30
Disedonia Vincenzo MANNA Medico, Neurologo, Psichiatra, Psicoterapeuta Direttore f.f. UOC SPDC DSM ASL ROMA 6 [email protected] cell. +39 333 36 25 218 Sommario “Anedonia” è il termine utilizzato per descrivere l'inabilità patologica a provare piacere che è evidenziabile in molti malat i psichiatrici. E’ evidente che la “disregolazione omeostatica edonica” può essere valutata non semplicemente in termini di presenza o assenza della capacità di provar piacere, ma anche in termini di differenze qualitative e quantitative dalle normali condizioni. Lo sviluppo di una dipendenza da sostanze e della vulnerabilità alla ricaduta successiva all’astinenza può rappresentare il risultato di processi neuro-adattivi intra-cerebrali. Le azioni a lungo termine delle droghe d’abuso inducono deficit dei meccanismi che mediano il rinforzo positivo ma anche l’emergere di cambiamenti affettivi come ansia, disforia e depressione durante l’astinenza. Una crescente messe di dati suggerisce l’implicazione di una disregolazione del sistema omeostatico di controllo edonico come fattore comune allo sviluppo della dipendenza da droghe e della vulnerabilità alla ricaduta successiva all’astinenza. Questo lavoro discute il tentativo di concettualizzare le dipendenze patologiche da sostanze psicoattive ed altri disturbi mentali come entità psico-patologiche distinte (categorie nosografiche), con comuni fattori patogenetici, quali craving, stress e disregolazione omeostatica edonica (disedonia), da un punto di vista diagnostico trans-nosografico e dimensionale. Summary “Anhedonia” is the term used to describe the pathological inability to experience pleasure that is evident in many psychiatric disorders. It is evident that the “hedonic homeostatic dysregulation” can be evaluated not simply in terms of presence or absence of pleasure capability but also in terms of qualitative and quantitative differences from the normal conditions. The development of drug addiction and vulnerability in relapse following withdrawal is proposed to be the result of neuro-adaptive processes within the central nervous system. The long-lasting actions of drugs of abuse lead to impairment in the mechanisms that mediate positive reinforcement but also the emergence of affective changes as anxiety, dysphoria and depression during withdrawal. A growing body of evidence implicates a dysregulation of the homeostatic hedonic control system as a common factor in the development of drug addiction and vulnerability in relapse following withdrawal. This paper discusses the attempt to conceptualize drug addictions and other mental disorders as different psycho-pathological entities (nosographic categories) with common pathogenetical factors as craving, stress and hedonic homeostatic dysregulation (dyshedonia), from a trans-nosographic and dimensional diagnostic point of view. La disregolazione omeostatica edonica (disedonia) come patologia funzionale dei sistemi cerebrali di modulazione della gratificazione Con il termine “anedonia”, in psichiatria, viene comunemente intesa la condizione del paziente completamente incapace di provare piacere di ogni tipo. Ribot, nel 1897, coniò il termine per descrivere una “patologica insensibilità al piacere”. (1) Egli applicò tale definizione a soggetti che erano incapaci di provare piacere in attività sessuali, alimentari, relazionali ed affettive. Bleuler, nel 1911, definì l’anedonia come una caratteristica basilare delle schizofrenie, “un segnale esterno del loro stato patologico”. (2) Kraepelin, nel 1913, parlò dell’anedonia come sintomo fondamentale della “dementia precox”, condizione clinica in cui i pazienti risultano avere “ una caratteristica indifferenza verso le relazioni interumane… con perdita… di soddisfazione… nella ricreazione e nei piaceri, quale primo sintomo manifesto che segna l’esordio della patologia”. (3)

Il consumo moderato di alcol può aumentare il rischio di ... · result of neuro-adaptive processes within the central nervous system. The long-lasting actions of drugs of abuse lead

  • Upload
    haquynh

  • View
    223

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Disedonia Vincenzo MANNA Medico, Neurologo, Psichiatra, Psicoterapeuta Direttore f.f. UOC SPDC DSM ASL ROMA 6 [email protected] cell. +39 333 36 25 218

Sommario

“Anedonia” è il termine utilizzato per descrivere l'inabilità patologica a provare piacere che è evidenziabile in molti malat i

psichiatrici. E’ evidente che la “disregolazione omeostatica edonica” può essere valutata non semplicemente in termini di

presenza o assenza della capacità di provar piacere, ma anche in termini di differenze qualitative e quantitative dalle

normali condizioni. Lo sviluppo di una dipendenza da sostanze e della vulnerabilità alla ricaduta successiva all’astinenza

può rappresentare il risultato di processi neuro-adattivi intra-cerebrali. Le azioni a lungo termine delle droghe d’abuso

inducono deficit dei meccanismi che mediano il rinforzo positivo ma anche l’emergere di cambiamenti affettivi come

ansia, disforia e depressione durante l’astinenza. Una crescente messe di dati suggerisce l’implicazione di una

disregolazione del sistema omeostatico di controllo edonico come fattore comune allo sviluppo della dipendenza da

droghe e della vulnerabilità alla ricaduta successiva all’astinenza. Questo lavoro discute il tentativo di concettualizzare le

dipendenze patologiche da sostanze psicoattive ed altri disturbi mentali come entità psico-patologiche distinte (categorie

nosografiche), con comuni fattori patogenetici, quali craving, stress e disregolazione omeostatica edonica (disedonia), da

un punto di vista diagnostico trans-nosografico e dimensionale.

Summary

“Anhedonia” is the term used to describe the pathological inability to experience pleasure that is evident in many

psychiatric disorders. It is evident that the “hedonic homeostatic dysregulation” can be evaluated not simply in terms of

presence or absence of pleasure capability but also in terms of qualitative and quantitative differences from the normal

conditions. The development of drug addiction and vulnerability in relapse following withdrawal is proposed to be the

result of neuro-adaptive processes within the central nervous system. The long-lasting actions of drugs of abuse lead to

impairment in the mechanisms that mediate positive reinforcement but also the emergence of affective changes as

anxiety, dysphoria and depression during withdrawal. A growing body of evidence implicates a dysregulation of the

homeostatic hedonic control system as a common factor in the development of drug addiction and vulnerability in relapse

following withdrawal. This paper discusses the attempt to conceptualize drug addictions and other mental disorders as

different psycho-pathological entities (nosographic categories) with common pathogenetical factors as craving, stress

and hedonic homeostatic dysregulation (dyshedonia), from a trans-nosographic and dimensional diagnostic point of view.

La disregolazione omeostatica edonica (disedonia) come patologia funzionale dei sistemi cerebrali di modulazione della gratificazione

Con il termine “anedonia”, in psichiatria, viene comunemente intesa la condizione del paziente completamente incapace

di provare piacere di ogni tipo. Ribot, nel 1897, coniò il termine per descrivere una “patologica insensibilità al piacere”.

(1) Egli applicò tale definizione a soggetti che erano incapaci di provare piacere in attività sessuali, alimentari, relazionali

ed affettive. Bleuler, nel 1911, definì l’anedonia come una caratteristica basilare delle schizofrenie, “un segnale esterno

del loro stato patologico”. (2) Kraepelin, nel 1913, parlò dell’anedonia come sintomo fondamentale della “dementia

precox”, condizione clinica in cui i pazienti risultano avere “ una caratteristica indifferenza verso le relazioni interumane…

con perdita… di soddisfazione… nella ricreazione e nei piaceri, quale primo sintomo manifesto che segna l’esordio della

patologia”. (3)

Successivamente, l’anedonia è stata riconosciuta non solo come possibile sintomo di patologia psicotica, ma anche

come sintomo presente e rilevante nell’ambito dei disturbi dell’umore. Nel 1980, il DSM III ha indicato l’anedonia come

uno dei sintomi chiave della depressione maggiore. (4) L’anedonia è stata definita e valutata quantitativamente mediante

specifiche scale proposte da Ettenberg nel 1993. (5) Il DSM IV (1994) considera l’anedonia un sintomo nucleare (core

symptom) della depressione maggiore, ma anche un sintomo negativo della schizofrenia. (6) Dall’analisi della Letteratura

la definizione stessa di anedonia appare complessa e, talora, contraddittoria. (8) Alcuni studiosi l’hanno interpretata,

infatti, come una condizione o uno stato psico-patologico, mentre, altri, invece, hanno considerato l’anedonia una

caratteristica personologica, un tratto di personalità. (9)

L’anedonia, inoltre, è definita, nel DSM IV, come perdita di reattività agli stimoli piacevoli, ma anche, come diminuzione

degli interessi o appiattimento affettivo. Si può, così, evidenziare nell’ambito dell’anedonia, due componenti distinguibili:

1. l’incapacità di desiderare il contatto con stimoli gratificanti;

2. l’incapacità di provare piacere in rapporto a stimoli o attività solitamente gratificanti.

Secondo alcuni Autori (Willner, 1994) (120) l’anedonia dovrebbe mantenere una caratteristica cronicità, al fine di

differenziare il sintomo, propriamente psicopatologico, da uno stato, transitorio e reattivo, caratterizzato da una riduzione

delle attitudini volitivo-motivazionali e delle interazioni relazionali, che può derivare da ordinarie e temporanee

problematiche della vita quotidiana. In altri termini, sarebbe opportuno differenziare clinicamente uno stato

psicopatologico tendenzialmente cronico da una condizione transitoria e reattiva. In quest’ambito concettuale, come in

altre condizioni psichiatriche, viene suggerito di distinguere in una gradazione sintomatologica la gravità del sintomo, da

livelli para-fisiologici e transitori a condizioni cliniche croniche ed invalidanti. E’ opportuno, perciò, superare, sul piano

anche semantico, il termine “anedonia” che richiama, in senso privativo, la sola assenza di piacere, per utilizzare, con

maggiore proprietà linguistica, il termine di “disedonia”, che potrebbe includere tutte le possibili variazioni qualitative e

quantitative della capacità di gratificazione del soggetto. In particolare, possono essere evidenziate clinicamente e

correlate neuro-biologicamente, variazioni qualitative e quantitative della funzione edonica, nella componente

preparatoria (desiderio), nella componente incentivante-motivazionale (attivazione, eccitazione, approccio) e nella

componente consumatoria (piacere, soddisfazione, orgasmo), in numerose condizioni psico-patologiche. In questa

prospettiva, Koob (10), nello studio delle dipendenze patologiche da sostanze psico-attive, ha parlato di “disregolazione

omeostatica edonica”.

Correlati neurobiologici della disedonia

Nel 1954, Olds e Millner evidenziarono l’esistenza di sistemi endogeni cerebrali correlati funzionalmente alla

gratificazione e al cosiddetto “reward” (ricompensa-rinforzo). Sperimentalmente, infatti, i ratti erano in grado di

apprendere l’uso di una leva che induceva una stimolazione elettrica cerebrale “gratificante” in un fenomeno definito

“intracranial self-stimulation”. Numerosi studi successivi hanno confermato che un ruolo preminente, in tale fenomeno, è

mediato dai sistemi mono-aminergici cerebrali, soprattutto dalla dopamina. (11-13) Wise, successivamente, propose

un’ipotesi dopaminergica della ricompensa / anedonia. (14-16) Secondo tale ipotesi le proprietà di rinforzo degli stimoli

gratificanti e motivazionali, incondizionati, quali cibo, acqua, sesso e droghe d’abuso non solo sarebbero mediate dal

tono dopaminergico meso-cortico-limbico, ma tale sistema modulerebbe anche l’apprendimento condizionato di rinforzi

secondari. Numerose evidenze sperimentali hanno supportato tale ipotesi. (15, 17) Nonostante alcune evidenze

negative, raccolte in ambito sperimentale (18, 19) e farmacologico (20, 21), la teoria di Wise è stata accettata

ampiamente dalla comunità scientifica, per cui la dopamina (DA) è stata identificata, in quest’ambito di studi, come il

“neurotrasmettitore cerebrale del piacere”.

Tali osservazioni sono state rielaborate, nell’ambito di definizione clinica della “anhedonia” da Ettenberg nel 1993. (5)

Sebbene i circuiti neuronali dopaminergici meso-cortico-limbici svolgano un ruolo rilevante nei meccanismi della

ricompensa ed in tutte le condizioni cliniche in cui la capacità di provar piacere risulta alterata, il coinvolgimento

funzionale d’altri importanti sistemi neurotrasmettitoriali è stato evidenziato sperimentalmente. (22, 23) In particolare,

alcuni studi farmacologici hanno evidenziato l’importanza relativa:

- del tono oppioide a livello del Nucleo Accumbens (24, 25);

- del tono GABAergico tronco-encefalico (26, 27);

- del tono noradrenergico e serotoninergico (28, 29).

Fritze e Beckam (1988) hanno costruito un modello animale in grado di riprodurre sperimentalmente una sindrome

anergico-anedonica con l’uso di un agonista muscarinico. (30) Sano ha correlato l’anedonia a deficit dei gangli della

base. (31) Ebmeir & Ebert hanno evidenziato, mediante tecniche di neuro-imaging, una correlazione tra anedonia ed

interessamento anatomo-funzionale della corteccia fronto-limbica. (32) Altri studi hanno evidenziato risposte anomale

agli stimoli oppioidi, correlate all’anedonia. (33) Papp et al., inoltre, hanno dimostrato che la morfina non riesce a

provocare un condizionamento alla “place preference” in un modello animale. (34)

Indubbiamente la dopamina appare funzionalmente correlata alle fasi anticipatorie, appetitive, preparatorie e

motivazionali al comportamento d’approccio allo stimolo gratificante, nonché all’apprendimento condizionato di rinforzi

secondari (35). Gli altri sistemi neuro-trasmettitoriali sarebbero coinvolti soprattutto nelle fasi pre-motivazionali e/o

consumatorie, propriamente gratificanti, del rapporto con lo stimolo approcciato.

L’attività funzionale del sistema cerebrale di ricompensa e la connessa capacità edonica, secondo alcuni studiosi,

potrebbe essere distinta in tre componenti fondamentali:

a. l’impatto edonico;

b. l’apprendimento della ricompensa;

c. l’efficacia dell’incentivo a stimolare o deprimere “il piacere”. (35)

L’impatto edonico sarebbe correlato all’attivazione elicitata dallo stimolo incondizionato. L’apprendimento della

ricompensa sarebbe da correlare all’apprendimento associativo tra stimolo condizionato e stimolo incondizionato. La

terza componente rileverebbe, negli incontri successivi con lo stimolo, quanto esso sia stato gratificante tanto da essere

successivamente ricercato. Risulta evidente come queste diverse componenti siano evidenziabili anche nell’uomo,

soprattutto, in rapporto ai fenomeni di “craving” per le sostanze d’abuso, ma anche per cibo, alcol, sesso e gioco

d’azzardo. (36-38).

La “disedonia” potrebbe, perciò, correlarsi, non solo ad alterazioni funzionali della capacità di provare piacere, ma anche

ad alterazioni funzionali della capacità di desiderare stimoli gratificanti, in un approccio concettuale di spettro

psicopatologico, che potrebbe includere non solo depressione maggiore e schizofrenia, ma anche disturbi da abuso di

sostanze, disturbi dell’alimentazione, alcolismo, disturbi del controllo degli impulsi e disturbo “borderline” di personalità

secondo il DSM IV.

L'abuso di sostanze in prospettiva neurobiologica

L'assunzione di cibo, i comportamenti sessuali e materni sono diretti verso obiettivi essenziali per la sopravvivenza

dell'individuo e della specie. La selezione naturale ha assicurato la sopravvivenza degli organismi che esibivano questi

comportamenti associati a potenti proprietà di ricompensa. Gli stimoli ed i comportamenti naturalmente gratificanti

presentano diverse componenti distinguibili: una componente preparatoria (desiderio) una componente incentivante-

motivazionale (attivazione/ eccitazione/ approccio) ed una componente consumatoria (piacere/ soddisfazione/

gratificazione).

L'aspetto incentivante degli stimoli naturalmente gratificanti è dato dalle loro proprietà sensoriali specifiche (odore,

sapore, forma, temperatura) che li identifica (p.es. seno materno). D'altronde, la componente consumatoria degli stimoli

e dei comportamenti naturalmente gratificanti coinvolge gli effetti metabolici e fisiologici, del contatto e dell'interazione,

con la fonte di stimolo compensante. Ognuna di queste componenti può considerarsi piacevole ed elicitare uno stato

emotivo positivo (gratificazione), ma tutte risultano necessarie agli stimoli naturali, per essere del tutto rinforzanti. La

componente preparatoria ed incentivante di tali comportamenti si associa a cambiamenti ergotropi con aumento del

livello di vigilanza, attivazione motoria, aumento del tono simpatico, catabolismo. La componente consumatoria si

associa a cambiamenti trofotropi con sedazione, anabolismo ed aumento del tono parasimpatico. Le proprietà

incentivanti risultano essenziali per l'apprendimento di una risposta comportamentale diretta ad approcciare gli stimoli

naturalmente gratificanti. (39, 40) Il tono dopaminergico (DA) mesolimbico sembra svolgere un importante ruolo in

questo processo. Esso, infatti, risulta direttamente coinvolto nell'aumento del livello di vigilanza e nell'attivazione motoria

necessari al riconoscimento sensoriale ed all'approccio locomotorio allo stimolo naturalmente gratificante. Il tono DA

risulta correlato direttamente alle capacità d’apprendimento operante, cioè al riconoscimento e all'approccio agli stimoli

neutri associati (incentivi secondari) a quelli gratificanti naturalmente (incentivi primari). (41, 42) Il tono DA mesolimbico

risulta, perciò, strettamente connesso alla componente preparatoria o d’approccio agli stimoli motivazionali, ma non alla

componente consumatoria di tali comportamenti naturalmente rinforzanti, che sembra coinvolgere meccanismi neuro-

biologici non solo dopaminergici, prevalentemente oppioidi.

Gli stimoli ambientali assumono valore motivazionale in rapporto alla loro capacità di indurre risposte specifiche,

orientate omeostaticamente, nei sistemi biologici. Gli stimoli essenziali alla sopravvivenza dell’individuo innescano una

complessa sequenza di risposte comportamentali dirette ad approcciare e prolungare il contatto con lo stimolo stesso,

con caratteristiche gratificanti (stimoli appetitivi) oppure allontanare ed evitare lo stimolo, con caratteristiche spiacevoli o

dolorose (stimoli avversivi). L’associazione temporale ripetuta (appaiamento) di uno stimolo neutro ad uno stimolo

espressivo, sul piano motivazionale (appetitivo o avversivo) può indurre il trasferimento sullo stimolo neutro

(condizionato) delle caratteristiche risposte comportamentali, elicitate dallo stimolo incondizionato (apprendimento). (43-

45) Molti farmaci e sostanze d’abuso con effetti sul sistema nervoso centrale (SNC) hanno proprietà motivazionali. In

appropriate condizioni sperimentali, gli analgesici, i narcotici, i barbiturici, gli psicostimolanti, l’etanolo, la nicotina, le

benzodiazepine risultano essere dei rinforzi positivi, inducono, cioè, risposte appetitive che tendono a facilitare

l’approccio ed a prolungare l’assunzione della sostanza vissuta come gratificante. Altre sostanze come il naloxone, la

picrotossina, gli antagonisti dei recettori K per gli oppiacei inducono risposte avversive, comportandosi come rinforzi

negativi. (46, 47)

La definizione di dipendenza patologica da sostanze enfatizza due importanti fenomeni: una compulsione ad assumere

la sostanza (craving) con perdita del controllo a limitarne l’uso ed una caratteristica sindrome d’astinenza che insorge,

con sintomi e segni fisici e motivazionali di malessere, quando la droga viene sospesa. (48) La ricerca dei correlati

neuro-biologici sottesi a tali fenomeni clinici, su modelli sperimentali, è stata focalizzata, perciò, tanto sugli effetti acuti di

rinforzo positivo, cioè gratificanti delle droghe, quanto sugli effetti della sospensione di tali sostanze, dopo assunzione

prolungata nel tempo. In questa prospettiva le proprietà gratificanti delle sostanze psicoattive dopo somministrazione in

acuto possono essere inquadrate nel costrutto teorico delle azioni di rinforzo positivo delle droghe, mentre le proprietà

motivazionali dell’astinenza possono essere considerate alla stregua di rinforzi negativi alla sospensione delle droghe.

(49, 50)

Le droghe d'abuso possono essere considerate, in questa prospettiva, come surrogati degli stimoli gratificanti naturali.

Tali sostanze, infatti, hanno proprietà rinforzanti e motivazionali che attivano comportamenti di ricerca ed appetizione

specifica, con aspetti spesso compulsivi e, talora, impulsivi. Molte sostanze inducono, come gli stimoli naturalmente

gratificanti, un aumento del tono dopaminergico mesolimbico, con effetti attivanti i comportamenti d’approccio e

consumo. Va sottolineato, comunque, che al contrario degli stimoli naturali, le cui caratteristiche sensoriali attivano il tono

DA, nel caso delle droghe, tali caratteristiche sensoriali distintive risultano molto meno rilevanti. Perciò, la ricerca di

sostanze dipende, più che per gli stimoli naturali, dall'apprendimento incentivante, cioè dalla capacità della sostanza

d’indurre l'acquisizione d’incentivi secondari, che risulta essere in stretta relazione alle capacità di tali sostanze

d’aumentare direttamente il tono DA mesolimbico. La nicotina, gli oppiacei e l'etanolo sembrano mimare più

completamente tanto gli aspetti incentivanti quanto quelli consumatori dei rinforzi naturali, per la loro capacità di

stimolare il tono DA, ma anche d’attivare il sistema di gratificazione endopeptidergico. Al contrario gli psicostimolanti

sembrano imitare soprattutto gli aspetti d’approccio, senza produrre gli effetti consumatori propri degli stimoli

naturalmente gratificanti.

Dopamina e motivazione all’uso di droghe

Recenti studi hanno evidenziato un ruolo di rilievo svolto dal sistema dopaminergico mesolimbico, cioè dai neuroni

dopaminergici posti nell’Area Ventro-Tegmentale (VTA) con proiezioni prevalenti a livello del nucleo accumbens, nella

dipendenza e nell'assuefazione da droghe (51, 52). Il Nucleo Accumbens (NAc) funzionalmente integrato nelle

circuitazioni limbiche ed extra-piramidali, sembra svolgere un ruolo critico nel mediare non solo gli effetti di rinforzo

positivo acuto (gratificazione) delle droghe d'abuso, ma potrebbe essere coinvolto negli aspetti motivazionali della

sospensione, dopo assunzione in cronico, quindi nel rinforzo negativo (punizione) proprio del fenomeno astinenziale.

Numerose evidenze scientifiche hanno recentemente dimostrato il coinvolgimento della dopamina nel determinare le

proprietà motivazionali delle sostanze attive a livello del SNC (53, 54). Gli psicostimolanti, come le amfetamine e la

cocaina, aumentano il tono dopaminergico stimolandone il rilascio sinaptico (release) e/o bloccandone la ricaptazione

neuronale (reuptake). Diversi studi neuro-farmacologici hanno indicato che le caratteristiche di rinforzo positivo della

cocaina sono bloccate dalla somministrazione d'antagonisti dei recettori dopaminergici D1 (55). Effetti analoghi possono

essere ottenuti con antagonisti D2 solo a dosaggi elevati. In particolare, gli effetti di rinforzo positivo, dopo

somministrazione in acuto di cocaina, sembrano dipendere dal release sinaptico di DA a livello del NAc. Lesioni neuro-

chimiche della VTA e/o del NAc bloccano la tendenza all'auto-somministrazione di cocaina, d'oppioidi e d'amfetamine

(56, 57). La maggior parte delle droghe d'abuso, quando somministrate sistematicamente, in animali da esperimento,

aumenta i livelli di DA a livello del NAc. Quest'azione acuta caratteristica delle droghe d'abuso sul sistema mesolimbico

dopaminergico è stata considerata contribuire significativamente alle proprietà di rinforzo positivo di queste sostanze ed

ha suggerito che la VTA ed il NAc rappresentano strutture neuronali coinvolte in un comune meccanismo di ricompensa.

Le droghe d'abuso hanno anche profondi e complessi effetti sulle funzioni cerebrali, dopo assunzione in cronico.

Numerose evidenze scientifiche confermano che l'uso prolungato d'oppioidi e psicostimolanti aumenta il bisogno

compulsivo (craving) di assumere droghe (58, 59). Inoltre, l'esposizione ripetuta a queste droghe induce fenomeni

d'adattamento neurale, che sono alla base dei fenomeni di tolleranza, dipendenza ed astinenza. Anche queste azioni,

dopo assunzione in cronico di droghe, sembrano essere mediate, almeno in parte, dal sistema mesolimbico

dopaminergico e, in particolare, dalla via VTA-NAc (60).

Basi biochimiche delle dipendenze patologiche da sostanze

Numerosi studi hanno dimostrato che le sostanze con proprietà gratificanti, come morfina, metadone, fentanile, nicotina,

fenciclidina, aumentano la concentrazione intrasinaptica di DA, soprattutto a livello del NAc (61, 62). Quest’effetto è

comune anche agli psicostimolanti classici come cocaina ed amfetamine. Studi d'elettrofisiologia confermano un'azione

prevalentemente mesolimbica delle droghe d'abuso. La somministrazione sistemica di morfina, etanolo e nicotina stimola

soprattutto l'attività dei neuroni dopaminergici dell'area A10 rispetto all'area A9. Poiché il NAc è innervato principalmente

dai neuroni dopaminergici provenienti dall'area A10 VTA, mentre il nucleo caudato dorsale viene raggiunto da neuroni

provenienti dall'area A9, gli effetti differenti esercitati da morfina, etanolo e nicotina sul release di DA, in vivo, sono

direttamente correlati ad una diversa sensibilità ai loro effetti stimolanti il sistema mesolimbico rispetto a quello

dopaminergico nigro-striatale.

Il tono dopaminergico nigro-striatale è strettamente relato all'attività motoria, in particolare a quella extra-piramidale.

Sulla base di svariate evidenze sperimentali è ipotizzabile che la motivazione, cioè l'attività motoria finalizzata, possa

essere relata a variazioni della trasmissione DA, nel sistema mesolimbico. In particolare, la stimolazione DA mesolimbica

avrebbe azione gratificante, mentre l'inibizione DA avrebbe azione avversiva. Gli analgesici narcotici, l'etanolo, la

nicotina, le amfetamine e la cocaina svolgono azioni stimolanti a livello motorio con effetti motivazionali positivi, che sono

severamente inibiti dai bloccanti recettoriali D1 (55, 62-64). I farmaci, bloccanti i recettori D1 sono in grado d'inibire tanto

gli effetti motivazionali positivi (approccio+appetizione) quanto quelli avversivi indotti da farmaci come naloxone, litio,

picrotossina ed agonisti oppioidi dei recettori K. Poiché queste ultime sostanze interagiscono blandamente e/o non

modificano direttamente il tono dopaminergico mesolimbico, è ipotizzabile che la DA eserciti un ruolo permissivo sui

meccanismi di controllo motivazionale, non solo dopaminergici. Il tono dopaminergico potrebbe, perciò, modulare tanto

l'attività motoria che il tono dell'umore e la motivazione. In particolare, un aumento del tono DA, a livello mesolimbico, si

esprime con uno stato dell'umore positivo, subeuforico nell'uomo e con un aumento dell'attività motoria, nell'animale da

esperimento. Al contrario, una riduzione del tono DA si associa a disforia ed inibizione motoria. L'associazione di queste

variazioni neurochimiche con gli stimoli ambientali potrebbe conferire loro proprietà incentivanti o disincentivanti

l'apprendimento, rispettivamente, in rapporto al livello alto o basso del tono dopaminergico mesolimbico. Comunque, un

forte blocco della trasmissione DA impedisce non solo gli effetti positivi, ma anche quelli negativi sull'apprendimento e

sulla motivazione, pure per farmaci come i K-agonisti oppioidi, che riducono la trasmissione dopaminergica mesolimbica

(60-63).

In animali resi dipendenti con somministrazioni ripetute di morfina, l'astinenza spontanea si traduce in una profonda e

duratura (almeno sette giorni) riduzione del release di DA nel nucleo accumbens, indice di uno stato di dipendenza dei

neuroni dopaminergici mesolimbici. Una riduzione del release basale di DA a livello del NAc è stato osservato anche

dopo sospensione di cocaina somministrata in cronico. (64) Questi risultati confermano l'ipotesi di una comune

sintomatologia caratterizzata da disforia profonda, dopo sospensione di diverse sostanze d’abuso, secondaria alla

depressione del tono dopaminergico, con deficit funzionale del sistema mesolimbico di rinforzo e di modulazione dei

comportamenti motivazionali. Poiché la riassunzione della sostanza d'abuso contrasta l'insorgere della disforia e degli

effetti indotti dal ridotto tono dopaminergico mesolimbico sul piano emotivo e motorio, è ipotizzabile che tali meccanismi

contribuiscano, con un meccanismo di rinforzo negativo, a mantenere la dipendenza patologica da sostanze. In questa

prospettiva, il “craving”, cioè il bisogno d’assumere compulsivamente sostanze, può essere considerato, almeno in parte,

un comportamento rinforzato negativamente, teso ad evitare lo stress dell'astinenza. Al contrario, l'incapacità d’attivare

gli aspetti consumatori del meccanismo neuro-biologico di gratificazione, propria dei farmaci psico-stimolanti, potrebbe

rappresentare la ragione della tendenza alla “escalation” nell'abuso di queste sostanze, che può portare sino alla

tossicità acuta ed alla morte.

Fattori genetici sembrano contribuire alle forti differenze individuali, evidenziabili nei fenomeni d’abuso e dipendenza da

sostanze.

In animali da esperimento sono stati, infatti, evidenziati significativi correlati neurochimici della tossicofilia, in pratica della

tendenza ad assumere sostanze psicoattive, ancor prima dell’effettiva esposizione alle droghe d’abuso. Il ceppo di ratti

selezionati inbred Fischer F344 presenta bassi livelli d’auto-somministrazione spontanea di droghe, mentre il ceppo

Lewis presenta alti consumi spontanei di cocaina, oppiacei ed alcol. Lo studio comparativo delle proteine G,

dell’adenilciclasi, dell’attività della proteinkinasi AMPdipendente a livello del NAc nei due ceppi di ratti ha evidenziato nel

ceppo (tossicofilo) Lewis drug-naive variazioni sovrapponibili a quelle indotte da morfina e cocaina, in cronico, nei ratti

del ceppo Fischer F344. I livelli di tirosina-idrossilasi (TH) risultano marcatamente differenti nel sistema mesolimbico

dopaminergico tra i ceppi di ratti Fischer F344 e di ratti del ceppo Lewis. La VTA dei ratti Lewis (tossicofili) drug-naive

presenta livelli più alti di circa il 45% della immunoreattività alla TH rispetto ai ratti Fischer F344 drug-naive. Inoltre, il

NAc contiene TH a livelli inferiori di circa il 45%. Questo pattern di variazione dei livelli di concentrazione ed attività della

TH nella VTA e nel NAc, evidenziato nel confronto tra i due ceppi, risulta largamente sovrapponibile agli effetti in cronico

indotti da morfina e cocaina su questo enzima nel ceppo non tossicofilo. I ratti Lewis drug-naive, inoltre, presentano a

livello della VTA livelli marcatamente più bassi di neurofilamenti rispetto ai ratti F344. In sintesi, i ratti tossicofili Lewis, in

condizioni drug-naive, prima di qualsiasi introduzione di sostanze psicotrope, presentano a livello della VTA, alterazioni

neurochimiche largamente sovrapponibili a quelle evidenziabili, dopo trattamento cronico con sostanze d’abuso, quindi

dopo aver indotto dipendenza, nei ratti non tossicofili Fischer F344. (65,66)

Craving

Il "craving" (appetizione compulsiva) sembra essere il comune denominatore, l'essenza stessa, delle dipendenze

patologiche da sostanze. Il "craving" è associato ad un ampio spettro di condizioni psicopatologiche, che include i

disturbi mentali organici, i disturbi dell'umore (depressione stagionale), i disturbi dell'alimentazione (bulimia), i disturbi del

controllo degli impulsi (“gambling” patologico, etc.). L'ambito di ricerca, in cui è maggiormente studiato è, tuttavia,

rappresentato dalla clinica delle dipendenze patologiche da sostanze. Il "craving" da sostanze rappresenta il desiderio

intenso ed irrefrenabile di assumere una sostanza psicotropa, i cui effetti sono stati già sperimentati, in precedenza.

Questo desiderio può assumere le caratteristiche dell'impellenza e della compulsività, soprattutto in presenza di specifici

e particolari stimoli e rinforzi, interni o esterni. (65, 66)

L'O.M.S., nel 1955, propose di non usare il termine "craving", in ambito scientifico, perché fonte di confusione, in quanto

comprensivo di stati fisici, emotivi, cognitivi e comportamentali. Probabilmente, la caratteristica principale del "craving" è

rappresentata proprio dal sommarsi di sintomi somatici, psichici e comportamentali. (67)

Il "craving" da sostanze si caratterizza per la presenza d’alcuni aspetti fondamentali:

1. forte attrazione, compulsiva e/o impulsiva, verso situazioni, che permettono l'assunzione di

sostanze;

2. presenza di una complessa e variabile costellazione di sintomi somatici e neuro-vegetativi;

3. presenza di una complessa e variabile costellazione di sintomi emotivi (ansietà, etc.);

4. presenza di una complessa e variabile costellazione di sintomi cognitivi (ideazione

compulsiva, etc.);

5. attivazione comportamentale per la ricerca delle sostanze e per la loro assunzione;

6. incapacità ad interrompere quest’attivazione comportamentale, anche in presenza di forti

ostacoli sociali o legali (comportamenti criminali) e/o di pericoli per la propria salute e per la

propria integrità fisica;

7. comportamenti d’evitamento fobico delle condizioni d’astinenza.

E' possibile, perciò, distinguere tra gli effetti motivazionali delle dipendenze patologiche, una componente tesa a facilitare

l'approccio ed il contatto con lo stimolo ambientale gratificante (sostanza) ed una componente tesa ad allontanare

condizioni spiacevoli o dolorose (astinenza come stimolo avversivo).

Alcuni studi hanno dimostrato l'utilità clinica dei dopamino-agonisti nel trattamento farmacologico del “craving” da

cocaina e psicostimolanti, così come d’alcuni farmaci serotoninergici, nel trattamento del “craving” da alcol. (67) In

questo campo di studio, poco ancora è stato sufficientemente approfondito, a livello di ricerca scientifica, nei rapporti tra

tono dopaminergico mesolimbico, dipendenze e psicopatologia. (68)

La dipendenza patologica da sostanze come stress ciclico

La fase astinenziale, con le sue caratteristiche motivazionali avversive, induce rapidamente alla successiva fase,

d’appetizione compulsiva, il “craving” per la sostanza d’abuso. Tali fenomeni assumono un andamento ciclico,

spiraliforme, quando s’introduce la variabile tempo. (72, 73) Gli effetti motivazionali dell’astinenza da sostanze possono

coinvolgere i substrati neuronali ed i meccanismi neuro-farmacologici dello stesso sistema neurale implicato negli effetti

di rinforzo positivo delle droghe d’abuso. Recenti studi hanno utilizzato la tecnica dell’auto-stimolazione intra-cranica, per

misurare la soglia di gratificazione, durante il corso della dipendenza. Queste osservazioni hanno evidenziato che le

soglie di gratificazione si sono alzate (in altre parole la gratificazione è diminuita) in seguito alla somministrazione in

cronico di tutte le principali droghe d’abuso, inclusa la nicotina, gli oppiacei, gli psico-stimolanti e l’etanolo. Tali effetti,

probabilmente, riflettono i cambiamenti indotti nell’attività del sistema meso-cortico-limbico funzionalmente implicato nel

rinforzo positivo indotto dalle droghe d’abuso, con durate variabili in rapporto alle specifiche sostanze assunte ed alle

loro dosi. (74, 76)

I meccanismi neuro-adattivi, che riflettono i cambiamenti indotti sulla soglia di gratificazione, possono essere i

cambiamenti neurochimici, associati agli stessi neuro-trasmettitori, implicati nella fase di rinforzo positivo acuto, indotto

dalle droghe. (62) Esempi di questi eventi neuro-chimici, adattivi ed omeostatici, possono essere:

· la riduzione del tono dopaminergico e serotoninergico nel NAc durante la fase d’astinenza, così com’è possibile

misurarlo mediante microdialisi in vivo; (75, 77)

· l’aumento della sensitività dei recettori per gli oppiacei e dei correlati meccanismi di trasduzione del segnale nel NAc,

durante l’astinenza da oppiacei; (78)

· la riduzione del tono GABAergico con aumento della trasmissione glutammatergica durante l’astinenza da etanolo; (79,

80)

· le differenti variazioni regionali di sensitività recettoriale nicotinica. (81)

Un altro, non meno importante, meccanismo d’adattamento alla somministrazione ripetuta di droghe d’abuso, che

potrebbe non essere direttamente coinvolto nei circuiti della gratificazione, è rappresentato dall’attivazione del sistema

cerebro-pituitario di risposta allo stress. L’asse ipofisi-surrenalico è attivato negli umani durante la dipendenza da droghe

e, soprattutto, nella fase d’astinenza, con alterazioni funzionali prolungate nel tempo, che possono persistere anche

dopo aver tecnicamente superato la fase d’astinenza propriamente detta. (82) Il Corticotropin-Releasing Factor (CRF)

sembra svolgere complesse funzioni di neuro-modulazione, a livello del SNC, anche fuori del classico asse ipofisi-

surrenalico. Il CRF risulta attivato durante la fase acuta d’astinenza da cocaina, oppiacei, etanolo e tetra-idro-

cannabinolo, probabilmente mediando alcuni aspetti comportamentali dello stress associato all’astinenza. (83) In

particolare, i livelli extra-cellulari di CRF nella regione del nucleo centrale dell’amigdala risultano elevati durante

l’astinenza da droghe d’abuso, quali etanolo, cocaina e tetra-idro-cannabinolo.

In sintesi, diversi neuro-trasmettitori e neuro-modulatori sono implicati negli effetti motivazionali ed astinenziali, indotti

dalle droghe d’abuso. I livelli dopaminergici, endorfinergici, serotoninergici e GABAergici risultano ridotti in fase

astinenziale, mentre i livelli intracerebrali del CRF, soprattutto a livello meso-cortico-limbico ed amigdaloideo, risultano

elevati.

Disregolazione del sistema cerebrale di controllo dello stress

L’abuso cronico di droghe produce cambiamenti disfunzionali e maladattativi, non solo nei sistemi neurotrasmettitoriali

implicati nella modulazione degli effetti di rinforzo acuto, proprio delle sostanze d’abuso, ma anche in altri sistemi

motivazionali, agendo, soprattutto, sui meccanismi cerebrali di controllo e modulazione della reattività allo stress. Lo

stress svolge sicuramente un ruolo sia nell’esordio dell’abuso di sostanze, sia nel mantenimento della dipendenza ed è,

inoltre, uno dei fattori maggiormente coinvolti nella ricaduta, nei soggetti in fase d’astinenza. (83-86) Il ruolo dello stress

nel comportamento di ricerca delle sostanze è stato ampiamente documentato nelle ricerche sperimentali. Stress fisici,

sociali ed emotivi possono facilitare l’assunzione o l’incremento dell’autosomministrazione di etanolo (87-89), eroina (90)

e cocaina (91-93) negli animali da esperimento. Adeguati stimoli stressanti possono portare alla riassunzione di etanolo,

eroina e cocaina animali drug-free, dopo intervalli di tempo relativamente lunghi dall’estinzione del comportamento

tossicofilo. (94-96). Solitamente il comportamento di ricerca e di assunzione delle sostanze, indotto dallo stress, viene

considerato correlato all’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Una crescente mole di dati scientifici, però,

suggerisce che il sistema del CRF, soprattutto a livello del nucleo centrale dell’amigdala, può svolgere un ruolo

significativo ed indipendente, nella modulazione del comportamento di dipendenza patologica da sostanze, associato

con lo stress. Il nucleo centrale dell’amigdala è ricco di cellule, recettori e sinapsi con immunoreattività al CRF. Il sistema

neuronale cerebrale (non-neuroendocrino) modulato dal CRF sembra implicato nella modulazione del comportamento e

delle risposte emotive agli stimoli stressanti (97, 98). Per esempio, lo stress da immobilizzazione aumenta i livelli di CRF

extracellulare nell’amigdala. Al contrario, l’infusione intra-amigdaloidea di un’agonista del CRF riduce i segni

comportamentali d’ansia prodotti da stressors sociali e ambientali (83, 99). E' noto che l’ansia si presenta con una

sintomatologia complessa, simile a quella indotta dalle condizioni di stress. Tale sintomatologia ansiosa è presente nelle

sindromi d’astinenza da alcol e da altre droghe. Considerato che il CRF svolge un ruolo nella regolazione emozionale e

negli effetti ansiogeni dello stress, a livello dell’amigdala, è probabile che la sintomatologia ansiogena, tipica

dell’astinenza da sostanze, possa essere correlata agli effetti del CRF a livello amigdaloideo. Infatti, i livelli extracellu lari

di CRF, nel nucleo centrale dell’amigdala, misurati con microdialisi, sono notevolmente elevati, durante l’astinenza da

alcol e cocaina (100, 101). Un antagonismo funzionale della trasmissione CRF, a livello amigdaloideo, sembra attenuare

i sintomi ansiogeni ed avversivi dell’astinenza da alcol ed oppiacei (102, 103). Questi dati scientifici identificano

nell’attivazione dei neuroni CRF, a livello amigdaloideo, un comune meccanismo neurobiologico, sotteso ai sintomi

ansiogeni da stress, che accompagnano l’astinenza da droghe d’abuso. Tali osservazioni sperimentali potrebbero avere

implicazioni più ampie, in rapporto ai correlati neurobiologici della dipendenza patologica da sostanze. Infatti, la

neurotrasmissione CRF, nel nucleo centrale dell’amigdala, può svolgere un ruolo nella disforia e nel deficit di

ricompensa, misurati tramite la soglia di gratificazione (104). L’innalzamento di questa soglia di ricompensa e la disforia

correlata sono una conseguenza frequentemente osservata nell’astinenza da droghe da abuso (105). In questo senso, le

variazioni del tono CRF a livello amigdaloideo potrebbero rappresentare un meccanismo direttamente correlato allo

sviluppo della dipendenza e del comportamento compulsivo di ricerca ed assuzione di sostanze (craving). Inoltre,

variazioni del sistema non-endocrino CRF potrebbero svolgere un ruolo, non solo nella sindrome acuta da astinenza, ma

anche a distanza di tempo dalla sospensione delle sostanze da abuso (106). In animali da esperimento, in fase

d’astinenza da etanolo e da cocaina, il contenuto tissutale di CRF nell’amigdala è risultato significativamente ridotto in

fase acuta (1° giorno). Il deficit iniziale del CRF tissutale è stato seguito da un incremento progressivo, con livelli

significativamente più alti, dopo la sesta settimana d’astinenza. La riduzione del contenuto tissutale di CRF, durante

l’astinenza acuta, sembra correlarsi all’aumento di release di CRF a livello extracellulare. La riduzione del CRF tissutale,

a livello dell’amigdala, evidenziato durante il primo giorno d’astinenza si correla, infatti, alla deplezione del CRF, per

rilascio extracellulare, indotto dall’astinenza stessa (101, 107-109). Risulta ancora non chiaro il significato funzionale

dell’incremento del CRF dopo sei settimane d’astinenza. Tale fenomeno potrebbe rappresentare in “tratto”

neurobiologico predisponente alla ricaduta.

E’ noto che l’esposizione cronica alla cocaina, di per sé, non incrementa in modo persistente i livelli di CRF mRNA, a

livello dell’amigdala (110). Le variazioni nella sintesi del CRF nell’amigdala, dopo astinenza cronica da cocaina e

psicostimolanti, non sono state, ancora, adeguatamente studiate. Al contrario sono state evidenziate, dopo astinenza

acuta da cocaina, riduzioni dei siti di legame recettoriale CRF1, con variazioni che ritornavano a livelli normali entro 10

giorni dall’inizio dell’astinenza (111). Risulta importante esaminare, inoltre, il profilo di rilascio del CRF, in risposta a

stimoli ambientali stressanti ed i cambiamenti corrispondenti nelle reattività comportamentali agli stressors, a differenti

stadi di astinenza protratta.

Studi preliminari hanno evidenziato che, dopo sei settimane di astinenza, animali da esperimento etanolo-dipendenti

risultano più sensibili agli effetti ansiogeni di blandi stressors. Questi effetti possono essere contrastati da un

pretrattamento con un antagonista recettoriale del CRF (112). Potrebbe essere importante determinare se questi

cambiamenti nella reattività allo stress possano essere correlati al “craving” ed alle conseguenti ricadute, nell’abuso di

sostanze, tipico dei soggetti tossicodipendenti.

Aspetti comportamentali della vulnerabilità alla ricaduta

I dati appena presentati hanno evidenziato variazioni neurobiologiche nel sistema di risposta allo stress, che possono

svolgere un importante ruolo nella compulsione all’assunzione di sostanze e nel cronicizzarsi della dipendenza. Un altro

importante fattore da tenere in debito conto nella valutazione della potenziale cronicizzazione della dipendenza indotta

da sostanze è rappresentato dal condizionamento comportamentale, in risposta a specifici stimoli ambientali. Il craving

da sostanze può essere evocato, infatti, da stimoli ambientali, associati ripetutamente agli effetti gratificanti soggettivi di

tutte le sostanze d’abuso, incluso l’etanolo (113-116). Tali risposte comportamentali condizionate possono facilitare o

causare la recidiva in fase d’astinenza protratta. Le risposte apprese, elicitate dagli stimoli correlati all’uso di droghe,

possono, perciò, contribuire notevolmente all’alto indice di ricaduta nell’abuso, evidenziabile nei soggetti già dipendenti

da cocaina e da altre sostanze stupefacenti. L’esposizione di animali da esperimento a stimoli ambientali associati

all’uso di sostanze può indurre comportamenti di ricerca compulsiva di cocaina, etanolo ed eroina, a distanza di molto

tempo dall’ultima assunzione di queste sostanze (117-120). Gli stimoli condizionati, correlati al consumo di sostanze,

presentano una forte resistenza all’estinzione e possono indurre comportamenti d’approccio e consumo delle sostanze,

anche dopo molti anni d’astinenza forzata, nel caso della cocaina (121). Inoltre, nel caso dell’etanolo, il comportamento

appetitivo, indotto da stimoli specifici, si è dimostrato essere incrementato nei ratti alcol-preferring rispetto ai ratti alcol-

non preferring ed ai ratti wistar non selezionati (122). Questa osservazione dimostra che una predisposizione,

geneticamente determinata, verso l’assunzione di quote elevate di etanolo, si riflette anche in una più grande sensibilità

agli effetti motivazionali della sostanza. Numerose osservazioni scientifiche sostengono l’ipotesi che le risposte apprese,

condizionate dagli stimoli correlati all’uso di sostanze, rappresentano un fattore significativo nella vulnerabilità alla

ricaduta, anche dopo lunghi intervalli di tempo liberi dall’assunzione delle sostanze di abuso. Tali stimoli ambientali,

specifici e discriminativi, sono particolarmente efficaci nell’elicitare e nel sostenere il “craving” ed il comportamento di

ricerca compulsiva delle sostanze.

Interazioni tra fattori condizionanti e stress

Nell’uomo il rischio di recidiva, dopo astinenza protratta, nell’uso di stupefacenti e droghe d’abuso, può dipendere da

fattori multipli, tra loro interagenti. La vulnerabilità alla ricaduta, dopo un lungo intervallo d’astinenza da sostanze, può

derivare, infatti, da fattori neurobiologici modificatisi in senso maladattativo, oppure, dalla semplice riesposizione alle

sostanze e/o a stimoli condizionati specifici, correlati all’assunzione precedente di sostanze. L’interazione tra tali

componenti può esacerbare il rischio di ricaduta, quando si somma l’effetto motivazionale, indotto dallo stress. Recenti

lavori hanno confermato che, in animali da esperimento, in fase d’astinenza prolungata da etanolo, l’esposizione a

stimoli condizionati facilita l’insorgere di comportamenti di ricerca e d’assunzione della sostanza. Un effetto significativo

analogo viene evocato anche dall’esposizione a stimoli stressanti fisici (foots shock stress). L’associarsi di stimoli

condizionati e stressanti induce una sommazione d’effetti ed un più significativo incremento del comportamento di ricerca

compulsiva dell’etanolo. (123) La somministrazione di un antagonista centrale del CRF riduce questo fenomeno, dopo

esposizione allo stimolo stressante, ma non dopo l’esposizione allo stimolo condizionato. Al contrario un antagonista non

selettivo degli oppiacei (naltrexone) riduce significativamente il comportamento elicitato dallo stimolo condizionato, ma

non quello indotto dallo stress. Entrambi i farmaci si sono dimostrati capaci di ridurre il comportamento di ricerca

dell’etanolo, conseguente alla contemporanea esposizione allo stimolo condizionato ed allo stress. Questi dati

confermano il ruolo del CRF nel modulare il comportamento di ricerca compulsiva dell’alcol, indotta dallo stress, ma

anche il ruolo dei recettori per gli oppiodi endogeni nelle ricadute, dopo esposizione a stimoli condizionati specifici. Le più

recenti osservazioni confermano, perciò, che una storia di dipendenza da sostanze può indurre una specifica

vulnerabilità alle ricadute, tanto in rapporto agli stimoli stressanti, quanto in rapporto all’esposizione a stimoli condizionati

specifici. In conclusione, in rapporto allo sviluppo di un’efficace prevenzione delle recidive, questi studi sembrano

suggerire la necessità di una farmacoterapia combinata, integrata con strategie, metodiche e tecniche terapeutiche, non

solo farmacologiche, volta a proteggere dai diversi fattori di rischio. (109, 124-127)

Va sottolineato che, nella sua definizione clinico-teorica, la risposta allo “stress” presuppone un organismo, in equilibrio

omeostatico, che, sottoposto a stimoli ambientali “stressanti”, metta in atto tutta una serie di complesse ed articolate

attività neuro-psico-fisiologiche volte a ristabilire l’equilibrio omeostatico preesistente. (69)

Il concetto di "disedonia”, cioè di “disregolazione omeostatica edonica”, propone una visione parzialmente diversa e

nuova, in cui la perdita dell’equilibrio omeostatico edonico può dipendere non semplicemente da fattori esogeni (gli

agenti stressanti) ma anche o prevalentemente da fattori endogeni. I comportamenti indotti sarebbero, perciò, volti al

ripristino di un equilibrio omeostatico edonico, alterato non solo da fattori esogeni. In tal senso l’uso di sostanze potrebbe

rappresentare una sorta di problematica e paradossale automedicazione, la ricerca di un benessere perso o mai

raggiunto, non semplicemente come conseguenza dell’azione d’agenti esterni “stressanti”. In altre parole, i correlati

neurobiologici che evidenziano a livello della VTA e del Nac, nei ratti tossicofili drug-naive Lewis aspetti largamente

sovrapponibili a quelli indotti dall’esposizione cronica alle droghe dei ratti non tossicofili Fischer F344, potrebbero essere

interpretati come aspetti funzionali di un deficit del sistema mesolimbico di controllo della gratificazione, che precede

l’uso di sostanze. In un certo senso, i ratti Lewis hanno rispetto alle droghe una condizione simil-astinenziale ancor prima

di un qualsiasi contatto con le sostanze stesse. In questa prospettiva, la “disregolazione omeostatica edonica”, la

disedonia potrebbe precedere l’uso di sostanze svolgendo un ruolo patogenetico nell’induzione del comportamento

tossicomanico, nell’apprendimento di risposte comportamentali tese alla reiterazione dell’assunzione di sostanze,

nonché nel complesso fenomeno della recidiva dopo disassuefazione. E’ verosimile, inoltre, supporre che la disedonia

possa svolgere un ruolo nella patogenesi d’altri disturbi psicopatologici.

Ipotesi autoterapica dei disturbi da uso di sostanze e considerazioni psicopatogenetiche

Il "craving" per le sostanze d’abuso può essere distinto in una componente appetitiva, la ricerca della sostanza come

fonte di piacere, ed una componente avversiva, l’ansia anticipatoria dei sintomi d’astinenza e/o l’astinenza stessa. I

soggetti sottoposti a programmi terapeutici di disassuefazione dall’uso di sostanze, quando il trattamento ha

definitivamente eliminato la dipendenza farmacologica, non presentano più segni o sintomi di "craving" avversivo, non

hanno, cioè, ansia anticipatoria per i sintomi d’astinenza, né sintomi d’astinenza in atto. In tali soggetti, però, può

persistere il "craving" appetitivo, talora impropriamente definito quale dipendenza psichica.

In un certo senso, si può parlare, perciò, di un’astinenza primaria, fisica o farmacologica, e di un’astinenza secondaria,

detta psichica, più duratura se non persistente e cronica, legata al desiderio della sostanza, come fonte di piacere. La

condizione psichica dei soggetti completamente disassuefatti potrebbe rappresentare uno stato analogo a quello

preesistente all’uso di sostanze. In altre parole, l’astinenza secondaria, il “craving” psichico, per le sostanze d’abuso

potrebbe essere analogo, se non sovrapponibile, allo stato psico-patologico di “disregolazione omeostatica edonica”,

precedente l’uso di sostanze. In un certo senso, perciò, l’uso, l’abuso e la dipendenza da sostanze potrebbe

rappresentare solo un evento secondario alla “disedonia” intesa come disturbo psico-patologico primario. I Disturbi da

Uso di Sostanze (D.U.S.) ed i Disturbi Indotti da Sostanze (D.I.S.), così come definiti nel DSM IV, sarebbero, perciò,

secondari ad un quadro psico-patologico preesistente, la “disedonia”. La diagnosi di dipendenza da sostanze si

sovrappone, nascondendola, ad una condizione psico-patologica preesistente di “disregolazione omeostatica edonica”,

non diagnosticata. La “disedonia” esisterebbe virtualmente anche prima del contatto con la sostanza d’abuso, sostanza

che, anche se non ancora sperimentata, potrebbe avere un virtuale effetto terapeutico, in altre parole di ripristino

omeostatico della “disregolazione edonica” di fondo. L’assunzione della sostanza indurrebbe, nel soggetto predisposto,

l’apprendimento delle proprietà auto-terapiche nei confronti del proprio disagio psichico. La “self-medication hypothesis”

è stata proposta da Khantzian (128) rispetto ai D.U.S., in particolare in rapporto all’assunzione d’eroina e cocaina. Nella

sua ipotesi “gli specifici effetti psicotropi di queste sostanze potrebbero interagire con disturbi mentali e stati di disagio

emotivo, in modo tale da renderle compulsivamente necessarie in individui predisposti”. Inoltre, ogni soggetto

selezionerebbe autonomamente le diverse sostanze sulla base delle sue individuali carenze e necessità. Rounsaville et

al. hanno ottenuto risultati clinici sostanzialmente concordanti con la teoria proposta da Khantzian e, in altri lavori

scientifici, da Wurmser. (129) Secondo tali osservazioni cliniche, i tossicodipendenti depressi assumono oppiacei nel

tentativo auto-terapico di alleviare uno stato di malessere psichico intollerabile, preesistente all’uso di sostanze. (130)

Naturalmente questi tentativi autoterapici non sortiscono effetti propriamente curativi, se non transitori e problematici,

considerati i rischi e le complicanze connesse all’uso di droghe illegali. Tuttavia, nel vissuto psichico della maggior parte

degli assuntori di droghe, queste sostanze aiutano a superare gli ostacoli della vita, a migliorare le capacità

d’adattamento allo stress soggettivo, ad attenuare il disagio psico-emotivo.

Qualche autore ha sostenuto, nell’ambito di studi sulla comorbilità psichiatrica delle dipendenze patologiche da sostanze,

che non è importante stabilire se la malattia mentale precede o segue l’uso di sostanze, essendo la tossicomania di

importanza clinica sempre minore rispetto al disagio psichico cui si accompagna. (131)

Khantzian, nella formulazione della “self-medication hypothesis”, ha introdotto il concetto di specificità dell’effetto

autoterapico, in rapporto da un lato alla struttura di personalità del paziente, dall’altro alle proprietà psico-farmacologiche

delle sostanze assunte. In tal senso, alcuni autori hanno integrato nella definizione di temperamento la specifica reattività

d’ogni individuo “…alle circostanze e verso gli altri…ai farmaci e, quindi, anche alle droghe.” (131) In quest’ottica, l’effetto

delle droghe d’abuso dipende non solo dalle caratteristiche farmacologiche proprie delle sostanze, ma anche dalla

sensibilità e/o reattività individuale, nonché dal contesto socio-ambientale, in cui avviene l’assunzione. La dipendenza da

una specifica sostanza non è casuale. La preferenza per una determinata sostanza d’abuso segue, secondo Khantzian

(128), un processo d’auto-selezione. Gli psicostimolanti compensano, almeno in parte, l’astenia e l’anergia tipica degli

stati depressivi. La cocaina aiuta a superare difficoltà nei rapporti sociali, inducendo un tono dell’umore iperattivo e/o

ipomaniacale. In realtà, gli effetti soggettivi delle droghe variano, notevolmente, da soggetto a soggetto. Alcuni studi

hanno evidenziato, per esempio, che gli effetti soggettivi dei cannabinoidi si correlano positivamente con l’effetto

rinforzante l’uso delle sostanze, nonché con i successivi consumi. (132,133) In altri termini, l’individuo, che dopo

assunzione di cannabinoidi sperimenta disforia, agitazione, sospettosità, confusione e disorientamento, non ripeterà

l’assunzione con la stessa frequenza di chi, sotto l’effetto dei cannabinoidi, prova euforia, senso di energia, disinibizione

comportamentale e migliorata interazione sociale. Gli effetti soggettivi indotti dalle droghe d’abuso, probabilmente,

rispecchiano differenze neuro-biologiche pre-esistenti ed individuali. In uno studio che ha investigato l’insorgere di un

quadro paranoico dopo assunzione di cocaina, per esempio, è stato evidenziato che tale disturbo psicopatologico non è

prodotto in tutti i soggetti, semplicemente in rapporto al superamento di una certa dose assunta, ma è correlato, anche a

prescindere dalla dose, ad una predisposizione alla paranoia cocainica, rispetto alla quale ogni individuo presenta una

sensibilità individuale specifica. (134)

In conclusione, risulta confermata una correlazione positiva tra gli effetti gratificanti indotti dalle droghe d’abuso,

ripetizione dell’assunzione e successivi consumi. Analoghi risultati sono stati evidenziati per l’alcol etilico. I soggetti che

sperimentano un più alto livello di “allegria” alcol-indotta mostrano di scegliere, in condizioni sperimentali, con netta

preferenza, la bevanda alcolica rispetto a quella placebo. (135) Il consumo di sostanze, in senso qualitativo e

quantitativo, potrebbe essere influenzato, perciò, fondamentalmente, da differenze neuro-biologiche preesistenti

all’assunzione di sostanze.

Da un punto di vista, relativamente nuovo, la “disedonia” può assumere un ruolo patogenetico, in ambito psichiatrico

generale, in rapporto all’insorgere di disturbi comportamentali e di quadri psico-patologici diversi. La ricerca di un

equilibrio omeostatico edonico può, infatti, motivare comportamenti diversi da quello di ricerca ed assunzione di

sostanze. In questa nuova prospettiva, infatti, le dipendenze da sostanze, i disturbi dell’alimentazione, i comportamenti

talora estremi e pericolosi, esibiti da molti adolescenti e giovani, interpretabili nell’ambito concettuale del “Sensation

Seeking Behavior” di Zuckermann e/o del “Novelty Seeking” di Cloninger, il “gambling” patologico, molti altri disturbi del

comportamento con caratteristiche compulsive e/o impulsive, nonché molti altri quadri psico-patologici, relativamente

disomogenei sul piano diagnostico categoriale, potrebbero trovare nel contesto teorico della “disregolazione omeostatica

edonica” una nuova chiave di lettura, con importanti conseguenze sul piano clinico e terapeutico.

Disedonia, noia, sensation seeking, novelty seeking

In epoca adolescenziale e giovanile, sempre più numerosi soggetti presentano una serie di comportamenti di ricerca

estrema di sensazioni forti. Tali comportamenti si orientano, non infrequentemente, verso esperienze rischiose, talvolta

esplicitamente pericolose ed estreme, se non potenzialmente autodistruttive. Per tali soggetti, esperienze meno intense

e legate alla vita quotidiana risultano di fatto noiose, incapaci, cioè, di evocare livelli sufficienti di gratificazione e, talora,

nemmeno livelli sufficienti di attenzione ed interesse.

La noia, il senso di vuoto, l’incapacità di provare interesse e piacere nelle attività quotidiane della vita porta, talora, questi

soggetti alla ricerca di stimoli intensi e nuovi, spesso trasgressivi e ad elevato impatto emozionale. (136-138)

Zuckermann ha affermato che la ricerca di sensazioni forti, Sensation Seeking (SS), connesse alle esperienze

comportamentali più diverse, può essere considerata un vero e proprio bisogno strettamente correlato alla struttura di

personalità dell’individuo. (139, 140) Cloninger ha individuato, tra le diverse condizioni temperamentali, l’atteggiamento

Novelty Seeking (NS). (141, 142)

Secondo l’interpretazione di Zuckermann il tratto di personalità SS è correlato alle differenze inter-individuali del sistema

di “arousal”, in particolare al suo livello basale di funzionamento ed al suo livello di reattività agli stimoli ambientali.

Sarebbe possibile evidenziare in ogni soggetto un livello ottimale di “arousal” corrispondente ad un livello ottimale di

gratificazione “tonica” da stimoli ambientali. Al di sotto di una soglia d’attivazione specifica e individuale nascerebbe il

comportamento (Sensation Seeking) di ricerca attiva degli stimoli, quale risposta adattiva del soggetto alla perdita del

tono sensoriale gratificante. In quest’ottica la ricerca attiva di stimoli potrebbe essere considerata una risposta adattiva,

omeostatica, che tenderebbe a mantenere il livello di stimolazione dell’organismo entro un determinato range ottimale e

gratificante. Un eccesso di stimoli ambientali, ma anche una loro carenza, determinerebbe malessere soggettivo, disturbi

del livello di “arousal”, “disedonia”, perdita del tono gratificante connesso alla stimolazione ambientale. Zuckermann ha

precisato (139) che l’aspetto più rilevante della dinamica SS è rappresentato dall’intensità dello stimolo piuttosto che dal

tipo di stimolo ricercato. L’intensità dello stimolo ricercato sarebbe, inoltre, proporzionale al deficit di gratificazione

connesso all’insorgere del comportamento SS. Alcuni studi hanno suggerito l’esistenza di una possibile correlazione tra

comportamento SS e recettori dopaminergici D4. Ciò ha rinforzato l’ipotesi che il tratto di personalità legato alla ricerca di

sensazioni possa essere una caratteristica costituzionale ed avere specifiche correlazioni funzionali con il sistema

dopaminergico della gratificazione. (143)

L’aspetto temperamentale NS, secondo Cloninger, appare correlato con il livello d’attività del sistema dopaminergico. In

soggetti con tratti elevati di NS la risposta dopaminergica appare amplificata. La risposta incretiva GH appare amplificata

dopo somministrazione di bromocriptina, così come risulta aumentata la risposta inibitoria dopaminergica sull’increzione

di prolattina. (144)

Alcuni autori hanno proposto un coinvolgimento funzionale del tono endorfinergico nella genesi del comportamento SS,

correlato ai disturbi affettivi di tipo distimico. (145, 146) Il tratto di personalità SS è stato considerato un fattore di rischio

per l’insorgere di comportamenti d’abuso e dipendenza da sostanze. (147) La dimensione NS, valutabile sul piano psico-

diagnostico con l’uso del Tridimensional Personality Questionnaire (TPQ) è stata correlata all’insorgere dell’abuso di

sostanze, con capacità predittive e discriminative tra abusatori e non abusatori, nonché strumento efficace

nell’identificazione di soggetti con inizio precoce del comportamento d’abuso di sostanze. (148) Altri markers identificati

sono stati: anticonformismo, impulsività e scarso autocontrollo, scarso evitamento del pericolo (harm avoidance),

tendenza all’autonomia, intolleranza alla carenza di gratificazione. (149)

Il comportamento SS può essere evidenziato anche in soggetti senza dipendenza o abuso di sostanze, ma con aspetti

temperamentali affettivi, prevalentemente ipertimici o ciclotimici. E’ stato ipotizzato che l’esposizione ad esperienze

“stimolanti” induca, in soggetti predisposti, una risposta iperintensa. Ciò potrebbe rappresentare un rinforzo positivo

particolarmente condizionante nei soggetti tendenzialmente ciclotimici. Nelle fasi depressive, l’esperienza di

gratificazione memorizzata, sosterrebbe i comportamenti SS, in senso auto-terapico, come risposta adattiva alla carenza

di gratificazione vissuta, in condizioni d’ipoforia transitoria. (150)

La disedonia potrebbe svolgere un ruolo significativo tanto nella patogenesi delle dipendenze da sostanze, con aspetti

comportamentali compulsivi, che si associano notoriamente a forte evitamento del pericolo e avversione per il rischio,

affini, in un certo senso al tipo 1 di alcolismo, secondo Cloninger, quanto nella genesi di dipendenze patologiche con

aspetti comportamentali impulsivi, che si associano alla ricerca del rischio e alla sottostima del pericolo, con maggiore

affinità con il tipo 2 di alcolismo, secondo Cloninger.

Disturbi dell'alimentazione e disedonia

Richard Morton, in un trattato medico pubblicato a Londra nel 1689, è stato il primo autore ad aver dato una descrizione

dell’anoressia nervosa, cui si riferisce come “consunzione nervosa” causata da “tristezza e preoccupazioni ansiose”.

(151) Comportamenti bulimici sono stati descritti da James (1743), da Cullen (1772) e dall’Encyclopedia Britannica in

un’edizione del 1797. (152)

I disturbi dell’alimentazione sono stati classificati, sul piano nosografico, sino a tempi recenti (DSM IV 1994) individuando

essenzialmente due sindromi: l’anoressia nervosa (AN) e la bulimia nervosa (BN). Caratteristica comune alle due

sindromi è la presenza di un’alterata percezione del peso e dell’immagine corporea. L’anoressia si caratterizza per il

rifiuto e l’incapacità a mantenere il peso corporeo al di sopra del peso minimo normale.

La bulimia è caratterizzata da ricorrenti episodi di perdita del controllo nell’ingestione di cibo, con “abbuffate” talora

seguite dall’adozione d’incongrui comportamenti di controllo del peso corporeo (vomito autoindotto, uso di lassativi,

diuretici, digiuno, iperattività fisica, etc.). Nel DSM IV i disturbi alimentari che non rientrano specificamente in queste due

categorie sono classificati come Non Altrimenti Specificati (NAS). Di recente, però, il disturbo da alimentazione

incontrollata (DAI) ha ricevuto specifica attenzione ed è stato inserito nell’appendice B del DSM IV. L’approccio

nosografico ai disturbi dell’alimentazione resta un approccio diagnostico categoriale. Tale approccio individua i criteri

diagnostici, secondo parametri descrittivi, e fissa limiti netti tra categorie diagnostiche diverse. Un approccio categoriale

è utilissimo nella comunicazione tra operatori, ma è molto meno utile nella ricerca delle basi etio-patogenetiche dei

disturbi dell’alimentazione e nella ricerca d’efficaci strumenti terapeutici. (153) Si è avvertita la necessità di un

inquadramento diagnostico dimensionale, anziché, categoriale, soprattutto negli ultimi anni, da parte di numerosi

studiosi, al fine di fornire una migliore descrizione dell’evoluzione storica del disturbo dell’alimentazione, ma anche per

identificare i fattori etio-patogenetici correlati all’insorgere della sintomatologia, prima che siano mascherati dagli effetti

psichici e fisici secondari al disturbo conclamato. (154, 155) A lungo si è dibattuto se i disturbi dell’alimentazione vadano

considerati in un “continuum” che va dal comportamento alimentare “normale” al comportamento alimentare patologico,

includendo in tale spettro diagnostico anche disturbi minori, quali il seguire diete (dieting) o il fare abbuffate (binge) o se

invece i quadri clinici tipici, descritti nosograficamente, vadano considerati categorie discrete, distinte sul piano etio-

patogenetico. (156) Coloro che propongono l’inquadramento diagnostico dimensionale sostengono che esistono

numerosi disturbi alimentari, nella popolazione generale, distribuiti in modo continuo e non discreto. (157) In numerosi

studi si è evidenziato, infatti, che solo la metà dei soggetti, che si rivolgono ad un servizio per la cura dei disturbi

alimentari, presenta quadri clinici conclamati d’anoressia e bulimia nervosa. Paradossalmente, nella popolazione

generale i disturbi alimentari atipici, subclinici, sottosoglia, o NAS sono tanto frequenti, se non più frequenti, dei disturbi

alimentari conclamati, che hanno ricevuto un’identificazione nosografica. (158)

Correlati neurobiologici dei disturbi alimentari

La ricerca in ambito neurobiologico, neuroendocrinologico e psicofarmacologico ha prodotto una messe di dati scientifici,

sia sperimentali sia clinici, sui fattori biologici sottesi al comportamento alimentare normale e patologico. (159, 160) In

termini generali, il comportamento alimentare tende alla conservazione dell’equilibrio omeostatico di un organismo in un

determinato contesto ambientale. In tale ottica, il comportamento esibito da qualsiasi essere vivente può essere

interpretato, in prima istanza, alla luce di questa finalità omeostatica, tesa, in pratica, alla sopravvivenza, in condizioni di

benessere dell’individuo e alla conservazione della specie.

I sistemi neurali deputati alla complessa attività regolatoria del comportamento alimentare, sono integrati a livello

ipotalamico mediale, in particolare dai nuclei paraventricolari (PVN) e dai nuclei ventromediali (VMN). Tali nuclei

svolgono un’articolata funzione d’integrazione delle afferenze periferiche, provenienti dall’apparato digerente, con

prevalente mediazione neuroendocrina, ma anche da altre aree cerebrali, con prevalente neurotrasmissione aminergica

e neuromodulazione peptidergica. (161)

Una sintetica descrizione di questa complessa funzione d’integrazione vede il coinvolgimento di:

· segnali di fame, mediati prevalentemente da noradrenalina e neuropeptide Y;

· segnali di sazietà, mediati prevalentemente da serotonina e colecistochinina;

· segnali di piacere, mediati prevalentemente da dopamina e oppioidi endogeni;

· segnali metabolici, mediati prevalentemente da insulina e peptina.

Il tono noradrenergico centrale svolge un’azione facilitante il comportamento d’assunzione di cibo. In particolare, l’azione

di farmaci alfa-2-agonisti, a livello del PVN, induce iperfagia. I soggetti affetti da BN, in fase sintomatica, presentano

segni di attivazione noradrenergica, durante il pasto, superiore a quella di soggetti normali. Un basso tono

noradrenergico centrale sembra, invece, correlato all’iponutrizione, nella AN, e scompare con la normalizzazione del

peso corporeo. (162, 163)

Il neuropeptide Y (NPY) ed il peptide YY sono potenti stimolatori dell’appetito, se iniettati per via intracerebroventricolare

in animali da esperimento, anche in animali che hanno già raggiunto la sazietà. Il rilascio di NPY è antagonizzato

dall’amfetamina, mediante un meccanismo di stimolazione DA. (163, 164) Nella AN i livelli di NPY risultano elevati.

Alcuni effetti del NPY inducono alcuni sintomi tipici della AN, quali: ipotensione, attivazione dell’asse ipofisi-surrenalico,

soppressione dell’increzione gonadotropa ed inibizione dell’attività sessuale. (159) Gli effetti del NPY sull’increzione

gonadotropa risultano opposti, a seconda dei livelli di estro-progestinici circolanti. I livelli di NPY risultano elevati nelle

anoressiche sottopeso in amenorrea e tendono a normalizzarsi tardivamente, rispetto al recupero del peso corporeo, con

il ritorno del ciclo mestruale. (165) Non sono stati evidenziati livelli alterati di NPY nei soggetti affetti da BN.

Il peptide PYY non blocca l’increzione di gonadotropina, ma ha un più potente effetto oressante. Non risulta perturbato

nella AN o nell’obesità, mentre risulta fortemente elevato nei soggetti affetti da BN, circa dopo un mese dalla

sospensione dei comportamenti di craving alimentare. (164) Questo fenomeno potrebbe costituire un “tratto”

neurobiologico predisponente alla ricaduta. (165)

Il rapporto tra serotonina (5HT) cerebrale e comportamento alimentare è sostanzialmente circolare. La sintesi di 5HT

dipende dall’apporto alimentare di triptofano, mentre, il comportamento alimentare è sensibilmente influenzato dal tono

serotoninergico centrale. Una ridotta disponibilità dietetica di triptofano può indurre un abbassamento dei livelli di

serotonina cerebrale, con effetti clinicamente rilevabili, come slivellamento depressivo del tono dell’umore e ridotta

risposta agli antidepressivi. A livello della barriera emato-encefalica, il trasportatore non specifico di triptofano, è

utilizzato, in senso competitivo, anche da altri aminoacidi. Un pasto proteico non necessariamente migliora l’apporto di

triptofano, a livello cerebrale, per quest’effetto competitivo, esercitato da altri aminoacidi. L’ingestione di carboidrati

induce un’increzione insulinica, che stimola la penetrazione di glucosio ed aminoacidi neutri nei tessuti periferici,

riducendo la competizione a livello del trasportatore e facilitando l’ingresso di triptofano nel SNC. In tal senso, l’appetito

specifico per i dolci, presente in alcuni soggetti depressi, ma anche in obesi e bulimici, potrebbe essere interpretato

come un inconsapevole comportamento con finalità di automedicazione. (166)

Nella AN è stato evidenziato un basso tono serotoninergico centrale, nei soggetti sottopeso, con livelli superiori a quelli

normali, dopo il recupero del peso ideale, che tende a persistere nel tempo per almeno un anno. L’ipertono

serotoninergico può essere considerato una caratteristica di “tratto” neurobiologico, che può facilitare la ricaduta. Le

variazioni del tono serotoninergico cerebrale, presenti nei soggetti con AN, potrebbero correlarsi ad aspetti psico-

patologici di tipo ossessivo-compulsivo, con tendenze all’anancasmo ed al perfezionismo.

Nella BN è stata evidenziata una correlazione inversa tra i livelli di 5HT e la frequenza d’abbuffate. L’ipoattività

serotoninergica potrebbe, perciò, svolgere un ruolo patogenetico sul fenomeno bulimico. Nell’obesità sono stati registrati

bassi livelli di metaboliti liquorali della 5HT, con una correlazione inversa tra tono serotoninergico e “craving” per i

carboidrati.

In un’ottica dimensionalistica, i disturbi dell’alimentazione potrebbero essere interpretati in un continuum di disfunzione

serotoninergica. Infatti, livelli elevati di 5HT indurrebbero condotte anoressiche e comportamenti ossessivo-compulsivi,

mentre, bassi livelli di 5HT produrrebbero condotte impulsive, con perdita del controllo sul comportamento appetitivo,

quindi, abbuffate nei soggetti bulimici ed affetti da “binge eating disorder” e “craving” specifico per i dolci, anche nei

soggetti obesi e/o depressi. (160, 167, 168)

Il polipeptide colecistochinina (CCK) induce sazietà negli animali e nell’uomo. E’ presente nelle cellule endocrine

dell’apparato digerente, ma, anche, diffusamente, nel SNC dell’uomo, incluso il PVN. Esiste una modulazione reciproca

tra tono serotoninergico centrale e attività funzionale mediata dalla CCK. Il livello basale e post-prandiale di CCK,

nonché il senso di sazietà indotto, risultano sostanzialmente normali, sia nella AN sia nella obesità. (169) Nella BN in

fase attiva la risposta alla CCK è diminuita. (165) Un picco post-prandiale di CCK, superiore ai livelli di normalità, è stato

evidenziato nelle depressioni melanconiche, che si associano spesso ad inappetenza. (170)

La dopamina svolge un ruolo fondamentale nei circuiti mesolimbici implicati nel controllo della funzione edonica.

L’assunzione di cibo determina rilascio di DA nei siti cerebrali già descritti e coinvolti nel fenomeno del “reward”. La

somministrazione di farmaci agonisti DA stimola il comportamento alimentare a bassi dosaggi, mentre lo riduce ad alti

dosaggi. Il trattamento con neurolettici, antagonisti recettoriali DA, provoca iperfagia e incremento ponderale. (159) Una

riduzione del numero di recettori D2, geneticamente determinata, si associa a ridotti effetti gratificanti mediati dal sistema

DA e si associa ad obesità, in presenza di cofattori ambientali. (171) I soggetti con BN con alta frequenza di “bingeing

behavior” mostrano ridotti livelli di DA cerebrale. (162) Nella AN è stata evidenziata una riduzione delle risposte

neuroendocrine (GH, PRL) dopo stimolo DA che persiste, almeno in parte, anche dopo recupero del peso corporeo.

(165)

Gli oppioidi endogeni stimolano il comportamento alimentare, negli animali da esperimento, mentre gli antagonisti

oppioidi, come il naloxone, tendono a diminuirlo. (163) I soggetti affetti da AN sottopeso presentano livelli endorfinergici

variabili e gli effetti di un trattamento con farmaci agonisti/antagonisti oppioidi induce effetti contrastanti. (164) E’

probabile che l’effetto degli oppioidi endogeni sia bifasico, con effetti stimolanti il comportamento alimentare, a livelli

medio-bassi, ed inibizione del comportamento alimentare, a dosaggi elevati. (172) I livelli endorfinergici tendono a

normalizzarsi con il recupero del peso corporeo, nei soggetti affetti da AN. Ciò induce ad ipotizzare un loro ruolo

patogenetico, nella perpetuazione del disturbo e nell’eventuale ricaduta, ma non un ruolo causale, propriamente detto.

Nella BN si sono registrati dati contrastanti nello studio del rapporto tra livelli endorfinici e comportamento alimentare. E’

stata però evidenziata una correlazione inversa tra attività oppioide e disturbi depressivi dell’umore, nonché una

correlazione diretta tra livelli endorfinici e frequenza delle abbuffate. Gli studi, a tutt'oggi, pur avendo rilevato variazioni

del tono endorfinico cerebrale, nei soggetti affetti da BN, non sono riusciti ad evidenziarne un ruolo patogenetico

primario. Tali variazioni, infatti, potrebbero conseguire alle variazioni del comportamento alimentare, piuttosto che

causarlo. Ciò nonostante, i soggetti obesi mostrano livelli elevati d’endorfine, che persistono anche dopo dimagrimento.

Si può ipotizzare, perciò, l’esistenza d’alterazioni predisponenti a carico del tono oppioide endogeno cerebrale, almeno

per alcune sottopopolazioni di soggetti, che tendono alla sovralimentazione patologica. (165, 169, 172)

La vasopressina e l’ossitocina sono due polipeptidi ipotalamici con importanti effetti neuroendocrini e cognitivi.

L’ossitocina, oltre a stimolare parto e lattazione, svolge un ruolo d’antagonista dell’ormone ACTH, anche in condizioni di

stress, e tende a ridurre il consolidamento dei ricordi ed a limitare la rievocazione delle tracce mnesiche. La

vasopressina svolge una funzione di controllo dell’osmolarità plasmatica a livello renale, ma facilita, inoltre, il rilascio di

ACTH nella reazione da stress, potenziando le capacità mnesiche. (173) Nella AN sono state evidenziate significative

alterazioni dell’increzione di vasopressina, che non risponde più regolarmente alle variazioni della natremia. (159)

L’increzione d’ossitocina è diminuita, in corso di AN, con una relativa prevalenza della vasopressina. Alcuni autori hanno

correlato queste variazioni ai disturbi del pensiero e delle funzioni cognitive, proprie delle anoressiche sottopeso. La

vasopressina è alterata tanto nei soggetti bulimici che nei soggetti in sovrappeso, senza comportamenti di vomito

indotto.

Il CRF inibisce l’alimentazione nell’animale da esperimento. Nelle anoressiche sottopeso sono stati evidenziati elevati

livelli liquorali di CRF, ma anche elevati livelli di ACTH e cortisolo plasmatici. L’attività funzionale dell’asse ipofisi-

ipotalamo-surrenalica si normalizza, con il recupero del peso, nella AN. L’increzione di CRF potrebbe svolgere un ruolo

nel mantenimento e nella ricaduta in fase sintomatica della AN. I soggetti affetti da AN tornati normopeso, che

mantengono un’iperincrezione di CRF persistente, presentano, spesso, sintomi di depressione. L’iperincrezione di CRF

può precedere o promuovere sintomi anoressici, in soggetti depressi.

Il disturbo da alimentazione incontrollata

ll disturbo da alimentazione incontrollata (DAI) rappresenta una sindrome già identificata, nel 1959, da Stunkard, che si

manifesta in un sottogruppo di pazienti, solitamente obesi. (174) Tali soggetti presentano un comportamento alimentare

tipico, caratterizzato da consumi episodici di grandi quantità di cibo, “abbuffate” (binge), seguite da sensi di colpa,

sofferenza psicologica con autoaccusa e tentativi di seguire diete compensatorie, spesso incongrue. Il “binge-eating

disorder” ha ricevuto sufficiente attenzione clinica, in ambito psichiatrico, solo da pochi anni. Secondo alcune stime, negli

U.S.A. la frequenza di DAI nella popolazione generale raggiunge il 2-5 %, mentre tale frequenza raggiunge valori sino al

30% nella popolazione d’obesi, che cercano di dimagrire e si rivolgono a strutture specialistiche per farlo. (175) In Italia,

la frequenza di DAI stimata in una popolazione di obesi, in trattamento presso una struttura specialistica universitaria, è

risultata dell’1,9%. (176) Il disturbo da alimentazione incontrollata risulta più frequente nel sesso femminile, con un

rapporto femmine/maschi di 3/2. L’esordio del disturbo è giovanile, in media tra 15 e 19 anni. Il disturbo spesso

esordisce dopo una dieta incongrua con calo ponderale. Il DAI è presente in tutte le classi socio-economiche, ma

sembra prevalere in quelle più basse. I soggetti obesi con DAI presentano una più alta familiarità per l’obesità, un’età

d’esordio più precoce, un rapporto più stretto tra dieta ipocalorica per sovrappeso ed insorgenza del disturbo. (152)

I criteri forniti dal DSM IV per la diagnosi del disturbo da alimentazione incontrollata includono:

A. episodi ricorrenti di alimentazione incontrollata con la presenza di entrambi i seguenti elementi: 1. mangiare, in un

periodo definito di tempo (ad esempio entro due ore) una quantità di cibo assai superiore a quella che la maggior parte

delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo ed in circostanze simili; 2. sensazione di perdita del controllo

nel mangiare durante l’episodio (ad esempio, sensazione di non riuscire a fermarsi durante l’episodio);

B. la presenza di tre o più dei seguenti sintomi: 1. mangiare molto più rapidamente del normale; 2. mangiare sino a

sentirsi spiacevolmente pieni; 3. mangiare grandi quantitativi di cibo, anche se non ci si sente fisicamente affamati; 4.

mangiare da soli a causa dell’imbarazzo per quanto di sta mangiando; 5. sentirsi depressi ed in colpa dopo l’abbuffata;

C. la presenza di un marcato disgusto, rispetto al mangiare incontrollato;

D. il comportamento alimentare incontrollato si presenta mediamente almeno per due giorni a settimana, in un periodo di

sei mesi;

E. l’alimentazione incontrollata non risulta associata a comportamenti compensatori inappropriati (ad esempio digiuno,

vomito, esercizio fisico prolungato, uso di purganti, etc.).

Il bisogno di mangiare è descritto dai pazienti come incoercibile, preceduto da un’ideazione ossessiva, a tematica

alimentare, che precede l’abbuffata, in pratica il comportamento appetitivo caotico e disordinato, che sembra presentare

le caratteristiche di una vera e propria compulsione. La sensazione esperita è di un impulso irrefrenabile all’assunzione

di cibo, smodato ed incontrollabile, sia per il tipo d’alimenti assunti, sia per la durata dell’abbuffata. (177) I pazienti sono

spesso disforici, con slivellamento depressivo del tono dell’umore e ansia. Nella storia personale di questi pazienti sono

frequentemente presenti episodi di violenza fisica e sessuale. (178) E’ stata evidenziata frequentemente una comorbilità

psichiatrica caratterizzata dalla presenza di depressione maggiore, distimia e depressione atipica. (158) Molto spesso si

associa al DAI un disturbo d’ansia generalizzata, l’abuso di sostanze psico-attive e d’alcol, come pure il disturbo

borderline di personalità (14 % dei casi). (176)

Tra i parenti di primo grado dei pazienti affetti da DAI è frequente la presenza di disturbi affettivi maggiori (33%), d’abuso

d’alcolici (47%) e d’abuso di psicofarmaci (12%). Il decorso del DAI è tendenzialmente cronico con periodiche

riesacerbazioni, che tendono a preludere ad un aggravamento della sintomatologia. (174, 179)

Nel paradigma interpretativo della disregolazione omeostatica edonica, il DAI potrebbe essere considerato come un

disturbo da perdita di controllo sul comportamento alimentare, nella sua componente appetitiva. E’ noto, infatti, che il

glucosio ha effetti inibitori sulla trasmissione dopaminergica, potenzia nell’animale la catalessia indotta dall’aloperidolo,

mentre il comportamento stereotipato, indotto dall’amfetamina, è ridotto nel ratto diabetico. (180, 181) Una

“disregolazione omeostatica edonica” potrebbe, inoltre, svolgere un importante ruolo patogenetico anche negli altri

disturbi dell’alimentazione.

Disedonia - Approccio diagnostico dimensionalistico

Lo sforzo di sistematica classificazione diagnostico-nosografica delle malattie mentali prodotto da Kraepelin è sembrato

essere sostanzialmente validato dall’avvento della moderna psico-farmacologia clinica. (182) L'efficacia di specifiche

classi di farmaci (ansiolitici, antipsicotici, antidepressivi, etc.) su specifiche categorie diagnostiche (ansia, psicosi,

depressione), per alcuni decenni, ha confermato, apparentemente, che tali categorie diagnostiche avevano una loro

validità reale e non erano semplici astrazioni razionali o ipersemplificazioni del reale.

Il notevole incremento delle conoscenze scientifiche in campo neurobiologico, degli ultimi anni, ha messo profondamente

in crisi, forse in modo irreversibile, certi concetti nosografici e, contemporaneamente, quello di specificità, di varie classi

di psicofarmaci, nel trattamento di determinate classiche "categorie psicopatologiche".

Numerosi studi neuromorfologici, neurofisiologici, neuro-endocrinologici e d’andamento intergenerazionale delle malattie

mentali sembrano deporre per una continuità patologica tra i diversi disturbi dello spettro schizofrenico. (183) Altrettanto

si potrebbe dire per i disturbi d'ansia ed i disturbi dell'umore, che potrebbero essere interpretati com’entità nosografiche

distinte o come un fenomeno dimensionale unico. (184) Attualmente, perciò, la diagnosi in campo psichiatrico ha un

valore di convenzione condivisa, più che d’identificazione di una specifica eziopatogenesi della malattia e di una

corrispondente specifica risposta terapeutica.

Queste considerazioni hanno ridimensionato il ruolo svolto dai più recenti sforzi di sistematizzazione categoriale dei

disturbi mentali, come D.S.M. III R (4), D.S.M. IV (6) e I.C.D. 10.

Da un lato è possibile evidenziare l'esistenza di dimensioni patologiche trans-sindromiche, dall'altro l'approccio

categoriale non permette di cogliere le similarità sintomatologiche parcellari, tra sindromi diverse, che potrebbero

sottendere comuni meccanismi patogenetici. La sistematica descrizione di segni e sintomi raccolti, a fini diagnostici, in

disordini e disturbi psicopatologici, può essere alla base di una fittizia sovrastima della comorbilità psichiatrica che, in

realtà, lo stesso sistema diagnostico e nosografico (D.S.M. IV) di riferimento crea. Ciò nonostante, lo sviluppo della

ricerca in campo psicobiologico e psicofarmacologico è, paradossalmente, il principale fattore di crisi del sistema

nosografico categoriale. La somministrazione di un farmaco presuppone, in medicina, una ben definita condizione

patologica, su cui quella sostanza agisce su uno specifico substrato fisiopatologico. I più recenti studi di psicobiologia e

di psicofarmacologia hanno dimostrato alterazioni di determinati parametri neurochimici, neuromorfologici e

neurofisiologici, largamente sovrapponibili, in disturbi mentali, nosograficamente diversi. In psicopatologia le barriere

categoriali, che mantengono una loro valenza didattica e comunicativa, si scontrano con la realtà terapeutica, che

evidenzia l'efficacia di molti composti psicotropi, in situazioni cliniche nosograficamente distanti. Il concetto di specificità

farmacologica appare intrinsecamente legato all'approccio categoriale alla psicopatologia. Negli ultimi anni, si sono

raccolte numerose evidenze scientifiche che hanno messo in crisi la teoretica categoriale. Si sta passando, così, da un

approccio nosografico rigidamente categoriale ad un approccio dimensionalistico. Si tende, sempre più frequentemente,

a non considerare com’entità reali le categorie diagnostiche, che in psichiatria raramente si presentano nella loro ideale

descrizione, orientandosi verso un approccio classificativo, che considera i diversi sintomi autonomamente, in un

"continuum" tendenzialmente trans-nosografico. Van Praag (185) ha affermato che: "Le categorie diagnostiche, in

psichiatria, erano null'altro che ampi cesti che contenevano una varietà di sindromi più o meno collegate tra loro, non

certo entità patologiche genuine. Tale tassonomia non è stata una buona compagna per la ricerca in psichiatria biologica

ed è stata, in larga parte, responsabile del fatto che gran parte della "biologia" che era evidenziata nella patologia

mentale sembrava essere priva di specificità diagnostica...". Si è andati, perciò, verso una visione psicopatologica

disfunzionale, cambiando l'approccio diagnostico, a favore di una visione dimensionalistica dei disturbi mentali, anziché

rigidamente categoriale. (186) L'utilizzo nella pratica clinica degli SSRI, farmaci che inibiscono selettivamente il reuptake

di serotonina, ha dimostrato, per esempio, una loro attività terapeutica in quadri nosografici disomogenei (depressione,

disturbo ossessivo-compulsivo, aggressività, bulimia, etc.). E’ stato, quindi, ipotizzato, che tali disturbi clinici potrebbero

essere patogeneticamente secondari, in una certa misura, a complesse disfunzioni del tono serotoninergico cerebrale,

che risulta essere il denominatore comune, ai diversi disordini psicopatologici, su cui sono attivi. Questi disturbi

appartengono ad uno spettro patologico che include il disturbo depressivo, i disturbi alimentari, i disturbi ossessivo-

compulsivi, l'alcolismo, le tossicodipendenze, alcuni disturbi di personalità, alcuni disturbi somatoformi, nonché i disturbi

da perdita del controllo sugli impulsi, l'aggressività, gli attacchi di panico ed, in parte, l'ansia. Evidenze analoghe sono

state raccolte circa il ruolo patogenetico svolto dalla noradrenalina nella regolazione della spinta psicomotoria,

nell'arousal, nell'anedonia. Numerosissimi studi hanno sottolineato il coinvolgimento funzionale del tono dopaminergico

cerebrale sia negli aspetti ideativi e di strutturazione percettiva e cognitiva del vissuto (processamento delle

informazioni), sia negli aspetti più direttamente motori e motivazionali un cui ruolo è razionalmente ipotizzabile tanto nella

patogenesi delle dipendenze patologiche da sostanze quanto in quella delle psicosi. (187-189) Stiamo assistendo, in

questi ultimi anni, ad una rivoluzione, che vede la ricerca impegnata a trovare non più un legame patogenetico, tra un

neuro-mediatore ed una "categoria" nosografica, ma tra esso ed alcuni componenti sintomatologici fondamentali del

disturbo mentale (ansia, aggressività, edonia, cognitività, etc.). (190, 191)

S’impone, in questa prospettiva, una nuova questione. Le dipendenze patologiche da sostanze presentano una loro

intrinseca comorbilità psichiatrica, la cosiddetta “doppia diagnosi”, oppure rappresentano solo un’espressione clinica di

una più complessa dimensione psicopatologica? In altre parole, siamo certi che le stesse dipendenze patologiche da

sostanze non debbano rientrare, a pieno titolo, tra i disturbi psicopatologici, come la loro inclusione, nel contesto del

D.S.M. IV, implicitamente suggerisce? La questione del continuum psicopatologico, tra dipendenze patologiche e altri

disturbi psichiatrici, è gravida di conseguenze, non solo sul piano clinico-diagnostico, ma anche su quello terapeutico-

riabilitativo. (150, 192- 202)

Conclusioni e prospettive terapeutiche

L'abuso di droghe ed in particolare d’oppioidi mima, in un certo senso, i meccanismi naturali di ricompensa,

possedendone tanto gli aspetti incentivanti quanto quelli consumatori. Il tono dopaminergico mesolimbico risulta

coinvolto negli aspetti incentivanti della gratificazione da oppiacei e, quindi, nell’acquisizione e/o riacquisizione dei

comportamenti tossicofili. Una volta acquisito, tale comportamento è reiterato, non solo per le sue peculiarità incentivanti,

ma anche per le proprietà consumatorie dell'assunzione di oppiacei, che sembrano essere relativamente indipendenti

dal tono dopaminergico mesolimbico.

La dipendenza da oppiacei è una condizione cronica, in cui il mantenimento dell'auto-somministrazione è legato

all'insorgere di una risposta da stress, secondaria all’astinenza, che presenta potenti proprietà avversive, oltre che alle

caratteristiche gratificanti del comportamento d’abuso. Il tono dopaminergico mesolimbico potrebbe essere coinvolto

negli effetti avversivi della sospensione d’oppiacei nei soggetti dipendenti. Il fenomeno della dipendenza agli oppiacei

coinvolgerebbe, in altre parole, un meccanismo di rinforzo positivo gratificante dopaminergico in fase appetitiva ed

endorfinergico in fase consumatoria, nonché un rinforzo avversivo astinenziale, almeno parzialmente modulato dal tono

dopaminergico mesolimbico. Interventi terapeutici, che sfruttano le conoscenze sin qui raggiunte, sulle peculiari

caratteristiche dei meccanismi neuro-biologici di gratificazione e d’astinenza, sono stati proposti, di recente, pur

restando, allo stato attuale, largamente sperimentali. Trattamenti farmacologici, che agiscono direttamente sul tono

dopaminergico mesolimbico, ma anche sugli altri neuro-trasmettitori e neuro-modulatori, coinvolti nei meccanismi del

craving e della motivazione, potrebbero modificare, in senso terapeutico, non solo i fenomeni d’adattamento recettoriale,

indotti dall'uso di droghe, ma che il substrato neuro-biologico, che induce e/o facilita l'insorgere di una dipendenza

patologica da sostanze, la “disedonia”. Una “disregolazione omeostatica” del sistema centrale di controllo del tono

edonico può verosimilmente svolgere un ruolo importante, non solo nell’insorgere di una dipendenza da sostanze, ma in

molti altri quadri psico-patologici. Il desiderio, i comportamenti appetitivi ed i comportamenti consumatori, che portano al

“piacere”, possono presentare alterazioni diverse, in senso qualitativo e quantitativo, nel singolo paziente. Tali alterazioni

“di fondo”, non sempre adeguatamente investigate e riconosciute nella loro rilevanza patogenetica, potrebbero svolgere

in ruolo importante nell’indurre e/o nel facilitare l’insorgere di numerosi e diversi quadri psico-patologici. Nel paradigma

interpretativo della “disedonia”, infatti, molti sintomi nucleari, presenti in diversi quadri sindromici, nosograficamente

distanti sul piano diagnostico, potrebbero, in realtà, sottendere alterazioni funzionali analoghe dei meccanismi neuro-

biologici implicati, nel meccanismo della gratificazione / ricompensa.

Bibliografia

1. Ribot J.

La psychologie des sentiments.

Paris: Felix Alcan 1896.

2. Bleuler E.

Dementia praecox and the group of schizophrenias.

New York: International University Press 1950. (original work published 1911)

3. Kraepelin E.

Dementia praecox and paraphrenia.

Edimburgh: Livingstone 1919. (original work published 1913)

4. American Psychiatric Association.

Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Third Edition, Revised, (DSM III-R) Washington D.C.: American

Psychiatric Press 1987.

5. Ettenberg A.

Anhedonia.

In: Costello CG, ed. Symptoms of schizophrenia. New York: Wiley 1993.

6. American Psychiatric Association.

Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition (DSM IV) Washington D.C.: American Psychiatric

Press 1994.

7. Argyropoulos SV, Nutt DJ.

Anhedonia and chronic mild stress model in depression.

Psychopharmacology 1997; 134: 333-336.

8. Ljungberg T, Apicella P, Shultz W.

Response of monkey e neurons during delayed alternation performance.

Journal of Neurophysiology 1992; 67: 145-163.

9. Willner P, Klimek V, Golembiowska K, Muscat R.

Changes in mesolimbic dopamine may explain stress-induced anhedonia.

Psychobiology 1991; 19: 79-84.

10. Koob GF, Le Moal M.

Drug Abuse: Hedonic Homeostatic Dysregulation.

Science 1997; 278: 52-58.

11. Crow TJ.

Catecholamine-containing neurones and electrical self-stimulation: a review of some data.

Psychological Medicine 1972; 2: 414-421.

12. German DC, Bowden DM.

Catecholamine systems as neural substrate of intracranial self-stimulation: a hypothesis.

Brain Research 1974; 73: 381-419.

13. Lippa AS, Antleman S, Fisher A, Canfield D.

Neurochemical mediation of “reward”: a significant role for dopamine.

Pharmacology, Biochemistry and Behavior 1973; 1: 25-28.

14. Wise RA.

The anhedonia hypothesis: mark III.

Behavioural Brain Science 1985; 8: 178-186.

15. Wise RA, Spindler J, de Witt H, Gerberg GJ.

Neuroleptic induced “anhedonia” in rats: pimozide blocks “reward” quality of food.

Science 1978; 201: 262-264.

16. Wise RA.

Neuroleptics and operant behavior: the anhedonia hypothesis.

Behavioural Brain Science 1982; 5: 39-87.

17. Xenakis S, Sclafani A.

The dopaminergic mediation of a sweet “reward” in normal and VMH hyperphagic rats.

Pharmacology, Biochemistry and Behavior 1982; 16: 293-302.

18. Blackburn JR, Phillips AG, Jakubovic A, Fibiger A.

Dopamine and preparatory behavior: II. A neurochemical analysis.

Behavioural Neuroscience 1989; 103: 15-23.

19. Simansky KJ, Bourbonais KA, Smith GP.

Food-related stimuli increase the ratio of 3,4-dhydroxyphenilacetic acid to dopamine in the hypothalamus.

Pharmacology, Biochemistry and Behavior 1985; 23: 253-258.

20. Di Ciano P, Blaha CD, Phillips AG.

Conditioned changes in dopamine oxidation currents in the nucleus accumbens of rats by stimuli paired with self-

administration or joked-administration of d-amphetamine.

European Journal of Neuroscience 1998; 10: 1121-1127.

21. Kiyatkin EA, Wise RA, Gratton A.

Drug and behavior-associated changes in related electro-chemical during intravenous heroin self-administration in rats.

Synapse 1993; 14: 60-72.

22. Di Chiara G.

The role of dopamine in drug abuse viewed from the prospective of its role in motivation.

Drug and Alcohol Dependence 1995; 38: 95-137.

23. Di Chiara G.

A motivational learning hypothesis of the role of mesolimbic dopamine in compulsive drug use.

Journal of Psychopharmacology 1998; 12: 54-67.

24. Clarke SN, Parker LA.

Morphine-induced modification of quinine palatability: effects of multiple morphine-quinine trials.

Pharmacology, Biochemistry and Behavior 1995; 51: 505-508.

25. Welch CC, Kim EM, Grace MK, Billington CJ, Levin AS.

Palatability induced hyperphagia increase hypotalamic dynorphine peptide and mRNA levels.

Brain Research 1996; 721: 126-131.

26. Berridge KC, Pecina S.

Benzodiazepines, appetite and taste palatability.

Neuroscience and Bio-behavioural Reviews 1985; 9: 5-19.

27. Berridge KC.

Food reward: brain substrates of wanting and liking.

Neuroscience and Bio-behavioural Reviews 1996; 20: 1-25.

28. Mayberg HS, Robinson RG, Wong DF, Parikh R, Bolduc P.

PET imaging of cortical S2 receptors after stroke: literalised changes and relationship to depression.

American Journal of Psychiatry 1988; 145: 937-943.

29. Simon H, Le Moal M, Calas A.

Efferents and afferents of the ventral tegmental A10 region studied after local injection of 3H-leucine and horse radish

peroxidase.

Brain Research 1979; 178: 17-40.

30. Fritze J, Beckman H.

The cholinergic agonist RS86: a pharmacopsychological study.

Neuropsychobiology 1988; 19: 35-39.

31. Sano M.

Basal ganglia deseases and depression.

Neuropsychology and Behavior Medicine 1991; 4: 41-48.

32. Ebmeir K, Ebert D.

Imaging functional change and dopaminergic activity in depression

In: Beniner RJ, Palomo T, Archer T, eds. Dopamine disease state. Madrid: Fundacion Cerebro Y Mente 1996.

33. Frecska E, Arato M, Banki CM, Mohar K, Perenyi A, Bagdy G, Fekete MI.

Prolactin response to fentanyl in depression.

Biological Psychiatry 1989; 25: 692-696.

34. Papp M, Lappas S, Muscat R, Willner P.

Attenuation of place preference conditioning, but not place avversion conditioning by chronic mild stress.

Journal of Psychopathology 1992; 6: 352-356.

35. Berridge KC, Robinson TE.

What is the role of dopamine in reward: hedonic impact, reward learning or incentive salience?

Brain Research Review 1998; 309-369.

36. Berger S P, Hall S, Mickalian J D, Reid M S, Crawford C A, Delucchi K, Carr H, Hall S.

Haloperidol antagonism of cue-elicited cocaine craving.

Lancet 1996; 347: 504-508.

37. Brauer LH, Goudie AJ, de Wit H.

Dopamine ligands and the stimulus effects of amphetamine: animal models versus human laboratory data.

Psychopharmacology (Berlin) 1997; 130: 2-13.

38. Modell JG, Mountz JM, Glaser FB, Lee JY.

Effect of haloperidol on measures of craving and impaired control in alcoholic subjects.

Alcoholism, Clinical and Experimental Research 1993; 17: 234-240.

39. Manna V. www.salus.it\medicinadelledipendenze\index.htm. 2001

40. Wickler A.

Recent progress in research on the neuro-physiological basis of morphine addiction.

American Journal of Psychiatry 1948; 195: 329-338.

41. Wikler A, Pescor F.

Classical conditioning of a morphine abstincence phenomenon, reinforcement of opioid - drinking behavior and relapse in

morphine addicted rats.

Psychopharmacologia 1967; 10: 255-284.

42. Clouet D, Asghar K, Brown R. Eds.

Mechanisms of cocaine abuse and toxicity.

N.I.D.A. Research Monograph 88. Rockville, USA: National Institute on Drug Abuse. 1988.

43. Liberman JM, Cooper SJ. Eds.

The neuro - pharmacological basis of reward.

Oxford: University Press 1989.

44. Carr A, Fibiger HC, Phillips AG.

Conditioned place preference as a measure of drug rewards.

In: Liberman JM, Cooper SJ, eds. The neuro-pharmacological basis of reward. Oxford: University Press 1989.

45. Di Chiara G, Imperato A.

Opposite effects of the K-opiate agonists on dopaminergic-release in the nucleus accumbens and in the dorsal caudate

of freely moving rats.

Journal of Pharmacology and Experimental Research 1988; 244: 1067-1080.

46. Carboni E, Imperato A, Perezzani L, Di Chiara G.

Amphetamine, cocaine, phencyclidine and nomifensine increase extracellular dopamine concentrations preferentially in

the nucleus accumbens of freely moving rats.

Neuroscience 1988; 28: 653-661.

47. Martin W, Jasinski D.

Physiological parameters of morphine dependence in man-tolerance, early abstinence and protracted abstinence.

Psychiatry Research 1969; 7: 9-17.

48. O’Brien CP, Eherman R, Ternes J.

Classical conditioning in human opioid-dependence.

In: Goldberg S. & Stolerman E, eds. Behavioral analysis of drug dependence. San Diego, California, U.S.A.: Academic

Press 1986.

49. Eikelboom R, Stewart J.

The conditioning of drug-induced psychological responses.

Psychology Review 1982; 89: 507-528.

50. Di Chiara G, Imperato A.

Drugs abused by humans preferentially increase synaptic dopamine concentrations in the mesolimbic system of freely

moving rats.

Proceedings of National Academy of Sciences, U.S.A. 1988; 85: 5274-5278.

51. Zacny J P, Conley K, Galinkin J.

Comparing the subjective, psychomotor and physiological effects of intravenous buprenorphine and morphine in healthy

volunteers.

Journal of Pharmacology and Experimental Therapy 1997; 282: 1187-1197.

52. Gessa GL, Muntoni F, Collu M, Vargiu L, Mereu GP.

Low doses of ethanol activate dopaminergic neurons in the ventral tegmental area.

Brain Research 1985; 34; 210-216.

53. Mereu GP, Woom P, Boi V, Gessa GL, Naesa L, Westerfall TC.

Preferential stimulation of ventral tegmental area dopaminergic neurons by nicotine.

European Journal of Pharmacology 1987; 141: 393-396.

54. Di Chiara G., Acquas E., Carboni E.

Role of mesolimbic dopamine in the motivational effects of drug: brain dialysis and place preference studies.

In: Willner P. & Sheel-Kruger J, eds. The mesolimbic dopamine system: from motivation to action. Chichester, UK: John

Wiley and Sons Publ. 1991.

55. Koob GF, Le HT, Creese I.

The D1 dopamine receptor antagonist SCH 23390 increases cocaine self-administration in the rat.

Neuroscience Letters 1987; 79: 315-319.

56. Phillips AG, Pfaus JG, Blaha CD.

Dopamine and motivated behavior: insight provided by in vivo analyses.

In: Willner P. & Sheel-Kruger J, eds. The mesolimbic dopamine system: from motivation to action. Chichester, UK: John

Wiley and Sons Publ. 1991.

57. Taylor JR, Robbins TW.

Enhanced behavioural control by conditioned reinforcers following microinjections of d-amphetamine into the nucleus

accumbens.

Psychopharmacology 1984; 84: 405- 409.

58. Beninger RJ.

The role of dopamine in locomotor activity and learning.

Brain Research Review 1983; 6: 173- 179.

59. Mucha RF.

Is the motivational effect of opiate withdrawal reflected by common somatic indices of precipitated withdrawal? A place

conditioning study in the rat.

Brain Research 1987; 418: 21-27.

60. Acquas E, Carboni E, Leone P, Di Chiara G.

SCH 23390 blocks drug-conditioned place-preference and place-aversion: anhedonia (lack of reward) or apathy (lack of

motivation) after dopamine receptor blockade?

Psychopharmacology 1989; 99: 151-154.

61. Wise RA, Bozarth MA.

A psychomotor stimulant theory of addiction.

Psychology Review 1987; 94: 469-475.

62. Koob GF, Bloom FE.

Cellular and molecular mechanisms of drug dependence.

Science 1988; 242: 715-716.

63. Shippenberg TS, Herz A.

Place preference conditioning reveals the involvement of D1 dopamine receptors in the motivational properties of mu and

k-opioid agonists.

Brain Research 1987; 436: 169-174.

64. Peris J, Boyson SJ, Cass WA, Curella P, Dwoskin PL, Larson G, Lin LH, Yasuda RP, Zahniser NR.

Persistence of neurochemical changes in dopamine systems after repeated cocaine administration.

Journal of Pharmacology and Experimental Therapy 1990; 253: 38-44.

65. Manna V, Di Rienzo AM, Caccianotti B, De Maio MSA.

Correlati neuro-biologici delle farmaco-tossicodipendenze.

Gazzetta Sanitaria della Daunia 1996; 46 (3): 72-77.

66. Manna V, Di Rienzo AM, Caccianotti B, De Maio MSA.

Neurobiologia delle farmaco-tossicodipendenze.

Neurologia, Psichiatria, Scienze Umane 1997; 17 (3): 367-379.

67. Maremmani I, Canoniero S, Zolesi O.

Forme cliniche del craving e farmaci anticraving.

Itaca 1999; 7: 20-39.

68. Manna V, Agnoli A.

Aspetti nosografici e biologici delle sindromi depressive: recenti acquisizioni.

Giornale di Neuro-Psico-Farmacologia 1983; 6: 249-260.

69. Selye H.

A syndrome produced by diverse noxious agents.

Nature 1936; 32: 138-143.

70. Manna V.

Stress, integrazione socio-ambientale e salute mentale nella valutazione multiassiale secondo il DSM IIIR.

Psichiatria e Territorio 1990; 7 (1): 63-69.

71. Erb S, Shahan Y, Stewart J.

Stress reinstates cocaine-seeking behavior after prolonged extinction and a drug free period.

Psychopharmacology 1996; 128: 408-412.

72. Gawin FH, Kleber HD.

Abstinence symptomatology and psychiatric diagnosis in cocaine abusers: clinical observations.

Archives of General Psychiatry 1986; 43; 107-113.

73. Baummeister R F, Heatherton T F, Tice D M.

Losing control: how and why people fail at self-regulation.

San Diego, California, USA: Academic Press 1994.

74. Markou A, Koob G F.

Post-cocaine anhedonia: an animal model of cocaine withdrawal.

Neuropsychopharmacology 1991; 4: 17-26.

75. Parsons L H, Koob G F, Weiss F.

Serotonin dysfunction in the nucleus accumbens of rats during withdrawal after unlimited access to intravenous cocaine.

Journal of Pharmacology and Experimental Therapy 1995; 274: 1182-1119.

76. Markou A, Koob G F.

Construct validity of a self-stimulation threshold paradigm: effects of reward and performance manipulations.

Physiology and Behavior 1992; 51: 111-119.

77. Wiess F, Markou F, Lorang M T, Koob G F.

Basal extra-cellular dopamine levels in the nucleus accumbens are decreased during cocaine withdrawal after unlimited

access self-administration.

Brain Research 1992; 593: 314-318.

78. Stinus L, Le Moal M, Koob G F.

Nucleus accumbens and amygdala are possible substrates for the aversive stimulus effects of opiate withdrawal.

Neuroscience 1990; 37: 767-773.

79. Roberts A J, Cole M, Koob G F.

Intra-amygdala muscimol decreases operant ethanol self-administration in dependent rats.

Alcohol Clinical and Experimental Research 1996; 20: 1289-1298.

80. Fitzgerald L W, Nestler E J.

Molecular and cellular adaptation in signal transduction pathways following ethanol exposure.

Clinical Neuroscience 1995; 3: 165-173.

81. Dani J A, Heineman S.

Molecular and cellular aspects of nicotine abuse.

Neuron 1996; 16: 905-908.

82. Kreek M J.

Multiple drug abuse patterns and medical consequences.

In: Meltzer HY, ed. Psychopharmacology: the third generation of progress. New York: Raven Press 1987.

83. Koob G F, Heinrich S C, Menzaghi F, Merlo-Pich E, Britton K T.

Corticotropin-releasing factor, stress and behavior.

Seminars in Neurosciences 1994; 6: 221-229.

84. Marlatt G A.

Relapse prevention: maintenance strategies in the treatment of addictive behaviors.

London: Guilford 1985.

85. McKay J R, Rutherford M J, Alterman A I.

An examination of the cocaine relapse process.

Drug and Alcohol Dependence 1995; 38: 35-39.

86. Wallace B C.

Psycological and environmental determinants of relapse in crack cocaine smokers.

Journal of Substance Abuse Treatment 1989; 6: 95-99.

87. Brown S A, Vik P W, Patterson T L.

Stress, vulnerability and adult alcohol relapse.

Journal of Studies on Alcoholism 1995; 56: 538-543.

88. Nash J Jr., Maickel R P.

The role of the hypothalamic-pituitary-adrenocortical axis in post-stress-induced ethanol consumption by rats.

Progress of Neuropsychopharmacology and Biological Psychiatry 1988; 12: 653-659.

89. Mollenauer S, Bryson R, Robinson M.

ET-OH self-administration in anticipation of noise stress in C57BL / 6J mice.

Pharmacological and Biochemical Behavioural 1993; 46: 35-39.

90. Higley J D, Hasert M F, Suomi S J, Linnoila M.

Non-human primate model of alcohol consumption.

Proceedings of the National Academy of Sciences USA 1991; 88: 7261-7263.

91. Shaham Y, Stewart J.

Exposure to mild stress enhances the reinforcing efficacy of intravenous heroin self-administration in rats.

Psycopharmacology 1994; 111: 523-525.

92. Oeders N E, Guerin G F.

Non-contingent electric shock facilitates the acquisition of intravenous cocaine self-administration in rats.

Psychopharmacology 1994; 114: 63-69.

93. Haney M, Maccari S, Le Moal M.

Social stress increases the acquisition of cocaine self-administration in male and female rats.

Brain Research 1995; 698: 46-51.

94. Ramsey N F, Van Ree M.

Emotional but not physical stress enhances intravenous cocaine self-administration in drug naive rats.

Brain Research 1993; 608: 216-219.

95. Shaham Y, Stewart J.

Stress reinstates heroin-seeking in drug-free animals: an affect mimicking heroin, not withdrawal.

Psycopharmacology 1995; 119: 334-337.

96. Ahmed S H, Koob G F.

Cocaine but not food-seeking behavior is reinstated by stress after extinction.

Psychopharmacology 1997; 132: 289-293.

97. Le A D, Quan B, Juzytch W.

Reinstatement of alcohol-seeking by priming injections of alcohol and exposure to stress in rats.

Psychopharmacology 1998; 135: 169-172.

98. Dunn A J, Berrige C W.

Physiological and behavioral responses to corticotropin-releasing factor administration: is CRF a mediator of anxiety or

stress responses?

Brain Research Review 1990; 15: 71-74.

99. Heinrichs S C, Merlo Pich E, Miczek K A.

Corticotropin-releasing factor reduces emotionality in socially defeated rats via direct neurotropic action.

Brain Research 1992; 581: 190-193.

100. Swiergiel A H, Takahashi L K, Kalin N H.

Attenuation of stress-induced behavior by antagonism of corticotropin-releasing factor receptors in the central amygdala

in the rat.

Brain Research 1993; 623: 229-231.

101. Merlo Pich E, Koob GF, Vale W, Weiss F.

Release of corticotropin releasing factor (CFR) from the amygdala of ethanol-dependent rats measured with

microdialysis.

Alcohol and Clinical Experimental Research 1994; 18: 522-524.

102. Richter RM, Weiss F.

In vivo CFR release in rat amygdala is increased during cocaine withdrawal in self-administering rats.

Synapse 1999; 32: 254-257.

103. Rassnick S, Heinrichs SC, Britton KT, Koob GF.

Microinjection of a corticotropin-releasing factor antagonist into the central nucleus of the amygdala reverses anxiogenic-

like effects of ethanol withdrawal.

Brain Research 1993; 605: 25-29.

104. Heinrichs SC, Menzaghi F, Schulteis G.

Suppression of corticotropin - releasing factor in the amygdala attenuates aversive consequences of morphine

withdrawal.

Behavioral Pharmacology 1995; 6: 74-77.

105. Macey DJ, Basso AM, Rivier J.

Corticotropin releasing factor (CFR) decreases brain stimulation reward in the rat.

Society of Neuroscience Abstracts 1997; 23: 521.

106. Koob G F.

Stress, corticotropin-releasing factor and drug addiction.

Annals of the New York Academy of Sciences 1999; 897: 27-36.

107. Valdez GR, Zorilla EP, Koob GF, Weiss F.

Influence of protracted ethanol abstinence of corticotropin-releasing factor systems and the HPA axis in the dependent

rats.

Society of Neuroscience Abstracts 2000; 26: 1821.

108. Merlo Pich E, Lorang MT, Yeganeh M.

Increase of extracellular corticotropin-releasing factor-like immunoreactivity levels in the amygdala of awake rats during

restraint stress and ethanol withdrawal as measured by microdialysis.

Journal of Neuroscience 1995; 15: 5439-5444.

109. Merlo Pich EM, Koob GF, Heilig M.

Corticotropin releasing-factor release from the mediobasal hypothalamus of the rat as measured by microdialysis.

Neuroscience 1996; 55: 695-699.

110. Sarnyai Z, Biro E, Gardi J.

Brain corticotropin-releasing factor mediates ‘anxiety-like’ behavior induced by cocaine withdrawal.

Brain Research 1995; 675: 89-94.

111. Zhou Y, Spangler R, La Forge KS.

Corticotropin releasing-factor and type 1 corticotropin-releasing factor receptor messenger RNAs in rat brain and pituitary

during “binge” cocaine administration and chronic withdrawal.

Journal of Pharmacology and Experimental Therapy 1996; 279: 351-355.

112. Ambrosio E, Sharpe LG, Pilotte NS.

Regional binding to corticotropin releasing factor receptors in brain of rats exposed to chronic cocaine and cocaine

withdrawal.

Synapse 1997; 25: 272-275.

113. Weiss F, Ciccocioppo R, Parsons LH.

Compulsive drug-seeking behavior and relapse.

Annals of the New York Academy of Sciences 2001; 937: 1-26.

114. Childres A R, Ehrman R N, McLellan AT, O’Brien CP.

Conditioned craving and arousal in cocaine addiction: a preliminary report.

In: N.I.D.A. Research Monograph 81: 74. Washington D.C.: U.S. Government Printing Office. 1988.

115. Stormark KM, Laberg JC, Bjerland T.

Autonomic cued reactivity in alcoholics stimuli.

Addiction and Behavior 1995; 20: 571-576.

116. Miller NS, Gold MS.

Dissociation of “conscious desire” (craving) from and relapse in alcohol and cocaine dependence.

Annals of Clinical Psychiatry 1994; 6: 99-105.

117. Tiffany ST, Carter BL.

Is craving the source of compulsive drug use?

Journal of Psychopharmacology 1998; 12: 23-26.

118. Weiss F, Maldonado-Vraal CS, Parson H.

Control of cocaine-seeking behavior by drug-associated stimuli in rats: affect on recovery of extinguished operant

responding and extra cellular dopamine levels in amygdala and nucleus accumbens.

Proceedings of the National Academy of Sciences USA 2000; 97: 4321-4323.

119. Katner SN, Magalong JG, Weiss F.

Reinstatement of alcohol-seeking behavior by drug-associated discriminative stimuli after prolonged extinction in the rat.

Neuropsychopharmacology 1999; 20: 471-476.

120. Katner SN, Weiss F.

Ethanol-associated olfactory stimuli reinstate ethanol-seeking behavior after extinction and modify extra cellular

dopamine levels in the nucleus accumbens.

Alcohol and Clinical Experimental Research 1999; 23: 1751-1755.

121. Gracy KN, Dankiewicz LA, Weiss F, Koob GF.

Heroin-specific cues reinstate heroin-seeking behavior in rat after prolonged extinction.

Pharmacology and Biochemical Behavior 2000; 65: 489-495.

122. Weiss F, Ciccocioppo R.

Enduring conditioned reactivity to cocaine cues: effects on extinguished operant responding forebrain dopamine release

and fos immunoreactivity.

Behavioral Pharmacology 1999; 10 (Suppl. 1): s99-s102.

123. Ciccocioppo R, Katner SN, Weiss F.

Relapse induced by alcohol-associated environmental stimuli after extinction in rat.

Alcohol and Clinical Experimental Research 1999; 23 (Suppl): 52A-55A.

124. Manna V, Tredanari G, Mescia G.

Psicogenesi delle farmaco-tossicodipendenze: correlati psicopatologici e prospettive terapeutiche.

Salute e Prevenzione 1990; 1: 63-69.

125. Manna V, Mescia G, Ferrone MC, Giordano MA.

Ouroboros, il serpente alchemico. Verso l’integrazione tra psicoterapia e farmacoterapia nel trattamento dei disturbi

mentali correlati all’abuso di sostanze.

Giornale Italiano di Psicopatologia 1998; 2: 209-217.

126. Manna V, Ruggiero S.

Dipendenze patologiche da sostanze: comorbilità psichiatrica o continuum psicopatologico?

Rivista di Psichiatria 2001; 36 (1): 1-14.

127. Manna V.

Dipendenze patologiche da sostanze e depressione: verso il trattamento integrato multi-modale.

Minerva Psichiatrica (in press)

128. Khantzian EJ.

The self-medication hypothesis of addictive disorders: focus on heroin and cocaine dependence.

American Journal of Psychiatry 1985; 142 : 1259-1264.

129. Wurmser L.

Psychoanalytic considerations of the etiology of compulsive drug abuse.

American Psychoanalytic Association 1974; 22: 820-843.

130. Rounsaville BJ, Weissman MM, Crits-Christoph K, Wilher K, Kleber H.

Diagnosis and symptoms of depression in opiate addicts.

Archives of General Psychiatry 1982; 39: 151-156.

131. Silvestrini B. Malati di droga. Le sostanze d’abuso: danni fisici e psichici, reazione individuale, difese. Milano:

Sperling Kupfer. 1995.

132. Naditch MP.

Acute adverse reaction to psychoactive drugs, drug use and psychopathology.

Journal of Abnormal Psychology 1974; 83: 394-403.

133. Fabian WD, Fishkin SM.

Psychological absorption. Affect investment in marijuana intoxication.

Journal of Nervous and Mental Disorders 1991; 179: 39-43.

134. Satel SL, Edell WS.

Cocaine-induced paranoia and psychosis proneness.

American Journal of Psychiatry 1991; 148: 1708-1711.

135. de Wit H, Uhlenhuth EH, Pierri J, Johanson CE.

Individual differences in behavioral and subjective responses to alcohol.

Alcohol Clinical and Experimental Research 1987; 11: 52-59.

136. Manna V.

I precursori psico-sociali e comportamentali dell'abuso di sostanze psico-attive: indagine conoscitiva sulla loro presenza

ed importanza relativa nella popolazione scolastica del distretto pugliese n. 31.

I Congresso Nazionale Società Italiana per lo Studio dei Comportamenti d’Abuso e delle Dipendenze, S.I.C.A.D., Roma,

7-10 ottobre 1992, Abstracts Book, 1992; 159 - 160.

137. Manna V.

Il disagio giovanile come disagio della civiltà: alla ricerca di valori umani autentici nella prospettiva della psicologia

transpersonale.

Gnosis, 1994; 7 (9), 12-24.

138. Manna V, Mescia G, Ferrone CM, Lattanzio M.

I nuovi volti del disagio giovanile. Prospettive di prevenzione sociale in uno studio del Ser.T. della ASL FG/3.

Difesa Sociale Rivista dell’ Istituto Italiano di Medicina Sociale 1999; 1: 83 – 97.

139. Zuckermann M.

Sensation seeking, risk taking and health.

In: Janisse MP, ed. Individual differences, stress and health. New York: Springer-Verlag 1988.

140. Zuckermann M.

Sensation seeking: beyond the optimal level of arousal. Helesdale N.J.: Erlboum 1979.

141. Cloninger CR.

A systematic method for clinical description and classification of personality variant.

Archives of General Psychiatry 1987; 44: 573-588.

142. Cloninger CR, Przybeck TR, Svrakic DM.

The Tridimensional Personality Questionnaire: U.S. normative data.

Psychological Repertory 1991; 69: 1047-1057.

143. Benjamin JLL, Patterson C, Greenberg BD, Murphy DL, Homer DH. Population and familiar association between D4

dopamine receptor gene and measures of NS.

National Genetics 1996; 12: 81-84.

144. Gerra G, Zaimovic A, Timpano M, Zambelli U. Delsignore R, Brambilla F.

Neuroendocrine correlates of temperamental traits in humans.

Psychoneuroendocrinology 2000; 25: 479-496.

145. Extein I, Pottash ALC, Gold MS.

A possible opioid receptor dysfunction in some depressive disorders.

Annals of the New York Academy of Sciences 1982; 398: 110-117.

146. Verebey K.

Opioids in mental illness: theories, clinical observations and treatment possibilities.

Annals of the New York Academy of Sciences 1982; 398: 125-136.

147. Manna V.

L’assordante silenzio della libertà. Appunti per una prevenzione scientificamente orientata del fenomeno droga. Foggia:

Leone Ed. 1992.

148. Howard MO, Kivlahan D, Walker RD.

Cinger’s tridimensional theory of personality and psychopathology: applications to substance use disorders.

Journal of Studies on Alcoholism 1997; 58: 48-66.

149. Block J, Block JH, Keyes S.

Longitudinally foretelling drug usage in adolescence: early childhood personality and environmental precursors.

Child Development 1988; 59: 336-355.

150. Pacini M, Maremmani I.

Il problema della personalità tossicofilica nella patogenesi del disturbo da uso di sostanze psicoattive. Revisione della

Letteratura e recenti acquisizioni.

Giornale Italiano di Psicopatologia 2001; 7 (2): 185-199.

151. Mauri M.

Nosografia in evoluzione: i disturbi della condotta alimentare.

Giornale Italiano di Psicopatologia 2001; 7 (2): 109-111.

152. Fairburn CG, Wilson GT, eds.

Binge eating: nature, assessment and treatment.

New York / London: Guilford Press 1993.

153. Szmukler GL.

The epidemiology of anorexia and bulimia.

Journal of Psychiatric Research 1985; 19: 143-153.

154. Fairburn CG, Beglin SG.

Studies of epidemiology of bulimia nervosa.

American Journal of Psychiatry 1990; 147: 401-408.

155. Patton GC.

The spectrum of eating disorders in adolescence.

Journal of Psychosomatic Research 1988; 32: 579-584.

156. Polivy J, Herman CP.

Diagnosis and treatment of normal eating.

Journal of Consulting and Clinical Psychology 1987; 55: 635-644.

157. Striegel-Moore RH.

Prevention of bulimia nervosa: questions and challenges.

Journal of Psychosomatic Research 1980; 24: 353-359.

158. Shisslak CM, Crago M, Estess LS.

The spectrum of eating disturbances.

International Journal of Eating Disorders 1995; 3: 209-219.

159. Mauri MC, Rudelli R, Somaschini E.

Neurobiological and psychopharmacological basis in the therapy of bulimia and anorexia.

Progress in Neuropsychopharmacology and Biological Psychiatry 1996; 20: 207-240.

160. Kaye WH, Gendall K, Strober M.

Serotonin neuronal function and selective serotonin reuptake inhibitor treatment in anorexia and bulimia nervosa.

Biological Psychiatry 1998; 44: 825-838.

161. Jimerson DC, Wolfe BE, Brotman AW, Metzger ED.

Medications in the treatment of eating disorders.

Psychiatric Clinic of North America 1983; 19 (4): 739-754.

162. Jimerson DC.

The role of central catecholamine pathways in eating disorders.

In: Ferrari E. et al. Eds. Primary and secondary eating disorders: a psychoneuroendocrine and metabolic approach.

Oxford: Pergamon Press 1993.

163. Kaye WH.

Central nervous system neuropeptide abnormalities in anorexia and bulimia nervosa.

In: Ferrari E. et al. Eds. Primary and secondary eating disorders: a psychoneuroendocrine and metabolic approach.

Oxford: Pergamon Press 1993.

164. Kaye WH.

Neuropeptide abnormalities.

In: Halmi KA, ed. Psychobiology and treatment of Anorexia nervosa and Bulimia Nervosa. Washington D.C.: American

Psychiatric Press 1992.

165. Halmi KA.

Basic biological overview of eating disorders.

In: Bloom FE & Kupfer DJ, eds. Psychopharmacology. The fourth generation of progress. New York: Raven Press 1995.

166. Wallin MS, Rissanen AM.

Food and mood: relationships between food, serotonin and affective disorders.

Acta Psychiatrica Scandinavica 1994; 77 (suppl.): 36-40.

167. Brewerton A.

Toward a unified theory of serotonin disturbance in eating and related disorders.

Psychoneuroimmunology 1995; 20: 561-590.

168. Wurtman JJ.

Carbohydrate craving. Relationship between carbohydrate intake and disorders of mood.

Drugs 1990; 39 (suppl.3): 49-52.

169. Ericsson M, Carlos Poston WS, Foreyt JP.

Common biological pathways in eating disorders and obesity.

Addictive Behavior 1996; 21 (6): 733-743.

170. Geracioti TD, Liddle RA, Altemus M.

Regulation of appetite and cholecystokinin secretion in anorexia nervosa.

American Journal of Psychiatry 1992; 149: 958-961.

171. Strober M.

Family-genetic perspectives on anorexia and bulimia nervosa.

In: Brownwell KD & Fairburn CG, eds. Eating disorders and obesity: a comprehensive handbook. New York: Guilford

Press 1995.

172. Hubner HF.

Endorphins, eating disorders, and other Addicitive behaviors.

New York: Norton & Co. 1993.

173. Jackson EK.

Vasopressin and other agents affecting the renal conservation of water.

In: Hardman JG et al. Eds. Goodman & Gilman’s the pharmacological Basis of Therapeutics. 9th Ed. New York:

McGraw-Hill 1995.

174. Casacchia M, Mela C, Chiaravalle E.

Disordini dell’alimentazione.

Giornale Italiano di Psicopatologia 2000; 6 (1): 87-108.

175. Marcus MD. Binge eating and obesity.

In: Brownell RD & Fair CG, eds. Eating disorders and obesity. New York / London: Guilford Press 1995.

176. Ricca V, Mannucci E, Di Berardo M, Cabras PL, Rottella CM, Faravelli C.

Disturbo da alimentazione incontrollata.

Giornale Italiano di Psicopatologia 1998; 2: 223-239.

177. Apfeldorfer G.

Anoressia, Bulimia, Obesità.

Milano: Il Saggiatore 1996.

178. Yanoski SZ, Nelson JE, Dubbert BK, Spitzer RL.

Association of binge eating disorder and psychiatric comorbidity in obese subjects.

American Journal of Psychiatry 1993; 150: 1472-1479.

179. Loriedo C, Bianchi G, Perrella C.

Binge eating disorder: aspetti clinici, nosografici e terapeutici.

Giornale Italiano di Psicopatologia 2002; 8 (1): 92-99.

180. Dwyer DS, Bradley RJ, Kablinger AS, Freeman AM.

Glucose metabolism in relation to schizophrenia and antipsychotic drug treatment.

Annals of Clinical Psychiatry 2001; 13 (2): 103-113.

181. Stanton JM.

Weight gain associated with neuroleptic medication: a review.

Schizophrenia Bulletin 1995; 21: 463-72.

182. Kraepelin E.

Die Erscheinungsformen des Irreseins. Zeitschrift für die gesamte.

Neurologie und Psychiatrie 1920; 62: 1-29.

183. Crow TJ.

The failure of the kraepelinian binary concept and the search for the psychosis gene.

In: Kerr A & McClelland H, eds. Concepts of mental disorders. London: Royal College of Psychiatrists 1991.

184. Breier A, Charney DS, Heninger GR.

The diagnostic validity of anxiety disorders and their relationship to depressive illness.

American Journal of Psychiatry 1985; 142: 787-797.

185. Van Praag HM, Asnis GM, Brown SL, Korn M.

Beyond serotonin. A multiaminergic perspective on abnormal behavior.

In: Brown SL & Van Praag HM, eds. The role of serotonin in psychiatric disorders. New York: Brunner-Mazel Publ. 1991.

186. Van Praag HM.

"Make believes" in psychiatry or the perils of progress.

New York, Brunner-Mazel Publ. 1993.

187. Bolino F, Di Michele V, Manna V, Di Cicco L, Casacchia M.

Information-processing deficits in schizophrenic and schizo-affective disorders.

Journal of Psychophysiology 1993; 7,4: 348-349.

188. Manna V.

La reazione di allerta nei pazienti schizofrenici. Modificazioni dei parametri neurofisiologici e loro significato funzionale.

Gazzetta Sanitaria della Daunia 1994; 44, 1: 40-48.

189. Bolino F, De Michele V, Di Cicco L, Manna V, Daneluzzo E, Casacchia M.

Sensorimotor gating ad habituation evoked by electro-cutaneous stimulation in schizophrenia.

Biological Psychiatry 1994; 36: 670-679.

190. Wexler BE.

Beyond the kraepelinian dichotomy.

Biological Psychiatry 1992; 31: 539-541.

191. Benkelfat C.

Serotoninergic mechanism in psychiatric disorders: new research tools, new ideas.

International Clinical Psychopharmacology 1993; suppl.2: 53-56.

192. Manna V.

Comorbilità psichiatrica delle farmaco-tossicodipendenze.

Medicina delle Tossicodipendenze. Organo Ufficiale della Società Italiana Tossicodipendenze 2002; 26-27: 66-76.

193. Winokur G, Rimmer J, Reich T.

Alcoholism. Is there more than one type of alcoholism?

British Journal of Psychiatry 1971; 118: 525-531.

194. Rounsaville BJ, Kosten TR, Weissman MM.

Psychiatric disorders in relatives of probands with opiate addictions.

Archives of General Psychiatry 1991; 48: 33-42.

195. Manna V., Daniele MT, Pinto M.

Psicosi e dipendenze patologiche da sostanze: verso il trattamento integrato multimodale.

Giornale Italiano di Psicopatologia 2002; 8 (1): 36-58.

196. Cibin M.

Alcol e disturbi mentali. L'approccio multimodale alla dipendenza alcolica.

Psichiatria e Territorio 1996; 3: 287-297.

197. Manna V, Ferrone MC.

Alcol-dipendenza, abuso di sostanze e craving: considerazioni cliniche e proposta di un trattamento integrato

multimodale.

Bollettino Italiano delle Farmacodipendenze e l'Alcolismo 2001; 1: 50-61.

198. Mosti A, Giuseppone AR, Montanari L, Giannotti CF.

L'attività alcologica in Emilia Romagna: un progetto nato dal basso.

Bollettino Italiano delle Farmacodipendenze e Alcolismo 1998; 1: 21-31.

199. Carey BK.

Emerging treatment guidelines for mentally ill chemical abusers.

Hospital Community Psychiatry 1989; 40: 341-349.

200. Osher FC, Kofoed LL.

Treatment of patients with psychiatric and psychoactive substance abuse disorders.

Hospital Community Psychiatry 1989; 40: 1025-1030.

201. Humphreys K, Moos RH, Hamilton EG.

Psychiatric services in VA substance abuse treatment programs.

Psychiatric Service 1996; 47: 1203-1208.

202. Manna V, Lattanzio M.

Aspetti diagnostici delle sindromi e dei disturbi associati alle dipendenze patologiche da sostanze.

Difesa Sociale. Istituto Italiano di Medicina Sociale 2000; 1-2: 119-134.