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FACOLTA’ DI ARCHITETTURA AMBIENTALE CORSO DI STORIA DELL‘ARCHITETTURA CONTEMPORANEA AA 2010\2011 Docente: Alessandro De Magistris Studente: Federico Pasta Matricola 746382 RELAZIONE: “L’ARTE DI INIZIO NOVECENTO E L’ARCHITETTURA DI RIETVELD”

Influenza del de stijl nell'architettura moderna_Rietveld

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Approfondimento circa l'importanza del movimento de stijl, fortemente marcato nei quadri di Mondrian, sulla nascita dell'architettura moderna.La sintesi sfocia nell'analisi del progetto di Casa Schröder di Rietveld.

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FACOLTA’ DI ARCHITETTURA AMBIENTALECORSO DI STORIA DELL‘ARCHITETTURA CONTEMPORANEA AA 2010\2011Docente: Alessandro De MagistrisStudente: Federico Pasta Matricola 746382RELAZIONE: “L’ARTE DI INIZIO NOVECENTO E L’ARCHITETTURA DI RIETVELD”

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L’Arte dai primi del ‘900 al Dopo-guerra

Il periodo dell'anteguerra rappresenta un punto chiave per la maturazione dell'Architettura Moderna. Nel primo decennio del Novecento, tra le incomprensioni e le polemiche avanzate da critica e pubblico, la cultura artistica europea è pronta ad un grande cambiamento: una riforma radicale dei principi che regolano le abitudini visive e l'acquisizione di nuove tecniche di lettura e comprensione dell'arte. “L'architettura diventa un prolungamento della natura, un mondo artificiale costruito con le stessi leggi del mondo naturale.” Leonardo Benevolo. Infatti, in architettura le caratteristiche, come ad esempio forma e colore, dipendono dalla possibilità dell'occhio di percepirle con un’osservazione o una serie continua d’osservazioni. L'osservazione parte dalla corrente artistica di quel momento il Cubismo e dal suo elemento caratterizzante, vale a dire l'abbandono di un unico punto di vista e della collocazione statica degli oggetti nello spazio, a favore della scomposizione e della fusione di ogni punto di vista e ogni piano del reale. “...ogni persona non è mai ferma dinanzi agli oggetti della realtà, ma si muove nello spazio, creando una sintesi tra la moltitudine di immagini che l'occhio gli fornisce; lo stesso sguardo non è mai immobile, ma incessantemente in movimento: sposta in continuazione il suo raggio di azione per percepire e ricostruire volumi, piani, superfici.” Paul Cézanne. Il Cubismo, come scrivono Tafuri e Dal Co nel loro testo “Architettura Contemporanea” aveva anche una matrice filosofica: in un periodo dove “...la perdita del centro e la solitudine dell'uomo immerso nella rivolta delle cose” scaturiva in un'angoscia interiore dell'individuo, la risposta cubista stava nel far agire quella angoscia. L'uomo deve prendere coscienza del cambiamento della società che lo circonda dopo l'avvento della meccanizzazione. Una trasformazione che sa più di “rivoluzione” per una società nella quale, come sosteneva il filosofo Simmel, la divisione del lavoro avrebbe portato alla frammentazione della vita sociale. La città moderna, la metropoli, porta ad un processo di alienazione: nell'individuo metropolitano le sfera sociale passa da un livello familiare a quello dei mille contatti superficiali. I cubisti esprimono il loro dissenso nei confronti della società contemporanea fermando la continuità naturale del flusso delle immagini nella realtà attraverso una moltiplicazione dei punti di vista, come se l'osservatore girasse intorno a ciò che è rappresentato sul quadro. Quella cubista, quindi, è un'idea di quadro che va modificandosi, nel tentativo di superare il grande limite dell'illusione di un mondo piatto, a due dimensioni, per giungere ad una rappresentazione delle cose nella loro interezza. I cubisti liberano “idealmente” da ogni riferimento l'immagine e tutto ciò che essa può rappresentare sintetizzandola in linee, superfici e colori. Questa nuova libertà degli elementi della rappresentazione evidenzia nuovi significati e nuove qualità finora nascoste sotto la superficialità generale: essi possono essere assemblati in modi nuovi, secondo nuove leggi organiche. Tuttavia i cubisti non si impegnano a creare un nuovo sistema di norme rappresentative da contrapporre a quelle antiche già esistenti: essi ritengono di svolgere una ricerca libera, priva di risultati determinabili a priori.

“Un quadro non è pensato e stabilito in partenza; mentre si lavora si trasforma nella stessa misura con cui cambia il pensiero”. Pablo Picasso

Mont Sainte Victoire, 1904 Paul Cèzanne

Les joueurs de carte, 1892 Paul Cèzanne

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Gli oggetti reali vengono utilizzati solo quando perdono tutti i riferimenti che li legano alla realtà. Questo processo di separazione tra oggetto e realtà fa in modo che gli oggetti possano assumere nuovi riferimenti. Questi non possono che nascere dalla pittura dopo il suo rifiuto per l'imitazione delle cose. I risultati così ottenuti potranno essere diffusi attraverso la tecnica e l'industria. Questo porterà alla fine dell'innaturale isolamento degli artisti provocato dai nuovi sistemi costruttivi. Perciò l'obbiettivo ultimo della riforma delle arti figurative non risiede nella modifica del contenuto della rappresentazione artistica, bensì nella modifica del concetto tradizionale di arte come attività rappresentativa contrapposta il mondo dei processi tecnici. Questa modifica del significato primo di arte porta direttamente all'architettura, che finora, era vista come una branchia del concetto più ampio di “arte”, mentre nel nuovo sistema di valori i ruoli si invertono. “L'arte” diventa una componente dell'architettura, che ritorna ad essere un'attività integrata dove “l'architetto diventava un maestro di perizia artigianale”. Queste nuove teorie però restano per qualche tempo implicite, avvertite solo come aspirazioni vaghe. Ne è una dimostrazione l'attività “architettonica” dei Futuristi. Questi, in contrapposizione con l'autoriflessione cubista, sviluppano un pensiero fortemente influenzato dalla frustrazione per il ritardo tecnologico italiano, che sfocia nella mera idolatria della macchina. Essi si identificano con la massa metropolitana, assimilata ad una cosa e perciò in rivolta. Non provano nessuna nostalgia per i vecchi valori poiché intendono guidare questa rivolta di cose. Per trovare la soluzione al problema di come governare la rivolta bisogna “riconoscere che i nuovi rapporti sociali instaurati nella metropoli, dominata dall'anonimato della tecnologia, non si possono sviluppare senza una violenta rottura dei vecchi strumenti di comunicazione. E' la macchina che determina, ora, i modi della comunicazione”. I futuristi pensavano di trovarsi ad un punto cruciale della storia. La loro architettura doveva essere nuova come lo era il loro stato d'animo, ma soprattutto come lo erano le circostanze del momento storico in cui vivevano ed operavano. Infatti essi avevano capito di essere in un periodo di profondo cambiamento delle condizioni sociali e culturali. D'altra parte le loro “visioni” non furono così rivoluzionarie, come si vede dalla simmetria delle immagini. Queste risultavano più come delle esaltazioni della rivoluzione della città. Non si può quindi parlare di una architettura futurista, ma non è in discussione che i loro “toni” erano diversi da quelli dell'Art Nouveau. La guerra che scuote l'Europa tra il 1914 e il 1918 arresta quasi totalmente l'attività degli architetti, ma soprattutto interferisce con il loro pensiero indirizzandoli verso una destinazione radicalmente diversa. A questo punto, i fattori casuali e quelli che operano a lunga distanza, si fondono. Le distruzioni della guerra posero gravi problemi di ricostruzione che dovevano essere risolti velocemente. In questo scenario si modifica la clientela degli architetti: non più costituita da privati, ma dallo Stato. Di conseguenza cambiano anche le tipologie architettoniche richieste: non più abitazioni isolate, ma interi quartieri. Questo porta ad un rapido sviluppo dell'urbanistica. Contemporaneamente la tecnica fa dei grandi passi avanti: il cemento armato, nel dopoguerra, è già metabolizzato dagli architetti; lo stesso conflitto mondiale accelera i tempi per lo sviluppo nel campo dei trasporti e delle lavorazioni metalliche. E' negli Stati sconfitti, dove è maggiore il distaccamento dal mondo di ieri, che si sviluppano i maggiori avvenimenti per la nuova cultura che si sta affermando. “La piena coscienza della mia responsabilità come architetto, basata sulle mie riflessioni, si determinò in me come risultato della prima guerra mondiale, durante la quale le mie premesse teoriche presero forma per la prima volta. Dopo quella violenta scossa ogni essere pensante sentì la necessità di cambiamento di fronte intellettuale.” Walter Gropius Officine Fagus, Berlino

Walter Gropiuis

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L'obbiettivo primario, già formulato con chiarezza nei dibattiti prebellici, era quello di mettere al passo l'azione culturale con i processi tecnici, economici e sociali sviluppatisi dopo la rivoluzione industriale, per coglierne le qualità e controllarli in modo tale da non venirne soppressi. Si pensava infatti che la causa di queste trasformazioni, la tecnica, fosse dotata di un carattere razionale e perciò garanzia di progresso. La tecnica, suo malgrado, in tempo di guerra assume anche un differente significato: è infatti con essa che vengono prodotti strumenti di distruzione e morte. I progressi della tecnica sono indifferentemente dispositivi portatori di bene e di male. E' di importanza fondamentale trovare un interesse comune all'interno di troppi interessi divergenti, seppur giustificati nel loro campo particolare. “In questo periodo torna in primo piano l'istanza razionale. Non più la ragione ottimista e orgogliosa dell'epoca precedente, ma umile e circospetta, eppure infinitamente preziosa perché appare il solo ideale superstite dopo il tramonto di tutti gli altri, l'unico lascito duraturo della tradizione passata e l'unico argomento di speranza per il futuro”. Leonardo Benevolo Queste emozioni danno una svolta decisiva ai movimenti d'avanguardia, creando varie correnti con ideali diversi tra loro; un’ideologia fondamentale per l’architettura moderna è quella che perda la fiducia in qualsiasi ricerca di una verità. Questa idea viene percorsa dai dadaisti e dai surrealisti. Dada è un gruppo svizzero che raccoglie molte delle esperienze artistiche più “ribelli” scaturite come reazione alla guerra. Il pensiero dei loro esponenti si basava su un nonsenso verbale che materialmente scaturiva nell'appropriarsi degli “oggetti indifferenti, che galleggiano sospesi nel flusso della corrente monetaria” e di inserirli in una successione di metamorfosi continue. Infatti con i loro lavori essi cercano di mostrare l'indifferenza dell'uomo nel considerare le cose ma anche il vuoto lasciato dalla fine dei valori su cui si fondava la società precedente. Il Surrealismo è un movimento che ebbe come principale esponente il poeta Andrè Breton, che convogliò la vitalità distruttiva del dadaismo. Breton fu influenzato da Freud e dopo aver letto le sue opere arrivò alla conclusione che era inaccettabile il fatto che il sogno e l'inconscio fossero stati così poco considerati nella civiltà moderna e pensò quindi di fondare un nuovo movimento artistico e letterario in cui il sogno e l'inconscio avessero un ruolo fondamentale. Nel primo Manifesto surrealista del 1924, definì così il surrealismo: “Automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Comando del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale”. La caratteristica comune a tutte le manifestazioni surrealiste è la critica radicale alla razionalità cosciente, e la liberazione delle potenzialità immaginative dell'inconscio per il raggiungimento di uno stato conoscitivo "oltre la realtà” (sur-realtà) in cui conscio e inconscio sono entrambe presenti e si conciliano perfettamente. Il pensiero surrealista si manifestò spesso come ribellione alle convenzioni culturali e sociali, concepita come una trasformazione totale della vita. Queste non sono altro che le forme più “estremiste” dell'avanguardia postbellica; infatti, parallelamente ad esse si sono sviluppati movimenti che tendono a creare un linguaggio nuovo e generale partendo dalle esperienze passate. Questi movimenti saranno fondamentali per il destino della società contemporanea facendo una selezione riguardo a ciò che va mantenuto e ciò che può essere eliminato. E' questa la via intrapresa dall'architettura moderna. Nel dopoguerra, una serie di movimenti si pongono il problema di inserire nei temi avanguardisti l'architettura. L'idea generale era ridurre l'ambiente a vuote “cose” e generalizzare un linguaggio artistico riducendolo a puri segni geometrici. Emergono così vari movimenti che, cercando di dedurre dal cubismo un linguaggio preciso e comunicabile a tutti, si prefiggono di manifestare il loro pensiero nell'architettura. “Non si trattava di copiare spudoratamente i motivi tratti dai quadri ne imitarne le forme. Si doveva infondere, nella natura tridimensionale dell'architettura, un carattere geometrico e spaziale affine a quello appena scoperto nell'illusionistico mondo che sta dietro al piano del dipinto”. W.J.R Curtis

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Uno di questi movimenti è il Purismo, i cui principi furono elaborati dal pittore Ozenfant, ma rappresentato in campo architettonico da Le Corbusier. Secondo gli esponenti di questa avanguardia il cubismo ha ripristinato la capacità di apprezzare, all'interno del groviglio di forme confuse e superficiali del mondo, le forme “pure” considerate la sorgente primaria delle sensazioni estetiche. Altro movimento che si sviluppa in Europa in quell'epoca è il Suprematismo Russo. Malevic pubblica nel 1915 il manifesto di questo movimento. Quasi nello stesso periodo Tatlin propone il Costruttivismo. Entrambi hanno in comune l'abbandono di qualsiasi riferimento imitativo del reale e la volontà di partire da zero per creare una nuova realtà indipendente da tutto. Sia Malevic che Tatlin tentano di applicare questo pensiero all'architettura.

De Stjil Il processo di sviluppo generale sopra descritto, in cui le forme del Cubismo furono gradualmente semplificate e influenzate dai contenuti dell'età della macchina, si manifestò solo dopo che in Olanda il De Stijl ne aveva creato le basi adatte. Esso viene considerato come uno degli episodi architettonici chiave per l'evoluzione della storia dell'architettura moderna. Questo movimento fu fondato nel 1917 da Theo Van Doesburg quando si da vita ad una rivista che riunisce pittori come Piet Mondrian, Van der Leck, un poeta come Antoine Kok, lo scultore Vantangerloo e gli architetti J.J.P.Oud, J.Wils e R.van't Hoff. In seguito aderiranno a questo movimento anche gli architetti Gerrit Rietveld e Cor van Eestere. Come sostiene lo storico Kenneth Frampton nel suo testo “Storia dell'architettura moderna”, il primo manifesto di “De Stijl”, costituito dal secondo numero della rivista che dava il nome al movimento, “proponeva un nuovo equilibrio tra l'individuale e l'universale e la liberazione dell'arte sia da i vincoli imposti dalla tradizione che dal culto della personalità.

Tuttavia le premesse che portarono alla formazione di questo movimento sono da ricercare qualche anno prima. Il movimento risente, infatti, dell'influenza della filosofia neoplatonica del matematico Schoenmaekers la cui visione metafisica del mondo risultava integrata dai concetti più concreti tratti da Berlage e da Wright. Le opere di quest'ultimo si erano diffuse in Olanda nel 1910 grazie anche agli elogi dello stesso Berlage che era visto come un padre dell'architettura moderna in Olanda.

“In Architettura decorazioni e ornamenti sono secondari; i veri elementi essenziali sono la creazione dello spazio e i rapporti tra i volumi”. Berlage

Arkitekton, 1920 Malevich

Monument à la Internazionale, 1919 Tatlin

Copertina del primo numero della rivista "De Stijl", 1917

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Le prime opere post-cubiste di Mondrian coincisero con il periodo in cui, insieme a van der Leck, trascorse del tempo a Laren entrando a contatto con Schoenmaekers. Da lui deriva il nome “Neoplasticismo”, come anche la restrizione della gamma dei colori ai soli colori primari e soprattutto il fatto di limitare l'espressione neoplastica ad elementi ortogonali. L'isolamento forzato e la meditazione del periodo di guerra portarono Mondrian a creare delle composizioni che consistevano in superfici piane fluttuanti, colorate e di forma rettangolare. Il procedimento attuato da Mondrian in pittura, è un processo di graduale semplificazione che parte in ogni caso da una riflessione figurativa di tipo naturalistico. Esempio chiarificatore è la sua serie di opere sulla raffigurazione di un albero: nel processo di astrazione le linee ondulate vengono ricondotte a semplici linee verticali o orizzontali, fino a far sparire completamente l'originaria matrice realistica dell'oggetto. Nelle sue rappresentazioni, quindi, rimangono solo le linee orizzontali e verticali insieme ai colori primari e i “non colori” (bianco e nero come associazione e negazione di tutti i colori). L'Olanda trasse beneficio, tra il 1914 e il 1918, dalla fortuna della pace che consentì una maturazione progressiva e graduale delle idee prebelliche. Il primo progetto che può essere accostato a “De Stjil” fu ideato e realizzato nel 1916 da Robert van't Hoff. Nella sua villa a Huis ter Heide sono espliciti i riferimenti a Wright: gli aggetti, l'estensione dei piani orizzontali e nella fluidità dei volumi. Rimane tuttavia un carattere Beaux-Arts come lo schema assiale.

I concetti fondamentali de “De Stjil” furono elaborati da Mondrian tra il '13 e il '17, ma vennero teorizzati e divulgati maggiormente da Van Doesburg. “L'idea fondamentale era quella di partire da elementi bidimensionali e di accostarli secondo un nuovo senso di rapporti reciproci, da cui scaturisca una nuova plasticità”. Leonardo Benevolo. Il programma neoplastico prevedeva che l'atto costruttivo fosse estetico, introduceva il concetto che nessuna forma esiste a priori, ma si produce con l'atto del costruire. Fino al 1920 esistevano pochi esempi di architettura neoplastica. Uno dei più significativi è il progetto per una fabbrica a Purmerend del 1919. Questo progetto tendeva ad una relazione tra piani differenti tramite sovrapposizioni e asimmetrie. L'effetto che ne derivò fu materico e piuttosto artificioso. Anche Oud aveva potuto studiare Wright, che elogiò per come separava i volumi dall'insieme creando una nuova architettura plastica in cui le masse scivolavano avanti ed indietro e da un lato all'altro. Si può affermare che van Doesburg personificasse in se il movimento in quanto entro il 1921 i componenti del gruppo erano cambiati radicalmente: van der Leck,Van Tongerloo, van't Hoff, Oud, Wils e Kok si erano distaccati da “De Stjil”, mentre Mondrian aveva affermato la sua indipendenza di artista. Van Doesburg decise che era necessario trovare dei sostenitori all'estero. Nel suo soggiorno all'estero Van Doesburg visitò la Germania ed il Bauhaus dove creò non pochi problemi: il suo soggiorno provocò una crisi all'interno del Bauhaus poiché l'impatto delle sue idee su studenti e docenti fu immediato e potente. L'incontrò tra Van Doesburg ed El Lissitzky fu di fondamentale importanza per le seconda fase del “De Stijl” che durò fino al 1925. Due anni prima di incontrare Van Doesburg, l'architetto russo, aveva sviluppato la sua forma di espressione elementarista (elaborata in concomitanza con Malevic alla scuola suprematista russa). L'attività di Van Doesburg sembrò trasformata nonostante il fatto che l'elementarismo russo e quello olandese avessero poco in comune. Infatti, sotto l'influenza dell'opera di El Lissitzky sia Van Doesburg che van Eesteren,

Serie di alberi, Mondrian

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dopo il 1921, cominciarono a progettare usando rappresentazioni assonometriche che comprendevano un gruppo asimmetrico di elementi bidimensionali articolati e sospesi attorno ad un centro volumetrico. Nel 1923 i due architetti olandesi riuscirono a definire lo stile architettonico neoplastico durante una mostra delle loro opere, svoltasi a Parigi. La terza ed ultima fase dell'attività di “De Stijl” durò dal 1925 al 1931. Fu inaugurata dalla rottura tra Mondrian e Van Doesburg, in quanto quest'ultimo aveva introdotto la diagonale nei suoi quadri, organizzati in una serie di contro-composizioni. Questi, inoltre, sempre sotto l'influenza di El Lissitzky, era arrivato a considerare la struttura della società e la tecnologia come determinanti fondamentali della forma abbandonando ciò che fino ad ora era stato essenziali per “De Stijl”: gli ideali di armonia universale. Van Doesburg aveva infatti sviluppato un pensiero secondo il quale l'ambiente costruito poteva e anzi doveva essere formato in modo tale da adeguarsi ad un ordine superiore. All'interno del saggio “Vers une costruction collective”, Van Doesburg e van Eesteren, idealizzarono il loro pensiero con una soluzione più oggettiva e tecnica del problema della sintesi architettonica: “Dobbiamo capire che arte e vita non sono campi separati l'uno dall'altro. Deve sparire il concetto di arte come illusione che non ha nulla a che vedere con la vita reale (…) Il nostro ambiente costruito, deve essere costruito secondo leggi che derivano da un principio immutabile. Queste leggi, che comprendono anche quelle dell'economia, della matematica, della tecnica, dell'igiene, conducono ad una nuova unità plastica.” Successivamente, Van Doesburg, si espresse così riguardo alla sua ultima grande opera, il Cafè L'Aubette del 1928: “Abbiamo dato al colore il giusto posto che gli spetta nell'architettura ed

affermiamo che la pittura separata dalla costruzione architettonica (cioè il quadro) non ha alcun diritto di esistere”. Il Cafè l'Aubette rappresenta l'ultima opera neoplastica degna di nota. Dopo il 1929, gli ancora appartenenti al movimento subirono sempre più l'influenza della “Neue Sachlichkeit”. Degli artisti firmatari del primo manifesto solo Mondrian sembrò ancora legato ai rigorosi principi del movimento, alla linea ortogonale e ai colori primari, elementi fondamentali della sua opera matura.

Maison d'Artiste, 1923 Van Doesburg e van Eesteren

Cafè L'Aubette, 1928 Van Doesburg

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Rietveld e Casa Schröder Gerrit Thomas Rietveld fu, insieme a Van Doesburg, colui che incarnò maggiormente lo stile De Stijl. Architetto Olandese nato a Utrecht nel 1888, visse e lavorò esclusivamente nella sua città natale. Egli colse profondamente la chiarezza delle implicazioni tridimensionali dell'astrazione geometrica di Mondrian. Rietveld capì inoltre che lo scopo ultimo dell'opera architettonica non era quello di decorare l'edificio moderno con pitture murali, ma bensì di considerarlo come una scultura astratta, facendolo diventare “un'opera d'arte totale”. Insieme agli altri esponenti del movimento, mise subito in luce la nascita di un nuovo stile in cui il classico “materialismo” doveva essere abbandonato, sostituendolo con un'astrazione spiritualizzata, meccanizzata. “La macchina è un fenomeno di disciplina spirituale per eccellenza. Il materialismo è uno stile di vita e l'arte considerò l'artigianato come sua diretta espressione psicologica. La nuova e spirituale sensibilità artistica del XX secolo(...) ha preso coscienza delle illimitate possibilità offerte dalla macchina alle arti(...)Sotto la supremazia del materialismo, l'artigianato ridusse gli uomini al livello delle macchine; la giusta finalità della macchina è quella di essere l'unico medium per conseguire l'esatto opposto, la liberazione sociale”. Banham Il significato di queste parole risiede in quello che Oud definì come “un classicismo non storico”, ovvero uno stile che tendeva alla semplificazione più di quanto fosse stato fatto fino ad ora. Nel 1917 Rietveld creò la famosa sedia rosso e blu. Questo pezzo di arredamento, basato su una tradizionale sedia inclinabile, rappresentò il primo tentativo di trovare una corrispondenza funzionale (tridimensionale) alla rappresentazione pittorica astratta di linee rette e colori puri. In essa venivano realizzati, sotto forma di elementi articolati e flessibili nello spazio, i piani delle composizioni di van der Leck, con cui Rietveld collaborava a quel tempo. Nonostante la sua sedia fosse un oggetto unico, fatto a mano, essa doveva rappresentare in modo simbolico un prodotto dell'arte delle macchine. Ogni componente della sedia era sviluppato nei minimi dettagli in modo che gli elementi sembrassero “fluttuare” indipendentemente l'uno dall'altro. Abbiamo già parlato dei modelli e diagrammi spaziali di van Doesburg del 1923, ma questi non furono mai tradotti in opere architettoniche. W.J.R.Curtis afferma che il primo edificio che diede espressione alle aspirazioni formali, spaziali e iconografiche di “De Stijl” fu la casa progettata da Rietveld nel 1923, Casa Schröder. Anche Rietveld subì l'influenza di Wright: si concentrò maggiormente sul carattere spaziale delle sue opere e sull'uso di piani sospesi e intersecati, percepiti come elementi quasi sradicati da un loro contesto fisico e sociale. Questa casa era, sotto molti punti di vista, una realizzazione dei “16 punti di un'architettura plastica” di Van Doesburg, in quanto corrispondeva alle sue indicazioni, essendo elementare, economica e funzionale, non monumentale e dinamica, anticubica nella forma e antidecorativa nel colore. Il punto numero undici di Van Doesburg sembra descrivere l'opera di Rietveld: “La nuova architettura è anticubica, ossia non cerca di combinare tutte le cellule funzionali di cui è fatto lo spazio in un cubo chiuso, ma proietta queste cellule ( come anche le superfici sporgenti) in senso centrifugo,

Sedia Rosso-Blu, 1917 Rietveld

Gerrit Rietveld

Casa Schröder, 1923-1924

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partendo dal centro del cubo; in questo modo, altezza, larghezza e profondità più il tempo acquistano negli spazi un'espressione plastica completamente nuova. In questo modo l'architettura assume un aspetto più o meno fluttuante, che contrasta, per modo di dire, la forza di gravità della natura”. La casa perde il suo carattere massiccio, perciò l'attacco a terra e il rapporto con il suolo non sono più vincolanti ne ricercati. Van Doesburg affermerà che “la casa moderna darà l'impressione di planare, di essere sospesa nell'aria, di opporsi alla gravitazione naturale”. Progettata come una abitazione familiare, le sue forme lisce e i colori brillanti la fanno distinguere dalle vicine e sobrie case costruite in mattoni. Casa Schröder è formata da piani che si intersecano, ma essendo curati nei minimi dettagli, sembra che alcuni di essi siano sospesi nello spazio mentre altri si sviluppano in senso orizzontale ed altri ancora si uniscono a formare piccoli volumi. In questo edificio non vi è un unico asse di simmetria, anzi, ogni elemento è in tenue relazione, dinamica e asimmetrica con gli altri. Si può anche notare che l'idea di svuotare l'angolo si riflette in un trattamento dello spazio esterno in cui gli elementi strutturali vengono inglobati negli infissi delle finestre. Viceversa, esistono punti in cui forti aggetti e gli sbalzi dei terrazzini, pur riuscendo a reggersi da soli vengono fissati a terra da elementi verticali che hanno la sola funzione di sottolineare le linee verticali e orizzontali. Vuoti e volumi di spazio sono, nella composizione, componenti attive.

“Linee, piani e colori sono gli elementi materiali della costruzione: si porta avanti un piano sospeso per arretrare il volume del corpo centrale, lo si compensa indicando con un'asta verticale lo spigolo di un volume vuoto, si contrappone ai piani frontali il piano orizzontale di una copertura sporgente, si blocca con una linea nera l'espansione luminosa di una superficie bianca, con la spazialità negativa di un blu la spazialità positiva di un giallo”. G. C. Argan Nel modo in cui la descrive sembra che stia parlando di un'opera d'arte pittorica, e, forse, questo è il modo più appropriato di descrivere l'edificio, una sorta di opera pittorica fatta architettura. L'interno di Casa Schröder si sviluppa attorno al corpo scala che viene addossato al camino, formando l'unico vero punto fisso dell'intera casa. Questo è il centro del cub o di cui aveva parlato Van Doesburg. Casa Schröder è la prima residenza pensata come un progetto aperto. Questa caratteristica si riscontra nella divisione interna per zone, tramite pareti scorrevoli secondo un preciso percorso indicato da superfici colorate e dalla posizione degli oggetti che definiscono l'attività funzionale di chi la abita. Essa comprende un'abitazione e uno studio professionale distribuiti su due piani di circa sessanta mq ciascuno: al piano terra vi è l'ingresso, la cucina con montacarichi, l'atelier (dello stesso Rietveld) e un letto di servizio; al primo piano, a pianta libera, presenta la flessibilità di un ampio spazio, totalmente aperto di giorno articolato intorno al perno centrale dell'edifico (scala-camino), e trasformabile di notte tramite pannelli scorrevoli francati con dei binari non più a terra ma al soffitto, risultando sospesi. I pannelli sono pieni nella fascia del

Pianta di Casa Schröder

Interno Casa Schröder

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parapetto e pieghevoli vetrati nella parte superiore. Con l'usi di divisori a tutta altezza, invece, si posso delimitare zone di diversa funzione: soggiorno-pranzo, camera da letto singola, una a due letti e una nicchia letto per la signora. La pianta risulta ormai svincolata dall'influsso di Wright, con vari spazi ben separati ed altri che si mescolano e si integrano tra loro senza distinzione apparente, mantenendo però una loro continuità spaziale. Questa casa risulta concepita come un sistema nel quale muoversi, vivere, intervenire, modificare o delimitare lo spazio, come un meccanismo programmato dall'auto-progettazione dell'ambiente. Da notare anche l'uso estensivo del vetro, qui sottolineato dal corpo prismatico che copre il pozzo di luce della scala centrale, dalle ampie vetrate e dalle finestre d'angolo, che sembra proiettare verso l'esterno l'arredo e contemporaneamente far vivere all'interno il giardino e la campagna circostante (ora un'autostrada copre la visuale). I volumi interni vengono a definirsi come dei “volumi di luce”. Questo concetto è evidenziato dall'importanza data da Rietveld ai pavimenti e ai soffitti: i primi in relazione con le pareti assumono un valore cromatico attraverso l'uso di materiali plastici di rivestimento; i soffitti invece sono superfici riflettenti, sia di luce naturale che artificiale. I dettagli, sia esterni che interni, sono loro stessi dei piccoli modelli dell'insieme e sono costruiti in modo da rivelare la natura della forma architettonica: dopo l'invenzione del “nodo cartesiano” per la costruzione di alcuni mobili Rietveld attua una nuova logica spaziale che va dall'oggetto all'architettura. Curtis scrive: “è come se l'insieme realizzato fosse un sovradimensionato e complicato mobile”. Questo fa sì che la casa risulti “un'opera d'arte totale in cui arredi e forma globale sono coerenti espressioni della stessa idea, e in cui pittura, scultura, architettura e arti applicate si fondano insieme”. L'opera di Rietveld era anche impregnata di un significato sociale: il suo messaggio simbolico si riferiva ad uno stile di vita creato della presunta liberazione spirituale portata dalla meccanizzazione. I piani e i volumi della casa erano una manifestazione esterna di una posizione polemica, di un ideale sociale trascendente: risultano espressioni dell'idea di “come la vita dovrebbe essere”. L'architettura è un linguaggio espressivo che possa esternare idee e sentimenti ma ugualmente assolvere funzioni pratiche: il grande valore di questa casa sta anche nella maniera in cui funzione e struttura sono state sintetizzate assumendo un significato più intimo. Oud qualche anno prima della Casa Schröder aveva annunciato questa forma di architettura: “Senza cadere in un arido razionalismo, resterebbe sopratutto obbiettiva, ma all'interno di questa obbiettività sperimenterebbe cose superiori”. Rietveld ebbe scarsi contatti con van Doesburg dopo il 1925 anche se la sua opera prese una direzione analoga, lontana dall'elementaris mo di Casa Schröder, che deriva dall'applicazione della tecnica. Per le sedie adottò superfici curve perché più comode e strutturalmente più solide. Il garage a due piani costruito nel 1927 era determinato più dalla tecnologia che da qualsiasi aspirazione verso una forma universale, punto fondamentale dell'estetica “De Stjil”. Bibliografia: · L.Cremonini, Casa Schroder, Ed.Alinea, Firenze 1997 · M.Tafuri e F.Dal Co, Architettura contemporanea, Electa, Milano 1992 · L.Benevolo, Storia dell'architettura moderna, Ed.Laterza, Roma/Bari 1999 · W.J.R. Curtis, L'architettura moderna dal 1900, Phaidon, Londra 2006