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«EIKASMOS» XIII (2002) I Rhetores Graeci di Giacomo Leopardi: la Seconda Sofistica nella valutazione di un giovane filologo * 1. Cenni sulla filologia leopardiana e sulla produzione erudita (1814-1816) Studi sugli scritti degli anni giovanili hanno messo in rilievo come prima della celebre ‘conversione’ alla filosofia ed in seguito alla poesia, culminata – è noto – con il progressivo abbandono della fede cattolica, il talento prodigioso di Giacomo Leopardi si fosse indirizzato agli studi eruditi e all’antiquaria, con il preciso inten- to, accanto alla filotimiva, di rendere un servigio alla cultura e alla sua patria 1 : ne derivò una produzione assai diversa per mole e argomenti, che fu in grado di attirare l’attenzione sia di letterati italiani 2 , sia di un certo numero di filologi stra- nieri 3 . Su tale produzione, che non cessò di essere lodata anche dopo la morte del poeta 4 , gravò in larga misura una sorta di impostazione ‘agiografica’ nei confronti * Si intendono qui presentare i risultati di un lavoro compiuto in vista dell’allestimento di una nuova edizione critica con introduzione e commento dell’opera leopardiana, che ho potuto approntare grazie al generoso sostegno ed al costante appoggio del Centro Studi Leopardiani di Recanati; la Famiglia Leopardi mi ha cortesemente concesso di consultare e collazionare un manoscritto in suo possesso. Molte persone, con i loro consigli, hanno contribuito a migliorare il testo: il mio ringraziamento va in primis ad A. Brancacci, G. Brugnoli, A. Carlini, A. Garzya, M. Tanja Luzzatto, M. Olivari, A. Pontani; all’amicale sostegno ed alla preziosa opera di revi- sione svolta da D. Campanile e L. Pernot devo importanti suggerimenti. Sono, infine, grata alla Direzione ed alla Redazione di «Eikasmós» per aver voluto accogliere il mio contributo e per avermi fornito ulteriori spunti di riflessione. 1 Già fin dagli studi ottocenteschi del Moroncini (1891), ma soprattutto nelle osservazioni più recentemente formulate da Treves 1976-1979, II 471ss. e Timpanaro 1997, passim. 2 Si veda ad esempio la Dissertazione intorno agli uomini dotati di gran memoria pubbli- cata nel 1815 da Francesco Cancellieri, il quale menziona il nome di Giacomo ed il suo scritto su Porfirio, dando così inizio alla serie dei topoi sull’enfant prodige, o sul puer senex: se ne può leggere il brano dedicato al Leopardi in Bellucci 1996, 35ss. (e già Cugnoni 1878, all. G); 56 n. 5 riferisce di altri ragazzi dal precoce talento nella stessa regione romagnolo-marchigiana, tra cui spicca il nome di Bartolomeo Borghesi. Il saggio di Bellucci risulta una fonte preziosa per rileggere documenti altrimenti di difficile reperimento, peraltro tutti riccamente annotati e com- mentati dalla studiosa. 3 Una dettagliata ricostruzione dei fatti si può leggere in Timpanaro 1997, 171-190 (che riassume anche la letteratura ottocentesca al riguardo, particolarmente Piergili 1889); cf. anche Bellucci 1996, 362ss. e 427-429. 4 Cf. le testimonianze sparse di Bellucci 1996: un positivo giudizio del Leopardi filologo

I Rhetores Graeci di Giacomo Leopardi: la Seconda …...I Rhetores Graeci di Giacomo Leopardi 345Al contrario, la produzione anteriore al 1816 era stata in un primo tempo valutata

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Page 1: I Rhetores Graeci di Giacomo Leopardi: la Seconda …...I Rhetores Graeci di Giacomo Leopardi 345Al contrario, la produzione anteriore al 1816 era stata in un primo tempo valutata

«EIKASMOS» XIII (2002)

I Rhetores Graeci di Giacomo Leopardi:la Seconda Sofistica nella valutazione di un giovane filologo*

1. Cenni sulla filologia leopardiana e sulla produzione erudita (1814-1816)

Studi sugli scritti degli anni giovanili hanno messo in rilievo come prima dellacelebre ‘conversione’ alla filosofia ed in seguito alla poesia, culminata – è noto –con il progressivo abbandono della fede cattolica, il talento prodigioso di GiacomoLeopardi si fosse indirizzato agli studi eruditi e all’antiquaria, con il preciso inten-to, accanto alla filotimiva, di rendere un servigio alla cultura e alla sua patria1: nederivò una produzione assai diversa per mole e argomenti, che fu in grado diattirare l’attenzione sia di letterati italiani2, sia di un certo numero di filologi stra-nieri3. Su tale produzione, che non cessò di essere lodata anche dopo la morte delpoeta4, gravò in larga misura una sorta di impostazione ‘agiografica’ nei confronti

* Si intendono qui presentare i risultati di un lavoro compiuto in vista dell’allestimento diuna nuova edizione critica con introduzione e commento dell’opera leopardiana, che ho potutoapprontare grazie al generoso sostegno ed al costante appoggio del Centro Studi Leopardiani diRecanati; la Famiglia Leopardi mi ha cortesemente concesso di consultare e collazionare unmanoscritto in suo possesso. Molte persone, con i loro consigli, hanno contribuito a migliorareil testo: il mio ringraziamento va in primis ad A. Brancacci, G. Brugnoli, A. Carlini, A. Garzya,M. Tanja Luzzatto, M. Olivari, A. Pontani; all’amicale sostegno ed alla preziosa opera di revi-sione svolta da D. Campanile e L. Pernot devo importanti suggerimenti. Sono, infine, grata allaDirezione ed alla Redazione di «Eikasmós» per aver voluto accogliere il mio contributo e peravermi fornito ulteriori spunti di riflessione.

1 Già fin dagli studi ottocenteschi del Moroncini (1891), ma soprattutto nelle osservazionipiù recentemente formulate da Treves 1976-1979, II 471ss. e Timpanaro 1997, passim.

2 Si veda ad esempio la Dissertazione intorno agli uomini dotati di gran memoria pubbli-cata nel 1815 da Francesco Cancellieri, il quale menziona il nome di Giacomo ed il suo scrittosu Porfirio, dando così inizio alla serie dei topoi sull’enfant prodige, o sul puer senex: se ne puòleggere il brano dedicato al Leopardi in Bellucci 1996, 35ss. (e già Cugnoni 1878, all. G); 56 n.5 riferisce di altri ragazzi dal precoce talento nella stessa regione romagnolo-marchigiana, tra cuispicca il nome di Bartolomeo Borghesi. Il saggio di Bellucci risulta una fonte preziosa perrileggere documenti altrimenti di difficile reperimento, peraltro tutti riccamente annotati e com-mentati dalla studiosa.

3 Una dettagliata ricostruzione dei fatti si può leggere in Timpanaro 1997, 171-190 (cheriassume anche la letteratura ottocentesca al riguardo, particolarmente Piergili 1889); cf. ancheBellucci 1996, 362ss. e 427-429.

4 Cf. le testimonianze sparse di Bellucci 1996: un positivo giudizio del Leopardi filologo

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di Leopardi5, con la tendenza riduttiva a considerare in blocco tutti questi scritti unmero stadio propedeutico per i lavori poetici della maturità6: si sarebbe dovutoattendere più di un secolo perché la filologia di Leopardi fosse valutata appieno perse stessa, con rigore di metodo, moderno approccio scientifico e amplissima docu-mentazione, allorquando vide la luce l’epocale studio di Sebastiano Timpanaro,dedicato a La filologia di Giacomo Leopardi 7, in cui lo studioso, unitamente aipercorsi culturali entro cui si poté attuare la filologia leopardiana (rilevava adesempio la novità e l’importanza rispetto allo stato della coeva cultura antiquariain Italia), delineò le caratteristiche che rendono tale produzione degna di affiancarsialle opere della maturità.

Essa può suddividersi schematicamente in due fasi, caratterizzate da differenti metodied orientamenti: la prima comprende trattati redatti in latino dal Leopardi durante la suaadolescenza (1813-1816), dedicati all’approfondimento sistematico di taluni aspetti e que-stioni letterarie del mondo classico, tra cui spiccano problematiche biografiche e storico-scientifiche. Le vere e proprie ‘note di lettura’ posteriori a quell’anno, ovvero le osserva-zioni sparse – essenzialmente di critica testuale – completamente inseribili negli àmbiti dellacosiddetta ‘filologia formale’8, sono, invece, già state raccolte e pubblicate a cura di G.Pacella e S. Timpanaro, nel volume degli Scritti filologici (1819-1832)9.

all’estero venne dato, oltre che in Germania, anche in Francia da Sainte-Beuve (382ss. in part.387) sulla «Revue des deux mondes» e in Inghilterra da W. Gladstone (484ss., in part. 479ss.)in «Quarterly Review» del 1850; a p. 175 è riportato un aneddoto su Leopardi filologo, pubblicatoin un necrologio anonimo del 20.VIII.1837, secondo cui il poeta sarebbe stato invocato a dirimereuna questione tra Paolo Costa e il letterato greco Dionisio Solomos. Cf. anche Timpanaro 1997,capp. 6 e 7, in cui si offrono ampie valutazioni della filologia leopardiana nel quadro degli studicoevi, e le già ricordate vicende editoriali degli scritti filologici. Importante, infine, è il giudizioformulato dal Boissonade già nel 1832, posto da Timpanaro quale esergo del saggio e discussoa p. 297 n. 3: «philologiae inter Italos rarum ac splendidum lumen».

5 Cf. Moreschini 1998, 188.6 Così la critica, dal Moroncini e dal Piergili, fino a Marti 1944, 28ss.; Scheel 1959, 9,

asserisce come gli studi classici del Leopardi adolescente sono la necessaria premessa per com-prenderne la grandezza poetica successiva. Sebbene il valore filologico di questi primi scritti sia«sehr gering», Scheel riconosce però a questo tirocinio filologico il fatto di avergli aperto lamente, e facilitato la sua disposizione alla filologia: «in Wirklichkeit ist aber Leopardis Beschäftigungmit der Antike die notwendige Grundlage für alles, was er späters schuf, gewesen, und einedeutliche Verbindungslinie von den unausgereiften Schriften mit streng philologischem Horizontzum reifen Werk wird gerade durch die Perspektive auf das Verhältnis zur Antike sichtbar» (62).

7 Edito presso Le Monnier, Firenze 1955: se ne legga ora la terza edizione per i tipi Laterza,Roma-Bari 1997.

8 Sulla genesi e gli sviluppi della moderna filologia in Germania e come essa acquisì icaratteri quasi di una scienza esatta cf. la recente, attenta, disamina di Degani 1999 (comeLeopardi possa essere annoverato tra i filologi formali, secondo il metodo inaugurato da G.Hermann, è discusso alle pp. 296ss.).

9 Editi presso Le Monnier, Firenze 1969.

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Al contrario, la produzione anteriore al 1816 era stata in un primo tempo valutata inmaniera meno favorevole da Timpanaro, il quale ne aveva rilevato la natura sostanzialmentecompilatoria, privilegiando la successiva, in quanto guidata da criteri differenti: brevi note,pervase di acutezza critico-testuale ed acribia interpretativa, piuttosto che farragine e schiacciantemassa di dati eruditi10. Per queste medesime ragioni gli studi del periodo più giovanile eranostati tralasciati anche dalla raccolta degli Scritti filologici, e soltanto nell’ultimo trentenniosono stati editi con criteri moderni11: la possibilità di conoscerli, con il corredo di un com-mento, mise in luce che, sì, tale differenza esiste, ma deve essere sfumata, se non si vuolecorrere il rischio di formulare un giudizio ingiustamente severo12.

Sarebbe arduo tentare di disconoscere o negare i limiti di quelle ricerche in cuiprevaleva la pura e semplice accumulazione di materiali; tuttavia, quello che aprima vista può apparire come difetto del solo Leopardi – e che talora è statointerpretato così sulla base delle lacune della biblioteca paterna o della formazionericevuta – era comune all’intero mondo degli intellettuali italiani, non solo nellaprovincia marchigiana e nel ristretto ambiente recanatese, ma anche nella stessaRoma13, e può riassumersi in un interesse per questioni di poco conto e minuzie, chesi limitavano a considerare e a giustapporre problemi di carattere essenzialmenteprosopografico, il cui risultato portava ad opere in cui l’enciclopedismo soffocaqualunque spunto critico14. Lo stato di pressoché totale abbandono in cui versava

10 La produzione di questi due anni di prodigiosa attività, anni che poi avrebbe descritto conl’ormai abusata formula di studio matto e disperatissimo, è costituita di parecchi lavori di carat-tere essenzialmente antiquario, dedicati ad autori della tarda antichità o del periodo bizantino:sebbene si noti subito come svariati campi di indagine siano presupposti (si va da scritti in linguaitaliana e di carattere più divulgativo quali sono la Storia dell’Astronomia, o il Saggio sopra glierrori popolari degli antichi, a testi di matrice erudita, cui accenneremo oltre), dette opere nellamaggior parte dei casi sono pure compilazioni: l’intento prevalente, pur con importanti preannuncidel miglior Leopardi filologo, è l’aspirazione a fornire sillogi complete di testi e di notizie, chesiano in grado di compendiare e di snellire le enciclopedie sei-settecentesche, collazionarne idati, proporre, talora, soluzioni personali, con l’esigenza di confrontare tra loro notizie fornite daaltri storici, pur non sempre prendendo posizione.

11 A cura di C. Moreschini, i Fragmenta patrum nel 1976; il Porphyrius nel 1983; il GiulioAfricano nel 1997. Altri sono tuttora inediti o in via di pubblicazione con gli auspici del CentroNazionale di Studi Leopardiani in Recanati. Cf. Tommasi Moreschini 1997.

12 Peraltro lo stesso Timpanaro, nella seconda edizione de La filologia ... (Roma-Bari 1978)offrì una ‘palinodia’ del suo precedente giudizio, ampliando di conseguenza le pagine dedicatealla considerazione del problema: cf. Timpanaro 1997, X.

13 Il che sarà notato anche dallo stesso Leopardi, il quale contrappone la vacuità e lainsignificanza della mera erudizione antiquaria romana alla conoscenza linguistica e all’esperien-za filologica dei dotti tedeschi presenti a Roma (tra cui un posto di rilievo è occupato da Niebuhr):cf. Epist. al padre del 9.XII.1822 (nr. 468 Brioschi-Landi = 223 Flora); a De Sinner, 24.XII.1831(nr. 1694 B.-L. = 788 F.). Altre lettere cita Degani 1999, 297ss.

14 Il modello ‘enciclopedico’ come linea guida di questa prima produzione leopardiana èmesso in evidenza anche da Sana 2000, 6, per quanto riguarda la Storia dell’astronomia.

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la filologia in Italia nel primo Ottocento era inoltre in contrasto stridente con inuovi metodi di matrice ‘scientifica’, inaugurati da Wolf e proseguiti da Hermann,che facevano assurgere la filologia a vera e propria scienza esatta e sistematica,sulle tracce del lavoro già compiuto da filologi del calibro di Scaligero, Grotius,Heinsius, Bentley15.

Giustamente, quindi, da un lato, questi scritti giovanili «sono genuina espres-sione della mentalità del nostro autore, in quegli anni di formazione culturale eideale, quando la sua adolescenza era sotto l’influsso della educazione paterna»16,e contemporaneamente – anzi, proprio in conseguenza di ciò – è senza dubbiopossibile affermare, con Pacella, che le prime opere giovanili di Leopardi risentonoancora del clima settecentesco, e non sono entrate per così dire nel nuovo secolo17:ché la effettiva, reale, filologia del Leopardi si potrà osservare solo in anni succes-sivi. Non è un caso che egli abbia dato i suoi frutti migliori, e con ben altra matu-rità, dopo aver avuto la possibilità di soggiornare in un mondo culturalmente vivacecome era Roma, parlare con i filologi tedeschi ivi presenti, consultare codici, dellacui importanza si era accorto fin dai tempi del lavoro su Giulio Africano, scambiareimpressioni ed opinioni con altri intellettuali, ed affinare così i suoi strumenticonoscitivi.

Roma, infatti, malgrado un sarcastico Leopardi ne stigmatizzasse con malcelataironia la mania per i cocci, i sassi, e le monete, frutto di una distorta concezionedell’antiquaria18, non era in realtà il chiuso e retrivo ambiente di Recanati, le cuiristrettezze ed i cui limiti in campo culturale suonano evidenti al Leopardi fin daiprimi, frustrati, tentativi di pubblicazione delle sue opere: egli ebbe in effetti asoffrire soprattutto la difficoltà di stabilire contatti con il mondo intellettuale ester-no, l’impossibilità di conoscere le novità editoriali, e la mancanza di un esameautoptico dei codici.

15 Sul sorgere della scienza filologica nella coeva Germania, non immune da polemiche,spesso asperrime, tra filologia formale (Sprach- o Wortphilologie), incentrata essenzialmente sultesto, e filologia storica (Sachphilologie), erede in certo qual modo delle visioni totalizzantidell’antiquaria sei e settecentesca, cf. ancora Degani 1999, con ulteriore bibliografia.

16 Cf. Moreschini 1982, 100.17 Cf. Pacella 1970. Sulla distinzione tra scritti filologici ed eruditi è tornato di recente

anche Lo Monaco 2000, 62s.18 L’indirizzo antiquario era uno dei due filoni che il mondo classico italiano andava per-

seguendo in quel periodo (cf. Timpanaro 1997, 4s.). Tuttavia, malgrado la presenza di figure dispicco per acume e doti intellettuali, quali furono ad esempio quelle di Visconti o di Borghesi,la mediocre levatura di molti altri personaggi, poco preparati sul piano linguistico, finì col tra-sformarne le giuste premesse – integrazione e suffragamento del dato storico-letterario con quelloarcheologico – in una pura attitudine al collezionismo fine a se stesso. Questo tradizionale puntodi vista è stato tuttavia ridimensionato da Mazza 1991. I giudizi, feroci, del Leopardi, ormaiorientato verso la critica testuale, si possono leggere in varie epistole del dicembre 1822 al padreed al fratello Carlo (cf. Timpanaro 1997, 64ss.; nonché Moreschini 1991, passim).

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La formazione culturale di Leopardi era avvenuta nel segno della ratio studiorumdella oramai dissolta Compagnia del Gesù19, in un ambiente che «ad una sia pursommaria ricognizione, [...] negli anni della Restaurazione, offre un’immagine diendemica povertà intellettuale mal compensata dai tassi quantitativamente elevatidi uomini di lettere»20 (raggruppabili sotto la dicitura di «scuola classica romagnola»21),e dove la scelta di dedicarsi a tale ruolo poteva essere «una delle vie più accessibiliin questi spazi geografici, e in molti casi fin dall’infanzia»22.

Rappresentante tipico di questa classe di gentiluomini può essere considerato, tra glialtri, Monaldo Leopardi, il quale, come egli stesso ricorda con un certo compiacimentonell’Autobiografia, non solo dette vita alla Accademia dei Diseguali nel 1803, ma si cimentòanche nella stesura di opere teatrali, dialoghetti e pamphlets, scritti con l’intento di dare uncerto lustro alla sua casata nobiliare, ma soprattutto in difesa degli ideali della fede cattolica.Del resto, lo stesso Giacomo è, sia pure per un breve arco di tempo, autore dichiaratamentecattolico, anzi decisamente conservatore, negli anni della Restaurazione e in un territorioappartenente allo Stato pontificio: egli intendeva presentarsi al pubblico colto come scrittoreperfettamente a suo agio nel clima reazionario del periodo successivo al Congresso di Vienna;in questo quadro si inseriscono scritti indirizzati ad un più ampio pubblico di eventualilettori, come la Orazione agli Italiani in occasione della liberazione del Piceno, o il Saggiosopra gli errori popolari degli antichi, che, se pure non presenta particolari novità di pen-siero o di stile, guarda al modello dei saggi dell’Illuminismo ed è animato dalla volontà didifesa del dogma cattolico e da una devota obbedienza agli insegnamenti della Chiesa23.Analogamente, la lettura delle opere erudite della adolescenza conferma di fatto la indiscus-sa fede religiosa del Leopardi in quegli anni: si veda la raccolta, massiccia e voluminosa,dei frammenti dei Padri della Chiesa24, nei quali pure si colgono qua e là i segni di unatteggiamento illuministico e religioso insieme25, ovvero quella su Giulio Africano, poligrafovissuto tra il II e il III secolo d.C., oggetto dell’ultimo e più maturo frutto della fase adolescenzialedegli studi leopardiani.

Tale è il risultato della educazione scelta da Monaldo per i suoi figli, la quale in sostanzaricalcava la linea di pensiero umanistico-gesuitica, e perseguiva una linea educativa, ove eraprevisto che si usufruisse «dei classici astoricamente, come modelli di lingua e retorica»26,

19 Notizie sulla formazione scolastica di Leopardi si trovano, ovviamente, in Timpanaro1997, cap. 1; cf. anche, da un’altra angolatura, Gioanola 1995.

20 Bellucci 1996, 26. Interessante per la ricostruzione del milieu in cui visse il nostro poetaè tutto questo primo capitolo, dal titolo Attraverso lo Stato della Chiesa. Percorsi in area classicista.

21 Cf. AA.VV. 1988, tra cui spicca la relazione di A. Traina, alle pp. 341-356, per quantoriguarda l’erudizione di marca classicista (leggibile anche in Traina 1989, 221-238). Su comequesto tipo di produzione possa rapportarsi a Leopardi cf. Entro dipinta gabbia, Xss.

22 Bellucci 1996, 28.23 Sull’influsso avuto da Monaldo nei confronti della religiosità di Giacomo cf. ora Elm

1995.24 Su di essi cf. anche Moreschini 1971.25 Cf. Moreschini 1982, passim.26 Cf. Entro dipinta gabbia, XVIII.

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in cui il latino aveva sempre rappresentato il nerbo e la struttura portante27. I veri e propriinteressi per l’antichistica, intesa come ‘filologia’ e soprattutto erudizione28, segnano il pas-saggio, a partire dal 1813, ad un secondo e più maturo stadio, in cui la conoscenza del mondoclassico diventa maggiormente determinante, metodicamente più fondata, e viene a coinci-dere con quella fase degli studi da autodidatta (da Leopardi stesso rammentata variamente),comprendente il fondamentale apprendimento del greco29. Essi culminarono con la produzio-ne degli anni 1814-1816, immensa per mole e per ampiezza di interessi, costituita da operedi carattere più erudito che filologico, conformemente al coevo gusto per la farrago, oveprevalgono interessi di completezza ed esaustività, il che porta necessariamente all’impiegodi citazioni di seconda mano, e quindi al carattere essenzialmente compilativo di esse. Maanche in questo gusto per il dettaglio ricercato e prezioso, per la precisione minuziosa nellaquasi pedante enumerazione di autori, fonti, fortuna, per lo zelo, l’acribia, e la completezza,che presentano una mostruosa congerie di nomi, autori, opere, luoghi, si può notare unriflesso dell’educazione paterna: il rigore stesso degli studi filologici può essere visto comeil proseguimento degli ideali di Monaldo30.

27 Sul modello educativo proposto dalla Compagnia del Gesù, e sulla funzione basilare rico-perta dal latino, cf. l’ormai classico saggio di Garin 1957, che scorge in tale uso un ricupero delfilone erasmiano, e, più recentemente, Anselmi 1981; Brizzi 1982; Severi 1985, 178; Ballerini1985, 228ss. Basti del resto leggere alcune sezioni della stessa Ratio (per es. il capitolo intitolatofines atque exercitationes scholarum grammaticae et humanitatis, nel testo del 1596 [pp. 128ss.dell’edizione critica di Lukács 1986]) Anche nel caso di un altro scrittore che avrebbe fatto dellatino la sua seconda lingua letteraria, di decisiva importanza sembrano risultare gli studi giovanilipresso i Padri Scolopi, e tutto l’apparato di esercizi scolastici nella lingua di Roma: alludo natu-ralmente al Pascoli, sulla cui educazione cf. Traina 1981, 199 (cf. ibid. 185-195 sul ciceronianesimodi marca umanistica; e Treves 1958 sul classicismo nel dibattito letterario ottocentesco).

28 Questa distinzione è in Timpanaro 1997, 3-6, il quale esamina i due indirizzi di studi cheallora essenzialmente dominavano nella cultura filologica italiana, quello umanistico-gesuitico,isterilitosi ormai in una pura imitazione formale dei classici, ed un secondo, che andava affer-mandosi, di tipo erudito-antiquario, in cui si cercava di integrare le fonti letterarie mediante datistorico-archeologici.

29 Cf. Timpanaro 1965, 58ss.: lo studioso evidenzia la distinzione sempre più marcata cheandava caratterizzando i letterati italiani, i quali conoscevano in molti casi il latino ed il francese,ma non il greco, ove detta lingua, insieme all’ebraico (e talora anche ad altre lingue orientali),era conosciuta dagli ‘eruditi’, il più delle volte ecclesiastici.

30 «Nessuna capricciosa divagazione dunque e nessuna libera curiosità negli studi post-scolastici di Giacomo, come il materiale erudito tanto eterogeneo e peregrino lascerebbe pensare,perché tutto è coerentemente sottomesso alla regia dettata da ciò che abbiamo chiamato unagigantesca caccia all’errore: la filologia, in questo senso, con il ristabilimento delle lezioni te-stuali, il recupero documentario, la minuta ricostruzione delle circostanze storico-ambientali, lacautela e il rigore delle congetture è una vera scuola di esattezza e acribia, oltre che di logica,contro ogni concessione all’immaginario e al fantastico. Monaldo, da tanto tempo ormai e ditanto inferiore al figlio, non senza paterno compiacimento, continua a dominare nella mente delragazzo prodigioso, che ogni cosa fa per lui e trova senso a ciò che fa solo nella muta approva-zione del padre»: Gioanola 1995, 117. Il motivo della ‘caccia all’errore’ è ribadito anche da A.Massarenti, nella prefazione alla riedizione della Storia dell’Astronomia, Milano 1997, 18.

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Considerando gli studi leopardiani alla luce delle mutate concezioni estetichee filosofiche, della successiva produzione e del ripudio degli scritti giovanili, si èsenz’altro portati a giudicarli negativamente; si deve invece ricordare che Leopardinasce e si forma in questo ambiente, salvo poi gradatamente staccarsene e giungeretalora a criticarne i metodi educativi: di tal genere era la formazione di cui potevanogodere pressoché tutti i giovani di buona famiglia, ed il sistema didattico di matricegesuitica, malgrado la chiusura ufficiale delle scuole dell’ordine continuava adessere praticato – sia pure con aggiustamenti e correttivi – anche nelle istituzionipubbliche. È vero che la polemica sul latino e sul modo di insegnarlo, come l’at-tacco ai ‘pedanti’, sostenuto in particolare negli ambienti più aperti all’Illuminismo,si era andata acuendo a partire dalla metà del Settecento, e le istanze riformatriciavevano portato ad una riforma delle grammatiche e dei metodi pedagogici, con unasempre maggiore apertura allo studio della lingua italiana, ma di fatto gli autoriclassici, latini in particolare, restavano, a livello della cosiddetta istruzione supe-riore31, il fulcro ed il culmine della formazione32.

È parimenti facile criticare, con i criteri odierni, la grande biblioteca paterna,che, arricchita ed accresciuta, se non materialmente inaugurata da Monaldo, tutta-via costituisce, per quanto riguarda il settore antico – e più propriamente patristico– uno splendido esempio di biblioteca privata, messa insieme da un dilettante, epoteva considerarsi all’avanguardia nella regione marchigiana: pur con inevitabililacune33, brillano infatti «notevolissime specificità in certi settori»34. Essa era stata

31 Sulle differenze tra istruzione primaria e secondaria, che andavano forgiandosi in quelperiodo, cf. Lucchi 1985.

32 Cf. Ballerini 1985, 236ss., 274ss.33 Leopardi ebbe modo, tuttavia, di consultare anche altre biblioteche recanatesi, quella

degli Antici, dei Roberti (ora Montefoschi, a Macerata), del Seminario, e quella privata dell’abatealsaziano Vogel, che era attivo nelle Marche e fu corrispondente coi Leopardi, integrando cosìle carenze della collezione paterna. Si veda oltre la discussione sulle fonti dello scritto sui retori.Cf. anche l’Introduzione di M. Corti in Entro dipinta gabbia, in part. Xss. (con rimando soprat-tutto a Bianchi 1922).

34 Moreschini 1998, 208. Si può dire che le edizioni più importanti di testi cristiani antichiallora disponibili si trovavano tutte nella Biblioteca Leopardi: esse gli permisero la composizionedegli scritti su Giulio Africano, sul Chronicon di Eusebio, sui Fragmenta Patrum Graecorum. Èpresente nella biblioteca buona parte delle edizioni maurine; nell’àmbito patristico non ha luogoquella scissione tra studi di latino e studi di greco, a tutto detrimento del greco, che si puòriscontrare, invece, per i testi classici nell’Italia del primo Ottocento; anzi, nel suo complesso, lapatrologia greca della Biblioteca Leopardi era più ricca di quella latina. Per tal ragione, gliinteressi patristici di questi primi anni di Leopardi furono molto più rivolti alla letteratura cristia-na greca che a quella latina. Meno aggiornata, invece, la sezione dedicata alla critica: ma bisognatenere presente che la critica patristica era, allora, progredita soprattutto grazie agli studi diprotestanti e anglicani, i quali, nel Seicento e nel Settecento, avevano creato la filologia biblicae dato impulso a nuove ricerche. Alcuni dei testi critici più usati dal Leopardi furono quelli delTillemont: eccellenti, senza dubbio, ma risalenti agli ultimi decenni del secolo XVII. Probabil-

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dotata infatti di molti strumenti critici, quali le grandi enciclopedie sei-settecente-sche di eruditi come Fabricius, o di Tillemont o di Meursius, i dizionari35, e molteedizioni di autori greci, per la massima parte, e latini, particolarmente di età tardao cristiana: al contrario, molti testi classici, anche di una certa importanza, sareb-bero continuati a mancare anche negli anni successivi36: di alcuni Giacomo stessoavrebbe avuto occasione di lamentare l’assenza37, di altri, forse, non si rese neppureconto, in virtù del retaggio dell’educazione ricevuta, che non contemplava la letturadi alcuni autori ora considerati indispensabili ai cultori del mondo antico38.

2. Gli interessi biografici e lo scritto sui Retori

Alla luce della biblioteca paterna e dell’inclinazione allo studio del periodopost-classico39 non può e non deve apparire strana la scelta di dedicarsi allo studiodi autori tardi, scelta che sembra perdurare anche in un periodo successivo dellaproduzione filologica leopardiana40. Più in particolare, accanto alla predilezione per

mente libri di critica erano difficilmente reperibili non solo a Recanati, ma un po’ in tutto lo StatoPontificio, e Monaldo si sarebbe peritato di acquistarli, anche se lo avesse potuto. Ritengo, infine,doveroso aggiungere che molte delle edizioni impiegate risalivano sì ancora al Seicento, ma queitesti non avevano potuto nel frattempo trovare un altro editore.

35 Tra essi ricordiamo il lessico greco-latino dello Scapula (nell’edizione stampata a Basileanel 1615); quello del Tusanus (Venetiis 1565) e quello dello Schrevel (edizione padovana del1759); vi era inoltre il Lexicon totius latinitatis del Forcellini nell’edizione del 1805.

36 Anche la scelta dei libri e l’indirizzo cui erano rivolti gli sforzi di acquisizione da partedi Monaldo rispecchiano non solamente la sua personale limitatezza mentale e culturale nei con-fronti degli studi classici, ma quel più generale disinteresse, quella angolatura parziale ed antiqua-ta per quanto attiene alle letterature antiche corrispondeva, nel complesso, alla cultura dello stessoStato pontificio: cf. Moreschini 1998, 208s.; inoltre Brugnoli 1994, per il côté tecnico e linguisti-co. A questo aspetto va comunque aggiunto il lato speculare, che cioè la critica ottocentesca, dimatrice positivista e fortemente imbevuta di classicismo, avrebbe relegato la cultura letterariacristiana (e quella tardoantica, più in generale) in un canto, prediligendo le cosiddette età auree.

37 Ad esempio di Senofonte e Tucidide, tra gli storici, e di Euripide (cf. Timpanaro 1997,16). Per quanto concerne gli autori discussi nel testo sui retori che qui presentiamo, si osservicome negli anni successivi Leopardi avrebbe avuto occasione di riprendere in mano o leggere exnovo alcuni testi: cf. Pacella 1966.

38 Come poteva essere Eschilo (cf. Timpanaro 1997, 17). Questa opinione sembra essereparzialmente contraddetta da Treves 1958.

39 Mentre del Leopardi poeta sono state studiate le fonti antiche tenendo conto degli aspettipiù tipicamente neoclassici e a lui derivanti dal classicismo settecentesco (il che implicava ungiudizio di valore, a seconda dei casi positivo o negativo, su determinati autori: di ‘classicismomoralistico’ parla D’Elia 1967, 128), al contrario, gran parte della produzione filologica leopardianaconsidera ed apprezza questioni e scrittori di età più tarda.

40 Ma sull’assenza del pregiudizio classicista in una certa linea di studi sul mondo anticocf. D’Elia 1967, 133.

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i Padri della Chiesa e gli scrittori religiosi, un altro interesse domina ed accomunai lavori leopardiani degli anni 1814-1816: quello per la biografia (tardo)-antica.Dalla traduzione dell’Onomatologo di Esichio Milesio, all’incompiuta raccolta deiframmenti di Giulio Africano, attraverso i Rhetores ed il De vita Plotini di Porfirio,il costante filo conduttore dell’impianto biografico lega opere tra loro diverse perimpostazione ed argomenti trattati. Va inoltre notato come i leopardiani viri doctrinaillustres siano non già personaggi storici, condottieri o uomini politici, ma uominiillustri per cultura, il che permette di inquadrare pienamente tali lavori nel ‘sottogenere’della biografia letteraria41. Lo scritto sui retori fin dal titolo, che completo suonaCommentarii de Vita, et Scriptis Rhetorum quorumdam, qui secundo post Christumsaeculo vel primo declinante vixerunt, palesa il medesimo interesse, e doveva, negliintenti del sedicenne autore, tracciare uno status quaestionis, riassumendo le cono-scenze del momento, a proposito di quattro grandi scrittori della prima età imperia-le: i greci Dione Crisostomo, Elio Aristide ed Ermogene; e, accanto ad essi, il latinoFrontone, del quale – lo ricordiamo – ancora non si aveva conoscenza diretta.

Affine a questa raccolta in latino si deve considerare anche la traduzione dell’operadall’analogo titolo De viris doctrina claris scritta nel VI secolo da Esichio Milesio, che èda annoverarsi tra le fonti di quella «compilazione delle compilazioni» che è il lessico dellaSuda42: Leopardi poté leggerne il testo nel Meursius e la traduzione, corredata di note, fuapprontata nello stesso anno 1814, ma precedentemente ai Rhetores: si tratta di brevi aned-doti riguardanti alcuni dei personaggi più noti del mondo antico, elencati in ordine alfabetico,con particolare attenzione rivolta a filosofi ed oratori; sebbene non manchino scrittori verie propri, e persino giuristi43.

Anche l’ultimo e più maturo degli scritti filologici del periodo, il Giulio Africano, dacui si può intravvedere un vero e proprio interesse per la trattazione monografica, non mancadi assecondare la tendenza di cui si è detto, tentando di operare una ricostruzione dellapersonalità altrimenti oscura dello scrittore, e delle opere eventualmente attribuitegli44. Ilmedesimo interesse si palesa nel coevo studio su Porfirio, di cui Leopardi aveva edito la Vita

41 Su tale aspetto cf. Brugnoli 1968, 32ss.42 Adotto la denominazione tradizionale, pur consapevole della vexatissima quaestio circa

l’esatto titolo e la eventuale paternità di tale enciclopedia: cf. anche Degani 1987, 1184 (ripresoed ampliato in Degani 1995, 525).

43 Infine, le note (quando non vadano considerate ad uso privato di Leopardi) sono spessoosservazioni diffuse, non prive di una certa farraginosità, di carattere erudito, volte ad aggiungereo a confutare le brevi e stringate formulazioni di Esichio Milesio: talora, inoltre, vengono pro-poste nuove ipotesi di lettura, originali, non di rado derivate da un confronto con le letture eruditeo lessicografiche costantemente presenti nella formazione filologica del Leopardi. Essendo laprima opera composta dopo lo studio della lingua greca si nota tuttavia ancora un certo sforzo,sebbene nello stile di questa traduzione Scheel 1959 ponga i prodromi della futura prosa ‘filo-sofica’ delle Operette Morali. Egli vi ritrova evidenziati alcuni temi che saranno poi una costantenel Leopardi, ad es. «die stete Betonung der virtus» (63).

44 Cf. l’introduzione del curatore, p. X, e le sezioni <I> e <II> del testo. Dello stadio attualedella ricerca su Giulio Africano informa Wallraff 2000.

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di Plotino. Risulta particolarmente importante il fatto che da questi scritti si manifesti unaconcezione della storia come concatenazione di exempla famosi da imitare: un esplicitoproclama di tale concezione si riscontra appunto nella trattazione dedicata alla Vita Plotini,sulla scorta di Holstein45: oltre allo scritto di Porfirio, considerato tra gli esempi letteraria-mente più validi del genere46, in quella stessa sede Leopardi aveva premesso una De VitisVirorum doctrina illustrium ab Antiquis Auctoribus conscriptis Commentatio, un repertorio,talora confuso, pieno di erudizione e sotto molti aspetti oramai superato, che raggruppavaraccolte antiche di Vitae di personaggi celebri, ed una sorta di elenco enciclopedico degliautori di biografie del mondo classico, greco e latino.

Tuttavia, al Leopardi – ed in generale a quanti, seguendo le orme in primis delVossius, autore di monumentali scritti su personaggi del mondo greco, e deglistoriografi tardorinascimentali e barocchi, si erano dedicati ad indagare questionibiografiche – sembrano interessare solo marginalmente i problemi di tipo letterario,e solo in rari casi affiorano note di carattere filologico e congetture. Preminente,infatti, è il dato prosopografico, che coinvolge tutto il resto47: ad esempio, in questapur «puntigliosa, indefessa ricerca», «niente è più lontano dai suoi interessi delproblema dello sviluppo della biografia greca o delle varie forme e i vari schemidella biografia antica, che sono i problemi più vivamente dibattuti attualmente»48.

Leopardi, infatti, recepiva il paradigma biografico di impostazione rinascimentalee barocca, che, tanto nel genere storico, quanto in quello ‘grammaticale’, non di radopresenta caratteri di apologo e divide i personaggi in base alle categorie dei vitia odelle virtutes, l’ultima delle griglie e delle rubriche fisse derivanti dalla tradizioneclassica entro cui essi sono rigidamente inseriti49. Inoltre, anche il parallelismo di

45 Cf. Lo Monaco 2000, 66ss.46 E tuttavia pubblicato dal Leopardi forse solo perché immediatamente accessibile alla sua

lettura. Testo ed amplissimo commento dell’opera plotiniana, con numerose referenze alla lette-ratura secondaria, si leggano ora in AA.VV. 1982. Sul valore paradigmatico della biografiaporfiriana si veda anche Männlein-Robert 2002.

47 Un dato che sembra tuttavia comune alla storiografia ed erudizione coeva: cf. Treves1958, 311.

48 Porphyrius, 6 e 8. L’attenzione degli studiosi fin da Droysen si è concentrata ad indagarequale sia stata la genesi di questo genere letterario, che fin da subito risultò essere dotato dicaratteristiche peculiari, differente dalla storiografia, ed il milieu entro cui situare il suo diffon-dersi: tra la bibliografia più recente, per limitarci al panorama degli studiosi italiani, cf. Momigliano1971; Gentili-Cerri 1983; Arrighetti 1987; Brugnoli 1987; Id. 1995; Gallo 1997.

49 Si veda Schoeck 1991. Lo Monaco 2000, 75ss. (come parimenti nella Appendice) mettein rilievo la analogia tra la divisione in paragrafi presente nella Vita di Dione, nella sezionebiografica del lavoro su Giulio Africano e nel De vita et scriptis Cassii Dionis Commentarius diH.S. Reimar, posto in calce all’edizione dell’opera di Dione Cassio: il trattato di Reimar èindubbiamente uno dei modelli che Leopardi ha tenuto presente (soprattutto in quanto dirimevaparecchie delle questioni sorte in seguito all’omonimia dei due personaggi), ma la divisione insezioni inerenti a nomi, stirpe, luogo di origine, vita, magistero, etc., è una costante di tutta laproduzione biografica, fin dal mondo classico, e non del solo Reimar.

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ispirazione plutarchea (cui si veniva ad aggiungere la contrapposizione di personaggiantichi e moderni) sarebbe stato collegato fin dall’Umanesimo all’idea dell’esemplaritàdel personaggio: è per tal motivo che, talora, si giungono a sfiorare i toni dell’agiografia,particolarmente nel campo della storiografia ecclesiastica inaugurata dopo laControriforma, e propugnata da personalità come Platina, Baronio, Bellarmino, e lacongregazione dei Bollandisti, i quali applicavano criteri antichi a personaggi con-temporanei. Pur in una sostanziale stasi che non comporta per il secolo successivoradicali innovazioni, è però importante mettere in rilievo anche la nuova concezione,espressa soprattutto da Voltaire, di saldare l’eroe alla sua età, e considerare quantola sua attività abbia giovato al genere umano50: essa si ritroverà anche nel Leopardi.

L’interesse per il genere biografico antico deriva quindi al nostro scrittore daicriteri interpretativi umanistico-barocchi, che andavano congiungendosi all’inter-pretazione in senso ‘esemplare’ di Plutarco e Svetonio, e si manifesta più voltenelle petitiones principii, enunciate nelle prefazioni del Porfirio, ed anche dei Retori:a partire da una concezione della storia intesa in senso narrativo, si afferma che labiografia storica descrive le vicende dei grandi uomini, quali essi sono stati, mentrei grandi letterati rappresentano gli uomini quali avrebbero dovuto essere51: l’ideadell’exemplum, e particolarmente quello di una utopica superiorità delle belle let-tere, è sempre in primo piano, come mostrano le parole del § 1 della Commentatio,che procedono per contrapposizioni:

Historia universa nil aliud, quam seriem praestat, texturamque Vitarum illustrium virorum... Jam vero litteraria Historia non minoris forte facienda quam civilis; majoris immo siprobitatis nota inspiciatur. Ista quippe inter bella progredi solet, tumultus, caedesque; illanonnisi inter pacem, silentiumque gradi litterariis tantummodo controversiis interdum haudpericulose turbatum … ista ad passionibus satisfaciendum intentos homines retegit, illa advitia coercenda: ista nocendi homines cupidos; illa opis ferendae studiosos: ista tandemqualis est ipse hominem pandit; refert illa qualis esse deberet52

e, del pari, quelle contenute nella introduzione ai Rhetores:

Cujus [scil. Dionis; ma può valere per qualsiasi altro letterato] memoriae ut sit, quadecet, cura consultum, opus est ejusque genus inquirere, factaque prosequi, et relicta ingeniimonumenta recensere. Quod praestare utile imprimis existimo. Siquidem doctissimorumVirorum exempla recolere, solet viventibus doctrinae praebere incitamenta. Hinc laudis,hinc gloriae studium, hinc aemulae mentis contentio. Quis enim et infoecundas gloriae, etlaudum expertes Sapientiam vocet, et litteras?53

50 Cf. Giarrizzo 1995, 302.51 Su questo topos letterario, particolarmente frequente nella letteratura rinascimentale, cf.

ora Tateo 1991.52 Ulteriore commento del passo si legge a p. 93 del Porphyrius, ove il curatore connette il

fosco scenario dei lutti umani alle recenti guerre napoleoniche.53 Cf. De Vita, et Scriptis Dionis Chrysostomi § I.

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Una breve epistola prefatoria ed un paragrafo introduttivo aprono il libro, scrit-to alla fine del 1814: la prima, contenente un conciso, ma elegante, riassunto deicontenuti è indice di come il testo fosse pronto e destinato alla stampa, per quantodi differente ampiezza ed importanza sarà la prefazione scritta qualche anno dopoper il Frontone dedicato ad Angelo Mai; la Introductio premessa alla vita di DioneCrisostomo ripercorre invece i motivi guida degli interessi biografici e letterari.Giustificata in tal modo da un proposito di tipo ‘etico’, la scelta dell’argomentotende a farsi più ampia, e a superare i limiti del modulo indubbiamente esemplatosulle biografie classiche, ovvero umanistiche, sebbene non sempre il propositoglobale di «litterariam historiam ... illustrare», ambiziosamente manifestato dalLeopardi in questa stessa introduzione, sia rispettato: egli infatti si limita a deline-are la vicenda biografica di ciascuno di tali retori, considerati come il fulcro attornocui eventualmente far ruotare figure minori che permettano l’integrazione di dati enotizie; inoltre, accompagnare le quattro trattazioni monografiche a quattro opusculache servissero ciascuno ad incorniciare più compiutamente la vicenda biograficadei singoli autori – la cui opera non era, all’epoca, direttamente nota allo scrittore54

– è forse sintomo di un approccio ‘filologico’, come fanno supporre anche leObservationes di cui sono corredate, di carattere più eterogeneo e più simile aisuccessivi scritti di natura linguistico-testuale: vi sono infatti pubblicate la EpistolaPhilostrati Aspasio, in cui si fissano i canoni propri del genere epistolare; unaEpistola Theophylacti Bulgariae Archiepiscopi, scritta intorno alla fine dell’XIsecolo dal noto arcivescovo di Achrida, del pari dedicata a questioni letterarie (essaè da annoverarsi tra i testimonia circa la paternità del Peri; eJrmhneiva" dello pseudo-Demetrio55); parte della hypothesis dei Deipnosofisti di Ateneo, che desidera forni-re una ricostruzione dell’atmosfera culturale entro cui si mossero i nostri sofisti56;ed, infine, la prima lettera del primo libro di Sidonio Apollinare, concernente lostile di Frontone.

La preminenza dell’impianto biografico è evidenziata anche dalla strutturadell’opera, la medesima in tutti e quattro i casi; perciò si va dalle questioni inerentiai nomi, la genealogia, la patria di origine, la carriera, le qualità fisiche e morali,al Nachleben ed all’elenco, completato da un sommario giudizio, delle opere (siponga l’attenzione, ancora una volta, sul raggruppamento nelle due categorie discripta quae extant e scripta deperdita) dei quattro retori. A simili problemi di

54 Resta invece traccia, nell’elenco di letture che possediamo (pubblicato da Pacella 1966),di un successivo approfondimento diretto, sui testi, per quanto concerne alcune orazioni di Dioneed Aristide, e per gli scritti retorici di Ermogene. Di Frontone, come è noto, Leopardi continuòad essere ammiratore, ed ebbe modo di offrire altri contributi in merito.

55 Cf. Chiron 2001.56 Per quanto riguarda queste e similari opere miscellanee (i Saturnali di Macrobio o già le

Notti Attiche gelliane), si vedano tuttavia le fini osservazioni di Edwards 1997, 232, per il qualeesse possono parzialmente rientrare nel genere biografico, in quanto rendiconti di gesta di uominifamosi.

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carattere erudito fa quindi pendant una rigida concezione tassonomica, ove questotacito ordine, retaggio del genere biografico, non è mai violato.

Va preso in considerazione un ulteriore elemento sotteso alla composizionedello scritto, vale a dire la contingenza storica, poiché in quegli stessi anni i soste-nitori del purismo andavano diffondendo non senza difficoltà le loro idee, propriocome nel II secolo la cultura letteraria si era indirizzata verso una riscoperta delgusto arcaizzante, e più in generale verso un ritorno alla purezza originaria dellatino57.

Si comprendono con ciò gli ideali rapporti tra Leopardi e Frontone, una sorta di sympatheiache non si esaurì con lo spegnersi del gusto per l’erudizione settecentesca, ma, rinfocolatadalle scoperte del futuro Cardinale Angelo Mai, sarebbe perdurata a lungo, ed avrebbeprodotto frutti filologici ben più maturi58: pertanto risulta di un certo interesse considerarela sezione de vita et Scriptis M. Cornelii Frontonis, in quanto composta prima che il Mai,all’epoca Prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, rinvenisse i frammenti di uncodice palinsesto bobbiense contenente le opere frontoniane considerate ‘minori’59 e nefornisse una prima edizione nel 1815: del sofista, noto per essere stato il precettore di MarcoAurelio e di suo fratello Lucio Vero, non era sopravvissuto alcuno scritto, salvo due o trebrevissimi frammenti, di dubbia collocazione: ma ad acuire l’interesse per il personaggiorestavano le notizie riportate a suo riguardo da molte fonti antiche, che lo celebravano comeretore di prim’ordine e insigne oratore. Proprio dalla tradizione indiretta, Leopardi puòcomunque ricavare numerosi dati biografici, sui quali insiste in maniera particolare. Confor-memente infatti al modello già evidenziato, lo scritto su Frontone presenta l’ordine per‘rubriche’ e l’inserzione di digressioni di tipo erudito: l’interesse e la umanissima simpatianei confronti del personaggio vi traspaiono in modo abbastanza scoperto, come una sorta dibenevola, malcelata parzialità sarebbe stata espressa qualche anno più tardi nella disserta-zione in lingua italiana Sopra la vita e le opere di M. Cornelio Frontone, che accompagnavaun volgarizzamento, poi ripudiato, delle sue opere, dedicato con giovanile entusiastico slan-cio al Mai, la cui fama, inscindibile da quella del secondo tra gli oratori romani, non sarebbemorta se non quando fosse venuta meno la gloria di costui60. In questo Discorso, tuttavia,la materia è meglio organizzata, e la forma tende ad essere più scorrevole, grazie forseall’uso della lingua italiana: a parte le precisazioni dovute a riscontri oggettivi sull’epistolario,in linea di massima Leopardi ripropone quanto già espresso nell’opera giovanile, concen-trandosi prevalentemente su una direttrice letteraria, e su un’altra di tipo etico-politico.Proprio per quanto riguarda la lingua dal gusto arcaizzante e dalla vena in generale antisenecana

57 Cf. Timpanaro 1997, 122. Alla concezione leopardiana di una filologia che vada di paripasso con un impegno etico, e non sia solo erudizione, ampie pagine dedica appunto il saggio diTimpanaro, mostrando che per Leopardi la filologia è forza morale, stimolatrice di energie, modoper partecipare all’agone politico, in un continuo raffronto tra mondo antico e mondo moderno.Sulla moda dell’arcaismo nel II secolo d.C. cf. la disamina di Gamberale 1990.

58 Cf. anche Tommasi Moreschini 1998.59 Su questo aspetto della produzione frontoniana, cf. Cugusi 1983, 241ss.60 Questa scoperta di Mai fu la prima occasione che Leopardi ebbe per cimentarsi con i dotti

del suo tempo: riveste dunque una particolare importanza (cf. Timpanaro 1997, 24ss.).

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e antimodernista, va qui scorto uno dei motivi che possono senz’altro aver influito su questascelta e su questo giudizio altamente positivo da parte del Leopardi, prima ancora dell’en-tusiasmo per la riscoperta, e quindi per la novità e l’aspettazione, di un autore che era statonell’antichità tanto celebrato ed accostato a Cicerone61. Ma anche l’altro aspetto del nostroretore, che lo vede slegato dal suo ruolo pubblico, emerso meglio grazie ai dati contenutinell’epistolario, vale a dire il suo essere un ‘gentiluomo’, discretamente benestante, solle-cito e premuroso padre di famiglia, e soprattutto maestro di vita e di scuola62, viene centratodal Leopardi, che ne loda soprattutto le doti di integrità e probità morale, prima ancora cheintellettuale.

La medesima probità, concretizzatasi in un impegno politico a favore della sua città,dopo l’esperienza dolorosa dell’esilio e della tirannia di un cattivo principe, caratterizzaanche la figura di Dione di Prusa: all’esame della sua personalità e della sua attività dipoligrafo indefesso è dedicato il primo dei quattro studi monografici leopardiani. Ma la suaimportanza come testimone ed osservatore dei suoi tempi, oltre che come anticipatore delfiorente movimento della Seconda Sofistica, ribadita in tempi recenti, era già ben chiara piùdi un secolo fa, allorché Burckhardt e Mommsen avevano formulato un giudizio altamenteelogiativo nei suoi confronti. Di questo ruolo pionieristico svolto dal retore di Prusa, Leo-pardi sembra essere già cosciente, dal momento che, differentemente da quanto avvienenella Bibliotheca Graeca di Fabricius, ove il Crisostomo è trattato nel III volume, accantoa poligrafi che per molti aspetti gli sono consentanei, Plutarco di Cheronea e Luciano diSamosata, egli propende per accostarlo agli altri lumina eloquentiae del II secolo, Aristide(con digressioni su Erode Attico, Favorino e Polemone), Ermogene ed, infine, Frontone,quasi in una ideale continuazione del De grammaticis svetoniano, che si era arrestato aValerio Probo63.

Altra problematica, assai viva ancor oggi, per quanto considerata sotto una differenteprospettiva, era la contrapposizione tra la produzione ‘sofistica’ – intesa come disimpegnata

61 Cf. Paratore 1982. Il fatto che Leopardi apprezzasse notevolmente Frontone ha, peraltro,destato una certa curiosità: cf. Holford-Strevens 1988, 94.

62 La sua parabola biografica è, per certi aspetti, ben riassunta da Kennedy 1972, 594:«Fronto was not a sophist, not a rhetorician, nor a professional teacher, but a Roman orator whowas interested in sophistry and rhetoric, and became a tutor».

63 «Leopardi a eu en outre une bonne idée, je crois, en adjoignant Fronton aux trois GrecsDion, Aristide et Hermogène. C’était reconnaître une affinité profonde entre la culture de ceRomain et celle des sophistes grecs, point sur lequel on n’insiste peut-être pas assez de nos jours»(L. Pernot, comunicazione privata; cf. anche Anderson 1993, 20ss.). Il nesso imprescindibile tracultura greca e latina (sviluppato essenzialmente sul piano politico) è però tangibile anche sulpiano della educazione letteraria, come osserva Russell 1990: al greco nella formazione di basesi aggiungevano le cosiddette eijkovne", e la stilistica di marca latina. Si noti per inciso, tuttavia,come il primo che avesse pensato di inserire Dione nella categoria dei ‘sofisti’ era già statoFilostrato, le cui Vitae Sophistarum (in ogni caso ignote per lettura diretta a Leopardi), partendoda una base di tipo peripatetico, si ampliano, grazie all’inserzione di aneddoti e apoftegmi, in unostudio del carattere vero e proprio, fino a ricreare in tutta la sua mondanità e grandezza l’ambientesofistico mediante una narrazione gradevole e a retorizzare così la biografia letteraria: per ilcontesto storico entro il quale maturarono le Vitae Sophistarum si veda da ultimo Billault 2000,cap. 3.

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e per certi aspetti nugatoria – e quella ‘filosofica’, coincidente con il ritorno in patria dopol’esilio e l’inizio della attività politica64: siffatto dibattito, vivo fin dai tempi di Filostrato esoprattutto di Sinesio di Cirene e del suo Dione, viene recepito, almeno in parte, da Leopar-di; egli offre una interpretazione della vicenda dionea che molto risente di Sinesio, ed erastata, peraltro, corrente presso i filologi tardorinascimentali e barocchi. Allo stesso tempo,Leopardi sembra più concentrato sul legame con il mondo romano, e sui rapporti con gliimperatori, considerati in base a quelli che erano ormai degli stereotipi (la tirannide di unDomiziano vs. la magnanimità di Traiano), senza comunque disconoscere l’ideale filellenoche anima il retore di Prusa65 e che culmina in un accorato appello al glorioso passato greco.

Accanto al modello ‘pratico’ rappresentato da Dione, la cui componente sofistica an-drebbe rimeditata ed interpretata «in positivo, come linguaggio d’arte fondato su una op-zione di stile semplice, piacevolmente incline alle digressioni, ancorato a precisi modellie suscettibile a sua volta di esemplarità»66, l’età bizantina, nel parallelo àmbito astrattodella teorizzazione retorica, assume quale base il magistero di Ermogene di Tarso. Alme-no a grandi linee, la retorica tardoantica e del Medioevo greco, altro non è che uno svi-luppo dei lavori del fanciullo prodigio, autore tra i quindici ed i vent’anni, stando allefonti che ne tramandano la vita, di testi destinati a rivoluzionare la techne rhetorike, laquale aveva nei primi due secoli dell’era cristiana mutato profondamente la sua fisiono-mia, intrecciandosi alla querelle tra atticismo ed asianesimo, e soprattutto legandosi in-dissolubilmente al magistero delle scuole ed alla inevitabile cristallizzazione di alcuni concettifondamentali67. Furono le intrinseche qualità del «tra le mani di tutti», per riprendere ladefinizione della Suda, redatto da Ermogene a far sì che a lui riuscisse di compiere quan-to non era stato concesso a Dionigi, il sistematizzare, cioè, la sua sintesi in maniera taleche possa costituire un ponte tra il mondo antico e quello bizantino, ove soprattutto negliultimi secoli viene accentuata la componente letteraria: nella sua opera tendevano a fon-dersi tradizione ed innovazione e la materia è trattata in modo organico e chiaro. Credoquindi che Leopardi si fosse reso conto dei profondi legami che intercorrevano tra prassi

64 Recentemente, le numerose indagini critiche – tra cui si veda l’importante Brancacci1985, che segue i percorsi della fortuna di Dione fino all’Umanesimo – hanno smorzato questopresunto divario, considerando piuttosto i differenti contenuti dell’opera dionea come due lati diun’unica medaglia. Erede delle scuole filosofiche ellenistiche, Dione attua un costante confrontocon il modello platonico, che lo porta a distaccarsene notevolmente; e, pertanto, nel tentativo diconciliare eloquenza e filosofia, si presenta piuttosto come degno anticipatore della categoriadegli Halbphilosophen, quei personaggi cólti ed educati, maestri di retorica, abili parlatori econferenzieri, fiorentissimi nel II secolo.

65 Detta questione ha interessato in maniera preponderante la critica dell’ultimo trentennio.Per il filellenismo dioneo, cf. Jones 1978, 124ss.; Desideri 1978, 472. Lo studioso dedica buonaparte della sua ampia e documentata indagine ad osservare come, pur evitando di assumereapertamente funzioni antiromane, la valutazione di Roma che traspare dalle opere di Dione èquanto meno ambigua (le posizioni critiche in merito alla antiromanità dionea sembrano oraessere più sfumate). Leopardi, a modo suo, sembra intervenire nella questione, collegando il suoorgoglio di greco allo stile letterario, in Zib. 992.

66 Luzzatto 1988, 245.67 Per il caso specifico di Aristide, cf. Boulanger 1923, 38ss. Sul ruolo delle scuole cf.

inoltre Luzzatto 1998.

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e teoria68, allorché decise di riunire in uno scritto unitario i profili di Dione ed Aristide (edi Frontone) da un lato, e di Ermogene dall’altro, conscio della ideale mutua interazione:mentre non è, a mio parere, certo, per quanto la suggestione non abbia mancato di in-fluenzare lo Scheel, sulla base del solito stereotipo ‘agiografico’, che Leopardi sentisseun particolare feeling per il retore di Tarso, a causa di una comune precocità intellettiva.Al contrario, suona in certo qual modo impietoso il giudizio che si legge nello Zibaldone(1177ss.), allorché si lodano i lavori di Ermogene, ma, con allusione al suo presunto obnubi-lamento delle facoltà intellettuali, sopravvenuto intorno ai venticinque anni, si dice che iltroppo ingegno è destinato ad isterilirsi presto. L’aspetto certamente più interessante dellasezione ‘ermogeniana’ è però l’esame del Nachleben del retore e dei numerosi commentidi età tardoantica e bizantina, che Leopardi raggruppa in editi, inediti e perduti69.

Gli elevati livelli cui era giunto l’insegnamento retorico e il nuovo ruolo che i maestrisi trovavano ad assumere si riflettono del pari nella akribeia di un Aristide70: un giudizioambivalente, risultante da una perdurante tradizione classicistica, che ne distingueva, findall’età bizantina, i contenuti dallo stile, questo di estrema limpidezza, ma mortificato dallaestrema corruzione di contenuti – particolarmente in quegli scritti in cui più marcata èl’esperienza onirica e la componente autobiografica – è forte in Leopardi, che a più ripresenon avrebbe mancato di stigmatizzare tanto Aristide stesso (se ne vedano le pagine nelSaggio sopra gli errori popolari degli antichi), quanto il suo maestro Erode Attico. Ma ingenerale l’atteggiamento degli interpreti antichi o bizantini nei confronti di Elio Aristide ènegativo, ed improntato ad insofferenza, quando non a vera e propria ironia, sarcasmo, o,persino, ripulsa almeno per quanto riguarda la produzione autobiografica e i Discorsi sa-cri 71. Probabilmente le ragioni di questo insuccesso vanno cercate in primo luogo nellostridente contrasto che tali scritti autobiografici – in cui oltretutto l’irrompere di una dimen-sione del fenomeno inconscio e del vaneggiamento raggiunge livelli parossistici – mostra-vano con la dimensione pubblica in cui da sempre si era inquadrata le religiosità greca, e con

68 Su cui cf. ora Classen 1995.69 Assai perspicuo il paragone di Hunger 1978, 80, secondo cui si riscontra nell’esegesi

ermogeniana qualcosa di simile alle ‘catene’ bibliche. Heath 1998a nota come fosse usualeattribuire trattati retorici e tecnici ad altri autori o farli circolare anonimi: talora la tradizionemanoscritta, che rubrica nomi differenti (e non sempre esatti) contribuisce ad aumentare la con-fusione. La retorica bizantina come eredità della Seconda Sofistica è stata oggetto delle indaginidi Kustas 1970, con interessanti osservazioni sul modo in cui i mezzi retorici si dovettero adattareal nuovo modello di impero cristiano.

70 Cf. Nicosia 1984, 12: «la professione retorica» era «la più prestigiosa e qualificante trale attività intellettuali»: di tal genere erano «gli orientamenti culturali di un’epoca che pone ildominio della parola al più alto grado nella gerarchia dei valori».

71 Nicosia 1984, 9s. Grande rilievo è dato anche alle parole di Leopardi: «dopo aver lettotutto ciò, la persona saggia non può sottrarsi, a causa del cieco egocentrismo dell’autore, ad unasensazione di nausea». Al contrario, pressoché contemporanea a Leopardi è la ricerca del medicoed erudito V. Malacarne, La malattia tredecennale di Elio Aristide sofista Adrianeo, Milano1799. Il Malacarne era stato discepolo di Cesarotti, il quale invece nutriva profonda ammirazioneper il nostro sofista. È da considerarsi solo un caso che Leopardi non si serva degli studi diCesarotti, visto che a proposito di Dione mostra di conoscere l’opera dell’abate padovano, o nonè forse più probabile che l’abbia volutamente tralasciata?

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l’immagine di un classicismo apollineo, le cui regole qui venivano ad essere completamentedistorte: a parte alcune eccezioni (quelle di Libanio, e quelle del bizantino ‘retore ipocondriaco’Giovanni Chortasmenos), si assiste così ad una duplice valutazione della personalità diAristide, ammirato per la sua bravura retorica, ma considerato aberrante o tutt’al più casopatologico allorquando arrivava a parlare di sé e dei suoi mali. A tale visione rimase legatoLeopardi, che non fu in grado di cogliere, certo anche per la mancanza di una lettura diretta,l’aspetto ‘morale’ e l’importanza intrinseca della retorica, attualmente messo in evidenzadalla maggior parte degli interpreti, della scrittura di Aristide, e si limitò pertanto a recepireil paradigma consolidato72.

Si errerebbe tuttavia a voler trovare qualcosa di più nel testo dei Rhetores che unaccenno a questioni, particolarmente quelle di natura letteraria o stilistica, dibattutesolamente nel corso dell’ultimo secolo e che, peraltro, non costituivano oggetto pre-cipuo dell’interesse né di Leopardi né della maggior parte dei contemporanei: chéegli si incentra essenzialmente su questioni relative alla biografia dei singoli perso-naggi ed alla prosopografia, giungendo a conclusioni per la massima parte attualmen-te non più in discussione (si vedano ad esempio le lunghe discussioni circa questionidi omonimia: Dione Crisostomo e Dione Cassio, con un tentativo di meglio determi-nare la paternità di opere che la tradizione attribuiva ad entrambi; ovvero la distin-zione tra Frontone e Frontino, o altri personaggi di nome Frontone, ma impossibilitatiper ragioni cronologiche ad essere identificati col maestro imperiale; più interessante,invece, la trattazione inerente le notizie circa la vita di Ermogene73).

La componente erudita o farraginosa, in larga parte preponderante, le numero-se rassegne di personaggi omonimi, la giustapposizione di passi paralleli, i «criterinon scientifici, ma esclusivamente empirici», dovuti, tra l’altro, alla limitatezzadella biblioteca paterna, coesistono con un «valore metodologico ancora assai te-nue», e con un interesse «rivolto pressoché solo a problemi biografici, o a fattistorici insignificanti»: quasi di necessità siamo in presenza di un’opera compilativae poco originale, ove «i pochi contributi che egli qua e là propone sono per così diresommersi nel mare magnum delle annotazioni di nessun rilievo»74. Ad esempio, neicasi ove la ‘collazione’ delle fonti impiegate non offra risultati concordi, Leopardiopta per la scelta di un dato o un altro, con ipotesi talora non banali, e, per certiversi, anticipatrice delle moderne scelte critiche. Inoltre, la gabbia entro la quale lo

72 Ora, invece, abbandonato, sulla scorta della mutata prospettiva da cui si osservano inumerosi fenomeni religiosi del II secolo: per il caso di Aristide, cf., dopo Nicosia 1979 e 1984,Moreschini 1994, 1234; una interessante disamina della sua figura sotto il profilo storico-religio-so offre Sfameni Gasparro 1999, con ulteriore bibliografia. Allo stesso tempo si è messo in luceil legame grazie a cui dimensione religiosa e magistero oratorio si fondono (Quet 1993).

73 Sullo stesso argomento cf. ora Heath 1998b, che parimenti muove da una comparazionedei due differenti rami della tradizione biografica ermogeniana, quello filostrateo e quello rap-presentato dalle isolate notizie trasmesse nella Suda.

74 Cf. Moreschini 1971, 306s.

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costringe la struttura chiusa a ‘rubriche’ farà sì che spesso gli stessi brani sianoriproposti in tempi e momenti diversi, ogni qual volta siano funzionali all’argomen-to da trattare. Ciò, ad esempio, si verifica particolarmente a proposito di Frontone,in quanto poche erano le conoscenze di cui si poteva fruire.

Ma la tensione tra gli sforzi di originalità e l’oggettiva realtà dei fatti è dimo-strata anche dal modo in cui la trattazione è organizzata, sempre differente dal testobase del Fabricius, con la anticipazione (ovvero posposizione) di dati biografici,con l’aggiunta, per quanto possibile, di nuovi testimonia, con la scelta, dettata dallapossibilità o meno di accedere ad un testo, delle citazioni, a cui attribuire maggioreo minore rilevanza, con l’interesse per il Nachleben dei singoli autori; mentre losforzo di completezza porterà il giovane autore a reperire un elenco ancor piùdettagliato di omonimie e di particolari eruditi: in conclusione il lavoro è interes-sante più che per i dati contenuti e raccolti, per comprendere piuttosto il metodoallora in voga presso i dotti, che consisteva essenzialmente nella raccolta e nelvaglio di testimonianze antiche o medievali e bizantine.

È chiaro che alla base di tutto vi sono dei lessici, o delle opere enciclopediche: oltrealla Bibliotheca Graeca ed alla Bibliotheca Latina pubblicata nei primi anni del Settecentoad Amburgo dal grande erudito Iohannes Albertus Fabricius75, che Leopardi conosce pres-soché a memoria, forte è la presenza della Histoire des Empereurs del marchese LouisSebastien Le Nain de Tillemont, uno degli spiriti più acuti della sua epoca, fin dagli esordinella abbazia di Port Royal. In qualche caso il nostro utilizza il dizionario geografico del dela Martinière, sempre della prima metà del XVIII secolo. Tali opere (cui si aggiunga laStoria della letteratura italiana del gesuita Girolamo Tiraboschi76), pur se del secolo pre-cedente, non erano tuttavia ancora state superate da testi più moderni, almeno per quantoriguarda l’idea di esaustività e completezza sottesa ad ogni repertorio.

La vivacità intellettuale del Leopardi e la sua ammirevole acribia si manifestano peròappieno allorché si dipanano in un’ampia Quellenforschung, e, mentre da un lato emergonoscoperte ingenuità, quali ricavare notizie dai numerosi indici posposti da Fabricius ai suoicapitoli, dall’altro egli ha modo di manifestare ampiamente le sue doti di memoria e la suacapacità di ritrovare possibili collegamenti tra nomi, luoghi, fonti bibliografiche: ciò tantomaggiormente quando, in mancanza delle edizioni degli autori trattati, Leopardi ricava lesue notizie da una serie eterogenea di materiale, talora con passaggi anche curiosi e comprensibilisolo grazie alle annotazioni da lui poste talora a margine.

Consideriamo a tal riguardo qualche esempio tratto da quei testi più frequentementeutilizzati: le Vitae Sophistarum di Filostrato non gli erano accessibili (l’‘elenco di letture’,pubblicato dal Pacella, segnala per il 1821 l’edizione del Morel, Parisiis 1611, limitatamentealla Vita di Apollonio di Tiana): per la sezione su Dione di Prusa, la biografia filostratea potéessere reperita nelle pagine premesse dal Petavius al testo del Dione di Sinesio; mentreestratti della biografia di Aristide sono noti a Leopardi tramite gli scolii del patriarca NiceforoGregora al De insomniis sempre di Sinesio, pubblicati ancora una volta in margine al testo

75 Sul Fabricius si veda la bibliografia raccolta in Killy 1989, 323.76 Su cui cf. D’Elia 1967, 208.

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curato dal dotto gesuita77. Gli altri esempi derivano dal Fabricius ovvero dagli scritti miscel-lanei contenuti nel Thesaurus del Graevius, tra cui spiccano il Theatrum Rhetorum delgesuita L. Cresollius78 o gli opuscoli del dotto greco Leone Allacci; altra collezione miscel-lanea di testi e dissertazioni di cui spesso Leopardi ebbe modo di servirsi sono le opere diJan de Meursius, nella revisione del fiorentino Giovanni Lami.

Senz’altro, inoltre, non aveva modo di consultare la Suda, cui pure attribuisce, confor-memente all’uso del tempo, grande importanza, benché non ne accetti passivamente tutte leinformazioni: è possibile giungere a questa conclusione con certezza, venendo quindi afugare ogni dubbio in proposito, tanto in base alle indicazioni dello scartafaccio recanatese,che rimandano sempre ad una precisa pagina della Bibliotheca Graeca del Fabricius (ovverodi altri testi) da cui detta citazione è tratta, quando è riportato il testo greco in extenso,quanto al fatto che, il più delle volte, si ha soltanto una breve e frettolosa parafrasi latina,derivata da quella offerta nel IX volume di Fabricius79.

Del pari non gli era accessibile il testo originale greco della Bibliotheca di Fozio da luiconsultato nella sola versione latina dello Schottus – testo pubblicato ad Augusta nel 1606(una sorta di editio princeps), che precedette di pochi anni l’edizione vera e propria diHoeschelius, datata 161180, la quale, invece, risulta tra le letture per l’anno 1825, col nr. 389:anche questo dato – già messo in evidenza per quanto riguarda lo scritto sulla Vita Plotini –risulta confermato dai rimandi alle pagine, che corrispondono, appunto, al testo di Schottus.

Grande importanza è attribuita, quindi, alle fonti bizantine, anche alle più tarde ed aquegli scrittori di cui ora non si tiene gran conto: ad esempio, i cronografi ed i cronachisti(particolarmente a quelli che dal X secolo operarono una rinascita del genere), che in mas-sima parte, per il II secolo, ricalcano Eusebio: in quest’uso, Leopardi si discosta anche dallostesso Fabricius, ed è evidente che questi dati possono essere impiegati diffusamente, perchénella biblioteca paterna esisteva copia della monumentale edizione veneziana del CorpusHistoriae Byzantinae Scriptorum; gli stessi interessi emergono inoltre dalla frequente con-sultazione dei Vetustiora Latinorum Scriptorum Chronica, a cura di Tommaso Roncalli.

Allo stesso modo, i Padri della Chiesa qua e là citati in qualità di testimonia poteronoessere letti direttamente; tra altre le letture dirette di maggior importanza, sono inoltre daannoverarsi l’edizione di Dione Cassio, curata da Reimar ed altri (Amburgo 1750): il saggiodello stesso Reimar De Vita et Scriptis Cassii Dionis è alla base del lavoro sul Crisostomo,in quanto dati i rapporti di parentela tra i due e data l’omonimia, essi erano stati spessoconfusi. Come si è in parte accennato, il lavoro su Dione molto risente anche della letturadel testo di Sinesio. Una edizione più moderna fu invece quella del trattato De sublimitatedello pseudo-Longino, pubblicata ad Oxford nel 1778, e corredata di un ampio saggio introduttivodi Schardam: di una sua lettura si hanno tracce nella elaborazione dei capitoli su Aristide

77 Un suo profilo in D’Elia 1967, 115ss.78 Sul Cresollius cf. ora Pernot 1997.79 Un altro lessico di cui Leopardi ebbe solo notizia indiretta – ma che tuttavia non rinuncia

a citare – è il cosiddetto Violarium (o Violetum) attribuito alla dotta imperatrice Eudocia, mogliedi Costantino Ducas. In realtà esso è però un falso di età umanistica, e dunque non più preso inconsiderazione dagli studiosi moderni: cf. Degani 1987, 1185; Id. 1995, 526.

80 Sulle vicende editoriali dell’opera del Patriarca costantinopolitano, che in Europa incon-trò ostilità dovute alle posizioni assunte dallo scrittore in materia dogmatica, ma nonostante tuttoera nota all’ambiente dei dotti, informa ora dettagliatamente Canfora 1998 e Canfora 2001.

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e su Ermogene. Un ultimo documento merita di essere qui segnalato: il catalogo dei codiciNaniani (attualmente conservati, in seguito ad un legato, alla Biblioteca Marciana) redattodal Mingarelli. Di esso Leopardi si serve in pochi casi, allorché riesce a reperirvi documentiche possano essere riconducibili alle sue ricerche: indizio, questo, di quella attrazione e diquell’interesse per la filologia più propriamente intesa, come studio e collazione di codici,che avrebbe negli anni a venire offerto frutti meno acerbi, malgrado – nella maggior partedei casi – si tratti di codici poco importanti e spesso descripti. In questa stessa direzionesembrano d’altro canto tendere le quattro epistole pubblicate in appendice, sebbene siano daconsiderarsi più come curiosità erudite che non come testimonianza di rilievo: la constitutiotextus e le note di commento non differiscono molto dalle edizioni consultate da Leopardi,cioè quelle di Meursius, Casaubonus e Sirmondus.

In parte già noto ai filologi classici, e non solo a quelli italiani, pur con i limitidi cui si è detto, il testo leopardiano, si rivela in ogni caso un documento, date lastatura del suo autore, l’età e le condizioni in cui fu scritto, di un certo interesse perla storia della cultura e dell’antichistica italiana: si potrà osservare come esso con-tenga talora alcune proposte originali e degne di nota (in particolare per quantoriguarda il capitolo, in larga parte ancora da scrivere, sulla fortuna degli autori),accanto agli intenti, pienamente realizzati, di compendiare in uno scritto che fosseconciso e sintetico il profilo biografico di quanti, da letterati, seppero intervenirein prima persona sulla scena culturale e politica del loro tempo.

3. Lingua e stile: alla ricerca di una Kunstprosa

Conformemente all’uso dell’epoca molte delle opere giovanili del Leopardisono in latino. Le eccezioni sono dovute ad un graduale mutamento di prospettiva,per cui, a partire da istanze di tipo illuminista, si andava progressivamente impo-nendo l’uso delle lingue nazionali anche nella trattatistica81: si tratta di opere di piùampio respiro e destinate, almeno negli intenti dell’autore, ad un pubblico più vastodella cerchia dei filologi in senso proprio, ossia la Storia dell’Astronomia ed ilSaggio sopra gli errori popolari degli antichi. Se si considerano anche sul pianoprettamente letterario, questi primi scritti filologici ed eruditi, il giudizio che nederiva è ambivalente: essi non possono dirsi né il prodotto di una personalità ancoramatura, né tantomeno è possibile ritrovarvi sprazzi di letteratura in senso stretto. Semai, il latino leopardiano risulta essere eredità del latino scolastico, non di radopermeato di volgarismi, che tuttavia, differenziatosi nei linguaggi speciali dei varicampi dell’indagine scientifica, bipartiti in linea di massima tra scienze esatte efilologia, ha condotto ad una specializzazione e giunge a potersi considerare unalingua tecnica settoriale «con codici d’uso riservati ed impermeabili»82.

81 Su cui cf. Ballerini 1985, 236ss.; Timpanaro 1965, 51ss.82 Brugnoli 1994, 130.

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Strutturati quindi nella forma del trattato di marca settecentesca, e con sottese talunecomponenti proprie del secolo dei lumi – ovviamente rivolte in chiave filocattolica – gliscritti eruditi del Leopardi, qualora compiuti e non frammentari, non posseggono del tuttola precisa lingua filologica che era andata consolidandosi a partire dagli umanisti83, ma,nonostante l’interesse rivolto al contenuto (in quanto ‘tecnici’), e la pressoché totale assenzadelle doti letterarie caratterizzanti la prosa della maturità, essi rappresentano comunque ilfrutto di un labor limae stilistico praticato con una certa assiduità, come è testimoniato dallemolte correzioni ed aggiunte presenti nei manoscritti, il più delle volte eseguite già interscribendum. Sebbene la maggior parte delle correzioni non possa assurgere al valore divariante stilistica, esse denotano comunque una volontà mirante all’estrema cura formale.Del pari, di questa cura sono testimoni le traduzioni eseguite (assai fedelmente) dal greco:Leopardi infatti non si serve mai delle traduzioni già disponibili, ma è sempre attento adoffrirne una versione autonoma, talvolta (ma accade raramente) correndo anche il rischio dilasciarsi fuorviare.

Concorreva alla realizzazione di un bello stilo (e tale è stato da più parti consideratoil latino leopardiano, chiaro ed allo stesso tempo elegante) anche nei trattati di tipo tecnicol’idea, connessa ad un rigido classicismo, della restituzione del purus sermo, la quale avevainvestito anche certi ambienti ecclesiastici nella seconda metà del Settecento, ed esigeva chesi sfrondasse di ogni sovrastruttura ‘volgare’ la lingua di Roma, per ritornare alla sua ele-ganza originaria84.

Lo stile conciso e non inelegante, che in certi punti diviene sostenuto e in alcuni trattiquasi solenne, e purtuttavia privo di flosculi od ornamentazioni che lo sovraccarichino,trova un sostegno nella marcata elaborazione retorica, anche in questo caso retaggio del-l’educazione ricevuta: è noto infatti l’interesse dei gesuiti per l’arte retorica, che era statauno dei punti cardine della ratio studiorum85 ed aveva prodotto un gran numero di manuali,i quali si ispiravano tanto ad Aristotele, Cicerone, Quintiliano ed ai retori tardoantichi,quanto ai trattatisti dell’Umanesimo86. L’influenza della retorica si manifesta precipuamentenella elaborata conclusione dei paragrafi, i quali peraltro sono dedicati a questioni conchiusein sé, per quanto affrontino problemi collegati. Ancora, indice di una scrittura miranteall’elaborazione è la marcata tendenza alla variatio, bilanciata talvolta da giochi anaforici.

Il sapiente utilizzo delle fonti, mai giustapposte tra loro in maniera arida esterile, contribuisce a creare un quadro organico e compiuto: la collazione dellevarie opere impiegate, che permette peraltro di isolare uno dei punti di maggioreinteresse all’interno dell’opera, dimostra la «sempre crescente capacità di intessere

83 Su di essa esaustivamente informa Rizzo 1973. Leopardi non pare padroneggiare, almeno inquesta fase, la precisione del linguaggio filologico evolutosi e formatosi appunto nel Quattrocento.

84 Come tale obiettivo trovasse una realizzazione ‘pratica’ nel Lexicon del Forcellini dimo-stra Brugnoli 1994, 140s.

85 Il quarto centenario della pubblicazione di questo importantissimo testo, base della istru-zione e della pedagogia gesuitica, ha costituito lo spunto per una nutrita serie di studi ed indagini(se ne veda un elenco nei riferimenti bibliografici delle ultime annate della rivista «ArchivumHistoricum Societatis Iesu»).

86 Cf. Garin 1957; Battistini 1981; Vasoli 1983.

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e inserire al punto giusto la trama dei collegamenti all’interno del testo»87: nederiva in tal modo un «lavoro a incastro, a collage di varie fonti»88, che è caratte-ristica, neppure tanto celata, di tutti i lavori giovanili89, e che permette al nostroscrittore di raggiungere il suo scopo di esaustività. Al pari dei coevi studi su Plotinoo sui Padri della Chiesa, l’opera sui retori risulta perciò poco originale, quantunquein certi casi Leopardi sia in grado di prendere posizione in favore di una o diun’altra ipotesi. Inoltre, le notizie, ricavate in massima parte dai già citati repertorienciclopedici di Fabricius, Tillemont, e (talora) Meursius, risultano più ordinate, etalvolta in maniera più sistematica, rispetto alle sue fonti90.

All’interno del testo, i veri e propri brani di autori antichi sono citati in extensoe più dettagliatamente allorché Leopardi possiede il testo, e può dunque controllar-lo91: ciò lo porta in qualche caso ad esagerare il valore di simili citazioni, come ènel caso – tra gli altri – di Sinesio e dei cronachisti bizantini, e, di contro, a limitarela portata di quei testi che non aveva modo di leggere. Allo stesso modo, nonsembra esservi una ‘coscienza critica’, ossia una capacità di saper discernere l’im-portanza e l’attendibilità delle varie fonti classiche o medievali: ad esempio, Leo-pardi tende a porre sullo stesso piano autori come Filostrato e i tardi lessicografibizantini, senza rendersi conto che il più delle volte questi ultimi si basavanoproprio sul primo; parimenti, non sembra accorgersi che la maggior parte dellecronografie deriva da Eusebio e Gerolamo92; la credibilità conferita alla Suda – lettacomunque indirettamente – è molto maggiore di quanto attualmente la critica leattribuisca.

Quanto però in questi lavori giovanili, ed in quello sui retori più degli altri93,Leopardi realizza in maniera acerba sarà teorizzato qualche anno appresso nelloZibaldone: si evidenzia l’interesse, forse da nessun altro filologo coevo, in Italia,avvertito in pari misura, per la creazione di una prosa scientifica, che possedesseuna sua dignità letteraria e una sua precisa funzionalità. A ragione, quindi, il latinoleopardiano è stato paragonato a quello impiegato nelle moderne edizioni critiche:

87 Porphyrius, 10s.88 Cf. Entro dipinta gabbia, XIVs.89 Simili osservazioni sono state formulate anche recentemente da Tatiana Crivelli, editrice

delle Dissertazioni filosofiche (Padova 1995) alle pp. 9ss. (sull’utilizzazione delle fonti) e 11s.(sulle tecniche compositive), ed ora da Sana 2000, 54ss. per il metodo di assemblaggio delle fonti(in precedenza discusse con dovizia di particolari).

90 Cf., per un contesto analogo, e cioè l’opera sui Fragmenta Patrum, Moreschini 1971,305: «il Leopardi ha raccolto le scarse notizie che su questi autori secondari il Fabricius glioffriva in modo spesso disorganico, cercando di organizzarle in un complesso meglio costruito;ad esse ha aggiunto a mo’ di integrazione (secondo un metodo tipico di queste opere erudite)quanto poteva ricavare altrove».

91 Cf. Entro dipinta gabbia, 389.92 Cf. anche Moreschini 1971, 310.93 Pascal 1919, 17.

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lo scrivere un tratto scientifico non si deve accompagnare alla scrittura sommariasenza cura stilistica, oppure a quella piena di orpelli, volti solo a solo ad appesan-tire il testo, o, peggio, oscura, comprensibile solo ad una ristretta élite di dotti: eglidunque propone due modelli da imitare per quanto riguarda la Kunstprosa scienti-fica e la sua ormai definita e precisa caratterizzazione, Galileo, tra gli italiani, esoprattutto il latino Aulo Cornelio Celso, del quale si loda la lingua chiara edelegante94.

Senza esagerare questo aspetto, come si tendeva a fare in passato95, non vataciuto il coinvolgimento emotivo ed ideologico provato dal giovane scrittore, cheemerge fin da queste stesse opere, senza dover attendere la futura sublimazioneletteraria96. Il lavoro sui retori non sembra forse immediatamente rapportabile amomenti successivi della produzione leopardiana, per quanto qua e là si possanoincontrare singoli temi presenti che saranno sempre cari a Leopardi, come il suici-dio del filosofo Eufrate, che, per non patire le sofferenze della malattia, si dettevolontariamente la morte; o la consonanza di idee estetiche con l’epistola di Filostrato97.Piuttosto, a parte l’interesse per la retorica, che, come già ha sottolineato Timpanaro,derivò al Leopardi, sul campo, in quanto maturò con l’adesione al purismo deiletterati italiani contemporanei, si possono riscontrare in quest’opera momenti incui affiora personalità dell’autore giovinetto: emerge così l’insofferenza malcelata,che non di rado sfiora il sarcasmo, per quel vanaglorioso malato immaginario cheera Aristide; e parimenti, l’interesse con cui Leopardi osserva la parabola dellaprodigiosa fanciullezza e del talento di Ermogene; la figura proba del precettoreimperiale Frontone, uomo di studi e di lettere; l’impegno politico di un Dione,maturato e giunto alla filosofia dopo la dolorosa esperienza dell’esilio. Modello è,anche in ciò, la biografia antica, ove spesso la tradizione relativa ad un autoreveniva idealizzata o ideologizzata, perpetuando clichés che ancor oggi, talora, nonsi rassegnano a tramontare.

94 I passi cui si fa riferimento sono quelli di Zibaldone 949, 1312s. Cf. inoltre la discussionein Moreschini 1998, 210s., il quale cita anche una epistola al Giordani, in cui si osserva che glistudi classici influirono notevolmente sulle sue abitudini letterarie, e gli servirono come tirocinioed esercizio (20 novembre 1820, nr. 179 Flora = 356 Brioschi-Landi).

95 Si veda ad esempio il saggio di Scheel 1959, che programmaticamente ha questo scopo.Lo stesso autore ha recentemente ribadito concetti analoghi (cf. Scheel 1992).

96 Al riguardo, noto è il caso dell’operetta che ha per protagonisti Plotino e Porfirio (comeforse anche nella figura di Amelio, filosofo solitario), ed in cui Leopardi ha forse in mente i suoipassati studi sulla vita dei filosofi neoplatonici: cf. Scheel 1959, 64ss.; Porphyrius, 11. Rapportitra i Fragmenta Patrum ed un certo ‘dualismo’ leopardiano sono stati recentemente indagati daGalimberti 1990.

97 Cf. Scheel 1959, 65ss.

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4. Cenni sulla tradizione del testo

Dell’opera possediamo una duplice redazione autografa (caso quasi isolato perquesti scritti giovanili di natura erudita98), di cui la seconda presenta indubbi carat-teri di compiutezza, e deve quindi intendersi quale manifestazione dell’ultima edefinitiva volontà del nostro autore99: lo dimostrano, a parte l’aggiunta sul mano-scritto fiorentino (d’ora in poi F), con diverso tratto di penna, di alcune annotazioniriguardanti l’erudito e filosofo secentesco Teofilo Coridalleo, non presenti nei quadernirecanatesi, inoppugnabili considerazioni di tipo paleografico, che fanno del testo diF un vero e proprio esemplare di ‘bella copia’ pronto per essere consegnato altipografo, e, infine, la presenza di questo manoscritto tra le carte consegnate a DeSinner in vista dell’ultimo e vano tentativo di pubblicazione degli scritti filologici100.

L’autografo fiorentino (conservato, insieme a tutti quelli del lascito di De Sinner,presso la Biblioteca Nazionale Centrale, con la segnatura Banco rari 342, nr. 4), consta di273 pagine manoscritte, in tal modo ripartite: una pagina bianca; p. i: titolo101; pp. iii-iv:prefazione (Auctor Lectori); pp. v-ix: Index; pp. 1-61: De Vita, et Scriptis Dionis ChrysostomiCommentarius; pp. 65-127: De Vita, et Scriptis Aelii Aristidis Commentarius; pp. 131-171:De Vita, et Scriptis Hermogenis Commentarius; pp. 175-218: De Vita, et Scriptis M. CorneliiFrontonis Commentarius102; poi i Veterum Opuscula Selecta (pp. 221-223: Philostrati Epi-stola; p. 224-227: Theophylacti Bulgariae Archiepiscopi Epistola; pp. 228-233: ArgumentumAthenaei Deipnosophistarum; pp. 234-235: C. Solli Apollinaris Sidonii Epistola) e le rela-tive Observationes, alle pp. 239-263 (236-238 sono bianche); conclude il quaderno un pun-tuale indice dei nomi (pp. 265-273); segue un’altra pagina bianca, per completare lafascicolatura103. Detto quaderno è in carta rigata (a matita), con la copertina in pergamena,la cui legatura appare coeva alla stesura dello scritto: sul dorso è scritto dallo stesso Leo-pardi il titolo, Rhetores / saec. II. Le misure – assimilabili a quelle degli altri autografidatabili a quegli stessi anni – sono cm. 21 × 15 (22 × 16 compresa la copertina).

Vi si riconosce agevolmente l’uso di almeno due inchiostri diversi: uno nero, con cuiè stato scritto pressoché l’intero testo (sia pure in momenti differenti, come si può evincere

98 Se si eccettuano la Storia dell’Astronomia, il più tardo Volgarizzamento delle Opere diM. Cornelio Frontone, di cui tuttavia la seconda mano recanatese risulta essere ancora più com-pleta della stesura fiorentina, pur posteriore alla prima redazione di Recanati: cf. al riguardoPacella 1959, e Timpanaro 1997, 30.

99 Sul concetto di ultima volontà cf. Isella 1987, 27.100 Le annotazioni di De Sinner al testo dei Retori possono leggersi in Piergili 1889, 29ss.101 Si segnali inoltre la presenza di una chartula tra questi due fogli. In essa si legge: «Vit.

Rhetor. / Polemo – Hieronym. / Troilus Fab. 14,8. Aristid. – Elias ad Na/zianz. 383a». Seguonopoi, con differente inchiostro le parole: «Not. ad Sidon. De Tatia/no V. Isidorian. 2,413. Fronto– Plin. Ep. l. 2 ep. / 11bis, qui tamen propter / tempor. ratione de al. Fron/tone intellegendus. /Aristides – Olympiodorus / Vit. Plat. p. 587. 586».

102 Vi è un ulteriore foglio interposto, dopo p. 218, con la seguente annotazione: «FrontoneArchimandrita Fab. 5. par. 2. 92. / Nicopolitano Basil. Ep. 10. 78. Fab. 8. 109».

103 Un’altra pagina bianca si trova tra la p. 58 e la 59.

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dal tratto più o meno marcato, che credo dipenda dalla punta del pennino); l’altro, tendenteal marrone-rossastro, è servito per incorniciare la pagina con il titolo, per scrivere la pre-fazione al lettore, per le rare aggiunte successive. La calligrafia è nitida, non vi sono, se nonin pochissimi casi, correzioni, né annotazioni marginali; ordinata è la ripartizione tra testoe note: ogni dato tra quelli messi in evidenza da Maria Corti per i puerilia degli anni 1810-1812, si ripropone anche nel testo definitivo dei Retori, eccettuati i disegni del frontespizio,che è comunque pieno di lettere e di maiuscole dai tratti svolazzanti104.

La minuta dell’opera è offerta da un manoscritto (R), conservato nella biblioteca dicasa Leopardi a Recanati: invero, più che di un unico manoscritto dalle pagine numerate econtinue, con note a pie’ di pagina, quale risulta essere quello fiorentino, si tratta di variquadernetti (di formato identico a quello fiorentino), redatti in forma provvisoria, sia pureabbastanza ordinata, e con numerazione di pagine autonoma, contenenti ciascuno una delleVitae dei retori e gli Opuscula vetera, che poi sarebbero stati ricopiati tutti di seguito: Dioneconsta di 59 pagine; Elio Aristide di 58; Frontone di 39; Ermogene di 39 (la successione diquesti ultimi due commentarii è invertito rispetto a F, come appare dall’ordine dei quadernie dalla edizione di Cugnoni); gli Opuscula e le rispettive Observationes di 35. Il testo èscritto su una sola colonna, per lasciare posto a correzioni marginali. La scrittura è, comegià osservato dalla Corti, più nervosa, e più conforme a quella dei momenti successivi dellaattività letteraria del poeta. Trattandosi appunto di una ‘brutta copia’ è qui che si svolgonoogni minuziosa elaborazione e modifica apportata al testo, il limae labor dal carattereeminentemente stilistico, le rifiniture volte a snellire la prosa, ad abbellire la dizione, arendere più fluente il latino, aggiunte e correzioni, miglioramenti e aggiustamenti che vo-gliono conferire maggior eleganza e scioltezza al movimento della frase.

La fase più delicata del processo genetico dell’opera si svolge quindi nellarevisione e nella correzione, sempre di mano del Leopardi, del testo di R; ci tro-viamo perciò, sia pure in forma semplificata rispetto ad altri casi, in presenza divarianti d’autore. Le varianti di R2 offrono un ulteriore esempio e costituiscono unaprova di quanto già era stato notato a proposito dei Fragmenta Patrum, che cioèesse sono «testimonianza di quella cura raffinata e attenta che il Leopardi ha co-stantemente dedicato all’espressione»105. Considerato perciò lo stadio rappresentatoda R2, le uniche discrepanze rilevanti tra i due manoscritti risultano essere nella

104 Cf. Entro dipinta gabbia, XXXIs.; Gioanola 1995, 117. È noto, peraltro, che la calligra-fia del Leopardi era «densa e quieta, il più delle volte chiarissima» ovvero «sempre compatta,eguale, accurata», come rispettivamente il Flora e il Carducci ebbero modo di notare anche nelcaso di un’opera di uso privato, e per eccellenza redatta in forma di appunti, quale lo Zibaldone.In genere, l’ordine caratterizza sempre la scrittura leopardiana (cf. Lenzi 1987, 190: «scritturasempre chiara, distinta ed uniforme, con tratto scorrevole e serrato […] poche sono le cancella-ture e le correzioni interlineari». Queste osservazioni vengono formulate a proposito di iuvenilialeopardiani, che in alcuni casi presentano il testo scritto non a tutta pagina, ma su colonne, coni margini riservati alle correzioni. Ulteriori annotazioni al riguardo in Dondero 1997, 93 n. 19;su alcune peculiarità degli autografi leopardiani cf. anche Andria 1994).

105 Moreschini 1971, 312. Cf. anche Entro dipinta gabbia, XXX, che giudica le variantiindizio di una originaria attenzione al dato formale.

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formulazione delle note, che si trovano a pie’ di pagina in quello fiorentino, einvece nel corpo del testo, poste tra parentesi tonde, nei quaderni recanatesi, conl’indicazione, talora, della fonte da cui la notizia è tratta; vi è, inoltre, qualcheulteriore lieve modifica di carattere stilistico, ovvero, di tanto in tanto, la decisionedi ritornare ad adottare lezioni di R, precedentemente rifiutate106. Il fatto che Le-opardi stesse copiando da suoi appunti precedenti è evidente anche a partire dallepoche sviste (sempre corrette) e dalle rare cancellature che si trovano nel testofiorentino: ché non si tratta di ripensamenti o di correzioni sostanziali, ma di erroripuramente meccanici, come ripetizioni, sauts du même au même, sviste di trascri-zione, aggiunte di parole dimenticate, etc. L’unica differenza che mi sembra di uncerto rilievo è l’aggiunta, cui già ho accennato, delle citazioni da Teofilo Coridalleo,oltre ad alcuni casi di spostamento di periodi dovuti al desiderio di ripartire megliola materia.

Va infine tenuto conto dell’edizione curata da Cugnoni, pubblicata ad Halle più di unsecolo fa, e condotta sui soli autografi recanatesi107, oltre che talora non sempre fededegnapersino rispetto al testo originale. Infatti Cugnoni, pur avendo consultato il testo fiorentinoe pur giudicandolo più compiuto, aveva tuttavia preferito pubblicare quello recanatese,sedotto forse da quella «familiare tradizione, secondo che accertommi il giovane ConteGiacomo», la quale attribuiva «maggior pregio all’esemplare recanatese, forse perché ritoc-cato in seguito di tempo dal suo autore»108: se queste considerazioni possono essere valideper il Volgarizzamento delle opere di Frontone109, per il trattato sui Retori, invece, è vero ilcontrario, essendo F da considerarsi l’ultimo testo corretto, in ordine di tempo, e quellodefinitivo quanto a stesura. L’edizione di Cugnoni poteva quindi essere considerata suffi-ciente per avere una idea generale del contenuto dell’opera, e come tale infatti venne uti-lizzata da quanti desiderassero leggere il trattatello leopardiano (o gli altri scritti ivi pubbli-cati), ma il testo che presenta non è assolutamente condotto con i criteri della modernascientificità; ché, sebbene sia torto eccessivo imputare all’editore le mende tipografiche, ogli errori nella punteggiatura110, talora vengono omesse parole, talaltra liberamente aggiunte,elementi, questi, che risultano inammissibili o quanto meno arbitrari per un filologo di oggi.

Pisa C H I A R A O M B R E T T A T O M M A S I M O R E S C H I N I

106 Cf. Piergili 1889, 29.107 Cugnoni 1878, I 23ss.108 Cugnoni 1878, I VI.109 Come ha dimostrato Pacella 1959: sul manoscritto recanatese sono infatti apportate delle

correzioni che al Leopardi erano state suggerite da Angelo Mai.110 Cf. già Piergili 1889, XVI e 29 (critiche aspre vennero mosse soprattutto da Viani 1878).

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