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1 IL PIANO DI TRATTAMENTO IN ENDODONZIA SIE – Società Italiana di Endodonzia Autori: Massimo Gagliani, Mario Badino, Eugenio Tosco. Indice: 1. Introduzione 2. Elementi di diagnostica 3. Classificazione delle patologie dell’endodonto e delle strutture di sostegno del dente 4. Il piano di trattamento endodontico nel contesto della terapia globale 5. Modalità di esecuzione del piano di trattamento endodontico 5.1) Il trattamento in seduta unica 5.2) Il trattamento in sedute multiple 5.3) L’Endodonzia Chirurgica 6. Conclusioni 7. Ringraziamenti 8. Bibliografia

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IL PIANO DI TRATTAMENTO IN ENDODONZIA

SIE – Società Italiana di Endodonzia

Autori: Massimo Gagliani, Mario Badino, Eugenio Tosco.

Indice:

1. Introduzione

2. Elementi di diagnostica

3. Classificazione delle patologie dell’endodonto e delle strutture di

sostegno del dente

4. Il piano di trattamento endodontico nel contesto della terapia

globale

5. Modalità di esecuzione del piano di trattamento endodontico

5.1) Il trattamento in seduta unica

5.2) Il trattamento in sedute multiple

5.3) L’Endodonzia Chirurgica

6. Conclusioni

7. Ringraziamenti

8. Bibliografia

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1. Introduzione

Il piano di trattamento in endodonzia è, se vogliamo, semplice e complesso al

tempo stesso; nell’ottica di conservare un elemento dentale affetto o da

patologie della polpa o da reazioni infiammatorie dei tessuti di sostegno

periapicali, tutti gli sforzi devono essere messi in atto. Tuttavia, il considerare

avulso un elemento dentale, dal contesto orale del paziente e dalle problematiche

ricostruttive dell’elemento in se, significherebbe eseguire un’infinita serie di

procedure cliniche, costose in termini di tempo e di denaro, con risultati, a

distanza di tempo, modesti per non dire negativi.

Da qui la necessità di impostare un corretto percorso diagnostico, con riscontri

clinici e radiografici esaustivi, che porti alla formulazione di un piano di

trattamento endodontico relativo da adattare alle esigenze funzionali che

l’elemento dentale avrà nell’ambito della bocca del paziente.

Ne conseguirà una scelta terapeutica non più figlia della sola competenza

endodontica ma anche determinata dalle necessità intrinseche al piano di

trattamento odontoiatrico più generale. Da qui l’opportunità di optare, tanto per

fare un esempio, alla soluzione dell’endodonzia chirurgica in elementi dentali

affetti da patologie periapicali inseriti in lavori protesici ampi e complessi.

Oppure alla scelta di effettuare rizotomie o emisezioni in elementi dentali

pluriradicolati con fratture o con canali evidentemente non trattabili o non

ritrattabili.

Da questo iniziale quadro descrittivo si comprende quindi quanto sia importante

avere delle competenze variegate nel settore per poter predisporre una scelta

terapeutica che non sia fine a se stessa ma che metta al centro la salute orale del

paziente rispetto alla possibile guarigione tecnica di una lesione periapicale in

un elemento dentale non caricabile perché sprovvisto delle caratteristiche

meccaniche idonee a supportare i carichi masticatori cui verrebbe destinato.

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A maggior ragione, laddove si debba decidere tra un salvataggio e un’avulsione,

comprendere a pieno le alternative implantari o protesiche, nonché quelle

estetiche, guiderà il professionista verso la soluzione di recupero endodontico o

di desistenza solo attraverso un processo di analisi comprensivo anche delle

alternative più sopra menzionate.

2. Elementi di diagnostica

Il percorso diagnostico in endodonzia parte, in ogni caso, dall’inquadramento

nosologico della patologia che affligge l’elemento dentale, sia essa intrinseca

alla polpa dentale oppure riguardante i tessuti di sostegno periapicale.

In tale senso numerose classificazioni sono state fornite per le patologie pulpari

e per quelle periapicali; di esse parleremo nel capitolo successivo.

Nel contesto attuale invece ci occuperemo di dare indicazioni sulle modalità di

esecuzione della visita, in presenza o in assenza di algie segnalate dal paziente,

per determinare l’esistenza di una patologia di quelle sopra menzionate.

Tuttavia, le situazioni cliniche che riguardano gli elementi dentali affetti da

problematiche relative all’endodonto, comprendenti o meno i tessuti parodontali

limitrofi all’apice radicolare, non sono sempre di facile interpretazione, sia per

le peculiarità anatomiche che riguardano il sistema nervoso che veicola le

sensibilità algiche e propriocettive dei denti, sia per la progressione - talvolta

subdola, talvolta lenta - delle affezioni che coinvolgono la polpa dentale. A

questo si aggiunge l’impossibilità, a tutt’oggi, di avere a disposizione strumenti

diagnostici sufficientemente specifici e sensibili; non è, infatti, possibile stabilire

– con elevata approssimazione – se un elemento dentale affetto da una patologia

a carico del sistema pulpo-dentinale abbia un quadro istopatologico chiaramente

identificabile e, come tale, diagnosticabile.

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ANAMNESI MEDICA E SUE IMPLICAZIONI CLINICHE

L’importanza di effettuare una corretta anamnesi trascende le questioni medico-

legali. La raccolta primaria di una storia medica completa deve permettere di

inquadrare dapprima il paziente nella sua interezza, valutarne le eventuali

patologie di ordine generale che possano essere considerate un concomitante

fattore di rischio e di indirizzare il paziente stesso al trattamento più consono per

il problema di origine endodontica individuato.

Per questioni di rapidità e riproducibilità, si potrà provvedere alla registrazione

ed alla compilazione di un questionario da parte del paziente, magari con un

minimo di assistenza da parte del personale paramedico, da suggellare con una

firma; l’odontoiatra, quindi, dovrà leggere con attenzione le risposte fornite e

chiedere chiarimenti sulle condizioni generali del paziente stesso. In casi di

infezioni croniche particolari - in cui il rischio di infezioni crociate possa

risultare alto, sia per i pazienti successivi sia per il personale medico e

paramedico - quali epatiti di tipo virale, infezioni da herpes virus, positività per

il virus HIV o malattie veneree sarà bene identificare con precisione lo stato di

malattia onde mettere in atto meccanismi di protezione ulteriore nei confronti

dell’odontoiatra e di tutto il personale ausiliario, qualora si debba forzatamente

intervenire per le patologie odontoiatriche.

E’ inoltre possibile che - qualora le affezioni di cui sopra determinino uno stato

di malattia per il paziente particolarmente grave - alla diagnosi di patologia

pulpare o periapicale segua un piano di trattamento che non preveda il

trattamento endodontico ma l’avulsione dell’elemento dentale oppure la

prescrizione di una terapia farmacologica.

Non è infrequente l’osservazione di pazienti che assumono farmaci per patologie

croniche; sarà opportuno, anche in questi casi, calibrare l’eventuale intervento

endodontico tenendo conto di questo fattore. Infatti, qualora il paziente sia

sottoposto a terapie farmacologiche, che possano interagire con dei farmaci

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possibilmente somministrabili dopo la terapia endodontica, pare doveroso fare

un’attenta valutazione, preliminare al trattamento endodontico, magari

contattando anche il medico curante del paziente stesso.

IL PERCORSO DIAGNOSTICO

Il riconoscimento e la cura del dolore costituiscono il compito più impegnativo

per l’odontoiatra. Una comprensione di tutti gli aspetti del dolore sarà un’utile

base per la diagnosi di dolore odontogeno; spesso infatti dalla sua intensità,

localizzazione e ricorrenza si potrà risalire, ancor prima dell’esame intraorale,

alle alterazioni patologiche che lo hanno provocato.

ANAMNESI ODONTOIATRICA

L’anamnesi odontoiatrica identifica, molto spesso, il problema, guidando, in

prima istanza, il percorso diagnostico; è importante ascoltare il paziente, durante

la descrizione della sintomatologia, guidandolo con delle domande chiare e

precise.

E’ altresì vero che raccogliere le informazioni corrette risulta arduo, pertanto è

bene guidare il paziente nella descrizione con domande specifiche. Non è

oggetto di questo scritto entrare nel dettaglio a simili argomenti ma dai reperti

anamnestici sarà facilmente comprensibile il tipo di trattamento che si paventerà

anche in relazione a quanto emerso in questa fase.

ESAME CLINICO

Una volta eseguita un’accurata anamnesi, si passerà all’esame clinico: esso può

essere schematicamente diviso in una parte extraorale ed in una intraorale. Da

esso sarà possibile ricavare importanti informazioni; tanto per fare un esempio,

la presenza di una fistola orienterà verso una patologia periapicale inveterata, la

cui prognosi è senza dubbio meno confortante in rapporto a una semplice

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patologia pulpare. Una tumefazione sarà sempre prodromo di evento acuto, o di

situazione acuta da risolvere con un piano di trattamento che abbia soluzioni

immediate, per risolvere le algie, e soluzioni successive per valutare l’aspetto

prognostico.

PROVE CLINICHE

Come già menzionato in fase di presentazione, non esistono prove specifiche e

sufficientemente precise per diagnosticare lo stato di salute della polpa di un

elemento dentale.

L’obiettivo di queste prove è quello di giudicare, con sufficiente

approssimazione, se il sistema pulpo-dentinale di un elemento dentale sia affetto

da un processo infiammatorio reversibile o irreversibile.

Ovvero se il processo infiammatorio possa essere risolto dalla componente

organica della polpa sana residua, ovvero se sia possibile una reversibilità del

processo infiammatorio, oppure se la polpa stessa debba essere eliminata, nel

caso di giudizio di irreversibilità della patologia.

Nei casi in cui l’affezione di origine endodontica abbia interessato anche i

tessuti di sostegno del dente, sarà obiettivo del processo diagnostico verificare se

essa sia debellabile attraverso la decontaminazione dello spazio endodontico, sia

essa effettuate per via ortograda o retrograda.

Il clinico è quindi in grado, attraverso l’uso di prove coordinate, di indagare

sulle condizioni del tessuto pulpare di elementi dentari, ove esista il sospetto

della presenza di una patologia endodontica; l’interpretazione delle risposte alle

prove che di seguito saranno descritte permetterà la formulazione della diagnosi.

Tale risultanza è però spesso condizionata dallo stato emozionale del paziente e

da fattori concomitanti quali l’assunzione da parte del paziente stesso di farmaci

antidolorifici, ansiolitici e ipnotici. Tutti questi elementi possono alzare la

soglia dolorifica con l’esito di ottenere risposte non veritiere da parte del

paziente.

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Esiste, infatti, la possibilità di registrare dei falsi positivi o dei falsi negativi, in

particolare quando si devono valutare elementi dentali in cui la presenza di più

canali radicolari - alcuni non affetti da processi patologici ed altri, magari, già

degenerati - può indurci a dare interpretazioni errate.

La complessità dell’interpretazione dei risultati di alcune prove, in

contrapposizione al vantaggio rappresentato sia dalla semplicità di attuazione

che dalla economicità della maggior parte di esse, rimane un punto di forza del

percorso diagnostico che l’odontostomatologo deve affrontare.

Di seguito saranno elencate le prove più indicate per individuare le patologie di

carattere pulpare o periapicale di origine endodontica.

ESAME della PERCUSSIONE: E’ un test che si effettua sia applicando una

piccola pressione con un dito sull’elemento dentale in esame e (fig.1), in

seguito, percuotendolo delicatamente con il manico di uno specchietto (fig.2). E’

utile per rilevare la presenza di uno stato infiammatorio del legamento

parodontale, ma può dare anche indicazioni sullo stato di salute della polpa

dentale. In questo modo si avrà la possibilità di diagnosticare una parodontite

apicale acuta, conseguenza di una infiammazione pulpare non più reversibile,

ma è opportuno mettere in diagnostica differenziale le infiammazioni del

legamento legate a un trauma occlusale e quelle collegate a malattia parodontale.

Fig.1 La prima percussione deve essere eseguita sempre con un dito evitando di

evocare dolori acuti al paziente.

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Fig.2 Una volta individuato l’elemento si può procedere ad una leggera percussione

utilizzando il manico dello specchietto.

ESAME della PALPAZIONE: Viene condotto applicando una leggera pressione

digitale sulla zona sospetta, apicalmente all’elemento dentale (fig.3), sia in zona

vestibolare che palatale o linguale, in modo da poter verificare se il paziente

avverte una sintomatologia dolorosa, segno patognomonico di una periodontite

apicale o di un ascesso in fase acuta. E’ indispensabile condurre questa manovra

anche quando si rilevi una mobilità dentale o si sospetti, a seguito di un trauma,

una frattura dentale associata ad una contestuale infrazione dell’osso alveolare.

La palpazione bidigitale va eseguita in caso di tumefazione purulenta per

valutare la mobilità della raccolta purulenta prima di un eventuale incisione

dell’ascesso (fig.4).

Fig.3 Palpazione digitale da effettuarsi in corrispondenza della regione apicale sia

sulla parete ossea vestibolare che palatale.

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Fig.4 Palpazione bi-digitale in caso di ascesso per valutare la fluttuazione della massa

purulenta.

PROVE STRUMENTALI ESAMI CON STIMOLAZIONE TERMICA: Sono esami che si basano sulla

capacità della polpa di evocare sensazioni di tipo algico, a seconda dello stato di

infiammazione, se sollecitata con stimoli termici, siano essi caldi o freddi.

Non è infrequente avere già dei riscontri da parte del paziente a riguardo: il

dolore evocato dagli stimoli freddi, spesso urente e non coercibile nel breve

periodo, è infatti comune nei racconti dei pazienti che giungono all’osservazione

per problematiche di tipo pulpare irreversibili. Parimenti, e forse

prognosticamente più gravi, sono quelli descritti quando vengono ingerite

bevande o cibi caldi, anche se a riguardo non esista un dato concorde in

letteratura.

Le prove termiche sono quindi confirmatorie di quanto già descritto dal paziente

e, fatto non meno importante, devono essere usate sempre con una metodica

comparativa, essendo la soglia dolorosa differente da paziente a paziente.

Pertanto, durante la conduzione di questa prova, è sempre opportuno saggiare la

soglia di sensibilità su elementi dentali contigui sani o controlaterali omologhi

non affetti da patologie, intercorrenti o pregresse.

ESAME del FREDDO: Si usa normalmente un agente, il cloruro di etile

conservato allo stato liquido sotto pressione in appositi contenitori, la cui

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vaporizzazione trasforma il composto in uno stato cristallino che può

raggiungere temperature comprese tra i -10° ed i -25°C. La prova si conduce

appoggiando un piccolo batuffolo di cotone imbevuto del liquido,

posizionandolo quindi sulla faccia vestibolare cervicale dell’elemento dentale in

esame, previa asciugatura, facendo attenzione a non coinvolgere altri elementi

dentari attigui o il parodonto. La risposta allo stimolo freddo di una polpa

normale è positiva e scompare subito dopo la cessazione dello stimolo stesso. Il

paziente avverte solo un fastidio passeggero; se, invece, il dolore è maggiore nel

dente che si suppone implicato nella patologia, questo può essere un indice di

infiammazione pulpare. L’assenza di risposta, potrebbe essere dovuta ad uno

stato di necrosi pulpare, alla presenza di sclerosi pulpare con conseguente atrofia

della polpa residua. Una risposta dubbia a questa prova è assai comune nei denti

traumatizzati.

Nei casi di forte dolore spontaneo, lo stimolo molto freddo può procurare al

paziente un sollievo temporaneo; il paziente stesso, durante l’esame

anamnestico, riferisce di aver notato che l’assunzione di acqua molto fredda

alleviava il dolore acuto. In quest’ultimo frangente la diagnosi di patologia

pulpare irreversibile è pressoché certa.

ESAME al CALDO: Questo esame, positivo quando esistano ampie zone di

necrosi colliquativa e formazioni ascessuali all’interno della camera pulpare,

può essere impiegato, non in modo sistematico, come esame accessorio in

elementi dentali in cui la risposta al freddo sia risultata dubbia. Può inoltre

essere utilizzato - in via confirmatoria - quando il paziente riferisce una

sintomatologia algica associata all’ingestione di cibi o bevande calde. Per

praticare l’esame può essere utilizzata della guttaperca calda, appoggiandola

sulla superficie vestibolare del dente in esame, oppure si può usare uno

strumento caldo tipo “portatore di calore”.

E’ possibile anche impiegare dei gommini per brunitura dell’oro o per lucidatura

dei compositi montati su contrangolo, fatti girare senza l’ausilio dell’acqua. Un

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tessuto pulpare normale risponde positivamente e nel giro di qualche secondo,

tolto lo stimolo, cessa la risposta. E’ molto importante, quando si esegue questo

tipo di esame, tenere a portata di mano, sia l’anestesia che dell’acqua fredda

perchè, in caso di grave stato infiammatorio del tessuto pulpare, uno stimolo

caldo può scatenare un fortissimo dolore, lenibile con un opportuno

raffreddamento.

ESAME con STIMOLATORI ELETTRICI: Questo esame che si basa sulla

trasmissione di corrente elettrica alle terminazioni nervose della polpa;

normalmente viene usato dopo gli altri esami, in caso di risposte dubbie o per

confermare una diagnosi già supposta.

Spesso l’affidabilità dipende dalla validità delle apparecchiature usate ed il

numero dei falsi positivi e negativi può risultare molto elevato.

E’ bene ricordare che questo esame non si può effettuare in quei pazienti

cardiopatici portatori di pacemaker.

ESAME CON ESECUZIONE DI CAVITA’: In alcuni casi, dopo molte risposte

dubbie ottenute con tutti gli altri esami o quando i denti in esame sono ricoperti

con manufatti protesici, si può eseguire con una fresa diamantata di piccolo

diametro, sotto irrigazione d’acqua, montata su manipolo contrangolo o turbina

ad alta velocità una piccola cavità, senza avere praticato l’anestesia, sulla

corona dentale in zona occlusale nei denti posteriori e palatamente o

lingualmente negli anteriori. Una volta bucata la superfice, il contatto sulla

dentina provocherà, in caso di polpa vitale, un dolore iniziale; in assenza di

dolore, molto probabilmente, si potrà sospettare uno stato pulpare atrofico,

sclerotico, calcificato o, addirittura, la necrosi della polpa stessa. E’ un esame

molto specifico e da riservare a tutti i casi in cui le altre prove non confermino

l’ipotesi diagnostica.

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ESAME DELL’ANESTESIA: Analogamente a quanto sopra menzionato, in

alcune circostanze, si può ricorrere all’esame dell’anestesia. Se un paziente

lamenta un dolore diffuso non ben definibile in un quadrante della bocca, spesso

riferito anche all’omologo lato antagonista, effettuando un’anestesia selettiva è

possibile localizzare il dente responsabile. E’ consigliato effettuare una anestesia

intraligamentosa a livello vestibolare dell’elemento dentale e non nella zona

interprossimale, perché in questo modo si può anestetizzare anche il dente

adiacente e falsare così la risposta del paziente.

ESAME della TRANSILLUMINAZIONE: Riveste un ruolo accessorio, utile

per evidenziare piccole incrinature, fratture dentali, carie interprossimali; viene

impiegato in una fase preliminare dell’esame del comparto dentale e, con

l’ausilio di fibre ottiche o di potenti sorgenti luminose, è possibile apprezzare

delle difformità della corona dentale che possano preludere ad un

coinvolgimento dell’organo pulpare.

Normalmente si abbina anche ad un altro esame per la diagnosi, sia di frattura

verticale sia di dente incrinato: quest’ultimo si effettua, facendo mordere al

paziente un rotolino di cotone bagnato sui denti in esame, provocando così un

leggero divaricamento dei frammenti dentali, se presenti, con relativa sensazione

dolorosa.

L’ESAME RADIOGRAFICO QUALE SUPPORTO DIAGNOSTICO: La

diagnosi in endodonzia non può prescindere dall’esame radiologico (fig.5),

infatti, un attento studio della radiografia assume un ruolo di primaria

importanza. Tuttavia l’immagine radiologica rappresenta un quadro

bidimensionale di uno spazio tridimensionale e pertanto starà all’abilità

dell’operatore stabilire la correlazione esistente tra il radiogramma stesso e la

formazione anatomica in esame. E’ bene ricordare, inoltre, che le lesioni

patologiche periapicali di difficile interpretazione spesso sono limitate alla sola

midollare ossea e non vengono evidenziate all’esame radiografico tradizionale e,

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inoltre, ampiezza e dimensioni delle lesioni stesse sono sottostimate rispetto alla

rappresentazione radiografica.

Non è oggetto di questo capitolo esaminare in esteso le problematiche

radiologiche in endodonzia, tuttavia qualche breve escursus sarà utile per

significare al meglio le problematiche diagnostiche.

Esistono attualmente sempre in ambito odontoiatrico altri mezzi tecnologici di

ultima generazione che permettono, soprattutto nella pianificazione di interventi

di chirurgia orale o di implantologia, di avere il maggior numero di informazioni

sulla morfologia,sulle dimensioni e sulla qualità dell’osso. L’avvento della TAC

e dei successivi programmi Dentascan ha segnato un fondamentale passo avanti

nell’indagine diagnostica dei siti ossei, permettendo la precisa programmazione

del tipo di intervento e la previsione della sua evoluzione.

Questa importante metodica è stata protagonista di una continua evoluzione a

livello di hardware e software che ha permesso di tagliare un traguardo

importante: l’ottenimento dei dati in tempi sempre più brevi.

Attualmente una nuova tecnologia trova il suo punto di riferimento nel

tomografo volumetrico digitale di nuova concezione dedicato all’imaging del

distretto dento-maxillo-facciale. Si tratta di un sistema di Tomografia

Computerizzata che utilizza la tecnologia Cone Beam (CBCT) (fig.6).

Senza scendere nei dettagli, con questa tecnica radiologica è possibile

visualizzare in modo tridimensionale l’endodonto e i tessuti periapicali.

Da un’attenta revisione della letteratura e dalla nostra esperienza in chirurgia

endodontica, si è evidenziato che lesioni patologiche limitate alla sola midollare

ossea spesso non vengono evidenziate all’esame radiografico convenzionale ed

inoltre che l’ampiezza e le dimensioni delle lesioni stesse sono nella realtà

chirurgica decisamente più ampie rispetto alla loro rappresentazione

radiografica.

In letteratura sono presenti non pochi contributi nei quali è possibile evincere

che la cura di tutte le problematiche endodontiche non sia sempre possibile;

infatti, quadri clinici complessi con lesioni inveterate, superiori ai 10 millimetri

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di diametro, magari con fistole concomitanti e pregressi trattamenti canalari

diventa un’operazione il cui risultato a distanza sia oggetto di molte discussioni

sulla reale riuscita degli stessi.

Fig.5 Radiografia endorale periapicale (REP) fatta con centratore di Rinn. Con un

corretto esame radiografico possiamo completare il nostro quadro diagnostico. In

questo caso l’rx mostra lesione periapicale a carico del 3.5. il crio-test per saggiare la

vitalità fatto in precedenza aveva dato esito negativo.

Fig.6 Screenshot di esame CBCT (Cone Beam Computed Tomography) con FOV

piccolo eseguito per valutare il riassorbimento interno a carico del 1.3. Il poter

esaminare l’elemento dentario nei tre piani dello spazio facilita non solo la diagnosi

ma anche la scelta del piano terapeutico.

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3) Classificazione delle patologie dell’endodonto e delle

strutture di sostegno del dente

PATOLOGIA PULPARE: I QUADRI CLINICI

Le forme di patologia pulpare sono riconducibili a due grandi categorie: le

pulpiti reversibili e le pulpiti irreversibili.

- PULPITE REVERSIBILE

Stabilire, con precisione, la reversibilità o non reversibilità di un processo

infiammatorio a carico della polpa dentale è impresa assai ardua. La dipendenza

da molti fattori e cofattori non ben quantificabili spesso disorienta e la diagnosi,

in virtù dell’insieme di queste concause, rimane velata da aree di incertezza.

In modo quasi indipendente, poi, si inseriscono ulteriori elementi quali l’età del

paziente, la sede della lesione cariosa, l’esperienza di carie del soggetto, tanto

per elencarne alcuni.

Pertanto, quanto più il soggetto sia giovane, abbia un’esperienza di carie limitata

e la localizzazione anatomica della lesione cariosa sia favorevole, ovvero

distante dalla polpa dentale, tanto più sarà possibile stimare favorevole il

processo di riparazione da parte della polpa integra residua, una volta rimossa la

“noxa-patogena”.

I dati istologici, come dimostrato da una letteratura assai consolidata, non sono

quasi mai associabili ai quadri clinici e, considerato che essi non sono

disponibili nella pratica quotidiana, ai fini diagnostici pratici inutili.

E’ un quadro clinico intermedio che può mimare una forma di patologia pulpare

irreversibile ma con un corteo sintomatologico molto vivace in presenza di

stimoli termici ma con una obiettività più limitata. E’ tipica nelle lesioni, cariose

e non cariose, del terzo cervicale.

Non è infrequente anche dopo un’otturazione metallica, dopo procedure

conservative aggressive oppure in seguito a eccessiva asportazione del cemento

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radicolare cervicale. Ciò può accadere in seguito di errate manovre di

spazzolamento con la conseguente reazione dolorosa e breve della polpa causata

dal movimento intratubulare del fluido dentinale (teoria idrodinamica).

Tale fenomeno è da ascrivere ad una ragione anatomica ben precisa e definita: la

perdita di attacco epiteliale, associata o meno, ad una erosione chimico-

meccanica del cemento radicolare e di parte della dentina del terzo cervicale

coronale, mette in comunicazione il sistema pulpo-dentinale con la cavità orale.

Come descritto nel capitolo di fisiopatologia pulpare, le variazioni termiche

possono generare una risposta dolorosa poiché il fluido dentinale, per ragioni

osmotiche, viene sistematicamente attirato verso la cavità orale, non essendo più

il fluido contenuto dall’involucro costituito dallo smalto e dal cemento

radicolare, particolarmente sottili in quel distretto anatomico.

Esistono vari rimedi a questo stato para-fisiologico tutti riconducibili ad una

sigillatura dei tubuli dentinali pervi, sia essa eseguita con materiali resinosi o

con interventi combinati restaurativo-parodontale.

- PULPITE IRREVERSIBILE

Come più sopra descritto, la pulpite di tipo irreversibile può avere - talvolta -

quadri clinici e istopatologici molto diversi. Nei casi conclamati viene descritta

dal paziente con modi molto precisi: l’algia - nelle sue forme più acute - spesso

arriva di notte, quando il paziente è coricato oppure quando il paziente assume

una posizione declive, molto probabilmente a causa di un aumento della

pressione del sangue nel distretto della camera pulpare.

Le sensazioni soggettive sono sempre quelle più indicative: dall’avvertire il

dente “diverso” dagli altri, alle sintomatologie transitorie legate all’ingestioni di

liquidi o cibi freddi o caldi, fino al dolore violento, lancinante, pulsante,

insopportabile. Tuttavia, generalmente, il dolore è scatenato dal freddo ed è un

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dolore che non si risolve quando la causa irritante viene rimossa, ma continua

per qualche minuto, e, talvolta, anche per ore. In alcune forme di pulpite

irreversibile, negli stadi più avanzati, l’acqua fredda da un sollievo immediato,

avendo un effetto astringente sul flusso vascolare rimasto funzionale, riducendo

pertanto la pressione intrapulpare; in questi frangenti, per contro, il calore

esacerba la sensazione dolorosa.

Una peculiarità dei quadri di irreversibilità della patologia pulpare è

rappresentata dall’irradiazione del dolore, tipicamente verso il mento e verso

l’orecchio nei denti dell’arcata inferiore e, negli elementi dell’arcata superiore,

in direzione della zona auricolo-temporale, zigomatica, orbitaria ed ala del naso

a seconda della localizzazione del dente affetto dalla patologia.

L’esame radiografico non può fornire un’informazione diretta, ma evidenzia le

eventuali presenze di carie interprossimali non evidenti all’esame clinico,

oppure carie al di sotto di vecchi restauri in vicinanza della polpa. La zona

apico-periapicale, di solito, appare intatta e, normalmente, lo spazio del

legamento parodontale risulta intatto; in taluni casi, può presentare un leggero

allargamento, segno di una progressione della patologia. In altri quadri

radiologici, la condensazione della trama trabecolare dell’osso periradicolare

può fornire un elemento in favore della diagnosi di irreversibilità. Tale

fenomeno è stato più volte descritto come “sclerosi periapicale”.

Una pulpite acuta avanzata, normalmente presenta un interessamento

parodontale a livello periapicale e la diagnosi è più facile in quanto sussiste

anche una sintomatologia dolorosa alla percussione dell’elemento dentario.

Questo è dovuto all’interessamento dei propriocettori presenti nel legamento

parodontale; il paziente stesso, localizzando con precisione il dente responsabile,

può essere di grande aiuto in fase di diagnosi.

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- LA NECROSI PULPARE

La necrosi della polpa è una sequela di uno o più episodi, magari sub-acuti,

dell’infiammazione della polpa, sebbene - sia un arresto immediato della

circolazione in seguito a lesione traumatica sia l’evoluzione della malattia

parodontale profonda con interessamento del fascio vascolo- nervoso apicale del

dente - possano essere, parimenti, cause determinanti una necrosi parziale o

totale della polpa dentale.

Come ricordato nella parte dedicata a queste patologie, il processo

infiammatorio indotto dai batteri e le continue alterazioni del tessuto pulpare da

esso determinate portano alla formazione di una o più zone di necrosi

colliquativa che, se non fronteggiate, generano una necrosi totale del tessuto

pulpare; la polpa difficilmente diviene completamente necrotica in tempi rapidi,

sebbene, come già ricordato, gli irritanti, batterici e non batterici, possano

iniziare la loro azione distruttiva - diretta o mediata - a carico dei tessuti

periapicali.

Esistono situazioni, ad esempio nei denti pluriradicolati, in cui non tutto il

tessuto pulpare è andato incontro al processo di necrosi e le zone di polpa

ancora viva possono essere fuorvianti per quanto attiene le prove volte a

determinare lo stato di coinvolgimento pulpare. La sintomatologia del dente con

polpa necrotica è, solitamente, priva di note; tuttavia, per quanto più sopra

riportato, algie varie e subdole, legate ad isole di tessuto pulpare in cui

sopravvivono terminazioni nervose, possono essere dei campanelli di allarme.

Non è raro poi sentirsi riferire un dolore associato alla masticazione, derivando

questo dal coinvolgimento dei tessuti periapicali da parte di una necrosi pulpare

parcellare; infatti, alla palpazione, facilmente possiamo evidenziare un leggero

gonfiore con piccola mobilità dell’elemento dentale, mentre alla percussione è

possibile evocare una franca sintomatologia dolorosa.

All’esame radiografico non si evidenzia nulla di eclatante se non un leggero

allargamento dello spazio del legamento parodontale.

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PATOLOGIA PERIAPICALE: I QUADRI CLINICI

Come già ricordato, le patologie infiammatorie irreversibili della polpa sono una

delle cause di malattia dell’apparato di sostegno del dente. Abbiamo già in

precedenza parlato delle strette relazioni tra polpa e tessuto periradicolare e,

quindi, è intuibile come un’infiammazione della polpa possa causare

un’infiammazione a livello del legamento parodontale; quando la necrosi ha

coinvolto parti significative della polpa dentale, i batteri - direttamente o con le

proprie tossine - gli agenti immunologici, i prodotti del disfacimento e della

necrosi tissutale, dal distretto intracoronale ed intraradicolare raggiungono la

zona periradicolare, passando attraverso tutte le vie di comunicazione esistenti

tra endodonto e parodonto.

La reazione ad uno stimolo dannoso, che passa dal canale radicolare ai tessuti

periapicali, può essere di solo di due tipi: una reazione acuta oppure una

reazione di tipo cronico. Difficilmente, per le cause di tipo batterico, si assiste ad

una reazione acuta “ab initio” ma, bensì, è più frequente assistere ad una

reazione periapicale di natura cronica, alla quale seguono uno o più episodi di

carattere acuto.

Parleremo quindi di due affezioni clinicamente caratteristiche che sono la

Parodontite Apicale Cronica (PAC) (fig.7-9) e la Parodontite Apicale Acuta

(PAA).

Fig. 7 Fig. 8 Fig. 9

Fig.7 Radiografia endorale periapicale di 3.4 e 3.5. A livello apicale del 3.5 è visibile

una ampia lesione osteolitica causata dalla necrosi pulpare.

Fig.8 REP intraoperatoria post otturazione canalare. Entrambi gli elementi (il 3.4 era

ipersensibile) sono stati trattati in una solo seduta.

Fig.9 REP di controllo a 30 mesi. Che mostra la perfetta guarigione della lesione

osteolitica.

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- PARODONTITE APICALE CRONICA (PAC)

Il fluire di tossine batteriche e dei loro prodotti di degradazione, unitamente

all’intervento di cellule defensionali dell’organismo, volte a limitare la carica

batterica ed a rimuovere i cataboliti batterici e non batterici, determina la

formazione a livello apicale di un fenomeno, tipico delle infiammazioni, detto

granuloma. E’ un processo lento, spesso privo di segni clinici evidenti, sovente

rinvenuto attraverso esami radiografici prescritti per altre ragioni. Essendo

legato a processi di distruzione massiva della polpa dentale, non è mai associato,

durante la sua evoluzione, a sintomatologia clinica direttamente determinata.

Una blanda sensibilità durante la masticazione può essere avvertita dal paziente,

segno spesso insignificante ma cui è sempre opportuno prestare attenzione nella

fase di anamnesi.

Gli esami per verificare lo stato pulpare spesso indicano una sensibilità agli

stimoli termici ed elettrici fortemente diminuita o addirittura assente. La

percussione può essere positiva, come positiva può essere la palpazione nella

zona del fornice. Non è raro evocare una dolorabilità anche marcata nelle zone

periapicali di elementi dentali affetti da PAC; è anche frequente percepire un

certo rigonfiamento delle aree prossime alla lesione.

Un segno caratteristico e caratterizzante è la presenza di una fistola (fig.10),

talvolta secernente liquido sieroso o purulento, spesso esito di un episodio acuto

passato inosservato o gestito in modo autonomo dal paziente.

Un quadro assimilabile è quello riscontrabile in presenza di una cisti odontogena

periapicale, la cui diagnosi, come già detto, è impossibile se non per via

istologica, ma il cui comportamento clinico e la cui risoluzione terapeutica poco

differiscono da quella riservata alla PAC.

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Fig.10 Foto preoperatoria che mostra fistola mucosa vestibolare.

- PARODONTITE APICALE ACUTA (PAA)

L’infiammazione acuta localizzata a livello del periapice viene denominata

PAA; nella sua evoluzione essa coinvolge tutti i tessuti di sostegno del dente, “in

primis” il legamento periodontale, per poi espandersi nella midollare ossea,

evolvere nella corticale ossea, interessare la zona sub-periostale e sconfinare

nella sottomucosa alveolare. Nei casi gravi può anche progredire sino ai tessuti

tegumentari o coinvolgere strutture quali il pavimento della bocca, le zone

parafaringee sino al mediastino.

Dall’entità della situazione infiammatoria acuta e dal coinvolgimento delle

strutture tissutali si può facilmente comprendere quanto vari possano essere i

quadri sintomatologici.

E’ opportuno distinguere le varie fasi ed associarne i corredi clinici e

sintomatologici.

Per facilità di lettura ci si può basare sullo schema

FASI DELLA PARODONTITE APICALE ACUTA:

PERIODONTITE

ALVEOLARE

SUBPERIOSTALE

SOTTOMUCOSA

TEGUMENTARIA

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- LA PERIODONTITE

Il primo tessuto ad essere coinvolto, nelle fasi iniziali della PAA, è,

naturalmente, il legamento parodontale e può essere provocata da più agenti

eziologici. Nei denti con patologie pulpari irreversibili avanzate è facile

distinguere i segni di una PAA, sotto forma di dolore alla pressione riferito dal

paziente e confermato dagli esami alla percussione effettuabili durante la visita

odontostomatologica. Anche radiograficamente si può apprezzare un leggero

allargamento dello spazio del legamento parodontale, detto ectasia. Negli stadi

più avanzati, in cui parte della polpa può essere abbondantemente necrotica, il

processo infiammatorio confinato nel legamento parodontale può determinare

una espansione tale da rendere l’elemento dentale più alto e quindi avvertibile,

nel solo movimento di chiusura, dal paziente. La ricca innervazione e la finezza

della rappresentazione nervosa propriocettiva, oltre a generare un aumento della

dolorabilità alla pressione, rende facilmente identificabile l’elemento dentale

interessato dalla patologia.

Il quadro sintomatologico però deve essere oggetto di riflessioni quando ci si

trovi di fronte ad un dente che risponde positivamente agli esami per attestare la

vitalità, ovvero nel dente con polpa sana; infatti, un trauma occlusale dovuto ad

un restauro recente non consono con l’occlusione del paziente o parafunzioni

croniche possono essere responsabili di un quadro di periodontite acuta, non

essendo questa causata da batteri presenti nell’endodonto.

Non è infrequente poi osservare questo stesso quadro in conseguenza di

trattamenti endodontici recenti che abbiano determinato una

sovrastrumentazioni apicale, causa di disseminazione circoscritta di batteri o

residui dentinali infetti oltre il limite del forame apicale. Anche in questo caso il

dolore, talvolta intenso alla percussione del dente è generato dall’accumulo di

essudato tra le fibre del legamento che vengono così ad essere stirate. In questi

casi, è opportuno alleggerire l’elemento dentale nei contatti occlusali e

prescrivere una terapia medica a base di antinfiammatori non steroidei per

alleviare il dolore. Anche la palpazione in zona apicale può evocare dolore.

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FASE ALVEOLARE: Nei casi in cui la patologia sia di franca origine

endodontica, superato il legamento periodontale apicale, il processo acuto

sconfina nella midollare dell’osso mascellare o mandibolare. In questa fase il

corredo sintomatologico poco si scosta da quello precedentemente descritto, può

essere presente una più marcata dolorabilità alla palpazione periradicolare.

FASE SUBPERIOSTALE: Tra le fasi evolutive del processo patologico acuto è,

senza dubbio, quella più dolente. Il dolore acuto, l’estrema sensibilità del dente

al tatto ed il gonfiore molto evidente sono le sue caratteristiche cliniche salienti

(fig.11-12). Il dolore è di tipo pulsante ed il paziente può riferire di sentire, in

corrispondenza del dente, delle pulsazioni sincrone con il battito cardiaco;

inoltre permane, come negli stadi precedenti, la sensazione di percepire il dente

allungato. E’ una diagnosi facile in quanto il paziente indica chiaramente qual’è

il dente responsabile; inoltre, esso è dolente alla percussione, alla palpazione e

può presentare una mobilità anche marcata. Clinicamente è evidente il gonfiore

circostante l’elemento dentale responsabile della lesione ma quando la

tumefazione è di maggiore entità sarà obbligatorio verificare, con gli esami per

la vitalità pulpare, quale sia l’elemento dentale responsabile della patologia.

Fig.11 Foto preoperatoria del 1.2 con ampia tumefazione vestibolare: il dente non

risponde al test di vitalità pulpare , presenta una aumentata mobilità.

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Fig.12 La sola apertura della cavità di accesso del 1.2 ha permesso il drenaggio

spontaneo del materiale purulento.

FASE SOTTOMUCOSA: Se il quadro clinico macroscopico, rappresentato da

un gonfiore marcato che può blandamente coinvolgere anche il tessuto cutaneo,

può non discostarsi dal precedente stato, il quadro sintomatologico può

registrare delle variazioni, peraltro blandamente positive, essendo il dolore poco

presente in questa fase. Tuttavia, non sono infrequenti situazioni che possono

riguardare lo stato generale di salute del paziente; la febbre, talvolta superiore ai

38° C, è un segno di progressivo aggravamento del quadro clinico che deve

tenere desta l’attenzione dell’odontostomatologo affinché il peggioramento non

porti a conseguenze ben più gravi ed indesiderabili.

FASE TEGUMENTARIA: Difficilmente separabile dalla fase sottomucosa

precedente, non si discosta di molto per il corteo sintomatologico ed il quadro

clinico generale. Come nel caso precedente è bene prendere immediate

contromisure al fine di limitare la progressione della patologia di origine settica.

E’ evidente che in questi ultimi due stadi la terapia farmacologica sia

fondamentale, come pure l’associazione con un drenaggio chirurgico nei casi

più eclatanti.

Le patologie pulpari acute, in molte delle fasi descritte, hanno come piano di

trattamento una prima fase farmacologica che si avvale dei comuni antibotici ad

ampio spettro, seguita poi da una valutazione delle possibilità di conservare

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l’elemento dentale, sia singolarmente sia se inserito nel contesto della cavità

orale del paziente. Non dovranno poi essere dimenticate le concause sistemiche

e, in generale, lo stato di salute del paziente che, spesso, può delineare una scelta

terapeutica più o meno salda a riguardo.

- ASCESSO RICORRENTE

E’ il riacutizzarsi di una infiammazione cronica (granuloma o cisti ). Viene

anche definito ascesso riacutizzato o ascesso fenice. La lesione cronica

asintomatica può manifestarsi all’improvviso sia spontaneamente che in seguito

ad un nostro intervento. Nel primo caso una diminuzione delle difese

dell’organismo permette, alla presenza di batteri presenti nel sistema canalare

endodontico, di interrompere quell’equilibrio stabilito da anni, con il risultato di

un quadro acuto. Nel secondo caso l’ascesso si sviluppa durante o dopo un

nostro intervento endodontico, dove involontariamente le nostre manovre

chirurgiche, hanno spinto oltre apice del materiale infetto o non hanno

completamente deterso e sagomato il sistema canalare lasciando ancora una

carica batterica attiva.

Questo quadro non si instaura mai in presenza di una fistola, la quale fornisce un

drenaggio spontaneo al pus che si forma nel caso di una riacutizzazione, senza

dolore .

Spesso clinicamente l’ascesso ricorrente non è distinguibile dall’ascesso apicale

acuto. Radiograficamente abbiamo una importante differenza in quanto si

evidenzia chiaramente un immagine di radiotrasparenza anche di dimensioni

notevoli; assieme ai dati clinici questo elimina qualunque dubbio sulla diagnosi.

Come nei casi precedenti, ma particolarmente in questo, la scelta del piano di

trattamento dovrà essere contestualizzata e, vista la particolare virulenza della

componente batterica che frequentemente si associa alle lesioni in questione,

l’ipotesi di un’avulsione potrebbe essere presa in considerazione come opzione

di trattamento primaria.

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4. Il piano di trattamento endodontico nel contesto della

terapia globale

Le terapie da mettere in atto sono il frutto dell’integrazione tra molte tecniche

operative dai connotati tradizionali, quali la parodontologia chirurgia e non

chirurgica, il trattamento endodontico, la conservativa ricostruttiva ed

eventualmente la protesi.

Non bisogna poi trascurare il fatto che l’entità delle terapie necessarie per un

determinato paziente e le scelte delle metodiche da usare sono intimamente

collegate alle capacità del paziente stesso di collaborare in ogni fase del piano

terapeutico.

Se questa capacità viene giudicata insufficiente, deve essere oggetto di

discussione l’iniziare una serie di trattamenti; infatti, solo attraverso una

completa collaborazione da parte del paziente si potrà giungere alla fine del

piano terapeutico.

Sebbene le tappe fondamentali del trattamento endodontico siano rappresentate

da una prima fase diagnostica e dalle successive fasi legate alla detersione-

sagomatura e otturazione del sistema canalare, solo una più completa ed attenta

diagnosi iniziale sulle reali condizioni dell’elemento dentale potrà aiutarci nello

studio di un corretto piano di trattamento.

E’ un passaggio molto importante: il trattamento endodontico mira ad assicurare

la conservazione e l’utilizzazione degli elementi dentari in esame.

E’ evidente quindi che solo dopo aver completato l’esame globale ed aver

valutato con molta attenzione l’elenco dei problemi relativi non solo alla

patologia endodontica, ma anche a quelli legati alla malattia parodontale, alle

funzioni masticatorie e alla collocazione in arcata dell’elemento stesso, si potrà

presentare al paziente un piano di trattamento.

Nella fase di studio diagnostico-terapeutico è importante capire se le esigenze

soggettive del paziente possono coincidere con la nostra valutazione clinica.

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In base ai dati che si evincono da un esame clinico globale, è possibile in base

alla conseguente diagnosi stabilire un adeguato programma terapeutico; compito

dell'odontostomatologo è quello di definire il rapporto costi-benefici prima di

effettuare ogni genere di terapia che – per quanto semplice o complicata essa

possa apparire - richiede un tempo operativo e può comportare complicanze, più

o meno sopportabili da parte del paziente. Nel condurre un esame generale sul

paziente – al di là delle situazioni di stretta emergenza cui rimandiamo al

capitolo sulle emergenze in endodonzia – l'odontoiatra dovrà inquadrare lo stato

generale del paziente, definendone gli eventuali fattori di rischio che possono

identificarsi in alcune malattie sistemiche; comunque è opinione comune che

non sembrano esistere controindicazioni assolute al trattamento endodontico.

Per iniziare una rassegna succinta ma esaustiva si possono elencare alcuni dei i

fattori maggiormente implicati nelle controindicazioni al trattamento

endodontico: le variabili anatomiche generali sono tra le più frequenti. Un

esempio evidente è rappresentato dai terzi molari inferiori o superiori che

devono essere esaminati con grande cura, sia per localizzazione anatomica

macroscopica nel cavo orale, sia per peculiarità anatomica intrinseca.

Nel primo caso l'apertura del cavo orale del paziente dovrà essere molto ben

valutata prima di ogni manovra endodontica, verificando la possibilità di

introdurre lo strumentario idoneo per isolare il campo operatorio e quello per

praticare il trattamento specifico.

Limitare la terapia canalare a parti di esso, oppure alla sola camera pulpare può

essere un rimedio transitorio per lenire il dolore al paziente ma, in situazioni non

acute, il ricorrere all'avulsione deve essere considerato il trattamento di scelta

poiché scevro dalle complicanze tipiche delle terapie canalari incomplete.

Lo stesso si potrebbe affermare per elementi dentali con anatomie anomale o

con trattamenti pregressi particolarmente difficoltosi; l’impiego di tecniche

microscopiche potrebbe rendersi necessario e quindi il rivolgersi a “super”

specialisti potrebbe rappresentare un’ipotesi di soluzione che, se non percorribile

per vari motivi, potrebbe indurre alla scelta dell’avulsione.

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E’ evidente che una rassegna completa di queste situazioni possa essere oggetto

di innumerevoli distinguo e non è possibile, per quanto scrupolosi, essere

esaustivi a riguardo.

Dallo schema qui presente sarà possibile avere una sommaria linea guida su

quello che potrebbe essere l’atteggiamento del clinico in presenza di una

patologia endodontica di origine cariosa o traumatica.

Di seguito sono elencate alcune ipotesi di trattamento di casi clinici che hanno

richiesto trattamenti pluridisciplinari e che possono fungere da paradigma di

comportamento per i clinici.

Schema Piano di Trattamento (PDT)

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5. Modalità di esecuzione del piano di trattamento

endodontico

TERAPIA DELLE PATOLOGIE PULPARI

5.1) Il trattamento in seduta unica

Il trattamento canalare prevede l’eradicazione della polpa dentale

dall’endodonto; come ampiamente descritto nei capitoli riguardanti le patologie

pulpari raramente questo processo ha investito “in toto” il tessuto pulpare,

segnatamente i canali radicolari ospitano tessuti spesso indenni da

infiammazione.

Il rimuovere la polpa radicolare in fase di non contaminazione batterica

determina, come conseguenza, la capacità, per parte del clinico, di ottenere una

disinfezione dell’endodonto e delle pareti del canale radicolare particolarmente

efficace. Questo fatto, unitamente alle procedure di sagomatura e di otturazione

dello spazio endodontico, fornisce gli elementi necessari per ottenere un

successo a lungo termine della terapia che varie casistiche hanno riportato essere

superiore al 95% dei casi trattati.

Pur con diversità di visione e di tipologie di trattamento, numerosi autori sono

concordi nell’affermare che, in questi casi clinici, la strumentazione e la

chiusura contestuale del canale radicolare possa rappresentare un vantaggio.

5.2) Il trattamento in sedute multiple

E’ evidente che, una volta stimata di origine batterica endodontica la patologia

periapicale, il mancato trattamento del canale radicolare o dello spazio

endodontico infetto - sia esso eseguito in modo diretto o indiretto - non

eliminerà il fattore di rischio principale per rendere possibile una nuova ri-

acutizzazione della patologia cronica sempre latente. In questi frangenti il

trattamento endodontico dovrà essere particolarmente accurato poiché

l’eliminazione dei batteri dall’endodonto sarà particolarmente difficile. Le

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caratteristiche anatomiche dello spazio intracanalare e l’organizzazione dei

batteri in biofilm fortemente adesi alle superfici radicolari rendono le manovre

di sagomatura e disinfezione particolarmente ardue; in questo ambito la

tempistica del trattamento endodontico può essere di due tipi. Il trattamento può

essere effettuato in unica seduta o in più sedute, intervallate dal posizionamento

intracanalare di medicamenti quali l’idrossido di calcio o similari, volti a

decontaminare chimicamente i canali radicolari invasi dalle colonie batteriche.

A riguardo non pochi studi sono stati sostenuti a supporto di questa teoria e non

sempre questi hanno sortito il risultato previsto. A tutt’oggi, però, la scelta di

effettuare una o più sedute in queste circostanze cliniche è appannaggio

dell’operatore che, secondo coscienza, deciderà autonomamente di accelerare o

dilazionare la terapia.

5.3) L’ Endodonzia Chirurgica

Considerata una scelta di secondo livello da posporre ad un trattamento

ortogrado, la terapia chirurgica “primaria”, in questi ultimi tempi, è stata oggetto

di particolari attenzioni in virtù delle favorevoli casistiche cliniche presenti in

letteratura.

Predisporre un piano di trattamento che contempli la scelta chirurgica come

primaria sembra oggi essere sembra essere la prassi più corretta in tutti i casi in

cui, per necessità legate alla situazione ricostruttiva precedente o alla patologia

in atto, essa rappresenti il metodo più diretto per debellare la causa settica

all’origine delle sofferenze periradicolari.

6. Conclusioni

La scelta del piano di trattamento per il recupero di un elemento dentale

compromesso da un punto di vista endodontico, non può e non deve essere

guidata da criteri basati sulla recuperabilità del dente singolo ma deve essere

pensata mettendo in relazione la condizione del paziente, il contesto intraorale in

cui l’elemento dentale è inserito, la possibile prognosi che la patologia può avere

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e, ultimo, ma non meno importante, il rapporto costo/beneficio condiviso con il

paziente riguardante le procedure, talvolta complicate, che si dovranno mettere

in atto per garantire il successo finale.

7. Ringraziamenti

Tutte le immagini sono state gentilmente fornite dal Dott. Roberto Fornara.

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