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Impatto Mag - ISSUE #13

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www.impattomagazine.it // [email protected] // Impatto Magazine - ISSUE #13. Questa settimana in primo piano: Tattoo Culture - Segni sulla pelle, disegni dell'anima. Follow Us on Facebook: https://www.facebook.com/impattomagazine

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Investire nella pubblicità in tempo di crisi è costruirsi

le ali mentre gli altri precipitano

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le ali mentre gli altri precipitano

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!MPATTO - SommarioN.13 | 31 Dicembre 2014

CONTENUTI

Your Body is a Battleground

I Caravaggio. Veri e veritieri. Pennellate che rompono con la loro anima come un’immagine speculare della società di ieri e di oggi. Su fondi scuri, per dare luce alla realtà. Dai bassifondi della vita per una riflessione oltre la tela.Dal buio

AfricanMiddle Class

3

45.

25.

Da un segno iniziale, ad un simbolo studiato per indicare uno status, per poter esprimere un’emozione, un valore. Per stabilire autorità, rango sociale, rito di passaggio. Il tattoo è una delle forme più antiche di espressione artistica, è l’atto di incidere sulla propria pelle il proprio Io per rafforzarne l’immagine. è l’inchiostro che penetra la pelle, indelebile, come un pensiero manifesto, per tutta la vita.

7.

Page 5: Impatto Mag - ISSUE #13

magazine di approfondimento

[email protected]

Direttore ResponsabileEmanuela Guarnieri

Responsabile EditorialeGuglielmo Pulcini

ContributiAnna AnnunziataGiorgia MangiapiaMarina FinaldiFlavio Di FuscoPierluigi PataccaGennaro BattistaMarco TreguaLiliana SquillacciottiEleonora BaluciValerio VarchettaJosy MonacoArmando De Martino

GraficaEnnio GrillettoVittoria Fiorito

Edito da Gruppo Editoriale ImpattoIT [email protected] CoordinamentoPulseoIT 07369271213 [email protected]

Testata Registrata presso il tribunale di Napoli con decreto presidenziale numero 22 del 2 Aprile 2014.

Le foto presenti su Impatto Mag sono state in larga parte prese da Internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, lo possono segnalare alla redazione (tramite e-mail: [email protected]) che provvederà prontamente alla rimozione delle immagini utilizzate.

Salvate il Pianeta Terra

Vite di scartoScarti di vista

La Crisidi Putin

19.

L’economia della Nuova Zelanda batte quella australiana. Una storica vittoria come a Rugby.

L’ecomomia come il Rugby

5

41.

55.

!MPATTO

L’uomo distruttore e la Terra come forma d’arte.

Salvaguardarla e proteggerla perché Madre di tutto.

Iniziando dagli scarti alimentari per produrre energia. Dalla

potenza all’atto aristotelico, è energia la capacità di

trasformare per ricreare. È energia, la volontà di agire

in maniera consapevole per salvare se stessi e il Pianeta.

83.

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stanco della vecchia editoria?

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!MPATTO MAG viene distribuito gratuitamente.

!MPATTO MAG offre ogni settimana una linea editoriale innovativa.

!MPATTO MAG con i suoi formati si apre a tutte le device digitali.

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Chi di voi vorrà fare il giornalistasi ricordi di scegliere il proprio padroneil lettore!Indro Montanelli

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Your Body is a BattlegroundDa un segno iniziale, ad un simbolo studiato per indicare uno status, per poter esprimere, attraverso un disegno, un’emozione, un valore. Per stabilire autorità, prestigio, sensualità, rango sociale, rito di passaggio. Il tattoo è una delle forme più antiche di espressione artistica, è l’atto di incidere sulla propria pelle il proprio Io per rafforzarne l’immagine. È l’inchiostro che penetra la pelle, indelebile, come un pensiero manifesto, per tutta la vita.

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!MPATTO - LifeN.13 | 31 Dicembre 2014 !MPATTO - LifeN.13 | 31 Dicembre 2014 !MPATTO - LifeN.13 | 31 Dicembre 2014

Da un segno iniziale, ad un simbolo studiato per indicare uno status, per poter esprimere, attraverso un disegno, un’emozione, un valore. Per stabilire autorità, prestigio, sensualità, rango sociale, rito di passaggio. Il tattoo è una delle forme più antiche di espressione artistica, è l’atto di incidere sulla propria pelle il proprio Io per rafforzarne l’immagine. È l’inchiostro che penetra la pelle, indelebile, come un pensiero manifesto, per tutta la vita.

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Your Body is a Battleground

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a che mondo è mondo, l’uomo ha sempre modificato il proprio corpo: che sia per esprimere la propria person-

alità o per ragioni puramente es-tetiche, che traduca l’esigenza di appartenere a un gruppo sociale ben definito oppure una volontà ribelle, le pratiche più disparate di body modification hanno sempre accompagnato il nostro viaggio evolutivo. Testimonianza di ciò è sicuramente la scoperta, recente, di una forma primitiva di tatuaggio sul corpo mummificato di Ötzi. Una se-rie ordinata di linee e croci, ottenute praticando incisioni nella pelle e poi sfregandole con carbone vegetale, adornano la spina dorsale, il pol-paccio ed i piedi dell’uomo venuto dal ghiaccio. Essi non avevano uno scopo decorativo bensì terapeutico, poiché i punti del corpo in cui sono presenti mostrano segni di usura pregressa. L’usanza di fregare la cenere su una ferita aperta è ancora presente in alcune tribù africane, le quali adottano di frequente la prat-ica della scarificazione (dal latino “scarificare”, incidere). Tra queste ci sono i Dassanech, popolazione nomade che insegue il grande

D

u

La forma della pelle e dell’animaApparire per essere o essere per apparire? Colori che si fondono,

disegni che prendono forma per dar forma alla pelle e forse all’anima.

(Ph. Claire Lim - 2012)

a che mondo è mondo, l’uomo ha sempre modificato il proprio corpo: che sia per esprimere la propria person-

alità o per ragioni puramente es-tetiche, che traduca l’esigenza di appartenere a un gruppo sociale ben definito oppure una volontà ribelle, le pratiche più disparate di body modification hanno sempre accompagnato il nostro viaggio evolutivo. Testimonianza di ciò è sicuramente la scoperta, recente, di una forma primitiva di tatuaggio sul corpo mummificato di Ötzi. Una se-rie ordinata di linee e croci, ottenute praticando incisioni nella pelle e poi sfregandole con carbone vegetale, adornano la spina dorsale, il pol-paccio ed i piedi dell’uomo venuto dal ghiaccio. Essi non avevano uno scopo decorativo bensì terapeutico, poiché i punti del corpo in cui sono presenti mostrano segni di usura pregressa. L’usanza di fregare la cenere su una ferita aperta è ancora presente in alcune tribù africane, le quali adottano di frequente la prat-ica della scarificazione (dal latino “scarificare”, incidere). Tra queste ci sono i Dassanech, popolazione nomade che insegue il grande

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N

u

I ruoli del villaggioDal significato al significante

In una tribù, ogni segno è simbolico e mistico. Assume significato vitale

e stabilisce ruoli definiti.(Ph. Brent Stirton - 2010)

fiume Omo e che vive prin-cipalmente di pastorizia. Im-magino la notte in Etiopia. È buio pesto, un uomo fa ritor-no alla sua capanna di legno e fango. Ha le mani coperte di sangue. Questa notte ha ucciso. Ha ucciso la bestia che per tre notti ha cacciato il suo gregge, massacrando le sue povere capre una dopo l’altra. Con la mano lunga e nodosa si tocca il petto. Le dita percorrono la pelle co-riacea, ricoperta da una miri-ade di piccole escrescenze, cicatrici in rilievo. Ricorda il motivo della corazza di un coccodrillo, animale forte, animale sacro. Il fuoco è ac-ceso nella capanna. Il guer-riero si accovaccia, le piume del suo copricapo d’argilla ondeggiano. Con il coltello si

pratica un’ incisione sul pet-to. Qualche goccia di sangue bagna il terreno sotto i suoi piedi, ma dalle labbra dell’ uomo non esce alcun suono. Con la cenere del focolare sfrega la ferita fresca: ora c’ è una nuova tacca sulla tela che racconta la sua vita...

ella cultura Das-sanech, la scari-ficazione è molto diffusa. Gli uo-

mini della tribù, in parecchi casi anche le donne, incidono delle tacche orizzontali sul proprio corpo (di solito il petto) allo scopo di indicare la sconfitta di un nemico, sia esso umano oppure animale. In questo modo, la cicatrice svolge la doppia funzione di ornamento e appartenenza

ad un gruppo sociale. La scarificazione non è l’ unica tecnica di body modification che le popolazioni Dassanech utilizzano tradizionalmente. Un’ altra pratica assai dif-fusa è quella della circonci-sione dei genitali maschili e femminili, che rappre-senta un vero e proprio rito di passaggio all’età adulta. L’evento segna in particolar modo la vita delle ragazze, le quali cominciano ad es-sere considerate donne vere e proprie solamente dopo la recisione del clitoride: prima del rito vengono, in-fatti, chiamate “ragazzi” all’ interno della tribù, per via della somiglianza di quella particolare area del corpo femminile al pene. La mu-tilazione assume, dunque,

fiume Omo e che vive princi-palmente di pastorizia. Im-magino la notte in Etiopia. È buio pesto, un uomo fa ritor-no alla sua capanna di legno e fango. Ha le mani coperte di sangue. Questa notte ha ucciso. Ha ucciso la bestia che per tre notti ha cacciato il suo gregge, massacrando le sue povere capre una dopo l’altra. Con la mano lunga e nodosa si tocca il petto. Le dita percorrono la pelle co-riacea, ricoperta da una miri-ade di piccole escrescenze, cicatrici in rilievo. Ricorda il motivo della corazza di un coccodrillo, animale forte, animale sacro. Il fuoco è ac-ceso nella capanna. Il guer-riero si accovaccia, le piume del suo copricapo d’argilla ondeggiano. Con il coltello si

pratica un’ incisione sul pet-to. Qualche goccia di sangue bagna il terreno sotto i suoi piedi, ma dalle labbra dell’ uomo non esce alcun suono. Con la cenere del focolare sfrega la ferita fresca: ora c’ è una nuova tacca sulla tela che racconta la sua vita...

ella cultura Das-sanech, la scari-ficazione è molto diffusa. Gli uo-

mini della tribù, in parecchi casi anche le donne, incidono delle tacche orizzontali sul proprio corpo (di solito il petto) allo scopo di indicare la sconfitta di un nemico, sia esso umano oppure animale. In questo modo, la cicatrice svolge la doppia funzione di ornamento e appartenenza

ad un gruppo sociale. La scarificazione non è l’ unica tecnica di body modification che le popolazioni Dassanech utilizzano tradizionalmente. Un’ altra pratica assai dif-fusa è quella della circonci-sione dei genitali maschili e femminili, che rappre-senta un vero e proprio rito di passaggio all’età adulta. L’evento segna in particolar modo la vita delle ragazze, le quali cominciano ad es-sere considerate donne vere e proprie solamente dopo la recisione del clitoride: prima del rito vengono, in-fatti, chiamate “ragazzi” all’ interno della tribù, per via della somiglianza di quella particolare area del corpo femminile al pene. La mu-tilazione assume, dunque,

I ruoli del villaggioDal significato al significante

In una tribù, ogni segno è simbolico e mistico. Assume significato vitale

e stabilisce ruoli definiti.(Ph. Brent Stirton - 2010)

I ruoli del villaggioDal significato al significante

In una tribù, ogni segno è simbolico e mistico. Assume significato vitale

e stabilisce ruoli definiti.(Ph. Brent Stirton - 2010)

I ruoli del villaggioDal significato al significante

In una tribù, ogni segno è simbolico e mistico. Assume significato vitale

e stabilisce ruoli definiti.(Ph. Brent Stirton - 2010)

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P

u

per quanto possa suonare strano, una connotazione positiva, poiché determina il riconoscimento di un ruolo ben definito e rispettato in seno alla società. I Dassanech non sono l’unica popolazione della Omo Valley a servirsi di tecniche più o meno invasive di body modi-fication per ragioni sociali o es-tetiche.

iù giù, lungo il fiume, una donna Mursi, av-volta in una tunica color della terra che le lascia

un seno scoperto, allatta l’ ultimo dei suoi bambini. Porta una coro-na di perline colorate intorno alla testa; appesa alle orecchie c’è una complicata struttura d’osso e cor-da. La cosa più stupefacente di lei sono le labbra: labbra tra le quali è incastonato un piattino d’argilla di circa venti centimetri di diametro. La pelle attorno al disco è tesa, sembra stia per spezzarsi sotto il peso dell’ oggetto. Quando, a sera, la donna rimuove il piattino prima di coricarsi, il labbro inferiore, pri-vo del suo sostegno, pende floscio e sporgente lungo il volto. Le donne Mursi cominciano a indos-sare un disco decorativo di legno o di argilla qualche mese prima del matrimonio. Per far spazio al piat-tino, di solito, vengono asportati anche i due incisivi inferiori. Con il passare degli anni, e dell’ espe-rienza, le Mursi utilizzano dischi sempre più grandi fino ad arrivare, nel caso più estremo conosciuto, a oltre i cinquanta centimetri di diametro. I dischi vengono deco-rati a mano personalmente dalle donne che li indossano e sono per loro motivo di grande orgo-glio, oltre che simbolo di forza e bellezza.Anche se la pratica della dilatazione del labbro inferiore a fine puramente estetico sta ca-dendo sempre più in disuso tra le giovani Mursi, molte donne con-tinuano a portare il disco d’argilla al labbro poiché tale consuetudine attrae i turisti di tutto il mondo. Una sorte analoga è toccata alle

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per quanto possa suonare strano, una connotazione positiva, poiché determina il riconoscimento di un ruolo ben definito e rispettato in seno alla società. I Dassanech non sono l’unica popolazione della Omo Valley a servirsi di tecniche più o meno invasive di body modi-fication per ragioni sociali o es-tetiche.

iù giù, lungo il fiume, una donna Mursi, av-volta in una tunica color della terra che le lascia

un seno scoperto, allatta l’ ultimo dei suoi bambini. Porta una coro-na di perline colorate intorno alla testa; appesa alle orecchie c’è una complicata struttura d’osso e cor-da. La cosa più stupefacente di lei sono le labbra: labbra tra le quali è incastonato un piattino d’argilla di circa venti centimetri di diametro. La pelle attorno al disco è tesa, sembra stia per spezzarsi sotto il peso dell’ oggetto. Quando, a sera, la donna rimuove il piattino prima di coricarsi, il labbro inferiore, pri-vo del suo sostegno, pende floscio e sporgente lungo il volto. Le donne Mursi cominciano a indos-sare un disco decorativo di legno o di argilla qualche mese prima del matrimonio. Per far spazio al piat-tino, di solito, vengono asportati anche i due incisivi inferiori. Con il passare degli anni, e dell’ espe-rienza, le Mursi utilizzano dischi sempre più grandi fino ad arrivare, nel caso più estremo conosciuto, a oltre i cinquanta centimetri di diametro. I dischi vengono deco-rati a mano personalmente dalle donne che li indossano e sono per loro motivo di grande orgo-glio, oltre che simbolo di forza e bellezza.Anche se la pratica della dilatazione del labbro inferiore a fine puramente estetico sta ca-dendo sempre più in disuso tra le giovani Mursi, molte donne con-tinuano a portare il disco d’argilla al labbro poiché tale consuetudine attrae i turisti di tutto il mondo. Una sorte analoga è toccata alle

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La sua esistenza, la sua presenzaDalla terra alla terra. L’uomo è parte

della Natura e come tale esprime e manifesta con forme e sfumature la

sua esistenza, la sua presenza.(Ph. Photito Travel - 2013)

La sua esistenza, la sua presenzaDalla terra alla terra. L’uomo è parte

della Natura e come tale esprime e manifesta con forme e sfumature la

sua esistenza, la sua presenza.(Ph. Photito Travel - 2013)

La sua esistenza, la sua presenzaDalla terra alla terra. L’uomo è parte

della Natura e come tale esprime e manifesta con forme e sfumature la

sua esistenza, la sua presenza.(Ph. Photito Travel - 2013)

La sua esistenza, la sua presenzaDalla terra alla terra. L’uomo è parte

della Natura e come tale esprime e manifesta con forme e sfumature la

sua esistenza, la sua presenza.(Ph. Photito Travel - 2013)

La sua esistenza, la sua presenzaDalla terra alla terra. L’uomo è parte

della Natura e come tale esprime e manifesta con forme e sfumature la

sua esistenza, la sua presenza.(Ph. Photito Travel - 2013)

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!MPATTO - LifeN.13 | 31 Dicembre 2014

donne Padaung, altrimenti note come “donne giraffa” o “ donne cigno”, in Thai-landia. Qui, nel villaggio di Mae Hong Son, i turisti af-follano strade e luoghi pub-blici per fotografare le donne dai lunghi colli impegnate nelle loro attività quotidi-ane. Eccone una lì, accovac-ciata presso il telaio, intenta a filare, gli occhi a mandorla che seguono il disegno della

stoffa, le mani veloci, il tin-tinnio dei braccialetti. Ecco il fruscio del fazzoletto col-orato che porta sulla testa, il guizzo dell’ ottone che brilla al suo collo...

e Padaung comin-ciano volontari-amente a indos-sare anelli d’

ottone intorno al collo all’età di cinque anni, aggiungendo

periodicamente altri an-elli fino a provocare lo slit-tamento della clavicola che conferisce loro il caratteris-tico aspetto da cigno. Secon-do la tradizione popolare, le donne Padaung indossano la spirale d’ottone come tributo alla dragonessa che, unitasi al vento, diede origine al loro popolo. Molte di esse indos-sano spirali analoghe anche intorno alle caviglie. Il fatto

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donne Padaung, altrimenti note come “donne giraffa” o “ donne cigno”, in Thai-landia. Qui, nel villaggio di Mae Hong Son, i turisti af-follano strade e luoghi pub-blici per fotografare le donne dai lunghi colli impegnate nelle loro attività quotidi-ane. Eccone una lì, accovac-ciata presso il telaio, intenta a filare, gli occhi a mandorla che seguono il disegno della

stoffa, le mani veloci, il tin-tinnio dei braccialetti. Ecco il fruscio del fazzoletto col-orato che porta sulla testa, il guizzo dell’ ottone che brilla al suo collo...

e Padaung comin-ciano volontari-amente a indos-sare anelli d’

ottone intorno al collo all’età di cinque anni, aggiungendo

periodicamente altri an-elli fino a provocare lo slit-tamento della clavicola che conferisce loro il caratteris-tico aspetto da cigno. Secon-do la tradizione popolare, le donne Padaung indossano la spirale d’ottone come tributo alla dragonessa che, unitasi al vento, diede origine al loro popolo. Molte di esse indos-sano spirali analoghe anche intorno alle caviglie. Il fatto

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che gli abitanti del villag-gio di Mae Hong Son siano praticamente considerati dai turisti non come persone, ma come parte del paesag-gio esotico, il fatto che il loro sfoggiare la propria cultura, le proprie origini al collo au-tomaticamente li etichetti come fenomeni alieni da fotografare al pari di un bel tramonto o un animale buffo per poi sfoggiarli, a mò di

trofeo, alle cene coi parenti di rientro dalle vacanze, la dice già lunga sul nostro modo di intendere l’arte della body modification.Se, infatti, nei casi che abbiamo elencato, tatuaggi e body modification esprimono in massima parte il senso di appartenenza a una determinata comunità e sono simbolo di una identità collettiva quasi spirituale, nel nostro Occidente tatuag-

gi e modificazione del corpo assolvono al compito diam-etralmente opposto: quello di prendere le distanze dalla società, di differenziarci da-gli altri.

atuaggi, scarifi-cazione, piercing, innesti sottocu-tanei rispondono

alla nostra esigenza di gri-dare al mondo la nostra

T

L’accattivante riflessoUn ornamento per ammaliare

Nella rigidità di un collo d’ottone, la sensualità dell’inavvicinabile.

L’accattivante riflesso di un metallo che veste e allo stesso tempo scopre.

(Ph. Valerio Berdini - 2013)

che gli abitanti del villag-gio di Mae Hong Son siano praticamente considerati dai turisti non come persone, ma come parte del paesag-gio esotico, il fatto che il loro sfoggiare la propria cultura, le proprie origini al collo au-tomaticamente li etichetti come fenomeni alieni da fotografare al pari di un bel tramonto o un animale buffo per poi sfoggiarli, a mò di

trofeo, alle cene coi parenti di rientro dalle vacanze, la dice già lunga sul nostro modo di intendere l’arte della body modification.Se, infatti, nei casi che abbiamo elencato, tatuaggi e body modification esprimono in massima parte il senso di appartenenza a una determinata comunità e sono simbolo di una identità collettiva quasi spirituale, nel nostro Occidente tatuag-

gi e modificazione del corpo assolvono al compito diam-etralmente opposto: quello di prendere le distanze dalla società, di differenziarci da-gli altri.

atuaggi, scarifi-cazione, piercing, innesti sottocu-tanei rispondono

alla nostra esigenza di gri-dare al mondo la nostra

L’accattivante riflessoUn ornamento per ammaliare

Nella rigidità di un collo d’ottone, la sensualità dell’inavvicinabile.

L’accattivante riflesso di un metallo che veste e allo stesso tempo scopre.

(Ph. Valerio Berdini - 2013)

L’accattivante riflessoUn ornamento per ammaliare

Nella rigidità di un collo d’ottone, la sensualità dell’inavvicinabile.

L’accattivante riflesso di un metallo che veste e allo stesso tempo scopre.

(Ph. Valerio Berdini - 2013)

L’accattivante riflessoUn ornamento per ammaliare

Nella rigidità di un collo d’ottone, la sensualità dell’inavvicinabile.

L’accattivante riflesso di un metallo che veste e allo stesso tempo scopre.

(Ph. Valerio Berdini - 2013)

L’accattivante riflessoUn ornamento per ammaliare

Nella rigidità di un collo d’ottone, la sensualità dell’inavvicinabile.

L’accattivante riflesso di un metallo che veste e allo stesso tempo scopre.

(Ph. Valerio Berdini - 2013)

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È

individualità, il nostro “essere speciali”, essere unici. Quest’esigenza non è mai innocente o fine a sé stessa: si accompa-gna, infatti, alla propensione al voler far parlare di sé, al voler provocare a tutti i costi una reazione nell’altro, alla frenesia dell’affermare che io esisto e ho il diritto di fare al mio corpo ciò che mi pare, no-nostante le istituzioni. Non a caso, tatu-aggi e piercing sono da sempre tratto dis-tintivo delle subculture che abbracciano la ribellione e il rifiuto della società come stendardo.

sabato sera. Un giovane dai capelli lunghissimi sorseggia qualcosa al bancone del locale notturno. Con la testa tiene

il ritmo della musica. Gli occhi socchiusi sono di due colori diversi: uno è nero in-tenso, l’ altro di un bianco lattiginoso. Grossi spilloni gli perforano il labbro in-feriore. Sotto la barba a punta, la stampa della maglietta mostra il logo sbiadito è blasfemo di una qualche rock band del Nord Europa. Il ragazzo al bancone guarda la gente intorno a sé. Ballano, bevono, si scambiano convenevoli. Come lui, molti sfoggiano piercing, capelli lunghissimi e trucco pesante. Come per lui, le magliette extralarge di band sconosciute e i panta-loni in finta pelle che indossano, celano lo spettacolo variopinto di tatuaggi raf-figuranti draghi e croci celtiche, angeli della morte e simboli tribali. Sono tutti così impegnati a cercare di essere diversi da non accorgersi di somigliarsi tanto da sembrare uguali.

l documentario “Modify”, girato nel 2005 da Greg Jacobson e Jason Gary, cerca di definire il fenomeno della modificazione del corpo arriv-ando alla conclusione che tutto, dal

tagliarsi i capelli al farsi impiantare un paio di corna sotto pelle, può essere considera-to body modification. In quest’ottica, tutti facciamo parte di un’unica grande tribù, con le sue consuetudini e le sue regole, le sue tradizioni e contraddizioni, che fa della body modification, dell’apparenza, il ve-icolo più forte e più vero della sua espres-sione, che ci raggruppa non per la forza del nostro senso d’appartenenza, ma per la vulnerabilità nel nostro voler a tutti i costi essere “io”.

I

!MPATTO - LifeN.13 | 31 Dicembre 2014 !MPATTO - LifeN.13 | 31 Dicembre 2014

individualità, il nostro “essere speciali”, essere unici. Quest’esigenza non è mai innocente o fine a sé stessa: si accompa-gna, infatti, alla propensione al voler far parlare di sé, al voler provocare a tutti i costi una reazione nell’altro, alla frenesia dell’affermare che io esisto e ho il diritto di fare al mio corpo ciò che mi pare, no-nostante le istituzioni. Non a caso, tatu-aggi e piercing sono da sempre tratto dis-tintivo delle subculture che abbracciano la ribellione e il rifiuto della società come stendardo.

sabato sera. Un giovane dai capelli lunghissimi sorseggia qualcosa al bancone del locale notturno. Con la testa tiene

il ritmo della musica. Gli occhi socchiusi sono di due colori diversi: uno è nero in-tenso, l’ altro di un bianco lattiginoso. Grossi spilloni gli perforano il labbro in-feriore. Sotto la barba a punta, la stampa della maglietta mostra il logo sbiadito è blasfemo di una qualche rock band del Nord Europa. Il ragazzo al bancone guarda la gente intorno a sé. Ballano, bevono, si scambiano convenevoli. Come lui, molti sfoggiano piercing, capelli lunghissimi e trucco pesante. Come per lui, le magliette extralarge di band sconosciute e i panta-loni in finta pelle che indossano, celano lo spettacolo variopinto di tatuaggi raf-figuranti draghi e croci celtiche, angeli della morte e simboli tribali. Sono tutti così impegnati a cercare di essere diversi da non accorgersi di somigliarsi tanto da sembrare uguali.

l documentario “Modify”, girato nel 2005 da Greg Jacobson e Jason Gary, cerca di definire il fenomeno della modificazione del corpo arriv-ando alla conclusione che tutto, dal

tagliarsi i capelli al farsi impiantare un paio di corna sotto pelle, può essere considera-to body modification. In quest’ottica, tutti facciamo parte di un’unica grande tribù, con le sue consuetudini e le sue regole, le sue tradizioni e contraddizioni, che fa della body modification, dell’apparenza, il ve-icolo più forte e più vero della sua espres-sione, che ci raggruppa non per la forza del nostro senso d’appartenenza, ma per la vulnerabilità nel nostro voler a tutti i costi essere “io”.

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Un passato che ancora viveDischi deformanti. Per orgoglio,

forza e bellezza. Per cultura e tradizione. Per usanze di un lontano

passato che ancora vive. Per affascinanti significati da svelare.

(Ph. Brent Stirton - 2010)

Un passato che ancora viveDischi deformanti. Per orgoglio,

forza e bellezza. Per cultura e tradizione. Per usanze di un lontano

passato che ancora vive. Per affascinanti significati da svelare.

(Ph. Brent Stirton - 2010)

Un passato che ancora viveDischi deformanti. Per orgoglio,

forza e bellezza. Per cultura e tradizione. Per usanze di un lontano

passato che ancora vive. Per affascinanti significati da svelare.

(Ph. Brent Stirton - 2010)

Un passato che ancora viveDischi deformanti. Per orgoglio,

forza e bellezza. Per cultura e tradizione. Per usanze di un lontano

passato che ancora vive. Per affascinanti significati da svelare.

(Ph. Brent Stirton - 2010)

Un passato che ancora viveDischi deformanti. Per orgoglio,

forza e bellezza. Per cultura e tradizione. Per usanze di un lontano

passato che ancora vive. Per affascinanti significati da svelare.

(Ph. Brent Stirton - 2010)

Un passato che ancora viveDischi deformanti. Per orgoglio,

forza e bellezza. Per cultura e tradizione. Per usanze di un lontano

passato che ancora vive. Per affascinanti significati da svelare.

(Ph. Brent Stirton - 2010)

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uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visi-bile. Senza rendersi conto che la Natura che sta dis-truggendo è quel Dio che sta venerando”. Il pianeta Ter-

ra è la risorsa più grande che l’uomo possiede. Una risorsa non solo da sfruttare e spremere fino all’osso, ma da valorizzare per vivere in armonia con la natura e trarne un reciproco vantaggio; obiettivo purtroppo spesso sacrifi-cato in nome del progresso, dimenticando che le risorse non sono infinite e, soprattutto, che determinati comportamenti hanno come unica conseguenza la distruzione del pianeta stesso. La Terra ha dei diritti, e come tali vanno risp-ettati. Prendersene cura diventa quindi un do-vere vero e proprio, attuabile, a piccoli passi, a partire dal singolo uomo e cittadino fino alle grandi aziende e multinazionali. Nel 2014 la National Geographic Society (una delle più grandi associazioni senza scopo di lucro che si occupa di ambiente dal 1888) ha nominato 14 “emerging explorers”, riconoscimento dato a donne e uomini che si prendono cura del pia-neta con le loro idee ed invenzioni. Di questi 14 esploratori fa parte Sanga Moses, che partendo da uno dei maggiori problemi che affliggono il suo Paese, l’Uganda, ha realizzato un nuovo tipo di combustibile, ricavandolo da scarti ali-mentari. Per secoli l’unico combustibile con-osciuto da queste popolazioni è stata la legna;

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uuusalvate il pianetaterra

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Ottenere combustibile dagli scarti alimentari è un

ottimo rimedio per risolvere il problema dei rifiuti e

produrre nuova energia.

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deforestazione, malattie respiratorie e sottrazione dei bambini all’istruzione le conseguenze. Moses ha così progettato e poi real-izzato, fondando la Eco - Fuel Africa, delle macchine in grado di trasformare gli scarti dell’agricoltura, come residui di canna da zucche-ro, caffè, riso ed altri rifiu-ti, in bricchetti cilindrici, combustibile meno costoso e più ecologico del legno. Seguendo l’esempio di Mo-ses, trasformare gli scarti alimentari in energia non è più solo un’utopia, ma un modo concreto di porre rimedio a due dei problemi principali che affliggono l’uomo nell’epoca mod-erna: la sovrabbondanza di rifiuti e la carenza di fonti energetiche. Negli ultimi decenni l’umanità è stata costantemente alla ricerca di nuovi modi di produrre energia, privilegiando in modo particolare le fonti di energia pulita. I grandi disastri nucleari di Cher-nobyl, nel 1986, ed il recente disastro alla centrale di Fu-kushima, nel 2011 (entram-bi classificabili al 7° grado della scala INES - Interna-tional Nuclear Event Scale), incidenti gravissimi la cui entità in termini di danni a persone, cose e natura non è del tutto calcolabile, hanno lasciato un segno profondo, oltre ad un vivido ricordo nell’immaginario colletti-vo, spingendo l’uomo a tro-vare fonti di energia più si-cure e stabili, ma altrettanto produttive. Inoltre è sempre più impellente la necessità di trovare fonti alterna-tive ai combustibili fossili, quali carbone, gas naturali e petrolio, che pur essendo economici sono altamente inquinanti per l’ambiente

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prodotte più di 4 miliardi di tonnellate di rifiuti, metà provenienti dalle famiglie e metà come risultato di at-tività produttive ed indus-triali. Da questo dato si può facilmente dedurre come lo smaltimento dei rifiuti sia una vera e propria piaga della società moderna. Nei Paesi industrializzati la discarica è ancora il sistema più diffuso per lo smalti-mento dei rifiuti, sistema ancora largamente utiliz-zato in Italia, ma soggetto a diversi problemi, come la ricerca di nuovi spazi, la mal tolleranza delle popolazioni limitrofe, la pericolosità a livello ambientale. Dopo aver a lungo, e per troppo tempo, inquinato mari e fiumi con il riversamento di rifiuti e prodotto dios-sina, poi dispersa nell’aria, con gli inceneritori, si è giunti a capire che solo una corretta gestione dei rifiuti può rappresentare la soluzione del problema, iniziando con una specifica raccolta differenziata, at-tuabile già dal singolo cit-tadino nelle abitazioni pri-vate, fino all’ideazione ed alla costruzione di appositi impianti di smaltimento e riciclo. Delle 4 miliardi di tonnellate di rifiuti prodotte annualmente, 1,3 mili-ardi sono rifiuti di tipo ali-mentare, tra risultati della trasformazione e alimenti gettati via. Per risolvere en-trambi i problemi gli scarti alimentari possono essere trasformati in energia gra-zie ai termovalorizzatori o agli impianti a biomassa. I primi creano energia bru-ciando i rifiuti in appositi forni: la loro combustione produce calore che andrà a riscaldare l’acqua contenuta in una caldaia, producen-

ed elettricità, con i pan-nelli fotovoltaici. L’energia eolica sfrutta invece la forza del vento, tramite aero-generatori che producono elettricità; è una fonte verde e rinnovabile, che produce energia per il commercio in 83 Paesi del mondo. In-fine l’energia idroelettrica sfrutta l’energia cinetica prodotta dall’acqua, po-tenza sprigionatasi dal suo spostamento. Per quello che concerne invece il sec-ondo problema, secon-do l’International Solid Waste Association (ISWA, l’associazione mondiale che riunisce gli operatori del settore trattamento e smaltimento rifiuti) ogni anno, nel mondo, vengono

(per esempio essi determi-nano l’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera, aumento responsabile del surriscaldamento globale) e non sono rinnovabili, soggetti quindi ad un pro-gressivo esaurimento. Per questo negli ultimi decenni si è puntato molto su nuove fonti energetiche, quali l’energia solare, l’energia eolica e l’energia idro-elettrica. L’energia solare è la fonte di energia per ec-cellenza, la fonte primaria sul pianeta; infatti, è quella normalmente usata dagli organismi vegetali, tramite la fotosintesi clorofilli-ana. Essa viene sfruttata per la produzione di calore, con i pannelli solari termici,

è sempre più impellente la necessità di

trovare fonti alternative ai combustibili

fossili altamente inquinanti

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do vapore ed infine ener-gia elettrica. Gli impianti a biomassa invece sfruttano i rifiuti urbani, gli scarti del-le industrie agro-alimenta-ri, gli oli vegetali, diversi tipi di legname; l’energia viene prodotta mediante combus-tione diretta delle biomasse, o tramite pirolisi, ovvero una combustione in assenza di ossigeno che scinde i le-gami chimici, o tramite gas-sificazione, per estrarre i gas

di sintesi. Bruciare gli scarti alimentari non rappresenta però l’unica soluzione. L’UE finanzia il progetto di ricerca NOSHAN, presentato in oc-casione della Giornata mon-diale dell’alimentazione 2014 tenutasi il 16 ottobre, progetto volto a trasformare i rifiuti alimentari (in parti-colar modo latticini, frutta e verdura) in mangimi per animali, a basso costo e con un dispendio energetico

contenuto; tale esempio di riciclo potrebbe, sempre secondo il NOSHAN, por-tare anche alla creazione di specifici mangimi atti a prevenire le malattie e te-nere in buona salute gli ani-mali. Vi sono inoltre sempre in atto ricerche da parte di aziende ed università per recuperare gli scarti alimen-tari e trasformarli in mate-rie prime, come bioplastica, carburante o carta. Un in-

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Vi sono in atto ricerche da parte di aziende ed università.

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gegnere italiano, Alberto Volcan, ha brevettato un sistema per trasformare gli scarti della lavorazione del succo di frutta, mele in par-ticolare, per ricavare carta ed ecopelle, CartaMela e Pelle-Mela; i rifiuti essiccati pro-durrebbero infatti una par-ticolare farina bianca ricca di cellulosa. È del 2008 una ri-cerca del Cnr volta a trasfor-mare gli scarti di lavorazione del pomodoro (bucce e semi)

in plastiche di origine non petrolchimica, e quindi eco-logiche. Un’azienda inglese, la Ecotec (che già produce biodiesel dall’olio di cottura di scarto) ha sperimentato un metodo per ricavare car-burante, ecologico ed a bas-so costo, dagli scarti della lavorazione del cioccolato. Infine l’università La Sapi-enza di Roma sta cercando di promuovere l’utilizzo dei fondi di caffè come com-

bustibile per stufe e caldaie, riciclando quindi rifiuti ur-bani prodotti dai singoli cit-tadini Uomini, ricercatori, inventori che cercano di rendere il pianeta migliore, preservandone le risorse e difendendone le virtù, per-ché, come disse un tempo Andy Warhol, “credo che avere la Terra e non rovi-narla sia la più bella forma d’arte che si possa desid-erare”.

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La realtà senza drappi e senza cenciUna tela fatta di carne viva, muscoli contratti, volti sbarrati, occhi sconvolti e corpi scomposti. Veri e veritieri. Pennellate su dipinti che rompono con la loro anima come un’immagine speculare della società di ieri e di oggi. Su fondi scuri, per dare luce alla realtà. Dai bassifondi della vita per una riflessione oltre la tela.

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ell’era degli scatti veloci, delle im-magini per parlare, del selfie per af-fermare la propria esistenza, delle

foto per testimoniare stragi, disas-tri, vendette, progressi e regres-si, la realtà giunge con l’impatto dell’immediatezza. In un fermo immagine da osservare e interp-retare. Ma quale messaggio viene immortalato? Cosa osservano gli occhi? Cosa percepisce la mente? Davvero si ha di fronte la realtà o un’ immagine distorta di essa? Cosa c’è in quell’immagine? O meglio ancora: cosa si cela dietro quell’immagine? Si parta dal pre-supposto che immaginare è: in me mago agere. Lasciare agire il mago che c’è in me. In Arte, l’immaginare si traspone in osservazione attenta di ciò che l’occhio propone alla vi-sione, per ottenere la chiarezza di un’immagine limpida nella sua struttura interna, anche se non sempre visibile. La vita come luogo di contraddizioni risolte e super-ate perché idealizzate attraverso l’arte. D’altronde l’immaginare è anche ciò che appare dalla visione. Ciò che non si vede non interessa. Non è importante. L’attenzione

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puntuale deve cogliere il dato visibile e non vi è pos-sibilità di trasfigurazione del reale. Non è possibile nes-suna idealizzazione. La re-altà deve apparire nuda così com’è. Senza drappi, senza cenci. In un’aderenza intima alla realtà. In una compen-etrazione sanguigna, verace, dove scompaiono le bellezze e le perfezioni e compaiono le realtà nelle proprie verità. Realtà che assalgono per la loro drammatica veridicità. Realtà che parlano senza pa-role e lasciano sconvolte per la spietata onestà.

aravaggio docet. Caravaggio crea e imbarazza. Turba e ammutolisce.

Genialità dell’Arte. Materi-

alizzazione di un’intuizione interiore e superiore. Oggi sconvolgerebbe come al-lora. Per la sfrontatezza nel mostrare un mondo fatto di carne, muscoli, volti con-tratti, spaventati, indif-ferenti; di occhi sgranati, bocche aperte in una smorfia di dolore, stupore, passione; di corpi sporchi, quasi nudi e scomposti; di ventri gonfi, di frutta bacata e marcia, di foglie appassite, di person-aggi grossolani, dissacranti, umani; di morti vere e sangue reale. Guardare un Caravag-gio e rendersi conto che si possono ritrovare in esso le realtà di oggi. Compenetrarsi in quel buio alla ricerca della luce e vedere chiaramente il mondo dei nostri giorni. Come se quei corpi fossero

stati presi, allora come oggi, dalla vita reale e fossero stati posti su tela, inglobati in una cornice, in un misterioso e intrigante gioco di luci e ombre. I suoi dipinti assu-mono il ruolo di uno spec-chio attraverso cui potersi guardare specularmente. Come immagine rovesciata e peggiorata ma che ritrova in essi la stessa tensione. Fer-mando la famosa immagine che nasconde e lascia scorg-ere al contempo. Uno sfondo buio, risucchiato nell’ombra, un panneggio rosso sangue, la morte che incombe at-traverso tre espressioni di-verse, sangue che zampilla e schizza senza pietà alcuna. Siamo di fronte ad Oloferne, ubriaco e stordito, riverso su un letto che diventa

puntuale deve cogliere il dato visibile e non vi è pos-sibilità di trasfigurazione del reale. Non è possibile nes-suna idealizzazione. La re-altà deve apparire nuda così com’è. Senza drappi, senza cenci. In un’aderenza intima alla realtà. In una compen-etrazione sanguigna, verace, dove scompaiono le bellezze e le perfezioni e compaiono le realtà nelle proprie verità. Realtà che assalgono per la loro drammatica veridicità. Realtà che parlano senza pa-role e lasciano sconvolte per la spietata onestà.

aravaggio docet. Caravaggio crea e imbarazza. Turba e ammutolisce.

Genialità dell’Arte. Materi-

alizzazione di un’intuizione interiore e superiore. Oggi sconvolgerebbe come al-lora. Per la sfrontatezza nel mostrare un mondo fatto di carne, muscoli, volti con-tratti, spaventati, indif-ferenti; di occhi sgranati, bocche aperte in una smorfia di dolore, stupore, passione; di corpi sporchi, quasi nudi e scomposti; di ventri gonfi, di frutta bacata e marcia, di foglie appassite, di person-aggi grossolani, dissacranti, umani; di morti vere e sangue reale. Guardare un Caravag-gio e rendersi conto che si possono ritrovare in esso le realtà di oggi. Compenetrarsi in quel buio alla ricerca della luce e vedere chiaramente il mondo dei nostri giorni. Come se quei corpi fossero

stati presi, allora come oggi, dalla vita reale e fossero stati posti su tela, inglobati in una cornice, in un misterioso e intrigante gioco di luci e ombre. I suoi dipinti assu-mono il ruolo di uno spec-chio attraverso cui potersi guardare specularmente. Come immagine rovesciata e peggiorata ma che ritrova in essi la stessa tensione. Fer-mando la famosa immagine che nasconde e lascia scorg-ere al contempo. Uno sfondo buio, risucchiato nell’ombra, un panneggio rosso sangue, la morte che incombe at-traverso tre espressioni di-verse, sangue che zampilla e schizza senza pietà alcuna. Siamo di fronte ad Oloferne, ubriaco e stordito, riverso su un letto che diventa

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vittima dell’inganno di Giuditta. La lotta patriottica in difesa di un territorio che si combina in difesa della fede. L’essenza di una donna vedova in una società patriarcale e maschilista. Un gigante nel suo spasmo che tende ancora i muscoli e le mani aggrappate al lenzuolo. Una donna ferma e algida con braccia tese compie il suo dovere. Una serva anziana corrugata e ter-rorizzata osserva, in attesa di rac-coglierne la testa. Il rosso sangue è sulle mani sporche e negli occhi dei giovani musulmani, convinti di portare avanti una lotta patriottica e che abbandonano le loro famiglie per prendere parte ad una falsa idea diffusa dalle milizie dell’ISIS: una “crociata musulmana contro l’Occidente”.

o sfondo buio e nero è nelle nere band-iere dell’ISIS su cui campeggia la frase “There is no god but

God Muhammad is the messen-ger of God”. Nel Caravaggio il buio e la luce sono fonte di esaltazione di drammaticità delle scene. Una luce che arriva quasi brutalmente a scoprire parti di una scena che altrimenti resterebbero avvolte dalle tenebre. Nell’agire spietato e cruento dei combattenti dell’ISIS il buio è accecante e la luce ten-ebrosa. Sulla bandiera nera, la scritta bianca avvolge nel’orrore le vittime di atti terroristici com-piuti nel nome di uno scontro tra civiltà. Il patriottismo di Giuditta versus un mero desiderio di ven-detta colto in uno spasmo, quello di Oloferne moribondo. Un gigante bloccato in una smorfia di terrore, in quell’attimo in cui è sospeso tra la vita e la morte. In uno spasimo eterno. Come eterno sembra es-sere quel desiderio di vendetta agonizzante e inquietante dei jia-disti nel respingere la democrazia, la laicità, il nazionalismo. Intanto il mondo assiste, come l’anziana serva non bella e immobile, ad un martirio continuo, ad una u

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vittima dell’inganno di Giuditta. La lotta patriottica in difesa di un territorio che si combina in difesa della fede. L’essenza di una donna vedova in una società patriarcale e maschilista. Un gigante nel suo spasmo che tende ancora i muscoli e le mani aggrappate al lenzuolo. Una donna ferma e algida con braccia tese compie il suo dovere. Una serva anziana corrugata e ter-rorizzata osserva, in attesa di rac-coglierne la testa. Il rosso sangue è sulle mani sporche e negli occhi dei giovani musulmani, convinti di portare avanti una lotta patriottica e che abbandonano le loro famiglie per prendere parte ad una falsa idea diffusa dalle milizie dell’ISIS: una “crociata musulmana contro l’Occidente”.

o sfondo buio e nero è nelle nere band-iere dell’ISIS su cui campeggia la frase “There is no god but

God Muhammad is the messen-ger of God”. Nel Caravaggio il buio e la luce sono fonte di esaltazione di drammaticità delle scene. Una luce che arriva quasi brutalmente a scoprire parti di una scena che altrimenti resterebbero avvolte dalle tenebre. Nell’agire spietato e cruento dei combattenti dell’ISIS il buio è accecante e la luce ten-ebrosa. Sulla bandiera nera, la scritta bianca avvolge nel’orrore le vittime di atti terroristici com-piuti nel nome di uno scontro tra civiltà. Il patriottismo di Giuditta versus un mero desiderio di ven-detta colto in uno spasmo, quello di Oloferne moribondo. Un gigante bloccato in una smorfia di terrore, in quell’attimo in cui è sospeso tra la vita e la morte. In uno spasimo eterno. Come eterno sembra es-sere quel desiderio di vendetta agonizzante e inquietante dei jia-disti nel respingere la democrazia, la laicità, il nazionalismo. Intanto il mondo assiste, come l’anziana serva non bella e immobile, ad un martirio continuo, ad una

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violenza gratuita. In attesa di una testa recisa da una donna libera ebrea che vuol salvare il suo popolo, oggi come ieri, in una società maschilista e patriarcale.

a donna libera, umana, raccolta per strada nei bor-delli e dipinta come

una Madonna. Lontano dalla sublimazione del sa-

cro, Caravaggio non ha in-nalzato lo sguardo dell’uomo verso il divino ma il divino è nel mondo degli uomini ed è nell’uomo. Lì, il genio di Caravaggio cerca il divino e lo trova tra le cortigiane, nei bassifondi bui di Roma. In quella Roma del 1593, tra le osterie, prostitute e ar-tisti avevano in comune la strada, la quotidiana realtà e anche l’intimità con gli uo-

mini della Chiesa. I dipinti di Caravaggio per lo scarso “decoro” vengono com-missionati e poi rifiutati. La Madonna dei Palafrenieri rimase sull’altare per meno di un mese. Nell’opera in cui Caravaggio ha raggiunto la più alta vetta della clas-sicità, le forme del corpo femminile vengono contes-tate, rifiutate, perché troppo manifeste nel loro porgersi

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!MPATTO - CasesN.13 | 30 Dicembre 2014

violenza gratuita. In attesa di una testa recisa da una donna libera ebrea che vuol salvare il suo popolo, oggi come ieri, in una società maschilista e patriarcale.

a donna libera, umana, raccolta per strada nei bor-delli e dipinta come

una Madonna. Lontano dalla sublimazione del sa-

cro, Caravaggio non ha in-nalzato lo sguardo dell’uomo verso il divino ma il divino è nel mondo degli uomini ed è nell’uomo. Lì, il genio di Caravaggio cerca il divino e lo trova tra le cortigiane, nei bassifondi bui di Roma. In quella Roma del 1593, tra le osterie, prostitute e ar-tisti avevano in comune la strada, la quotidiana realtà e anche l’intimità con gli uo-

mini della Chiesa. I dipinti di Caravaggio per lo scarso “decoro” vengono com-missionati e poi rifiutati. La Madonna dei Palafrenieri rimase sull’altare per meno di un mese. Nell’opera in cui Caravaggio ha raggiunto la più alta vetta della clas-sicità, le forme del corpo femminile vengono contes-tate, rifiutate, perché troppo manifeste nel loro porgersi

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in avanti con una lascivia di bellezza assoluta. Forme troppo sensuali nel lasciarsi intravedere. La scelta della modella venne considerata oltremodo scandalosa: una prostituta. Lena, prostituta d’alto borgo che rasserenava l’esistenza degli ecclesias-tici romani di fine ‘600. La donna di Caravaggio e la sua modella preferita. Lena che scriveva per essere ricor-

data. Lena, una cortigiana, ritratta come una Madonna nell’irruenza delle sue forme calde. Il sacro e profano in un unico corpo dipinto su tela. Un mestiere legale allora e illegale oggi. In Italia alme-no. Caravaggio ha donato alle sue prostitute la seduzione dell’arte, la bellezza delle pennellate, il segno incon-fondibile della profondità. Erano guardate e consider-

ate non solo nell’oscurità e nel silenzio. Ben diversa è l’immagine della prosti-tuzione oggi. Sempre come in un’immagine speculare, ci si ritrova ancora a discu-tere sulla legalizzazione della prostituzione. In termini che non hanno nessuna sfuma-tura artistica o pennellata di colore brillante, nel computo del PIL è inserita una stima delle attività illegali. La

in avanti con una lascivia di bellezza assoluta. Forme troppo sensuali nel lasciarsi intravedere. La scelta della modella venne considerata oltremodo scandalosa: una prostituta. Lena, prostituta d’alto borgo che rasserenava l’esistenza degli ecclesias-tici romani di fine ‘600. La donna di Caravaggio e la sua modella preferita. Lena che scriveva per essere ricor-

data. Lena, una cortigiana, ritratta come una Madonna nell’irruenza delle sue forme calde. Il sacro e profano in un unico corpo dipinto su tela. Un mestiere legale allora e illegale oggi. In Italia alme-no. Caravaggio ha donato alle sue prostitute la seduzione dell’arte, la bellezza delle pennellate, il segno incon-fondibile della profondità. Erano guardate e consider-

ate non solo nell’oscurità e nel silenzio. Ben diversa è l’immagine della prosti-tuzione oggi. Sempre come in un’immagine speculare, ci si ritrova ancora a discu-tere sulla legalizzazione della prostituzione. In termini che non hanno nessuna sfuma-tura artistica o pennellata di colore brillante, nel computo del PIL è inserita una stima delle attività illegali. La

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prostituzione è illegale ma inserita nel calcolo del Prodotto interno Lordo Italiano. Come stabilito dalle linee guide dell’Eurostat bi-sogna quantificare tutti gli in-troiti delle attività non legali. Se la prostituzione fosse legalizzata, andrebbe a incrementare una spaventosa quantità di risorse nel sistema economico. Senza torcere il naso, senza sconvolgersi. A fine ‘600, di fronte alle Madonne del Caravaggio, si restava estasiati per la sensualità, rapiti dalla vividez-za del corpo, ma non lo si poteva né doveva ammettere. Bisognava ammirare il silenzio ma nascon-dere, staccare dalla parte. Ancora oggi, in ambientazioni disadorne e indefinibili, senza consentire un riconoscimento e una pro-tezione alle moderne cortigiane, si accetta e si ha piacere di poter contemplare e toccare un quadro dipinto quotidianamente da mani scaltre ma non lo si tiene uffi-cialmente sull‘altare. Meglio ce-larlo, staccarlo dalla parete prin-cipale dell’altare e porlo su pareti all’ombra da occhi bigotti.

n gesto per sporcarsi le mani. Un dito per penetrare in un costa-to. Per incredulità e per accertarsi di una verità

per cui la vista non basta. Vi è il bi-sogno di toccare. L’incredulità di san Tommaso è l’incredulità degli apostoli che si nascondono dietro di lui ma che hanno bisogno delle stesse conferme. Si affacciano con sguardi sbigottiti, mentre una mano rozza con unghie sporche– quella di Tommaso presa da Gesù stesso – è portata nella ferita del costato. Nella contrapposizione cromatica di luce e ombre si potrebbe ritrovare il nostro oggi. Sporcarsi le mani è nel traffico di stupefacenti, nella corruzione, nel traffico d’armi, nell’estorsione, nell’ usura, nel recupero crediti, nel metodo mafioso,nella corruz-ione. È Roma mafia capitale. È ter-rorismo. È omertà. È il fracking. u

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prostituzione è illegale ma inserita nel calcolo del Prodotto interno Lordo Italiano. Come stabilito dalle linee guide dell’Eurostat bi-sogna quantificare tutti gli in-troiti delle attività non legali. Se la prostituzione fosse legalizzata, andrebbe a incrementare una spaventosa quantità di risorse nel sistema economico. Senza torcere il naso, senza sconvolgersi. A fine ‘600, di fronte alle Madonne del Caravaggio, si restava estasiati per la sensualità, rapiti dalla vividez-za del corpo, ma non lo si poteva né doveva ammettere. Bisognava ammirare il silenzio ma nascon-dere, staccare dalla parte. Ancora oggi, in ambientazioni disadorne e indefinibili, senza consentire un riconoscimento e una pro-tezione alle moderne cortigiane, si accetta e si ha piacere di poter contemplare e toccare un quadro dipinto quotidianamente da mani scaltre ma non lo si tiene uffi-cialmente sull‘altare. Meglio ce-larlo, staccarlo dalla parete prin-cipale dell’altare e porlo su pareti all’ombra da occhi bigotti.

n gesto per sporcarsi le mani. Un dito per penetrare in un costa-to. Per incredulità e per accertarsi di una verità

per cui la vista non basta. Vi è il bi-sogno di toccare. L’incredulità di san Tommaso è l’incredulità degli apostoli che si nascondono dietro di lui ma che hanno bisogno delle stesse conferme. Si affacciano con sguardi sbigottiti, mentre una mano rozza con unghie sporche– quella di Tommaso presa da Gesù stesso – è portata nella ferita del costato. Nella contrapposizione cromatica di luce e ombre si potrebbe ritrovare il nostro oggi. Sporcarsi le mani è nel traffico di stupefacenti, nella corruzione, nel traffico d’armi, nell’estorsione, nell’ usura, nel recupero crediti, nel metodo mafioso,nella corruz-ione. È Roma mafia capitale. È ter-rorismo. È omertà. È il fracking.

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È nell’estrazione del petrolio con getti d’alta pressione di acqua provocando una caduta dei prezzi del petrolio men-tre gli ambientalisti urlano il loro no. È nel sovrapporsi dell’uomo sull’ambiente. Nel suo sovrapporsi al tem-po, agli spazi. È nel mettere le mani in un costato fino in fondo. In un corpo che non nasconde le sue fer-ite, ma le mostra lasciando sul corpo i segni dei chiodi e della lancia. È nella verità delle cicatrici di carne viva in cui affondano mani che pal-pano in un crudo realismo attuale e circolare. “Vivrà

fino a quando non conoscerà se stesso” . Così l’indovino Tiresia rivela alla ninfa Liri-ope - avvolta e sedotta nelle onde del dio fluviale Cefiso – il futuro del figlio. Dalla loro unione, nascerà Narciso.

l bellissimo Nar-ciso, ritratto nel momento che pre-cede la scoperta

dell’inganno mentre, nel riflesso dell’acqua, si ri-vede senza riconoscersi e s’innamora di se stesso. Cercherà un contatto fisico con il suo sé riflesso. Tutto è rappresentato in quel rif-

lesso. Le pieghe delle man-iche della camicia sono nel loro preciso e minuzioso rovesciamento. Nel ricon-oscersi e nel conoscersi, Narciso si perderà. Mai un quadro è stato più attuale. Nell’era dell’autoscatto, ci si è persi. Tutto è specular-mente riflesso in uno scatto, in un’immagine a rovescio. Il bisogno di essere visti e di auto-affermarsi rispecchia specularmente Narciso nella sua identità assoluta che non conosce l’alterità. Il solfitis: un neologismo per indicare l’ossessivo del selfie. È tale la mancanza di autostima

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È nell’estrazione del petrolio con getti d’alta pressione di acqua provocando una caduta dei prezzi del petrolio men-tre gli ambientalisti urlano il loro no. È nel sovrapporsi dell’uomo sull’ambiente. Nel suo sovrapporsi al tem-po, agli spazi. È nel mettere le mani in un costato fino in fondo. In un corpo che non nasconde le sue fer-ite, ma le mostra lasciando sul corpo i segni dei chiodi e della lancia. È nella verità delle cicatrici di carne viva in cui affondano mani che pal-pano in un crudo realismo attuale e circolare. “Vivrà

fino a quando non conoscerà se stesso” . Così l’indovino Tiresia rivela alla ninfa Liri-ope - avvolta e sedotta nelle onde del dio fluviale Cefiso – il futuro del figlio. Dalla loro unione, nascerà Narciso.

l bellissimo Nar-ciso, ritratto nel momento che pre-cede la scoperta

dell’inganno mentre, nel riflesso dell’acqua, si ri-vede senza riconoscersi e s’innamora di se stesso. Cercherà un contatto fisico con il suo sé riflesso. Tutto è rappresentato in quel rif-

lesso. Le pieghe delle man-iche della camicia sono nel loro preciso e minuzioso rovesciamento. Nel ricon-oscersi e nel conoscersi, Narciso si perderà. Mai un quadro è stato più attuale. Nell’era dell’autoscatto, ci si è persi. Tutto è specular-mente riflesso in uno scatto, in un’immagine a rovescio. Il bisogno di essere visti e di auto-affermarsi rispecchia specularmente Narciso nella sua identità assoluta che non conosce l’alterità. Il solfitis: un neologismo per indicare l’ossessivo del selfie. È tale la mancanza di autostima

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e la lacuna della propria intimità da voler compensare l’immagine di sé attraverso la presenza artefatta , curata e studiata sui social network ormai considerati luoghi di connes-sione affettiva e rassicurante? Un selfie influenza il senso d’identità e dell’io nella società perché consente un controllo della propria immagine condivisa. L’immagine di ciò che si vuol far apparire ma non di ciò che si è. Si vuol sondare il noi stessi, a che punto si è nella vita, consape-voli di condividere quel sé ma, forse, non consapevoli che si potrebbe far agire quel mago che è in ognuno. Una soluzione ci sarebbe. Alzarsi. Recarsi in un museo qualsiasi. Si tratti di un Caravaggio o di un altro pittore è scelta personale. Sarebbe anticonformista e dissacrante ai nostri giorni, fermarsi ad osser-vare un quadro. Contemplarlo. Im-mergersi in esso e perdersi. Non come Narciso riflessi e ripiegati su se stessi per sfuggire a se stessi ma per uscire dalla stasi in cui la soci-età, per il suo inarrestabile movi-mento continuo, spinge a collocare l’individuo. Per emergere dal buio dello sfondo e generare luce.

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e la lacuna della propria intimità da voler compensare l’immagine di sé attraverso la presenza artefatta , curata e studiata sui social network ormai considerati luoghi di connes-sione affettiva e rassicurante? Un selfie influenza il senso d’identità e dell’io nella società perché consente un controllo della propria immagine condivisa. L’immagine di ciò che si vuol far apparire ma non di ciò che si è. Si vuol sondare il noi stessi, a che punto si è nella vita, consape-voli di condividere quel sé ma, forse, non consapevoli che si potrebbe far agire quel mago che è in ognuno. Una soluzione ci sarebbe. Alzarsi. Recarsi in un museo qualsiasi. Si tratti di un Caravaggio o di un altro pittore è scelta personale. Sarebbe anticonformista e dissacrante ai nostri giorni, fermarsi ad osser-vare un quadro. Contemplarlo. Im-mergersi in esso e perdersi. Non come Narciso riflessi e ripiegati su se stessi per sfuggire a se stessi ma per uscire dalla stasi in cui la soci-età, per il suo inarrestabile movi-mento continuo, spinge a collocare l’individuo. Per emergere dal buio dello sfondo e generare luce.

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Chi di voi vorrà fare il giornalistasi ricordi di scegliere il proprio padroneil lettore!Indro Montanelli

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opo i tanti successi nello sport nazionale, che vanno ormai avanti da anni, la Nuova Zelanda batte l’Australia anche in un al-tro campo, quello economico, a valle di una lunga rincorsa e in controtendenza rispetto ai risultati degli ultimi anni e

alle previsioni che il governo di Sidney aveva rilasciato alla fine dello scorso anno. Numerosi sono i fattori che hanno portato l’economia australiana a ridurre la pro-pria crescita e a favorire “l’operazione sorpasso” dei vicini di casa neozelandesi; in primis, le variazioni in diminuzione dei prezzi nel mercato metallifero – pari al 50% in soli 12 mesi, benché un calo del 20% era stato già messo in preventivo dagli esperti del settore –, car-bonifero e in quello petrolifero hanno rappresentato una mannaia per l’economia australiana, le cui esportazioni erano fortemente dipendenti dall’offerta di ferro, car-bone e idrocarburi. Questi ultimi due mercati pesano,

Dal rugby all’economia Nuova Zelanda

batte AustraliaD

u

uuudi Marco Tregua

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rispettivamente, per il 14 e l’11% per l’economia dell’Australia, quin-di, l’effetto moltiplicativo del calo dei prezzi è stato di particolare ril-ievo per la bilancia commerciale.

principali esponenti del governo australiano han-no sottolineato come il calo delle esportazioni pone

fine al positivo trend economico, che durava da ormai 23 anni e che è stata aggravata dal confronto con la Nuova Zelanda rispetto al tasso economico di crescita (3,2% contro 2,7%) e a quello di disoccupazione (5,4% contro 6,3%). La forza della Nuova Zelanda sta, inoltre, nei suoi consumatori, il cui potere d’acquisto è solido e la cui fiducia è in crescita, all’opposto di quanto accade a Sid-ney e dintorni.

e i timori del gov-erno australiani sono forti, diversa sembra essere la prospettiva

dell’OECD, secondo cui un aumento dell’imposizione fiscale in linea con le aliquote applicate nelle maggiori economie occidentali è la soluzione che può ridare stabilità all’economia e favorire il rientro del deficit, che pian piano si è accumulato negli ultimi semestri, raggiungendo un ammontare record nella storia del paese. In risposta a tale proposta il governo australiano ha riconosciuto la necessità di modificare il proprio regime fiscale, ma ha parallela-mente fatto ammenda, puntando il dito contro le (proprie) previsioni che sovrastimavano i risultati eco-nomici e ha ribadito che gli investi-menti pianificati verranno realizzati con il supporto di tassi d’interesse ridotti e prezzi bassi per l’energia. A settembre 2015 ci saranno i mon-diali di rugby e se in quell’ambito il gap è più difficile da colmare, la struttura economica dei paesi può offrire un confronto più combattuto e l’Australia proverà a ristabilire le gerarchie consolidate dalla fine del secolo scorso.

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Come quandofuori piove

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In una partita a poker, un due di picche e la Nigeria è presa. Rapita, occupata, sventrata. Ciò che resta sono le Slums. Tra contrasti in bianco e nero, l’alpha e l’omega s’incontrano nel luogo degli ossimori. Pregiudizi, separazione, problemi, disagi e presagi di un nostalgico mal d’Africa.

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Sporco di vergognaStracci, disperazione, sporco di

vergogna nel buio dell’Africa più nera. Tra le sbarre del ferro e i materassi umidi di una slums.

(Ph. Robin Hammond - 2014)

Sporco di vergognaStracci, disperazione, sporco di

vergogna nel buio dell’Africa più nera. Tra le sbarre del ferro e i materassi umidi di una slums.

(Ph. Robin Hammond - 2014)

Sporco di vergognaStracci, disperazione, sporco di

vergogna nel buio dell’Africa più nera. Tra le sbarre del ferro e i materassi umidi di una slums.

(Ph. Robin Hammond - 2014)

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ome Quando Fuori Piove. Cuori Quadri Fiori Picche. Anche se la storia non

riferisce questo, la leggenda narra che i Sultani Fulani persero la Nigeria durante una partita a Poker: un due di picche più amaro del solito, al gusto di Tea and biscuits. È risaputo che i colonizza-tori non siano portatori di buone nuove, difatti ciò che tutt’oggi rimane permeante nel sostrato sociale nigeria-no è la lingua inglese – unico mezzo di comunicazione tra persone di etnie diverse – e le Slums. Slums, favelas, bidonville, baraccopoli, che

dir si voglia… proprio quei sobborghi urbani densam-ente popolati e caratteriz-zati da edifici fatiscenti con condizioni di vita al di sotto degli standard di benessere che hanno così accurata-mente descritto Dickens o Stevenson nelle loro novels. Quando ci si trova a parlare con gli amici, piuttosto che a scuola, e si sta chiacchieran-do di contrasti, di yin e yang, di bianco e nero, di alpha ed omega, di diavolo ed acqua santa, di su e giù, di povertà e ricchezza, sovviene sem-pre alla mente la città San Paolo in Brasile– da decenni l’eponimo del gap fra ric-chezza e povertà- in un netto spartiacque fra occidental-

izzazione, con i propri pregi ed i molti difetti, e la cruda realtà stile romanzo sociale dickensiano. San Paolo e mai Johannesburg, San Paolo e mai Pretoria, San Paolo e mai Il Cairo, San Paolo e mai La-gos. Lagos, la città africana dei primati, vanta una stima di circa ventuno milioni di abitanti – la città africana più popolata, la più fiorente eco-nomia di tutto il continente ed ospita un esorbitante nu-mero di persone più ricche del continente; al contempo, però, è caratterizzata an-che da sterminate distese di baracche, febbre tifoide, col-era, AIDS, assenza di servizi igienici e alta criminalità.

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ome Quando Fuori Piove. Cuori Quadri Fiori Picche. Anche se la storia non

riferisce questo, la leggenda narra che i Sultani Fulani persero la Nigeria durante una partita a Poker: un due di picche più amaro del solito, al gusto di Tea and biscuits. È risaputo che i colonizza-tori non siano portatori di buone nuove, difatti ciò che tutt’oggi rimane permeante nel sostrato sociale nigeria-no è la lingua inglese – unico mezzo di comunicazione tra persone di etnie diverse – e le Slums. Slums, favelas, bidonville, baraccopoli, che

dir si voglia… proprio quei sobborghi urbani densam-ente popolati e caratteriz-zati da edifici fatiscenti con condizioni di vita al di sotto degli standard di benessere che hanno così accurata-mente descritto Dickens o Stevenson nelle loro novels. Quando ci si trova a parlare con gli amici, piuttosto che a scuola, e si sta chiacchieran-do di contrasti, di yin e yang, di bianco e nero, di alpha ed omega, di diavolo ed acqua santa, di su e giù, di povertà e ricchezza, sovviene sem-pre alla mente la città San Paolo in Brasile– da decenni l’eponimo del gap fra ric-chezza e povertà- in un netto spartiacque fra occidental-

izzazione, con i propri pregi ed i molti difetti, e la cruda realtà stile romanzo sociale dickensiano. San Paolo e mai Johannesburg, San Paolo e mai Pretoria, San Paolo e mai Il Cairo, San Paolo e mai La-gos. Lagos, la città africana dei primati, vanta una stima di circa ventuno milioni di abitanti – la città africana più popolata, la più fiorente eco-nomia di tutto il continente ed ospita un esorbitante nu-mero di persone più ricche del continente; al contempo, però, è caratterizzata an-che da sterminate distese di baracche, febbre tifoide, col-era, AIDS, assenza di servizi igienici e alta criminalità.

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Sotto un cielo di nuvoleSotto un cielo di nuvole, tra segreti

e deserto oltre le stanze si va tra vicoli e viuzze, in un continuo, incessante e circolare vivere.(Ph. Robin Hammond - 2014)

Sotto un cielo di nuvoleSotto un cielo di nuvole, tra segreti

e deserto oltre le stanze si va tra vicoli e viuzze, in un continuo, incessante e circolare vivere.(Ph. Robin Hammond - 2014)

Sotto un cielo di nuvoleSotto un cielo di nuvole, tra segreti

e deserto oltre le stanze si va tra vicoli e viuzze, in un continuo, incessante e circolare vivere.(Ph. Robin Hammond - 2014)

Sotto un cielo di nuvoleSotto un cielo di nuvole, tra segreti

e deserto oltre le stanze si va tra vicoli e viuzze, in un continuo, incessante e circolare vivere.(Ph. Robin Hammond - 2014)

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agos è pregiudizio ma so-prattutto è netta separazione ed ossimoro. Lagos è edi-fici fatiscenti, rara elettricità, l’acqua consegnata a mano, le

strade allagate; ma se si presta maggiore attenzione, fra tutti questi problemi e disagi, non sarà difficile scorgere uomini con abiti e ventiquattrore e donne con tailleur, auto lussuose a destra ed a man-ca. Quanto è costata la modernità a questa gente? Dolphin Estate è un melting-pot: la futura classe dirigente borghese che si confonde e si fonde con i braccianti più umili, quelli che sono chiamati a servirli, insomma; e fra chi governa, chi fattura e chi stenta, la notte cala e tutti si sentono più simili ed uguali stesi, orizzontali, sui loro letti. Un Paese, una città, una fra-zione… una sfida ai secoli per i narratori! Siamo figli di una cultura omologatrice ed omogeneizzante; siamo soliti percepire le popolazioni estere collocandole in piccole scatole nella nostra testa: i tedeschi sono in questo modo e solo in questo modo, gli arabi invece sono così e non schiodano dalle loro idee, dal loro modo di fare e dal loro modo di pensare. Molto spesso i pre-giudizi operano a nostro vantaggio, in ap-parenza; ci tengono lontano da persone o cose o idee che potrebbero arrecarci fastidio o non piacerci, in realtà questi operano contro di noi, tenendoci lontano dalla scoperta di cose che non conos-ciamo. Come d’altronde scriveva Wayne Dyer in “Le vostre zone erronee”. Sfidare la più comune visione delle cose e della realtà, la presunzione ed il preconcetto occidentale, piuttosto che orientale, sec-ondo cui la propria cultura sia quella gi-usta, combattere il pregiudizio. Sfidiamo la visione che si ha del continente: quella che per i più poveri si chiama miseria e per i più ricchi si chiama mal d’Africa. Il vecchissimo continente si estende per circa trenta milioni duecentoventimila chilometri quadrati, ed è impensabile che possa essere racchiuso in questo bino-mio. Aprite il vaso di Pandora e scoprirete che quello che viene definito Il Conti-nente nero, in realtà, è molto di più. Una varietà di culture, società e idee da far impallidire persino lo spettro dei colori. È disuguale, resta disuguale, difficile ma bella, non bella a mo’ della Città Eterna, ma bella almeno quanto la Città Eterna.

L!MPATTO - LifeN.13 | 31 Dicembre 2014

agos è pregiudizio ma so-prattutto è netta separazione ed ossimoro. Lagos è edi-fici fatiscenti, rara elettricità, l’acqua consegnata a mano, le

strade allagate; ma se si presta maggiore attenzione, fra tutti questi problemi e disagi, non sarà difficile scorgere uomini con abiti e ventiquattrore e donne con tailleur, auto lussuose a destra ed a man-ca. Quanto è costata la modernità a questa gente? Dolphin Estate è un melting-pot: la futura classe dirigente borghese che si confonde e si fonde con i braccianti più umili, quelli che sono chiamati a servirli, insomma; e fra chi governa, chi fattura e chi stenta, la notte cala e tutti si sentono più simili ed uguali stesi, orizzontali, sui loro letti. Un Paese, una città, una fra-zione… una sfida ai secoli per i narratori! Siamo figli di una cultura omologatrice ed omogeneizzante; siamo soliti percepire le popolazioni estere collocandole in piccole scatole nella nostra testa: i tedeschi sono in questo modo e solo in questo modo, gli arabi invece sono così e non schiodano dalle loro idee, dal loro modo di fare e dal loro modo di pensare. Molto spesso i pre-giudizi operano a nostro vantaggio, in ap-parenza; ci tengono lontano da persone o cose o idee che potrebbero arrecarci fastidio o non piacerci, in realtà questi operano contro di noi, tenendoci lontano dalla scoperta di cose che non conos-ciamo. Come d’altronde scriveva Wayne Dyer in “Le vostre zone erronee”. Sfidare la più comune visione delle cose e della realtà, la presunzione ed il preconcetto occidentale, piuttosto che orientale, sec-ondo cui la propria cultura sia quella gi-usta, combattere il pregiudizio. Sfidiamo la visione che si ha del continente: quella che per i più poveri si chiama miseria e per i più ricchi si chiama mal d’Africa. Il vecchissimo continente si estende per circa trenta milioni duecentoventimila chilometri quadrati, ed è impensabile che possa essere racchiuso in questo bino-mio. Aprite il vaso di Pandora e scoprirete che quello che viene definito Il Conti-nente nero, in realtà, è molto di più. Una varietà di culture, società e idee da far impallidire persino lo spettro dei colori. È disuguale, resta disuguale, difficile ma bella, non bella a mo’ della Città Eterna, ma bella almeno quanto la Città Eterna.

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Prigionieri in una giunglaSalire piani, aprire porte, superare

gli ostacoli. Negli ossimori della terra dei colori e della libertà, si vive come

prigionieri in una giungla.(Ph. Robin Hammond - 2014)

Prigionieri in una giunglaSalire piani, aprire porte, superare

gli ostacoli. Negli ossimori della terra dei colori e della libertà, si vive come

prigionieri in una giungla.(Ph. Robin Hammond - 2014)

Prigionieri in una giunglaSalire piani, aprire porte, superare

gli ostacoli. Negli ossimori della terra dei colori e della libertà, si vive come

prigionieri in una giungla.(Ph. Robin Hammond - 2014)

Prigionieri in una giunglaSalire piani, aprire porte, superare

gli ostacoli. Negli ossimori della terra dei colori e della libertà, si vive come

prigionieri in una giungla.(Ph. Robin Hammond - 2014)

Prigionieri in una giunglaSalire piani, aprire porte, superare

gli ostacoli. Negli ossimori della terra dei colori e della libertà, si vive come

prigionieri in una giungla.(Ph. Robin Hammond - 2014)

Prigionieri in una giunglaSalire piani, aprire porte, superare

gli ostacoli. Negli ossimori della terra dei colori e della libertà, si vive come

prigionieri in una giungla.(Ph. Robin Hammond - 2014)

Prigionieri in una giunglaSalire piani, aprire porte, superare

gli ostacoli. Negli ossimori della terra dei colori e della libertà, si vive come

prigionieri in una giungla.(Ph. Robin Hammond - 2014)

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Il calore delle braccia e dei sorrisi Il verde senape di una tradizione

anticae l’arancio, il colore della terra. Il tepore di una casa, Il calore delle

braccia paterne e dei sorrisi infantili.(Ph. Robin Hammond - 2014)

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Il calore delle braccia e dei sorrisi Il verde senape di una tradizione

anticae l’arancio, il colore della terra. Il tepore di una casa, Il calore delle

braccia paterne e dei sorrisi infantili.(Ph. Robin Hammond - 2014)

Il calore delle braccia e dei sorrisi Il verde senape di una tradizione

anticae l’arancio, il colore della terra. Il tepore di una casa, Il calore delle

braccia paterne e dei sorrisi infantili.(Ph. Robin Hammond - 2014)

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Dentro come il sanguePrima di essere accolti tra le braccia di Morfeo, una piccola lampada per

illuminare i sogni. Sogni di un luogo che si avverte dentro come il sangue.

(Ph. Robin Hammond - 2014)

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Dentro come il sanguePrima di essere accolti tra le braccia di Morfeo, una piccola lampada per

illuminare i sogni. Sogni di un luogo che si avverte dentro come il sangue.

(Ph. Robin Hammond - 2014)

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li ultimi 15 anni, caratterizzati dalla crescita del prezzo del petrolio, hanno fatto maturare nel Cremlino la presunzione di aver

ottenuto la stabilità economica, fino addirittura a far ipotizzare il rublo come possibile valuta di riserva per le altre ex repubbliche sovietiche. Ora la Russia è ossessionata dai ricordi del default e della svalutazione del 1998. “Felice nuovo 1999”, recita il titolo di un quotidiano finanziario. Vladimir Putin, presidente della Russia, ha parlato della crisi valutaria durante la conferenza stampa annuale del 18 Dicembre. Il paese a cui si è trovato a rispondere

CHI SEMINA

VENTO RACCOGLIE TEMPESTAG

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ora ha sentimenti molto diversi da quelli di allegria per l’annessione della Crimea e l’intervento in Ucraina. Il 15 Dicembre, Dimitry Medvedev, il primo ministro di Putin, ha pubblicato un articolo di giornale sui problemi economici dell’Ucraina. I lettori russi erano però troppo impegnati con la loro personale crisi per potergli prestare attenzione. All’esaurirsi dell’ebbrezza patriottica di un anno di avventure militari, si stanno facendo avanti i postumi della sbornia. La middle class urbana è stata colpita dal crollo del valore dei suoi risparmi e dall’aumento del costo dei mutui

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from Russia with love

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truppe russe lì. In effetti, la retorica di Mosca verso Kiev è stata più conciliante negli ultimi giorni di quanto non lo sia stata nei mesi passati.Sergei Lavrov, ministro degli Esteri del Presidente Putin, il 16 dicembre ha dichiarato che “la Russia non insiste sulla federalizzazione dell’Ucraina o l’autonomia del Donbas”, una brusca svolta rispetto alla vecchia linea del Cremlino. Per mesi, la Russia ha negato qualsiasi connessione tra le sue azioni in Ucraina e i problemi economici, giustificando la caduta del rublo con il calo dei prezzi del petrolio. Negli ultimi giorni, con il venir meno della correlazione, è diventato chiaro che la caduta del rublo rifletta anche la mancanza di fiducia nel governo russo. Nel frattempo, la guerra delle immagini infuria. Un video promozionale per la conferenza stampa di Putin mostra Kiev messa a ferro e fuoco, l’oro olimpico di Sochi, un dollaro al collasso (molto sognante), e onde che lambiscono la Crimea. Il grande assente è il rublo in caduta libera. Per questo, i russi devono rivolgersi al sito russo Zen, che visualizza semplicemente il tasso di cambio per l’euro, il dollaro e il prezzo del petrolio, con musica meditativa e l’immagine delle onde dell’oceano che si accavallano in sottofondo.

Cosa è andato storto nell’economia russa? La Russia è nel bel mezzo di una crisi valutaria. Il 15 Dicembre la sua valuta ha perso il 10% del suo valore, dopo aver già perso il 40% durante l’anno. La banca centrale ha aumentato di

denominati in valuta estera. La popolazione più povera, fuori dalle grandi città, è stata colpita dall’inflazione sui prezzi degli alimentari, che è salita di oltre il 30% È troppo presto per dire se la crisi influenzerà l’indice di gradimento di Putin, che è ancora superiore all’85%. Ma il suo sostegno potrebbe sciogliersi più velocemente di quanto pensino la maggior parte degli analisti occidentali. Le accuse al governo di esser la causa dei problemi economici e dell’isolamento internazionale della Russia stanno diventando sempre più frequenti. La soap opera nazionalista di una guerra contro i presunti “fascisti” ucraini, con cui la televisione russa ha continuamente bombardato il pubblico nei passati sei mesi, non attrae più gli spettatori. In definitiva,

nella guerra tra il frigorifero (i prezzi del cibo in aumento) e il set televisivo (la guerra in Ucraina), il primo sembra uscire vincitore. La crisi ha posto fine all’era del consumo di Putin, il tacito accordo in base al quale il Cremlino ha promesso alle classi medie standard di vita crescenti in cambio del silenzio politico. Come farà Putin a rimpiazzarlo? Tra le varie possibilità, potrà sicuramente incolpare nemici interni ed esteri per i problemi della Russia. Ma per essere realmente efficace, questa strategia richiede di essere sostenuta dalla repressione politica – qualcosa per cui l’opinione pubblica russa non è ancora pronta, secondo un recente sondaggio. Potrebbe tentare di riavviare la guerra in Ucraina, ma la maggior parte della popolazione non sostiene la presenza delle u

È troppo presto per dire se la

crisi influenzerà l’indice di

gradimento di Putin, che è ancora superiore all’85%.

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molto i tassi d’interesse, ma invece di calmare il mercato, l’aumento è stato percepito come un segno di disperazione. Il giorno seguente il rublo è sceso nuovamente, perdendo fino al 20% (e chiudendo la giornata con un meno 10%). La banca centrale calcola che il PIL nel 2015 potrebbe scendere del 5%. L’inflazione attualmente è al 10%, ma si prevede che accelererà rapidamente. I russi cercano di spendere velocemente tutto quello che hanno; le banche sono a corto di dollari. Cosa è andato storto nell’economia russa? I problemi sono di lunga gestazione. La Russia dipende fortemente dalle entrate sul petrolio (gli idrocarburi contribuiscono per oltre metà del bilancio

federale e due terzi delle esportazioni) e negli ultimi dieci anni ha fallito nel diversificare la sua economia. È tremendamente corrotta, ha istituzioni deboli e nessun vero diritto di proprietà. Il Cremlino distribuisce il denaro proveniente dal petrolio attraverso le banche statali, ad aziende e progetti che seleziona in base alla loro importanza politica e la loro posizione a favore di Putin, piuttosto che seguire la regola del mercato che vuole che il capitale sia allocato nelle aziende più efficienti. Se guardiamo alla distribuzione della ricchezza, la Russia è il secondo paese con la più forte diseguaglianza al mondo. La sua popolazione in età da lavoro sta calando rapidamente. Le sanzioni

occidentali imposte in risposta alle ingerenze russe in Ucraina hanno inferto un duro colpo all’economia. Ma la causa più diretta delle turbolenze degli ultimi giorni riguarda il tessuto imprenditoriale della Russia. Durante il 2015 le imprese russe dovranno rimborsare 100 miliardi di dollari di debito estero. Ma con il rublo in caduta, ripagare in dollari diventa sempre più difficoltoso. Giganti dell’energia come Gazprom e Lukoil sono in condizioni molto peggiori di quanto si pensasse, Rosneft, una compagnia petrolifera, si è appoggiata al Cremlino per finanziarsi. All’inizio di quest’anno ha richiesto un paracadute di 44 miliardi al Cremlino; il 12 Dicembre la banca centrale l’ha aiutata

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putin in versione

karate

kid

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con un bond da 7 miliardi di dollari denominato in rubli. Un accordo del genere è pari alla stampa di rubli per l’acquisto di dollari – un modo infallibile per indebolire ulteriormente una valuta. C’è il rischio concreto che la crisi valutaria della Russia possa trasformarsi in una ben più grande crisi bancaria. La popolazione potrebbe iniziare ad assaltare gli sportelli. Una raffica di fallimenti potrebbe lasciare il Cremlino responsabile di una grossa fetta del debito. Non stupisce se la fiducia nelle riserve in valuta estera del Cremlino, valutate attorno ai 370 miliardi di dollari ma in pratica molto inferiori, sia in calo. Il Cremlino prega per un rialzo del prezzo del petrolio, ma al momento ciò sembra improbabile. Si potrebbe imporre una moratoria sul rimborso del debito estero, ma questo renderebbe la Russia un Pariah (un senza casta ndT) agli occhi degli investitori stranieri. Si potrebbe cercare di imporre controlli sulla circolazione dei capitali, per prevenire le uscite di denaro dal paese; ma anche la prospettiva di una mossa simile rischia di avere l’effetto opposto, accelerando la fuga dei capitali. A meno che la Russia non si prepari a mostrare un serio impegno per le riforme – e si muova a calmare le acque in Ucraina – dovrà aspettarsi che la crisi economica continui.

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Il Cremlino distribuisce

il denaro alle aziende

basandosi sul fattore favore

verso Putin.

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milano adesso cambia

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orse un giorno un futuro Hein-rich Schliemann farà per Milano quello che l’ar-

cheologo tedesco fece per Troia, riportandola alla luce dai tempi omerici. Schlie-mann, però, non trovò solo la Troia narrata nell’Iliade e nell’Odissea ma otto città, l’una costruita sulle rovine dell’altra. Questo archeo-logo dei secoli che verranno potrebbe scoprire i cambia-menti che a Milano ci sono stati al tempo dell’Expo 2015, perché la città si avvia a cambiare volto nel mo-mento in cui sta per ospitare l’esposizione universale. Si avvia, quindi, a confermar-si come capitale italiana del progresso, dell’innovazio-

ne, del futuro, oggi come ai tempi del Futurismo e di Umberto Boccioni, autore de “La città che sale”. Boccioni forse è noto per la scultura che si trova sul retro del-la moneta da 20 centesimi di produzione italiana, ma questo quadro è emblemati-co del suo modo di pensare. La città del sale rappresen-ta una città in evoluzione, in cui uomini, cavalli e pa-lazzi in costruzione si fon-dono in un unico insieme, dominato dal rosso, colore che dà l’idea di movimento, di velocità, del sangue che, secondo i futuristi, doveva essere, attraverso la guerra, il lavacro dell’umanità. A 100 anni di distanza, quan-do siamo molto lontani dalla belle epoque che in quegli

anni viveva il suo crepuscolo prima di affondare insieme al Titanic e di essere spaz-zata via dalla Grande Guerra, Milano si appresta a salire ancora, col mare di cantieri sorti per l’Expo all’indomani dell’assegnazione, avvenu-ta nel 2008. Ma cosa trove-rebbe il nostro archeologo, risalendo allo strato corri-spondente al tempo dell’e-sposizione? Troverebbe le prove di un cambiamento urbanistico, che dovrebbe forse trasformare Milano in una città diversa da quella che conosciamo. Se però si vuole far posto al nuovo, è necessario eliminare quanto di vecchio c’è già o, quanto-meno, trasformarlo: è il caso delle strutture che ospita-vano gli stabilimenti Alfa

orse un giorno un futuro Hein-rich Schliemann farà per Milano quello che l’ar-

cheologo tedesco fece per Troia, riportandola alla luce dai tempi omerici. Schlie-mann, però, non trovò solo la Troia narrata nell’Iliade e nell’Odissea ma otto città, l’una costruita sulle rovine dell’altra. Questo archeo-logo dei secoli che verranno potrebbe scoprire i cambia-menti che a Milano ci sono stati al tempo dell’Expo 2015, perché la città si avvia a cambiare volto nel mo-mento in cui sta per ospitare l’esposizione universale. Si avvia, quindi, a confermar-si come capitale italiana del progresso, dell’innovazio-

ne, del futuro, oggi come ai tempi del Futurismo e di Umberto Boccioni, autore de “La città che sale”. Boccioni forse è noto per la scultura che si trova sul retro del-la moneta da 20 centesimi di produzione italiana, ma questo quadro è emblemati-co del suo modo di pensare. La città del sale rappresen-ta una città in evoluzione, in cui uomini, cavalli e pa-lazzi in costruzione si fon-dono in un unico insieme, dominato dal rosso, colore che dà l’idea di movimento, di velocità, del sangue che, secondo i futuristi, doveva essere, attraverso la guerra, il lavacro dell’umanità. A 100 anni di distanza, quan-do siamo molto lontani dalla belle epoque che in quegli

anni viveva il suo crepuscolo prima di affondare insieme al Titanic e di essere spaz-zata via dalla Grande Guerra, Milano si appresta a salire ancora, col mare di cantieri sorti per l’Expo all’indomani dell’assegnazione, avvenu-ta nel 2008. Ma cosa trove-rebbe il nostro archeologo, risalendo allo strato corri-spondente al tempo dell’e-sposizione? Troverebbe le prove di un cambiamento urbanistico, che dovrebbe forse trasformare Milano in una città diversa da quella che conosciamo. Se però si vuole far posto al nuovo, è necessario eliminare quanto di vecchio c’è già o, quanto-meno, trasformarlo: è il caso delle strutture che ospita-vano gli stabilimenti Alfa

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di Arese, il più grande della casa del Portello, su un’area di due mi-lioni di chilometri quadrati e con circa 20000 lavoratori impiegati nel periodo di massima produ-zione. Quella che era chiamata la “cattedrale dei metalmeccanici”, per essere stata teatro di riven-dicazioni sindacali nel corso degli anni, è diventata nel frattempo una cattedrale nel deserto, com-pletamente abbandonata nella periferia nord-ovest di Milano. Si è pensato di ridare vita a un insie-me di costruzioni abbandonate in occasione dell’Expo, creando un complesso di abitazioni residen-ziali e soprattutto uno shopping center, il più grande d’Europa, oltre alla realizzazione di un mega parcheggio e ad un’area di servizi per Expo 2015. Progetto senz’al-tro importante, però con qualche punto di domanda, legato al fu-turo dell’area una volta conclu-sa l’esposizione. Se è vero che la creazione di un plesso residen-ziale può avere una sua utilità, le altre soluzioni previste rischiano di essere il preludio ad una nuova cattedrale nel deserto, in quanto il parcheggio e l’area servizi, una volta terminato l’evento, rischia-no di veder ridotta la loro attivi-tà, così come lo shopping center. Tenendo conto del problema degli alloggi che c’è a Milano, forse non sarebbe stato insensato pensare a progetti alternativi. Sullo sfondo inoltre c’è la questione dei lavo-ratori dell’ex stabilimento Alfa, prima ricollocati, poi licenziati, ora nuovamente reintegrati dal tribunale, che potrebbero avere nuove opportunità, ma sempre con lo spettro di un precariato che non sono disposti ad accettare. A Manaus, in Amazzonia, lo stadio costruito per gli ultimi Mondiali di calcio, che ha visto l’ esordito dell’Italia di Prandelli e che non sarebbe stato riutilizzato dopo la manifestazione, è stato converti-to in carcere a Mondiale concluso. Speriamo di non arrivare a tanto.

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di Arese, il più grande della casa del Portello, su un’area di due mi-lioni di chilometri quadrati e con circa 20000 lavoratori impiegati nel periodo di massima produ-zione. Quella che era chiamata la “cattedrale dei metalmeccanici”, per essere stata teatro di riven-dicazioni sindacali nel corso degli anni, è diventata nel frattempo una cattedrale nel deserto, com-pletamente abbandonata nella periferia nord-ovest di Milano. Si è pensato di ridare vita a un insie-me di costruzioni abbandonate in occasione dell’Expo, creando un complesso di abitazioni residen-ziali e soprattutto uno shopping center, il più grande d’Europa, oltre alla realizzazione di un mega parcheggio e ad un’area di servizi per Expo 2015. Progetto senz’al-tro importante, però con qualche punto di domanda, legato al fu-turo dell’area una volta conclu-sa l’esposizione. Se è vero che la creazione di un plesso residen-ziale può avere una sua utilità, le altre soluzioni previste rischiano di essere il preludio ad una nuova cattedrale nel deserto, in quanto il parcheggio e l’area servizi, una volta terminato l’evento, rischia-no di veder ridotta la loro attivi-tà, così come lo shopping center. Tenendo conto del problema degli alloggi che c’è a Milano, forse non sarebbe stato insensato pensare a progetti alternativi. Sullo sfondo inoltre c’è la questione dei lavo-ratori dell’ex stabilimento Alfa, prima ricollocati, poi licenziati, ora nuovamente reintegrati dal tribunale, che potrebbero avere nuove opportunità, ma sempre con lo spettro di un precariato che non sono disposti ad accettare. A Manaus, in Amazzonia, lo stadio costruito per gli ultimi Mondiali di calcio, che ha visto l’ esordito dell’Italia di Prandelli e che non sarebbe stato riutilizzato dopo la manifestazione, è stato converti-to in carcere a Mondiale concluso. Speriamo di non arrivare a tanto.

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uomo dove sta? Nella zona della stazione Garibal-di, luogo di arrivo

di numerosi lavoratori della grande metropoli, è partito da qualche anno il proget-to Porta Nuova, incentrato sulla Torre Unicredit e sul centro direzionale di Mila-no. Inaugurato nel 2012, le fotografie scattate dopo l’i-naugurazione sono state ri-

toccate, eliminando tutte le figure umane, dando un’idea di perfezione che non lascia spazio all’uomo, che in un centro direzionale non deve fare altro che lavorare. Che spazio allora occupa l’uomo in questa nuova città che sale? Forse quello di uno spettatore messo in dispar-te, quasi come quando ai bambini si fa vedere qualco-sa di fragile, di importante o

prezioso badando che si ten-ga a distanza e che soprat-tutto non tocchi nulla, per paura che lo rompa o lo ro-vini. Il bisogno dei cittadini, forse, non è l’interesse pri-mario dell’edilizia connessa all’Expo, come testimonia la vicenda del quartiere Gal-laratese, uno dei più popo-losi della città, con quasi sessantamila abitanti. È un quartiere popoloso ma poco

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uomo dove sta? Nella zona della stazione Garibal-di, luogo di arrivo

di numerosi lavoratori della grande metropoli, è partito da qualche anno il proget-to Porta Nuova, incentrato sulla Torre Unicredit e sul centro direzionale di Mila-no. Inaugurato nel 2012, le fotografie scattate dopo l’i-naugurazione sono state ri-

toccate, eliminando tutte le figure umane, dando un’idea di perfezione che non lascia spazio all’uomo, che in un centro direzionale non deve fare altro che lavorare. Che spazio allora occupa l’uomo in questa nuova città che sale? Forse quello di uno spettatore messo in dispar-te, quasi come quando ai bambini si fa vedere qualco-sa di fragile, di importante o

prezioso badando che si ten-ga a distanza e che soprat-tutto non tocchi nulla, per paura che lo rompa o lo ro-vini. Il bisogno dei cittadini, forse, non è l’interesse pri-mario dell’edilizia connessa all’Expo, come testimonia la vicenda del quartiere Gal-laratese, uno dei più popo-losi della città, con quasi sessantamila abitanti. È un quartiere popoloso ma poco

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vissuto, data l’assenza di servizi collettivi pur essendo collocato in un’area grande con vasti spazi vuoti. La ri-qualificazione del quartiere è stata progettata, ma mai realizzata, e ora, come pro-getto collaterale all’Expo, vi è la costruzione del nuovo quartiere di Cascina Mer-lata, al confine con quello Gallaratese. Il bisogno dei cittadini è quindi passato in

secondo piano, a vantaggio del mattone e dell’edili-zia sregolata, copione pur-troppo non nuovo. È ovvio che l’Expo abbia costituito l’occasione per ingenti in-vestimenti immobiliari, che finiranno con il mutare no-tevolmente la città e anche la vita di chi vive in città e nel-le nuove realtà abitative che verranno. Quello però che il futuro Schliemann potrà

solo eventualmente intuire è che l’uomo verrà messo in secondo piano, non solo per quanto riguarda il lavo-ro o i servizi, ma anche per la qualità della vita di tutti i giorni, che non dipende solo da quanto una persona può spostarsi velocemente o da come può accedere alle cure ospedaliere, ma anche da quello che vede dalla fine-stra della propria camera

vissuto, data l’assenza di servizi collettivi pur essendo collocato in un’area grande con vasti spazi vuoti. La ri-qualificazione del quartiere è stata progettata, ma mai realizzata, e ora, come pro-getto collaterale all’Expo, vi è la costruzione del nuovo quartiere di Cascina Mer-lata, al confine con quello Gallaratese. Il bisogno dei cittadini è quindi passato in

secondo piano, a vantaggio del mattone e dell’edili-zia sregolata, copione pur-troppo non nuovo. È ovvio che l’Expo abbia costituito l’occasione per ingenti in-vestimenti immobiliari, che finiranno con il mutare no-tevolmente la città e anche la vita di chi vive in città e nel-le nuove realtà abitative che verranno. Quello però che il futuro Schliemann potrà

solo eventualmente intuire è che l’uomo verrà messo in secondo piano, non solo per quanto riguarda il lavo-ro o i servizi, ma anche per la qualità della vita di tutti i giorni, che non dipende solo da quanto una persona può spostarsi velocemente o da come può accedere alle cure ospedaliere, ma anche da quello che vede dalla fine-stra della propria camera

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la mattina quando si sveglia. Ci si sta forse av-viando verso una metropoli in cui dalla finestra si vedrà solamente la facciata del palazzo del vicino, distante pochi metri? In molti quartieri di diverse città italiane è un fenomeno già dif-fuso, ma forse un giorno potrebbe diventare la norma non solo a Milano ma un po’ ovunque e quella finestra, che permette all’uomo di af-facciarsi e rimanere solo con se stesso anche pochi attimi prima di affrontare una nuova routine quotidiana, potrebbe diventare un freddo e brutale richiamo alla realtà.

ilano o Venezia? - Realtà che però potrebbe essere diversa da quella che si è abituati a consi-derare. Parlare di vie d’acqua,

infatti, fa immediatamente venire in mente i canali di Venezia, dove sfilano le gondole e i turisti scattano foto romantiche. Il tema delle vie d’acqua sta toccando anche Milano, cre-ando una via attraverso i canali, dal Villoresi al Naviglio Grande, fino al sito espositivo. Il tema dell’acqua è molto ricorrente in questa esposizione, come bene comune da salva-guardare. Nell’ottica di rilancio ambientale e del paesaggio nella zona dei Navigli, rientra la realizzazione della via d’acqua: 20 chilometri attraverso Milano, da far diventare, almeno in parte, “città d’acqua”. Progetto senz’altro am-bizioso, ma con un forte richiamo urbanistico e sociale, che potrebbe davvero restituire una città come non ce l’aspettiamo. Accanto al cir-cuito azzurro, infatti, ne dovrebbe sorgere uno verde, destinato ai percorsi ciclabili e pedonali, per far riscoprire ai cittadini il piacere di vivere la propria città. Se dovesse andare in porto sa-rebbe un vero cambiamento per Milano, vista anche da fuori come città industriale, dedita al lavoro di giorno e alla movida di notte, in cui è difficile vivere, in cui è impossibile fare una passeggiata senza essere invasi da smog e fumi di scarti industriali. Ridare Milano alla gen-te che ci vive è forse la scommessa maggiore dell’Expo. La scommessa sarà vinta? Non lo si può dire ancora ma, nonostante gli errori e il lavoro che c’è ancora da fare, si potrà forse cre-are una città migliore. Bisognerebbe però tener conto di tutti i bisogni, e, se per il momento ci sono idee buone, ce ne sono altre che non cam-minano in questa direzione. Quando nel 2008 venne battuta la concorrenza di Smirne si pen-sò ad una grandissima occasione. Se diventasse l’ennesima occasione sprecata all’italiana non ce lo potremmo mai perdonare.

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la mattina quando si sveglia. Ci si sta forse av-viando verso una metropoli in cui dalla finestra si vedrà solamente la facciata del palazzo del vicino, distante pochi metri? In molti quartieri di diverse città italiane è un fenomeno già dif-fuso, ma forse un giorno potrebbe diventare la norma non solo a Milano ma un po’ ovunque e quella finestra, che permette all’uomo di af-facciarsi e rimanere solo con se stesso anche pochi attimi prima di affrontare una nuova routine quotidiana, potrebbe diventare un freddo e brutale richiamo alla realtà.

ilano o Venezia? - Realtà che però potrebbe essere diversa da quella che si è abituati a consi-derare. Parlare di vie d’acqua,

infatti, fa immediatamente venire in mente i canali di Venezia, dove sfilano le gondole e i turisti scattano foto romantiche. Il tema delle vie d’acqua sta toccando anche Milano, cre-ando una via attraverso i canali, dal Villoresi al Naviglio Grande, fino al sito espositivo. Il tema dell’acqua è molto ricorrente in questa esposizione, come bene comune da salva-guardare. Nell’ottica di rilancio ambientale e del paesaggio nella zona dei Navigli, rientra la realizzazione della via d’acqua: 20 chilometri attraverso Milano, da far diventare, almeno in parte, “città d’acqua”. Progetto senz’altro am-bizioso, ma con un forte richiamo urbanistico e sociale, che potrebbe davvero restituire una città come non ce l’aspettiamo. Accanto al cir-cuito azzurro, infatti, ne dovrebbe sorgere uno verde, destinato ai percorsi ciclabili e pedonali, per far riscoprire ai cittadini il piacere di vivere la propria città. Se dovesse andare in porto sa-rebbe un vero cambiamento per Milano, vista anche da fuori come città industriale, dedita al lavoro di giorno e alla movida di notte, in cui è difficile vivere, in cui è impossibile fare una passeggiata senza essere invasi da smog e fumi di scarti industriali. Ridare Milano alla gen-te che ci vive è forse la scommessa maggiore dell’Expo. La scommessa sarà vinta? Non lo si può dire ancora ma, nonostante gli errori e il lavoro che c’è ancora da fare, si potrà forse cre-are una città migliore. Bisognerebbe però tener conto di tutti i bisogni, e, se per il momento ci sono idee buone, ce ne sono altre che non cam-minano in questa direzione. Quando nel 2008 venne battuta la concorrenza di Smirne si pen-sò ad una grandissima occasione. Se diventasse l’ennesima occasione sprecata all’italiana non ce lo potremmo mai perdonare.

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omincia a fare freddo. Mi preparo un caffè forte. Apro la posta, pubblicità. Siamo quasi in campagna eletto-rale, comincia la marcia

mediatica. La telecrazia impone pre-senze, non richieste. Amici mai avuti che tornano amici del cuore. Fa freddo sul serio. Oltre alla camicia serve un maglione. Sguardo fugace alle mail. “Per il tuo futuro, io sono qui”. Im-maginavo. Lettere fredde. Lettere che non scaldano. Lettere lontane dal Maiakowsky che ricordava alla politica di scendere in piazza e non a restarsene in un partito. Partito, an-dato, defunto. Partiicpio di partire, scappare, ma anche evadere, sparire. Il caffè fischia, il vento tace. Le fin-estre sono appannate che mi viene voglia di fare uno smile. Lo faccio. Mi sorride il vetro. Non si rompe. Mi guarda e mi sorride. Simpatico. Lei mi ha portato l’aria forte di Peròn, le scorazzate dei bandoleros, la bombilla bollente. Il respiro asmatico dei pel-lerossa. Tifavo per gli indios e non per i cows-boys. Mio nonno diceva che erano buoni i cows-boys, io non ero d’accordo. Ma lui aveva avuto la cioccolata dagli americani. Il processo di americanizzazione con babbo na-tale sulla coca-cola aveva funzionato. Cerco invano il mio cappello di lana. Il caffè mi ha sporcato il naso, ci fumo

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BUONa visione

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sopra. Leggo un’altra mail. Questa volta è lunga. È una lettera. Un chiaro intento di convincermi a votare per lui. Questi per-sonaggi circensi sbagliano l’approccio. Quando si vota si dà una responsabilità, non si rende un favore. Ora-mai più che rappresentanti del popolo abbiamo impie-gati di partito. È un lavoro tra più ambiti in Italia. È una garanzia. Un vitalizio. I comici fanno i comici; i politici fanno i comici con la cravatta. Le scarpe sempre sportive. Mi scoccia met-tere quelle a stivaletto. Non sono il tipo. La tazza nel lavandino. Il vetro sorride sempre. Gli disegno anche i capelli. A spazzola, con un ciuffo. Devo muovermi. Lei mi aspetta. Andiamo al cin-ema. Ora compreremo i pop corn a cioccolato e le cara-melle appiccicose. Chiudo le luci. Prendo il cappotto. Il cappello l’ho trovato e lo indosso. Chiudo la porta e

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al ritorno avrà un compenso. Ci avviciniamo alla sala. Ci sono dei vigili con l’auto in doppia fila. Gli diciamo che ci sono dei parcheggiatori abusivi aggressivi e palesi. Dicono di saperlo, ma sono li per un altro compito. Ov-viamente ci viene da sorri-dere. Vado al parchimetro. Stampo la ricevuta. Torno e lo metto sul parabrezza. Si avvicina un altro tipo, col cappellino. Vuole i soldi. Gli dico che già ho discusso con un altro. Torno da lei. Com-priamo i pop corn e la pepsi per me. Entriamo in sala. Ci sediamo. Luci spente, occhi vivi, mano nella mano. Sullo schermo lo spot politico. Primarie. Scelte di partito. La Regione sei tu. Pagare per votare. Pagare per par-cheggiare. In doppia fila i vigili che sono li per altro. I parcheggiatori sono li per sempre, come le buche ed i silenzi della coscienza. Bu-ona visione.

scendo. Un volantino nella posta. Elettorale. Ci sono le primarie. Altra grande per-formance comica. Primarie. Tutti possono votare. Ma si paga. Per votare si paga. Ti chiamano, ti chiedono di vo-tare e di pagare per votare. Mi avvio a piedi. Ci sono buche ovunque sull’asfalto. Zero vigili e zero controllo. Però poi paghi per votare. Incontro un personaggio che riempie le bacheche di face-book con i suoi slogan elet-torali. Mi ferma. Fa un sor-riso enorme. Gli dico delle buche, risponde che verran-no riparate. Gli chiedo dei vigili, ride dicendo che sia-mo abbandonati perché non si votano le persone giuste. Gli dico che c’era un consi-glio municipale a quell’ora, mi risponde che non ha avuto tempo. Però paghia-mo per votare, e lui dice di essere un rappresentante del popolo. Passi l’italiano pessimo, l’analfabetismo si enfatizza sui social net-

work, ma l’etica deve essere alla base di certe carriere. Eccola. Bella, con quegli oc-chi luminosi e profondi. C’è tutto un mondo che affonda in quel caldo abbraccio di palpebre. Salgo. Ci avviamo al cinema. Accendiamo una sigaretta in due. Le rac-conto del politico. Sorride rassegnata. Decidiamo in-sieme quale film guardare. Qualcosa di leggero. Qualche commedia diretta. Arrivi-amo. Il parcheggio è sem-plice. Dietro ci raggiunge un tipo con fare aggressivo. Vuole i soldi. I soldi di cosa? Del parcheggio. Proprietà privata? Metteremo il grat-tino grazie. Il grattino però non ci protegge da furti e graffi. Tre euro. Tre euro più due euro di grattino. Cinque euro per posare un auto. Lui insiste. Ci gurda la mac-china. Noi tentenniamo. Decidiamo di darli dopo. Lui dice che dopo non c’è. Cosa guarda allora? Non li abbia-mo pronti, conveniamo che

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Chi di voi vorrà fare il giornalistasi ricordi di scegliere il proprio padroneil lettore!Indro Montanelli

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amsung presenterà uno smartphone eco-nomico basato sul S.O. Tizen - Samsung, dopo il clamoroso flop di cui è stata artefice in Russia, si prepara a lanciare per la secon-

da volta il proprio Sistema Operativo “Tizen”, questa volta in India. Il 18 gennaio del 2015 verrà presentato lo smartphone di fascia bassa Z1, con il quale il colosso sudcoreano tenterà di fare concorrenza ai terminali più economici basati su Windows Phone ed Android. Per questo secondo lancio Samsung ha cercato di mi-gliorare l’esperienza d’uso, rendendo disponibili fin da subito alcune applicazioni indispensabili, come ad esempio WhatsApp, sebbene molte altre siano ancora mancanti. Costruito attorno ad hardware di livello molto basso (SoC Dual Core, schermo da 4” con risoluzione 480x800 e soli 512MB di Ram), lo Z1 potrebbe rivelarsi ancora una volta un fallimento, considerato il prezzo di commercializzazione pari a 90$, costringendo di fatto Samsung ad abbandonare il progetto Tizen definitivamente.

l mercato dell’Internet of Things soprav-valutato secondo ARM - ARM, l’azienda che sta dominando il settore Mobile, grazie alla propria architettura economica ed allo stesso

tempo molto efficiente, si dimostra assai dubbiosa sul prossimo futuro successo del mercato chiamato “Internet of Things”. Da molti analisti considerato la gallina dalle uova d’oro dei prossimi anni, secondo ARM rimarrà ancora allo stato embrionale per diver-so tempo, in quanto attualmente neppure le stesse case produttrici sono in grado di inquadrarlo. In cosa consiste? Smartwatch? Elettrodomestici? Indoss-abili? Quale categoria di prodotti bisogna realizzare per rendere questo mercato profittevole? Manca, in poche parole, un prodotto in grado di caratterizzarlo. Per il mercato PC negli anni ‘80 vi è stato il Personal Computer IBM, per il mercato Mobile negli anni 2000 vi sono stati l’iPhone e l’iPad. Per l’IoT non si è visto ancora nulla. Per questo motivo ARM crede che per i prossimi 5 anni il vero mercato trainante, dopo quello Mobile, sarà quello Embedded (di cui fa parte, ad esempio, l’Automotive e quindi i computer di bordo delle automobili).

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S amsung presenterà uno smartphone eco-nomico basato sul S.O. Tizen - Samsung, dopo il clamoroso flop di cui è stata artefice in Russia, si prepara a lanciare per la secon-

da volta il proprio Sistema Operativo “Tizen”, questa volta in India. Il 18 gennaio del 2015 verrà presentato lo smartphone di fascia bassa Z1, con il quale il colosso sudcoreano tenterà di fare concorrenza ai terminali più economici basati su Windows Phone ed Android. Per questo secondo lancio Samsung ha cercato di mi-gliorare l’esperienza d’uso, rendendo disponibili fin da subito alcune applicazioni indispensabili, come ad esempio WhatsApp, sebbene molte altre siano ancora mancanti. Costruito attorno ad hardware di livello molto basso (SoC Dual Core, schermo da 4” con risoluzione 480x800 e soli 512MB di Ram), lo Z1 potrebbe rivelarsi ancora una volta un fallimento, considerato il prezzo di commercializzazione pari a 90$, costringendo di fatto Samsung ad abbandonare il progetto Tizen definitivamente.

l mercato dell’Internet of Things soprav-valutato secondo ARM - ARM, l’azienda che sta dominando il settore Mobile, grazie alla propria architettura economica ed allo stesso

tempo molto efficiente, si dimostra assai dubbiosa sul prossimo futuro successo del mercato chiamato “Internet of Things”. Da molti analisti considerato la gallina dalle uova d’oro dei prossimi anni, secondo ARM rimarrà ancora allo stato embrionale per diver-so tempo, in quanto attualmente neppure le stesse case produttrici sono in grado di inquadrarlo. In cosa consiste? Smartwatch? Elettrodomestici? Indoss-abili? Quale categoria di prodotti bisogna realizzare per rendere questo mercato profittevole? Manca, in poche parole, un prodotto in grado di caratterizzarlo. Per il mercato PC negli anni ‘80 vi è stato il Personal Computer IBM, per il mercato Mobile negli anni 2000 vi sono stati l’iPhone e l’iPad. Per l’IoT non si è visto ancora nulla. Per questo motivo ARM crede che per i prossimi 5 anni il vero mercato trainante, dopo quello Mobile, sarà quello Embedded (di cui fa parte, ad esempio, l’Automotive e quindi i computer di bordo delle automobili).

amsung presenterà uno smartphone eco-nomico basato sul S.O. Tizen - Samsung, dopo il clamoroso flop di cui è stata artefice in Russia, si prepara a lanciare per la secon-

da volta il proprio Sistema Operativo “Tizen”, questa volta in India. Il 18 gennaio del 2015 verrà presentato lo smartphone di fascia bassa Z1, con il quale il colosso sudcoreano tenterà di fare concorrenza ai terminali più economici basati su Windows Phone ed Android. Per questo secondo lancio Samsung ha cercato di mi-gliorare l’esperienza d’uso, rendendo disponibili fin da subito alcune applicazioni indispensabili, come ad esempio WhatsApp, sebbene molte altre siano ancora mancanti. Costruito attorno ad hardware di livello molto basso (SoC Dual Core, schermo da 4” con risoluzione 480x800 e soli 512MB di Ram), lo Z1 potrebbe rivelarsi ancora una volta un fallimento, considerato il prezzo di commercializzazione pari a 90$, costringendo di fatto Samsung ad abbandonare il progetto Tizen definitivamente.

l mercato dell’Internet of Things soprav-valutato secondo ARM - ARM, l’azienda che sta dominando il settore Mobile, grazie alla propria architettura economica ed allo stesso

tempo molto efficiente, si dimostra assai dubbiosa sul prossimo futuro successo del mercato chiamato “Internet of Things”. Da molti analisti considerato la gallina dalle uova d’oro dei prossimi anni, secondo ARM rimarrà ancora allo stato embrionale per diver-so tempo, in quanto attualmente neppure le stesse case produttrici sono in grado di inquadrarlo. In cosa consiste? Smartwatch? Elettrodomestici? Indoss-abili? Quale categoria di prodotti bisogna realizzare per rendere questo mercato profittevole? Manca, in poche parole, un prodotto in grado di caratterizzarlo. Per il mercato PC negli anni ‘80 vi è stato il Personal Computer IBM, per il mercato Mobile negli anni 2000 vi sono stati l’iPhone e l’iPad. Per l’IoT non si è visto ancora nulla. Per questo motivo ARM crede che per i prossimi 5 anni il vero mercato trainante, dopo quello Mobile, sarà quello Embedded (di cui fa parte, ad esempio, l’Automotive e quindi i computer di bordo delle automobili).

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SMIC si espande grazie a

QualcommLa Cina, seppure lentamente, si sta espandendo non solo nei mercato manifatturiero informatico (attraverso l’assemblaggio di Smartphone e Tablet, ad esempio), ma anche nella produzione diretta di semiconduttori. La più grande fonderia cinese, SMIC, ha finalmente chiuso un importante accordo con Qualcomm, il più importante produttore mondiale di SoC per Smartphone e Tablet. Questo permetterà a SMIC, e alla Cina stessa, di poter concorrere anche nei settori tecnologici più avanzati.

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La Cina, seppure lentamente, si sta espandendo non solo nei mercato manifatturiero informatico (attraverso l’assemblaggio di Smartphone e Tablet, ad esempio), ma anche nella produzione diretta di semiconduttori. La più grande fonderia cinese, SMIC, ha finalmente chiuso un importante accordo con Qualcomm, il più importante produttore mondiale di SoC per Smartphone e Tablet. Questo permetterà a SMIC, e alla Cina stessa, di poter concorrere anche nei settori tecnologici più avanzati.

La Cina, seppure lentamente, si sta espandendo non solo nei mercato manifatturiero informatico (attraverso l’assemblaggio di Smartphone e Tablet, ad esempio), ma anche nella produzione diretta di semiconduttori. La più grande fonderia cinese, SMIC, ha finalmente chiuso un importante accordo con Qualcomm, il più importante produttore mondiale di SoC per Smartphone e Tablet. Questo permetterà a SMIC, e alla Cina stessa, di poter concorrere anche nei settori tecnologici più avanzati.

La Cina, seppure lentamente, si sta espandendo non solo nei mercato manifatturiero informatico (attraverso l’assemblaggio di Smartphone e Tablet, ad esempio), ma anche nella produzione diretta di semiconduttori. La più grande fonderia cinese, SMIC, ha finalmente chiuso un importante accordo con Qualcomm, il più importante produttore mondiale di SoC per Smartphone e Tablet. Questo permetterà a SMIC, e alla Cina stessa, di poter concorrere anche nei settori tecnologici più avanzati.

SMIC si espande grazie a

Qualcomm

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cos’è una

dawl termine DAW sta per Di-gital Audio Workstation, una vera e propria stazio-ne operativa (software e hardware) che permette di registrare,editare e ri-

produrre le tracce. Per chi voglia fare musica col proprio personal com-puter una DAW è fondamentale e, per questo, è necessario scegliere la più idonea allo scopo. Innanzitutto, dobbiamo tener conto di due fatto-ri: il sistema operativo che s’inten-de usare (Mac os x o Windows) ,e il budget disponibile. Detto ciò, e te-nendo da parte (per questa volta) gli hardware,che programma scegliere? Sul mercato esiste una varietà dav-vero impressionante, nonostante esistano comuni caratteristiche di base: Fl Studio, Reason e Ableton Live rappresentano un’opzione più semplice ed intuitiva, ideale per chi comincia a muovere i primi passi in questo ambiente. Il primo, in parti-colare, è molto utilizzato per creare musica elettronica e, oltre ad essere molto semplice, è dotato di un mi-xer, un sequencer e un multitrac-cia, risultando compatibile con vari strumenti virtuali (VST). Il secondo, invece, è una sorta di studio virtua-le che offre VST integrati, un cam-pionatore e sintetizzatore (Synth). Ableton Live, infine, è sicuramente una delle opzioni più versatili. Ot-tima soluzione per i live e spesso

utilizzato da molti DJ grazie alla pos-sibilità di mix in tempo reale,ad una grande quantità di effetti e un’ot-tima velocità di elaborazione, può essere utilizzato anche in studio per le proprie produzioni. Tra i software più completi troviamo poi Pro Tools, Logic Pro (compatibile solo con Ap-ple), Cubas, Sonar, Nuendo, Digital Perfomer. Guardando da più da vici-no solo i primi due, che sono tra i più diffusi negli studi di registrazione. Oltre alle solite componenti, offrono compatibilità di plug in di terze par-ti, supporto oltre 100 tracce simulta-nee e frequenza di campionamento fino a 24bit/192kHz. Se Pro Tools è tra i più utilizzati nella fasi di post produzione (mixing e mastering) e nelle fasi di registrazione, grazie ad un monitoring del segnale senza la-tenza, Logic Pro ha invece dalla sua il costo ed un interfaccia intuitiva ide-ale per la fase di produzione, grazie anche alle sue vaste librerie di VST. Si deve tener presente infine che per far funzionare al meglio questi sof-tware si necessita anche di hardware di buona qualità. Una pessima sche-da audio non darà ottimi risultati, così come poca RAM non darà sta-bilità al programma. Bisogna ricor-dare di trarre maggiori informazioni possibili da chi ha più esperienza nel settore per evitare spese azzardate o sbagliate. Buona musica!

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Vite di scartoScarti di vista

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di Emanuela GuarnieriLo scarto come distanza e divario. Lo scarto delle Villas. Uno scarto di vista che non sfugge ma cattura e ammalia. Tra luci, rumori e movimento sei in Argentina. Sei nelle baraccopoli tra immigrati e ritmo di cumbie, tra il sangue misto delle disparate origini dei villeri. In poche parole, sei tra il reale e il surreale.

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Sentimenti ancora viviL’Argentina è l’antico. È il legno scuro, è la cornice opaca. È una

donna su una sedia che le dondola i pensieri e i sentimenti ancora vivi.

(Ph. Natacha Pisarenko - 2012)

e luci, la folla, la torre de los Ingléses con il suo orologio che segna il tempo. I grattacieli porte-ni che riempiono

gli occhi e fanno alzare la testa. Il fischio dei treni e le code di mi-cros, colectivos o bondies che dir si voglia. Il senso è sempre quello: il trasporto, il movimento. Nel quartiere bonaerense di Retiro, tra Recoleta e Puerto Madero, i secondi sono vortici. Non ci si ferma, non ci si può fermare. Da ogni lato l’odore di choripan ti av-volge come una sciarpa d’inverno, i venditori ambulanti dal viso poco raccomandabile ti fanno istinti-vamente stringere in una mano i pesos contati che ti hanno racco-mandato di mettere da parte, i passi veloci degli altri ti tentano di an-dare al loro ritmo, di non guardare in faccia, di non intavolare discorsi. Ti tentano. Ma non è detto che tu lo faccia. Può sorgere invece il te la volontà di camminare tranquillo, di non perderti quelle espressioni del volto che diventa tavolozza impastata di freddo, di caldo, di miseria, di cattiveria o tristezza, di povertà e destrezza. Puoi sentire la tentazione di staccare gli occhi

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dai grattacieli in lonta-nanza, di non concentrarti sull’orologio della torre e le sue aiuole, di non badare alla grande scritta “Termi-nal de omnibus”. Smettere di guardare anche le valigie ruotate e i cappotti lunghi della gente. Buttare i tuoi occhi nelle strade che co-steggiano la grande piazza: la prima cosa che vedrai sarà carta, di mille colori, cartoni, spezzati, rotti, sporchi, piedi scalzi, muri scrostati, pol-vere. Lo puoi solo immagin-are il ventre marcio in cui le strade sporche e coloratis-sime si vanno a riunire come tanti capillari malati: la villa. In Argentina si chiamano così gli agglomerati di pov-ertà, di precarietà, di lamiere colorate ammassate a for-

mare sorte di abitazioni. In una villa, da solo, non ci puoi entrare. Te lo raccontano gli argentini: a meno di andarci accompagnato da una per-sona conosciuta della villa, addentrarsi lì da solo è fuori discussione. La criminalità è il biglietto da visita, la pasta base è lo scarto della cocai-na che circola indisturbata: tutto rimanda allo scarto, in una villa, dalle persone, alle case, al gergo, alla droga. Lo scarto però, non è solo qual-cosa di “difettato”, di “in-utile” o “inutilizzabile”. Lo scarto è anche distanza, di-vario. Troppo spesso impos-ti, a volte consapevolmente scelti. Alle spalle di Retiro, la villa 31, originariamente, negli anni ’30, denomi-nata “Villa desocupación”:

0mila abitanti circa. La più fa-mosa, ma non l’unica: a Bue-nos Aires c’è an-

che Ciudad Oculta, un nome che è tutto un programma, come il Fuerte Apache della provincia di Tres de Febre-ro. Definite ovunque anche come “villas miserias” o “villas de emergencias”, i titoli che le classificano le etichettano e al tempo stesso le ridicolizzano, mettendone in evidenza la sempre vera e forte miseria e sbeffeggian-do con quel termine “emer-genza” che dovrebbe riman-dare al concetto di soluzione provvisoria e istantaneo re-cupero, delle enormi barac-copoli che non sono mai state un’emergenza, ma

u dai grattacieli in lonta-nanza, di non concentrarti sull’orologio della torre e le sue aiuole, di non badare alla grande scritta “Termi-nal de omnibus”. Smettere di guardare anche le valigie ruotate e i cappotti lunghi della gente. Buttare i tuoi occhi nelle strade che co-steggiano la grande piazza: la prima cosa che vedrai sarà carta, di mille colori, cartoni, spezzati, rotti, sporchi, piedi scalzi, muri scrostati, pol-vere. Lo puoi solo immagin-are il ventre marcio in cui le strade sporche e coloratis-sime si vanno a riunire come tanti capillari malati: la villa. In Argentina si chiamano così gli agglomerati di pov-ertà, di precarietà, di lamiere colorate ammassate a for-

mare sorte di abitazioni. In una villa, da solo, non ci puoi entrare. Te lo raccontano gli argentini: a meno di andarci accompagnato da una per-sona conosciuta della villa, addentrarsi lì da solo è fuori discussione. La criminalità è il biglietto da visita, la pasta base è lo scarto della cocai-na che circola indisturbata: tutto rimanda allo scarto, in una villa, dalle persone, alle case, al gergo, alla droga. Lo scarto però, non è solo qual-cosa di “difettato”, di “in-utile” o “inutilizzabile”. Lo scarto è anche distanza, di-vario. Troppo spesso impos-ti, a volte consapevolmente scelti. Alle spalle di Retiro, la villa 31, originariamente, negli anni ’30, denomi-nata “Villa desocupación”:

0mila abitanti circa. La più fa-mosa, ma non l’unica: a Bue-nos Aires c’è an-

che Ciudad Oculta, un nome che è tutto un programma, come il Fuerte Apache della provincia di Tres de Febre-ro. Definite ovunque anche come “villas miserias” o “villas de emergencias”, i titoli che le classificano le etichettano e al tempo stesso le ridicolizzano, mettendone in evidenza la sempre vera e forte miseria e sbeffeggian-do con quel termine “emer-genza” che dovrebbe riman-dare al concetto di soluzione provvisoria e istantaneo re-cupero, delle enormi barac-copoli che non sono mai state un’emergenza, ma

Il dolore del villeroLa sofferenza della nudità.

Distogliere lo sguardo, storcere il naso, non servirà a cancellare

la sofferenza di un villero.(Ph. Natacha Pisarenko - 2012)

dai grattacieli in lonta-nanza, di non concentrarti sull’orologio della torre e le sue aiuole, di non badare alla grande scritta “Termi-nal de omnibus”. Smettere di guardare anche le valigie ruotate e i cappotti lunghi della gente. Buttare i tuoi occhi nelle strade che co-steggiano la grande piazza: la prima cosa che vedrai sarà carta, di mille colori, cartoni, spezzati, rotti, sporchi, piedi scalzi, muri scrostati, pol-vere. Lo puoi solo immagin-are il ventre marcio in cui le strade sporche e coloratis-sime si vanno a riunire come tanti capillari malati: la villa. In Argentina si chiamano così gli agglomerati di pov-ertà, di precarietà, di lamiere colorate ammassate a for-

mare sorte di abitazioni. In una villa, da solo, non ci puoi entrare. Te lo raccontano gli argentini: a meno di andarci accompagnato da una per-sona conosciuta della villa, addentrarsi lì da solo è fuori discussione. La criminalità è il biglietto da visita, la pasta base è lo scarto della cocai-na che circola indisturbata: tutto rimanda allo scarto, in una villa, dalle persone, alle case, al gergo, alla droga. Lo scarto però, non è solo qual-cosa di “difettato”, di “in-utile” o “inutilizzabile”. Lo scarto è anche distanza, di-vario. Troppo spesso impos-ti, a volte consapevolmente scelti. Alle spalle di Retiro, la villa 31, originariamente, negli anni ’30, denomi-nata “Villa desocupación”:

0mila abitanti circa. La più fa-mosa, ma non l’unica: a Bue-nos Aires c’è an-

che Ciudad Oculta, un nome che è tutto un programma, come il Fuerte Apache della provincia di Tres de Febre-ro. Definite ovunque anche come “villas miserias” o “villas de emergencias”, i titoli che le classificano le etichettano e al tempo stesso le ridicolizzano, mettendone in evidenza la sempre vera e forte miseria e sbeffeggian-do con quel termine “emer-genza” che dovrebbe riman-dare al concetto di soluzione provvisoria e istantaneo re-cupero, delle enormi barac-copoli che non sono mai state un’emergenza, ma

Il dolore del villeroLa sofferenza della nudità.

Distogliere lo sguardo, storcere il naso, non servirà a cancellare

la sofferenza di un villero.(Ph. Natacha Pisarenko - 2012)

Il dolore del villeroLa sofferenza della nudità.

Distogliere lo sguardo, storcere il naso, non servirà a cancellare

la sofferenza di un villero.(Ph. Natacha Pisarenko - 2012)

Il dolore del villeroLa sofferenza della nudità.

Distogliere lo sguardo, storcere il naso, non servirà a cancellare

la sofferenza di un villero.(Ph. Natacha Pisarenko - 2012)

Il dolore del villeroLa sofferenza della nudità.

Distogliere lo sguardo, storcere il naso, non servirà a cancellare

la sofferenza di un villero.(Ph. Natacha Pisarenko - 2012)

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Page 89: Impatto Mag - ISSUE #13

sempre e solo un’essenza, eterna ed immutabile, nonostante i tanti progetti di urbanizzazione o quelli di abbattimento, disegnati e mai re-alizzati. Le hanno raccontate in tan-ti le villas miserias, ci hanno scritto libri, ci hanno fatto quadri, ma il villero, che vive in una villa, resta ancora marchiato a fuoco: non tutti sono criminali, ma provenire da quel ventre marcio è troppo spesso un motivo per non essere assunti, per non essere frequentati, per non essere considerati.

ppure qualcosa si muove, come ci rac-conta Virginia Negro di Repubblica in un arti-

colo di questo giugno, due anni fa si sarebbe formata un’organizzazione per il diritto alla casa: La Corriente Villera Independiente è fatta di volontari dell’urbanizzazione, che “dedicano i loro sforzi alla pavi-mentazione delle strade, costruis-cono servizi igenici, impianti di illu-minazione e lottano per un habitat urbano sostenibile”. Urbanizzazi-one o no, l’essenza villera, che non è solo scarto sociale ma anche scarto di ricca diversità, formata orgini-ariamente da immigrati delle più disparate origini, scorre nel sangue insieme al ritmo delle cumbie e nelle gambe dei suoi miti, dai goal di Tevez dedicati alla sua baracco-poli alla favola di Lavezzi. Dentro o fuori? Dov’è la civiltà? Dove invece la barbarie? Le villas miserias sono fuori dalla città? O è la città ad essere fuori dalle villas? Scarti di vista.

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Lamiere e incastri di vitaLamiere e vita, lamiere su lamiere,

incastri di vita e bucato steso. La normalità e la capacità di adattarsi

nella miseria. Benvenuti nelle villas.(Ph. Natacha Pisarenko - 2012)

sempre e solo un’essenza, eterna ed immutabile, nonostante i tanti progetti di urbanizzazione o quelli di abbattimento, disegnati e mai re-alizzati. Le hanno raccontate in tan-ti le villas miserias, ci hanno scritto libri, ci hanno fatto quadri, ma il villero, che vive in una villa, resta ancora marchiato a fuoco: non tutti sono criminali, ma provenire da quel ventre marcio è troppo spesso un motivo per non essere assunti, per non essere frequentati, per non essere considerati.

ppure qualcosa si muove, come ci rac-conta Virginia Negro di Repubblica in un arti-

colo di questo giugno, due anni fa si sarebbe formata un’organizzazione per il diritto alla casa: La Corriente Villera Independiente è fatta di volontari dell’urbanizzazione, che “dedicano i loro sforzi alla pavi-mentazione delle strade, costruis-cono servizi igenici, impianti di illu-minazione e lottano per un habitat urbano sostenibile”. Urbanizzazi-one o no, l’essenza villera, che non è solo scarto sociale ma anche scarto di ricca diversità, formata orgini-ariamente da immigrati delle più disparate origini, scorre nel sangue insieme al ritmo delle cumbie e nelle gambe dei suoi miti, dai goal di Tevez dedicati alla sua baracco-poli alla favola di Lavezzi. Dentro o fuori? Dov’è la civiltà? Dove invece la barbarie? Le villas miserias sono fuori dalla città? O è la città ad essere fuori dalle villas? Scarti di vista.

Lamiere e incastri di vitaLamiere e vita, lamiere su lamiere,

incastri di vita e bucato steso. La normalità e la capacità di adattarsi

nella miseria. Benvenuti nelle villas.(Ph. Natacha Pisarenko - 2012)

Lamiere e incastri di vitaLamiere e vita, lamiere su lamiere,

incastri di vita e bucato steso. La normalità e la capacità di adattarsi

nella miseria. Benvenuti nelle villas.(Ph. Natacha Pisarenko - 2012)

Lamiere e incastri di vitaLamiere e vita, lamiere su lamiere,

incastri di vita e bucato steso. La normalità e la capacità di adattarsi

nella miseria. Benvenuti nelle villas.(Ph. Natacha Pisarenko - 2012)

Lamiere e incastri di vitaLamiere e vita, lamiere su lamiere,

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nella miseria. Benvenuti nelle villas.(Ph. Natacha Pisarenko - 2012)

Lamiere e incastri di vitaLamiere e vita, lamiere su lamiere,

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nella miseria. Benvenuti nelle villas.(Ph. Natacha Pisarenko - 2012)

Lamiere e incastri di vitaLamiere e vita, lamiere su lamiere,

incastri di vita e bucato steso. La normalità e la capacità di adattarsi

nella miseria. Benvenuti nelle villas.(Ph. Natacha Pisarenko - 2012)

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