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Sanitanova Srl – Il rischio clinico: l’audit come strumento di valutazione 1 Il rischio clinico: l’audit come strumento di valutazione Autore e responsabile scientifico: Dr Domenico Antonelli, Dirigente Asl BT, Docente Universitario Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento n. 12 del 7/2/2013) a fornire programmi di formazione continua per tutte le professioni. Sanitanova si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di questa attività ECM. Inizio evento: 01/03/2015; ID evento: 12-118524 Riassunto Il Rischio Clinico è la probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, cioè subisca un qualsiasi danno o disagio imputabile alle cure mediche prestate durante un periodo di degenza, danno che causa un prolungamento del periodo di ricovero, un peggioramento delle condizioni di salute o di morte. Per diminuire il più possibile il rischio clinico e assicurare i migliori risultati possibili in salute, vengano impiegati strumenti e metodologie quali le linee guida e i piani di assistenza basati su prove di efficacia, supportati da sistemi informativi e organizzativi in grado di diminuire la possibilità di errore. L’audit è uno degli strumenti del Governo Clinico e si pone l’obiettivo di effettuare una verifica di adeguatezza ed efficacia verso obiettivi o di conformità verso regole, linee guida, norme, comportamenti su cui si realizza il consenso. Keywords Rischio clinico, Governo clinico, risk managment, sistemi di segnalazione, briefing sulla sicurezza, safety walkaround, focus group, revisione delle cartelle cliniche, screening, osservazione, Root Cause Analysis, RCA, Failure Mode and Effect Analysis, FMEA, Failure Mode and Effect Criticality Analysis, FMECA, audit clinico Obiettivi Al termine del modulo didattico, il lettore dovrebbe essere in grado di: conoscere i principali strumenti di identificazione del rischio; comprendere gli strumenti di analisi del rischio; definire il concetto di audit clinico. Introduzione Per discutere di rischio clinico e degli strumenti per la valutazione dello stesso, necessaria premessa è introdurre il concetto di governo clinico, in quanto esiste un profondo legame tra il governo clinico stesso, la sicurezza del paziente e il rischio clinico.

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Sanitanova Srl – Il rischio clinico: l’audit come strumento di valutazione 1

Il rischio clinico: l’audit come strumento di valutazione

Autore e responsabile scientifico: Dr Domenico Antonelli, Dirigente Asl BT, Docente Universitario

Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento n. 12 del 7/2/2013) a fornire programmi di formazione continua per tutte le professioni.

Sanitanova si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di questa attività ECM.

Inizio evento: 01/03/2015; ID evento: 12-118524

Riassunto

Il Rischio Clinico è la probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, cioè subisca un qualsiasi danno o disagio imputabile alle cure mediche prestate durante un periodo di degenza, danno che causa un prolungamento del periodo di ricovero, un peggioramento delle condizioni di salute o di morte. Per diminuire il più possibile il rischio clinico e assicurare i migliori risultati possibili in salute, vengano impiegati strumenti e metodologie quali le linee guida e i piani di assistenza basati su prove di efficacia, supportati da sistemi informativi e organizzativi in grado di diminuire la possibilità di errore. L’audit è uno degli strumenti del Governo Clinico e si pone l’obiettivo di effettuare una verifica di adeguatezza ed efficacia verso obiettivi o di conformità verso regole, linee guida, norme, comportamenti su cui si realizza il consenso.

Keywords

Rischio clinico, Governo clinico, risk managment, sistemi di segnalazione, briefing sulla sicurezza, safety walkaround, focus group, revisione delle cartelle cliniche, screening, osservazione, Root Cause Analysis, RCA, Failure Mode and Effect Analysis, FMEA, Failure Mode and Effect Criticality Analysis, FMECA, audit clinico

Obiettivi

Al termine del modulo didattico, il lettore dovrebbe essere in grado di:

conoscere i principali strumenti di identificazione del rischio;

comprendere gli strumenti di analisi del rischio;

definire il concetto di audit clinico.

Introduzione

Per discutere di rischio clinico e degli strumenti per la valutazione dello stesso, necessaria premessa è introdurre il concetto di governo clinico, in quanto esiste un profondo legame tra il governo clinico stesso, la sicurezza del paziente e il rischio clinico.

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Con Governo Clinico si fa riferimento a un approccio integrato per il miglioramento dei servizi sanitari, il quale focalizzi la programmazione e la gestione dei servizi sanitari stessi sui bisogni dei cittadini e consideri centrale il ruolo e la responsabilità dei medici e degli altri operatori sanitari per la promozione della qualità.

Assicurare i migliori risultati possibili in salute, la qualità e la sicurezza delle prestazioni e l’uso efficiente delle risorse richiede che vengano impiegate strumenti e metodologie quali le linee guida e i piani di assistenza basati su prove di efficacia, supportati da sistemi informativi costruiti a partire dalla cartella clinica integrata informatizzata, che si valorizzi il personale e la relativa formazione, si promuova l’integrazione disciplinare e multiprofessionale e la valutazione sistematica delle performance.

Il Governo clinico deve rappresentare un importante elemento che contribuisca all’integrazione di diverse esigenze, quali:

l’esigenza di assicurare omogeneità alle prestazioni erogate su tutto il territorio nazionale, per qualità, quantità, requisiti minimi di sicurezza e garanzie di efficacia;

la necessità di rendere operativi in tempi brevi percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali costruiti sulla appropriatezza e sulla centralità del paziente;

il dovere di innalzare i livelli di sicurezza delle prestazioni, ottenibile con l’introduzione di tecnologie di prevenzione del rischio di malpractice;

l’importanza di strutturare la medicina del territorio, a partire dalla riorganizzazione e promozione delle cure primarie e della integrazione socio-sanitaria, con particolare riferimento alla presa in carico dell’assistito e alla continuità assistenziale nell’arco delle 24 ore e sette giorni su sette;

l’apertura del sistema alla cultura della valutazione, focalizzando l’attenzione sull’utilizzo di indicatori di esito e valutazione in termini di obiettivi di salute conseguiti, più che di mera sommatoria di prestazioni erogate;

l’aumento della trasparenza del sistema, a partire dalla rivalutazione del merito professionale e dalla ridefinizione delle norme sul reclutamento della dirigenza e sulla progressione delle carriere; è questa una condizione imprescindibile per assicurare alla sanità pubblica le migliori competenze, rilanciare le politiche del personale e ridare fiducia ai cittadini;

l’importanza di rendere effettiva la centralità del paziente, che non si riduce solo alla corretta informazione nei suoi confronti.

Da quanto detto è facile comprendere come il governo clinico rappresenti un sistema di gestione dell’organizzazione; le sue principali componenti possono essere riassunte in:

definizione precisa di responsabilità individuali e collettive: le aziende sanitarie devono promuovere forme di responsabilità specifica rispetto alle strutture organizzative nelle quali si articolano e, all’interno delle stesse, rispetto ai processi assistenziali; le Aziende devono inoltre promuovere, allo scopo di assicurare l’efficace ed efficiente gestione dei processi più rilevanti, soluzioni organizzative orientate a responsabilizzare i professionisti coinvolti in una logica multidisciplinare e interprofessionale;

trasparenza dei risultati clinici ottenuti: le Aziende devono promuovere la gestione per processi quale strumento fondamentale di programmazione-controllo e valutazione dell’operato dei soggetti organizzativi titolari di responsabilità di struttura o di processo; la comparazione dei risultati (benchmarking) conseguiti è effettuata secondo criteri temporali, in una logica di trend, e rispetto sia a standard predefiniti, sia con i risultati conseguiti presso altre organizzazioni sanitarie sia regionali sia extra regionali;

programmi di miglioramento della qualità: le Aziende si devono impegnare in programmi orientati al miglioramento continuo della qualità delle prestazioni sulla base di principi, criteri e piani riconosciuti a livello internazionale;

audit e medicina basata sulle prove dell’efficacia: le Aziende dovrebbero promuovere gli audit, intesi come momenti di revisione e di verifica tra parti dei processi clinico assistenziali, e la medicina basata sulle prove d’efficacia, attraverso il sistemico monitoraggio dei percorsi diagnostico terapeutici, la comparazione degli standard clinico assistenziali con quelli definiti in altre aziende sanitarie sia a livello regionale che nazionale.

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Il quadro socio-giuridico-normativo

La pratica della gestione e della comunicazione del rischio comporta che l’Azienda sanitaria attui e coordini tutte le azione necessarie e possibili per la gestione del rischio, compresa la valutazione, il trattamento, l’accettazione e la comunicazione del rischio.

L’evoluzione scientifica e tecnologica nella cura delle malattie e nella tutela del Diritto alla Salute hanno infatti prodotto nell’assistito una posizione quasi “fideistica” sulle possibilità che la scienza medica offra nella guarigione di tutte le problematiche attinenti la propria Salute.

Questa convinzione ha certamente contribuito, negli ultimi decenni, alla crescita esponenziale del contenzioso giuridico per responsabilità degli operatori sanitari e delle Strutture del Servizio Sanitario Nazionale, determinando in alcuni casi una vera e propria crisi di assicurabilità, con Aziende Sanitarie ed Ospedaliere prive di contratti di assicurazione. A questo ha certamente contribuito anche il forte impulso legislativo degli ultimi quindici anni (D. Lgs 229/99 “Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale”, la cosiddetta riforma Bindi; L. 241/90 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”; legge 502/99 “Riordino della disciplina in materia sanitaria” art.14 “Diritti dei cittadini”) e soprattutto l’evoluzione giurisprudenziale italiana in materia di responsabilità professionale medica. Di particolare rilievo non possiamo non rammentare le numerose sentenze della Corte di Cassazione, anche a Sezione Riunite, in cui si è più volte ribadito il profondo mutamento giuridico del rapporto tra medico-dipendente del Servizio Sanitario e paziente, oramai interpretato in sede civilistica i termini di responsabilità contrattuale; da questa responsabilità deriva che l’assistito che si senta danneggiato debba limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e allegare l’inadempimento della struttura sanitaria o del singolo medico, rimanendo a carico di quest’ultima l’onere di dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato o che, pur sussistendo, non è stato rilevante sotto il profilo causale (ex art.1218 CC Sent.589 del 22.1.99 “Contratto Sociale”; Sent.9188 del 1.9.99; Sent.S.U.13533 del 30.10.01).

Ultimo aspetto da menzionare, per fortuna in controtendenza con quanto prima esplicitato, è l’evoluzione giurisprudenziale sulla causalità materiale in ambito di colpa omissiva, che ha visto negli ultimi venticinque anni il passaggio da una interpretazione “probabilistica” della colpa medica (come da Sentenza della Cassazione 4320/83), a una “ragionevolistica” (Sentenza della Cassazione a Sezioni Riunite n.27 del 12.7.02), in quanto la condotta omissiva del sanitario deve essere una condizione "necessaria" all’evento stesso.

All’interno di questo quadro socio-giuridico-normativo si posiziona il concetto di clinical risk management, inteso inizialmente come espressione concreta della cosiddetta Medicina Difensiva e successivamente come uno strumento sotteso al miglioramento della qualità delle cure e finalizzato alla gestione del contenzioso da eventi avversi.

In altri termini, la realizzazione del Governo Clinico (“Gestione sanitaria con la quale le strutture del SSN si rendono responsabili del miglioramento continuo della qualità del loro servizio, salvaguardando alti standard di cura, mediante la creazione di un contesto ambientale nel quale le cure mediche possano progredire”) fonda le proprie radici in ambiti e strumenti differenti quali:

la gestione e la verifica della qualità delle attività cliniche,

l’Evidence Based Medicine,

le Linea Guida e i Protocolli,

l’aggiornamento permanente e l’accreditamento.

Il rischio clinico

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“Il Rischio Clinico è la probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, cioè subisca un qualsiasi danno o disagio imputabile alle cure mediche prestate durante un periodo di degenza, danno che causa un

prolungamento del periodo di ricovero, un peggioramento delle condizioni di salute o di morte” (Kohn, 1999)

La gestione del rischio clinico è un argomento di discussione recente in ambito italiano e che riconosce diversi fattori causali. Il progresso scientifico-tecnologico e i cambiamenti socio-demografici ed economici hanno trasformato la società e il Sistema Sanitario; a ciò si aggiungono sia la crescita culturale della popolazione sia l’aumentata disponibilità informativa; come conseguenza si verifica sia la richiesta di prestazioni assistenziali sempre più qualificate, efficienti ed efficaci sia un’aumentata insofferenza all’errore “sanitario”.

Si stima infatti che nel nostro paese attualmente il contenzioso riguardi circa 10.000-12.000 casi all’anno e che, a fronte di 8 milioni di ricoveri annui, 320.000 pazienti riporterebbero danni conseguenti a errori o difetti organizzativi delle strutture ospedaliere. I numeri dell’ANIA, Associazione Nazionale Imprese Assicuratrici, registrano un totale di 34.035 denunce di casi di errore sanitario nel 2009 (+ 15% rispetto all’anno precedente), di cui 21.476 denunce per responsabilità civile degli ospedali (+ 21% rispetto al 2008) e 12.559 denunce per responsabilità civile professionale dei medici (+ 6% rispetto all’anno precedente). A sua volta la Banca d’Italia indica che nel 2010 il 5,5% delle famiglie italiane – cioè 1.3 milioni di nuclei familiari – hanno sottoscritto polizze contro malattie e infortuni, mentre nel 2008 erano il 5%.

Questi numeri non vanno ascritti a “colpa personale” del singolo professionista, ma confermano la necessità dell’intera équipe di lavorare per la sicurezza del paziente e degli operatori stessi. Quando si verifica un evento avverso, infatti, la modalità più comune di affrontare il problema è quella che fa

riferimento alla ricerca del colpevole ma questo approccio “persecutorio” può nascondere la causa profonda dell’errore e di conseguenza rendere più fragili le organizzazioni; si crea di conseguenza una situazione contradittoria per cui l’organizzazione non dovrebbe consentire l’errore ma perpetua la possibilità di farlo. La presa di consapevolezza che “errare è umano” (nel senso che il singolo professionista è fallibile), dovrebbe aiutare a costruire sistemi organizzativi più solidi, dove il possibile errore di un singolo viene intercettato in modo tale che non si verifichino incidenti. L’incidente, infatti, non è quasi mai dovuto a una singola causa, ma dipende da fattori organizzativi, culturali, tecnologici e umani.

In estrema sintesi, è possibile studiare gli incidenti secondo due approcci opposti:

1) approccio alla persona: si focalizza su errori, mancanze e negligenze delle persone; l’approccio alla persona presenta numerosi punti di forza, l’individuare l’errore umano soddisfa da un punto di vista legale o assicurativo ma questo non elimina le condizioni di rischio; rimosse le persone responsabili, quei fattori di rischio continueranno a esistere in quanto devono cambiare le condizioni all’interno delle quali le persone lavorano.

2) approccio organizzativo o di sistema: si focalizza sui sistemi sottostanti e non si pone tanto un problema di responsabilità individuale, in quanto l’obiettivo è trovare i fattori che hanno favorito l’errore; la domanda non è tanto da chi ha causato l’errore, ma quali sono stati quei fattori organizzativi che hanno favorito l’accadere dell’evento.

Per evento avverso si intende quell’evento inatteso, correlato al processo assistenziale e che comporta un danno al paziente fino anche alla morte. Gli eventi avversi sono pertanto caratterizzanti dall’esistenza intrinseca di un errore, ma la maggior parte di questi eventi è prevenibile in quanto associata a due fattori principali:

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l’errore attivo (azioni o decisioni pericolose, commesse da coloro che sono in contatto diretto con il paziente; sono più facilmente individuabili, hanno conseguenze immediate), imputabile al singolo operatore per dimenticanza, distrazione, routinarietà, stanchezza;

l’errore latente (condizioni presenti nel sistema, determinate da azioni o decisioni manageriali, da norme e modalità organizzative e quindi correlate ad attività compiute in tempi e spazi lontani rispetto al momento e al luogo reale dell’incidente; un errore può restare latente nel sistema anche per lungo tempo e diventare evidente solo quando si combina con altri fattori in grado di rompere le difese del sistema stesso), dovuto alle insufficienze dell’organizzazione che crea le condizioni per sviluppare un errore attivo.

Bisogna approfittare degli errori eventualmente commessi per riflettere sulle modalità dell’operato e imparare a ridurre i rischi. Gestire il rischio significa infatti conoscere e utilizzare i metodi e gli strumenti che consentono di identificarli, valutarli e, alla fine, ridurli.

Con questo approccio metodologico la responsabilità dell’errore si sposta dal singolo all’organizzazione nel suo complesso, che ha così a disposizione elementi per evitare il ripetersi dello stesso errore in futuro. In parallelo occorre imparare a gestire il rischio come metodologia operativa, per la quale si dà la dovuta importanza a consapevolizzare gesti, procedure e modi di lavorare, in quanto una possibile fonte di errore risiede proprio nell’eccessiva confidenza con le procedure, spesso eseguite in modo automatico. Potrebbe rilevarsi utile iniziare a fermarsi ad analizzare i processi di lavoro più delicati e individuare i punti critici, sui quali agire prioritariamente. Si può scoprire che i punti critici risiedono ancor prima che nelle tecnologie utilizzate, nelle abitudini, nella cultura professionale, nella sequenza di attività, nell’organizzazione degli spazi e dei tempi. Non si tratta quindi di “fare” attività ulteriori, ma il ripensamento critico è la base per lavorare in sicurezza e per garantire ai cittadini interventi appropriati, curativi, frutto di una riflessione che è il elemento di ogni sistema di qualità.

Il clinical risk management

I rischi materia di competenza del Clinical Risk Management sono principalmente correlati:

all’utente (attività finalizzate alla cura del paziente, alla gestione dei dati sensibili, del consenso, della documentazione sanitaria);

ai dipendenti (sicurezza degli ambienti di lavoro, violazione dei diritti civili, mobbing e molestie);

all’azienda (livelli e modalità di assistenza, miglioramento della qualità ed accreditamento istituzionale).

Gli ambiti di intervento del rischio clinico possono essere elencati:

Rischio clinico: rischi per i ricoverati collegati più o meno direttamente con l’attività fruita di assistenza e/o clinica svolta all’interno della struttura.

Rischio ambientale: connesso con lo stato fisico della struttura e degli impianti.

Tutela del lavoratore: sicurezza del personale

L’azione quindi di risposta dei vari Nuclei Operativi Aziendali per il Clinical Risk Managment deve svilupparsi in step successivi e concatenati, rappresentati da una prima fase di Mappatura del Rischio, seguita da una seconda di Analisi dello stesso e successiva Implementazione di Piani di Mitigazione del Rischio, quindi con ulteriori fasi di Monitoraggio e Verifica.

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Figura 1. Il modello dello swiss cheese di Reason

Il modello del “Formaggio Svizzero” (vedi Figura 1) dello psicologo James Reason (1990) illustra l’intero processo che porta all’errore, identificando come errori latenti quei fallimenti riscontrati nelle barriere strutturali, organizzative e gestionali delle aziende sanitarie, create appositamente per impedire la propagazione dell’errore.

Dal 2000 Reason si occupa di studiare soprattutto gli errori latenti e introduce un il concetto di quasi errore (near-miss), ovvero di un errore che stava per verificarsi ma non si è verificato per una serie di motivi. L’analisi dei quasi errori consente, come quella degli errori, di valutare le falle latenti del sistema e migliorare la sicurezza dello stesso.

Il risk management

Una possibile definizione di risk managment è: “Insieme di attività coordinate per gestire un’organizzazione con riferimento ai rischi. Include la valutazione, il trattamento, l’accettazione e la comunicazione del rischio”. Può essere definito anche come l’insieme dei presidi organizzativi, metodologie e processi, di misurazione e di controllo dei rischi che consente di allineare la propensione al rischio degli operatori a quella del management.

La funzione del Risk Management deve assicurare che:

le esposizioni ai singoli fattori di rischio siano coerenti con gli obiettivi;

le posizioni di tischio in eccesso ai limiti prefissati siano eliminate;

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venga riportato all’Alta Direzione dell’azienda l’insorgere di nuovi rischi non considerati nel sistema del limite esistente.

Il Risk Management assume un ruolo ben preciso nell’identificazione e valutazione dei rischi, nell’elaborazione di un modello di misurazione del rischio che si adatti all’operatività dell’azienda, nell’elaborazione dei limiti di rischio, nel monitoraggio del rispetto dei limiti, nella valutazione dell’applicabilità e implementazione dei nuovi metodi di misurazione dei rischi e di valutazione dei prodotti/servizi esistenti.

Il primo passo fondamentale per il Risk Management è conoscere in modo preventivo i Rischi (quali sono gli eventi potenzialmente dannosi, con quale frequenza si possono manifestare e quale impatto possono avere).

Questa fase di valutazione del Rischio deve essere necessariamente un processo continuo, finalizzato al miglioramento, dato che, nel tempo, i fattori esterni o interni di Rischio possono cambiare e deve comprendere una previsione dei costi di gestione del Rischio, in termini di risorse economiche, di capacità e mezzi.

Strumenti per l'identificazione del rischio

Diversi sono i metodi e gli strumenti per l'analisi dell'errore e la gestione del rischio che sono stati sviluppati nel corso degli ultimi decenni a livello internazionale, soprattutto nei paesi anglosassoni, e introdotti anche in molte realtà sanitarie italiane. La finalità dei metodi di analisi è di individuare le insufficienze nel sistema che possono contribuire allo scatenarsi di un evento avverso e di individuare e progettare le idonee barriere protettive. Nonostante l'obiettivo finale sia comune, essi possono seguire fondamentalmente due diverse modalità che non si escludono a vicenda (vedi Figura 2):

Modalità proattiva: l'analisi parte dalla revisione dei processi e delle procedure esistenti, identificando, nelle diverse fasi, i punti di criticità. Questo approccio può essere utilizzato anche nella ideazione e progettazione di nuove procedure, di processi e di tecnologie per realizzare barriere protettive che impediscano l'errore umano/attivo.

Modalità reattiva: l'analisi parte da un evento avverso e ricostruisce a ritroso la sequenza di avvenimenti con lo scopo di identificare i fattori che hanno causato o che hanno contribuito al verificarsi dell'evento.

In una organizzazione sanitaria dove si introducono processi per la gestione del rischio, entrambi gli approcci possono essere utilizzati. Vengono proposti nel seguito metodi e strumenti per implementare un sistema di promozione della sicurezza del paziente.

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Figura 2. Modalità proattiva e reattiva

La modalità reattiva è attuata dopo un incidente o un evento avverso; la modalità proattiva si attua per prevenire eventi avversi, soprattutto in aree a rischio.

Entrambe le modalità sono utili e concorrono alla gestione del rischio clinico, ma se il sistema e’ maturo è opportuno privilegiare la modalità proattiva (risk management).

Strumenti per l'identificazione del rischio

Sistemi di segnalazione (reporting)

Un sistema di reporting efficace costituisce una componente essenziale di un programma per la sicurezza del paziente. È una modalità strutturata per la raccolta di informazioni relative al verificarsi di eventi avversi e/o di quasi eventi. Lo scopo è di disporre di informazioni sulla natura degli eventi e sulle relative cause per poter apprendere e intervenire con le appropriate misure preventive e, più in generale, per diffondere le conoscenze e favorire la ricerca specifica nelle aree a maggior criticità.

Per quanto riguarda i contenuti, il sistema può essere:

aperto, ovvero raccogliere qualunque tipo di dato relativo ad eventi avversi o quasi eventi, riferiti a tutte la gamma delle prestazioni;

predefinito, ovvero raccogliere dati relativi a una lista definita di eventi (ad esempio, eventi sentinella) o a una area specifica (ad esempio, farmaci). Per quanto riguarda la modalità di segnalazione, essa può avvenire tramite formato prefissato o testo libero, inviato con mail, telefono, invio elettronico o su un web, mettendo in atto le opportune forme di tutela della riservatezza della segnalazione.

Nei sistemi di segnalazione deve essere specificato la figura che segnala; in alcuni sistemi il reporting è fatto dalla direzione aziendale, in altri invece viene effettuato dagli operatori. Alcuni sistemi permettono anche ai familiari, pazienti e cittadini di riportare gli eventi.

Un sistema di reporting deve permettere l'identificazione di nuovi e non sospettati rischi, ad esempio complicazioni mai riconosciute associate all'uso di farmaci o di nuovi presidi e pertanto alla raccolta deve sempre seguire l'analisi dei dati.

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La difficoltà ad aderire al reporting da parte delle organizzazioni sanitarie può avere diverse ragioni: la convinzione della scarsa efficacia del sistema e sfiducia nei cambiamenti, l'atteggiamento difensivo, l'investimento di risorse.

Il sistema di segnalazione degli eventi avversi e dei quasi eventi consente di acquisire le informazioni relative a casi simili già occorsi ad altre organizzazioni, offrendo l'opportunità di generalizzare il problema e sviluppare soluzioni più efficaci che quindi possono essere rese disponibili.

I sistemi di segnalazione si dividono in due categorie:

- sistemi "learning" di apprendimento - sistemi "accountability" di responsabilizzazione

La maggior parte dei sistemi di segnalazione sviluppati si collocano in una delle due categorie, ma gli obiettivi dei due sistemi non sono fra loro incompatibili; tuttavia da questa scelta deriva l'obbligatorietà o la volontarietà del sistema.

I sistemi "learning" sono di solito volontari, disegnati per garantire un continuo miglioramento della qualità delle cure; le raccomandazioni elaborate, dopo accurate analisi, sono utili per ridisegnare e migliorare i processi sanitari.

I sistemi "accountability" si basano sul principio della responsabilità, sono obbligatori e spesso si limitano a una lista di eventi predefinita, ad esempio gli eventi sentinella.

La maggioranza dei sistemi "accountability" utilizzano meccanismi disincentivanti quali citazioni, multe, sanzioni. L'efficacia di questi sistemi dipende dalla capacità di indurre le organizzazioni a segnalare ed intervenire con le misure conseguenti.

Questi sistemi possono anche essere considerati come sistemi "learning" se le informazioni ricevute vengono analizzate con trasparenza e le azioni intraprese diffuse a tutti gli operatori. Nel nostro paese sono stati implementati sistemi di segnalazione cosiddetti di "incident reporting" a livello di Regioni e Aziende sanitarie che raccolgono eventi avversi e quasi eventi per favorire l'analisi e la predisposizione delle azioni preventive. Il Ministero della salute ha attivato un sistema di monitoraggio degli eventi sentinella disponibile sul sito internet del Ministero .

Briefing sulla sicurezza (Riunione per la sicurezza)

II briefing sulla sicurezza è uno strumento semplice e facile da usare per assicurare una cultura e un approccio condiviso alla sicurezza del paziente. È un metodo che consente di creare un ambiente in cui la sicurezza del paziente viene vista come una priorità, in un clima che stimoli la condivisione di informazioni circa le situazioni, effettive o potenziali, di rischio. Consiste in un breve confronto, una discussione colloquiale, ma strutturata, riguardante i potenziali rischi per il paziente presenti nella unità operativa. In termini quantitativi permette una facile misurazione del raggiungimento di obiettivi di sicurezza. Il briefing sulla sicurezza non deve essere punitivo, può fare riferimento a una lista di problemi di sicurezza, deve essere di facile uso, di facile applicabilità e utilizzabile per tutti i problemi riguardanti la sicurezza del paziente. La conduzione della riunione richiede la scelta di un moderatore capace di spiegare le motivazioni e gli obiettivi. Il briefing può essere effettuato all'inizio del turno, raccogliendo, per un massimo di 5 minuti, tutti gli operatori che si occupano della cura del paziente.

Si parte con la rilevazione di problemi, dati, osservazioni (in caso di assenza di situazioni specifiche si può fare riferimento a problemi potenziali). Alla fine del turno va effettuato un debriefìng (altra brevissima riunione), con lo scopo di indagare se si sono verificate delle situazioni potenzialmente rischiose nel corso delle attività o se vi sono domande da parte dei pazienti o dei familiari.

L'introduzione del metodo va adattata alle esigenze dell'unità operativa, garantendo comunque regolarità, continuità e risposta ai problemi che emergono. La ricaduta immediata è la maggior responsabilizzazione

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nei comportamenti individuali, la maggior attenzione verso la sicurezza dei pazienti, il miglioramento del clima lavorativo, il potenziamento del "lavoro di gruppo .

Safety walkaround (giri per la sicurezza)

Questo metodo consiste in "visite" che i referenti della sicurezza, con mandato della direzione, effettuano nelle unità operative per identificare con il personale i problemi legati alla sicurezza. Il personale viene invitato a raccontare eventi, fattori causali o concomitanti, quasi eventi, problemi potenziali e possibili soluzioni. Un valore aggiunto importante deriva dal fatto che le informazioni raccolte in questo processo spesso hanno già la soluzione nella descrizione dell'evento e quindi possono portare talvolta alla introduzione di una immediata modifica che migliora da subito il processo assistenziale e la sicurezza. I referenti identificano delle priorità fra gli eventi e l'equipe clinico-assistenziale sviluppa soluzioni condivise con tutto lo staff. La raccolta deve essere anonima e i problemi che emergono vengono inseriti in un database che registra le segnalazioni e le conseguenti azioni correttive.

Le modalità organizzative prevedono degli incontri, all'interno delle unità operative, fra gli esperti e un piccolo gruppo o singoli operatori, della durata di pochi minuti, in cui si cerca di raccogliere e di stimolare le segnalazioni del personale per quanto riguarda situazioni di danno o di rischio. Fra le barriere più frequenti da superare vi è la paura da parte degli operatori di essere puniti o colpevolizzati per avere effettuato la segnalazione e la diffidenza e mancanza di fiducia nelle conseguenti azioni correttive. È quindi molto importante fornire un feedback alle unità operative, in modo da far capire l'importanza e la seria considerazione con cui vengono trattate le segnalazioni.

La cultura della sicurezza del paziente rientra in un più ampio cambio culturale che prevede un rapporto aperto e diretto tra i vari operatori e un clima di integrazione e collaborazione. Deve essere chiaro a chi effettua la visita, ma soprattutto allo staff in prima linea che oggetto dell'indagine non sono i comportamenti individuali, ma i sistemi in atto per la sicurezza del paziente. Il sistema proposto stimola il personale a osservare comportamenti e pratiche con un occhio critico, riconoscere i rischi da un nuovo punto di vista. Estremamente utile è il fatto che il sistema divenga ufficiale e riconosciuto. Questa modalità ha il vantaggio di essere a basso costo, consente di identificare i rischi e i cambi necessari nel contesto specifico, non richiede personale, strutture o infrastrutture.

Focus group

II focus group è una metodologia tipica della ricerca sociale, da anni introdotta anche in sanità, che serve per identificare tutti gli aspetti di un problema partendo dalle esperienze e dalle percezioni delle persone che sono entrate in contatto con il problema stesso. Possono quindi essere effettuati sia con singole figure professionali sia con l'equipe, con i pazienti, i familiari e con altri stakeholder. La discussione, della durata di circa un'ora e mezza, deve essere condotta da un moderatore preparato. Il gruppo deve essere composto da un numero di persone che varia da 8 a 12. L'efficacia del focus group dipende dalle domande formulate che devono essere aperte e consentire il confronto e la massima interazione. Durante la discussione è possibile far emergere eventi avversi o quasi eventi, insufficienze latenti, nonché gli elementi essenziali che concorrono a determinare la cultura locale della sicurezza, utili per individuare le strategie più efficaci da introdurre nello specifico contesto.

Revisione di cartelle cliniche

La revisione delle cartelle cliniche ha rappresentato la pietra miliare negli studi sugli errori in sanità. Rappresenta il metodo impiegato da più tempo per la valutazione di qualità, permette indagini sui processi decisionali e/o osservazioni di esito, analizzando l'aderenza a linee guida e protocolli. Le revisioni delle cartelle cliniche possono avvenire in modo esplicito quando il revisore cerca specifici tipi di dati o eventi oppure in modo implicito, laddove un clinico esperto emette un giudizio relativo a un evento avverso e/o errore, ad esempio le conseguenze legate alla mancata visione di un esame di laboratorio o la mancata modifica di una terapia dopo la segnalazione di reazioni avverse. Il processo di revisione delle cartelle può

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essere anche usato per monitorare i progressi nella prevenzione degli eventi avversi quando, ad esempio, si introducono pratiche più sicure e, attraverso la revisione, si valuta il livello di adozione delle stesse. Il grado di rilevazione degli eventi attraverso questo processo è molto discusso e si basa sostanzialmente sulla qualità e quantità delle informazioni. Alcune informazioni, ad esempio gli esami di laboratorio, le prescrizioni, i referti, sono oggettivamente rilevabili, mentre non tutte le fasi del processo decisionale sono tracciate nella documentazione clinica e rimangono quindi implicite.

Il rilevatore inoltre emette un giudizio soggettivo che risente, oltre ad altre variabili, anche della propria specifica competenza. Mentre gli eventi avversi gravi sono quasi sempre riportati, gli errori e le condizioni sottostanti non lo sono mai ed i quasi eventi vengono raramente annotati.

Ne consegue che le cartelle sono utili per indagini preliminari, ma danno informazioni contestuali molto limitate. Altre limitazioni all'utilizzo di questa tecnica, oltre ai bias informativi citati, sono il costo elevato, la necessità di una preparazione omogenea dei rilevatori, la preparazione di griglie di lettura. La selezione delle cartelle cliniche da sottoporre a revisione può essere focalizzata su un tipo specifico di evento relativo ai punti critici del processo assistenziale.

Screening

Questo metodo ha lo scopo di identificare possibili eventi avversi utilizzando i dati disponibili nei sistemi sanitari. Le banche dati possono essere interrogate in modo retroattivo o in tempo reale, oppure si possono consultare gli archivi cartacei tradizionali. In questo modo si identifica la presenza di determinati eventi, precedentemente identificati come "segnalatori",ad esempio un rientro in camera operatoria o un ricovero ripetuto per lo stesso problema o la prescrizione di un antidoto nel caso di eventi avversi da farmaci.

Osservazione

L'osservazione per scoprire errori è una metodologia che va utilizzata in modo mirato e limitato nel tempo. Si avvale di un osservatore esterno ed esperto, chiamato a rilevare, anche con l'ausilio di griglie, la discordanza tra il processo assistenziale messo in atto e gli standard attesi. Il metodo viene usato prevalentemente per rilevare errori in terapia. L'osservazione richiede molto lavoro e quindi ha costi elevati, tuttavia essa offre informazioni molto ricche che facilitano la comprensione non solamente rispetto all'accaduto, ma anche sul processo e sulle dinamiche che portano all'evento. È un metodo che può essere usato in modo intermittente, compatibilmente con le risorse, sia per identificare sia per capire le insufficienze nei sistemi e monitorare le azioni di miglioramento.

Strumenti di Analisi proattiva

Un programma di gestione, del rischio clinico utilizza diverse tipologie di strumenti per l'analisi del rischio, analizzando gli eventi, quando occorsi, con metodi di tipo reattivo o analizzando i processi per prevenire gli eventi con modalità di tipo proattivo. Molti sono gli approcci possibili per la valutazione della qualità e sicurezza delle cure, ma se l'obiettivo è realizzare un processo sanitario sicuro, l'approccio proattivo è da preferire a quello reattivo. Alla prima categoria di strumenti appartengono la Root Cause Analysis, alla seconda la FMECA. Un programma di gestione del rischio clinico utilizza diverse tipologie di strumenti per l'analisi del rischio, analizzando gli eventi, quando occorsi, con metodi di tipo reattivo o analizzando i processi per prevenire gli eventi con modalità di tipo proattivo. Molti sono gli approcci possibili per la valutazione della qualità e sicurezza delle cure, ma se l'obiettivo è realizzare un processo sanitario sicuro, l'approccio proattivo è da preferire a quello reattivo. Alla categoria di strumenti dell’analisi reattiva appartengono l’Incident Reporting, i Data Base Amministrativi, gli Indizi, le Rewiew e la Root Cause Analysis, all’analisi proattiva la FMEA (Failure Mode and Effect Analysis) e la FMECA (Failure Mode and Effect Criticality Analysis).

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La Root Cause Analysis (RCA)

La Root Cause Analysis (analisi delle cause radice) è uno strumento per il miglioramento della qualità, che aiuta gli individui e le organizzazione ad identificare le cause e i fattori contribuenti correlati a un evento avverso e sulla base dei risultati possono essere sviluppati progetti di miglioramento. Come tecnica di analisi di eventi, la RCA fu dapprima usata in ambito ingegneristico e in altri sistemi, inclusi l'aviazione e l'industria aerospaziale, in quanto in questi sistemi vi era la necessità di sviluppare strategie per la conoscenza dei fattori di alto rischio. Nel settore ingegneristico sono stati alimentati database in grado di raccogliere una quantità enorme di informazioni derivanti dalla applicazione di questa tecnica di analisi e i dati raccolti hanno aiutato ad approfondire le cause e i fattori contribuenti all'insorgenza di eventi avversi. Pertanto disporre di un analogo sistema è utile anche in sanità. La RCA è un'analisi retrospettiva che consente di comprendere cosa, come e perché è accaduto un evento. Essa può essere applicata in tutti gli ambiti sanitari: ospedali per acuti, area della emergenza, riabilitazione, malattie mentali, ospedalizzazione a domicilio e nelle varie articolazioni delle cure extraospedaliere.

Requisiti della RCA sono:

• la costituzione di un gruppo interdisciplinare in cui devono essere inseriti esperti della materia; • la partecipazione di coloro che sono stati coinvolti nell'evento; • l'imparzialità nell'evidenziare potenziali conflitti di interesse.

Ulteriori requisiti che garantiscono accuratezza e credibilità della RCA sono

• la partecipazione della direzione e di tutti coloro che sono maggiormente interessati nel processo e nel sistema;

• la riservatezza, ovvero le informazioni di cui si viene a conoscenza devono essere " protette", non divulgate, con livelli di protezione dei dati stabiliti a priori.

Metodologia

La modalità con cui si svolge una RCA presuppone di indagare aree quali la comunicazione, la formazione ed esperienza del personale, la fatica e la programmazione del lavoro.

Il processo della RCA si svolge con un approccio coordinato in cui vi è una prima fase durante la quale un numero ristretto di operatori raccoglie le informazioni necessarie per la comprensione iniziale dell'evento, effettua la descrizione cronologica e quindi riferisce al gruppo di lavoro. Il gruppo di lavoro deve fare un sopralluogo nella sede dell'incidente, rivedere le procedure e le modalità organizzative in uso le quali devono essere disponibili durante tutti gli incontri del gruppo di lavoro. L'acquisizione delle procedure aiuta a stabilire quali siano gli standard a cui tende l'organizzazione. Bisogna inoltre raccogliere informazioni anche attraverso interviste agli operatori per aggiungere elementi rilevanti per l'analisi; le interviste devono essere eseguite prima possibile rispetto al verificarsi dell'incidente per evitare problemi di memoria. Infatti un'intervista tempestiva aumenta la probabilità di ottenere una sequenza degli eventi il più accurata possibile. Le interviste andrebbero addirittura condotte da due operatori diversi e possibilmente registrate. Gli intervistatori devono ripercorrere la catena degli eventi cercando di fare emergere, con domande mirate, informazioni sulle possibili cause, sui fattori contribuenti e, laddove possibile, raccogliere suggerimenti su misure di prevenzione e barriere. Parallelamente alla fase di istruttoria è necessario effettuare una ricognizione accurata della letteratura relativa all'evento. Al termine di questa prima fase, il gruppo di lavoro redige un documento che raccoglie informazioni di metodo e contenuti.

Segue quindi una seconda fase di analisi e confronto all'interno del gruppo, in cui devono essere messi in evidenza tutti i fattori che hanno contribuito all'evento avverso, partendo dall'identificazione dei fattori contribuenti prossimi all'evento. Un aspetto importante del processo è capire come i vari fattori contribuenti siano correlati l'uno all'altro. Vengono utilizzati a tal fine alcuni diagrammi, quali quello di Ishikawa e il diagramma ad albero, per visualizzare graficamente le relazioni; questi diagrammi sono

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chiamati di causa-effetto o diagrammi dei fattori contribuenti. È prioritario pertanto identificare le classi di cause oggetto di analisi che possono ricadere in vari ambiti: comunicazione, addestramento formazione, fatica e programmazione del lavoro, procedure locali, ambiente e attrezzature, barriere. Il Diagramma a spina di pesce o di Ishikawa assomiglia allo scheletro di un pesce in cui la spina principale rappresenta l'evento avverso e le altre spine rappresentano le cause e i fattori contribuenti.

A cosa serve

• Identificare gli ambiti causali di un fenomeno-effetto • Specificare le ipotetiche cause • Identificare ed ordinare diversi livelli causali

Come si fa

• Scegliere un effetto/problema e scriverlo sulla sinistra di un foglio/tabellone • Tracciare una linea orizzontale fino al punto del problema (lisca principale) • Tracciare poi linee oblique alla principale che costituiscono i riferimenti degli ambiti-nessi di

fattori causali. • Identificare le tipologie di cause (Classi) e porle in testa a ciascuna lisca.

Le classi tradizionali sono: struttura, attrezzature, metodi, risorse umane. Tuttavia le tipologie di classi vanno identificate in relazione allo specifico problema, quindi possono essere completamente diverse.

• Per ciascun ambito identificare cause di primo, secondo (sub-causa), terzo livello, ecc. a seconda della complessità del problema in analisi

• Selezionare la cause più importanti

Il Diagramma ad albero è una forma alternativa di diagramma di causa-effetto, utile per disegnare l'insieme dei fattori di un determinato fenomeno che si intende studiare. Viene utilizzato nel miglioramento di qualità per l'analisi progressiva dal generale allo specifico di dimensioni e processi e nella gestione del rischio clinico per l'analisi di cause e fattori contribuenti.

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A cosa serve

• Identificare e rappresentare le componenti di un fenomeno • Evidenziare le relazioni e le gerarchie • Ottenere un quadro complessivo delle cause di un evento, a partire dai risultati / problemi / esiti

Come si fa

• Definire i risultati / il fenomeno oggetto di analisi • Identificare le classi di cause/macro elementi componenti • Specificare progressivamente le cause dalle più generali alle più specifiche rispondendo alle

domande: "A. che cosa è dovuto?" "Quali sono le cause?", "Perché è accaduto?" • Identificare le cause che costituiscono i fattori critici

Limiti

• Richiede buona capacità di analisi e conoscenza dell'ambito da rappresentare • Non sempre è facile identificare relazioni univoche o quelle prioritarie (un elemento può essere

implicato in più aspetti).

Eseguire questi diagrammi è una componente essenziale nel processo di analisi con la RCA. La terza fase della RCA prevede, a seguito della discussione di tutte le cause potenziali, lo sviluppo di enunciati causali da cui far originare raccomandazioni e azioni.

Le cinque regole di causalità sono:

1) Mostrare chiaramente il legame fra causa ed effetto. 2) Descrivere con terminologia accurata e specifica evitando l'utilizzo di descrizioni negative e di

parole generiche. 3) Identificare la causa che precede ogni errore umano. 4) Identificare le cause che precedono la violazione di procedure. 5) La mancata azione è causa solo quando vi è un'indicazione assoluta all'azione.

Successivamente alla formulazione degli enunciati causali, il gruppo deve individuare le azioni che prevengono o riducono la probabilità che lo stesso evento si ripeta. La prima attenzione è sulla rimozione delle cause che hanno determinato l'evento; se non vi sono azioni da applicare per eliminare completamente la causa, il gruppo definisce le procedure più appropriate per ridurre la possibilità di accadimento.

Le azioni di miglioramento possono avere un diverso grado di efficacia come di seguito riportato:

Evento

Causa 1

SubCausa 1.1

SubCausa 1.2

Causa 2

SubCausa 2.1

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• funzioni forzate; • automatizzazione, computerizzazione; • semplificazione, standardizzazione; • promemoria, checkiist, doppio check; • regole e policy; • formazione; • informazione.

A conclusione della RCA, il gruppo deve elaborare il documento finale contenente le informazioni raccolte nella fase istruttoria, la ricognizione bibliografica, l'analisi e i relativi strumenti e le indicazioni per il miglioramento.

Nella fase di pianificazione delle azioni, l'organizzazione deve considerare:

• chi sarà influenzato dalle azioni; • la probabilità di successo; • le capacità interne dell'organizzazione; • la compatibilita con gli obiettivi dell'organizzazione; • la probabilità di provocare altri eventi avversi; • la ricettività da parte della direzione e degli operatori; • le barriere alla implementazione; • la tempistica per cui sono da preferire le soluzioni a lungo termine; • il costo; • la misurabilità.

II successo finale di qualsiasi processo di RCA dipende dalle azioni intraprese dall'organizzazione in risposta alle raccomandazioni del gruppo. Ciascun operatore è chiamato a partecipare a tutte le fasi dell'analisi e in modo particolare deve collaborare attivamente nella fase di attuazione delle raccomandazioni e nel monitoraggio del loro impatto ed efficacia. Operatori qualificati dovrebbero avere la responsabilità di seguire il follow-up delle raccomandazioni.

Analisi dei modi e degli effetti delle insufficienze

(FMEA, Failure Mode and Effect Analysis –FMECA, Failure Mode and Effect Criticality Analysis)

La FMEA è un metodo molto utilizzato per identificare le vulnerabilità dei processi con approccio proattivo. L'obiettivo del suo utilizzo nei sistemi sanitari è quello di evitare gli eventi avversi che potrebbero causare danni ai pazienti, ai familiari, agli operatori. È un metodo per esaminare un processo, prospetticamente, con l'ottica di evidenziare le possibili vulnerabilità e quindi ridisegnarlo Il metodo si basa sulla analisi sistematica di un processo, eseguita da un gruppo multidisciplinare, per identificare le modalità del possibile insuccesso di un processo o progetto, il perché gli effetti che ne potrebbero conseguire e cosa potrebbe rendere più sicuro il processo. L'applicazione del metodo prevede in primo luogo l'identificazione di un responsabile che organizza un gruppo di lavoro multidisciplinare, composto da operatori ed esperti. La prima fase, istruttoria, prevede l'analisi della letteratura, la raccolta della documentazione ed eventuali interviste agli operatori. Segue la seconda fase di analisi durante la quale il processo viene scomposto in macroattività; ogni macroattività viene analizzata sulla base dei singoli compiti da portare a termine, per ogni singolo compito vengono individuati i possibili errori (modi di errore). Si valuta, quantitativamente, la probabilità di errore e, qualitativamente, la gravita delle sue conseguenze. Per effettuare la "stima del rischio", si analizzano le modalità di accadimento di errore o guasto (failure mode) e i loro effetti (failure effect). Si tratta pertanto di una analisi di tipo qualitativo e quantitativo.

L'analisi dell'intero processo comporta dunque l'identificazione delle aree con priorità di intervento e si articola nei seguenti 4 punti:

1) scomposizione del processo in fasi con l'elaborazione di un diagramma di flusso o flow chart 2) definizione del "che cosa potrebbe non funzionare" (failure mode)

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3) definizione del "perché" potrebbe accadere l'insufficienza" (failure causes) 4) definizione dei possibili effetti (failure effects)

II gruppo assegna a ciascuna fase un numero di priorità di rischio (RPN) o indice di priorità di rischio (IPR) che si compone di:

• probabilità di occorrenza • probabilità di rilevabilità • gravita.

L’audit clinico

Il termine audit, dal latino audio, dar udienza, ascoltare e apprendere, richiama un processo di ascolto e partecipazione ed è comunemente usato in ambito economico e finanziario per indicare la verifica dei dati di bilancio e delle procedure di una azienda per controllarne la correttezza.

L’audit clinico è un’iniziativa condotta da clinici che cerca di migliorare la qualità e gli outcome dell’assistenza attraverso una revisione tra pari strutturata per mezzo della quale i clinici esaminano la propria attività e i propri risultati in confronto a standard espliciti e la modificano se necessario (Definizione del Departement of Health del Regno Unito,1996).

Il Ministero della Salute, nel 2006, ha definito l’Audit clinico come:

“Metodologia di analisi strutturata e sistematica per migliorare la qualità dei servizi sanitari, applicata dai professionisti attraverso il confronto sistematico con criteri espliciti dell’assistenza prestata, per identificare scostamenti rispetto a standard conosciuti o di best practice, attuare le opportunità di cambiamento individuato ed il monitoraggio dell’impatto delle misure correttive introdotte”.

Tutte le definizioni di audit clinico sottolineano la sua importanza quale strumento di miglioramento della qualità dei servizi e delle cure offerte. In tal senso esso è considerato uno dei principali determinanti della Clinical governance.

All’interno delle organizzazioni sanitarie, l’audit identifica varie tipologie di attività strutturate; si possono infatti individuare:

audit interni: revisione, sulla base di criteri espliciti, delle attività svolte da operatori interni all’organizzazione, allo scopo di esaminare e valutare l’appropriatezza, l’efficacia, l’efficienza nonché la sicurezza delle prestazioni erogate; i report prodotti a seguito di un audit interno si configurano come indicazioni finalizzate al miglioramento;

audit esterni: sono verifiche esterne che coinvolgono solitamente l’intera organizzazione, effettuate da organismi o enti terzi indipendenti, sulla base di criteri espliciti (es. Joint Commission International, Accreditation Canada, Ente di Certificazione ISO, sistemi di accreditamento istituzionale).

Un’ulteriore classificazione è quella indicata dalle norme UNI EN ISO 9000:2000 e ISO 19011:2003, che distinguono gli audit in:

audit di prima parte (audit interni);

audit di seconda parte (verifiche eseguite da potenziali o effettivi partner dell'organizzazione richiedente l'audit; ad esempio un audit richiesto da un'impresa a un suo fornitore);

audit di terza parte, condotti da enti di certificazione (eseguiti da soggetti esterni all'azienda, vengono invece condotti da organizzazioni specializzate che al termine rilasciano un apposito certificato di conformità).

Tutte le tipologie di audit hanno alcune caratteristiche comuni:

derivano da un processo intenzionale e strutturato, basato su criteri o standard espliciti e stabiliti a priori;

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richiedono impegno, tempo e un’accurata pianificazione;

esaminano, valutano e producono un report;

sono finalizzati al miglioramento.

Peculiare dell’ambito sanitario è una specifica forma di audit interno definito “audit clinico”, governato dai professionisti sanitari e focalizzato su tematiche relative all’area clinica.

È opportuno sottolineare che l’audit clinico si differenzia dalla semplice raccolta di dati, la quale si limita a confrontare la reale pratica clinica con quella definita dagli standard; ciò costituisce solo una parte del processo di audit che prevede la valutazione degli scostamenti della pratica clinica rispetto allo standard, le azioni di miglioramento e la valutazione delle iniziative intraprese.

Infine, l’audit clinico, poiché verifica la buona qualità della pratica corrente rispetto a standard, non va confuso con la ricerca clinica, la quale mira a definire le caratteristiche della buona pratica in un ambito ignoto o poco conosciuto.

L’Audit Clinico è un processo di miglioramento della qualità e quindi i benefici sono:

migliorare la pratica: produrre reali benefici nella cura del paziente e nella fornitura di servizi;

sviluppare l'apertura al cambiamento;

fornire garanzie sulla qualità dell’assistenza mediante applicazione delle migliori pratiche evidence based;

ascoltare i pazienti, comprendere e dare risposta alle loro aspettative;

sviluppare linee guida o protocolli locali;

ridurre al minimo errore o danni ai pazienti;

ridurre i reclami/risarcimenti.

La reale opportunità di imparare dalle esperienze e l'attuazione del piano d'azione produrrà vantaggi per:

la persona assistita, poiché favorisce la fiducia nella sicurezza e qualità della cura erogata;

gli operatori sanitari, poiché permette loro di acquisire nuove competenze e riconoscimento professionale;

l'istituzione, poiché inserisce metodi di gestione e di miglioramento della qualità trasferibili ad altre situazioni.

L’Audit è un processo sistematico, indipendente e documentato per ottenere evidenze e valutarle con obiettività. Sono state le norme in tema di garanzia di qualità a rendere diffuso e praticato il concetto di audit.

L'audit consiste in una serie di incontri in cui l'equipe, possibilmente multidisciplinare e multiprofessionale, analizza un caso clinico o un percorso assistenziale, identificando gli scostamenti rispetto a standard prefissati o, se non disponibili, al parere di esperti interni e esterni all'equipe. L'audit si avvale della documentazione clinica e amministrativa e di eventuali testimonianze per fornire alla discussione il più ampio spettro di informazioni. È opportuno identificare nel gruppo un facilitatore che assicuri la disponibilità della documentazione per la relativa istruttoria, la conduzione efficace degli incontri e la relativa reportistica.

I contenuti dell'audit possono essere: • l'outcome delle attività cliniche e delle attività assistenziali; • le prestazioni; • le risorse e il loro impiego; • tutte le forme di assistenza formali ed informali; • i processi organizzativi.

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Le attività principali sono:

1. Scelta del tema: può riguardare la valutazione di trattamenti, servizi, politiche e organizzazioni. I

criteri che possono aiutare nella definizione delle priorità fanno riferimento alla frequenza dei problemi, alla gravita delle conseguenze e alla possibilità di porre in atto soluzioni o misure preventive.

2. Definizione dello scopo e degli obiettivi: si definiscono scopo e obiettivi che devono essere dettagliati e specifici.

3. Identificazione degli standard: l'audit clinico è un'attività basata sul confronto con standard definiti di cure o dei servizi. Gli standard devono avere determinate caratteristiche che possono essere sintetizzate con l'acronimo SMART: Specific, correlati al tema, Measurable, concretamente definibili, Achievable, raggiungibili con le risorse disponibili, Research based, basati sulle evidenze, Timely, aggiornati.

4. Raccolta e analisi di dati: i dati possono essere raccolti con revisione della documentazione clinica, con interviste ai pazienti e/o staff, con questionari o tramite sistemi di segnalazione. I dati vanno raccolti utilizzando metodi quantitativi, qualitativi o entrambi; i dati vanno analizzati con analisi statistica semplice descrittiva. L'analisi e l'interpretazione dei dati devono sempre avere come riferimento lo standard scelto e la lettura dei dati deve consentire di prendere decisioni, analizzando tutte le opzioni a disposizione. Infine verrà elaborato un piano di intervento con raccomandazioni, azioni, responsabilità e tempistica.

5. Monitoraggio dei risultati attesi a seguito dei cambiamenti introdotti: la fase del re-audit va condotta solo dopo che i cambiamenti sono stati introdotti, deve seguire lo stesso disegno dell'audit e vanno sottoposti a re-audit solo gli ambiti interessati dal cambiamento.

Al termine dell'audit va elaborato un report e vanno identificate le misure di miglioramento. Il processo di audit, per essere uno strumento finalizzato alla sicurezza, deve diventare sistematico e quindi le misure introdotte a seguito di audit, devono essere monitorate nel tempo. Molto delicata è la fase di comunicazione dei risultati al personale dell'unità operativa il quale deve essere coinvolto in tutte le misure di migliora mento.

Da un punto di vista metodologico, si possono individuare delle fasi ben definite del processo di audit:

1) Proposta: una buona progettazione è una delle precondizioni per il successo dell’audit; questo deve essere ben definito per quanto riguarda:

a) l’oggetto; b) i parametri da valutare e misurare (indicatori) c) lo standard di riferimento; d) gli obiettivi prefissati.

2) Sviluppo: dopo la costituzione di un gruppo di valutazione/progetto che valuti la fondatezza e l’opportunità della proposta, bisogna realizzare la progettazione tecnica in cui definire le azioni da compiere, le responsabilità connesse, i tempi e le risorse assegnate. Nella progettazione di dettaglio si definirà:

a) la popolazione di riferimento; b) il come vengono selezionati i casi; c) selezione e la modalità di raccolta dei dati stessi (cartelle cliniche mediante questionario ai pazienti,

registrazione di dati amministrativi, schede individuali proposte ad hoc nel caso di audit prospettico);

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d) la costruzione del foglio di raccolta dei dati: usabile (senza termini ambigui, senza domande doppie, ..), valido (che sia in grado di rilevare effettivamente l’oggetto d’interesse) e affidabile (comparando i risultati dell’uso dello strumento da parte di osservatori diversi);

e) chi materialmente compila il foglio di raccolta dati e, quindi, esprime il primo giudizio di conformità del singolo caso rispetto allo standard;

f) le modalità di verifica della qualità dei dati raccolti (dati mancanti, casi perduti, …); g) il criterio di giudizio dell’aderenza dei risultati osservati allo standard individuato.

3) Realizzazione: completata la progettazione va attivata una comunicazione formale con i partecipati all’audit in cui si illustrano le motivazioni dell’audit, le modalità da adottare per la sua realizzazione, gli impegni assunti e gli incarichi affidati, i vincoli e le scadenze.

4) Produzione dei risultati: dopo la prima stesura del report in bozza, il documento viene sottoposto ai partecipanti che discutono i risultati fino ad arrivare alla stesura finale dei risultati stessi, rivisti e corretti, corredati da proposte, raccomandazioni e commenti opportuni, che viene diffuso a tutte le parti interessate.

5) Realizzazione del cambiamento: i professionisti introducono nella propria pratica clinica gli elementi di novità che derivano dalle riflessioni sui risultati.

6) Valutazione dell’impatto del cambiamento: il campo delle valutazione del cambiamento è delimitato dall’obiettivo dell’audit ed è quello esplorato mediante il foglio di raccolta dati.

7) Valutazione dell’audit: anche l’audit è una tecnologia e, come tale, è soggetta a valutazione. La validazione è la verifica della funzionalità del metodo utilizzato quanto a tempi, consumo di risorse, fasi completate, problemi incontrati e modifiche alla progettazione resesi necessarie.

Le tipologie di verifica comunemente usate sono generalmente le seguenti:

audit di conformità;

audit di conformità ed efficacia;

valutazione del livello delle performance dell'organizzazione (nel senso quantitativo del termine).

L’audit clinico è applicabile ad aree dell’assistenza per le quali sia ipotizzabile sviluppare interventi di miglioramento. La richiesta di effettuare un audit può avere origine dalla direzione aziendale, dai professionisti che operano nel dipartimento e/o nell’unità operativa o da pazienti e cittadini (committenza).

I professionisti e le organizzazioni sanitarie hanno l’obbligo di implementare le buone pratiche disponibili e di mettere in atto le iniziative per accrescere la sicurezza dei pazienti. In tal senso l’audit clinico risponde ad un imperativo etico del servizio sanitario, di cui possono beneficiare sia i professionisti sia i pazienti.

L’audit clinico deve svolgersi in un contesto “etico”; le questioni etiche debbano essere ritenute importanti non soltanto nell’ambito della ricerca scientifica, ma anche in attività volte al miglioramento della qualità.

Il successo dell’audit clinico dipende da una progettazione accurata e tecnicamente rigorosa, dal coinvolgimento di tutte le parti interessate, compresa la direzione strategica e da una adeguata e capillare diffusione dei risultati e delle azioni di miglioramento individuate, al fine di promuovere la crescita professionale ed il trasferimento delle esperienze.

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I due livelli di realizzazione dell’audit clinico

Un primo livello consiste in uno o più incontri fra operatori per discutere dei casi. Lo standard di riferimento deve essere condiviso, esplicito e i casi vengono scelti in accordo con i membri del team, di solito scegliendo i casi più frequenti che si sono conclusi con esiti insoddisfacenti. L’analisi, di solito retrospettiva, viene effettuata sulla base di dati amministrativi, o mediante l’esame delle cartelle cliniche.

Un secondo livello di realizzazione prevede un approccio maggiormente strutturato, spesso in un contesto interistituzionale, e seleziona come oggetto della verifica attività assistenziali di particolare importanza e criticità. Si utilizzano informazioni ricavate da analisi statistiche e dalle cartelle cliniche; si possono sviluppare disegni prospettici e non solo retrospettivi.

Considerando la qualità parte integrante della mission dell’azienda sanitaria e il buon servizio un frutto dell’organizzazione di processi ben strutturati rispettosi dell’esigenze dei clienti, è necessario condividere che le attività di verifica e miglioramento non possono essere esclusivamente professionali e disgiunte dalla realtà organizzativa in cui si erogano i servizi. La missione condivisa dell’organizzazione e la sua traduzione operativa (piani per la salute, piani attuativi, realizzazione di politiche di servizi) costituiscono di conseguenza lo strumento fondamentale di costruzione dell’allineamento dei professionisti. La “vista per processi” fornisce la cornice metodologica che definisce lo spazio e gli ambiti della realizzazione di attività di autovalutazione e verifica dell’attività clinica e assistenziale.

Si tratta di una verifica di adeguatezza ed efficacia verso obiettivi o di conformità verso regole, linee guida, norme, comportamenti su cui si realizza il consenso. Tale verifica acquisisce senso se è coerente con una

visone d’insieme, per cui prestazione amministrativa, prestazione medica, cure infermieristiche, prestazioni tecniche e “alberghiere” creano un valore per il beneficiario finale (il cittadino/utente) in termini di efficacia – efficienza – soddisfazione.

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Bibliografia

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di analisi. 7. Tommasini C, Marchetti E. Risk Management: la gestione del disservizio. Rischio Sanità, 2003

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11. Geddes della Filicaia M. Guida all'audit clinico. Pianificazione, preparazione e conduzione. La stesura è stata effettuata avvalendosi quale riferimento del manuale “Principles for Best Practice in Clinical Audit” elaborato a cura del NICE (2002) e del manuale “NEW Principles of Best Practice in Clinical Audit” edited by Robin Burgess, HQIP- second edition (2011).

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14. Buscemi A. Il risk management in sanità. Gestione del rischio, errori responsabilità professionale e aspetti psicologici. Franco Angeli; 2009.

Questionario ECM

1) Il Governo Clinico rappresenta, per i fenomeni sanitari, la capacità di:

a) gestione b) indirizzo c) monitoraggio d) tutte le risposte indicate

2) Il Risk Management è:

a) la gestione del possibile e prevedibile rischio prima che questo accada b) le attività messe in atto nel momento in cui si sia verificato un errore o un danno c) la gestione delle procedure di controllo degli errori commessi d) tutte le risposte indicate

3) Il risk management prevede di gestire in maniera omogenea:

a) sicurezza dei pazienti b) sicurezza degli ambienti

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c) sicurezza dei lavoratori d) tutte le risposte indicate

4) L’errore in medicina:

a) è solo frutto dell’inesperienza b) è dovuto solo alle condizioni di lavoro c) ha solo valenza negativa d) non è eliminabile

5) Quale approccio all’evento effettua un’analisi partendo dalla revisione dei processi e delle procedure esistenti, identificando, nelle diverse fasi, i punti di criticità?

a) approccio proattivo b) approccio reattivo c) approccio attivo d) approccio passivo

6) Come sono i sistemi di segnalazione (reporting) “learning”?

a) sono obbligatori e spesso si limitano ad una lista di eventi predefinita b) sono volontari c) sono inutili d) nessuna delle risposte indicate

7) Che cos’è la Satefy walkaround? a) metodo che consente di creare un ambiente in cui la sicurezza del paziente viene vista come una

priorità, in un clima che stimoli la condivisione di informazioni circa le situazioni, effettive o potenziali, di rischio

b) strumento per il miglioramento della qualità, che aiuta gli individui e le organizzazione ad identificare le cause e i fattori contribuenti correlati a un evento avverso e sulla base dei risultati possono essere sviluppati progetti di miglioramento

c) "visite" che i referenti della sicurezza, con mandato della direzione, effettuano nelle unità operative per identificare con il personale i problemi legati alla sicurezza

d) nessuna delle risposte indicate

8) Quanto deve durare un focus group per essere efficace? a) mezz’ora b) 1 ora e mezza c) 3 ore d) una giornata

9) L’osservazione è un metodo che viene utilizzato prevalentemente per individuare quali tipi di errori?

a) errori nella diagnosi b) errori in terapia c) errori nelle pratiche chirurgiche d) errori nelle pratiche infermieristiche

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10) Quali sono i requisiti della RCA (Root Cause Analysis)? a) la costituzione di un gruppo interdisciplinare in cui devono essere inseriti esperti della materia b) la partecipazione di coloro che sono stati coinvolti nell'evento c) l'imparzialità nell'evidenziare potenziali conflitti di interesse d) tutte le risposte indicate

11) Nella seconda fase della RCA (Root Cause Analysis) cosa succede? a) raccogliere informazioni per la comprensione dell’evento b) analisi e confronto all’interno del gruppo c) sviluppo enunciati causali d) stesura raccomandazioni ed azioni

12) A cosa serve il diagramma a spina di pesce o di Ishikawa? a) identificare e rappresentare le componenti di un fenomeno b) evidenziare le relazioni e le gerarchie c) ottenere un quadro complessivo delle cause di un evento, a partire dai risultati / problemi / esiti d) tutte le risposte indicate

13) La FMEA (Failure Mode and Effect Analysis) che cosa identifica? a) efficacia b) efficienza c) qualità d) vulnerabilità

14) Che cosa migliora l’audit clinico? a) efficacia b) efficienza c) qualità d) nessuna delle risposte indicate

15) Cosa riguarda l’ultima fase dell’audit clinico? a) identificazione degli standard b) raccolta e analisi dei dati c) monitoraggio dei risultati d) scelta del tema