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Il tipografo gennaio marzo 2014

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Newsletter Giambra Editori

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colophon

SommarioEditoriale 3Novità in libreria 4Tri canti e un cuntu 8Eventi 14

il tipografoNewsletter della casa editrice Giambra EditoriAnno 3 – n. 1-3Gennaio-Marzo 2013

Redazione e amministrazioneViale Delle Terme, 69 – 98050 Terme Vigliatore (Me)tel. 090 978 3002 – fax 090 978 3002www.termegrafica.it/[email protected]

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3il tipografo n. 1-3 Gennaio-Marzo 2014

Blog letterari: pro o contro?

In un articolo del 1973 sul Tempo, Pasolini denun-ciava: «Le terze pagine di tutti i giornali sono il trionfo del qualunquismo: i libri di cui si parla sono scelti casualmente».

Oggi, grazie al web, va anche peggio: proliferano i forum sui blog letterari.

Come funziona il forum di un blog? Prima regola: stravolgere quanto dice il malcapitato di partenza. Malafede? A volte; più spesso, genuina incapacità di comprendere. Scopo del fraintendimento: crear-si un avversario. Seconda regola: il nemico sostiene sciocchezze madornali, asinerie da arrossire, mo-struosità diaboliche. Scopo: ergersi a paladini del Vero, del Santo, del Giusto. Ne consegue la terza regola: mostrare che il nemico è emissario di una potenza oscura e malefica, come amico di o servo di. Quarta regola: ma vorremo mica star dietro a quel che dice qualcun altro? Il discorso va su-bito spostato su quello che il blogger ha sempre pensato, ha già scritto, va ripetendo da anni. Conseguenza: il blog diventa una sequela di spa-rate a vanvera e divagazioni, in cui ciascuno si affanna a promuovere se stesso e a far vedere quanto è bravo, profondo, spiritoso.

Ulteriore, inopinata conseguenza: siccome il blogger è pseudonimo, non solo non promuo-ve il se stesso anagrafico, ma neppure il suo avatar scempiato di ana-grafe: promuove invece Babele e Babilonia, la chiacchiera a ca-pocchia, l’isteria del pensiero, la convulsione dell’intestino, l’affossamento di qualunque minima decenza del discor-so pubblico.

Mi piacerebbe scoprire chi scrive sui forum dei blog letterari e chi si nasconde dietro nick che, di solito, non eccedono in fantasia. Si leggono cose molto disegua-li: interventi più o meno infor-mati, denunce, divagazioni; ma la

mia curiosità va ai picchi negativi. È una curiosità di natura sociologica: in quali strati della popolazione nascono tanta incultura, tanto risentimento, tanta frustrazione?

Dev’essere gente che ha abbastanza tempo a di-sposizione, legge (diciamo: sfoglia) un discreto nu-mero di libri; e soprattutto, scrive (ahimè, spesso per frustrazione e non sempre sono preparati. Spesso si tratta di persone con strumenti linguistici approssi-mativi): i più riempiono il computer di inediti, qual-cuno verrà pubblicato da editori minori, pochissimi si guadagneranno qualche recensione su un quoti-diano. Ma sui blog e sui loro forum, mistero: come si chiamano davvero, non si sa; quanti anni hanno, dove vivono, come campano, neppure.

Già, che faranno nella vita, questi scrittori aspi-ranti in incognito, e in una vacanza più protratta di quanto credano dalla scrittura? Sono dottorandi, addottorati? Insegnano? Sono signore per bene con l’hobby della lettura? Professionisti che si concedo-no il lusso della carriola? Dipendenti pubblici o pri-vati che si imbucano in chat anziché fare il lavoro per cui li paghiamo? Chissà.

Di certo, trasformano i blog in glory hole per di-lettanti dell’aggressione, del monologo esteriore, dell’esibizionismo: i blogger ci fanno vedere quan-to ce l’hanno duro, nascondendo la faccia e tutto il resto.

il tipografo

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novità in libreria

Il maestro bottaio è uno degli antichi mestieri, che – insieme ai modi di vita tradizionali – fu-rono ridimensionati (o gradatamente eliminati) dalla ventata di rinnova-mento socioeconomico che percorse l’Italia cir-ca cinquant’anni fa, im-ponendo le leggi della ci-

viltà consumistica e tecnologica in continua trasformazione.L’opera di Simone Cardullo ci riporta in-dietro in quel tempo, fa riemergere dall’oblio quel mondo e rivaluta quella cultura, in cui la tecnologia si esprime-va nella sapienza del-le mani, con le qua-li alcuni artigiani (tra cui il padre dell’autore,

Giuseppe Cardullo, maestro bottaio, come il padre e il nonno) erano in grado di creare anche piccoli capolavori.

Simone Cardullo è nato il 1° gennaio 1938. Diplo- mato all’Istituto Tecnico Nautico “Caio Duilio” di Messina. Aspirante Capitano di Macchina per la Marina Mercantile, ha prestato servizio su diverse navi mer-cantili come ufficiale, girando il mondo un paio di vol-te. Lasciato il servizio in mare, dopo diverse esperien-ze, è stato assunto alla Pirelli di Villafranca Tirrena (Me), dove nel corso degli anni è diventato capo reparto di produzione.

Simone Cardullo

L’Arte del Bottaio

L’Arte del Bottaio

(2013) pp. 128, € 12,00ISBN 978-88-98311-21-7

L’uso della botte (in dialetto barcellonese butti) e, conseguen-temente, il mestiere di bottaio si perdono nella notte dei tempi. Addirittura Quest’ar-te si fa risalire all’epo-ca in cui fu inventato l’uso della ruota e, se-condo alcuni eminenti studiosi, fu, al pari della ruota, un’inven-zione dei Celti...

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5il tipografo n. 1-3 Gennaio-Marzo 2014

Scriveva Konrad Lorenz: La fedeltà di un cane è un dono prezioso che impo-ne obblighi morali non meno impegnativi dell’a-micizia con un essere umano. Il legame con un cane fedele è altrettanto “eterno” quanto possono esserlo, in genere, i vinco-li fra esseri viventi su que-

sta terra. Purtroppo a volte, non si può dire lo stesso dell’uomo. Bella è uno dei tanti, troppi, cani che vengono abbandonati al loro destino, spes-so di morte. Una tragica sera d’estate viene travolta da un ciclomotore sul-la litoranea di Ponente a Milazzo (Me).

Rimasta paralizzata agli arti posteriori, per-de anche il controllo del suo corpo compre-sa la coda, con la quale era solita manifestare la sua felicità. Ma non

si lascia morire, non vuole arrendersi. E nemmeno la coppia che, da un anno e mezzo, si prende cura di lei. Questa è la sua storia, del prima e del dopo. Questa è una storia d’amore.

Gianluca Caravello è nato, il 19 Dicembre del 1980, a Milazzo (Me) dove tutt’ora vive e lavora. Fin da picco-lo ha amato la lettura in tutte le sue forme. Con Bella la cagnolina che scodinzola con lo sguardo è al suo se-condo romanzo, dopo Da Lontano (Altromondo, 2009).

GianluCa Caravello

Bella la cagnolina che scodinzola con lo sguardo

Bella la cagnolina che scodinzola con lo sguardo

(2013) pp. 128, € 12,00ISBN 978-88-98311-22-4

Questa è una storia vera. Non è tratta da una storia vera. Ma è proprio vera, che più vera non si può. È successa e ancora accade, perché la storia non si ferma alle pagine di questo libro, ma continua.

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6LE NOVITÀ

Chi è la giovane donna che fin da piccola turba i sogni di Bianca?Non le ha mai rivolto la parola, apparendole sempre sfuggente e im-percettibile, fin quando, molti anni dopo, duran-te la sua prima notte di nozze, l’entità inizia a la-sciarle messaggi enig-

matici accompagnati da visioni del passato.Ma è durante la luna di miele a Venezia, soggiornando in un prestigioso hotel, un tempo l’antico palaz-zo dei duchi De Labier, che Bianca s’imbattein un dipinto raffigurante pro-prio il volto della misteriosa donna dei suoi sogni.

Da questo momento le visioni si fanno sem-pre più insistenti, fino ad assistereall’orrendo omicidio della sua mi-steriosa “compagna” notturna. Sempre più convinta che la donna raffigurata nel quadro

e quella da lei sognata siano la stessa persona, nonostante lo sconcerto e l’opposizione del marito, decide di tornare a Venezia per chiedere lumi alla padrona del palazzo. Sarà quest’ultima a rivelarle chi è veramente la persona del ritratto. Bianca, alla fine della sua lunga ricerca, casualmen-te scoprirà il perché dei suoi sogni. Sarà un mazzolino d’iris di seta bian-ca a svelare l’enigma.

Daniela Fava, nasce a Torino il 3 settembre 1975, ma vive in Sicilia in una cittadina degli Iblei, Ispica, in provin-cia di Ragusa dove si dedica all’insegnamento, subito dopo la Laurea in Materie Letterarie conseguita presso l’Università degli Studi di Catania, dove discute la tesi dal titolo L’Anima nel Pitagorismo Antico.

daniela Fava

Iris

Iris

(2013) pp. 218, € 12,00ISBN 978-88-98311-23-1

22 febbraio 1945, una data che si trasci-nava dietro, da anni, tanti ricordi tristi ma alquanto importanti, di vita e di morte, di verità nascoste e di inganni. Una data in cui, in una sera di tempesta, le urla di una donna si unirono allo strillo della sua creatura venuta alla luce, poi il grido della giovane tacque e fu l’inizio e la fine al tempo stesso.

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7il tipografo n. 1-3 Gennaio-Marzo 2014

Con la nuova rac-colta, Le Galassie del Tempo, il poe-ta Antonio Lonardo si ricollega esplicita-mente alla sua pro-duzione precedente, coniugando in modo convincente il tono filosofico con l’ap-profondimento di te-

matiche legate alla storia dell’Umanità: si tratta di un libro-riflessione sulla storia dell’uomo, con richiami indiretti allo hegelismo, al cristiane-simo, ma anche alla tradizione poetica italiana, da Leopardi a Ungaretti a Montale a Quasimodo.

Questo libro è un gran-de affresco sulla storia del Novecento, e che, tuttavia, non solo giun-ge sino ai nostri giorni, ma rappresenta persi-no una proiezione del “dover essere” dell’U-manità oltre il presen-te, nel futuro prossimo

o remoto. Insomma, il libro rappresenta una grande aspirazione, rappre-senta il conseguimento di utopie di giustizia, di libertà, di amore verso gli altri, che ogni poeta dovrebbe saper evocare.

Antonio Lonardo è nato il 30 settembre 1943, in pie-na 2a Guerra Mondiale, a Taurasi (Av). Ha frequen-tato gli studi classici, filosofici e teologici. Laureato in Pedagogia, presso la Facoltà di Magistero dell’U-niversità degli studi di Salerno, ha insegnato Materie Letterarie, come docente di ruolo sia nelle scuole me-die che negli istituti superiori, coinvolgendo anche i suoi studenti a scrivere sia racconti che poesie, con eccel-lenti risultati.

antonio lonardo

Le Galassie del Tempo

Le Galassie del Tempo

(2013) pp. 152, € 10,00ISBN 978-88-98311-19-4

Sui monti della sto-ria, / il sole sorge presto / riscaldando senza soste / i sensi-bili cuori di uomini, / che rifiutano il tra- monto / con l’orizzon-te sempre luminoso, / fermato da tanti Giosuè

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tri canti e un cuntu

tri canti e un cuntu è uno spazio lettera-rio, artistico e culturale fatto da:Anna Anzellotti, Carlo Bramanti, Giorgia Catalano, Sara Conci, Sandra Fedeli, Marta Ferretti, Michele Gentile, Antonio Insardi, Giovanna Iorio, Antonio Lonardo, Teodoro Lorenzo, Marina Lovato, Fabio Mattiuzzo, Giampiero Mirabassi, Giuseppe Nalli, Claudia Palombo, Giuseppe Panzeca, Emidio Parrella, Teresa Regna, Felice Serino, Giuseppe Spiotta, Rocco Tassone, Flavio Vacchetta, Simonetta Vandone, Daniela Vasarri, Pietro Zerella.

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9il tipografo n. 1-3 Gennaio-Marzo 2014

noi lacere trasparenze-sostanza di luce e di sangue-a superare d’un passo la morte solleva l’angelo un lembo di cielosvela l’altra faccia del giorno

FeliCe Serino

L’angelo

Felice Serino è nato a Pozzuoli nel 1941. Autodidatta. Vive a Torino. Ha pubblicato varie raccolte: “Il dio-boomerang” (1978), “D’un trasognato dove” (2014). Ha ottenuto importanti riconoscimenti e di lui si sono in-teressati autorevoli critici. È stato tradotto in sette lingue. Intensa anche la sua at-tività redazionale.

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10TRI CANTI

Pino SPiotta

Guardavamo lontano

Guardavamo lontanoOltre i coppiDelle povere caseConsunti dal tempoOltre il verde mare cangianteDelle chiome degli ulivi

Guardavamo lontanoAppoggiati alla ringhieraChe ancora odorava di minioMentre saliva dal giardinoUn lieve profumo di rose

Che farai da grande?Era la domanda del gioco

E noi inventavamo la vitaContinuando rapitiA guardare lontano.

Pino Spiotta Appassionato cultore di varie forme di espressione artistica sono nella vita, più prosaicamen-te, un pensionato che è stato direttore commerciale di importanti società e consulente di marketing. Per meri-ti di lavoro mi è stata conferita, nel 1985, l’onorificenza di “Commendatore”.Vivo, scrivo e dipingo in Brianza.Ho cominciato a scrivere nell’estate del 1995, spinto dal forte desiderio di fermare i pensieri, che a volte sbia-discono all’istante, per poterli ritrovare, di tanto in tan-to, e con loro rivivere la freschezza e la semplicità del ricordo.

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11il tipografo n. 1-3 Gennaio-Marzo 2014

Sogno di andare su acque tranquille,in porti sicuri, dove poter riposar. bimbi ormai stanchi, non voglion dormirsolo le favole voglion sentir. Io che sonnecchio sotto il ramo di un fico,vedo il chiaror di un faro lontano. Sogno di andare incontro alla notte,in lidi con rotte conosciute e sagge. dove soffia brezza mattutina,dove il libeccio piega le piantedove arriva mare salutare e rinfrescante.

Sandra Fedeli è nata e vive a Cecina (Li). Commessa in un supermercato, ama scrivere da sempre. Da circa un anno ha scoperto questa vena, per così dire, poeti-ca. Lei ama definirli semplici pensieri: molto spesso an-che in rima. Oltre a scrivere, ama la fotografia, definendosi “una di-lettante: mi prometto sempre di fare un corso base, ma chissà se mai lo farò. Sono pigra per natura e, spesso e volentieri, non porto a fondo un progetto.”Ha pubblicato le sue poesie nel libro La casa sul-la roccia (Del Bucchia, 2012), sulle riviste Orizzonti ed Euterpe, nelle antologie di Parole in fuga, Trosky cafè, Del Bucchia.Collaboro con la Quadratum editore per Love Story.

Sandra Fedeli

Acque tranquille

Questi luoghi ameni, voglio sempre ricordar:li voglio trastullar come bambini,li voglio far danzar come lumi accesi. Queste rime mi sgorgano dal cuorcome faccio, io non so;ma qualcuno certo scriver mi fa: son lodi al Creatore ed al Suo amore.

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12UN CUNTU

Notti lunghe, interminabili. Occhi sbarrati dal-la paura che attendono con ansia vitale l’addivenire dell’alba.

Nella notte visioni, visitatori abominevoli con ghi-gno maligno, ombre di morte danzano e gioiscono al mio capezzale. Sbarro tremante gli occhi per scacciare la paura. Sfinito, socchiudo le palpebre e di nuovo le ombre sinistre mi danzano intorno. È una battaglia che dura tutta la notte.

Poi un filo di luce del nuovo giorno, uno sguardo al crocifisso che sta sulla parete di fronte, un grazie per il nuovo dì.

Tre lunghe notti così, poi un mattino un volo di rondini. Una di esse si posa sul davanzale della finestra e sembra guardarmi, attira la mia attenzione, riesco a pensare, ossigeno nuovo inonda il cervello, rifletto, allora sono: “È l’anima di mia madre che mi dice che sono tra i vivi”.

Sento le auto, i rumori della strada, le sirene delle ambulanze, i lamenti dei pazienti.

Sono gonfio come un otre, ho paura che da un mo-mento all’altro possa vibrarmi e volare via. Kafka, la sua metamorfosi mi tormenta la testa. Ho estremo bi-sogno di un sorriso, una mano amica, una parola “dol-ce” che mi dica che è tutto un sogno. Un volto arcigno di un’infermiera mi scopre un braccio e con la siringa mi succhia preziose gocce di sangue. Ho la forza di dir-le: “Fammi un sorriso, dimmi una parola”, mi guarda, forse mi vede come un morituro e indifferente va via.

Intorno a me altri sei letti di sofferenze. Nessuno ha la forza di girare la testa per guardare il vicino. Tutti immobili, legati alle flebo, ai monitor e alle maschere d’ossigeno, guardano con gli occhi spalancati il vuoto o il biancore asettico delle pareti bianche.

È l’ora delle visite. I familiari entrano in silenzio in punta di piedi per non disturbare la quieta apparente del malato. Ci si sforza di essere allegri, sdrammatizza-re la situazione, allontanare la realtà.

Con le labbra screpolate e la lingua gonfia, cerco di sorridere, dire qualche parola, rassicurare mia moglie e i due miei figli. La mia donna non parla, mi stringe lieve la mano per non farmi male perché sono fragile come il vetro. Mia figlia continua a dirmi sorridendo

Pietro Zerella

Il viaggio

Pietro Zerella, nato a Beltiglio di Ceppaloni (BN) il 19 luglio 1938, vive a San Leucio del Sannio (BN), Laureato in Scienze Politiche e Sociali. Pensionato Polizia di Stato. Fondatore e organizzatore del Premio Nazionale di Poesia e Narrativa “Città di San Leucio del Sannio” giunto alla dicias-settesima edizione.Per i suoi scritti è inserito in tre Edizioni (1996 – 2001 - 2006) del “Dizionario Autori Italiani Contemporanei” Ed. Guido Miani, Milano ed in altre antologie.Ha vinto premi letterari e di poesia (Bracciano, Avellino, Città di Telese, Apice, Barletta…) Negli ultimi anni si è dedicato con particolare passione alla ricerca storica.

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che sono bello, mi sta bene la barba bianca incolta come un selvaggio. Mio figlio: “Papà devi essere forte, è la battaglia della tua vita, devi vincerla, non molla-re” e mi accarezza la fronte.

Farfuglio parole, logiche per la mia mente ma in-comprensibili per loro.

Passano i giorni, riaffiorano i ricordi…Alle quattro di un mattino una carica di cavalleria

pervade il mio petto. Un grande dolore, formicolio alle mani, sudore, una compressa di Calvasin sotto la lingua e la corsa al Pronto Soccorso. L’accorrere dei medici, sala operatoria, una voce di un giovane me-dico mi tranquillizza, “stia calmo, siamo cardiologi, la operiamo e passerà tutto, intanto una firma, dov’è sua moglie, deve firmare!” perché è in corso un “in-farto miocardico acuto della parete anteriore”.

Mezzora dura l’operazione. La sonda avanza pru-dente attraverso la vena arteriosa della gamba destra, entra facilmente nel petto. Penetra senza contrasto nel cuore, trova le vene ostruite, un palloncino le li-bera e fa circolare di nuovo la vita.

Poi il dottore mi dirà che avevo due vene del cuore otturate al 90% e due al 50% e di aver applicato, in ter-mine tecnico: “Angioplastica coronaria con impianto di stent”.

Tre giorni in Terapia Intensiva e tutto va bene. Respiro liberamente, mi sento in forma. Altri pazien-ti sono stati operati lo stesso giorno e tutti stanno in ottima salute.

Poi in reparto cardiologico per qualche giorno e le dimissioni dall’ospedale. Invece.

Al quarto giorno complicazioni ai reni e altri in-convenienti. L’artrite m’immobilizza per tre giorni. Mi aggravo per una cura contro i dolori. Sospensione della stessa e tentativi dei medici di capirci qualco-sa. Sono un tronco immobile con affanno e maschera per l’ossigeno.

Mi riportano al reparto di terapia intensiva.Intanto i medici fanno squadra, si raccordano con

il reparto nefrologico, centellinano le medicine, stu-diano la cura, parlano di dialisi.

Vado in crisi psicologica. Penso che la mia vita sarà condizionata per sempre dalla dialisi. Notte

insonni per tale pensiero. Mille esami del sangue, radiografie, Tac… e infine ritorno al reparto cardio-logico, in una stanzetta con due letti e il televisore. Mi si riaccende la speranza. Gli infermieri sono felici per il miglioramento della mia salute. Mi prendono a cuore. Si dimostrano umani e professionali, non mi sento più un “morituro”. Ho ancora bisogno di tutti: un bicchiere d’acqua, di sedermi sul letto, delle più elementari necessità di pulizia.

Nella stanza si avvicendano nuovi pazienti. Stanno un giorno, due o qualche ora e vanno via a casa, o in terapia intensiva o in sala operatoria. Ognuno raccon-ta una storia: breve, intensa, dolorosa. Un’umanità sofferente che si trascina dietro il dolore di familiari e amici.

Sento che sono al termine del viaggio attraverso “una selva oscura e selvaggia”, sto per approdare alla mia isola felice.

Un viaggio lungo, irto di ostacoli e imprevisti. Monti da scalare, discese ripide e abissi interminabili, poi il sole, di nuovo il buio e infine il cielo stellato.

Lungo il viaggio ho incontrato tanti personaggi, tutti mi hanno dissetato nel momento del bisogno o donato un sorriso o una parola di conforto.

Finalmente dopo trentatré giorni di ospedale il ri-torno a casa mia.

Vi sono stati dei giorni che disperavo di rivedere la mia collina, la catena degli Appennini, il bel mon-te Taburno e la Dormiente del Sannio. Mi mancava la mia terrazza ove la brezza silvana profumata della sera mi accarezzava la pelle. Un mondo mio, il mio piccolo regno, la mia preziosa famiglia.

Sono incapace di camminare, ma felice. L’aria di casa mi da linfa e vita, mi sento rinasce-

re. L’abnegazione di mia moglie, donna silenziosa e forte e l’affetto dei miei figli mi ha dato la forza della rinascita.

Dei giorni passati del lungo viaggio rimane solo un ricordo: la barba bianca, ora ben curata.

Tre giorni in Terapia Intensiva e tutto va bene. Respiro liberamente, mi sento in forma.

Altri pazienti sono stati operati lo stesso giorno e tutti stanno in ottima salute.

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eventi

ModicaIris di Daniela Fava presentato al Caffè letterarioSalvatore Quasimodo

«Se le porte della percezione fossero purifica-te, tutto apparirebbe all’uomo come in effetti è. Infinito».

Questa frase, tratta dal The Marriage of Heaven and Hell del poeta, scrittore e artista visionario William Blake (1757-1827), potrebbe diventare l’e-pigrafe di Iris.

L’idea-forza del nuovo romanzo di Daniela Fava, che ricorre anche nella sua precedente produzione letteraria, è che ci sono cose che possiamo spiegare solo con l’esistenza di dimensioni parallele ove agi-scono forze arcane e misteriose. Per entrare in con-tatto con questa realtà paranormale bisogna porsi in uno stato ricettivo, di ascolto, libero da pregiudizi.

Nella vita di tutti i giorni accadono cose inspiega-bili. Dejà vu, sogni ricorrenti, presentimenti, premo-nizioni ci spalancano le porte di un mondo ignoto che cerchiamo di soffocare entro gli angusti confini della razionalità e che invece dovremmo impara-re ad esplorare. Proprio come la protagonista del romanzo.

Iris è ambientato nel presente (2011) tra Venezia e la Sicilia. È un giallo, anche se non mancano incur-sioni in altri generi letterari, come il romanzo sto-rico e il gotico. Vi si affronta un cold case, un caso irrisolto risalente a 70 anni prima: una morte archi-viata come suicidio, ma su cui non è ancora venuta fuori tutta la verità.

La protagonista, Bianca, è un’insegnante di fran-cese che vive e lavora in un paesino ai piedi dell’Et-na. Nelle prime pagine del libro sposa Antonio, un docente di matematica e scienze. Meta del viaggio di nozze è Venezia. Bianca ha una spiccata sensibilità verso i fenomeni paranormali.

Bianca, fin da piccola, sogna una giovane donna con un iris in mano. La protagonista non sa chi sia o cosa sia quella dama con l’iris, ma nel profondo è come se la conoscesse da sempre. Poi la notte prima delle nozze, accade qualcosa che le cambia la vita. La donna sognata le rivolge la parola. I sogni, le visioni, gli stati di trance si moltiplicano. E diventano sem-pre più inquietanti e angoscianti.

Una serie impressionante di coincidenze, la attira nei luoghi in cui la misteriosa dama con l’iris ha vis-suto. L’albergo veneziano - ricavato in un settecen-tesco palazzo nobiliare - in cui gli sposi alloggiano è uno di questi. Non a caso Bianca, imboccato per errore un corridoio chiuso al pubblico, scopre in una galleria il ritratto della dama con l’iris.

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Non le resta, dunque, che affidarsi allo studio dei fenomeni paranormali. Comincia a consultare libri esoterici su apparizioni di defunti, viaggi nell’aldilà e comunicazioni con entità invisibili. E si mette alla ricerca della verità che la porterà alla conoscenza di sé e delle sue vere origini.

Bianca vola a Venezia per raccogliere notizie e informazioni dalla flebile voce dell’ultima proprieta-ria dell’albergo, la novantenne Camilla. Solo l’anzia-na può dirle chi è la dama con l’iris, ritratta in quel quadro.

Il suo racconto è un flashback sulla storia di una nobile famiglia veneziana, dal 1921 al 1945. In una notte di pioggia il duca De Labier porta a casa una neonata, frutto di una relazione extraconiugale con madame Colette, una prostituta francese che ha fat-to fortuna a Venezia divenendo la tenutaria di una lussuosa casa di piacere. Alla bimba è dato il nome Iris, perché questo fiore è stato il portafortuna e il simbolo stesso della madre, morta durante il parto.

Iris, ignara delle sue origini, cresce con la sorel-lastra Emma, figlia legittima del duca e della moglie, anch’ella prematuramente scomparsa. Le due sorel-le hanno caratteri opposti: tanto Emma è crudele e senza cuore, quanto Iris è dolce e sensibile. In punto di morte, il duca ottiene da Emma la promessa che manterrà il silenzio sui natali della sorella, alme-no finché questa non raggiungerà la maggiore età, pena l’esclusione dall’eredità in virtù di un vincolo testamentario.

Emma comincia a covare verso la sorella un odio così forte da innescare una vera e propria perse-cuzione, senza esclusione di colpi, lasciandosi alle spalle una lunga scia di sangue. La donna teme di dover dividere l’eredità con la “bastarda” e la fa cre-scere in un collegio di suore da dove esce solo da maggiorenne. Ai motivi personali di odio (il ranco-re per l’amore paterno che ha dovuto dividere con lei, l’invidia per la sua bellezza, il timore di perdere l’eredità) e alla gelosia (il proprio marito, Giorgio Ferris, figlio di un industriale del Nord e dirigente del partito fascista, nutre un segreto amore per Iris), si aggiungono anche le ragioni politiche quando Iris, dopo l’8 settembre 1943, si unisce ai partigiani sulle montagne.

E qui si consuma una vicenda d’amore e morte, odi e speranze, viltà ed eroismi, sullo sfondo dei drammatici eventi che sconvolsero il paese duran-te la seconda guerra mondiale. Iris si innamora di un partigiano, Sandro alias “Libero”, viene catturata dalle SS e deportata nel campo di concentramento femminile di Ravensbruck dove subisce umiliazioni e torture. L’autrice compie un lavoro di puntuale e puntigliosa ricostruzione storica attraverso la lettu-ra di saggi storici sulla Resistenza e sull’Olocausto. Liberata grazie all’intervento del cognato Giorgio, ufficiale fascista, ritorna nel palazzo della sorella per

trascorrervi la convalescenza. È qui che dà alla luce un bimbo, concepito con “Libero”. Emma incarica una serva di toglierle il bimbo e ucciderlo. Per lei, che non ha avuto figli, quel bimbo minaccia l’integri-tà del suo patrimonio. Ma la serva non ha il coraggio di compiere l’infanticidio e lo abbandona sulle scale della chiesa di Santa Maria del Giglio.

Poi la puerpera sarà inghiottita per sempre nelle acque scure di Venezia. Suicidio od omicidio? Non aggiungo altro per non svelare la conclusione.

Iris presenta due livelli di lettura. La qualità prin-cipale del romanzo, evidente già a una prima lettura, sta nella narrazione avvincente e intrigante, ricca di suspense e di mistero. Nelle sue pagine c’è qualcosa di magnetico che cattura il lettore e lo spinge ad ar-rivare subito alla fine.

A un secondo e più profondo livello di lettura emerge, invece, l’abilità dell’autrice nel tessere una complessa trama narrativa, fitta di rimandi, precor-rimenti, relazioni simboliche, riferimenti interni, giochi di specchi, simmetrie e coppie oppositive, dove ogni dettaglio, anche quello in apparenza più irrilevante, possiede un significato preciso in un’ar-chitettura di senso dove tutto si tiene.

Per ascoltare le voci dell’ignoto, il cuore e la men-te devono purificarsi, devono essere candidi come un iris. Da qui il nome-simbolo delle protagoniste femminili: Bianca e Iris. L’una è l’alter ego dell’altra. Entrambe entrano in contatto con una dimensione paranormale. A Iris, prigioniera nel campo di con-centramento nazista, appare in sogno la madre che le reca conforto e la invita a resistere; mentre è con-valescente in casa della sorella, sogna il “suo” parti-giano che le comunica la propria morte.

Bianca-Iris: il loro è un nomen-omen, un nome che reca in sé un destino. “Iris” è il nome greco dell’arcobaleno, simbolo di ritorno alla quiete rasse-renatrice dopo le tempeste della vita. Ciò vuol dire che le protagoniste non si acquieteranno finché non avranno scoperto la verità. Purezza, dunque; ma an-che ricerca della verità e aspirazione alla quiete. La pioggia, che ha un legame dialettico con l’arcobale-no, scandisce i momenti cruciali della loro vita. Piove quando Iris viene al mondo, quando il notaio le con-segna il testamento del duca De Labier, che scatena la furia distruttrice di Emma. Ma anche quando il bimbo di Iris è abbandonato sulle scale della chiesa.

Se tra Bianca e Iris vi sono forti somiglianze e analogie, la seconda ha un legame oppositivo con Emma, non solo dal punto di vista caratteriale. Iris è fertile e dà alla luce un bimbo, mentre Emma è ste-rile e non può avere figli. Diverse nella vita, le due donne vanno incontro a morti opposte. Iris anne-gherà nell’acqua del mare, Emma morirà fra le fiam-me sprigionatesi dal camino.

Su un piano simbolico, l’acqua è la sorgente della vita, la matrice che sotto forma di liquido amniotico

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e acque primordiali dà inizio alla vita. L’acqua rap-presenta il principio femminile per eccellenza. Dalla sorgente in cui nasce, giunge al mare, diventando prima torrente e poi fiume in un processo di conti-nua trasformazione che è la sua vera forza. L’acqua scorre nelle profondità della terra e torna in superfi-cie portando con sé energie segrete.

Il fuoco racchiude il principio maschile, incite-rebbe ad un azione distruttrice se non fosse mode-rato dagli altri elementi. L’acqua si oppone alla forza distruttrice del fuoco. Nell’iniziazione esoterica, il fuoco ha una funzione purificatrice, bruciando ogni desiderio e passione.

Parallelismi simili si ritrovano anche tra i perso-naggi maschili del romanzo, Giorgio Ferri e il parti-giano “Libero” uniti dall’amore per la stessa donna, ma divisi dall’ideologia politica e dal tradimento di una causa. “Libero” è un disertore dell’esercito pas-sato nelle file dei partigiani. Giorgio è un ufficiale fascista doppiogiochista. Nessuno dei due riesce a proteggere Iris dalla fine che la attende.

Queste corrispondenze di nomi e di significati poggiano su una struttura profonda del testo che è quella del tempo circolare. Il tempo ciclico è come una ruota in cui tutti gli esseri eternamente nasco-no, muoiono e rinascono, come in una sorta di rein-carnazione delle anime.

Da questo punto di vista, due temi acquistano a mio avviso un ruolo centrale nel romanzo. Il pri-mo è la maternità, l’altro è quello della memoria. La procreazione rappresenta non soltanto il filo sottile che lega tra loro i protagonisti della storia con oscuri legami di sangue ma anche lo strumento attraverso cui il destino si compie. Nel sangue “scorre” il desti-no: «Noi tutti siamo prigionieri del nostro destino - l’autrice fa dire all’anziana Camilla - in quanto nel nostro sangue scorre il nostro destino» (p. 184). Gli spettri, le ombre del passato, le voci dell’al di là, fuo-ri di metafora rappresentano non solo la memoria biologica che lega gli individui ai loro avi ma anche l’irrisolto del destino che sopravvive nel dramma esistenziale dei protagonisti.

Il libro deve la sua forza di attrazione a una stra-tegia testuale efficace e complessa, che padroneggia con grande abilità le tecniche narrative. Grazie a uno stile semplice, a una scrittura tutta cose e a una resa filmica delle varie sequenze, questo libro si pre-sta bene (e si candida) a una trasposizione televisiva.

Giovanni Criscione