autonomo.

Dal 1970 fino al 2000, accanto alle numerose missioni umane orbitali (programmi Восто́к [Vostok] 1961-1963, Восто́к [Voskhod] 1964-1965, Союз [Soyuz] 1963-2015 operativa), grazie soprattutto alla natura del programma Салют [Salyut] (1970/71–1982) ed alla realizzazione della prima base polimodulare orbitale Мир [Mir] (1986-2001)22 furono realizzati una serie di studi (con possibilità di verifi-che durante le attività in orbita) che permisero l’ottimizza-zione delle procedure di addestramento e la configurazione di una tecnologia di supporto al volo spaziale umano a lungo termine, consentendo nel contempo la definizione di proto-colli addestrativi per l’adattamento umano alla permanenza in ambiente in microgravità. Nel corso di questo lungo piano operativo furono registrate significative tappe (delle quali di seguito si da breve indicazione) nell’acquisizione di co-noscenze fondamentali per la realizzazione di una missione spaziale di lunga permanenza.

Tra il 1971 ed il 1977 presso i laboratori dell’ Institute of Biomedical Problems di Mosca furono compiute ulteriori indagini sugli effetti fisiologici e biomedici prodotti nell’uo-mo dalla lunga permanenza in condizione di stress estremo ed in stato di confinamento (60-120 giorni): in particolare tra il settembre 1976 ed il gennaio 1977, nel corso di una simulazione di confinamento di 120 giorni, fu allestito un la-boratorio per la verifica dei sistemi di sopravvivenza e delle dinamiche di gruppo su un equipaggio di tre unità.

Nel maggio-giugno 1980, su un equipaggio maschile sot-toposto a 25 giorni di confinamento, furono verificati dati re-lativi agli effetti psicologici prodotti dall’ambiente acustico e dall’inserimento per breve periodo di equipaggi femminili (verifica delle pulsioni e delle dinamiche di gruppo in stato di confinamento).

Dal febbraio all’aprile 1983, furono raccolti dati sulle di-namiche di gruppo di un equipaggio misto in stato di con-finamento per 60 giorni, unitamente all’analisi dei processi di adattamento in situazione di emergenza di lunga durata. Mentre tra il maggio ed il luglio dello stesso anno (90 giorni)

21 http://mars500.imbp.ru/history.html22 P. Baker, The Story of Manned Space Stations: An In-troduction. Springer, 2007

documentare e divulgare i risultati scientifici delle ricerche svolte in vari settori della scienza. Più precisamente gli isti-tuti internazionali di ricerca prevedono, all’interno delle loro strutture operative, specifici settori adibiti alla gestione di siti web all’interno dei quali documentare il proprio patrimonio storico-scientifico, pubblicare i risultati della ricerca condot-ta, oltre a realizzare spazi virtuali e prodotti dal carattere di-vulgativo e didattico.

Tra i progetti scientifici internazionali più recenti la cui documentazione appare fruibile in rete, si segnala il Mars 500 Project, condotto presso l’Institute of Biomedical Pro-blems15 of the Russian Academy of Sciences16, sotto l’egida della Russian Federal Space Agency17 e con il coinvolgimen-to dell’ESA European Space Agency18 e dell’ASI Agenzia Spaziale Italiana19.

Il progetto, ideato come simulazione di una prossima mis-sione umana su Marte, ha avuto come obiettivo la raccolta dei dati ricavati attraverso un ricco protocollo sperimentale rivolto allo studio del sistema uomo-ambiente, con relativa analisi del quadro psicofisico e biomedico, in situazione di confinamento di lunga durata.

Proprio l’analisi di come è stato documentato online il complesso ed articolato progetto, costituisce l’oggetto di questo breve studio, in quanto emblematica della potenzia-lità, e dei limiti, del web nel documentare e rendere fruibi-le una ricerca scientifica nel corso del suo svolgimento. Per questo il presente contributo, dopo aver illustrato brevemen-te i prodromi del Mars 500 Project, la storia e la natura della ricerca, si sofferma sull’analisi della diffusione online della documentazione di questo esperimento internazionale di si-mulazione.

II . MARS -500 PROJECT: STORIA E RICERCA20

.

Mars 500 Project si configura come un protocollo speri-mentale ad ampio spettro, frutto di un lungo percorso di ri-cerca le cui origini sono rintracciabili nelle sperimentazioni che seguirono i primi voli umani oltre l’atmosfera.

Intorno alla fine degli anni ’60 del XX secolo, accanto allo sviluppo delle ricerche condotte nel campo delle tecnologie per il volo in ambiente extra-atmosferico ed al susseguirsi delle missioni umane nello spazio, l’Institute of Biomedical Problems di Mosca sviluppò una serie di studi di simulazio-

15 Институт медико-биологических проблем РАН http://www.imbp.ru/16 Российской академии наук http://www.ras.ru/17 Федеральное космическое агентство России http://www.federal-space.ru/18 In merito alla partecipazione dell’ESA European Space Agency al Mars 500 project si segnala: http://www.esa.int/SPECIALS/Mars500/19 In merito alla partecipazione dell’ASI Agenzia Spaziale Italiana al Mars 500 project si si segnala: http://www.asi.it/it/news/mars500_rien-tra_020 Per una puntuale documentazione storica del progetto in esame si se-gnalano le seguenti fonti on line:http://mars500.imbp.ru/history.htmlhttp://www.federalspace.ru/main.php?id=2&nid=8267&hl=mars+500http://www.esa.int/SPECIALS/Mars500/

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il viaggio, appare necessario acquisire le dovute competen-ze cliniche e psicofisiologiche indispensabili per assicurare l’incolumità dell’equipaggio stesso e la configurazione di un habitat ottimale.

Il programma di ricerche “Mars-500” è stato sviluppato proprio con questi obiettivi.

La struttura polimodulare all’interno della quale il proget-to ha preso vita, è stata realizzata componendo cinque am-bienti ermeticamente isolati e di varie volumetrie, all’interno del laboratorio dell’ Institute of Biomedical Problems di Mo-sca, riproducendo in tal modo il prototipo dell’unità di volo progettata per una possibile prossima missione umana verso Marte. Dall’allestimento dei primi moduli, iniziato nel 2006, la struttura si è sviluppata nelle sue componenti seguendo il succedersi delle tre fasi sperimentali, raggiungendo il com-pletamento con l’inizio della terza e conclusiva fase del pro-gramma di simulazione (520 giorni di confinamento) iniziata il 3 giugno 2010.

III . MAPC-500

La ricerca scientifica internazionale Mars - 500 Project, svolta, come detto precedentemente presso l’Institute of Biomedical Problems della Russian Academy of Sciences di Mosca sotto l’egida della Russian Federal Space Agency, con il coinvolgimento dell’ESA European Space Agency e dell’ASI Agenzia Spaziale Italiana, ha visto la partecipazio-ne di altri istituti di ricerca ed università europee impegnati in esperimenti satellite nel settore biomedico, psico-fisiolo-gico ed ingegneristico23.

Il progetto, che ha avuto tra i vari obiettivi la definizione di un habitat standard per il confinamento di lunga durata di un equipaggio umano (in vista di una futura missione verso il pianeta Marte), unitamente alla configurazione di speci-fici protocolli di monitoraggio biologico/clinico (oltre che di sistemi speciali di campionamento e trasmissione dati), nonché la sperimentazione sull’equipaggio di protocolli per l’analisi dei processi di apprendimento in stato di stress da confinamento di lunga durata, si è sviluppato attraverso tre fasi: la prima fase, della durata di 14 giorni di confinamento (Ottobre - Novembre 2007); la seconda fase, di 105 giorni di confinamento, si è svolta dal 31 Marzo 2009 al 14 Luglio 2009. La terza fase si è sviluppata lungo 520 giorni di confi-

23 Tra le istituzioni italiane coinvolte nel progetto si segnalano:Università di Bologna (http://www.magazine.unibo.it/Magazine/Attuali-ta/2009/01/30/Missione_su_Marte.htm);Centro EXTREME e la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (http://www.sssup.it/news.jsp?GTemplate=news.jsp&ID_NEWS=2550); CNR Consiglio Nazionale delle Ricerche (http://www.cnr.it/cnr/news/CnrNews?IDn=2093);Università di Pisa (http://www.unipi.it/index.php/unipinews/item/423-missione-mars-500-il-centro-extreme-universit%C3%A0-di-pisa-santan-na-e-cnr-volano-a-mosca); Università degli Studi di Milano (http://www.unimi.it/news/47708.htm); INRCA-IRCCS di Roma; Università della Tuscia di Viterbo(http://www3.unitus.it), Fondazione S. Maugeri di Pavia (http://www.fsm.it)

fu verificata, all’interno del modulo di simulazione la funzio-nalità del sistema di rigenerazione dell’ossigeno “Electron” testandone gli effetti sull’equipaggio.

Nel 1984 (marzo-giugno) e per 90 giorni, furono condot-ti una serie di esperimenti sugli effetti psicologici registrati nell’equipaggio prodotti dall’esposizione continua ai suoni ambientali, nel corso delle attività lavorative e delle ore di riposo. Successivamente nel maggio-luglio 1987 (90 giorni) fu verificato lo stato psico-fisiologico dell’equipaggio duran-te la simulazione di tre situazioni di emergenza, della durata di 6 giorni ciascuno (monitoraggio dei ritmi circadiani, degli effetti psicofisiologici prodotti dalla modificazione dell’ha-bitat, etc).

Nel 1989 (giugno-luglio) fu condotta una ricerca per la verifica dell’operatività di un equipaggio posto in stato di permanenza per 30 giorni all’interno di un habitat con basso tasso di ossigeno (16%).

Gli anni che seguirono videro l’intensificarsi delle ricerche in tale settore, soprattutto in relazione ai protocolli di colla-borazione con altre agenzie spaziali, quali l’ESA European Space Agency.

Tra il settembre 1994 ed il gennaio 1995 fu allestito uno studio di simulazione sul comportamento umano in Space-flight Extended, con lo scopo di simulare il volo di un co-smonauta ESA a bordo della stazione orbitale Мир [Mir] (EURO-MIR-95).

Dal 21 ottobre 1995 al 22 gennaio 1996 (90 giorni) fu condotto l’esperimento ECOPSY-95, con l’obiettivo di con-figurare un habitat standard per il mantenimento del confort psico-fisiologico di un equipaggio, accanto alla valutazione del gradiente di interazione tra uomo e habitat artificiale e delle modalità per controllarne le dinamiche. Mentre dal 2 febbraio 1999 al 22 marzo 2000 (240 giorni) fu allestito il protocollo di simulazione SFINCSS-99, destinato all’adde-stramento di uno degli equipaggi della Stazione Spaziale Internazionale. Tale indagine coinvolse tre equipaggi misti di diverse nazionalità (Russia, Giappone, Germania, Canada, Norvegia, Svezia, Repubblica Ceca, Austria) e consentì lo svolgimento di 80 esperimenti scientifici, tra i quali spicca un primo protocollo di addestramento di volo per una missione umana di lunga durata, da compiere in vista di un viaggio all’interno del sistema solare.

Dal 2000, grazie ai dati raccolti attraverso le missioni Мир [Mir] e le prime permanenze compiute a bordo dell’ISS [In-ternational Space Station], è stato possibile raccogliere una ricca documentazione di dati, frutto di numerose simulazioni con equipaggi misti, in stato di confinamento di breve dura-ta, con l’obiettivo di verificare anche i sistemi di profilassi in microgravità, unitamente ad un ulteriore monitoraggio dei quadri clinici dell’equipaggio.

Compiere una specifica ricerca sulla lunga permanenza dell’uomo nello spazio connessa ad un viaggio verso una meta, quale un pianeta, ed il successivo percorso di ritorno, presenta notevoli differenze rispetto alla permanenza di un equipaggio a bordo di basi orbitali. Oltre dover sviluppare un potenziale tecnologico indispensabile per poter effettuare

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Tra le iniziative aventi come obiettivo un processo di ar-chiviazione il più possibile completo della rete, ovviamente della parte ad accesso libero, si pone in primo piano il già citato progetto Internet Archive29. Ma accanto a tali iniziative che, in virtù della riuscita nella missione impostano il loro lavoro attraverso metodiche che interpretano la rete come un’immensa fonte storica da documentare in un processo ciclopico di campionamento, si collocano specifici progetti, sotto alcuni aspetti di matrice sperimentale, di documenta-zione e divulgazione online della ricerca scientifica.

In tale contesto, la morfologia base dei siti/portale web (accumulazione/aggiornamento/sostituzione dei dati raccolti secondo un flusso temporale discreto e che procede in se-quenza) appare funzionale per documentare un lavoro di ri-cerca scientifica in progress30, ovviamente ponendo sempre sotto attento monitoraggio le proprie metodologie di campio-namento e nel rispetto di specifici protocolli di validazione, universalmente riconosciuti, e di peculiari procedure di veri-fica dell’attendibilità dei dati informativi e delle fonti.

Nel panorama dei siti fruibili in rete e riferibili a centri internazionali di ricerca e documentazione scientifica appare il mars500.imbp.ru, finestra web del Mars - 500 Project.

Il portale presenta un carattere prettamente monografico, configurandosi essenzialmente come uno spazio informativo contenente, oltre ad un repertorio delle indagini compiute e delle informazioni tecniche relative ai dispositivi ed alle at-trezzature utilizzate nel corso della sperimentazione, anche un ampio archivio fotografico e video per la documentazione della ricerca svolta31.

In particolare il patrimonio iconografico appare raccolto non secondo specifici protocolli, ma attraverso una tematiz-zazione di 106 aree32, modalità comunque funzionale alla consultazione di un’ampia utenza.

Attivato in occasione dell’inizio della prima fase del Mars -500 Project (14 giorni di confinamento, Ottobre - Novembre 2007) e successivamente ampliato ed aggiornato nel corso della ricerca, in quanto modalità di documentazione e di-vulgazione dell’iniziativa, il sito presenta inoltre uno spazio blog, inaugurato il 26 Ottobre 2009, un Video portale, di-venuto operativo il 26 Aprile 2010, ed un Account Twitter fruibile dal 29 Giugno 2010.

V. ANALISI

La comunicazione storiografica informatica, caratterizzata da una particolare modalità di fusione tra le componenti dati/fonti, unitamente a specifici processi di sintesi ed interpreta-zione oltre che alla funzionalità di software di interrogazione,

29 Si veda nota 1430 S. Vitali, Una memoria fragile: il web e la sua conservazione, in D. Ragazzini, (a cura di), La storiografia digitale, Utet, Torino, 200431 Un’attenta analisi sulle varie tipologie e sulle modalità di raccolta di documentazione fotografica in ambito storico è presente in M. Gallai, L. Tomassini, La fotografia di documentazione storica in Internet, in D. Ra-gazzini, (a cura di), La storiografia digitale, Utet, Torino, 200432 Si veda http://mars500.imbp.ru/index_r.html

namento, dal 3 Giugno 2010 al 4 Novembre 2011.Il protocollo sperimentale ha visto il coinvolgimento di tre

equipaggi diversi, composti da sei unità ciascuno, con un’u-nica presenza femminile nell’equipaggio della prima fase.

L’intero progetto, conclusosi a novembre 2011, ha pro-dotto una considerevole quantità di dati scientifici, tuttora al vaglio del gruppo di ricerca, i cui contenuti saranno fonte per l’allestimento del prossimo programma spaziale internazio-nale di esplorazione con equipaggio umano.

IV. MARS - 500 ONLINE

La rete, in quanto testo instabile24, appare in linea con la di-namicità e continua revisione della ricerca scientifica. La sua peculiarità di open source/cloud source, che offre in tempo reale modalità di approfondimento, condivisione e multidi-mensionalità della scrittura/lettura di innumerevoli testi/con-tenuti collettivi25, fruibili attraverso le molteplici applicazio-ni possibili attraverso i new devices di recente disponibilità sul mercato, la pone potenzialmente in piena consonanza con il clima del laboratorio scientifico.

L’avvento della tecnologia informatica nel corso degli anni ha dato origine, soprattutto nel settore storiografico, della documentazione e conservazione delle fonti e della ri-cerca, nuovi ambiti di studio, dove iper-autori26, unitamente alla comparsa di banche dati, archivi e raccolte configurate in modo innovativo e secondo inedite modalità di campiona-mento27, operano incessantemente attraverso codici nei quali comunicazione e ricerca si relazionano in modo osmotico. Nonostante la rete offra quindi una funzionalità senza pre-cedenti in tale settore, ciò che emerge, sino ad oggi, è che l’estrema volatilità del web, e quindi la possibilità allo stato attuale di compierne una conservazione e catalogazione dei propri contenuti in vista di un lavoro di natura bibliografi-co, storiografico o di documentazione scientifica, sia tuttora un’operazione di difficile realizzazione. Nel dare inizio ad un’ipotesi di lavoro di documentazione ed archiviazione del-le informazioni sul web, risulta necessario quindi compiere una specifica scelta di approccio, e ciò è imposto in partico-lare dalla multiforme configurazione della stessa architettura del sito/portale web28.

24 P. Ortoleva, [1999] La rete e la catena. Mestiere di storico al tempo di Internet, «Memoria e ricerca», 3, p. 31- 40.25 Su tale aspetto, e sul concetto di iper-autore, si segnala G. O. Longo, [1999], Nel mare dell’iper-letteratura si sente solo un anonimo brusio, in «Comunità online virtuali e reali», Telemà, n.17-18, 26 Idem27 D. Ragazzini, Le fonti storiche nell’epoca della loro riproducibilità informatica, in D. Ragazzini, (a cura di), La storiografia digitale, Utet, Torino, 200428 Da intendersi essenzialmente come una «collezione di risorse elettro-niche […] resa accessibile all’interno di uno specifico dominio Internet, ai fini della comunicazione di informazioni […] che condividono un co-mune nome di dominio […] e che mette a disposizione un corpo di risorse informative interconnesse, navigabile usando un browser» Public Record Office, Managing Web Resources: Management of Electronic Records on Websites and Intranets, versione 1.0, dicembre 2001, [http://www.pro.go.uk/recordsmanagement/erecords/website-toolkit.pdf]

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Mars-500 Project (le cui sole pagine in lingua originale presentano, in alcuni casi, informazioni in versione estesa), dopo un front grafico di presentazione (fig. n. 1), apre la sua home page (fig. n. 2) con un’interfaccia che consente di ac-cedere mediante diverse finestre (maschere di ricerca, barre di navigazione e boxes) ai molteplici contenuti delle diverse fasi del Progetto Mars-500.

In particolare, nella sezione del portale dedicata alla III fase sperimentale del Mars-500 Project (520 giorni di confi-namento), la pagina di presentazione si apre con un quadro riassuntivo del piano operativo, presentando la documenta-zione ad esso relativa attraverso l’articolazione di una ricca raccolta di immagini, che registrano le fasi più salienti del protocollo sperimentale, dell’allestimento e manutenzione dei moduli di simulazione, della selezione ed addestramento dell’equipaggio, sino alle conferenze stampa, unitamente ad un’ampia documentazione fotografica delle ricerche scien-tifiche condotte e delle procedure di simulazione svolte nel corso del periodo di confinamento36.

Oltre alle schede biografiche dei componenti dell’equi-paggio, la sezione offre un prospetto riassuntivo del piano sperimentale della terza fase, alla quale segue uno schema

del diario del piano di volo simulato.Le informazioni successive vertono sul diario virtuale di

bordo e sulle operazioni svolte dall’equipaggio nel corso di un anno di simulazione attraverso un quadro riassuntivo dei dati scientifici raccolti.

Come ulteriore documentazione, il portale presenta un archivio delle riflessioni stilate dall’equipaggio ad un anno

36 Un’ampia campionatura della letteratura grigia, relativa al protocollo sperimentale, è fruibile sul sito dell’Istituto di Problemi Biomedici di Mo-sca: http://www.imbp.ru/

si è manifestata essenzialmente attraverso reti di significati e di fonti in stretta connessione o campionabili separatamente. Tale configurazione ha offerto, tra le possibili funzionalità ottimali, una modalità inedita di fruizione attraverso rappre-sentazioni multiple e sistemi di interazione, aspetti preziosi, ad esempio, per la documentazione della ricerca scientifica33.

Con l’affermarsi del web e con la configurazione di proto-colli informatici, peculiari per la gestione dell’informazione ed in linea con i principi della rete, si è assistito allo sviluppo di vari prodotti fruibili online (siti, portali etc.), inevitabil-mente connessi ai ciclici fenomeni evolutivi di Internet, quali per esempio il recente protocollo web 3.0, lo sviluppo dell’ HPW - High Power Web o il sistema operativo mobile we-bOS34.

Nell’ambito della storiografia, della documentazione e del-la ricerca scientifica, l’uso del web come processo/medium per la documentazione e divulgazione del datum, ha imposto, e soprattutto oggi impone, una costante riflessione sulle mo-dalità di gestione delle fonti, e sulla necessità di configurare modalità per assicurare accessibilità e conservazione dell’in-formazione, insieme ad un alto gradiente di validità.

Nel configurare i propri contenuti, il portale verticale35

33 D. Ragazzini, Le fonti storiche nell’epoca della loro riproducibilità informatica, in D. Ragazzini, (a cura di), La storiografia digitale, Utet, Torino, 200434 Sullo sviluppo del formato della rete, in particolare sulla sperimenta-zione del supporto fotonico per l’allestimento di un High Power Web, e sulla configurazione di nuove tecnologie ad essa connessa si segnala: Yoo, S. J. B, [December 2006], Optical Packet and Burst Switching Technolo-gies for the Future Photonic Internet, in «Journal of Lightwave Techno-logy » Dept. of Electr. & Comput. Eng., California Univ., Davis, CA, Vol. 24 , Issue: 12 , pp. 4468-449235 Nel gergo informatico con tale termine si intende un sito web di grandi dimensioni, contenente un numero elevato di risorse con approfondimenti su specifici argomenti.

©http://mars500.imbp.ru/index.html; http://mars500.imbp.ru/index.htmlFigura n. 1

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aree, nelle quali si articola, attraverso l’acquisizione delle informazioni raccolte durante lo svolgersi dell’esperimento stesso. In particolare tale aspetto pone il portale tra le pri-me e più autorevoli iniziative aventi medesime finalità pre-senti nella rete, costituendo esso stesso il primo esempio di documentazione scientifica live relativa ad un protocollo di formazione e di addestramento, attraverso simulazioni, di un equipaggio destinato ad una missione umana di lunga per-manenza nello spazio.

VI. FUTURO

Il costante processo autopoietico del web impone, come indicato nel corso della presente indagine, una continua rie-laborazione e riconfigurazione delle knowledge technologies contemporanee. Innovativi protocolli informatici, in partico-lare nel settore delle web mobile applications dei new devi-ces attualmente sul mercato, sono già fruibili e le funzioni in codici multidimesionali hanno originato inedite modalità co-municative, di elaborazione, documentazione e divulgazione dell’informazione.

Tali sviluppi sono sorgente di nuovi scenari altamente di-namici, dove la ricerca scientifica e la documentazione pla-smano costantemente i propri statuti.

Questo breve saggio ha inteso fornire un primo momento di analisi e riflessione su tali processi38, ai quali si intende dedicare ulteriori approfondimenti, in particolare nei settori dell’addestramento speciale degli adulti in stato di confina-mento e delle peculiarità pedagogiche della simulazione.

38 Si veda R. Toscano, Training for Space. Formazione, ricerca e docu-mentazione scientifica online nelle scienze spaziali contemporanee, Co-senza, Brenner Editore, 2013

dall’inizio dell’esperimento, unitamente al quadro del moni-toraggio clinico e dei processi di adattamento.

Accanto alla documentazione scientifica è possibile visua-lizzare un’ampia rassegna stampa raccolta nel corso dell’e-sperimento ed un ulteriore archivio delle principali iniziative promosse dai media internazionali durante dello svolgimento della terza fase del progetto di ricerca [solo in versione in-glese].

Il portale Mars-500 Project offre ovviamente ampio spazio anche alla documentazione video. contenendo all’interno di tale sezione un numero rilevante di servizi video prodotti dai principali tv network, oltre ad alcuni filmati realizzati dall’e-quipaggio e dal gruppo di ricerca.

La ricca documentazione fotografica, raccolta durante l’in-tero svolgimento del Progetto, occupa una specifica sezione del portale. La galleria dei foto-documenti, che si compone di 1397 immagini raggruppate in 43 aree tematiche, si apre con una page contenente quattro aree attive: complesso spe-rimentale, prima fase sperimentale 14 giorni di confinamen-to, seconda fase sperimentale 105 giorni di confinamento, terza fase sperimentale 520 giorni di confinamento.

Alla luce di questa prima analisi, il portale del Mars-500 Project37, si configura come uno dei più funzionali esemplari di prodotto multimediale fruibile sul web di documentazione e divulgazione online della ricerca scientifica. La microar-chitettura che sorregge il portale ha seguito, nel suo com-porsi, i percorsi compiuti dal protocollo sperimentale (il cui indubbio contenuto scientifico è validato dalla tipologia delle istituzioni coinvolte e dalle modalità di svolgimento e campionamento delle informazioni), ampliando le specifiche

37 Tutti i link del portale Mars-500 Project hanno ricevuto verifica in data 09 Giugno 2012

©http://mars500.imbp.ru/index.html; http://mars500.imbp.ru/index_r.html#Figura n. 2

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8267&hl=mars+500http://www.esa.int/SPECIALS/Mars500/http://www.magazine.unibo.it/Magazine/Attualita/2009/

01/30/Missione_su_Marte.htm);http://www.sssup.it/news.jsp?GTemplate=news.jsp&ID_

NEWS=2550 http://www.cnr.it/cnr/news/CnrNews?IDn=2093http://www.unipi.it/index.php/unipinews/item/423-mis-

sione-mars-500-il-centro-extreme-universit%C3%A0-di-pisa-santanna-e-cnr-volano-a-mosca

http://www.unimi.it/news/47708.htm http://www3.unitus.it http://www.fsm.it

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Le avventure chimiche di Sherlock Holmes ANTONIO TRINCONEIstituto di Chimica Biomolecolare, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Pozzuoli

Oltre a questi articoli, altri due sono stati pubblicati finora da Ken Shaw, un insegnante di Chimica di una scuola secon-daria, The Waterford School, in Utah e pubblicati recente-mente sempre sullo stesso giornale [3].

Una delle cose più affascinanti riguardanti il personaggio di Holmes è la sua antica origine cinematografica oltre che

letteraria, e l’affollata sequela di serie in tutti i paesi del mon-do. Per motivi anagrafici sono molto legato alla serie con il noto attore Nando Gazzolo che nel 1968 prestò il suo volto al detective, ma diversi attori da tutte le parti del mondo hanno indossato le vesti del fenomeno di Conan Doyle, fino alle più moderne serie televisive che si discostano anche di molto dallo stile originale del nostro eroe.

Dal punto di vista strettamente letterario invece è interes-sante il fenomeno, non solo italiano, degli apocrifi di Sher-lock Holmes, scrittori che da ogni parte del mondo scrivono storie del personaggio ancora oggi di grande successo. Così

A distanza di circa cinquant’anni dalle pri-me apparizioni del personaggio di Sher-lock Holmes sul «Lippincott’s Monthly Magazine», in un saggio del 1945 [2] sul giornale scientifico Journal of Chemical

Education, R.P. Graham proponeva un resoconto sulle co-noscenze di Chimica di Sherlock Holmes, in un mirabolante det-taglio desunto dalla ricchissima e dotta sequela di citazioni sia delle avventure vere e proprie di Conan Doyle che di analisi già presenti all’epoca in letteratura. Si va dalla classica considera-zione di Watson che Holmes ha una “profonda” conoscenza della Chimica, rintracciabile in “Uno studio in rosso”, fino ai più sot-tili e nascosti richiami alla ma-teria nelle trame dei racconti. E’ certamente con questa impronta di mezzo secolo antecedente che, nel 1989, due professori del Dipartimento di Chimica della University of Tennessee, a Chat-tanooga, Thomas G. Waddell e Thomas R. Rybolt , cominciano a scrivere, sullo stesso gior-nale divulgativo, una serie di racconti intitolandoli «Le av-venture chimiche di Sherlock Holmes».

L’intera collezione o i singoli racconti sono stati già tra-dotti in svariate lingue tra cui il cinese ed il russo. Usare tale materiale a fini didattici è possibile grazie alle interruzioni segnalate per fermarsi prima delle soluzioni. Nella traduzio-ne italiana [1] per suggerire approfondimenti utili agli stu-denti, alla fine di ogni racconto una sezione intitolata “Un aiuto al dr. Watson” è stata originalmente aggiunta dal tra-duttore.

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stati redatti avendo in mente un pubblico generico di studenti di tutte le scuole superiori o dei primi anni dell’università e sono stati il materiale principale per la rimanente parte di questo articolo per scoprire quali sono i settori della Chimica nei quali Holmes è più versato.

La sintesi chimica. Almeno in due racconti il nostro eroe si avvicina alla chimica organica di sintesi. Nel primo si trat-ta di provare che il composto sintetizzato sia effettivamente il veleno usato: l’acido picrico, che Holmes sintetizza facil-mente nel suo laboratorio casalingo a partire dal fenolo:

«Deve essere stato lui, amico mio. E l›ho provato con la sintesi del

veleno che ha usato.»

«La reazione dell›acido carbolico e l›aqua fortis, Holmes… » ero

confuso.

«Fenolo, Watson!» gridò «e acido nitrico! quando sono miscelati in

presenza di acido solforico si forma il prodotto!»

«Cominci dall›inizio, Holmes, lei mi confonde. La mia conoscenza

della Chimica… beh… »

Nell’altro racconto invece si parla delle reazioni di sosti-tuzione della Chimica Organica. Esse permettono di trasfor-mare un composto in un altro in maniera facile e selettiva e produrre anche composti prima ignoti o non presenti in natura. Charles Loring Jackson é stato uno dei primi chimi-ci americani, morì a 88 anni nel 1935, un chimico organico specializzato nella sintesi che venne a studiare in Europa collaborando con famosi chimici dell’epoca come ricorda lo stesso investigatore parlando con il famoso Lestrade di Scotland Yard. Nel 1880 Loring Jackson fu il reale autore della scoperta della reazione descritta, sulla quale si basa un quesito del compito di Chimica di due studenti...

La Chimica Organica e Biologica. In effetti di queste discipline è pervasa tutta l’attività di Sherlock Holmes. Nel mirabolante racconto “Il fantasma di Gordon Square” tutta la Chimica Organica che conosce gli serve per accusare il malfattore:

«…ha cosparso il tabacco per la sua pipa con carburo di calcio. Quan-

do il carburo di calcio reagisce con l’acqua del tabacco umido si forma

dell’acetilene che si incendia appena si tenterà di accendere la pipa. »

Il carburo di calcio, un composto solido bianco, è il com-posto alla base del funzionamento di quella che si chiama la lampada a carburo. La reazione di questo composto solido con l’acqua per produrre acetilene è una classica reazione della Chimica Organica nella quale si incontrano per la pri-ma volta i carbanioni.

In un altro racconto, una delle reazioni caratteristiche degli acidi carbossilici viene usata per identificare lo ione acetato del verderame. L’acido acetico formato in presenza di acido solforico reagisce con etanolo per formare un estere, l’aceta-to di etile, che come tutti gli esteri ha un aroma fruttato che in condizioni di alta diluizione può anche essere piacevole e ricordare l’ananas.

come accade anche per i fortunati fumetti.Più strettamente correlata al mondo della ricerca invece ap-

pare una interessante analisi presente in un bel libro di Santo Di Nuovo, un professore di Psicologia Generale di Catania [4] che, partendo da alcune frasi tipiche di Sherlock Hol-mes quando spiega a Watson i suoi metodi di lavoro usando talvolta toni anche presuntuosi, affronta domande importanti quali: come si impara a ragionare scientificamente?, il ruolo della razionalità e delle emozioni nell’affrontare realtà com-plesse, il pregiudizio; e -sul significato della divulgazione- infine: informare o stupire? Tutti temi molto attuali che avvi-cinano il lavoro investigativo con il lavoro del ricercatore nei vari settori scientifici.

In un loro resoconto sui quindici racconti, i due autori americani descrivono anche come sono nate le loro storie. In una fase preliminare della scrittura degli articoli, uno di loro scriveva una bozza. Il prof. Rybolt curava i particola-ri dell’inserimento di altro materiale chimico nelle bozze di Waddell, oppure Waddell aiutava nel creare le atmosfere londinesi di fine secolo nelle bozze di Rybolt.

Il primo racconto, intitolato “I prismi gialli di Sherlock Holmes” è un caso di avvelenamento. C’è un caso di frode scientifica al Dipartimento di Scienze Naturali. “Un miste-ro natalizio” fa rivivere le atmosfere del giorno di Natale al 221B di Baker Street. Un’altra frode è di natura alimentare. Su un enigma in camera chiusa si impernia il racconto di un delitto in una vecchia cava di marmo, tutto da risolvere. Un secondo avvelenamento è a spese di un povero cane di un amico di Watson. In due diverse prigioni sono ambientati due casi diversi ma entrambi particolarmente interessanti. Correggere i compiti di chimica di due studenti fornisce ad Holmes la chiave per la risoluzione di un delitto in ambien-te accademico. Un incendio nella casa di un vicino sveglia presto Holmes e Watson alla ricerca di un piromane. Holmes risolve anche un tentato omicidio ai suoi propri danni e sfata la presenza di fantasmi in una fabbrica di prodotti chimici a Gordon Square. Si ritorna anche al tempo degli antichi ro-mani ne “Il velo di Spartaco”. Un povero costruttore di oro-logi antichi è colpito alle 3 del mattino, i sospetti sono 3 e il colpevole è rivelato con 3 acidi ne “Il caso dei 3”. Alla fine, fra Chimica e Poesia ci ritroviamo alle prese con un veleno tutto blu.

Nel suo articolo del 1945 lo stesso R.P. Graham avverti-va che il giudizio di Watson sulle approfondite conoscenze chimiche di Holmes, era di poco valore data la scarsa cono-scenza della materia da parte del dottore; caratteristica che è ancora più marcata nel personaggio di Waddell e Rybolt. I critici dell’opera di Doyle hanno sempre visto il dr. Watson come l’alter ego del suo autore, da qui l’idea della sezione “Un aiuto al dr. Watson”. In tali sezioni prendendo spunto dai temi chimici presenti nella singola avventura si approfon-discono vari aspetti considerandoli nella loro generalità, mo-strando utili richiami per ulteriori letture, o indicando digres-sioni e particolarità, magari sottolineando i punti relativi alla sicurezza ed altro con interessanti aspetti per l’applicazione della scienza nella risoluzione dei problemi. Tali testi sono

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«Certamente, ma il dettaglio necessario che lei descrive sarebbe trop-

po complesso per venirne a capo.»

A questo venirne a capo sembriamo avvicinarci ogni giorno sempre di più se pensiamo ai successi nel campo della glicobiologia, supportata dalla chimica dei carboi-drati, molecole complesse che permettono la grande bio-diversità molecolare necessaria per creare un codice [6].

La Chimica delle Sostanze Naturali. Nei racconti dei due autori americani, anche in relazione ai loro interessi spe-cifici di ricerca, Sherlock Holmes appare anche esperto di Chimica delle Sostanze Naturali.

A parte i minerali ed i materiali di sintesi tutto quello che ci circonda è rappresentato dalle sostanze organiche naturali, le cui classi sono denominate dagli esperti con nomi che si riferiscono alla loro natura chimica: polichetidi, terpenoidi, proteine, carboidrati, aminoacidi, lipidi, etc. Lo studio di tali composti può dirsi originato dalla stessa curiosità umana per il gusto, gli odori, i colori dei composti con i quali gli esseri umani sono stati sempre in contatto. L’interesse è poi stato focalizzato fin dall’antichità allo studio dei rimedi popolari contro il dolore, o delle sostanze velenose e per la cura del-le malattie. L’epoca nella quale viveva il nostro Holmes era quella caratterizzata dalla fine del mito vitalistico che le so-stanze originate dagli esseri viventi erano ritenute possedere. La sintesi dell’urea di Wholer del 1828 e quella dell’acido

Le mie conoscenze di Chimica, molto inferiori a quelle di Holmes, mi

portarono a chiedere ancora. «Ma l’aroma di ananas di cui ha parlato,

Holmes che cosa le ha provato?»

In fondo è proprio sull’analisi organica il punto di mag-gior forza che lo stesso Graham nel 1945 aveva già scorto nel suo articolo con chiare parole: “His forte was analytical organic chemistry.” Ma la più spettacolare potenza di Hol-mes sta nell’analisi delle tracce biologiche con particolare riferimento al sangue. Nel bel libro “Chemistry and Crime” [5] si cita testualmente: “Uno studio in rosso” il romanzo di Conan Doyle diede certamente un forte impulso positivo allo sviluppo di nuovi metodi per l’identificazione del sangue» al termine del capitolo intitolato proprio “Uno studio in rosso, l’identificazione del sangue nel 1875”. Pertanto non stupisce questa abilità di Sherlock Holmes ad analizzare le macchie sul cappotto di un pittore e sul velo di Spartaco, una falsa reliquia antiquaria di origine italiana. E nello stesso racconto, al termine, una frase ad effetto dei due autori americani è molto efficace:

«Un giorno, Watson i test chimici saranno capaci di indicarci non solo

la presenza del sangue o il tipo di sangue stesso ma anche l’identità

dell’individuo da cui proviene. Forse nelle cellule ci sono composti

chimici così unici e particolari per ognuno che nemmeno due persone

risulterebbero uguali. Dopotutto, le nostre differenze nell’aspetto per-

ché non dovrebbero avere corrispettivi cellulari?»

Sir Arthur Conan Doyle

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CHIMICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015

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qualche ricerca in merito. Contiene una sostanza volatile.»

Il creatore del nostro personaggio, Conan Doyle era un medico ed è probabile che la sua preparazione dell’epo-ca integrasse conoscenze che oggi farebbero bella figura nel bagaglio culturale di uno scienziato biomolecolare. Da quel punto in poi sfortunatamente, con il successo stesso di ogni singola disciplina nel Novecento, tali campi sono diventati così vasti che la naturale conseguenza non pote-va che essere la parcellizzazione dei saperi di oggi. Sco-prire invece in questo, piccolo ma grande, personaggio come Sherlock Holmes in occasione di questa traduzione, un’immunità a tale “specializzazione” ed una completezza dei suoi saperi è stato particolarmente piacevole. Non solo mi ha fatto rivalutare la grandezza del personaggio ma an-che alcune sue citazioni magari apprezzate negli anni del-le prime letture giovanili e poi dimenticate, che hanno ac-quisito nuovo spessore alla luce di tali approfondimenti. E’ proprio il caso della citazione che apre il libro “You see, but you do not observe. The distinction is clear.” dal fa-moso racconto Uno scandalo in Boemia di Conan Doyle.

RINGRAZIAMENTI

Sono particolarmente grato ai prof. Waddell e Rybolt per la loro simpatia nell’apprendere della traduzione in lingua italiana dei loro quindici racconti. Inoltre ringrazio il Dr. Norbert J. Pienta attuale Editor del Journal of Chemical Edu-cation e il Dr. Jon Holmes, Division of Chemical Education of the American Chemical Society.

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acetico del 1845 inauguravano la chimica organica odierna, ma è proprio alla fine dell’ottocento con la sintesi dell’acido acetil salicilico da parte della Bayer, che tali studi sono stati coronati dal successo di un farmaco presente ancora oggi nel nostro bagaglio terapeutico.

L’acido meconico che all’inizio di uno dei racconti viene individuato da Holmes nelle urine di una contessa, fu isolato all’inizio del 1800 nel papavero da oppio, dal quale deriva il nome inglese poppy acid. Nella sua struttura sono presenti un gruppo OH ed un gruppo –COOH che permettono la com-plessazione con un atomo di ferro proveniente dal cloruro ferrico, per la formazione di una sostanza colorata. Un’altra sostanza colorata si ottiene però anche con l’acido salicilico. La differenza fra il colore rosso brillante del composto otte-nuto con l’acido meconico e quello violetto ottenuto dalla stessa reazione con l’acido salicilico è dovuta ai dettagli del resto della struttura. Le differenze di colore rendono sicuro Holmes circa l’uso dell’oppio da parte della contessa e del conseguente bisogno di soldi da parte di suo marito, nono-stante i dubbi di Watson:

«Ma Holmes, i salicilati sono medicinali che stanno prendendo piede sia per il mal di testa che per altri dolori. Non può essere che la contessa si curi con una di queste innocenti sostanze?»«Ben detto! Watson,» egli replicò. «Comunque,» aggiunse Holmes mantenendo le due provette davanti al mio viso, «il colore rosso brillante dato nel test dall’acido meconico e quello violetto dovuto all’acido salicilico si distinguono molto facilmente. Inoltre sappiamo che la contessa non ha malattie particolari che possano interferire con le nostre deduzioni. No Watson, il test del cloruro ferrico è affidabile per determinare l’uso dell’oppio.»

Diverse sono le occasioni in cui si citano prodotti dalle piante come il caso della Saponaria officinalis, le cui radici contengono grandi quantità di saponine. Gli usi antichi di questa pianta si riducono all’utilizzo per vie esterne come detergente ma i suoi componenti hanno anche varie attività terapeutiche e svariate tossicità se usati per vie interne. Nel racconto uno dei personaggi è un professore universitario che sta studiando la struttura di un chetone naturale di interesse farmaceutico da questa specifica pianta. In un altro si parla dell’acido benzoico e di alcuni suoi derivati come compo-nenti utili per la verniciatura del violino di Holmes. Questi composti sono contenuti in una resina che veniva usata a tale scopo chiamata “sangue di drago” ottenuta da diverse specie di piante subtropicali tra cui alcune Agavi (Dracaena draco) ed usata per la verniciatura e rifinitura dei violini all’epoca in cui sono ambientati i racconti. Lo stesso Holmes racconta come è riuscito con le sue conoscenze a debellare un’infesta-zione da acari in casa:

«Ah, sì Watson quei rametti quando sono riscaldati producono un forte odore, è vero. Come lei sa il nostro appartamento è infestato da acari. Mentre io potrei essere d’accordo nel condividere il mio appartamento con questi animaletti, la signora Hudson è disperata. […] La pianta si chiama Thymus vulgaris ed ho svolto

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N. 8 - GIUGNO 2015

Le ricerche e gli articoli scientifici sono sottoposti prima della pubblicazione alle procedure di peer review adottate dalla rivista, che prevedono il giudizio in forma anonima di almeno due “blind referees”.

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e la capacità complessiva di comunicazione al pubblico dei temi trattati.

Gli interessati possono presentare le proprie opere a con-corso entro il 2 agosto 2015. Nel caso di opere scritte da più autori la presentazione da parte di uno degli autori è suffi-ciente ad ammettere l’opera al Premio. Per le opere collettive la presentazione può essere effettuata dal curatore o da uno dei curatori. Anche gli editori possono presentare le opere dei propri autori.

Verranno assegnati 9 pre-mi così distribuiti:- nella Sezione Libri:• Un premio al 1° classifica-to in assoluto;• Un premio al miglior li-bro in ciascuna delle 5 aree scientifiche previste;• Un premio al 1° classifica-to in assoluto tra gli autori under 35 anni di età.- nella Sezione Articoli:• Un premio al 1° classifica-to in assoluto;• Un premio al 1° classifica-to in assoluto tra gli autori under 35 anni di età.

La premiazione si svol-gerà a Roma giovedì 17 dicembre 2015 nell’Aula Convegni del CNR.

Il Comitato Scientifico e la Giuria del Premio sono costi-tuiti da esponenti del mondo accademico, della ricerca, del-la cultura, del giornalismo e della comunicazione, chiamati dall’Associazione Italiana del Libro ad esprimere, a titolo gratuito, il loro giudizio sulle opere presentate, in armonia con le finalità del Premio.

Informazioni: [email protected]

L’Associazione Italiana del Libro, con il pa-trocinio del CNR e dell’AIRI-Associazione Italiana per la Ricerca Industriale, bandisce l’edizione 2015 del Premio Nazionale di Di-vulgazione Scientifica (III edizione)

Presidente del Comitato Scientifico: Umberto Guidoni.Media partner: Almanacco della Scienza e CNR Web Tv.Le finalità del Premio:

• affermare la centralità della ricerca e dell’informazione scientifica per il progresso della società,• valorizzare il capitale di conoscenze scientifiche che l’Italia possiede,• dare visibilità al talento di docenti, scienziati, ricer-catori e professionisti della comunicazione e dell’in-formazione nel campo del-la divulgazione scientifica,• ampliare il dialogo del mondo della ricerca e dell’Università con la so-cietà, contribuendo a creare una cultura diffusa dell’in-novazione e del sapere,• favorire nei giovani l’in-teresse per la cultura scien-tifica.

Possono partecipare al Premio ricercatori, docenti, giornalisti e autori italiani con libri e articoli di divulgazione scientifica pubblicati nel 2014 o nel 2015.

La partecipazione è gratuita.Verranno premiati gli autori di libri a articoli che si sono

meglio contraddistinti per il carattere innovativo degli argo-menti affrontati, l’efficacia e la chiarezza dell’esposizione

COMUNICAZIONE | SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015

L’edizione 2015 del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica

dell’Associazione Italiana del Libro

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SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015 | SCIENZE CHIMICHE E FARMACEUTICHE

Un approccio di disinfezione aspecifico che mima il sistema immunitario dei vertebrati SERGIO FERRODipartimento di Scienze Chimiche e Farmaceutiche, Università degli Studi di Ferrara

Al fine di sopravvivere in ambienti ostili, molti microor-ganismi sono in grado di aderire alle superfici, aggregandosi all’interno di una matrice polimerica idrata da loro stessi pro-dotta; è prassi riferirsi a tali comunità sessili con il termine di biofilm. I biofilm costituiscono un ambiente protetto per la crescita dei microorganismi, e la loro organizzazione e co-stituzione è tuttora argomento di ricerca. Dal momento che essi mostrano una resistenza intrinseca agli agenti antimicro-bici (o biocidi), essi sono alla base di molte infezioni batte-riche persistenti e croniche. La resistenza del biofilm agli agenti biocidi è in larga parte dovuta all’incapacità dell’a-gente biocida di penetrare l’intera estensione della matrice polimerica tridimensionale (Costerton J.W. e altri, 1999). Il problema può essere facilmente compreso considerando l’azione di una qualsiasi specie ossidante: in tali casi, infatti, l’agente antimicrobico viene disattivato ad opera degli strati più esterni del biofilm (in altre parole, la specie ossidante si consuma esercitando la propria attività nei confronti de-gli strati superficiali della matrice tridimensionale), e que-sta disattivazione è più rapida della velocità di diffusione dell’agente attraverso le porosità della matrice. Nel novero di tali ossidanti reattivi è possibile includere praticamente tutti gli agenti disinfettanti che vengono solitamente aggiun-

Il sistema di difesa del nostro organismo si basa sostan-zialmente sull’attività dei leucociti (neutrofili, macrofagi): le cellule estranee vengono dapprima fagocitate e poi di-strutte grazie all’azione dell’acido ipocloroso (HOCl), un agente biocida prodotto da un enzima, la mieloperossidasi (MPO), a partire da perossido d’idrogeno e ioni cloruro, du-rante la cosiddetta esplosione ossidativa (respiratory burst). Il ricorso a tecnologie elettrochimiche avanzate consente di mimare la natura, portando alla sintesi dell’acido ipocloro-so, un principio attivo non tossico, non corrosivo e non pe-ricoloso, che può essere utilizzato in numerose applicazioni: dalla disinfezione dell’acqua potabile, all’eliminazione dei microorganismi presenti nelle reti idriche, alla disinfezione di superfici ed ambienti (quest’ultima applicazione richiede la dispersione del principio attivo mediante nebulizzazione). Il presente contributo esamina le peculiarità del processo di disinfezione, ponendo l’accento sull’azione ossidante dell’a-cido ipocloroso nei confronti dei diversi substrati e fornendo altresì indicazioni sulle modalità più idonee per la sintesi del biocida. Tra le varie applicazioni possibili, la protezione del-la produzione ortofrutticola (con trattamenti pre- e post-rac-colta) e la zootecnia costituiscono settori nei quali l’utilizzo di tecnologie sostenibili è quanto mai desiderabile.

I microorganismi (dai termini greci mikros, “picco-lo”, e organismós, “organismo”) sono organismi viventi microscopici, a cellula singola o multicel-lulari. L’esistenza dei microorganismi è stata ipo-tizzata molti secoli prima della loro effettiva sco-

perta. Si hanno indicazioni che fanno risalire tali ipotesi ad-dirittura al VI secolo avanti Cristo (Mahavira: 599 AC – 527 AC), ma è stato solo nel 1674, grazie al naturalista olandese Anthony Philips Van Leeuwenhoek che si è avuto modo di osservare forme di vita microbiologiche fino a quel momento mai viste. Van Leeuwenhoek, inventore del primo prototipo di microscopio, riuscì infatti ad osservare i microbi, ovvero ciò che lui originariamente chiamò animalcules.

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SCIENZE CHIMICHE E FARMACEUTICHE | SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015

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biofilm: infatti, grazie al suo elevato potere ossidante, è in grado di interagire con i diversi componenti della matrice polimerica. Sfortunatamente, il potere ossidante può eser-citarsi anche contro i materiali che costituiscono l’impianto idrico (tubi, valvole, serbatoi, caldaie) determinando così problemi di corrosione indesiderati. Inoltre, poiché la sintesi dell’agente disinfettante viene effettuata miscelando idonei prodotti chimici (generalmente si tratta di clorito di sodio ed acido cloridrico, oppure sodio bisolfato), il prodotto di rea-zione risulta inevitabilmente “contaminato” dai materiali di partenza (ed i cloriti, benché ancora non normati, non sono desiderati nell’acqua potabile).

Un approccio di disinfezione relativamente nuovo è rap-presentato dalle cosiddette soluzioni elettrochimicamente at-tivate (SEA): l’elettrolisi di soluzioni saline diluite conduce alla sintesi di ossidanti (clorurati o meno) che, per la loro elevata reattività / scarsa stabilità, presentano azione steriliz-zante inusuale su cui è possibile contare in una notevole va-rietà di situazioni (Thorn R.M.S. e altri, 2012). Grazie all’as-senza di residui e dell’impossibilità nell’indurre resistenza o fenomeni di assuefazione, queste soluzioni (note anche con il nome “acqua elettrolizzata”) hanno recentemente trovato applicazione nella sanificazione negli ospedali, in zootecnia e nella decontaminazione di effluenti acquosi. Come breve-mente discusso nella recente rassegna di Thorn e collabo-ratori (Thorn R.M.S. e altri, 2012), le soluzioni elettrochi-micamente attivate possono essere ottenute con approcci differenti. Le ricerche sono iniziate in Russia nei primi anni ‘70, grazie ai lavori dell’accademico Vitold Bakhir (Bakhir V.M., 1985; Prilutsky V.I. e Bakhir V.M., 1997) che ha ide-ato un modulo elettrochimico a flusso, basato su elettrodi concentrici separati da una membrana in materiale ceramico (Bakhir V.M. e altri, 1995). La presenza di un separatore tra i compartimenti elettrodici è necessaria quando si vogliono produrre un anolita (soluzione ossidante, generalmente aci-da) ed un catolita (soluzione riducente, alcalina). Inoltre, un anolita neutro può essere prodotto regolando opportunamen-te la miscelazione idraulica dei due liquidi citati. In presenza di cloruri, all’anodo del reattore elettrochimico vengono sin-tetizzati ossigeno (O2) e cloro (Cl2), entrambi in forma gas-sosa. Una volta formatisi, i due gas seguono strade differenti: mentre l’ossigeno si allontana dall’ambiente di reazione, il cloro è in grado di sciogliersi in acqua, producendo così una soluzione di cloro libero (o attivo).

Il pH della soluzione determina quali forme del cloro sa-ranno presenti (acido ipocloroso, HOCl, anione ipoclorito, ClO-, o addirittura cloro gassoso disciolto, Cl2), e rappre-senta il fattore chiave per spiegare l’efficacia battericida dell’anolita (Len S.V. e altri, 2000; Abadias M. e altri, 2008; Xiong K. e altri, 2010). L’acido ipocloroso è caratterizzato da un’attività citotossica particolarmente elevata (Hampton M.B. e altri, 1998; Klebanoff S.J., 1999; Winterbourn C.C., 2002) ed in effetti è anche l’agente sintetizzato dai neutrofili (la tipologia più abbondante di globuli bianchi presente nei mammiferi; essi formano una parte essenziale del sistema immunitario dei vertebrati) per uccidere batteri ed altri agen-

ti all’acqua per combattere i patogeni; a titolo di esempio, si possono nominare il biossido di cloro, l’ipoclorito di sodio, l’ozono, il perossido di idrogeno, le cloro-ammine. In alcuni casi, l’impossibilità di distruggere il biofilm è da ascriversi non solo alla sopra citata scarsa capacità di penetrazione, ma anche ad interazioni elettrostatiche sfavorevoli, che rendono l’avvicinamento e la successiva diffusione del reagente an-cora meno efficaci.

Per discutere dell’efficacia di un agente ossidante contro un biofilm, consideriamo la composizione media di una tale matrice polimerica. E’ innanzitutto opportuno sottolineare che non è né facile né rappresentativo fare riferimento a bio-film specifici: esse, infatti, sono matrici largamente mutevoli, la cui composizione dipende non solo dal tipo di microorga-nismi, ma anche dalle “condizioni ambientali” in cui un dato microrganismo cresce. Come discusso da Sutherland (Su-therland I.W., 2001), il biofilm è composto principalmente da acqua (la percentuale in termini ponderali può arrivare al 97%), mentre la frazione rimanente comprende cellule mi-crobiche (2-5%), polisaccaridi (1-2%), proteine ed acidi nu-cleici derivanti da cellule lisate (<1-2%). Per distruggere un biofilm è necessario demolirne la struttura tridimensionale, e tale risultato può essere ovviamente ottenuto eliminando al-cuni o tutti i componenti costitutivi. Maggiore è il numero di specie chimiche su cui un dato agente biocida risulta effica-ce, maggiore è la probabilità di eliminare la comunità sessile.

La maggior parte degli agenti ossidanti precedentemente citati è solo teoricamente in grado di garantire il risultato de-siderato. Come anticipato, alcune specie chimiche vengono respinte a causa di interazioni elettrostatiche repulsive. E’ questo il caso di agenti che presentano una carica negativa, come l’anione ipoclorito. Dal momento che pure la mem-brana cellulare è caratterizzata da una carica netta negativa, dovuta alla presenza dei cosiddetti gruppi ionogenici, che risultano dissociati ai valori di pH e di forza ionica delle ti-piche condizioni fisiologiche (Sherbet G.V. e altri, 1972), un agente ossidante carico negativamente è semplicemente non in grado di entrare in contatto con il suo bersaglio.

Altri agenti ossidanti possono non essere dotati di carica elettrica (nelle condizioni normalmente considerate, cioè a pH prossimi alla neutralità), ma la loro efficacia può rimane-re ancora scarsa a causa di una lenta reattività. E’ questo il caso del perossido d’idrogeno e delle cloro-ammine. Facen-do esplicito riferimento al trattamento di acque destinate al consumo umano, un ulteriore aspetto importante è legato al fatto che l’agente biocida deve garantire un’attività residua, il che significa che deve essere non solo efficace ma anche relativamente stabile e persistente nel tempo. Quest’ultima richiesta ridimensiona ulteriormente l’elenco degli agenti ossidanti idonei, depennando l’ozono ed il possibile ricorso alle radiazioni UV.

Sulla base delle considerazioni di cui sopra, è possibile intuire le ragioni per cui la maggior parte dei trattamenti di disinfezione dell’acqua potabile si è spostata verso l’utilizzo del biossido di cloro. Tale specie chimica mostra una no-tevole efficacia contro vari microrganismi, nonché contro il

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SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015 | SCIENZE CHIMICHE E FARMACEUTICHE

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2006). Tale miglioria costruttiva consente non solo di ridurre la salinità della salamoia diluita (con vantaggi in termini di stabilità dell’anolita e minimizzazione della concentrazione dei prodotti chimici non attivi), ma anche di ridurre il riscal-damento dovuto alla caduta ohmica, cioè alla dissipazione di energia causata dalla presenza di mezzi con resistenza elettri-ca non trascurabile. In generale, il calore è deleterio tanto da un punto di vista chimico, quanto relativamente alla stabilità degli elettrodi e della membrana.

Tornando all’efficacia delle soluzioni elettrochimicamen-te attivate (che può ora essere più esplicitamente attribuita all’efficacia dell’acido ipocloroso), la già citata rassegna di Thorn e collaboratori (Thorn R.M.S. e altri, 2012) ripor-ta evidenze di efficacia contro un impressionante elenco di agenti patogeni. In termini generali, si può dunque affermare che l’acido ipocloroso è un agente biocida aspecifico, po-tenzialmente in grado di reagire con qualsivoglia substrato organico.

Con riferimento ai componenti costitutivi del biofilm, le proteine sono substrati abbastanza facilmente ossidabili (tan-to i gruppi funzionali ammino, -NH2, e tiolo, -SH, quanto i legami peptidici, -C(=O)-NH-, sono particolarmente sensi-bili all’ossidazione); anche gli acidi nucleici provenienti da cellule lisate (cioè DNA ed RNA) presentano analoghi siti ossidabili. Tra i costituenti del biofilm, quello che potrebbe sembrare meno incline all’ossidazione è indubbiamente rap-presentato dalla famiglia dei polisaccaridi; tuttavia, la lette-ratura scientifica riporta evidenze sperimentali a supporto del fatto che il cloro attivo (sotto forma di acido ipocloroso) è in grado di condurre ad una mineralizzazione completa delle molecole zuccherine (vale a dire, esse vengono convertite in anidride carbonica ed acqua). Per contro, l’ipoclorito di so-dio consente soltanto di addivenire ad una conversione (os-sidazione parziale) dei substrati iniziali (Bonfatti F. e altri, 2000).

In sintesi, la reattività dell’acido ipocloroso rappresenta il principio di base di un moderno approccio di disinfezione, che altro non è che un modo per imitare la natura. Dato che il sistema immunitario dei vertebrati si è sviluppato attra-verso migliaia di anni, si può ritenere che tale agente attivo, insieme ad altre specie complesse, sia stato accuratamente selezionato per la lotta contro gli agenti patogeni. Si hanno prove che HOCl agisce anche come una molecola di segnala-zione, attivando le difese endogene delle piante (Zarattini M. e altri, 2015), ed è altresì plausibile che esistano somiglianze con il perossido d’idrogeno (che, tra l’altro, è isoelettronico a HOCl), per il quale è stato dimostrato un ruolo di segnala-zione singolare nei confronti dei leucociti attivati a seguito di

ti patogeni. Sfortunatamente, a differenza delle altre forme del cosiddetto cloro attivo (ovvero, l’ipoclorito ed il cloro gassoso), la molecola HOCl è piuttosto instabile, e non può essere conservata per lunghi periodi ed utilizzata al bisogno. Per produrlo, è possibile ricorrere a tre diverse modalità di sintesi (Wang L. e altri, 2007): l’idrolisi del cloro gassoso, l’elettrolisi di soluzioni contenenti cloruri, e l’acidificazio-ne di soluzioni di ipoclorito. Il primo ed il terzo dei metodi citati presentano inconvenienti e pericoli, principalmente connessi con l’uso o l’eventuale rilascio di cloro gassoso. Di conseguenza, il percorso sintetico più semplice e sicuro è rappresentato dalla via elettrochimica, tramite l’elettrolisi di soluzioni diluite di acqua e sale (salamoie).

Un’analisi critica dei sistemi disponibili sul mercato mo-stra che soltanto un numero limitato di apparecchiature con-sente la sintesi di una soluzione biocida in condizioni ben controllate e riproducibili, e la disponibilità di dispositivi utili risulta ulteriormente ridotta quando si introduce il vin-colo della sintesi di un prodotto avente un pH prossimo alla neutralità. Quest’ultimo requisito è importante non solo per le ragioni sopra evidenziate (Len S.V. e altri, 2000; Abadias M. e altri, 2008; Xiong K. e altri, 2010), ma anche perché un pH neutro è garanzia di maggiore sicurezza tanto per l’u-tente quanto per le applicazioni a cui il prodotto è destinato (ad esempio, attraverso una minimizzazione dei problemi di corrosione).

Per soddisfare tali requisiti, una società italiana (Ecas s.r.l.) ha recentemente brevettato una tecnologia che si basa su un reattore a quattro camere (Bohnstedt R. e altri, 2009), come schematicamente riportato in Figura 1. Esaminando la domanda di brevetto, si comprende che la soluzione in in-gresso (avente in genere portate comprese tra 40 e 160L/h, a seconda delle dimensioni del reattore elettrochimico) viene inizialmente ripartita tra due compartimenti catodici, ed è quindi sottoposta ad un solo trattamento catodico. Successi-vamente, la soluzione viene fatta passare attraverso due trat-tamenti anodici in serie, che portano alla sintesi del prodotto con le caratteristiche desiderate. Un elemento importante della tecnologia è rappresentato dall’attenzione che è stata dedicata alla scelta dei materiali elettrodici: infatti, alla luce del D.M. 174/2004, taluni materiali non possono essere uti-lizzati nel trattamento di acque destinate al consumo umano.

Con una successiva domanda di brevetto (Quadrelli S. e Ferro S., 2010), la tecnologia è stata ulteriormente miglio-rata, mutuando i principi dello zero-gap (vale a dire, siste-mando gli elettrodi a diretto contatto con la membrana di separazione) dalle tecnologie industriali delle celle a com-bustibile e del cloro-soda (vedasi ad esempio Lee J.S. e altri,

Figura 1.Rappresentazione schematica del reattore elettrochimico con quattro camere (Bohnstedt R. e altri, 2009).

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una ferita (Niethammer P. e altri, 2009).Grazie all’efficienza del processo di elettrosintesi, alla

mancanza di tossicità e bioaccumulo, le soluzioni elettrochi-micamente attivate rappresentano una valida ed ecologica al-ternativa a molti dei prodotti chimici generalmente utilizzati nella disinfezione (per le acque, gli ambienti e le superfici). E’ altresì ormai comprovata la loro utilità anche in agricoltu-ra: in tale ambito, l’uso delle soluzioni elettrochimicamente attivate consente di ridurre il ricorso ai pesticidi, portando a miglioramenti qualitativi significativi e ad una parallela di-minuzione dell’impatto ambientale. Analoghe evidenze sono state infine ottenute in zootecnia, dove l’uso di SEA consen-te non solo di migliorare la salubrità degli ambienti (alleva-menti), con riduzione nell’uso di farmaci (es. antibiotici), ma anche di ridurre in maniera significativa il tasso di mortalità, accrescendo la resa di conversione del cibo fornito agli ani-mali (ciò è primariamente ascrivibile alle migliori condizioni igieniche, che comportano minori problemi di dissenteria e stress, con ovvie ripercussioni sull’aumento in peso dell’a-nimale).

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Antidepressivi in gravidanza e rischio di malformazioni: quali evidenze dalla ricerca clinica? CESARIO BELLANTUONOSpecialista in psichiatria e psicofarmacologia clinica

sivi (depressione maggiore ricorrente) e ansiosi (disturbo da panico, disturbo ossessivo-compulsivo, ansia generalizzata), (Bellantuono, 2013). Questi dati epidemiologici spiegano perché nell’ultimo decennio si sia sviluppato un crescente interesse da parte della comunità scientifica internazionale nel campo della “psichiatria e psicofarmacoterapia perina-tale ” (Freeman 2014).

Ricerche di drug-utilization condotte prevalentemente in Europa (Paesi Scandinavi e Inghilterra) e Nord America (USA e Canada) documentano che circa il 10% delle don-ne assume AD, in particolare SSRI, al momento del con-cepimento. E’ stata anche riportata una spiccata tendenza all’interruzione della terapia nel primo trimestre (50-75% dei casi), nonostante sia noto che l’interruzione o anche la semplice riduzione della terapia antidepressiva comportino un rischio di riacutizzazione del disturbo affettivo nei primi tre mesi di gestazione (Cohen et al 2006; Jimenez-Solem et al., 2013). Questa strategia, che avrebbe lo scopo di evitare un’esposizione fetale a farmaci ritenuti a rischio, sottovaluta, invece, i rischi che i disturbi affettivi non trattati o trattati inadeguatamente, possono comportare per la madre, lo svi-luppo del feto, il neonato e il decorso stesso della gestazione. Una donna affetta da disturbi ansiosi e/o depressivi in corso di gravidanza può, infatti, non aderire correttamente ai con-trolli medici previsti in questo periodo, alimentarsi in modo inadeguato, non riposare adeguatamente, fare uso di alcolici, sigarette, talora sostanze di abuso e nei casi più gravi (es. depressione con sintomi psicotici) manifestare idee o com-portamenti autolesivi (rischio di suicidio).

Una condizione di grave ansia e depressione, inoltre, po-trebbe determinare una serie di complicanze gestazionali (aborto spontaneo, parto pretermine, distacco della placen-ta, emorragie intrauterine, ecc.), oltre che neonatali (basso peso alla nascita, alterazioni dell’indice di Apgar, disturbi respiratori, elevati livelli di cortisolemia, ecc.) (Tabella 1). (Grigoriadis et al., 2013a).

Ricerche sui rischi di disturbi ansiosi e/o depressivi non

I disturbi depressivi e ansiosi interessano il 10% -15% delle donne in gravidanza. Gli SSRI rappresentano oggi gli antidepressivi più prescritti nelle donne che presentano gra-vi disturbi depressivi e/o ansiosi nel corso della gestazione. Studi recenti e meta-analisi hanno documentato che questi farmaci, quando impiegati nel primo trimestre di gravidan-za, presentano un rischio di indurre malformazioni maggiori sostanzialmente sovrapponibile al rischio dei neonati non esposti a tali antidepressivi. Sebbene in alcune ricerche sia stato riportato un rischio relativo di malformazioni cardiache lievemente superiore a quello di neonati non esposti a SSRI, il rischio assoluto di tali malformazioni risulta comunque basso (meno del 2%). Nella prescrizione degli antidepressivi lo specialista deve valutare attentamente i rischi potenziali del trattamento farmacologico e i rischi altrettanto importanti di un disturbo affettivo non trattato o trattato in modo inade-guato.

Una serie di studi epidemiologici condotti in diversi Paesi indica una prevalenza dei disturbi depressivi e d’ansia che interessa dal 10% al 15% delle donne in gravidan-za; l’esordio della sintomatologia ansiosa

e/o depressiva, spesso coesistente, è più frequente nei primi 2-3 mesi di gestazione. Questi dati sono stati confermati di recente in una ricerca condotta in quattro città italiane (Bari, Ancona, Verona e Udine) su 1600 donne al terzo mese di gestazione. In particolare, la suddetta ricerca ha evidenziato che circa il 12% delle donne intervistate era affetta da distur-bi depressivi e ansiosi di notevole rilevanza clinica (Bale-strieri et al. 2013)

Gli SSRI (Selective Serotonine Reuptake Inhibitors), che agiscono aumentando la disponibilità della serotonina a li-vello del sistema nervoso centrale, favorendo la “neuroge-nesi” (cioè la rigenerazione neuronale), rappresentano oggi la classe di antidepressivi (AD) più utilizzata, anche in gra-vidanza e puerperio, nella terapia dei gravi disturbi depres-

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bassa (1%-3%) (Galbally et al. 2014).Questo dato è indicativo del fatto che le malformazioni

maggiori possono essere causate non solo da farmaci a ri-schio assunti nei primi tre mesi ma anche da altri fattori, spesso tra loro concomitanti. Si ritiene, infatti, che nel 60% circa dei casi l’origine di una malformazione sia sconosciuta, nel 25%-30% sia d’origine genetica (anomalie cromosomi-che, ecc.), nel 2%-10% indotta da infezioni virali. Un effetto tossico per lo sviluppo dell’embrione è stato dimostrato per l’alcool e per alcuni farmaci come carbamazepina, deriva-ti cumarinici, fenobarbitale, fenitoina, retinoidi (precursori della Vitamina A), sodio valproato, citostatici e sostanze d’a-buso come la cocaina; anche le radiazioni ionizzanti (radio-terapia) sono considerate embriotossiche.

Anche il fumo di sigaretta, spesso erroneamente utilizzato in gravidanza per alleviare gli stati d’ansia e di tensione, è considerato un accertato fattore di rischio per un fisiologico sviluppo del feto; neonati di madri “fumatrici” spesso pre-sentano un basso peso alla nascita, alterazioni dell’indice di Apgar e disturbi respiratori.

I dati più affidabili sui rischi di malformazioni conseguenti a specifici trattamenti farmacologici sono, attualmente, quel-li che derivano da studi longitudinali prospettici e caso-con-trollo, ma anche da revisioni sistematiche della letteratura e da studi metanalitici.

Per quanto riguarda in maniera specifica l’esposizione neonatale a SSRI nei primi tre mesi, il rischio di provoca-re una malformazione congenita nelle gravide esposte a tali farmaci è risultato nella maggior parte degli studi nell’am-bito del rischio (2% - 4%) di una donna gravida non espo-sta. Tuttavia, in alcuni studi è stato riportato nelle pazienti trattate con SSRI un rischio relativo (RR) di malformazioni cardiache lievemente superiore a quello di gravide non espo-ste; secondo questi studi il rischio assoluto (RA) di indurre una malformazione cardiaca interesserebbe circa 1.5% dei neonati esposti in utero. Alcuni esempi possono essere utili per valutare il peso e la rilevanza clinico-epidemiologica dei dati oggi disponibili sul rischio di malformazioni in neonati esposti ad SSRI.

In una ricerca pubblicata sul New England Journal of Me-dicine è stato riportato che l’esposizione alla sertralina (far-

trattati indicano inoltre che i nati da madri depresse e/o an-siose durante la gravidanza hanno una maggiore probabilità di sviluppare nell’adolescenza disturbi dell’umore e d’ansia (Davalos et al. 2012 ).

Le informazioni acquisite sui rischi del non trattamento di una grave condizione psicopatologica devono far riflettere sull’opportunità di riconoscere e trattare questi disturbi con tempestività e strategie terapeutiche adeguate che prevedano, nei casi più gravi, anche un trattamento psicofarmacologi-co. Uno stato depressivo, anche se di modica gravità, non trattato in gravidanza, rappresenta un accertato fattore di ri-schio per l’insorgenza di una depressione postpartum; circa il 40% di queste depressioni sono, di fatto, state precedute da sintomi o stati depressivi durante la gravidanza (depressioni antepartum) (Galbally et al. 2014)

Quali sono le evidenze scientifiche che la ricerca ha ac-quisito sulla sicurezza degli AD in gravidanza, in particolare nelle donne che li assumono nei primi tre mesi?

Oggi sappiamo che i danni strutturali provocati durante l’organogenesi (teratogenesi strutturale) dall’assunzione, durante il primo trimestre di gravidanza, di un farmaco po-tenzialmente tossico per lo sviluppo del feto sono rappresen-tati prevalentemente dalle “malformazioni congenite mag-giori”. Quelle maggiormente riportate in seguito ad esposi-zione a farmaci (inclusi alcuni psicofarmaci) riguardano il cuore, il sistema nervoso centrale, l’apparato scheletrico, le labbra e il palato. Bisogna, tuttavia, ricordare a questo propo-sito che il rischio di una malformazione congenita è presente anche nelle donne gravide in buona salute, che aderiscono correttamente alle indicazioni del loro ginecologo e che non sono state esposte a farmaci, sostanze, alimenti o inquinanti ambientali considerati nocivi per lo sviluppo del feto.

La prevalenza delle malformazioni congenite maggiori nella popolazione generale non è un dato facilmente quan-tificabile poiché può variare secondo la metodologia di rac-colta dati, i paesi dove sono state condotte le indagini e gli anni in cui è avvenuta la raccolta delle informazioni Secon-do stime provenienti da studi effettuati a livello europeo e nordamericano la prevalenza delle malformazioni nella po-polazione generale varia tra il 2% ed il 4%, sebbene in alcune casistiche sia risultata più elevata (6%-8%) ed in altre più

Tabella 1. Rischi associati a depressione materna non trattata in gravidanza.

Rischi per la madre e la gestazione

Suicidio materno o altri comportamenti autolesiviAlimentazione inadeguata, uso di alcolici, sostanze di abuso, altri farmaci, fumoNon aderenza ai programmi di controllo in gravidanzaEmorragie intrauterineDistacco della placentaParto prematuroAborto spontaneo

Rischi per il neonato

Basso peso alla nascitaBasso punteggio di ApgarElevati livelli di cortisolemiaMaggior probabilità di ammissione di neonati in unità di terapia intensiva

Rischi per la diade madre-bambino

Mantenimento del quadro depressivo materno, con carenza qualitativa e quantitativa nelle cure e compromissione del processo di attaccamento madre- bambinoDepressione postpartumRitardo nella crescita neonatale e nel processo di sviluppo neuromotorioIncremento del rischio di anomalie comportamentali e/o di definiti disturbi psichiciInfanticidioPossibili disturbi comportamentali e/o psichici nell’adolescenza

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maco appartenente alla classe degli SSRI) nel primo trime-stre di gravidanza presentava un RR di indurre atresia anale circa 4 volte maggiore rispetto all’incidenza della stessa mal-formazione nelle donne esposte ad altri AD.

Tenendo conto che nella popolazione generale l’atresia anale è una malformazione congenita molto rara, poiché col-pisce cinque neonati su 10.000 (0,06%), il RA di tale malfor-mazione in un neonato esposto a questo AD sarebbe 0,2%, (Luik et al. nel 2007).

Un’altra ricerca pubblicata sul British Medical Journal (Petersen et al. 2009) ha riportato un RR di anomalia del setto cardiaco in neonati esposti a SSRI (come classe) qua-si doppio (RR=1,9) rispetto ai non esposti. In questo caso, poiché nella popolazione generale questa anomalia cardiaca colpisce circa lo 0,5% dei neonati, il RA sarebbe dell’1%.

Una recente meta-analisi, eseguita su 12 studi clinici, non ha evidenziato un significativo aumento del RR di malforma-zioni in generale nei neonati esposti in utero ad SSRI. Nella stessa ricerca si evidenziava, tuttavia, un lieve incremento del RR solo per le malformazioni cardiache (RR 1,4); con-siderando che il tasso di malformazioni cardiache nei neona-ti non esposti è di 10/1000, il RA sarebbe di 13 neonati su 1000, (Grigoriadis et al. 2013b). Le indicazioni che proven-gono dalle recenti line-guida internazionali (ACOG 2008; SIGN 2012) e dalle revisioni della letteratura, tendono ad escludere per questa classe di AD un rischio di teratogenesi strutturale e suggeriscono pertanto la compatibilità di un trat-tamento con SSRI anche in corso di gravidanza, ovviamente nelle donne affette da gravi disturbi depressivi e/o ansiosi (Huybrechts et al. 2014; Ray & Stowe 2014).

In conclusione si può affermare, allo stato attuale delle co-noscenze scientifiche, che gli SSRI maggiormente prescritti (fluoxetina, sertralina, citalopram, sertralina, escitalopram) possono essere utilizzati da donne in gravidanza anche nel primo trimestre se la situazione psicopatologica lo richiede e se non esistono, ovviamente, alternative di provata efficacia terapeutica.

Al momento le informazioni cliniche sulla sicurezza degli SSRI in gravidanza non consentono di indicare all’interno della classe un farmaco più sicuro di altri; di conseguenza nella pratica clinica la scelta dell’AD dovrà essere presa va-lutando la condizione clinica della donna, la sua storia psi-chiatrica e la risposta a precedenti trattamenti. La terapia an-tidepressiva dovrebbe essere prescritta da specialisti esperti, impostando trattamenti personalizzati e condividendo sem-pre, attraverso una informazione corretta, la strategia tera-peutica proposta. E’ inoltre necessario fornire alla gestante informazioni scientifiche aggiornate sui rischi-benefici del trattamento farmacologico nelle diverse fasi della gravidanza e sui quelli, altrettanto importanti, che potrebbe comportare il non trattamento di una grave condizione psicopatologica (Bellantuono et al. 2014).

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Ethical Implications and Theories of Discount Rate in Climate Change Issues ANDREA CANDELADipartimento di Scienze Teoriche e Applicate, Università degli Studi dell’Insubria

ed the idea of ‘sustainable development’ in order to support a new global economic growth, and the Earth Summit, held in Rio de Janeiro (1992), responsible for approval of the Agen-da 21. They contributed to emergence of an international ‘green’ responsibility. However, considering the history of economics, we can notice that different issues of contempo-rary scientific debates, such as the limits of economic growth

(Meadows et al. 1972) and environmental impacts of cap-italism or uncontrolled industrialization, had already been examined by some economic theories over the second half of the 19th century. They were mainly discussed by so-called marginalist theorists (Karl Menger, William Stanley Jevons, Léon Walras) (Jevons 1865; Menger 1871; Walras 1874; Roncaglia 2003, 296–326 ).

Today several studies, which are often led on interdisci-plinary basis, focus on socio-economic consequences and ethical problems that could derive from different political strategies in order to deal with environmental problems and, more specifically, climate change. They also pay serious at-

The paper focuses the analysis on some ethical and so-cio-economic issues which have been involving climate change debates over the last years. Considering the fiasco of international negotiations and publication of the Intergov-ernmental Panel on Climate Change Fifth Assessment Re-port (IPCC 2013–2014), interesting suggestions might issue from bioeconomic interpretative models and contemporary studies on commons. On the basis of recent epistemolgical researches on the notion of ‘agnotology’, the study takes into account some points of discussions coming from Nicholas Stern and Elinor Ostrom’s works, and other scholars as well, in order to argue those critical po-sitions that emphasise the high costs of climate change mitigation.

INTRODUCTION

Environmental issues, caused by some impacts of human development, are among most relevant topics of public discus-

sions, both societal and ethical, since the early Seventies, when a new political awareness of environ-mental pollution led to coordinate the First World Confer-ence on the Environment (Stockholm, June 1972), and the United Nations Environment Programme (UNEP) was estab-lished. The latter was addressed to monitor environmental conditions of the Earth and to create an international public perception on environmental concerns (Kamieniecki 1993; Bevilacqua 2006, 150).

The United Nations Conference on the Human Environ-ment was followed by two important ‘landmarks’, at least: the Report of the Brundtland Commission (World Commis-sion on Environment and Development 1987), that suggest-

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nistic laws of combination, but rather as a living individual, a biologic and organic entity within a context, a part of his-torical, evolutionary and formative processes, with a highly unpredictable risk factor (Bates 1961; Ingold 1998).

Our considerations on some socio-economic and ethical issues involved in climate change debates can be based on these preliminary observations.

At present, the climate is undeniably going through a phase of important instability, though it is not possible to foresee its duration or evolution in the long term. It is difficult to extrapolate a consistent forecast from the calculations and estimates in our possession, in reference to a historical peri-od that is changing rapidly (Mann and Jones 2003). Predic-tions and possible future scenarios are prospected with the conviction of what is likely. Certainly, we shouldn’t ignore that climate sciences are a relatively young field of scientific investigation. However, the last IPCC report (Fifth Assess-ment Report, 2013–2014) confirms the previous hypothesis of the Fourth Assessment Report (AR4, 2007), and demon-strates more persuasion with regards to effective potential of anthropic impact: «This evidence for human influence has grown since AR4. It is extremely likely that human influence has been the dominant cause of the observed warming since the mid-20th century.» (IPCC 2013–2014, 15).

Nonetheless, as some studies have already explained (Proctor and Schiebinger 2008; Oreskes and Conway 2010; Candela 2010), it is certainly clear how, even after anthropo-genic global warming has been recognised, it is necessary to proceed within an area, confused and undefined, previously referred to as ‘techno-ignorance’, especially when we try to consider the process of all social and political negotiations, which could be undertaken in order to decrease greenhouse gas emissions. A threshold of uncertainty, due to a large number of natural, but also social and cultural variables, is always present, even though negotiators have increased their scientific awareness (Ostrom 1990). Different courses of social and political actions might be undertaken in a con-dition of partial ignorance, without a full knowledge of pos-sible consequences. So issues concerning the collection of socio-economic conducts, which should be addressed with regards to the climate change phenomenon, fall into the heu-ristic circle of politics and, surely, ethics. For instance: what are the possible effects of global economic and industrial development on the condition of the Earth system’s dynam-ic balance over time? What implications could there be for individual and collective ways of life?

Regardless of ethical parameters that support responses, a conflict of interest between different social actors could emerge, as it really happened. Indeed, the reduction of green-house gas emissions entails costs that may affect the wellbe-ing today, weighing – heavily, according to certain estimates – on the Gross Domestic Product of developed countries. The consistent uncertainties and wavering deliberations about the cost-benefit ratio resulting from the diminution of the concentration of greenhouse gases in the atmosphere (first of all CO2) are, no doubt, some of the reasons of the

tention to costs and uncertainties of mitigation policies (see, e.g., Broome 1992; Brekke and Johansson-Stenman 2008; Grasso 2010; Gardiner et al. 2010; Pellegrino 2012).

This paper will try to analyse some of these ethical and socio-economic implications. Indeed, considering the fiasco of international negotiations and recent publication of the Intergovernmental Panel on Climate Change Fifth Assess-ment Report (IPCC 2013–2014), some interesting sugges-tions may issue from bioeconomic interpretative models and contemporary studies on commons. They could be useful in order to review those critical positions that emphasise the high costs of mitigation. Leaving aside the European guide-lines of the 20–20–20 targets, a worldwide agreement is still lacking, indeed.

ETHICS, DISCOUNT RATES AND CLIMATE CHANGE

The increasing complexity of present global problems such as energy, biotechnology, nanotechnology, climate change, environmental pollution and so on, has sometimes provoked rather vast and heterogeneous discussions and analysis re-garding the recurrent and ever more frequent cases of so-called ‘techno-ignorance’: what science and technology do not and cannot know, about the effects of their own actions, past, present and future, due to the vast number of physical variables and cultural factors involved. The anthropic activ-ity, based on positive or negative feedback mechanisms, has become a preponderant and unpredictable agent of natural change. As complex problems grow, so do the blind spots and areas of ‘techno-ignorance’ (Gallino 2007, 8).

Robert N. Proctor has coined the neologism ‘agnotology’ to define the culturally induced ignorance or doubt (Proctor and Schiebinger 2008, 1–36). This new term can also be used to emphasise the spreading of a peculiar epistemological ‘sta-tus’ in contemporary sciences, where greater knowledge of complex systems leaves more uncertainty (Smithson 1985). Surely some uncertainties arising from ‘knowledge deficit’ can be reduced by an increase of scientific knowledge over time. But, we cannot ignore that this reduction is generally expensive, it takes long time, and it is never complete (Os-trom 1990; Ostrom et al. 1994).

In reference to predictive difficulties of contemporary scientific knowledge, which is symptomatic of some new global and societal situations, we can also recall the appeal-ing expression of ‘republic of choice’ by Lawrence Fried-man (Friedman 1990). The sudden socio-cultural change, triggered by the growing massification and complexity of technological systems, has brought on a wide variety of pub-lic and private choices with regard to contingent situations, which are no longer dependent on ‘chance’ or ‘necessity’ (Monod 1970), but on ‘limits’ and ‘possibilities’ (Ceru-ti 1994). The gradual diffusion of biological interpretative models in social and scientific analysis is, in fact, a direct consequence of the current complexity. We can say, quite simply, that the object of research is no longer treated as a collection of single elements which are subjected to mecha-

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regarding use and consumption of available resources. These actions are not geared exclusively toward personal gain/ad-vantage. In this perspective, the costs of mitigating climate change might eventually translate into some current depriva-tions (in terms of wellbeing) which, in accordance with lines of cooperation and reciprocity, present generations may be willing to accept and incorporate to their lifestyle.

For example, based on similar observations, the report written by Nicholas Stern in 2006 (Stern 2007) recognises the inadequacy of cost-benefit estimates that do not take ethical considerations into account. The conclusion of his analysis is that the advantages that may be obtained through the reduction of greenhouse gases could be widely superi-or to the costs of mitigation (Hepburn and Stern 2008). Al-though Stern’s work has provoked harsh criticism and strong reactions in the scientific community (see, e.g, Mendelsohn 2008; Weyant 2008), it has concretely demonstrated the pos-sibility of an ethical reflection about the existing relationship between expense and benefit with regards to the anthropic impact on the climate. Moreover, the Stern’s analysis, and other economic scenarios which are more ethical, reveal a skeptical attitude towards the preference that different clas-sical economic theories show for the present time and future depreciation (Fitoussi and Laurent 2008).

Most climate change scenarios, in the medium term, indi-cate that global economy will trace a growth trend at-large, particularly in reference to the economy of emerging nations (China, India, Brazil, South Africa). This makes it possible to assign an economic value to future assets (goods and ser-vices), that is inferior to its current equivalent. So, future generations will probably have more assets, on average, which will lose part of their value: diminishing marginal util-ity. As a consequence, the later an asset becomes available, the less it will be worth. The discount rate is used to estimate the speed with which the ‘preciousness’ of possessions de-creases in relation to the time interval. Nevertheless, as John Broome pointed out (1992, 27–130), according to the norma-tive ethics of prioritarianism, when the benefit – expressed as an increase in individual wellbeing in terms of costs and prof-its – is enjoyed by wealthy people, instead of poor people, it should have an inferior social value. Vice versa, if the same benefit were to cause an improvement in the quality of life of the most indigent individuals, its value should increase. At opposite extreme from utilitarianism, which assigns a fix value to every single asset, regardless of who receives it and of social class differences, prioritarianism proposes a distrib-utive theory of value, privileging those who are less well-off (priority) and applying lower discount rates to assets, in rela-tion to the passing of time. So the discount rate which can be applied to future resources may differ significantly between various communities or social actors.

In order to determine the devaluation percentages of ser-vices and material goods, it is possible to turn to further categories of ethical approach. The reductionist orientation of functionalist and actualistic ethics asserts, for instance, that the collection of conducts which determine our lifestyle

fiasco of the Kyoto Protocol. In addition, failure of the fol-lowing international negotiations emphasises inadequacy of intervention policies founded solely on the cost-benefit esti-mate over a short period of time. Such resolutions may turn out to be more detrimental than beneficial, especially in long term perspective, despite assumed immediate and short-term advantages. Furthermore, approving resolutions based on economic benefit and cost, thus favouring the existence of a proper market of greenhouse gas emission credits – already recognised by the Kyoto Protocol in the form of different negotiation mechanisms (Emission Trading, Clean Devel-opment Mechanism and Joint Implementation) – does not eradicate the problem of the so-called negative externalities (unquantifiable costs or effects that may affect a third party, having a positive or negative influence on their quality of life), especially at the time that cost of carbon emissions may be relatively low, because fixed by market.

Consequently, action with regards to climate change should translate into a series of pondered assessments of the totality of external costs deriving from the impact of tech-nological systems, even though the medium and long term outlook may sometimes be unknown. Certainly we cannot ignore the cost-benefit analysis, but it does not offer a thor-ough solution to the questions – which are mostly ethical – concerning containment actions for greenhouse gas emis-sions, that differently affect large-scale political effort. Clas-sical economics, on the other hand, has historically parted from a truly ethical reflexion. The language of economics derives primarily from statistics and mathematical analysis, as in the physical sciences. Including the study of economic systems in the category of the hypothetic-deductive sciences, instead of the empirical and descriptive ones, has resulted in a growing separation from ethical considerations and it has encouraged a series of idealisations regarding human ontolo-gy, that have led to some abstract concepts, for example that of Homo oeconomicus: representative of a being who is en-gaged in the elaboration of economic principles, exclusively with the aim of maximising his own individual wellbeing.

If it were limited to accepting precepts of the classical eco-nomic doctrine, the natural world would be structuring itself around merely competitive conducts – in accordance with proclamations of the liberalist theory –; on the contrary, em-pirical observation, through reference to the experience of risk and the realization of the amount of ‘symbiotic’ or – in reference to humankind – ‘empathetic’ relationships acting among different species and communities, shows that coop-eration is much more efficient in guaranteeing survival of the group in certain conditions: in expansive conditions compet-itive behaviour usually favours success and development of species; vice versa, in nonexpansive conditions (in balance) cooperative behaviour generally favours success (Georges-cu-Roegen 1977a, 1977b; Gowdy and Mesner 1998). Within bioeconomics theory, classical economic models are inevita-bly replaced by a more societal and cultural model, supported by a less rational and quantifiable approach, where a person’s social role is determined through interdependent connections

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CONCLUSIONS

An accurate analysis of the costs and benefits that may result from decision to mitigate the additional greenhouse effect should require thorough ethical consideration, in the light of which it becomes a complex hermeneutics that con-templates the collection of possible acceptions (prioritarian-ism, utilitarianism, pure discounting, temporal impartiality, personalism, actualism). Since Stern opted for an ethical criteria of evaluation close to the prioritarian-personalist approach, he adopted a modest discount rate in his review (1,4% per year). Consequently, the need to implement prac-tical conducts that may lead, in the medium term, to a drastic reduction of the concentration in the atmosphere of green-houses gases. So he has distinguished his analysis from, for example, that of William Nordhaus, who opted for a much higher discount rate: 6% per year (Nordhaus 1994).

In the outlook described by a more ethical approach to fix the cost of climate change mitigation, benefits – which should include a number of behaviours well-defined by the principles of different alternative economic and bioeconom-ic models – can exceed expenses and possible deprivations that present generations may have to incorporate to their dai-ly life. Among the benefits, it is also pertinent to include the capital saved through the repair of possible environmental and infrastructural damage that may result from the progres-sive increase in globally averaged temperatures.

Certainly, technology and science are important and nec-essary instruments in order to control and reduce uncertainty, but we shouldn’t ignore that they can often increase the same system complexity. So assuming an ethics of responsibility, on the basis of reciprocity and collective actions/coopera-tion along with lower discount rates, could be an immedi-ate solution to guide and justify specific interventions and investments. In conclusion, we can suppose that a long and large-scale socio-political effort of mitigation will be more useful than a short-term policy.

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Moreover, referring to Elinor Ostrom’s works on com-mons (Ostrom 1990, 1994), we should also consider geo-graphical places and environmental conditions together with time and social ‘status’. As we have explained above, we generally assign a lesser value to those assets we believe to own in future and a higher one to goods that are now pro-vided but their future supply might be threatened. This time perspective is mostly depending on chances that individuals and their children will have to enjoy an asset in future. But the discount rate, which is applied to benefits and costs over time, can also depend on peculiar environmental conditions where people live. For instance, people living in geograph-ical areas with a high environmental vulnerability, due to climatic conditions, soil properties, critical shortage of natu-ral resources, hydrogeological instability etc., are generally induced to apply a discount rate lower than that one applied by communities living in places with more natural resources and less exposure to environmental instability.

So we can deduce that: a) discount rates are influenced by endemic and historically determined levels of safety, both bio-ecological and socio-economic (Ostrom 1990), and b) it may be useful to invest in the future, with higher levels of environmental – or in our case climatic – uncertainty. According to several studies (see, e.g., Barker et. al. 1984; Berkes 1986; Viazzo 1989, Ostrom 1990, Martínez Alier 2006, Candela 2012), some past and contemporary tradition-al societies can represent a good case in point. Indeed, they have opted for long-lasting strategies of homeostatic adapta-tion to environment, such as the collective management and self-governed common-pool resources. These communities have shared past and they plan to share future. People live side by side farming the same plot of land that their children and grandchildren will inherit. In other words, they have un-knowingly applied a modest discount rate to their assets. The appropriators and their families will probably enjoy the fruits of current investments (more or less expensive) in future. Vice versa, with higher discount rates, the leading strategy will focus the cost-benefit ratio on present time. It will max-imise benefits, decreasing expenses in the present. Under these circumstances, people generally choose competitive behaviours acting autonomously without an actual trust in the own social organizations and neighbors.

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L’adolescenza come generazione nell’epoca dell’individualizzazione: appartenenza e nuove identità MAURO GIARDIELLODipartimento di Scienze della Formazione, Università degli Studi Roma Tre

lescenti impegnati nella costruzione della propria identità sociale e comunitaria. La globalizzazione produce due pro-cessi speculari: da una parte la de-spazializzazione (Giddens 2001), che comporta l’affermazione della società dei flussi su quella dei luoghi (Castells 2008), e dall’altra la ri-spa-zializzazione che implica un riemergere dell’appartenenza come dimensione relazionale e centrale per l’identità (An-tonsich 2012; Giardiello 2006, 2012). Sebbene la rappresen-tazione prevalente sia quella della fine delle funzioni dei ter-ritori per la vita sociale, cognitiva e relazionale dei soggetti, negli ultimi tempi si è sviluppata una vasta letteratura che ha evidenziato a livello psicologico, sociologico antropolo-gico e pedagogico (Proshansky et al. 1983; Hall et al. 2010; Cuervo & Wyn 2014; Gruenewald 2003) l’importanza della qualità dei luoghi nella formazione dell’identità. Il presen-te lavoro, si inserisce in questa recente area di ricerca, con l’obiettivo di ampliare le attuali conoscenze riguardanti gli

Il senso dell’appartenenza e la formazione dell’identità assumono un ruolo centra-le in un’epoca globalizzata, soprattutto in una fase dello sviluppo e della crescita per l’individuo come è quella dell’adolescenza. L’obiettivo del lavoro è di comprendere quanto l’avvento della socie-tà globalizzata, insieme alle nuove forme di relazioni, alla trasformazione delle città, dei luoghi e degli stili di vita ab-biano messo in discussione, tra gli adolescenti, da una parte le tradizionali forme di appartenenza e dall’altra ab-biano fatto emergere nuove modalità di viverle e re-inter-pretarle. Ciò è stato realizzato impiegando un approccio che colloca gli adolescenti nel quadro di un’analisi generaziona-le piuttosto che mediante la classica analisi degli adolescen-ti come soggetti in transizione. All’interno di tale contesto interpretativo, incentrato sulle categorie di generazione e di individualizzazione è stato realizzato uno studio pilota tra gli adolescenti in 3 città italiane con l’obiettivo di approfon-dire il legame tra crescita dell’adolescenza e senso di appar-tenenza e l’identità.

INTRODUZIONE

Nel contesto globale il ruolo dei luoghi e delle comunità riveste un’importanza strategica nella formazione dell’identità individuale e comunitaria soprattutto per quelle fasce di soggetti come gli ado-

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SCIENZE SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015

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versità. L’articolo termina con una riflessione conclusiva sia rispetto al quadro teorico sia ai risultati emersi dalla ricerca.

COMPRENDERE I GIOVANI IN UN MONDO

IN CAMBIAMENTO: DALLA TRANSIZIONE

ALL’INDIVIDUALIZZAZIONE

Nel corso dell’ultimo quarto di secolo, in un contesto di significativi cambiamenti e trasformazioni sociali ed econo-miche, i giovani hanno forgiato nuovi modelli di transizione attraverso diverse prassi di gestione dei loro ambien-ti di vita in un mondo imprevedibile e instabile. Le ri-cerche nazionali (Leccardi et al. 2011) e internazionali (Andres & Wyn 2010) hanno mostrato come i nuovi mo-delli di vita siano stati creati attraverso processi attivi, messi in atto da parte dei giovani. Altresì la recente atten-zione sui processi sociali di cambiamento ha suscitato una notevole influenza nello studio della realtà giovanile che sempre più ha compreso nelle sue analisi e ricerche i radi-cali cambiamenti strutturali che la società tardo-moderna ha prodotto. Da più parti si pone in evidenza come la società at-tuale sia caratterizzata dalla dissoluzione delle identità con-divise e delle sue relative fonti di identificazione (caratteriz-zate dall’appartenenza etnica, di classe e dall’ideologia del progresso e dalla religione): tutto deve essere costantemente reinventato dall’individuo che rappresenta l’unico termina-le dove si scarica l’obbligatorietà delle scelte in un contesto apparentemente neutro e privo di condizionamento. La real-tà giovanile - più di ogni altra categoria - appare oltremodo coinvolta all’interno di questo contesto segnato dal processo di individualizzazone. Ciò significa che i giovani sono obbli-gati a mettersi costantemente alla prova perché il processo di individualizzazione comporta “il dovere paradossale di creare, di progettare, di mettere in scena autonomamente non solo la propria biografia, ma anche i suoi legami e le sue reti di relazioni…” (Beck & Beck-Gernsheim 2002). Si passa da una struttura prescrittiva ad un’elettiva, caratteriz-zata non tanto dall’affermarsi dell’autonomia dell’individuo quanto piuttosto dall’emergere di una biografia elettiva che si connota sempre più come biografia a rischio o fai da te. La biografia fai da te richiede un rilevante impegno individuale nel ridefinire quotidianamente i criteri della propria identità e gli orientamenti di vita. Essa, come sostiene Beck, è una bio-grafia a rischio anzi una «biografia funambolica» in quanto “è – in parte palesemente, in parte celatamente – uno stato di pericolo permanente” (Beck & Beck-Gernsheim 2002).

In questa realtà così strutturata l’adolescente, e i giovani in generale, è impegnato a costruire la propria vita attraversan-do percorsi inediti dove la logica sperimentale segna il pas-so a quella prescrittiva. Ciò impone la necessità di ripensare da una parte gli studi sui giovani prevalentemente incentrati su una concettualizzazione della loro condizione come uno stadio transitorio o una fase della vita (Why & Woodman 2006) e dall’altra gli studi sull’adolescenza incentrati pre-valentemente nell’analisi dello sviluppo fisico, emozionale

studi giovanili e soprattutto adolescenziali che nelle ultime due decadi sono state caratterizzate dal prevalente impiego del concetto di transizione. Questo approccio è stato criti-cato dai recenti studi della sociologia della gioventù che, adottando una prospettiva generazionale, mostrano come la gioventù sia una condizione (non una transizione) segnata dalle trasformazioni economiche, sociali e politiche. In ac-cordo con le analisi di Why e Woodman (2006), le radicali trasformazioni avvenute dopo il 1970 hanno determinato un profondo cambiamento nella generazione post-1970, con-dizionando fortemente le successive coorti generazionali. In questo cambio di stile di vita, soggettività e processi di adattamento è interessante analizzare come le nuove coorti generazionali, segnate dall’epoca digitale, si rapportano con le dimensioni dell’appartenenza. Alla luce di questi assunti si è realizzato uno studio pilota, qualitativo e quantitativo, tra gli adolescenti in 3 realtà territoriali con l’obiettivo di appro-fondire la natura del legame tra la crescita dell’adolescenza e il senso di appartenenza, al fine di comprendere se e in quali termini questo possa costituire una risorsa strategica per l’i-dentità. Sulla base dei risultati la ricerca mette in evidenza due importanti considerazioni. In primo luogo si nota che, congiuntamente alla prevalenza della dimensione simbolico-culturale dell’appartenenza (Durkheim 1995, edizione origi-nale 1912), soggettivamente sentita (Weber 1966 edizione originale 1922), convive (con un peso minore) la dimensione ascritta (Tönnies 1963, edizione originale 1887). La multi-dimensionalità comporta anche una presenza di molteplici appartenenze (Simmel 1890) ove la dimensione relazionale e a-spaziale è connessa a quella simbolico-culturale. In secon-do luogo, analizzando la formazione dell’identità riguardo ai valori, all’appartenenza e all’alterità, emerge che le apparte-nenze culturali e relazionali sono associate a valori solidari-stici e universali e a una maggiore tolleranza formando un’i-dentità aperta-porosa, mentre laddove la dimensione ascritta è correlata a valori particolaristici e familistici si registra una forte intolleranza che favorisce la formazione di un’identità chiusa-localistica.

L’articolo è strutturato nel seguente modo. La prima se-zione descrive la condizione adolescenziale attraverso una lettura critica del concetto di transizione mediante il recupero e l’attualizzazione della categoria dell’individualizzazione e del concetto di generazione. L’elaborazione di tale contesto teorico è applicata per interpretare il ruolo e le funzioni del concetto di appartenenza nella cultura adolescenziale, so-prattutto sulla formazione dell’identità. Nella seconda parte dell’articolo è presentata una ricerca qualitativa e quantita-tiva sugli adolescenti in tre realtà sociali (Roma, Bari e la comunità di S. Leucio del Sannio (BN)). In particolare la sezione è composta di un paragrafo che comprende le note metodologiche della ricerca e tre paragrafi nei quali sono ri-portati i risultati relativi alla definizione e al significato di co-munità e appartenenza, la visione valoriale degli adolescenti e la percezione della diversità e i dati che approfondiscono la tematica dell’identità con uno specifico riferimento al ruolo giocato dall’appartenenza, dai valori e dal rapporto con la di-

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SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015 | SCIENZE SOCIALI

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L’ADOLESCENTE COME GENERAZIONE

In questo articolo, diversamente dall’approccio psicoso-ciale, in linea con la recente letteratura internazionale sulla gioventù (ibid; Woodman 2011; 2013), si propone di leggere la condizione dell’adolescente come una realtà generaziona-le (piuttosto che una fase transitoria), collocata all’interno di uno specifico milieu sociale, politico ed economico che in ragione di questa sua appartenenza esprime, in modo incon-sapevole o consapevole, una specifica «entelechia». Si assu-me come contesto interpretativo la prospettiva generazionale che ha una lunga tradizione sociologica solo recentemente ripresa e sottoposta a una rinnovata attenzione e attualizza-zione. Tale approccio, sebbene sia stato sottoposto a una ri-levante critica, “resta ancora un’utile idea per orientare gli studi sui giovani” (Woodman 2013). Tra gli aspetti conside-rati ancora fertili nell’operazione di rinnovamento del para-digma interpretativo sulla realtà adolescenziale contempora-nea, si può annoverare il concetto di generazione elaborato da Mannheim (2008). La generazione, secondo l’autore, è costituita dalla collocazione sociale di un gruppo di individui (appartenenti ad anni di nascita affini) all’interno di uno spe-cifico spazio storico-sociale stratificato (Mannheim 2008). Va tuttavia precisato che, secondo Mannheim, per condivi-dere una collocazione storico-sociale, in altre parole per di-ventare una “generazione per sé”, non basta “essere nati nel-lo stesso momento cronologico, di essere divenuti giovani, adulti, vecchi contemporaneamente” (ibid p.63) ma è neces-sario avere una medesima coscienza stratificata, una comune visione. Ciò non significa che sussista un’omogeneità cul-turale all’interno di una generazione o tra generazioni affini sebbene vi sia una condivisione di una comune esperienza storica, giacché i giovani che affrontano analoghe condizioni generazionali non sempre sviluppano simili atteggiamenti e credenze. Questo significa che all’interno di una stessa gene-razione si posso formare differenti gruppi o “unità generazio-nali” (Mannheim 2008 p.76) che si rapportano e si misurano diversamente rispetto al contesto storico, sociale, politico e economico nel quale si trovano inseriti. E’ indubbio che nella condizione strutturale attuale, caratterizzata da un forte pro-cesso di individualizzazione (crisi delle strutture tradizionali, nuovi processi di istituzionalizzazione, emersione di una bio-grafia elettiva), l’applicazione dell’«unità generazionale» in-tesa “come gruppo o tipologia in cui diversi giovani possono essere inequivocabilmente collocati” sembra limitato (Wo-odman 2013). Se da una parte, in accordo con le analisi di Wyn & Woodman (2006), le radicali trasformazioni avvenu-te dopo il 1970 hanno determinato un profondo cambiamen-to nella generazione post-1970 (condizionando fortemente le successive coorti generazionali), dall’altra le specifiche condizioni strutturali all’interno delle quali gli adolescen-ti si trovano a vivere e i peculiari modi di reagire ad esse determinano una diversa posizione di questo gruppo - unità generazionale - sia rispetto alle coorti precedenti sia rispetto a quelle future. Nonostante nel presente lavoro il concetto di «unità generazionale» non sia impiegato nell’accezione attri-

e sessuale1. Le critiche maggiormente rilevanti riguardano la prevalenza di una visione universalistica e a-storica dello sviluppo, pensato in termini lineari e determinato prevalen-temente da dinamiche psicosociali e socio-biologiche nelle quali le dimensioni economiche, culturali e sociali svolgono un ruolo ancillare e di semplice cornice (ibid. p. 498; Wo-odman 2011; 2013). Questo approccio che ha prevalso tra gli anni 50 e 60, è stato fortemente condizionato dal lavoro di Hall (1904) e ripreso, in una certa misura, da Piaget (1954) e Erikson (1968) anche se con modalità e prospettive dif-ferenti. Il modello di riferimento è senza ombra di dubbio quello di Freud nel quale la gioventù è pensata come una fase della vita durante la quale i compiti evolutivi devono essere padroneggiati al fine di garantire salute e sviluppo razionale dell’adulto (Wyn 2014). Un approccio molto standardizzato che vede anche nel campo sociologico l’affermarsi dell’idea del passaggio dalla fase giovanile a quella adulta attraverso il superamento di due “assi di transizione: l’asse della carriera familiare e l’asse della carriera scolastica-lavorativa” (Mesa 2014 p.67).

Le sue debolezze interpretative si manifestano soprattut-to a fronte della crisi del sistema industriale e l’affermarsi di un capitalismo flessibile, globale segnato dalla precarietà lavorativa, dal prolungamento degli studi, dalle nuove tecno-logie di comunicazione; si ingenerano, nei paesi occidentali, processi di de-standardizzazione, precarizzazione e nuove traiettorie caratterizzate sempre più da discontinuità e fram-mentazione. Il modello di transizione è posto in discussione non solo perché non riesce a cogliere i nuovi percorsi di vita dei giovani ma anche e soprattutto perché considerato molto normativo. Le conseguenze sociali sono da una parte la crea-zione di un processo di stigmatizzazione di tutti coloro i quali deviano dallo standard evolutivo «normale» (la transizione dalla scuola al lavoro oppure la difficoltà a risolvere i compiti evolutivi rappresentano, in entrambi i casi, una deviazione personale piuttosto che strutturale) e dall’altra la svalutazione delle dimensioni economiche, sociali e culturali considerate come semplici variabili dipendenti o di contesto al processo di crescita o di vita degli adolescenti. Più specificatamente ciò che questo approccio non prende in adeguata considera-zione, nonostante il rilevante contributo che offre allo studio dello sviluppo dei giovani e degli adolescenti, sono le reti re-lazionali e l’emergere di nuovi fattori strutturali che assumo-no una parte decisiva nelle scelte degli adolescenti, nella loro visione della vita e soprattutto nella formazione dell’identità. In generale quello che è negato ai giovani e agli adolescenti, giacché considerati in divenire (in transizione), è proprio un ruolo importante nelle loro comunità nelle scuole e nei pro-cessi politici (Beadle et al. 2011 p.9).

1 In questo lavoro si fa si riferimento alla fase adolescenziale corrispon-dente al periodo della pubertà (12-18 anni circa) dove il tema dell’identità e dell’appartenenza rappresenta un nodo critico fondamentale rispetto alla fase giovanile, caratterizzata da un periodo temporale, per quanto varia-bile, che va dai 18 ai 30-35 anni in cui l’assunzione del ruolo adulto è strettamente collegato ad altri fattori come la transizione scuola–lavoro o quella dalla famiglia d’origine alla nuova coppia.

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SCIENZE SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015

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L’APPARTENENZA COME FATTORE GENERAZIONALE

Lo sviluppo di un approccio basato sulle categorie della generazione e dell’individualizzazione allo studio della real-tà adolescenziale apre nuovi temi e aree di ricerca oscurate, troppo spesso, da un’interpretazione ortodossa della crescita degli adolescenti e dei giovani in generale. Tra gli innume-revoli ambiti di ricerca (famiglia, tempo libero, gruppi, stile di vita e così via) possiamo sicuramente annoverare il filone di studi sull’appartenenza che ha trovato recentemente nel-la letteratura internazionale nel campo degli studi giovanili, una vasta considerazione sia in termini teorici che applicativi (Cuervo & Wyn 2012; Hopkins 2010). Nonostante, secon-do Antonsich (2010), il concetto di appartenenza è sotto-teorizzato e considerato come auto-esplicativo nelle scienze sociali, esso esprime “l’idea di gioventù come nuovo pro-cesso sociale, collocata al centro di analisi consentendo ai ricercatori di riconoscere l’importanza delle relazioni con le persone, i luoghi e i tempi” (Cuervo & Wyn 2014 p.901). In questo contesto l’articolo si propone di contribuire a chiarire come il concetto di appartenenza è concepito e valutato dagli adolescenti all’interno di un percorso di costruzione dell’i-dentità caratterizzato sempre più dalla biografia elettiva e/o fai da te, incentrata profondamente sulla dimensione di un Io che appare sempre più privo di una struttura prescrittiva che orienta e fissa precisi e irrevocabili criteri di scelta. Il focus del lavoro si basa sul presupposto teorico che l’appartenen-za sociale intesa come “lo stato di essere parte di qualcosa o di essere in contatto con qualcosa” (Pollini, 2005a p.493; Pollini, 2005b; Gubert 2000), per quanto negletta, dissacrata da una società globalizzata, individualizzata, precaria, rima-ne una delle risorse fondamentali nel differenziare percorsi biografici elettivi da quelli a rischio (espressioni di moltepli-ci forme regressive). Sebbene si sia modificato il modo del comporsi del sentimento dell’appartenenza, in letteratura è riconosciuto un forte nesso tra lo sviluppo del sentimento di appartenenza a un luogo e i processi di auto-formazione dell’identità. Si presuppone che l’adolescente quantunque si trovi sciolto dalle appartenenze tradizionali (classi, ceti, reli-gione ideologie, tradizione) che definivano le identità indivi-duali e collettive, continua a sentire il bisogno di ridefinire i suoi legami e le appartenenze. A differenza delle precedenti coorti generazionali l’adolescente della società contempora-nea è costretto a inventare il suo senso di appartenenza sulla base non più di fattori prescrittivi ereditati (che assumevano un carattere sacro e statico) ma di criteri e orientamenti del tutto personali che valgono solo con riferimento alle espe-rienze soggettivamente esperite. In linea con tali riflessioni si è reso necessario optare per una dimensione soggettiva dell’appartenenza (Weber 1966) che secondo Cuervo e Wyn (2014) nelle scienze sociali è stata definita come una forma di sensazione personale e intima di sentirsi a casa, in un luo-go (luogo-appartenenza) (Antonsich 2010 p.645). E’ chiaro che per «casa» “non ci si deve riferire a un rapporto con lo spazio domestico materiale, ma piuttosto a un approccio fe-nomenologico che per «casa» rileva uno spazio simbolico

buita da Mannheim (2008), che prevede la formazione di una coscienza generazionale che agisce e si orienta come attore collettivo (vedi The Life Patterns Project dello Youth Rese-arch Centre presso l’Università di Melbourne), non si può certo affermare che tale concetto non permetta di individuare gli aspetti fondamentali degli adolescenti della società tardo-moderna. In particolare tale nozione permette di compren-dere come gli adolescenti attribuiscono significato al mondo circostante e come queste esperienze distintive contribuisco-no alla formazione di una generazione differente da quella precedente. In questa ottica gli adolescenti contemporanei si possono considerare una particolare «unità generazionale» che si rapporta in modo specifico alle condizioni della socie-tà tardo-moderna, esprimendo nuovi stili di vita e una diversa soggettività pur non avendo una precisa consapevolezza del-la propria collocazione storica sociale. Più specificatamente si può sostenere che l’attuale condizione degli adolescenti si caratterizza sempre più come una generazione che deve con-tinuamente fare delle scelte, reinventare le relazioni, il rap-porto con la tradizione, l’identità, con la famiglia e il gruppo dei pari ancorché con gli agenti di socializzazione (Andres & Wyn 2010). Il loro senso di appartenenza generazionale assume contorni precari, reversibili e incentrati sul proprio Io il quale deve assumere decisioni e soppesare continuamen-te scelte contraddittorie all’interno di un ampio spectrum di possibilità. Gli adolescenti se per un verso si caratterizza-no come la generazione delle scelte, della sperimentazione e dell’esplorazione, anche attraverso forme inedite come il web, il social network e in generale internet, per altro verso rappresentano anche una generazione a rischio di disorien-tamento, chiusure autoreferenziali, demotivazioni e rinunce neo tribali (Casoni 2008; Giardiello 2014 a). In questa ottica, nel contesto storico attuale, ci interessa conoscere l’impatto che le strutture sociali elettive hanno sulla loro identità e sul-le loro visioni del mondo. L’approccio sulle generazioni tra-sferisce l’attenzione dalla dimensione incentrata sulla transi-zione (dalla fase adolescenziale a quella adulta, dal mondo familiare a quello dei pari, dal corpo infantile al corpo adul-to) alla “collocazione dei giovani all’interno di processi po-litici, economici e culturali che danno sia corpo sia contesto all’attuale generazione e danno significato e esperienza alla gioventù in modo distintivo” (Wyn & Woodman 2006). In linea con tali riflessioni sembra chiaro che l’approccio gene-razionale pone in evidenza una stretta correlazione tra l’af-fermarsi e il diffondersi del processo di individualizzazione, come aspetto specifico degli adolescenti della seconda mo-dernità, e l’emergere di nuovi modi di percepire ed interpre-tare la realtà. L’approccio generazionale, sebbene presenti dei limiti e richieda una revisione, consente alla ricerca sulla realtà giovanile e adolescenziale di ripristinare un equilibrio tra la dimensione strutturale e la vita individuale favorendo l’utilizzo di categorie come quella dell’individualizzazione apparentemente lontana da tale prospettiva.

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SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015 | SCIENZE SOCIALI

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re un confronto tra gli adolescenti di San Leucio con i loro coetanei residenti in realtà territoriali più estese. A questo proposito sono state prese in considerazione le città di Roma e Bari. Per rendere i dati omogenei e confrontabili con quelli rilevati a San Leucio, è stato adottato un piano di campio-namento a due stadi (Cicchitelli et al. 1994 pp.80-83). Per ognuna delle realtà territoriali è stata selezionata in maniera casuale una scuola media statale (unità primaria). In seguito, per ognuna delle scuole selezionate è stata estratta in maniera casuale una sezione. Complessivamente sono stati intervista-ti nB=63 e nR=47 studenti, rispettivamente, nelle scuole di Bari e Roma.

La griglia delle domande elaborate per dirigere la discus-sione nei focus group ha seguito due principi generali: il cri-terio in base al quale si è passati dalle domande generali a quelle più specifiche e quello dell’ordine di importanza in re-lazione allo scopo della ricerca. I temi trattati dalle domande somministrate nei tre focus group possono schematicamente essere riassunti nel seguente modo: la definizione di comuni-tà, il senso di appartenenza, la scala dei valori più importan-ti, il grado di tolleranza verso la diversità, il rapporto con i luoghi della comunità, la definizione della piazza, il grado di sicurezza e insicurezza del quartiere e dello spazio pubblico, il grado di mobilità autonoma nel quartiere, i luoghi di incon-tro informale, il rapporto con i vicini, il rapporto tra social network e spazi pubblici, i network sociali e familiari. Come già accennato, il lavoro svolto con il focus group è servito ad elaborare un set di ipotesi e il questionario semistruttu-rato. Quest’ultimo risulta composto dalla scala di comunità (Prezza 1999) e da domande che rispecchiano i temi, il lin-guaggio e i concetti emersi dai focus group. Più in partico-lare il questionario dedica particolare attenzione all’analisi del concetto di comunità, di appartenenza e della mappa dei valori in rapporto alla diversità. L’insieme delle domande, comprese anche quelle utilizzate in questa parte della ricer-ca, sono state collocate in diversi punti del questionario per evitare l’effetto alone.

Ricerca quantitativa e descrizione del campioneNella seconda fase della ricerca è stato somministrato il

questionario semistutturaro a un campione di adolescenti selezionando per ognuna delle scuole una sezione in manie-ra casuale. Complessivamente sono stati somministrati 101 questionari a S. Leucio del Sannio, 63 a Bari e 47 a Roma. La diversa numerosità dei campioni non inficia la validata dei risultati dal momento che le analisi comparative sono state realizzate solo a carattere esplorativo e non inferenziale.

La struttura del campione, nelle tre aree territoriali consi-derate, si caratterizza per una scarsa differenziazione sia per quanto l’età media (13,08 anni a S. Leucio del Sannio, 12,18 anni a Bari e 12,04 anni a Roma) e il genere, ad accezione di Roma dove si registra una presenza maggiore di maschi (63,83%) rispetto alle femmine (36,17%). Per quando riguar-da il livello di scolarizzazione dei genitori a S. Leucio del Sannio e a Roma il campione si caratterizza per un livello medio-basso, mentre a Bari per un livello medio-alto. In ge-

di familiarità, di confort, sicurezza e attaccamento emotivo” (ibid p.907). Altresì è importante rilevare che il concetto di appartenenza è stato analizzato attraverso una prospettiva multidimensionale come altri concetti sociologici quali ad esempio la globalizzazione, l’esclusione sociale, la margi-nalità e così via. In tal senso vale la pena ricordare che per quanto il senso d’appartenenza dei giovani sembra (sicura-mente in questa ricerca) delinearsi in termini relazionali e simbolico-culturali piuttosto che territoriali e affettivi, esso non esclude un richiamo alla dimensione più propriamente prescrittiva o territoriale (il riemergere in termini nuovi degli aspetti strutturali). Se è evidente il diffondersi del formar-si del significato dell’appartenenza in base alla costruzione di relazioni soggettivamente costruite e svincolate dalla di-mensione spaziale (come invero già presenti nei lavori di Simmel del 1890), è altrettanto forte la necessità, all’interno delle biografie degli adolescenti, di rileggere e inventare la tradizione, la cultura, i valori, l’educazione in funzione della formazione di una biografia e di un’identità che ha bisogno di un ancoraggio, sia pure problematico, a una dimensione simbolica o comunanza culturale (Durkheim 1995 edizione originale 1912). Tale esigenza, per quanto soggettivamente vissuta come precaria e labile, spesso rappresenta la sola ri-sorsa che l’adolescente può utilizzare e mettere in campo per evitare la caduta in forme regressive di appartenenze come l’anomia (scambiata spesso per forme di cosmopolitismo banale) (Beck 2006) oppure la chiusura identitaria (base di nuove forme di tribalismo, intolleranza e coesioni sociali au-toreferenziali) (Sennett 2012; Giardiello 2014 b). In conclu-sione sebbene l’appartenenza si presenti con una certa dosa di ambiguità (l’appartenenza determina l’apertura o la chiu-sura verso l’altro) si può ancora affermare che essa esercita, nonostante le innumerevoli contraddizioni, un ruolo centrale per la formazione dell’identità. Lungi dall’essere scomparsa o ridimensionata l’appartenenza, e soprattutto il suo vissu-to, rappresenta non solo un importante fattore predittivo del disagio (Ignacio et al. 2010) ma anche un fattore esplicativo dell’attuale condizione sociale e culturale degli adolescenti.

NOTE METODOLOGICHE

Sulla base di queste considerazioni è stata compiuta una ricerca, quantitativa e qualitativa, sugli adolescenti in età compresa tra 11 e 14 anni. In una prima fase la ricerca si è caratterizzata per l’uso della tecnica del focus group (Cor-rao 2002) con gli adolescenti iscritti alla scuola media del comune di San Leucio del Sannio, in provincia di Beneven-to. I 15 membri del focus group (Hill et al. 1997), previa autorizzazione dei genitori, sono stati selezionati con l’aiuto di un assistente moderatore (l’insegnate della scuola) con-siderando i criteri dell’età, sesso e residenza. L’autore del-la ricerca ha svolto il ruolo di moderatore. Dal focus group sono scaturite le riflessioni teoriche, le ipotesi di ricerca e la formulazione del questionario semistrutturato (Krueger & Casey 2009) somministrato nell’anno scolastico 2008-2009 a nSL=101 studenti. In una seconda fase si è voluto compie-

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serva è che San Lorenzo sopravvive economicamente grazie al business universitario ma la comunità perde man mano la sua vera identità di quartiere popolare in quanto il ceto po-polare viene gradualmente sostituito dal ceto medio-alto in ragione del processo di riqualificazione economica dell’area e del conseguente aumento del costo delle abitazioni e della vita.

RICERCA SUL SIGNIFICATO DI COMUNITÀ E DI

APPARTENENZA NEGLI ADOLESCENTI

Nel corso degli ultimi anni è stato sempre più posto in evidenza il fondamentale ruolo relazionale e sociale assunto dalla comunità e dall’appartenenza nella crescita educativa, sociale e civica dei giovani e degli adolescenti (Holdsworth 2011; Vieno et al. 2010; Santinello e Vieno 2012). Se questo è evidente nel dibattito sociale e pedagogico, meno studiate e analizzate risultano le modalità con le quali gli adolescenti si rapportano con la loro comunità e soprattutto qual è il signi-ficato o la rappresentazione che loro hanno della comunità e del loro senso di appartenenza. In questa ottica ci sembra di poter individuare almeno due importanti questioni: in primo luogo il valore che le categorie della comunità e dell’appar-tenenza assumono in una generazione individualizzata; in se-condo luogo quali sono i criteri che gli adolescenti utilizzano per definirle. In linea con questa riflessione in questo paragra-fo l’oggetto di analisi riguarda la definizione della comunità e il significato del concetto di appartenenza. Il primo passo è stato quello di analizzare quale fosse la rappresentazione semantica dominante del concetto di comunità nella cultura adolescenziale attraverso la domanda «Che cosa è per te la comunità?»2. Gli intervistati sono stati invitati a definire il termine comunità scegliendo tra gli item proposti i due si-gnificati principali e mettendoli in ordine di importanza. A partire dai risultati emersi sono state costruite le seguenti tre tipologie di comunità basate su dimensioni emotive/affettive (famiglia, gruppi di amici, comitiva), strutturali/territoriali (paese, quartiere, contrada, città) e sulla socialità secondaria (associazione, organizzazione, squadra, Stato, scuola, chie-sa). La costruzione delle tipologie si è basata sui lavori svolti dal focus group che, dopo una prima fase di brainstorming e a partire dall’individuazione degli elementi comuni emersi, hanno discusso ed elaborato le tre principali tipologie3.

I risultati indicano che in tutte le aree territoriali conside-

2 Le modalità di risposta previste per questa domanda erano: paese, con-trada, famiglia, gruppo di amici, associazioni, organizzazioni, comitiva, squadra, quartiere, città, stato, scuola, chiesa, altro. 3 Nella fase della ricerca si è inteso valorizzare un procedimento indut-tivo (non deduttivo-razionale) e di gruppo. La formulazione delle tipolo-gie riguardanti il concetto di comunità e di appartenenza è stata realizzata attraverso la combinazione della tecnica del brainstorming con quella di gruppo. Ciò ha consentito di non limitarci solo a produrre idee (come av-viene nella applicazione classica della tecnica del brainstorming), bensì anche indicatori e tipologie (Bezzi 2013; Corrao 2002). Più specificata-mente le tipologie sono stati utilizzate nella fase dell’analisi quantitativa per interpretare i risultati emersi attraverso la somma degli item simili che costituiscono le tre aree semantiche, rappresentative delle tipologie indi-viduate.

nerale la condizione socio-economica si contraddistingue per la presenza di un ceto medio nel quale prevale il lavoro im-piegatizio rispetto a quello autonomo sebbene non manchi-no differenze significative tra la realtà di S. Leucio e Roma, caratterizzata da un ceto medio-basso (presenza elevata di artigiani, impiegati di concetto e casalinghe) e la realtà di Bari in cui è maggiormente rappresentato un ceto medio-alto (significative sono le presenze delle professioni liberali men-tre basse sono le percentuali delle casalinghe).

Approccio analiticoNell’analisi dei dati sono state applicate diverse tecniche

di analisi, esclusivamente di tipo esplorativo, sia univaria-te che multivariate. Nel questionario la maggior parte delle domande prevedeva risposte qualitative che andavano da (1) “Fortemente d’accordo” a (4) “Fortemente in disaccordo”, per tale motivo l’analisi delle risposte è stata effettuata utiliz-zando l’Analisi delle Corrispondenze Multiple.

Contesti territorialiLe tre aree esaminate sono differenti, ma interessanti da

comparare poiché la quasi totalità degli adolescenti inter-vistati vivono nei quartieri da quando sono nati (80,20% S. Leucio, 89,36% a Roma e 82,61% a Bari). In particolare la comparazione tra le tre realtà, differenti dal punto di vista so-cio-economico e demografico, ha lo scopo di verificare se il processo di trasformazione della appartenenza e i percorsi di formazione dell’identità siano fenomeni presenti nelle gran-di come nelle piccole realtà urbane. Il problema dell’indivi-dualizzazione, delle crisi delle appartenenze tradizionali, le trasformazioni di processi di formazione dell’identità rappre-sentano una fenomenologia che coinvolge anche le piccole città e comunità che nel tempo sono state interessate da pro-cessi di disorganizzazione sociale, culturale e spaziale. L’in-teresse è volto ad analizzare la condizione dell’adolescente in rapporto al senso di appartenenza e del suo ruolo sia nella media città che in una grande città al fine di cogliere non solo elementi comuni o eventuali differenze ma anche processi di chiusura identitaria in micro cosmi sociali che impediscono la formazione del cittadino e della cultura civica. Più speci-ficatamente possiamo cogliere alcune caratteristiche specifi-che dei singoli territori utili ad identificare le trasformazioni e le crisi che caratterizzano la cultura generazionale degli adolescenti di queste aree. Il comprensorio territoriale nel quale risulta collocato la scuola di S. Leucio è quello dell’ «hinterland beneventano». In esso si registra un progressi-vo processo di desertificazione sociale e civile del territorio che ha provocato l’indebolimento della struttura sociale del paese. Nella città di Bari la scuola estratta è ubicata nella VI circoscrizione del Comune di Bari (costituita dai quartieri Carrassi e San Pasquale) che, pur rappresentando una zona centrale della città, conserva un carattere periferico, dipen-dente e funzionale al borgo murattiano. Per la città di Roma è stato estratto un istituto collocato nel quartiere San Lorenzo nel quale è presente un diffuso processo di gentrification che ne sta minando l’identità di comunità. Il fenomeno che si os-

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SCIENZE E RICERCHE • N. 8 • GIUGNO 2015 | SCIENZE SOCIALI

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comunità). I dati mostrano come il 27,54% degli intervistati di Bari, il 17,82% di S. Leucio e il 14,89% di S. Lorenzo han-no espresso un concetto di appartenenza significativamente caratterizzato da dimensioni culturali. Altrettanto importante appare la dimensione affettiva che ha fatto registrare percen-tuali significative: 18,84% Bari, 23,76% S. Leucio, 17,02% Roma. Ciò viene confermato dai risultati emersi dalla ricer-ca di Campelli sul significato del senso dell’appartenenza nei giovani dove prevalgono “gli elementi emotivi, affettivi «caldi»” (Campelli 2004 p.70) oltre che una forte presenza di una visione dell’appartenenza circoscritta a realtà sociali micro (ibid., p.72).

La seconda modalità analitica riguarda un tipo di interpre-tazione basata sulla formazione di diverse tipologie di ap-partenenza costituite sia dai risultati scaturiti dal lavoro del focus group, combinati con la tecnica del Brainstorming, sia dai contributi rilevanti provenienti dalla tradizione sociolo-gica in particolare di Durkheim, Tönnies Weber e Simmel. La costruzione di queste tipologie consente non solo di avere una lettura complessa del senso di appartenenza ma di ana-lizzare il ruolo di questa dimensione nella formazione dell’i-dentità. Specificatamente le tipologie individuate si articola-no nei seguenti significati: affettivi, cosmopolita, culturali e localistici/spaziali. Da questa analisi emerge che il senso di appartenenza basato sulla condivisione della cultura (la stes-sa lingua, educazione, tradizione e cultura) prevale su quella cosmopolita (condividere gli stessi interessi a prescindere dal luogo in cui si vive). Peraltro è opportuno rilevare come il peso dell’appartenenza culturale cresce in misura maggio-re laddove è più alto il significato dell’appartenenza cosmo-polita (ad esempio a Bari). In questo quadro bisogna aggiun-gere che da una parte la dimensione affettiva, nonostante non abbia registrato un alto consenso quanto quello ottenuto dalle due dimensioni precedenti, tuttavia rimane uno sfondo signi-ficativo nella costruzione dell’appartenenza, dall’altra che la tipologia spaziale, territoriale e ascritta ha ottenuto il più basso consenso. I risultati della ricerca dimostrano che quan-to più gli adolescenti esprimono un senso di appartenenza cosmopolita, tanto più hanno il bisogno di agganciarsi ad un substrato culturale. Ciò si nota attraverso l’analisi comparati-va tra i tre contesti territoriali in cui Bari esprime in maggior misura questa tendenza. In questa parte della ricerca emerge come il luogo in sé (anche se si è nati o vive la propria fami-glia) non produce identificazione e appartenenza. E’ evidente che per gli adolescenti il “sentirsi parte” di un luogo si verifi-ca attraverso un processo di significazione che si genera solo allorquando si produce un mutamento che induce a percepire i luoghi da «in sé» a «per sé».

L’UNIVERSO DEI VALORI E LA PERCEZIONE

DELL’ALTERITÀ

I valori e il rapporto con l’alter rappresentano, insieme al concetto di appartenenza, variabili fondamentali per com-prendere il processo di costruzione dell’identità sociocultu-rale e spaziale degli adolescenti.

rate la prima tipologia ha registrato i consensi più alti. Per gli adolescenti di Roma, Bari e S. Leucio il concetto di comuni-tà si presenta come una realtà sociale che viene generata in particolar modo nella famiglia e nelle relazioni amicali. Sulla base di un sentire comune, che identifica la comunità come elemento fondamentale dell’identità e come aspetto precon-trattuale della realtà strutturata, è possibile individuare due varianti tipologiche.

La tipologia emotiva relazionale strutturale è emersa nella comunità di S. Leucio dove la struttura comunitaria territo-rialmente definita è identificata come l’ambito spaziale e cul-turale in cui si esprime e manifesta la socialità primaria. La tipologia emotiva/relazionale e della socialità secondaria si afferma in particolar modo nella città/metropoli dove da una parte nel concetto di comunità si indebolisce il riferimento locale e dall’altra si recupera un’idea di comunità come so-cialità secondaria.

Ma a quale comunità gli adolescenti si sentono più legati? Dai dati emerge che quando si passa dalla dimensione astrat-ta della definizione a quella fattuale si nota la presenza, tra gli adolescenti delle tre aree considerate, di un legame con le realtà territoriali più prossime: il paese per S. Leucio, la città per Bari e Roma (Guglielmi 2007; Gubert 2004). Si evince chiaramente dalla ricerca che il riferimento alla territorialità assume solo un valore potenziale di orientamento che può trasformarsi in risorsa fondamentale (psicologica, sociale e culturale) solo se riesce a conferire significati soprattutto di natura affettiva/relazionale e culturale all’ambito dell’appar-tenenza.

In questo contesto la comunità e l’appartenenza risulta-no essere due concetti similari ma anche differenti. Per gli adolescenti intervistati, da una parte la comunità e l’appar-tenenza sono realtà che vanno ad occupare lo spazio dei si-gnificati profondi della personalità di un individuo, dall’altra il concetto di appartenenza assume un valore complesso dal momento che può contemplare il concetto di comunità locale ma può significare una varietà di aspetti non sempre e neces-sariamente connessi con specifici territori.

Nell’analisi dei dati relativamente al senso e al significato dell’appartenenza si è proceduto ad individuare le frequenze più alte espresse rispetto ad un set di item volti a delineare le possibili definizioni di appartenenza. In base alla prima gra-duatoria stilata dagli intervistati si nota che il 26,09% a Bari, il 24,75% a Roma e il 23,40% nella comunità di S. Leucio at-tribuiscono all’appartenenza la seguente accezione: condivi-dere gli stessi interessi a prescindere dal luogo in cui si vive. La prevalenza del significato del senso di appartenenza in termini relazionali senza prossimità viene confermata anche sulla base dei risultati emersi dalla seconda graduatoria in cui il senso di appartenenza viene definito più sulla qualità del-le relazioni che si sviluppano tra gli adolescenti in base alla condivisione di interessi comuni che in ragione di una con-tiguità spaziale. Ciò non significa che nel concetto espresso dagli adolescenti sia poco rilevante una dimensione come quella culturale (condividere cultura e tradizione) o affetti-va (sentire affetto verso le persone che fanno parte di quella

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stato sottoposto agli intervistati un set di domande volte a comprendere la loro percezione della diversità. In questo contesto è stata analizzata solo la parte relativa al grado di disponibilità all’accoglienza di un insieme di soggetti che rappresentano diversità etniche, culturali e fisiche.

La tabella 1 riporta le risposte modali riguardo alla doman-da tesa a rilevare la disponibilità degli intervistati ad acco-gliere come membri del paese/quartiere specifiche categorie di persone.

Dalla lettura dei dati si configurano tre tipologie di atteg-giamenti di apertura e chiusura rispetto alla diversità. Tra gli adolescenti di Bari si osserva un atteggiamento che può esse-re ritenuto in linea generale aperto, tollerante rispetto a tutte le categorie considerate. I dati, tuttavia, mostrano come vi è una gradazione di apertura differente in quanto alcuni gruppi come Mulsulmani, Ebrei, diversamente abili, Africani, Ci-nesi risultano più discriminati (in termini di poca disponibi-lità ad accoglierli) degli immigrati dei Paesi Europei, delle persone che la pensano diversamente e degli Albanesi. At-teggiamenti definibili moderatamente chiusi e molto selettivi rispetto alla disponibilità all’accoglienza risultano presenti tra gli intervistati di S. Lorenzo, per i quali si registra una netta chiusura nei confronti dei Musulmani, degli immigrati dei Paesi Europei e anche nei riguardi di persone che la pen-sano diversamente. Per niente disponibili all’accoglienza e alla tolleranza risultano gli adolescenti di S. Leucio in cui si registra la presenza di un alto grado di indisponibilità ad accettare la diversità nei confronti di tutte le categorie, fatta eccezione per coloro che sono diversamente abili.

Tab. 1: Saresti disposto ad accogliere come membri del tuo paese/quartiere le seguenti categorie di persone?Categorie di persone Bari S. Leucio Roma

Musulmani Si alcuni No No

Ebrei Si alcuni No Si alcuni

Diversamente abili Si molti Si molti Si alcuni

Africani Si alcuni No Si alcuni

Cinesi Si alcuni No No

Immigrati dei Paesi Europei Si molti No Si alcuni

Persone che la pensano diversamente da te

Si molti No Si alcuni

Albanesi Si molti No No

LA FORMAZIONE DELL’IDENTITÀ: APPARTENENZA,

VALORI E ALTERITÀ

L’identità viene generalmente considerata come il prodot-to di dinamiche interpersonali che si generano tra l’Io e l’Al-tro (approccio psicosociale) (Tajfel 1981) oppure come il ri-sultato di un processo intrapsichico nel quale l’Io è impegna-to a diventare autonomo separandosi gradualmente dell’altro (genitori, famiglia) (Karpel 1976). In quest’ultima prospetti-va, prevalentemente adottata dalla psicologia dello sviluppo e soprattutto dalla psicanalisi, il ruolo del contesto sociale e storico, nei processi di crescita e maturazione del sogget-to, è considerato assolutamente secondario. Da un punto di vista più strettamente sociologico e generazionale l’identità

In questa sede si intende esaminare più in dettaglio i va-lori di base della cultura degli adolescenti e il loro grado di tolleranza/intolleranza rispetto alla diversità etnica, culturale e fisica.

Per poter indagare la struttura valoriale di base degli ado-lescenti si è ricostruito lo spazio semantico entro il quale si collocano i valori. A tale scopo si è fatto ricorso ad una par-ticolare procedura di analisi definita analisi in componenti principali. Questa procedura consente di ricostruire lo spa-zio concettuale entro il quale si collocano le risposte degli intervistati. In base, quindi, a come si dispongono lungo la scala di massima importanza è possibile definire alcune aree di similarità.

Analizzando congiuntamente le tre realtà territoriali pos-siamo osservare l’emergere di analogie e differenze.

Per quanto riguarda le analogie si registra la presenza, nei tre territori considerati, di un nucleo valoriale forte che si dispone, sul piano fattoriale, nell’area della massima impor-tanza. Questo nucleo forte è costituito dai valori della fami-glia e dell’amore e lo potremmo definire comunità affettiva, relazionale. In questa analisi ritorna con molta chiarezza il valore strategico del concetto di comunità che si presenta come ambito valoriale centrale e realtà sociale embrionale del processo di crescita dell’adolescente come soggetto so-ciale. Questi risultati sono in linea con le ultime indagini IARD sulla condizione giovanile italiana (2002; 2007) dalle quali emerge chiaramente il trasformarsi del sistema dei va-lori verso la socialità ristretta (costituita da relazioni amicali, affettive e familiari) determinando un nucleo forte attorno al quale si forma la visione della vita dei giovani.

Le differenze, invece, si definiscono in base alla natu-ra più ampia o ristretta del nucleo valoriale forte (amore e famiglia). In dettaglio possiamo notare come nei tre ambiti territoriali considerati quanto più il nucleo forte (amore e fa-miglia) si allarga ad altri valori, tanto più attorno al nucleo forte si concentrano valori universalistici e culturali (demo-crazia, uguaglianza e studio). Più specificatamente possia-mo notare che a Bari l’area valoriale forte risulta composta non solo da valori come la famiglia e l’amore ma anche da quelli autorealizzativi e ludici determinando la formazione di una costellazione di valori nella sfera della massima im-portanza che vanno al di là delle relazioni sociali ristrette in quanto espressione della vita collettiva e civica. Nel caso di S. Lorenzo e S. Leucio la ricerca mostra invece in parte una situazione similare, anche se con un’accentuazione dei valori ludici e autorealizzativi più marcata nel primo ambi-to territoriale rispetto al secondo. In termini generali si può affermare che quando la famiglia e il contesto consentono l’autorealizzazione e la valorizzazione delle diverse risorse espressive abbiamo un soggetto sia con una struttura valo-riale più definita che maggiormente orientata verso dimen-sioni sociali e collettive. Quando invece ciò non si verifica abbiamo la strutturazione di una realtà valoriale più rarefatta, meno espressiva e più individualistica.

Nell’intento di agganciare gli orientamenti valoriali e la visione del mondo a pratiche e atteggiamenti concreti è

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Nel caso di S. Leucio la figura 1c descrive paradossalmen-te una realtà molto più complessa delle precedenti. Innanzi-tutto si verifica la formazione di quattro tipologie di identità differenti. Osservando il quadrante in alto a sinistra abbiamo un’identità localistica chiusa/culturale che si produce per ef-fetto dell’associazione dei valori autorealizzativi/strumenta-li, un senso di appartenenza localistico culturale e un indice di intolleranza forte. Proseguendo in senso antiorario, si os-serva nel quadrante in basso a sinistra un’identità localisti-ca chiusa/spaziale determinata grazie alla presenza di valori autorealizzativi/tradizionali, di un senso di appartenenza lo-calistico/spaziale e un debole indice di intolleranza. Conti-nuando ad analizzare il grafico si nota, in basso a destra, la formazione di un’identità localistica/aperta generata da un percorso costituito dai valori familisti/edonisti e un concetto di appartenenza localistico culturale/affettivo nonché un tas-so di tolleranza debole. In alto a destra, infine, si verifica la presenza di un’identità fluida composta da valori solidali/tra-dizionalistici, da un’appartenenza cosmopolita/familista e da un alto livello di tolleranza. In secondo luogo va sottolineato come da una parte l’accentuazione localistica dell’apparte-nenza (sia nella versione culturale che spaziale) e l’assen-za di valori di natura universalistici e collettivi determina-no processi di intolleranza e construiscono identità chiuse, dall’altra un’identità fluida senza radici culturali produce un “cosmopolitismo banale” (Beck, 2003) incapace di determi-nare processi di cambiamento sociali e collettivi. Sulla base dei dati emersi è facile notare in queste piccole comunità la presenza di una nuova forma di disparità. Essa si esprime so-prattutto sul piano cognitivo determinando comportamenti di chiusura, intolleranza, con identità localistiche, incapace di avviare processi riflessivi e di rilettura della propria cultura e tradizione. Altresì si verifica una drammatica spaccatura tra due gruppi sociali in cui da una parte si delinea la formazione di un’elite senza nessun sentimento di appartenenza e dall’al-tra la formazione di settori sociali che vivono l’appartenenza in termini irriflessivi e cristallizzati.

CONCLUSIONI

Negli ultimi tempi nella letteratura internazionale è posto sempre più in evidenza che la rappresentazione dell’adole-scente, inteso come prodotto astratto dell’esperienza infan-tile e della maturazione puberale, come modello standard in transizione, ha oscurato una riflessione approfondita sulle reali condizioni generazionali degli adolescenti contempo-ranei. E’ evidente che le varie realtà nelle quali gli adole-scenti si trovano inseriti come la scuola, i gruppi dei pari, i social network implicano una necessaria ridefinizione del loro senso di appartenenza a partire non più dai solidi schemi precostruiti ma da una prassi, diventata obbligatoria, che è quella di fare delle scelte. Ciò implica non solo un’elevata capacità riflessiva, quasi ermeneutica, degli adolescenti nel ridefinire i contorni semantici del loro mondo vitale ma an-che di coniugare e scindere al tempo stesso la realtà virtuale (nella quale gli adolescenti sono profondamente coinvolti)

non può essere ridotta a una visione dicotomica (l’Io versus l’ambiente esterno, l’identità psicologica versus quella socia-le), poiché essa presuppone che la “relazione identità per sé/identità per l’altro” (Dubar 2004 p.131) si colloca all’interno di un comune processo rappresentato dalla socializzazione (ibid). Questo approccio sottintende l’idea dell’identità con-siderata come il prodotto del processo di socializzazione che si articola nei diversi contesti sociali, culturali e territoriali nei quali il soggetto interiorizza valori, sviluppa rapporti e definisce appartenenze. Più specificatamente, a livello della ricerca empirica, se nelle pagine precedenti si è ricostruito il significato problematico del senso dell’appartenenza, della visione valoriale e della percezione della diversità, la finalità di questo paragrafo è quella di esplorare i meccanismi della formazione dell’identità attraverso una prospettiva sociale. In tale contesto per lo studio della formazione dell’identità è stata applicata l’analisi delle corrispondenze multiple che ha permesso di identificare la struttura delle associazioni tra le opinioni espresse sull’appartenenza, la mappa dei valori emersa e il giudizio sulla diversità. La figura 1a mostra come tra gli intervistati di Bari il massimo livello di tolleranza è generato dalla presenza di valori solidali/autorealizzativi, di un senso di appartenenza formato da una parte da una con-cezione cosmopolita (condivisione degli interessi al di là dei luoghi) e dall’altra da un bisogno di radicamento culturale (condivisione culturale e tradizione, futuro comune) e affet-tivo (affetto verso le persone della comunità). L’area dell’in-tolleranza è costituita dai valori individualisti/competitivi e da un senso di appartenenza localistico. Si tratta di un tipo di appartenenza dominato dalle dimensioni spaziali e ascritte ma è priva di qualsiasi identificazione culturale.

E’ interessante notare come i due percorsi delineati pro-ducono la formazione di un’identità porosa e integrata a sinistra della figura e di un’identità chiusa a destra. La pri-ma si sviluppa allorquando il soggetto riesce a recuperare l’identità culturale senza escludere dalla propria visione del mondo altre forme di appartenenza centrate sulla condivi-sione di interessi che si sviluppano al di là del luogo in cui si vive. Peraltro è opportuno rilevare come questo percorso esprima un’identità che perviene ad una fusione tra valori solidaristici e alti livelli di accettazione della diversità. La seconda emerge quando non si verifica un’integrazione tra senso di appartenenza cosmopolita, dimensione culturale e valori civici/solidali.

La figura 1b, relativa a Roma, delinea un’associazione tra le variabili considerate in gran parte simile a quella mostrata dal grafico precedente. Ciò che differenzia le due realtà terri-toriali è la presenza di valori più marcatamente estetici, come la vita agiata/confortevole e le attività sportive, e la compo-sizione di un concetto di appartenenza localistico/ascritto ca-ratterizzato dall’esistenza dell’item parlare la stessa lingua. Nella comparazione delle due aree viene confermato il peso e l’importanza che hanno le variabili spaziali e culturali, non-ché i valori e gli atteggiamenti di apertura/chiusura rispetto alla diversità in quanto capaci di tracciare differenti profili di identità.

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un modo non riflessivo e dall’altra un ritorno, senza nessu-na mediazione simbolica e riflessiva, a strutture prescrittive che forniscono sicurezza identitaria. Si tratta di una reazione alle difficoltà di scegliere e elaborare la propria biografia a partire da se stesso, dalla quale si sfugge attraverso un «in-capsulamento» all’interno di nuove identità tribali basate sulla logica in-group/out-group. In queste riflessioni emerge chiaramente come la qualità del vissuto e della percezione dell’appartenenza assume un ruolo e una funzione centrale nella costruzione della vita degli adolescenti determinando, in un modo decisivo, i rapporti, le relazioni e le pratiche di vita che gli adolescenti generano e sviluppano nei confron-ti dei loro mondi vitali. Se la letteratura internazionale ha evidenziato, ad esempio, che stabilire un senso di apparte-nenza nel periodo di reinserimento precoce è fondamentale per il benessere tra gli adolescenti con un passato di rifugiati (Ignacio et al. 2010), è altrettanto fondamentale riflettere sui processi riflessivi che portano a rivedere e ricostruire il con-cetto di appartenenza in una società molto individualizzata. E’ proprio a partire della specifica condizione adolescenzia-le, come generazione digitale e biografica, che la ricerca so-ciologica, e in generale le scienze sociali, dovrebbe iniziare a indagare ambiti e settori spesso relegati in campi determinati dagli approcci psicosociali o psicologici.

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da quella reale. Prima di discutere i risultati della ricerca vale la pena indi-

viduare i limiti di questo studio intorno almeno a tre questio-ni. In primo luogo i risultati raggiunti, giacché si riferiscono a specifici contesti sociali locali, non possono rappresentare la condizione generale degli adolescenti italiani rispetto ai temi dell’appartenenza e dell’identità. Essi riflettono i limi-ti di una ricerca qualitativa e esplorativa dalla quale non si possono produrre generalizzazioni empiriche ma solo even-tualmente creare le precondizioni teoriche, delineando ipote-si di ricerca, utili per lo sviluppo di una successiva ricerca. In secondo luogo una ulteriore ricerca è necessaria sia per verificare la validità dei risultati ottenuti sia per approfondire aspetti non considerati, come l’importante nesso tra il senso di appartenenza e le nuove realtà virtuali divenute paradig-matiche della cultura adolescenziale contemporanea. Infine si deve sottolineare che i risultati della ricerca risalgono al periodo 2008-2009 e evidentemente avrebbero bisogno di un aggiornamento sebbene siano stati corroborati da recentissi-me ricerche nazionali e internazionali rispetto alle quali, al di là qualche distinguo, l’impianto complessivo viene con-fermato.

Nonostante queste limitazioni e riflessioni la ricerca per-mette di sviluppare diversi risultati rilevanti. In termini ge-nerali, la ricerca ha mostrato che l’appartenenza tra i nativi digitali, nonostante assuma contorni sempre più elettivi e meno legati a fattori prescrittivi ereditati, rimane un criterio di definizione della stessa personalità e in generale dell’i-dentità dell’adolescente. Se gli adolescenti della ricerca si ritirano in una comunità familiare, affettiva dominata quasi dalla tirannia dell’intimità (Sennett 1976; Campelli 2004; Giardiello 2014a), non rinunciano a scegliere, a riflettere e sperimentare strade, percorsi biografici finalizzati a ricom-porre un quadro semantico frammentario e precario, che dia senso e forza, anche se non definitivo, alla loro esistenza. Indubbiamente la ricerca evidenzia come nella società dei flussi, dell’era digitale il senso di appartenenza sociale intesa come sentirsi parte di un gruppo o di qualcosa non è elimina-to piuttosto si trasforma mutando radicalmente la sua natura. Più specificatamente quello che emerge è una commistione tra elementi simbolici e relazionali sostenuti da una ricerca di un’identificazione soggettivamente sentita nei confronti di un milieu culturale che si presenta privo o scarsamente an-corato a una dimensione spaziale definita. La ricerca mostra anche che nel caso in cui ciò non accade perché si verifica un’aderenza a-critica e irriflessiva alla realtà spaziale op-pure un processo di disancoraggio rispetto alle dimensioni simboliche, culturali della propria comunità, l’adolescente sperimenta una «bibliografia funambolica» la cui caduta im-plica uno scivolamento in realtà regressive sul piano della costruzione dell’identità. In questa circostanza si forma un duplice meccanismo regressivo che ha un forte impatto nella costruzione dell’identità: da una parte il formarsi di un «co-smopolitismo banale» centrato su un Io narcisistico che si considera parte del mondo a partire dalla condivisione di una cultura del consumo e dei media vissuti prevalentemente in

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Fig. 1a. – Percorso di formazione dell’identità - Bari

Fig. 1b. – Percorso di formazione dell’identità – Roma

Fig. 1c. – Percorso di formazione dell’identità – San Leucio

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