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ESAME DI MATURITA’ 2009/2010 LICEO SCIENTIFICO “G. BERTO” RIDOLFI ALESSANDRA V I ITALIANO: LA RICERCA DELL’INFINITO IN LEOPARDI E L’INFINITO COME ASSOLUTO IN UNGARETTI E MOTALE LATINO: GIOIA DIVINA E SENSO DI SMARRIMENTO DIFRONTE AL COSMO INFINITO NEL DE RERUM NATURA DI LUCREZIO GEOGRAFIA ASTRONOMICA: UNIVERSO,IPOTESI COSMOLOGICHE E POSSIBILI EVOLUZIONI. MATEMATICA: IL CONCETTO DI “LIMITE” IN MATEMATICA FISICA: FLUSSO DEL CAMPO ELETTRICO E FLUSSO DEL CAMPO MAGNETICO INGLESE: THE SEARCH FOR THE INFINITY IN THE ENGLISH ROMANTICISM. WORDSWORTH AND COLERIDGE STORIA: LA PRIMA GUERRA MONDIALE FILOSOFIA: FINITO-INFINITO NELLA FILOSOFIA DI FICHTE

Infinito

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Infinito

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Page 1: Infinito

ESAME DI MATURITA’ 2009/2010

LICEO SCIENTIFICO “G. BERTO”

RIDOLFI ALESSANDRA V I

ITALIANO: LA RICERCA DELL’INFINITO

IN LEOPARDI E L’INFINITO

COME ASSOLUTO IN

UNGARETTI E MOTALE

LATINO: GIOIA DIVINA E SENSO DI

SMARRIMENTO DIFRONTE

AL COSMO INFINITO NEL DE

RERUM NATURA DI LUCREZIO GEOGRAFIA ASTRONOMICA: UNIVERSO,IPOTESI

COSMOLOGICHE E

POSSIBILI EVOLUZIONI.

MATEMATICA:

IL CONCETTO DI

“LIMITE” IN

MATEMATICA

FISICA: FLUSSO DEL CAMPO

ELETTRICO E FLUSSO DEL

CAMPO MAGNETICO

INGLESE: THE SEARCH FOR THE INFINITY

IN THE ENGLISH ROMANTICISM.

WORDSWORTH AND COLERIDGE

STORIA: LA PRIMA GUERRA

MONDIALE

FILOSOFIA: FINITO-INFINITO

NELLA FILOSOFIA

DI FICHTE

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ITALIANO

LA RICERCA DELL’INFINITO IN LEOPARDI E

L’INFINITO COME ASSOLUTO IN UNGARETTI E MONTALE

LA RICERCA DELL’INFINITO IN LEOPARDI

La realtà vissuta per Leopardi, è infelicità e noia, perché offre solo piaceri finiti e perciò deludenti.

Uno dei punti centrali della poetica leopardiana è costituito dall’idea di "infinito"; con esso

s’intende tutto ciò che è illimitato, dunque una dimensione radicalmente opposta a quella umana,

caratterizzata proprio da un'insuperabile finitezza. L’infinito allora coincide con la tensione che

l’uomo ha in sé verso la felicità: egli infatti ricerca il piacere in un numero sempre crescente di

sensazioni, nella speranza vana della sua completezza. La natura, però, pone dei limiti al

raggiungimento di tale stato, e così interviene l’immaginazione, che ha come attività principale la

raffigurazione del piacere. Essa costituisce la compensazione alla realtà, ciò che costruisce una

realtà parallela in cui tutto è vago e indefinito. Si viene a creare in Leopardi una “teoria della

visione” caratterizzata del fatto che la vista è impedita da un ostacolo, una siepe, una finestra,

quindi in luogo della vista lavora l’immaginazione e, il fantastico occupa il posto del reale. Sul

piano delle immagini, l’idea dell’infinito orienta la poesia leopardiana verso la visione degli spazi

celesti, di astri e mondi in esso presenti. Ma essa esercita una considerevole influenza anche sul

piano stilistico, inducendo ad un uso massiccio di quei termini "vaghi" e "indefiniti" a cui Leopardi

attestava la particolare poeticità; quanto più

larga e tendenzialmente illimitata è infatti la

visione, tanto meno precise e determinate

devono essere le parole impiegate per

esprimerla. Va però detto che al cospetto

dell’infinito l’uomo è costretto anche a

prendere amara coscienza della propria

inadeguatezza; creatura finita per eccellenza,

egli potrà, infatti, solo intuire, ma mai

compiutamente razionalizzare ed esprimere

l’illimitatezza di ciò che è infinito. Alla sua

portata è al più l’ "indefinito", ovvero una

pallida controfigura umana di quell’infinità

sempre sfuggente. Ciò spiega perché anche in

questo caso il poeta prova quel misto di

piacere e angoscia così caratteristico del suo

rapporto col mondo.

L’infinito viene composto da Leopardi a

Recanati nel 1819 e pubblicato per la prima

volta nel periodico “nuovo Ricoglitore”, nel

1825, infine pubblicato nei “Canti” nel 1831.

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L’infinito (1819)

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

E questa siepe, che da tanta parte

dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

spazi di là da quella, e sovrumani

silenzi, e profondissima quiete

io nel pensier mi fingo, ove per poco

il cor non si spaura. E come il vento

odo stormir tra queste piante, io quello

infinito silenzio a questa voce

vo comparando: e mi sovvien l’eterno,

e le morte stagioni, e la presente

e viva, e il suon di lei. Così tra questa

immensità s’annega il pensier mio;

e il naufragar m’è dolce in questo mare.

La struttura del componimento presenta una costruzione basata soprattutto sul gioco della simmetria. Le due parti in cui è diviso l’idillio, entrambe di sette versi e mezzo, esordiscono con una sensazione da cui scaturisce l’immaginazione, seguita poi da un moto dell’animo: così, alla vista della siepe si oppone il rumore del vento, allo smarrimento si ha la dolcezza del naufragio.

La lirica si sviluppa in due fasi che nascono entrambe da una sensazione, visiva la prima e, uditiva la seconda. I primi tre versi del canto echeggiano la serenità e la dolcezza che sono generate da elementi cari al poeta (“sempre caro mi fu…”)e soprattutto vicini a lui ( “quest’ermo colle e questa siepe”). Nel primo momento l’avvio è dato da una sensazione visiva, cioè dall’impossibilità della visione: la siepe che chiude lo sguardo impedendogli di spingersi fino all’estremo orizzonte è un elemento del mondo fisico, ma anche la linea di demarcazione tra questo e l’infinito. Infatti è proprio questo ostacolo visivo a far entrare il gioco il “fantastico” l’immaginazione che, superato il limite materiale, costituisce l’idea di un infinito spaziale, cioè di spazi senza limiti, immersi in “sovrumani silenzi” e in una “profondissima quiete”. “Sedendo e mirando”, rallentano il ritmo che diventa poi incalzante, con la serie di congiunzioni ed aggettivi (“ interminati spazi… e sovrumani silenzi, e profondissima quiete…”), che esprimono progressivamente una serie di pulsioni vitali , culminanti nella liberazione e dissoluzione del proprio io negli “interminati spazi”. Il poeta però non si abbandona alle pulsioni, ma riconduce subito queste sensazioni nel suo io che le controlla con la serenità della ragione (“io nel pensier mi fingo”). Lo sguardo fisico e lo sguardo dell’immaginazione sono unificati nel pensiero, che è il luogo dove la finzione diventa discorso, dove la rappresentazione ha come solo destinatario il soggetto, che è richiamato con forza (io…mi), presagendo quasi il suo smarrimento.

Tra i due momenti c’è anche un passaggio psicologico: l’io lirico, di fronte alle immagini interiori dell’infinito spaziale, prova con un senso di sgomento, ma nel secondo momento l’io si “annega” nell’ ”immensità” dell’infinito immaginato, sia spaziale che temporale, sino a perdere la sua identità; questa sensazione di “naufragio” dell’io testimonia tutta la dolcezza di perdersi in un mare senza confini.

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Il poeta richiamato alla finitezza del reale dal vento tra le piante, questa volta si perde in una immaginazione che prende l’avvio da questa sensazione uditiva, arrivando questa volta a un infinito temporale, in contrasto con le epoche passate ormai svanite, e con l’età presente. La voce del vento viene paragonato all’infinito silenzio creato dall’immaginazione che suscita l’idea del perdersi delle inutili cose umane nel silenzio dell’oblio. Questo paragone rimanda per associazione al contrasto fra l’eternità del tempo e la durata delle stagioni passate e di quella presente destinata anch’essa a svanire nel nulla. L’immaginazione dello spazio e l’immaginazione del tempo sono ora unificate nella contemplazione del conflitto tra il corpo e la morte, tra la stagione e l’eterno, tra il piacere della ricordanza e la disperazione di non poter fermare questo piacere. Tempo e spazio diventano questa / Immensità. La parola infinità nella stampa sul Nuovo Raccoglitore e nell’edizione bolognese del ’26 è definitivamente sostituita, dall’edizione fiorentina in poi, con immensità.

Una spiegazione dell’infinito leopardiano si può ritrovare, nella finale metafora del mare, il medievale "mar de l’essere", approdo di ogni itinerario della mente.

Nel naufragar il corpo si abbandona ad una dolcezza che annuncia, nell’assenza del pensiero e nello spegnimento dei sensi, la possibilità che pensiero e sensi siano per il piacere. Se il breve canto termina con una punta di dolcezza, quindi, ciò avviene solo perché egli rinuncia all’indagine, e dove la ragione fallisce il recupero avviene per mezzo dell’abbandono ad uno stato sentimentale o meglio di natura mistica religiosa, cioè si crea un’estasi legata alle sensazioni date dall’udito e dalla vista, il tutto, appunto, si può notare nella metafora del mare in cui l’ ”io” naufraga, è lo stesso Leopardi che, nello Zibaldone, utilizza il termine “estasi” per indicare questi momenti di perdizione nelle sensazioni generate dall’infinito. Ma non è ravvisabile nell’idillio nessun accenno a una dimensione sovrannaturale, infatti, l’infinito non ha caratteristiche divine spirituali e trascendenti, anzi, Leopardi nello Zibaldone, afferma che questo infinito non è oggettivo come dovrebbe essere una divinità, ma soggettivo, creato cioè dall’immaginazione umana, evocato con sensazioni fisiche in chiave sensistica che si può notare anche nella riflessione del piacere misto a paura provocato dall’immaginazione dell’idea dell’infinito. E’ la religione “negativa” o del “non”,

molto simile a quella di parecchi teologi medioevali, e tale che giunge solo a indicare ciò che non è, ciò che non sappiamo e non sapremo mai. Con questo non si può del tutto escludere una componente mistica nella poesia: bisogna però supporre che essa sia radicata negli strati più profondi della personalità leopardiana, e che, per arrivare a esprimersi, debba passare attraverso le forme culturali acquisite dal poeta, sensistiche e materialistiche, conformandosi ad esse e subendo una decisiva trasformazione.

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Dallo Zibaldone

Il piacere dell’indefinito

Il sentimento che si prova alla vista di una campagna o di qualunque altra cosa v’ispiri idee e

pensieri vaghi e indefiniti quantunque di lettosissimo, è pur come un diletto che non si può

afferrare, e può paragonarsi a quello di chi corra dietro a una farfalla bella e dipinta senza poterla

cogliere: e perciò l’ascia sempre nell’anima un gran desiderio: pur questo è il sommo de’ nostri

diletti, e tutto quello ch’è determinato e certo è molto più lungi dall’appagarci, di questo che per la

sua incertezza non ci può mai appagare.

La genesi dell’idea di "infinito"

Niente, infatti, nella natura annunzia l’infinito, l’esistenza di alcuna cosa infinita. L’infinito è un

parto della nostra immaginazione, della nostra piccolezza a un tempo e della nostra superbia. Noi

abbiam veduto delle cose inconcepibilmente maggiori delle nostre, dei mondi maggiori del nostro

sec. Ciò non vuol dire che esse siano grandi, ma che noi siamo minimi a rispetto loro. Or quelle

grandezze che noi non possiamo concepire, noi le abbiam credute infinite; quello che era

incomparabilmente maggiore di noi e delle cose nostre che sono minime, noi l’abbiam creduto

infinito, quasi che al di sopra di noi non vi sia che l’infinito, questo solo non possa essere

abbracciato dalla nostra concettiva, questo solo possa essere maggiore di noi. Ma l’infinito è un

idea, un sogno, non una realtà: almeno niuna prova abbiamo noi dell’esistenza di esso, neppure

per analogia, e possiam dire d’esser a un’infinita distanza dalla cognizione e dalla dimostrazione

di tale esistenza: si potrebbe anche disputare non poco se l’infinito sia possibile, e se questa idea,

figlia della nostra immaginazione, non sia contraddittoria in se stessa, cioè falsa in metafisica.

Certo secondo le leggi dell’esistenza che noi possiamo conoscere, cioè quelle dedotte dalle cose

esistenti che noi conosciamo, o sappiamo che realmente esistono, l’infinito cioè una cosa senza

limiti, non può esistere, non sarebbe cosa, ecc. […]

Riflessioni sul testo

La differenza considerevole d’impostazione esistente tra l’ultimo brano e quelli che lo precedono riconduce alla "svolta" avvenuta nel pensiero leopardiano durante la stesura delle "Operette morali" (1824), comunemente definita come un passaggio da un "pessimismo storico" a un "pessimismo cosmico". Mentre, infatti, nei brani fino al 1821 l’accento era posto soprattutto sulle valenze estetiche dell’idea di infinito, attraverso le immagini "indefinite" che ad esse si ricollegano, in quello del 1826 tale aspetto scompare del tutto, per lasciare il posto a un approccio freddamente teoretico, teso a cogliere l’inconsistenza filosofica del concetto d’Infinito, identificato ora con la negazione radicale dell’Essere, cioè il Nulla. Ciò coincide con l’approfondirsi di un nichilismo nel quale la natura appare malvagia e indifferente alle disgrazie umane; e di un eroismo della poesia che si fa portavoce di questo "arido vero". Solo dalla coraggiosa consapevolezza della negatività della natura e del cosmo intero poteva inoltre nascere, per l’ultimo Leopardi, una solidarietà davvero universale tra gli uomini nel segno dell’accettazione del proprio comune destino.

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L'INFINITO IN UNGARETTI

La poesia è per Ungaretti essenzialmente parola tesa a riprodurre il miracolo di una riconciliazione tra l'uomo e l'assoluto, ha un significato magico ed esotico ed è capace di arrivare al limite estremo dell’inconoscibile. Il poeta assume dunque su di sé il compito di offrire una testimonianza preziosa della verità. Rappresenta una sorta di “sacerdote” della parola, un essere privilegiato che sa cogliere i nessi segreti delle cose. Il poeta, dunque, è per Ungaretti colui che viene innalzato a un intimo contatto con l'assoluto e, scavando dentro di sé, porta alla luce una verità universale, che offre alla comunità degli uomini come contributo alla generale tensione dell'umanità verso il vero. Ma l'assoluto cui l'uomo tende è per definizione indicibile e inesprimibile, in quanto trascende la capacità umana di espressione; quindi questo mistero che è la vita, può soltanto essere “illuminato” a tratti grazie alla forza intuitiva di cui si carica la parola poetica, il che significa che questo assoluto non può essere compiutamente descritto, ma solo richiamato allusivamente attraverso gli artifici dei simbolo, della metafora, dell'analogia. La parola essenziale risponde a questa esigenza di dare voce al mistero dell'assoluto celato in ogni uomo, essa assume il valore di un’improvvisa e folgorante “illuminazione” in cui, per un attimo la poesia riesce a raggiungere la totalità e la pienezza dell’essere.

In questo senso, Mattina, scritta nel 1917 confluito all’interno della raccolta “l’Allegria” del 1919 apre lo sguardo all'infinito:

M'illumino

d'immenso

Nelle pubblicazioni precedenti l’opera aveva il titolo di “Cielo e Mare” e, proprio questo titolo aiuta nel capire il significato del testo; infatti, la mattina enunciata nel titolo definitivo va immaginata su una spiaggia, in riva al mare, qui il poeta si “illumina” perché assiste al sorgere del sole la cui luce si riflette sul mare. L’idea dell’immenso nasce invece dall’impressione che cielo e mare, nella luce del mattino, si fondano in un’unica infinita chiarità. Straordinaria per concisione, essenzialità, potenza evocativa ed espressiva, questa brevissima lirica è composta da due soli versi. E’ costruita su un'unica sinestesia analogica, che mette in connessione due campi diversi della percezione, l'uno sensibile, che coinvolge la vista e il tatto, perché la luce è anche calore; e l'olfatto, perché è apertura all'aria fresca dei mattino; e l'udito, perché l'immensità è eco e silenzio. L'altro tutto interiore, in quanto l'immensità è il luogo dello spirito in cui si acquietano tutti i desideri di infinito e di eterno dell'uomo. L’analogia pone quindi in stretta relazione il finito, rappresentato dal poeta nella sua pochezza d'uomo, e l'infinito, rappresentato dall'immensità in cui terra, cielo e mare si fondono e confondono. Riguardo al soggetto di quest’opera i critici hanno dato risposte diverse, infatti, per alcuni il soggetto è “io” cioè Ungaretti stesso che con la luce chiara della mattina si anima di speranza per il nuovo giorno. Altri invece indicano come soggetto la mattina stessa personificata per cui è l’inizio del giorno che si riempie dopo la notte buia, di immensa luce.

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L'INFINITO IN MONTALE

La filosofia del contingente, che negava l'esistenza di qualunque ordine predeterminato dei fenomeni di natura per cui ogni fenomeno ha un carattere proprio, imprevedibile, influenzò profondamente Montale.

"Mi pareva di vivere sotto una campana di vetro eppure sentivo di

essere vicino a qualcosa di essenziale. Un velo sottile, un filo appena

mi separava dal quid definitivo. L'espressione assoluta sarebbe stata

la rottura di quel velo, di quel filo: una esplosione, la fine

dell'inganno del mondo come rappresentazione".

Montale ha l'impressione di essere vicino all'essenziale, intuisce che l'assoluto è vicino ma si scontra con l'inevitabile inganno delle parole. Il compito della poesia è allora quello di tendere all'assoluto, ma essa poi non può che darci la visione "negativa" del mondo. Mentre Ungaretti privava il verso degli elementi superflui, arrivando alla parola pura che pretende di cogliere l’Assoluto, In Montale non troviamo la ricerca della parola essenziale, ricca di suggestione musicale, illuminata e consolatrice, perché tra l’uomo e l’Assoluto c’è la realtà contingente e ineliminabile delle cose dalla quale non si possono ricavare risposte definitive. Quella dell’uomo è, per Montale, una condizione difficile che non permette illusioni. Attraverso gli oggetti descritti nella sua poesia l’autore identifica la condizione dell’uomo, che risulta estraneo sia alla realtà che all’Assoluto. Infatti l’uomo moderno non riesce a capire né l’una né l’altra cosa: tutto ciò porta ad una paralisi conoscitiva e l’uomo rimane sbalordito di fronte ad una realtà che non riesce a conoscere a fondo. È per quello che alcuni critici distinguono sempre Montale da Ungaretti e Quasimodo, i quali col tempo resero la loro poesia più aperta e colloquiale, facendone un raffinato mezzo di persuasione. La poetica di Montale è quindi definita “del correlativo oggettivo”: ogni oggetto è emblema di una condizione esistenziale. Montale usa quindi l’allegoria e non la via dell’analogia, in quanto lo scopo della parola secondo l’autore non è quello di alludere a qualcosa di misterioso e più profondo ma deve indicare con precisione ciò che esprime. La poesia di Montale, quindi,è tutta immersa nella realtà, contrariamente a Ungaretti, Montale non cerca una speranza trascendente, non cerca Dio. In Ungaretti assistiamo ad uno svolgimento che trasforma il poeta da “uomo di pena” in uomo di fede, Montale rimane sempre solo e soltanto uomo di pena, sia pure privo di viltà. La sua poesia è, poi, più contemplativa che attiva. Da questa visione prende le mosse il tipico tono di Ossi di seppia. Nei Limoni, l’opera contenuta nella raccolta Ossi di Seppia, il centro ideologico risulta concentrato nella terza strofa:

Vedi, in questi silenzi in cui le cose

s'abbandonano e sembrano vicine

a tradire il loro ultimo segreto,

talora ci si aspetta

di scoprire uno sbaglio di Natura,

il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,

il filo da disbrogliare che finalmente ci metta

nel mezzo di una verità.

Qui diventa esplicito un tono sentenzioso, proprio di chi comunica o, come chi cerca una verità. Le metafore il punto morto, l'anello che non tiene, il filo da disbrogliare si accumulano nel tentativo di suggerire un concetto complesso: l'essenza delle cose non è forse lontana, ma intenderla e possederla è impresa molto difficile.

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FILOSOFIA

FINITO – INFINITO NELLA FILOSOFIA DI FICHTE

Con il Romanticismo si crea un nuovo concetto di ragione in contrasto con quella dell’Illuminismo. Infatti nell’Illuminismo la ragione veniva concepita come una forza umana finita che contribuiva al progresso graduale del mondo, mentre nel Romanticismo la ragione è vista come una forza infinita che si identifica con la realtà spirituale del mondo. Questa realtà è identificata con la coscienza o con l’assoluto. Il finito non è che un momento apparente e transitorio destinato a risolversi nell’infinito. Questo concetto viene maggiormente spiegato da Hegel mediante il processo speculativo dell’idealismo e l’affermazione che “il finito è ideale, l’infinito è reale”. In molti scrittori del tempo la spinta verso l’infinito, cioè la tensione ad andare oltre i limiti dell’esperienza, si presenta come uno slancio mistico in cui viene scelta la fede e la vita religiosa; oppure attraverso l’aspirazione destinata a restare inappagata; o,infine, come proiezione immaginativa nell’infinito.

FICHTE

Fichte sposta il baricentro del Kantismo dalla filosofia teoretica alla filosofia pratica individuando nell’attività dell’Io il principio unitario su cui creare il nuovo sistema. L’idea di Fichte consiste nel collegare la nozione di “Io penso” della prima critica kantiana con quella della libertà della seconda critica trasformando l’Io penso in Io puro. La superiorità dell’Io nei riguardi di tutte le sue determinazioni oggettive è fondata sulla libertà. A partire da questa prima certezza è possibile dedurre l’attività teoretica e l’attività pratica da un principio unico di natura soggettiva. Fichte giustifica il proprio idealismo nella Dottrina della scienza. Qui espone tre principi che forniscono il sistema della filosofia di un fondamento logico certo. Questi sono intuiti direttamente dalla ragione ma corrispondono anche ai tradizionali principi della logica formale.

Il primo principio, dove l’Io pone se stesso, intende giustificare il concetto kantiano della spontaneità del conoscere mediante l’intuizione dell’Io puro o trascendentale. Si tratta di un principio incondizionato, ma di un’intuizione razionale che ci pone di fronte alla soggettività dell’Io come alla formalità stessa del pensiero.

Il secondo principio, secondo il cui l’Io oppone a sé un non-io, intende giustificare il concetto Kantiano della ricettività del conoscere cioè l’atto di conoscere dipende da un contenuto estraneo alle sue forme trascendentali pure. Secondo Fichte anche la materia del conoscere è posta dall’Io, ma in forma di negazione. L’opporsi del non-io(oggetto) all’Io(soggetto) rappresenta lo stesso atto dell’Io che pone se stesso assolutamente, ma in questo caso considerato nell’aspetto materiale. Ponendo se stesso l’Io deve potersi cogliere come oggetto altrimenti sarebbe un pensiero vuoto. Se l’Io non si opporrebbe a ciò che non è in se stesso neanche il soggetto potrebbe opporsi.

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Il terzo principio fornisce la sintesi concreta di spontaneità e ricettività, forma e materia del conoscere. Il terzo principio, secondo cui l’Io oppone in sé a un’Io divisibile a un non-io divisibile, stabilisce il limite fenomenico entro il quale si possono svolgere l’attività teoretica e l’attività pratica del soggetto, come io finito. Infatti l’Io del primo principio e il non-io del secondo erano due infiniti, o assoluti inconciliati. Nel terzo principio essi trovano una sintesi nel carattere infinito dell’attività mediante cui la coscienza singola (io divisibile) si confronta con gli oggetti dell’esperienza(non-io divisibile) facendosi determinare dalla conoscenza oppure determinandola e modificandola. Essendo che sia l’Io del primo principio che il non-io del secondo vengono entrambi creati all’interno dell’Io il passaggio al terzo principio può essere concepito come una divisione che accade all’interno dell’Io stesso e questo giustifica l’origine della coscienza finita. Questi tre principi vengono fatti corrispondere ai tre principi fondamentali della logica formale: identità, non contraddizione e ragione sufficiente.

Fichte distingue due forme di attività dell’Io: una riflessa e consapevole, l’altra irriflessa e inconscia. Questa distinzione corrisponde a quella tra il pensare filosofico e il pensare comune. A mediare tra i due piani è l’immaginazione, dedotto da Kant. Fiche la trasforma in una funzione trascendentale dell’Io. L’atto di pensiero con cui l’Io pone la materia del conoscere è un’attività inconscia nascosta dalla consapevolezza del pensare comune. Solo l’atto di riflessione del filosofo è in grado di risolvere l’apparente contraddizione e dimostrare che l’Io opposto al non-io e il non-io opposto all’Io sono entrambi posti nell’Io e dall’Io. Nell’attività pratica il non-io non figura più come un opposto nel senso estraneo, ma nel senso di opposto necessario indispensabile al soggetto. Il non-io diventa l’ostacolo superato dove la volontà morale diventa consapevole di se stessa. Senza opposizione non ci sarebbe autentica vita morale. Per kant il riconoscimento della legge morale rappresenta l’unica via per l’uomo di accertarsi della propria libertà. Per Fichte, nello sforzo per essere morali, la coscienza comune si eleva all’autoconsapevolezza dell’Io come libertà.

Un punto fondamentale della filosofia di Fichte è il suo moralismo. Per poter agire in modo morale l’Io deve prima porre inconsciamente il non-io per poterlo riconoscere come un oggetto degno del suo sforzo morale. L’attività teoretica fa entrare il soggetto in profondità nella realtà. L’attività pratica gli fa superare la resistenza delle cose, come se fossero ostacoli che danno all’Io la certezza della propria autonomia e della sua libertà. Dalla fusione di questi due punti di crea l’idealismo e la sua connotazione etica. Questo si fonda sul primato dell’attività pratica ed è un modo di conoscere. Dal primato della ragion pratica discende un moralismo che può essere considerato come attivismo. Qui la morale Fichtiana corregge la visione Kantiana. Mentre per Kant il valore morale dell’azione dipende dall’accordo della massima con la legge morale oggettiva, Fichte vuole conferire alla libertà un carattere positivo. Egli la definisce come impulso che discende dalla natura spirituale dell’Io, che si traduce immediatamente nell’azione, avvertita dalla coscienza come un imperativo. Sotto questa visione il male radicale, quindi, rappresenta l’inerzia morale, l’indifferenza o l’indecisione ad agire. L’umanità nel suo complesso e nella sua instancabile aspirazione a una perfezione morale totale, attua in sé il valore morale assoluto che la fede religiosa conferisce a Dio. Il dotto, ossia l’uomo spiritualmente colto, ha una missione particolare fra gli uomini. Esso deve migliorare moralmente se stesso, ma anche contribuire al perfezionamento e al progresso etico e civile della società e dell’umanità. Tutti questi ideali umanitari causarono a Fichte l’accusa di ateismo per aver limitato la distinzione assoluta tra un bene trascendente e uno immanente.

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LATINO

GIOIA DIVINA E SENSO DI SMARRIMENTO DIFRONTE

AL COSMO INFINITO NEL DE RERUM NATURA DI LUCREZIO

Gli antichi, in genere, rifuggivano dall'idea di infinito, considerandolo sinonimo di imperfezione (l'infinito può, per definizione, contenere tutto, anche imperfezioni, impurità, contraddizioni di ogni sorta, mentre la finitezza, il limite rendono possibili e favoriscono l'equilibrio, la simmetria, l'armonia). Fa eccezione Lucrezio.

L’idea di Lucrezio sull’universo era basata su due cardini fondamentali: l’infinità dello spazio e l’infinità della materia. La convinzione di Lucrezio di queste affermazioni deriva dalla considerazione che se lo spazio non fosse infinito, dopo tanti secoli, la vita sarebbe scomparsa, e che l’infinità della materia deriva dalla necessità che il numero degli atomi primordiali, che sono

eterni, non sia limitato.

“Ora poiché per certo già in mente t’ho messo che eterni

atomi nello spazio volteggian perenni, compatti, d’invisibile

corpo,

che volger di tempi non spegne, a definir m’accingo

se un termine al numero d’essi debba, o meno, assegnarsi;

del pari di quel che si disse vuoto od inane o spazio, nel

quale si muovono i corpi,

scruteremo se tutto in luogo concluso si serri,

o in desolati s’apra abissi infiniti profondi.

Tutto l’essere adunque, dovunque ti volga, s’estende

infinito:

altrimenti dovresti assegnargli un estremo.

Ma imaginar l’estremo possibil non è, se non oltre

cosa vi sia che chiuda: un limite certo, che il senso

a sorpassar non valga, per quanto vi drizzi l’acume.”

Per rendere chiara l’idea di infinità, Lucrezio fa l’esempio della freccia che, anche se lanciata dagli estremi confini

dell’universo, deve sempre andare più in là, non potendosi concepire che venga fermata o rimbalzi indietro per la presenza di nuovi corpi. Lucrezio esprime anche il concetto che non vi sono punti preferenziali nell’universo e che, per la sua infinità, non ha significato di parlare di centro, confutando così la dottrina degli stoici. L’affermazione e la dimostrazione dell’infinità dell’universo viene affrontata da Lucrezio nel De Rerum Natura.

Il De rerum Natura è la compiuta trattazione in versi dell'epicureismo. I primi due libri, i più significativi per il tema dell’infinito, trattano la descrizione fisica del mondo: la materia e il vuoto si inseriscono qui in un vasto spazio cosmico, in cui si avvicendano i movimenti e le combinazioni degli atomi. Nei restanti libri, invece, la dottrina fisica viene estesa al fenomeni del mondo umano, con particolare riferimento alla concezione dell'anima, e poi alla cosmologia. Comprende 6 libri, i primi due riguardanti la fisica, il terzo e quarto dell’antropologia e infine il quinto e sesto della cosmologia; secondo alcuni studiosi, è rimasto incompiuto: difatti manca la trattazione sulla sostanza degli dei e delle loro dimore, preannunciate dal poeta stesso.

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L’opera si rifà al “Perì physeos” di Epicuro. Uno degli argomenti trattati da Lucrezio nell’opera è la Cosmologia, nel quale il poeta ritiene che l’universo è infinito, perché non può avere un estremità; infatti un’estremità indicherebbe la presenza di qualcosa di al di là di esso che lo delimiti, ma questo non può essere. Dovunque ci si collochi, l’universo è ugualmente infinito. Il primo libro dell’opera presenta la dottrina degli atomi, le particelle elementari di cui è composta tutta la realtà: il poeta spiega come questi ultimi, invisibili e indistruttibili, si aggreghino tra loro andando a formare, mediante molteplici combinazioni, i corpi, per poi disgregarsi provocando la dissoluzione dei corpi stessi e riaggregandosi quindi in altri corpi. Dunque nulla si crea e nulla si distrugge, e non esiste alcuna realtà al di fuori della materia costituita dagli atomi: materia eterna in quanto gli atomi sono indistruttibili. Anche il secondo libro dell’opera ha come oggetto della trattazione il movimento e le combinazioni degli atomi rese possibili dal clinamèn, cioè la deviazione che interviene a modificare le traiettorie verticali secondo cui gli atomi si muovono nel vuoto. Nell’ultima parte di questo libro si ha il secondo argomento a riprova dell'infinità dell'universo: è il fatto che, se esso fosse finito e racchiuso, tutta la materia andrebbe a concentrarsi in basso, sotto il suo peso, lasciando vuoto lo spazio restante. Ma se la materia si accumulasse per il suo peso in un unico punto dell'universo, non vi sarebbe più movimento dei suoi atomi nello spazio, e quindi non vi sarebbero più aggregazioni o disgregazioni di atomi cosicché non esisterebbero più i processi di vita e di morte. Conseguenza dell'infinità dell'universo è il fatto che esistano innumerevoli altri mondi formati, come il nostro, dall'aggregazione casuale degli atomi che si muovono turbinosamente nello spazio infinito, quindi Lucrezio passa a dimostrare che i mondi si formano, crescono ed evolvono gradualmente finché, giunti al vertice del loro sviluppo, cominciano a declinare e decadono fino a perire.

Perciò similmente bisogna si ammetta che

il cielo, la terra, il sole, la luna, il mare, e tutte le altre sostanze non esistono sole,

ma piuttosto in numero immenso;

Lucrezio segue nell'opera la dottrina del maestro Epicuro, che a sua volta aveva ripreso, elaborandole, le teorie dei fisici materialisti Democrito di Abdera e Leucippo di Mileto. Epicuro affermava:

“E ancora. l'universo è infinito. Infatti ciò che è finito ha una estremità, e tale estremità è tale

rispetto a qualcos'altro; perciò non avendo alcun limite estremo non ha fine; non avendo fine deve

essere infinito e non limitato. Per di più, il tutto è infinito per la moltitudine dei corpi e per

l'estensione del vuoto. Infatti se infinito fosse il vuoto e limitati i corpi, questi non potrebbero

persistere in nessun luogo ma sarebbero tratti qua e là, dispersi per l'infinito vuoto, perché non

sostenuti da altri, né imballati indietro dagli urti. E se invece fosse infinito il vuoto i corpi infiniti

non potrebbero esservi contenuti.”

Il bersaglio polemico di questa visione dell'universo è Aristotele di Stagira, che considerava il cosmo come una sostanza corporea finita. Ma anche gli stoici sono confutati: per loro infatti l'universo era di forma sferica e finito, quantunque circondato dal vuoto infinito. Proprio l'infinità dell'universo costituisce una delle più radicali differenze tra la cosmologia epicurea e quella stoica. Così parla Sesto Empirico, filosofo scettico del II-III secolo d.C.:

“Secondo i filosofi della Stoà l'universo e il tutto sono tra loro diversi. Dicono infatti che l'universo

è il cosmo, mentre il tutto è il vuoto esterno insieme al cosmo, e che per questo l'universo è finito:

infatti il cosmo è finito, mentre il tutto è infinito, infinito essendo il vuoto che è fuori del cosmo.”

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GEOGRAFIA ASTRONOMICA

UNIVERSO, IPOTESI OSMOLOGICHE E POSSIBILI EVOLUZIONI

Si potrebbe pensare che il concetto d’infinito sia frutto di una fantasiosa poetica o anche una congettura filosofica, ma quando andiamo ad esplorare il mondo della scienza che ogni giorno scopre nuove realtà e questa volta con una tecnologia che si va perfezionando sempre più, allora veramente lo spirito comprende la sensazione e la scoperta di Leopardi, la sua meraviglia e la sua

angoscia quando per la prima volta la sua mente si aprì al pensiero dell’eterno. Basta citare l’infinito delle galassie per ripetere tra noi le parole di Leopardi: “il naufragar mè

dolce in questo mare”.

Nell’antichità si pensava che la Terra si trovasse al centro dell’universo e che avesse natura diversa dagli altri corpi celesti, che venivano considerati eterni e immutabili. Oggi sappiamo che l’Universo ha avuto un inizio e si modifica non solo nella

composizione, ma anche nelle dimensioni. Inizialmente, con le scoperte di Olbers, famoso medico astronomo tedesco, si arrivò a quel paradosso che fu risolto solo in seguito, e che diede l’avvio ad esami più concreti della volta celeste. Egli partì dall’idea che l’universo fosse infinito e che le stelle fossero distribuite a caso nello spazio. Invece l’universo è infinito perché in continua espansione. L’uso dei telescopi sempre più perfezionati ha portato a riconoscimenti di un enorme agglomerato di stelle, la Galassia o Via Lattea, al centro della quale all’inizio del secolo scorso l’astronomo Herschel poneva ancora il Sole. Solo dopo il 1920, quando entrò in funzione il telescopio del monte Wilson, fu possibile riconoscere che il Sole non era che una delle tante stelle poste sul bordo della nostra Galassia, e dopo che nel 1924 Hubble dimostrò in modo definitivo l’esistenza di tante altre galassie al di fuori della Via Lattea, la nostra concezione dell’universo è cambiata radicalmente. Quindi nel secolo scorso, la scoperta dell’espansione dell’Universo fu una vera rivoluzione in quanto andava in contrasto con l’idea dell’universo statico e immutabile dominante fino i primi anni del XX secolo. Per spiegare il moto di recessione delle galassie è necessario ammettere che l’Universo muti nel corso del tempo e che abbia avuto un inizio. Se infatti immaginiamo di percorrere a ritroso il “cammino” delle galassie nel tempo arriveremo a un istante in cui tutte le galassie erano vicine l’una all’altra e compresse in uno spazio ridottissimo; in quel momento l’Universo doveva avere una densità infinita e caratteristiche del tutto diverse dalle attuali. Utilizzando la costante di Hubble e presupponendo che la velocità del moto di recessione sia rimasta invariata è possibile stabilire approssimativamente quando ebbe inizio l’espansione dell’universo.

Page 13: Infinito

L’età stimata dell’Universo è di 15-20 miliardi di anni e dal momento della sua origine l’universo è in uno stato dinamico e subisce mutamenti profondi. L’origine e l’evoluzione dell’universo sono oggetto di studio della cosmologia. Per spiegare l’origine dell’universo nel secolo scorso sono state formulate due ipotesi cosmologiche fondamentali l’ipotesi dello stato stazionario e l’ipotesi del

big bang in base alla quale sono stati elaborati due modelli della struttura dell’universo.

Secondo il modello dello stato stazionario l’Universo è uniforme nello spazio e nel tempo, non ha un inizio preciso e non cambia nel tempo; per spiegare in questo caso il fenomeno della recessione gli autori di questa teoria sostengono che nell’Universo si crei lentamente e continuamente nuova materia.

Secondo il modello del Big Bang l’Universo è nato in seguito a un’esplosione a partire da una singolarità, cioè uno stato iniziale di densità e temperatura infinite. L’esplosione primordiale avrebbe generato la materia che costituisce l’Universo, lo spazio, il tempo e le quattro forze fondamentali: forza gravitazionale, elettromagnetica, di interazione nucleare forte, di interazione nucleare debole. Dall’esplosione avrebbe preso l’avvio l’espansione che dura tutt’oggi.

Esistono prove a favore della teoria del Big Bang tanto che la maggioranza degli astrofisici accetta oggi questa teoria cosmologica. Il modello che i cosmologi utilizzano come riferimento per descrivere le modalità di creazione della materia e le fasi dell’espansione conseguenti al big bang e detto modello standard secondo cui il momento in cui si è originato l’Universo è detto tempo zero e dovrebbe riferirsi a 15-20 miliardi di anni fa. I cosmologi sono riusciti a ricostruire in modo attendibile per via teorica la storia dell’universo a partire da s dopo il tempo zero. Invece, attualmente, è impossibile sapere cosa sia

accaduto nell’intervallo di tempo tra 0 e s, denominato era di Plank perché l’Universo era una singolarità. Successivamente all’era di Plank l’Universo iniziò a espandersi, a velocità elevatissima e in un tempo brevissimo iniziarono a formarsi le prime particelle della materia più semplici, mentre la densità e la temperatura diminuivano vertiginosamente.

Nei tre minuti successivi al big bang la temperatura era scesa a circa 1 miliardo di kelvin: iniziarono le prime reazioni di fusione nucleare tra protoni. Si formarono così nuclei atomici di deuterio (isotopo stabile dell’idrogeno il cui nucleo è composto da un protone e da un neutrone), di elio e

piccole percentuali di elementi più pesanti.

Quattro minuti dopo il big bang l’Universo divenne troppo freddo per innescare nuove reazioni di fusione nucleare e la sua composizione non poté modificarsi ulteriormente. A questi livelli la temperatura nell’universo era ancora eccessivamente alta per permettere la formazione di atomi veri e propri.

Nei 300.000 anni successivi proseguì l’espansione: la temperatura si ridusse fino a 3000 kelvin tanto da permettere la formazione di atomi per aggregazione di nuclei ed elettroni. Con il passare del tempo la temperatura diminuì ulteriormente, si verificarono nuove forme di aggregazione creandosi composti più complessi. Cominciarono a formarsi nebulose di gas e, 2-3 milioni di anni dopo l’origine dell’universo, in esse si avviarono i processi di condensazione che portarono alla formazione delle prime proto galassie.

Page 14: Infinito

Attualmente le prove a sostegno del big bang sono tre.

1. Il moto di recessione delle galassie, cioè il movimento di allontanamento delle altre galassie dalla nostra;

2. L’analisi delle percentuali di idrogeno e di elio nell’Universo attuale. Queste percentuali non sarebbero facilmente giustificabili senza la teoria del big bang;

3. La terza prova, e la più convincente, è l’esistenza della radiazione cosmica di fondo. Questa fu scoperta nel 1964 da Penzias e Wilson, due radioastronomi. Questi eseguivano ricerche finalizzate a misurare l’intensità delle onde radio emesse dalla nostra galassia, per eliminare i “rumori di fondo” che potevano impedire una corretta analisi dei nostri segnali radio. A questo scopo avevano modificato una radio antenna destinata a raccogliere segnali da radio satelliti. Con questo strumento nella primavera del 1964 captarono un rumore radio persistente. I due studiosi inizialmente pensarono che il rumore fosse dovuto a difetti dell’apparecchiatura utilizzata, ma si accorsero poi che il rumore veniva uniformante da tutte le direzioni del cielo, costante anche dopo tutti i tentativi di correzione dello strumento. Penzias e Wilson allora si misero in contatto con degli astrofisici che attraverso studi teorici avevano avanzato l’ipotesi che una radiazione

fossile, residua del big bang, si trovasse ancora nell’Universo. Misurazioni successive mediante il satellite COBE lanciato dalla NASA nel 1990 dimostrarono che la radiazione scoperta da Penzias e Wilson aveva caratteristiche corrispondenti a quelle previste per la radiazione fossile del big bang.

Attualmente l’Universo si sta espandendo. Gli astrofisici ritengono che il parametro da

determinare per capire quale sarà l’evoluzione dell’Universo sia la densità, in quanto questa

dipende dalla quantità di materia presente e, questa a sua volta determina l’intensità della forza di

attrazione gravitazionale. L’attrazione gravitazionale tra le galassie è importante perché

rappresenta l’unico fattore che può impedire l’espansione delle galassie in quanto agisce tra le

galassie rallentandone l’allontanamento e riducendone la velocità di espansione.

Dal punto di vista teorico gli sviluppi dell’universo potrebbero essere tre:

Page 15: Infinito

1. Se la densità dell’universo è sufficiente per generare una forza gravitazionale in grado di

fermare l’espansione, l’Universo cesserà di espandersi e ricadrà su se stesso contraendosi.

In questo caso il collasso che si andrebbe a creare prende il nome di big crunch. Un

Universo che si espande per poi

contrarsi è un universo chiuso

nessun modello è in grado di

prevedere cosa potrebbe

succedere dopo il collasso.

Secondo alcuni si ripeterà il big

bang e l’Universo continuerà ad

alternare espansione e collasso in

modo ciclico.

2. Se la densità del’Universo

è troppo piccola e non genera

una forza gravitazionale

sufficiente per impedire

all’espansione di durare per

sempre le galassie si

allontaneranno sempre di più e le

stelle col passare del tempo si

esauriranno fino a spegnersi. In

questo caso l’Universo sarà

definito Universo aperto, questo

diventerà sempre più freddo, oscuro e vuoto.

3. Se la forza gravitazionale non sarà sufficiente per causare una contrazione, ma riuscirà a

contrastare l’espansione tanto da rallentarla senza però causare il collasso si avrà un

Universo piatto.

Page 16: Infinito

STORIA

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Per circa un secolo dopo il Congresso di Vienna l’Europa conobbe un periodo di sostanziale pace.

Ma l’equilibrio che caratterizzò i rapporti tra le potenze nell’Ottocento andò rapidamente

crollando con il nuovo secolo. Dall’estate 1914 all’autunno 1918 l’Europa fu devastata da un

conflitto di immani dimensioni che si accese per decidere quale nazione, o gruppo di nazioni,

avrebbe avuto un ruolo dominante nell’Europa e nel mondo. La Grande Guerra fu quindi un

conflitto per l’egemonia in Europa, un conflitto che si definisce “mondiale” poiché coinvolse anche

nazioni non europee.

Le cause

Le cause dello scoppio della guerra sono molteplici, di fattore economico, politico, diplomatico e

culturale. Si possono sottolineare tre dati di fondo della situazione internazionale in cui maturò la

guerra:

1. Una condizione permanente di tensione tra due sistemi egemonici organizzati in strette

alleanze militari;

2. L’instabilità di aree regionali o prossime ai confini dei due blocchi;

3. Livelli elevatissimi di armamento guidati da strategie e tecnologie militari con una

affidabilità mai pienamente sperimentata e collocati in una disposizione offensiva.

L’aumento della conflittualità fra le grandi potenze sul terreno economico e coloniale nasceva dal

fatto che lo spazio disponibile per l’espansione era stato in gran parte occupato, ma mentre la

Gran Bretagna e la Francia disponevano di vasti imperi coloniali, la Germania si trovava ad avere

possedimenti più ridotti e meno vantaggiosi economicamente. Questo squilibrio era in

opposizione con i nuovi rapporti di forza economici che si erano creati negli ultimi decenni

dell’Ottocento dove la Germania aveva accresciuto enormemente la propria potenza industriale e

mercantile minacciando il primato della Gran Bretagna.

Dal punto di vista politico, l’impero Guglielmino aveva abbandonato la politica di equilibrio

orientandosi a svolgere una politica di potenza su scala mondiale che implicava l’espansione

coloniale in Africa e la volontà di costruire un’egemonia tedesca in Europa centrale e orientale. La

collocazione della Germania al centro dello scenario europeo delineava un contrasto di portata

mondiale con la Gran Bretagna che nella Germania trovava una sempre più forte concorrenza

economica e politica: questa minaccia si fece concreta quando i tedeschi arrivarono per la prima

volta a essere in condizioni di insidiare il primato secolare della marina britannica. D’altra parte la

Francia coltivava dalla sconfitta del 1870 una forte ostilità verso i tedeschi. Affianco a questo

contrasto tra Germania, Francia e Gran Bretagna si creò un altro conflitto tra Austria e Russia

entrambe interessate all’area balcanica e ai territori dell’impero ottomano. Per quanto riguarda

l’Italia, questa aveva come obiettivi il recupero delle terre “irredente” ancora soggette al dominio

austriaco, e l’affermazione della propria influenza nell’area adriatica e balcanica. Queste rivalità

strategiche diedero vita a delle alleanze contrapposte politico-militari, la Triplice Alleanza, formata

da Austria Germania e Italia, e la Triplice Intesa formata da Gran Bretagna Francia e Russia.

Page 17: Infinito

Riguardo al clima ideologico va detto che il consenso all’idea della guerra si andava diffondendo tra

le popolazioni e anche all’interno della classe operaia. Significativo è il comportamento del

movimento socialista internazionale che si suddivise sull’atteggiamento da tenere di fronte alla

guerra. Fino al 1912 la Seconda Internazionale si era schierata a favore della pace, ma allo scoppio

della guerra la maggior parte dei socialisti si schierò con i rispettivi governi votando a favore dei

“crediti di guerra”. Influirono su questa decisione il clima di violenza antipacifista, il timore di

venire emarginati politicamente e di perdere il contatto con la volontà popolare. “Comunità

d’Agosto” fu battezzato lo spirito di unanimità e di entusiasta concordia nazionale che attraversò

le popolazioni europee nell’estate del 1914.

Lo scoppio del conflitto

Il terreno sulla quale divampò la guerra fu quello dei Balcani, considerati la vera “polveriera

d’Europa”. Il 28 giugno 1914 uno studente bosniaco di nazionalità serba appartenente a

un’associazione nazionalista uccise a Sarajevo l’erede al trono d’Austria, l’arciduca Francesco

Ferdinando. Vienna attribuì al governo serbo la responsabilità dell’attentato e il 23 luglio inviò alla

Serbia un ultimatum. Belgrado accettò l’ultimatum salvo la clausola che prevedeva la

partecipazione di funzionari austriaci alle indagini sull’attentato. L’Austria allora, intenzionata a

sfruttare l’occasione per sconfiggere la Serbia, il 28 luglio dichiarò guerra con l’appoggio del Kaiser

Guglielmo II. Lo zar, protettore della Serbia, ordinò la mobilitazione dell’esercito. In risposta la

Germania il 1° agosto dichiarò guerra alla Russia provocando la mobilitazione della Francia. Berlino

dichiarò guerra alla Francia e l’esercito tedesco invase il Belgio: la Gran Bretagna a sua volta entrò

in guerra contro la Germania. Il Giappone aprì le ostilità contro la Germania mirando ai

possedimenti tedeschi in Estremo Oriente. L’Italia si mantenne neutrale. L’impero ottomano si

schierò a fianco della Germania e dell’Austria temendo un attacco della Russia. Su entrambi i fronti

si pensava a una guerra breve, di pochi mesi o un anno al massimo. Questa previsione si rivelò

errata: tutti erano convinti che la guerra sarebbe durata poco perché il sistema economico

mondiale non avrebbe potuto sopportare un’interruzione troppo lunga di scambi internazionali: al

contrario la guerra mobilitò energie industriali e produttive che resero possibile il suo

prolungamento. Per la Germania una guerra rapida rappresentava l’unica possibilità di vittoria e,

questo giustificò una scelta che indignò l’opinione pubblica internazionale: l’invasione del Belgio

neutrale che consentì ai tedeschi di marciare su Parigi mentre il governo francese abbandonava la

capitale. Senza esito furono invece le offensive della Francia in Lorena. Ma l’offensiva tedesca

perse progressivamente slancio soprattutto per l’incapacità tedesca di realizzare dei collegamenti

tra le linee del fronte e le retrovie: all’inizio del settembre 1914 sul fiume Marna i francesi insieme

agli inglesi riuscirono a respingere l’attacco nemico.

Il 24 maggio 1915 l’Italia entra in guerra a fianco dell’Intesa. Allo scoppio del conflitto si erano

delineate due correnti di opinione gli interventisti e i neutralisti. Favorevoli alla guerra

antiaustriaca erano gli irredentisti e gli interventisti democratici che ricercavano la fine del

processo risorgimentale; affianco a questi si trovavano i sindacalisti rivoluzionari e i socialisti

rivoluzionari che vedevano nella guerra un momento i rottura dal quale sarebbe potuto nascere

un movimento rivoluzionario. Gli intellettuali nazionalisti esaltavano la guerra come unico mezzo

per ripulire il paese dalle miserie del giolittismo e per garantire all’Italia un ruolo di grande

potenza. Anche il fronte neutralista era suddiviso in due forze:

Page 18: Infinito

i liberali giolittiani portati avanti da Giolitti che vedeva la guerra dannosa perché l’Italia non era

preparata né economicamente e né militarmente, i socialisti fedeli alla linea pacifista e i cattolici

che raccoglievano l’ostilità alla guerra diffusa tra la popolazione delle campagne. Eccetto una

minoranza interventista attiva al nord la grande maggioranza del popolo era contraria alla guerra.

All’interno invece della classe dirigente la guerra fu vista come un modo per ricomporre gli

equilibri destabilizzati dalla caduta di Giolitti. Al tempo stesso si vide nel conflitto un’occasione per

rilanciare l’industria e assorbile la disoccupazione. Decisivo fu infine l’atteggiamento del re Vittorio

Emanuele III e del governo guidato da Salandra e dal ministro degli esteri Sidney Sonnino. La corte

e il governo erano favorevoli alla guerra perché la ritenevano funzionale agli interessi dell’Italia, al

prestigio della Corona e al ristabilimento di una situazione di ordine di fronte a conflitti sociali

sempre più aggressivi. Il 26 aprile 1915 Sonnino strinse con l’Intesa un accordo segreto, il patto di

Londra, che impegnava l’Italia a entrare in guerra entro un mese in cambio di concessioni

territoriali. Questo rappresentava un abuso dal punto di vista istituzionale del potere esecutivo nei

confronti del parlamento che veniva messo di fronte al fatto compiuto. Il dibattito sull’entrata in

guerra o meno avvenne in un clima caratterizzato da grandi manifestazioni organizzate dai

nazionalisti, con atti intimidatori nei confronti dei neutralisti (le giornate del maggio radioso),

questi ultimi rinunciarono alla lotta. Il parlamento approvò infine il fatto compiuto e il 24 maggio

1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria.

Il 1917 fu un ano cruciale per le sorti del conflitto. Dal punto di vista militare esso fu favorevole agli

imperi centrali. Sul fronte orientale, l’esercito russo precipitò in una grave crisi, cedendo in più

punti. Il tracollo economico e militare della Russia divenne anche politico in seguito alla rivoluzione

che nel febbraio del 1917 portò all’abdicazione dello zar Nicola II e alla successiva rivoluzione

bolscevica dell’ottobre 1917. Dal punto di vista militare la crisi portò al ritiro della Russia dalla

guerra e questo permise alla Germania di concentrarsi solo sul fronte occidentale e su quello

italiano. Qui gli austriaci e i tedeschi il 24 ottobre 1917 riuscirono a sfondare a Caporetto

costringendo i nostri alla ritirata fino al fiume Piave.

Il dato più significativo del 1917 fu però il diffondersi in tutti gli eserciti di un clima di sfiducia e di

rivolta. Il rifiuto alla guerra si manifestava soprattutto come comportamenti individuali come la

diserzione, la fuga, la fraternizzazione col

nemico…segni di cedimento si

mostravano anche sul fronte interno. Agli

iniziali entusiasmi del popolo per questa

guerra si andarono a sostituire

frustrazione, delusione, scioperi e

sommosse contro la guerra. In questo

clima l’intervento degli Stati Uniti deciso

dal presidente Wilson nel 1917, risultò

decisivo per spostare gli equilibri bellici a

favore dell’Intesa.

Fino a quel momento gli USA avevano

sostenuto Francia e Gran Bretagna

economicamente senza prefigurare un

loro intervento diretto.

Page 19: Infinito

Diverse motivazioni fecero cambiare idea all’amministrazione statunitense soprattutto l’affinità

ideologica e politica con l’Intesa e la volontà di salvaguardare la libertà di commercio sui mari. La

svolta si ebbe nel marzo del 1918 quando i tedeschi giunsero a 60 km da Parigi ma dovettero

subire il contrattacco degli alleati che sfondarono le linee nemiche ad Amiens. Intanto in Italia fu

compiuto un grande sforzo per superare la crisi sotto la guida del governo presieduto da Vittorio

Emanuele Orlando. La repressione del disfattismo fu intensificata e si presero provvedimenti per

aumentare il consenso. Fu riorganizzato l’esercito, furono promessi ai soldati premi e vantaggi

economici per il dopoguerra soprattutto distribuzione di terre in quanto l’esercito era costituito

dalla stramaggioranza da contadini questa nuova strategia in chiave difensiva di Diaz, il generale

che aveva preso il posto di Cadorna, portò a dei risultati: l’offensiva sferrata dagli austriaci sul

Piave nel giugno 1918 fu arrestata. Il 24 ottobre l’esercito italiano iniziò il contrattacco

sbaragliando gli austriaci a Vittorio Veneto. Il 4 novembre 1918 l’Austria-Ungheria firmò

l’armistizio. Anche la Germania stremata chiese alle potenze dell’Intesa l’armistizio che fu firmato

l’11 novembre 1918 sancendo la fine del conflitto.

La conferenza di Parigi

Nel gennaio del 1919 si riunirono a Parigi tutti i Paesi vincitori per discutere i criteri generali della

pace. In questa riunione furono tenuti presenti, tra le altre cose, gli obiettivi dell’Intesa: dominare

in Europa e ridurre all’impotenza la Germania, in modo che non tentasse altre avventure

sconvolgenti.

Alla fine fu stabilito che:

La Germania restituiva alla Francia l’Alsazia e la Lorena; cedeva alcuni territori per costituire la Polonia, la quale otteneva uno sbocco sul mare, mediante il corridoio polacco, una stretta striscia di terra che divideva la Prussia orientale dalla Germania, con il porto di Danzica che veniva dichiarata città libera sotto la protezione della Società delle Nazioni;

La Germania doveva pagare un’ingente indennità di guerra ai Paesi dell’Intesa;

L’Impero asburgico veniva diviso in tre Repubbliche: Austria, Ungheria e Cecoslovacchia e perdeva alcuni territori a vantaggio dell’Italia, della Polonia, della Romania e della Jugoslavia;

Per i territori sottratti in Asia all’Impero turco e alla Germania, veniva creato il mandato, un tipo di amministrazione fiduciaria, cioè il territorio veniva affidato provvisoriamente ad uno degli Stati vincitori, fino a quando i popoli non fossero stati in grado di autogovernarsi;

Alcuni Stati come la Polonia, la Cecoslovacchia, l’Austria, l’Ungheria erano stati creati perché facessero da “cuscinetto”, cioè da difesa contro la Russia comunista e la Germania responsabile della guerra, con l’obiettivo di isolarle.

Per volere del presidente americano Wilson, fu creata la Società delle Nazioni, un organismo internazionale che aveva il compito di regolare le controversie degli Stati Associati.

Page 20: Infinito

Conseguenze sociali ed economiche della guerra

Le conseguenze sociali ed economiche della guerra furono enormi. Quando essa terminò si

contarono milioni di morti e feriti. A guerra finita poi scoppiò un’epidemia di influenza, detta

spagnola, che provocò quasi 13 milioni di vittime.

Molte famiglie erano rimaste senza giovani e capofamiglia, molti dei quali o erano morti o erano

ritornati a casa inabili, rendendo ancora più gravoso il carico economico delle famiglie.

Durante la guerra, per far fronte alle enormi spese, le potenze dell’Intesa avevano dovuto

chiedere continui prestiti agli Stati Uniti e, ora che la guerra era terminata, questi Stati si

trovavano a dover pagare ingenti debiti.

Dal punto di vista politico, presero il sopravvento le forze di sinistra e le forze rivoluzionarie.

Contemporaneamente, però, si formarono anche schieramenti di destra, che erano contrari alle

rivoluzioni della sinistra e sostenevano i governi forti, la polizia, l’esercito e i ricchi industriali,

generando un po’ dovunque forti conflitti di classe.

Page 21: Infinito

FISICA

FLUSSO DEL CAMPO ELETTRICO E

FLUSSO DEL CAMPO MAGNETICO

FLUSSO DEL CAMPO ELETTRICO

All’interno della Meccanica, nel moto dei fluidi, viene introdotta la portata di un fluido

attraverso una superficie. La portata è definita come il rapporto tra il volume V di fluido che

attraversa la superficie in un tempo t e l’intervallo di tempo t stesso:

Se il fluido si muove con velocità e la superficie ha area S:

Quando la superficie è perpendicolare a , la portata è data dalla formula

Sv

= Sv

S

Quando la superficie è parallela a , attraverso di essa non passa fluido quindi la portata è

uguale a zero.

= 0

La portata attraverso la superficie, quando essa è inclinata in modo qualunque rispetto alla

velocità del fluido, si ricava scomponendo in due componenti , perpendicolare alla

superficie, e , ottenuto proiettando sulla superficie. Se indichiamo con l’angolo

formato dai vettori e otteniamo che

= v cos

Page 22: Infinito

La portata attraverso S è la somma della portata calcolata con e di quella dovuta a :

=

Con:

= S & ( ) = 0

Quindi la formula diventa:

+ 0 = Sv cos

Per quanto riguarda il vettore superficie esso ha:

Direzione perpendicolare alla superficie;

Modulo pari all’area S della superficie stessa.

Per una superficie generica il verso è arbitrario, ma se la superficie considerata è chiusa per

convenzione si sceglie come verso del vettore quello uscente dalla superficie chiusa. Avendo

introdotto il vettore superficie, la portata q attraverso la superficie S può essere riscritta come il

prodotto scalare tra il vettore velocità e il vettore superficie :

Questo prodotto scalare prende il nome di flusso del vettore velocità attraverso la superficie e

si indica con il simbolo:

Per quanto riguarda il campo elettrico :

data una superficie piana descritta dal vettore e un campo elettrico costante su , il flusso del

vettore campo elettrico attraverso è definito dalla relazione

Se si vuole calcolare il flusso del campo elettrico attraverso una superficie che non è piana. O su

cui il campo elettrico non è costante, bisogna suddividere in n parti così piccole da

soddisfare le condizioni della definizione. Successivamente occorre:

Calcolare per ogni piccola superficie piana il flusso

Determinare il flusso complessivo come la somma di tutti i flussi delle superfici:

Page 23: Infinito

IL TEOREMA DI GAUSS PER IL CAMPO ELETTRICO

Lo scienziato tedesco Karl Friedrich Gauss dimostrò un importante teorema relativo al flusso del

campo elettrico.

Il teorema di Gauss per il campo elettrico stabilisce che il flusso del campo elettrico attraverso una

superficie chiusa è direttamente proporzionale alla carica totale contenuta all’interno della

superficie:

Il valore del flusso non dipende dalla forma della superficie , purché sia chiusa, né da come è

posizionata e suddivisa la carica purché sia all’interno della superficie.

IL FLUSSO DEL CAMPO MAGNETICO

Il flusso del campo magnetico attraverso una superficie si definisce in modo analogo al flusso del

campo elettrico.

Se la superficie in questione è piana ed è descritta da un vettore superficie , con il campo

costante sulla superficie, il flusso del campo magnetico attraverso è definito come:

Dove è l’angolo compreso tra i vettori .

Nel sistema internazionale il flusso del campo magnetico si misura in tesla per metro quadrato

( ). Questa unità prende il nome di Weber (Wb) dal nome del fisico tedesco Wilhelm Weber.

Il verso del vettore superficie che descrive una superficie piana è scelto ad arbitrio, una volta

effettuata la scelta la superficie piana possiede una faccia positiva, che è quella rivolta nel verso di

.

Quando le linee del campo magnetico escono dalla faccia positiva della superficie, ( ) è

positivo, perché l’angolo tra è acuto (cos > 0).

Invece è negativo quando le linee di campo magnetico entrano nella faccia positiva,

perché in quel caso l’angolo tra e è ottuso (cos < 0).

Se si vuole calcolare il flusso del campo magnetico attraverso una superficie S qualunque, bisogna

suddividere S in n parti così piccole da soddisfare le condizioni della definizione. Indicando con

il vettore campo magnetico nei punti della calotta , il flusso del campo magnetico

attraverso S è dato da

Dove è l’angolo formato dai vettori .

Page 24: Infinito

IL TEOREMA DI GAUSS PER IL CAMPO MAGNETICO

Si dimostra che

Il flusso del campo magnetico attraverso qualunque superficie chiusa è uguale a zero.

Questo risultato, che è il teorema di Gauss per il magnetismo, si esprime con la formula

Dove è una superficie chiusa qualunque.

Il flusso del campo elettrico attraverso una superficie chiusa è direttamente proporzionale alla

carica elettrica totale contenuta all’interno della superficie. Ma mentre esistono cariche elettriche

isolate, non esistono poli magnetici, nord o sud, isolati. Per questo il teorema di Gauss per il

magnetismo è nullo: all’interno di una superficie chiusa qualunque, si ha sempre una uguale

quantità di poli nord e sud magnetici.

Il teorema di Gauss per il campo magnetico può essere anche espresso con le linee di campo:

quelle del campo elettrico hanno origine sulle cariche positive e terminano su quelle negative. Il

flusso del campo elettrico attraverso una superficie chiusa che racchiude una o più cariche:

È positivo se si ha una predominanza flusso

di linee uscenti dalla superficie positivo

È invece negativo se le linee di

campo sono soprattutto entranti

flusso

negativo

Invece le linee di campo magnetico non hanno né inizio né fine

perché sono linee chiuse oppure linee che si estendono

all’infinito. A ogni linea di campo entrante nella superficie

gaussiana ne corrisponde sempre una uscente di

conseguenza il flusso totale di campo magnetico attraverso è

nullo.

+

Page 25: Infinito

MATEMATICA

I LIMITI

La parola “limite” ha un significato intuitivo ma spesso nel linguaggio comune assume differenti significati. Parlando di un oggetto capita di asserire che questi è limitato, cioè che ha una forma finita o dei confini, oltre i quali probabilmente non è possibile andare. Nonostante assuma differenti significati, il concetto di limite in matematica è ben definito e parte fondamentale dell’analisi infinitesimale. La sua definizione fu enunciata nella forma da noi utilizzata, dal matematico tedesco Karl Weierstrass ma tale concetto è molto più antico. Si ritrovano sue applicazioni per calcolare aree e volumi nella matematica greca, presso Eudosso ed Archimede, anche se in forma non esplicita. Il limite è anche l’unico strumento per “lavorare” con gli infinitesimi e gli infiniti e oggi è il fondamento di tutto il calcolo differenziale e integrale, le cui applicazioni sono numerosissime, non solo in matematica e fisica, ma in tutte le scienze. I primi tentativi di continuare l’opera di Archimede si devono a diversi matematici come Fermat, Newton, Leibniz, e Cauchy. Fu Newton a esplicitare il concetto di infinitesimo: una grandezza “infinitamente piccola” ma diversa da zero. La sua definizione richiedeva di considerare il rapporto di due quantità e di determinare quindi ciò che accadeva a questo rapporto quando le due quantità tendevano simultaneamente a zero. Newton sembra voler dire che bisogna considerare il rapporto nel preciso istante in cui il numeratore e denominatore diventano zero. Ma in quell’istante la frazione si presenta come 0/0, che non ha alcun significato. Anche Leibniz tendeva ad affrontare la questione sempre parlando di “quantità infinitamente piccole”. Con ciò egli intendeva delle quantità che, per quanto non nulle non potevano essere ulteriormente diminuite. La comunità matematica, a poco a poco, prese coscienza del fatto che doveva occuparsi del problema. Troviamo così una schiera di matematici, all’inizio dell’Ottocento, occupati a esaminare la questione dei fondamenti. La precisazione del concetto di “limite” era uno dei problemi cruciali. Nel 1821 il francese Augustin-Louis Cauchy propose questa definizione: “Allorché i valori successivamente assunti da una stessa variabile si avvicinano

indefinitamente a un valore fissato in modo da differirne alla fine tanto poco quanto si

vorrà quest’ultima quantità è chiamata il limite di tutte le altre.”

Il successo della definizione si basò in larga misura sul fatto che per suo tramite Cauchy riuscì a dimostrare i più importanti teoremi dell’analisi. Ma anche l’asserzione di Cauchy aveva bisogno di essere messa a punto, infatti essa parlava di “avvicinamento” di una variabile al limite. Così l’ultima parola nell’opera di consolidamento delle fondamenta dell’analisi matematica la scrissero il matematico tedesco Karl Weierstrass e i suoi allievi. Nelle sue lezioni Weierstrass definiva il limite L della funzione f(x) nel punto nel modo seguente:

“Se data una qualsiasi grandezza , esiste una tale che per la differenza

f(x0± )- L è minore di in valore assoluto, allora L è il limite di f(x) per ” La definizione di limite usata ai giorni nostri è la seguente: Si dice che la funzione ha per limite il numero reale l per x che tende a e si scrive:

quando comunque si scelga un numero reale positivo se si può determinare un intorno completo I di tale che risulti

Page 26: Infinito

Per ogni x appartenente a I diverso da .

In simboli:

Interpretiamo mediante gli intorni:

esplicitando il valore assoluto nell’espressione otteniamo:

IL LIMITE INFINITO DI UNA FUNZIONE PER X CHE TENDE A UN VALORE FINITO

Limite per x che tende a

Sia f(x) una funzione non definita in . Si dice che f(x) tende a per x che tende a e si scrive:

Quando per ogni numero reale positivo M si può determinare un intorno completo I di tale che risulti:

per ogni x appartenente a I e diverso da

In simboli:

Limite per x che tende a

Sia una funzione non definita in . Si dice che tende a per x che tende a e si scrive:

Quando per ogni numero reale positivo M si può determinare un intorno completo I di tale che risulti:

per ogni x appartenente a I e diverso da .

Page 27: Infinito

IL LIMITE FINITO DI UNA FUNZIONE PER X CHE TENDE ALL’INFINITO

Limite finito di una funzione per x che tende a

Si dice che una funzione tende al numero reale l per x che tende a e si scrive:

Quando comunque si scelga un numero reale positivo si può determinare un intorno di tale che

per ogni x appartenente all’intorno

Considerato che un intorno di è costituito da tutti gli x maggiori di un numero reale c,

possiamo dire che

se:

Limite finito di una funzione per x che tende a

Si dice che una funzione ha il limite reale l per x che tende a e si scrive:

Se per ogni fissato è possibile trovare un intorno di tale che risulti:

per ogni x appartenente all’intorno I

X tende a

Questi ultimi due casi possono essere riassunti in uno solo se si considera un intorno di determinato dagli x per i quali:

Si dice che quando per ogni è possibile trovare un intorno di tale che:

per ogni x appartenente I.

Page 28: Infinito

INGLESE

THE SEARCH FOR THE INFINITY IN THE ENGLISH ROMANTICISM.

WORDSWORTH AND COLERIDGE

Romanticism was an artistic, cultural and literary movement developed in Germany at the end of

the eighteenth century and then spread throughout Europe in the next century. The term

"romance" comes from the English “romantic” that in the mid-seventeenth century was referring

to what was not reality but what was described in terms of "romance" in the literature of the

romances. In reaction to Neoclassicism and the Enlightenment, namely rationality and the cult of

classical beauty, Romanticism contrasts spirituality, emotion, fantasy, imagination, and above all

the affirmation of the individual character of each artist. The term "romance" was first applied by

Schlegel literature which he considered "modern" as opposed to "classical". The term was alluding

to the romance languages, originated from a mixture of German dialects of Latin. And the diversity

and heterogeneity were representative of the Romantic era, when man was not unique enough in

itself as in classical antiquity. In fact, according to philosophers such as Schopenhauer that are

based in part on Fichte, man, be done, tends to infinity, namely is always looking for a good or an

infinite pleasure, while in the finite world at his disposition it doesn't find that limited

resources. This makes the man feel an emptiness, that forces him at the inevitable situation of

unhappiness.

Romanticism refers to the necessity to draw infinity. Therefore are often applicants some essential

points such as:

Absolute: characteristic of Romanticism is the theory of the absolute, the infinity immanent

reality (often coinciding with nature) that provokes in a man a tension for the unlimited.

Sublime: according to the Romantics, the endless generates in the human a sense of terror

and helplessness, defined the sublime. The inability and paralysis towards the absolute

translates in humans in a pleasure indistinct, where what is horrid and uncontrollable

becomes beautiful.

desire of desire or evil of desire: is the direct result of the experience of the man towards

the absolute, a sense of constant anxiety, a feeling that afflicts the subject and pushed him

to exceed the limits of earthly reality, oppressive and suffocating, for taking refuge in

interiority or in a size that exceeds the space-time.

Irony: the awareness of the fiction of things that surround the man and that he creates is

translated in the irony, by which man becomes conscious of his own limitations.

The different attitudes that writers and poets take in life, mean that in the literature developed

two currents: the current subjective, which views poetry as one of the highest expressions of the

spirit, of human feeling, spontaneous expression of the ideals artist, who gives voice to the

contrast between finite and infinite who slays his heart. The current objective, which represents a

true outward, life and ideals of people of a specific time and place. Regarding the German

Romantic artists, developed in Germany between 1770 and 1785 the movement of Sturm und

Drang (storm and passion), with artists like Goethe and Schiller, was officially born in 1798 instead

of Romanticism, with the first number of the newspaper "Athenaeum."

Page 29: Infinito

While in England, showed a similar movement in literature and poetry in the first exponents were

Wordsworth and Coleridge.

English Romantic authors are usually divided into two different generation, one that regards the

end of 1700, and another who lived in the first half of 1800. The first part of Wordsworth,

Coleridge and Blake. The second generation can be defined as poets Keats, Byron and Shelley.

Wordsworth The preface to the Lyrical Ballads: Poetic manifesto.

Along with Samuel Taylor Coleridge is considered the

founder of Romanticism and especially the English

naturalism, with the publication of Lyrical Ballads in 1798

in which Coleridge contributed with The Rime of the

Ancient Mariner, that opened the collection of the first

edition. The Preface to the Lyrical Ballads can be

considered a manifesto for Wordsworth’s work and

explains well is idea of poetry and nature, the role of the

poet and language he should use. Poetry, according to

Wordsworth, must be concerned with the ordinary,

everyday world and the influence of memory on the

present. The highly innovative nature of his poetry are in

the choice of characters, people of humble extraction

from the every day life, and in the simple language. The

best subjects are therefore “humble rustic life” and

people in close contact with nature. The kind of language

used by the poet must reflect this simplicity, it has to be

similar to the simple “language of men”.

Characteristics of Wordsworth's vision are:

Importance of feelings and intuition.

Free play of imagination. Poetic “vision”.

Children are sacred, begin the closest creatures to God and thus to the source of creation.

The so-called Lucy Poems, dedicated to a woman who died young, perhaps more than

many others communicate the importance of the cult of childhood, and ingenuity that

allow the approach to the state of nature lost in the transition from childhood to

adulthood, from rural to industrial and pantheistic view of nature of Wordsworth.

Poetry seen as the expression of the soul and celebration of the freedom of nature and

individual experience.

Page 30: Infinito

Coleridge

Focus on the text: the rhyme of the Ancient Mariner. Wordsworth and Coleridge divide their work in different tasks in fact, Wordsworth transforms

ordinary in extraordinary events (such as "We are seven") and Coleridge deals to make

supernatural in ordinary events, the most famous poems is

"The rhyme of the ancient mariner" . This long poem is

divided into seven parts, each introduced by a short

summary of the story so far. It was composed between

1797 and 1798 and was first published as the opening

poem of the Lyrical Ballads in 1798. It tells the story of a

mariner who commits the crime of killing the albatross and

of his consequent punishment. The mariner, during the

celebrations for a wedding, tells his story to a guest. The

novel illustrates the story of the mariner's ship there

remains trapped in a storm. The rest of an albatross on the

ship is hailed as a favorable omen by the crew. But the

mariner kills the bird with a crossbow shot. From here start

the unfortunate events of history. Only the old sailor will

be saved. For seven days he remain in the company of the

crew died trying in vain to pray when he blesses the sea

snakes that move in the waters can view and at the same

moment the bird that hung around his neck detaches and sinking. Conversion takes place here:

the dead become angelic spirits that guide the ship towards the English coast, where it sinks. The

sailor will be forced to tell his adventure ever, as a moral warning to humanity. The purpose of

moralistic poem is this: the only unconditional love for nature and all species will enhance and

ennoble the human spirit.

Stylistic features.

The poem his written in the form of a medieval ballad and is highly symbolic. The story of the

mariner reflects the original sin. The poem creates a universe where realistic and supernatural

events coexist. The landscape is portrayed in a mysterious, a bird whose killing, according to

mythology, is considered a sacrilege, but also by horrible sea-monsters which surround the ship

after the bird’s death. The presence of spirits and angels also contribute to create a magical

atmosphere. This is reinforced by the language used by Coleridge, which is characterised by a

frequent use of sound effects. Coleridge’s language, unlike that of Wordsworth, is often archaic

and takes inspiration from old ballads.