Introduzione Indice Libro Socrates

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  • 7/25/2019 Introduzione Indice Libro Socrates

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    Tre Paesi, un progetto. Percorsi formativi condonne migranti

    a cura di Donatella Schmidt e di Antonio Marazzi

    PresentazioneAntonio Marazzi

    Introduzione: esiste un modello italiano verso la dif-ferenza?Donatella Schmidt

    Immigrazione, cittadinanza e formazioneA.Wailey, J.Panesar, A.Lpez, M.Setin, A.Marazzi,

    D.Schmidt,Donne partecipi di un processo educativoJasbir Panesar e Anthony Wailey

    Donne migranti a Londra: il caso del BangladeshJasbir Panesar e Anthony Wailey

    Donne migranti a BilbaoArantza Lpez e Maria Luisa Setin

    Donne migranti a PadovaDonatella Schmidt

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    Donatella Schmidt

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    ESISTE UN MODELLO ITALIANO VERSOLA DIFFERENZA? RIFLESSIONI A PARTI-RE DA UN PROGETTO EUROPEO

    Donatella Schmidt

    Universit degli Studi di Padova1

    Partendo dalla constatazione di realt diverse, nello specifico EastLondon, Padova e Bilbao, e dalle linee direttive proposte dai coordinatori,che saranno ampiamente discusse nei saggi proposti, il nostro progetto iniziato con delle perplessit e degli interrogativi. Questi tuttavia, lungidal paralizzare gli operatori coinvolti, li hanno portati a rivisitare sulcampo modelli e pratiche e a concepirli nel contesto di dinamiche politi-che nazionali, espresse dai recenti testi legislativi sullimmigrazione,allinterno di contraddittorie pulsioni delle realt locali e regionali, dovealle necessit di manodopera straniera si affiancano timori di contamina-zioni, e alla luce di esigenze concrete di uomini e donne che premono perun concetto allargato di cittadinanza. E infine a intuire sopra ogni cosa ein ogni cosa, aldil di volont specifiche, labbraccio della complessitche avvolge tutti, autoctoni e migranti, e pertanto rende tutti compagni distrada.

    Le prime perplessit sono venute dal titolo del progetto Widening par-tecipation in Adult Education for Women from Targeted European EthnicMinorities, grossomodo traducibile in favore di una maggiore partecipa-zione alleducazione per adulti da parte di donne appartenenti a minoran-ze etniche specifiche in contesto europeo che dava presupposti, per le

    parti italiana e spagnola, non necessariamente scontati. Innanzitutto che ledonne fossero coinvolte, o perlomeno fossero interessate ad esserlo, in

    programmi educativi; che tali programmi fossero rivolti a gruppi con es i-genze specifiche e infine che il concetto di minoranza di tipo etnico fosse

    riconosciuto dalle parti in questione e identificabile nei tre contesti. Ben

    1Ringrazio i colleghi per aver commentato il mio scritto nelle varie fasi della sua rea-lizzazione.

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    sappiamo che il concetto di minoranza implica la presenza, allinterno diunentit statale, di una collettivit contrapposta alla maggioranza per ilfatto di presentare differenze di ordine culturale, linguistico, religioso oaltro e di trovarsi in una condizione di inferiorit dovuta a una ragione diordine numerico, politico, economico, educativo o a pi di una ragionesimultaneamente. Implica inoltre che gli appartenenti alla minoranza sia-no cittadini dello stato in questione e si pongano in posizione pi o menocritica nei confronti di una supposta omogeneit delle istituzioni,

    dellunit linguistica e culturale, del sistema giuridico e dellunit territo-riale. Il concetto, negli stati europei, non di difficile comprensione per-ch i confini politici e territoriali includono identit diverse o, per dirlacon Geertz, le entit costituite, gli stati, non coincidono con le lealt

    primordiali, le identit (1999: 86ss). Questa mancata corrispondenza frale entit costituite e le lealt primordiali alla base della formazione delleminoranze.

    Naturalmente lItalia ha, allinterno dei propri confini, dei gruppi cherispondono a queste caratteristiche, come per esempio i sud-tirolesi in Al-to Adige, i ladini in Trentino e Alto Adige o gli sloveni nel Friuli. Cos

    pure la Spagna che ha, per esempio, i gitani. Tuttavia era ovvio che ilprogetto non intendeva rivolgersi a queste minoranze storiche che, in li-

    nea generale, godono gi di autonomie e di riconoscimento, bens chiede-va di affiancare a questo un concetto di minoranza di ispirazione britanni-ca, frutto di dinamiche coloniali con popolazioni che per semplicit po-tremmo definire geograficamente e culturalmente distanti e la cui spintanon si ancora esaurita. Questo, tradotto in pratica, significa che accantoa persone provenienti dal subcontinente indiano di seconda o terza gene-razione che costituiscono le collettivit di lingua punjabi, bengali oquantaltro che, nellordine di centinaia di migliaia, dominano il panora-ma umano dei sobborghi orientali e meridionali di Londra, ci sono perso-ne di recente immigrazione e della stessa provenienza che vengono adaggiungersi a queste collettivit e premono per essere incluse nel concettodi minoranza non tanto a livello giuridico, non possedendo la cittadinan-

    za, ma sociale -diritto ai servizi, fra cui quello di istruzione- e culturale -diritto di espressione religiosa, linguistica, associativa. In altri termini siinseriscono in un modello gi consolidato comunemente definito plurali-sta. precisamente pensando a queste provenienze e a una loro pi effi-

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    cace inclusione nella societ ospitante che stato costruito il progetto delquale ci siamo occupati.

    Il principio pluralista di matrice britannica si incentra, come ha fatto nota-re Couper (1995: 66) su parole chiave quali diversity, diversit, equality,uguaglianza e integration, integrazione che investono tre aspetti congiun-ti: unaccettazione della diversit, una garanzia delluguaglianza delle op-

    portunit e un processo di inclusione dei diversi gruppi nella definizione

    della societ nazionale. Indubbiamente si tratta di un progetto ambiziosoche non si esaurisce nellaccettazione della diversit, ma si traduce in una

    politica della differenza: un riconoscimento a un gruppo ristretto, dotatodi una sua specificit culturale, in nome della quale possibile e legittimorivendicare forme di autonomia e laccesso privilegiato ad alcune risorsesociali. E ancora: non un accento su un generico principio di uguaglianza,ma la possibilit di un trattamento differenziato per i gruppi svantaggiati(pari opportunit di accesso). Infine, unintegrazione nella societdaccoglienza lontana da mire assimilatorie che contempla invece, alme-no in teoria, il principio della partecipazione alla vita britannicanellinterezza della propria storia personale e collettiva.

    Il pluralismo britannico cos delineato rimanda al dibattito, ormai maturo,ma non esaurito, sul multiculturalismo. Il termine, che vuol dire sempli-cemente la coesistenza di pi culture allinterno di uno stesso paese, rin-via a una serie di pratiche sociali, posizioni filosofiche e ideologie politi-che che, avendo tutte 2 per oggetto la problematica della convivenza diespressioni culturali diverse entro un sistema istituzionale comune, hannotuttavia dato risposte diversificate 3. In particolare, gi dagli anni settantasi sono venute delineando due opposte tendenze teorico-filosofiche rap-

    presentate dai liberali e dai comunitaristi: i primi sostenevano che lunicotitolare dei diritti e doveri era lindividuo e che pertanto la cultura di un

    2 A questo proposito vedi il saggio di Glazer intitolato We are all multiculturalistsnow(1997).3Per una panoramica delle posizioni si veda, per esempio, lintroduzione a Le societmulticulturali (Colombo 2002), Multicultural Experience, Multicultural Theories(Rogers 1996), Pluralismo culturale in Europa (Gallissot e Rivera 1995) e Giraud1995.

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    gruppo non doveva essere messa sotto tutela; per i secondi, centrale nellavita di un individuo era la comunit e pertanto la concessione di diritticollettivi a minoranze non presentava problemi di principio. Queste duetendenze sono ancora oggetto di riflessione critica nella realt contempo-ranea: Taylor (1993), prendendo spunto dal caso del Quebec canadese,riprende la linea comunitarista ed elabora il concetto del riconoscimentosostenendo che lo stato deve farsi garante dei diritti delle singole colletti-vit, riconoscendole e tutelandole. Habermas (1998) critica limpo-

    stazione di Taylor definendola paternalisticae daltonica in quanto noncapace di rilevare che la tutela dei diritti individuali contiene implicita-mente anche la tutela dei diritti collettivi: non si tratta dunque di correg-gere il taglio individualistico del sistema dei diritti. Basta realizzare finoin fondo questi diritti (p. 69). 4 Kymlicka (1999) ha tentato una sintesifra le due posizioni elaborando un modello di cittadinanza multiculturalein cui lo stato chiamato a intervenire per garantire a tutti la non discri-minazione. Ma perch il suo intervento possa essere efficace, oltre ai di-ritti universali riconosciuti a tutti gli individui, lo stato deve poter dispor-re di diritti specifici per le minoranze. 5Naturalmente i filosofi di matriceanglosassone non sono gli unici ad avere riflettuto su tematiche multicul-turali e un allargamento a riflessioni provenienti da altre tradizioni ed e-

    sperienze sarebbe senzaltro proficuo. La politica plurinazionale, perse-guita fino a poco pi di decennio fa in Jugoslavia, con il tentativo di af-fermare una propria, originale pluralit culturale [] che dava pari digni-t a tutte le espressioni linguistiche e culturali nazionali jugoslave e in ta-le molteplicit si realizzava (Ivetic, 2002: 290) andrebbe rivisitata e ana-lizzata criticamente. Altrettanto interessante appare la riflessione in corso

    4Quella di Habermas non lunica critica che viene mossa a Taylor. Segnalo la posi-zione di Gerd Bauman (2003) che si oppone al concetto di riconoscimento propostoda Taylor visto come troppo problematico perch un valore universale astratto nonsintonia con una variet di progetti concreti; perch implica una selezione di qualivalori culturali possano essere riconosciuti come validi e quali possano essere rifiutati;perch il caso del Quebc, scelto come caso di studio, non convincente (pp.113-125).5Kymlicka distingue diversi tipi di minoranze e tipi di diritti che ognuna potrebbelegittimamente rivendicare sostenendo che nessuna minoranza che opprima i suoimembri dovrebbe beneficiare di un pubblico riconoscimento.

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    sul modello plurinazionale perseguito dallimpero asburgico (tra il 1848ed il 1918) che impegna gli storici mitteleuropei e statunitensi a cimentar-si in ricerche affascinanti (vedi il progetto Habsburg). Andando oltreoce-ano, va menzionata la discussione, tutta giocata sul piano legale,dellinclusione dei popoli indigeni del continente americano nella Costi-tuzione nazionale dei vari stati, accordando loro uno status di minoranzedi fatto che le avvicina al pensiero di Kymlicka.

    Ma torniamo alle due tendenze ispiratrici: se la seconda -rappresentata daicomunitaristi- ovviamente la fonte del modello pluralista, la prima -rappresentata dai liberali- costituisce il presupposto per il modello assimi-lazionista di matrice francese secondo cui uno stato veramente democra-tico non pu che essere cieco a qualsiasi differenza e considerare tutti icittadini in modo eguale per garantire loro assoluta parit e piena libert(Colombo, 2002: 46). Secondo questo modello la libert, la condizioneche lo stato deve assicurare ai propri cittadini, strettamente associataalleguaglianza, garantita a livello individuale; quindi lo stato non putollerare, n tanto meno favorire, richieste di riconoscimento di diritti col-lettivi e sistemi di trattamento differenziato in base a una qualche formadi appartenenza. Ne consegue che lessere membro di uno stato si fonda

    su una scelta che consiste nellaccettazione delle regole che guidano lavita pubblica, agendo nello spazio pubblico secondo questi principi uni-versali e rinunciando a ogni rivendicazione di specificit. Pertanto il per-corso di inserimento degli immigrati ha come fine la loro piena e totaleaccettazione ad agire nella sfera pubblica secondo le regole valide nel pa-ese ospitante, relegando il mantenimento delle loro specificit allambito

    privato e domestico (Colombo, 2002: 46), unuguaglianza dunque che sirisolve nella piena assimilazione nel paese ospitante. 6

    La critica pi rilevante che viene mossa a questo modello ben rias-sunta da Colombo: la richiesta di piena adesione a ideali universali ma-schera in realt limposizione della volont di uno specifico gruppo do-minante. La piena eguaglianza della vita pubblica, raggiunta secondo

    principi di razionalit e imparzialit, si traduce, nella pratica,nellaccettazione della lingua, della storia e delle tradizioni del paese o-

    6Vedi il testo di Amselle Vers un multiculturalisme franais (1996).

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    spitante, negando legittimit e spazio despressione ad altri tratti culturaliprovenienti da diverse tradizioni e appartenenze (2002: 47).

    Naturalmente le critiche non risparmiano neppure il modello pluralistarilevando in particolare alcuni limiti evidenti. In primis il fatto che pre-figgendosi lobiettivo di proteggere e salvaguardare i gruppi etnici, cultu-rali come si fa con le specie animali in via di estinzione e favorendo ilmantenimento di barriere rigide tra luno e laltro, alcuni inseriscono au-

    tomaticamente lindividuo in uno di tali gruppi in funzionedellascendenza e della filiazione senza tenere conto n delleventuale vo-lont di cambiamento di identit che egli esprime n dei mutamenti effet-tivi che si producono durante il suo percorso sociale. Che si tratti di prati-ca sociale o di ideologia questo tipo di pluralismo equivale ad assegnareallindividuo unappartenenza culturale, imponendogli unidentit dellaquale egli potrebbe volersi disfare. Cos facendo il multiculturalismo diispirazione pluralista pu rinsaldare le barriere tra le comunit culturali oetniche e di fatto allontanarle le une dalle altre impedendo a chi cos vo-glia di lasciare il suo gruppo per aderire al gruppo maggioritario (Co-lombo, 2002: 83)7. In secondo luogo si pu avere il sospetto che le mino-ranze debbano rimanere tali, in modo che il controllo non sfugga agli au-

    toctoni mentre le relazioni di potere vengono occultate nellesaltazionedellequit del criterio invocato per regolare le dispute tra interessi diversie divergenti. Infine, si pu argomentare contro lidea secondo cui ogniindividuo abbia necessariamente bisogno di appartenere ad una sola iden-tit culturale.

    Il modello pluralista di matrice britannica, tuttavia, pu essere visto ancheda angolazioni positive, vale a dire pur consapevoli delle critiche, pos-siamo rilevarne le potenzialit. Innanzitutto a noi interessa lenfasi sul

    principio associazionista come base per una mobilizzazione dei gruppi diminoranza, capace cio di trasformarli da recettori della categorizzazionealtrui a manipolatori di categorie, e dunque non parti di una storia asse-gnata, ma parti di una storia cercata e di ribaltare cos i termini della rela-

    zione con la maggioranza. Perch questo passaggio da associazionismo a

    7Su questo tema vedi anche larticolo di West The New Cultural Politics of Diffe-rence (1990).

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    mobilizzazione avvenga sono necessarie delle premesse. In primis la con-sapevolezza della propria distinzione come espressione di una tradizioneoriginale, tale coscienza detta etnicit. Per Bastenier (1994) questa va in-terpretata come una ricostruzione ideologica di vecchie dispute colonialia cui si rifanno certi gruppi di migranti in modo da giustificare la loro po-sizione di inferiorit e del trattamento improprio che ricevono (p. 54).Dunque una categoria di confinamento sociale, che affiora nei contesti

    post-coloniali moderni e contemporanei, che acquista spessore sollecitata

    da questioni di potere e stratificazione sociale e che diventa terreno peruna riorganizzazione che questiona il ruolo e lo status imposti dalla socie-t di maggioranza. A noi interessa rilevare il fatto che tale etnicit non costituita tanto, o perlomeno non solo, da un substrato originario (lingua,religione, tratti fenotipici) naturale e inalterabile, ma si pone come cate-goria di prassi sociale che si misura nei vantaggi che si ottengononellinvocarla. E qui giungiamo alla seconda premessa: laccento non va

    posto sulla natura delle caratteristiche che danno luogo alla differenzia-zione quanto sulle relazioni sociali che si costruiscono partendo da questecaratteristiche. In altri termini i migranti non costituiscono delle minoran-ze di tipo etnico di per s o per natura, ma diventano tali nelle societdaccoglienza. Infine, una terza premessa: letnicit spesso il risultato

    della tensione fra modernit e tradizione. Se da un lato la modernit vieneassociata alle categorie di discriminazione e confinamento, mentre la tra-dizione, o meglio la tradizione rappresentata dalla selezione e interioriz-zazione di tratti culturali da parte della collettivit di minoranza, asso-ciata con una protezione che d senso alla differenza, non corretto inter-

    pretare letnicit solo in termini di discriminazione e segregazione. Wie-viorka nota come, usando il principio di differenziazione come risorsa,letnicit sia capace di combinare anche elementi provenienti dalla mo-dernit per uscire da un atteggiamento difensivo e costruire senso (1992:27). Non dunque fuori dalla modernit, ma parte di questa e, vorremmoaggiungere, nello stesso tempo, oltre questa. precisamente, come scrivelund, lintreccio dinamico dei vari elementi situati nel repertorio stori-

    co della memoria della tradizione culturale con le esperienze modernedella migrazione (1994: 58) che permette il collegamento fra sistemi disignificazione e di ricostruire una presenza storica collettiva aldil delleforme di esistenza fragmentate e divise della diaspora migratoria (Gilroy,

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    1987); il processo conflittivo nei contronti della tradizione e della suarelazione con la modernit che prelude alla costruzione di unidentitcontemporanea complessa.

    John Rex definisce la mobilizzazione di un gruppo di minoranza su lineeetniche come un processo in cui simboli di vario genere (culturali, reli-giosi, fenotipici) concorrono per marcare i confini fra s stessi e gli altricon il fine di organizzare lazione in senso collettivo, conflittivo (fra

    gruppi o con lapparato statale) ed eminentemente politico (1994: 15) 8.Tuttavia va detto che etnicit e mobilizzazione di una minoranza su lineeetniche non sono variabili automatiche o inevitabili, ma situazionali: pos-sono cio aver luogo in un contesto che ne favorisca la formazione, da noiappunto individuata nel principio associazionistico previsto dal modello

    pluralista britannico. Che non siano inevitabili dimostrato dal fatto chein Francia, per unassenza di sbocchi istituzionali che la permettano, lamobilizzazione nello spazio socio-politico non avvenuta e non avvieneattraverso lutilizzo di strategie etniche. 9Per quanto riguarda la Germa-nia, da tempo in atto un processo di trasformazione dei lavoratori immi-grati in rappresentanti della loro cultura nazionale secondo linee di di-scendenza basate sullo ius sanguinis. Questo processo potuto avvenire

    perch tali lavoratori, integrati nel sistema sociale ma, fino a pochissimotempo fa (Legge sulla cittadinanza del 2000) non ammessi nellarena po-litica, sono stati in parte accolti da organizzazioni del privato sociale(chiese, sindacati) quasi interamente sussidiate da denaro federale, che

    per ragioni pragmatiche hanno deciso di omogeneizzare i nuovi clienti inbase alla lingua. Differenze di lingua sono poi state caricate di una valen-za religiosa che ha collocato lavoratori di matrice cattolica, ortodossa,

    protestante e musulmana in organizzazioni distinte, reintroducendo nellasociet tedesca una differenziazione che i processi combinati di moder-

    8Per una chiarificazione sufficientemente esaustiva del processo di mobilizzazione sulinee etniche in contesto britannico rimando al citato saggio di John Rex del 1994.9Per una discussione in merito vedi il saggio di Vronique de Ruddler, Isabelle Tabo-ada e Franois Vourch (1994).

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    nizzazione e secolarizzazione avevano assottigliato. 10Lascrizione di unadistinzione su base nazionale ha permesso una revitalizzazione della no-zione di germanit, che chiaramente rimasta sopita dopo lultimo con-flitto bellico: se le minoranze avevano unidentit nazionale, perch mainon avrebbero dovuto gli autoctoni, specie dopo la riunificazione, sentirsitedeschi? (Radtke, 1994: 35). Senza entrare nel merito di una discussio-ne che merita altri spazi, a noi interessa rilevare come unidentit di mi-noranza apertamente costruita dallalto, come nel caso tedesco, offra mi-

    nori potenzialit espressive di un modello pluralista come quello di matri-ce britannica.

    Questo modello pu essere visto da unangolazione positiva anche in me-rito alla riflessione sul concetto di cittadinanza. stato notato (Wievior-ka, 1994: 25-27) che le societ contemporanee hanno difficolt a portareavanti un concetto di modernit consistente con gli ideali illuministici eche, nello stesso tempo, le singole soggettivit non trovano uno spaziosoddisfacente in ambito sociale o politico. In particolare in crisi uno sta-to capace di promuovere valori egualitari e di ridistribuzione sociale, unostato che riaffermi aspirazioni universalistiche o dove le relazioni di clas-se, sorte dallindustrializzazione, permangano significative. Manca so-

    prattutto un collante, ovvero una forza capace di tenere insieme tali ideali.11Infatti, quando nella societ ospitante esistono canali che permettono aimigranti unintegrazione, sul piano sociale, economico o politico e la

    possibilit, o la speranza, di una partecipazione attiva nel nuovo contesto,lesperienza di essere cittadini, lavoratori, o consumatori tende a prevale-re su altre definizioni, in particolare su quella etnica. Tuttavia se, per unavariet di ragioni fra cui lincapacit dei sindacati di integrare i migranti

    10Per una discussione su questo imposto processo di ridefinizione in base alla nazionedi provenienza vedi, per esempio, il saggio di Radtke (1994) e il saggio di KammererGermania: un secolo di politica migratoria (2003).11Qui sarebbe necessario aprire una parentesi, che Wieviorka non apre, sulla questio-ne delluniversalit di tali ideali universali. Tale questione andrebbe problematizzataprima di essere assunta e dovrebbe costituire un oggetto di riflessione critica inveceche un presupposto liberato dal contesto.

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    nel mondo del lavoro, 12 la scomposizione che ha investito il processoproduttivo, la segregazione spaziale nel paesaggio urbano, la minacciaavvertita dalla popolazione autoctona nei confronti della diversit o, piin generale, nei confronti del cambiamento in corso, i sovracitati canalisono percepiti come insoddisfacenti, i gruppi tendono a differenziarsilungo altre linee identitarie, fra cui quella delletnicit. Stando cos le co-se, il modello pluralista da noi considerato pu rispondere meglio alle e-sigenze della complessit delle situazioni contemporanee.

    Infine, vogliamo rilevare che il modello pluralista offre maggiori soddi-sfazioni espressive anche alla societ daccoglienza, disposta ad accettaremanifestazioni di tipo artistico (danze, canti, ritmi, dipinti, oggetti), culi-nario o altro, definite sotto il comodo e ambivalente termine di etnico13. In realt questo atteggiamento di accettazione va pi in profondit diuna semplice fruizione estetica o della collocazione in uneconomia dimercato pronta a soddisfare tutti se si genera un utile; risponde, infatti,anche a quel desiderio, mai sopito, di esotico, una curiositasche si illu-de di poter vivere dimensioni altre alle porte di casa e che, se accentuauna distanza o reifica una differenza, non lo fa sempre con il fine implici-

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    Scrive, a questo proposito, il Mezzadra: alla crisi del movimento operaio, che hastoricamente rappresentato un importante vettore di socializzazione conflittuale deilavoratori stranieri nei paesi daccoglienza, fa infatti riscontro una trasformazione del-la natura stessa del lavoro che ne mette in discussione la classica funzione novecente-sca di canale privilegiato di accesso alla cittadinanza e ai diritti. Nel contesto dei po-tenti processi di atomizzazione, parcellizzazione e scomposizione che hanno investitonegli ultimi anni il mondo della produzione, la posizione dei migranti oltremodocontraddittoria: dalla piena valorizzazione economica della clandestinit [] si passaala diffusione di vere e proprie forme di cittadinanza privatistica, in cui il rapporto tralavoratore e imprenditore ricomprende in s e annulla ogni dimensione pubblica,allinterno di piccole imprese spesso a conduzione familiare, che si possono ad esem-pio osservare nei distretti industriali italiani, dal nord-est alle Marche (2001). La pri-vatizzazione del concetto di cittadinanza rilevata dal Mezzadra, ossia un diritto di cit-tadinanza a contrattazione privata, dipendente cio dalla relazione fra il datore di lavo-ro e il migrante, risulta in contrasto con lestensione del concetto di cittadinanza, e-spresso dal dibattito sul diritto di voto ai migranti, che costituisce una delle tematicheeuropee pi interessanti.13Questo tipo di accettazione spesso definita come multiculturalismo soft (vedi peresempio Martiniello, 2000: 62-65).

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    to di separare, dominare, relegare, ma per soddisfare unesigenza dellospirito. una curiosit che, sottolinea Marazzi, si nutre dellinedito,dellignoto, di quanto diverso dallesperienza pi familiare ed quindisorprendente, diverso; provocando interrogativi, influenzando nuovicomportamenti e suscitando godimento per le scoperte (2001: 5). Sullascia dellesotismo di Segalen (1978) e in parte di Affergan (1991), lesperienza di qualcosa di estraneo che ci attrae, un incontro non me-diato con lalterit, un canale attraverso cui dilatare i confini della cultu-

    ra di appartenenza.Se abbiamo dato spazio al modello pluralista di matrice britannica e a

    quelli che, a nostro parere, sono i pilastri su cui improntato e cio sulprincipio associazionistico e sullequilibrio della tripla cittadinanza po-litica, sociale e culturale perch costituisce una premessa alle conside-razioni che seguono e contemporaneamente un punto di riferimento con-tro cui interpretarle. Innanzitutto ci spinge alla domanda: nellItalia di og-gi, nei confronti dello straniero immigrato, esiste un modello? Ovvero e-siste un modo italiano di rapportarsi alla differenza su cui questo progettoSocrates si innesta? E ancora: progetti come questo riescono a innescareun processo virtuoso nella realt locale in cui si trovano a operare e, inultima analisi, aiutano a sviluppare un modello autoctono? Azzarderemo

    unipotesi: che la societ italiana abbia delegato ai testi legislativi il com-pito di costruire la relazione con la differenza e che, nella pratica quoti-diana, abbia agito di conseguenza. Lipotesi non peregrina, ma trova ri-scontri precisi. La cosiddetta legge Martelli (Legge 39/90), che vedeva glistranieri immigrati ancora in unottica di emergenza, ha introdotto il ter-mine extracomunitario per riferirsi allo straniero al di fuori dei confinidella Comunit (oggi Unione) europea. Il termine, uscito dallambito giu-ridico-amministrativo, stato adottato dai mass-media e dal cittadino

    prima per sottolineare una provenienza e poi (quasi subito, anche se dif-ficile cogliere il momento esatto in cui questo passaggio da termine aconcetto avvenuto) per sottolineare una distanza che era soprattutto diordine materiale: lextracomunitario era il povero, anzi colui che emigra-

    va perch povero. Limmagine utilizzata aveva il potere di evocare im-mediatamente questa dimensione, lasciando poi a ciascuno decidere suquali basi impostare la relazione (pietismo, condiscendenza, fastidio,

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    sempre meno indifferenza); ma aveva anche il difetto di condizionare ilrapporto con la differenza, spesso di inficiarlo.

    La Legge sullimmigrazione del 199814correva su un doppio binario:da un lato era garantista, dallaltro separatista. Infatti, parte del testo si

    preoccupava di garantire agli stranieri immigrati con un lavoro dipenden-te parit di trattamento con i lavoratori italiani, 15un pari accesso ai servi-zi sanitari, la possibilit di ottenere la carta di soggiorno 16 e, pi ingenerale, riconosceva allo straniero regolarmente soggiornante in Italia

    gli stessi diritti civili attribuiti al cittadino italiano (articolo 2).Contemporaneamente, unaltra parte del testo tracciava un confine nettotra stranieri regolarmente soggiornanti e stranieri comunquesoggiornanti, (artic olo 2) cio tra regolari e irregolari o clandestini. Isecondi, sottratti ai diritti civili, vale a dire alle garanzie giuridicheordinarie, erano invece affidati alla discrezione degli organi di polizia chesi sarebbero occupati di tutelare i diritti fondamentali della personaumana. Non nostra intenzione soffermarci sulla ricaduta pratica diquesta distinzione giuridica per quanto riguarda, per esempio, il capitolodelle espulsioni 17, ma ci interessa invece sottolineare la ricaduta14Legge 40/98 Discipline dellimmigrazione e norme sulla condizione dello stranieroc. d. Turco-Napolitano (successivamente assunta dal DL 286/98 chiamato Testo Uni-

    co).15 In realt la parit di trattamento lavorativo era garantita prima della LeggesullImmigrazione del 98.16 La carta di soggiorno intendeva liberare limmigrato regolare da una periodica ne-cessit di rinnovo del permesso di soggiorno, dal quale dipendeva la sua continuitlavorativa, e nel contempo alleggerire il lavoro delle Questure, organi preposti al rin-novo dei permessi. La Legge (art. 9) concedeva la carta di soggiorno agli immigratiregolarmente in Italia da almeno cinque anni, ma una Circolare, emessa successiva-mente dal ministro Bianco, aggiungeva ai cinque anni di permanenza regolare la clau-sola di cinque anni di lavoro consecutivo, clausola che vanificava la norma. Per que-stioni normative collegate alla Legge 40/98 vedi Martellone 2000.17Per una discussione in merito, in particolare per quanto concerne gli articoli dedica-ti alle espulsioni, vedi il testo di Dal Lago, Non Persone, in particolare le pp. 37-42.Va inoltre rilevato, come sottolinea lo stesso Dal Lago, che la legge italiana non era

    certo la sola ad attuare una discriminazione in tal senso: ne sono testimonianza, nelcorso degli anni novanta, i provvedimenti da parte del governo francese nei confrontidei clandestini, i sans papier, (legge del 1998 sotto il governo di Jospin) e i provve-dimenti del governo tedesco nei confronti dei migranti clandestini provenienti dallestEuropa. Il tutto va visto in unottica generalizzata di chiusura delle frontiere UE ai

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    invece sottolineare la ricaduta dimmagine che si avuta partendo daquesta differenziazione: non solo il clandestino viene criminalizzato, maogni migrante in quanto potenzialmente clandestino viene guardato consospetto, ostilit, timore; in altre parole si assume una presunzione di col-

    pevolezza finch non si ha la prova della sua innocenza. Si insinua dun-que nella quotidianit lequazione migrante-criminale o, come osservaDal Lago lequiparazione del migrante al nemico (1999: 45). Per am-missione dello stesso Ministro per la Solidariet Sociale, che in quegli

    anni era stata co-promotrice del testo legge in questione 18, laccento dellaLegge 98 era ricaduto sul binario relativo allesclusione dei migranti(perch clandestini e dunque privi del permesso di soggiorno o perchconsiderati socialmente pericolosi in base a comportamenti sospetti o per-ch denunciati per qualche reato19) e non su quello dellinclusione dei

    migranti e di pressione sui paesi meridionali della UE, tra i quali appunto lItalia, perladozione di misure restrittive alle frontiere. Vedi anche Dal Lago 1998.18 Lammissione stata ribadita dallex-Ministro alle Politiche Sociali, Livia Turco,anche nel corso di una giornata di studio promossa da FIERI (Forum Internazionale edEuropeo di Ricerche sullImmigrazione). Si dunque chiesta la Turco: quali sonostati i problemi che hanno reso molto faticosa la gestione della legge e che hanno con-sentito un risultato nellapplicazione della legge per quanto mi riguarda paradossale, e

    cio che la legge che stata definita come la legge delle sanatorie, la legge a maglielarghe, stata invece la legge pi severa nei confronti del contrasto dellimmigrazioneclandestina e meno generosa dal punto di vista dei diritti degli immigrati rispetto aquello che la legge voleva essere? []. Il bilancio della gestione della legge, questo inequivocabile, mette in risalto come la legge stata applicata e ha ottenuto risultatisignificativi dal punto di vista del contrasto dellimmigrazione clandestina, ha ottenu-to risultati meno significativi, almeno dal mio punto di vista, che lho voluta comelegge dei diritti degli immigrati, proprio per quanto riguarda i diritti degli immigrati.Perch questo scarto? (Vedi La riforma Bossi-Fini: un confronto con il passato elEuropa, Milano, 17 dicembre 2002). Alla domanda possiamo parzialmente rispon-dere in questi termini: c stata una non concertazione sullinterpretazione della leggeche, nella prassi, ha a volte vanificato lo spirito della legge. Chiaro lesempio dellacarta di soggiorno riportato nella nota 14.Daltro canto, dopo lintroduzione della Legge Bossi-Fini, per il conseguimento della

    carta di soggiorno potrebbe prospettarsi ancora un futuro difficile: infatti la trasforma-zione in atto verso un precariato lavorativo pu non offrire sufficienti garanzie per unacarta di soggiorno.19Scrive a proposito Dal Lago: Questi soggetti [] sono espellibili in quanto a essisi applica larticolo 1 della legge 1423/1956 (Misure di prevenzione nei confronti del-

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    migranti, che pure era presente nel testo della Legge, - e che era inizial-mente lo spirito che laveva animata - come lavoratori, genitori, consuma-tori e quantaltro. Questo accento viene prontamente recepito dal settoregiornalistico, dagli opinionisti, dai mass-media in genere, viene puntual-mente ripreso dalla classe politica e altrettanto puntualmente scaricato sulcittadino comune. Ora, se fosse esistita una politica nei riguardi della dif-

    le persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralit) che definisce chi debba

    essere considerato socialmente pericoloso []. Qui importante notare che questae altre norme (come gli articoli 203 e successivi del Codice penale) autorizzano misu-re di restrizione della libert personale (e, nel caso degli stranieri, di detenzione pre-ventiva nei campi in vista dellespulsione) per soggetti contro i quali non esista de-nuncia e tantomeno condanna per qualche reato, ma notizia di pericolosit, in base aelementi di fatto relativi a comportamenti, condotta e tenore di vita che faccia-no pensare ad attivit delittuose, che offendano lintegrit morale dei minorenni ola tranquillit pubblica. Se applicate agli stranieri queste norme consentono di e-spellere, su proposta delle autorit di pubblica sicurezza, un ambulante abusivo chevende oggetti su una spiaggia, un immigrato ubriaco oppure un albanese che esibisceper il suo tenore di vita indizi di qualche delittuosit. Queste norme che non sonopi applicate agli italiani, fanno degli stranieri dei soggetti pericolosi in base a valuta-zioni del tutto arbitrarie e discrezionali (1999: 40).

    Potrebbe risultare interessante confrontare questa norma con landamento dellatteg-

    giamento degli italiani nei confronti dei migranti stranieri nel corso dellultima deca-de. A questo proposito vedi Melotti 1992; IRES Piemonte 1992, 1994 e 1995 e il son-daggio Demos-Eurisko per La Repubblica, 25 ottobre 2003. Inoltre consultabile ilsito www.immagineimmigratitalia.it. Per tutta la decade del novanta la rappresenta-zione sociale degli immigrati da parte del cittadino comune si orienta verso due visio-ni apparentemente polarizzate. La prima a polarit negativa e si basa sul sentito diree su continue notizie sensazionalistiche dei mass media riguardanti episodi di crimina-lit. La seconda, a polarit positiva, vede limmigrato come funzionale: al lavoro e auna societ con un numero di anziani sempre maggiore. In questa duplice rappresen-tazione sociale la figura dellimmigrato coincide con un bisogno economico o con unpericolo reale o potenziale. Ma, come sottolinea Jabbar (2002), le due visioni non so-no necessariamente polarizzate almeno per due motivi: entrambe vedono limmigratocome un estraneo sul piano sociale e dunque quasi assente in termini di visibilit pub-blica ed entrambe si limitano alla situazione contingente che non vuole o non pu ave-

    re una visione pi ampia e dunque non questiona il modello prevalente di sviluppo.Come viene chiarito nelle pagine di questo mio lavoro, queste due visioni convergonoin politiche di contenimento del rischio o in politiche di integrazione lavorativa. Inentrambi i casi si tratta di politiche rassicurative nei confronti dellopinione pubblica,ma non di politiche propositive, capaci cio di immaginare la societ di domani.

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    ferenza non confinata al dibattito giuridico, e dunque situata aldil dellecontingenze che lanimavano, e fossero stati attivati spazi istituzionalidove questa trovasse voce, sarebbe stato forse possibile che laccento ri-cadesse anche sullaltro binario, quello relativo allinclusione dei migran-ti, venendo a bilanciare unimmagine pubblica che recepiva una visioneunidimensionale della differenza.

    Nonostante limmagine negativa che rimbalzava dai media alla gentee dalla gente alla classe politica, del lavoro dei migranti cera bisogno:

    anche in questa luce va visto il progressivo aumento dei visti di ingressodal 1998 al 2001, ossia degli anni che si succedono alla Legge 98, 20ed

    proprio questaumento del flusso che irrigidisce le posizioni del nuovogoverno di centro-destra, subentrato al governo di centro-sinistra fautoredella Legge 98. Cos, ancora prima di aver dato la possibilit alla leggedel 98 di esprimersi nella sua interezza21, prende corpo un nuovo disegnolegge, che diventer la Legge 189/2002 cos detta Bossi-Fini22, nel qualeviene proposta unaltra immagine unidimensionale del migrante: quelladel lavoratore temporaneo. Una lettura del testo (ovvero delle aggiunte ecorrezioni apportate al testo del 98) palesa lintenzione di includere ilmigrante (anche se provvisoriamente) nel mondo del lavoro, ma di esclu-derlo, o perlomeno di non preoccuparsi di integrarlo e infatti la parola

    integrazione o suoi sinonimi non appaiono nel testo - nella societ nel suoinsieme. E questo perch il migrante ha la sua ragion dessere nel paeseospite solo in qualit di lavoratore e se questa condizione viene meno, de-cade automaticamente il suo diritto alla permanenza. Il diritto verr allo-ra, in teoria, concesso a un altro lavoratore capace di procurarsi il posto23.

    20Per lesattezza: 58. 000 visti dingresso nel 1998 e altrettanti nel 1999; 63. 000 nel2000 e 83. 000 nel 2001. A questi vanno aggiunti i visti di ricongiungimento famiglia-re nellordine di circa 55. 000 per anno.21 Limplementazione di alcune parti della Legge 40/98 avvenuta il 31 agosto 99ossia un anno e mezzo dopo la sua uscita (6 marzo '98).22Per comprendere il contesto politico che ha portato allapprovazione della Bossi-

    Fini vedi, per esempio, il testo curato da Sciortino e Colombo.23Lintenzione evidente nella sostituzione del permesso di soggiorno con il contrat-to di soggiorno, il che equivale a legare il permesso di soggiornare a un contratto dilavoro. Inoltre la durata del permesso per lavoro subordinato a tempo indeterminato limitato a due anni (a un anno per il tempo determinato) e scompaiono altre forme di

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    Il modello proposto dal nuovo testo del 2002 stato accostato al modellodel Gastarbeiter, il lavoratore ospite della Germania postbellica che Co-lombo definisce il modello dellistituzionalizzazione della precariet. In-negabilmente fra i due modelli vi sono delle corrispondenze ideali in quan-to entrambi propongono e pretendono di ridurre luomo al lavoratore. Tut-tavia le differenze fra i due modelli sono altrettanto eclatanti: il Gastarbei-terva situato in un processo industriale in espansione, che trova il suo e-quivalente francese, per esempio, nel metalmeccanico della Renault; va

    situato in uno stato-nazione che in grado di bilanciare le sue spinte sepa-ratiste (come nel caso della Germania) o assimilatorie (come la Francia)con ammortizzatori sociali chiari; infine, in uno stato-nazione che ha in-staurato rapporti bilaterali costanti con i paesi fornitori di manodope-ra24. Senza contare che oggi il modello del Gastarbeiter superato, o

    perlomeno in fase di superamento, con la Legge sulla cittadinanza del2000 che introduce, in un cambio epocale di prospettiva, altre forme diinclusione nella societ tedesca oltre a quelle basate sullo ius sanguinis,ossia il diritto di appartenenza che viene da una discendenzadi sangue. 25

    accesso legale al paese, come per esempio il visto per ricerca di lavoro e la figura del-lo sponsor (vedi art. 5).

    24 Di particolare interesse laccordo del governo tedesco con il governo turco: aquestultimo stava bene la limitata ingerenza della Germania sul piano politico e cul-turale nei confronti dei suoi cittadini allestero in modo da continuare ad esercitare suquesti uninfluenza sul piano religioso ed elettorale. Consulta il testo di Valrie Ami-raux 2001.25Dal 1 gennaio 2000 i bambini nati in Germania da entrambi i genitori stranieri ac-quisiscono automaticamente la cittadinanza tedesca se almeno uno dei genitori risiedelegalmente nel paese da otto anni e possiede un permesso di soggiorno a durata illimi-tata o ne ha posseduto uno a durata illimitata da tre anni. I bambini che hanno acquisi-to la cittadinanza tedesca sulla base del principio dello ius soli saranno tenuti a sce-gliere fra la cittadinanza tedesca e quella dei loro genitori al compimento del diciotte-simo anno di et. Se opteranno per quella tedesca dovranno rinunciare a quella stra-niera. Lintroduzione dello ius soliin Germania ha messo fine a unepoca in cui gene-razioni di persone erano trattate come straniere per quanto riguarda il loro status lega-

    le anche se costituivano da tempo parte integrante della societ tedesca. Qualche datopu risultare indicativo: a fine 2000 il numero di persone con cittadinanza stranieraera di 7. 3 milioni il 64% dei quali risiedevano in Germania da pi di 8 anni, il 48%pi di 10 anni e il 32 % pi di 20 anni. Oltre i due terzi di bambini e di giovani stra-nieri erano nati in Germania (vedi Independent Commission on Migration to Ger-

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    La Legge Bossi-Fini26 invece appare pi lespressione del modello eco-nomico del Nordest, caratterizzato dalla piccola impresa ancora in fasedespansione, 27che rappresentativa di un quadro nazionale; inoltre non

    many, Structuring Immigration-Fostering Integration, luglio 2001). Per un quadrodettagliato della situazione contemporanea vedi La normativa della Germania verso

    gli immigrati cittadini di paesi terzi non appartenenti alla UE in Progetto Equal e Re-gione Piemonte, 2004.26 Per una valutazione ad ampie volute della Legge Bossi-Fini a oltre un anno dallasua applicazione e per quanto riguarda il panorama veneto vedi la rivista Cittadini(settembre 2003 n. 36). In particolare sul tema delle sanzioni vedi il contributo diMarco Paggi, avvocato, che lamenta un eccessivo investimento della spesa pubblica inpolitiche di esclusione anzich di integrazione; sul lavoro vedi il contributo di France-sco Borga, direttore della Federazione regionale degli industriali del Veneto, che vedela legge come insufficiente per quanto riguarda le quote dingresso ed eccessivamenteburocratica, anche se le assunzioni procedono. Stefano Cecconi, segretario regionaledella CGIL, sostiene che non vi contraddizione fra lalta richiesta di immigrati daparte delle imprese e le politiche restrittive messe in atto dalla Legge in quanto normepi rigide servono per utilizzare i migranti come manodopera a basso costo pi flessi-bile e pi ricattabile. Camis Dagui, presidente del CISM Veneto, sostiene che la Leg-

    ge sembra rifiutare lidea stessa di immigrazione volendo mettere un muro fra immi-grati e autoctoni, quasi rassicurando questi ultimi che gli immigrati sono sotto strettocontrollo e soggiornanti solo per il periodo per il quale il loro lavoro sar ritenuto uti-le. Sul fabbisogno del sistema economico veneto vedi anche Pedron (2002). Pi ingenerale, la Zanfrini nota lipocrisia di fondo di un assetto normativo, certo non limi-tato alla Bossi-Fini, che preferisce circoscrivere la possibilit dingresso per motividi lavoro a categorie molto limitate, salvo poi utilizzare altri canali dal ricongiungi-mento famigliare al rifugio politico, alla stessa immigrazione clandestina- per garanti-re lapprovvigionamento di manodopera a buon mercato a fronte di un fabbisogno chesi riproduce costantemente e che lofferta locale non quasi mai disponibile a soddi-sfare (2003: 233). Per quanto riguarda settori specifici vedi lapprofondimento pro-posto da Santone sullintegrazione dei minori stranieri (2002). A livello pratico, pos-siamo aggiungere che a Roma, a un anno circa dalla sanatoria, sono 100.000 i permes-si di soggiorno in attesa di rinnovo, il che significa un immigrato regolare su tre. Se vero quanto dice la Legge e cio che il permesso di soggiorno ottenuto dopo la sanato-ria deve rispettare lo spirito in base al quale stato concesso, questo si traduce in pra-tica nellimpossibilit di cambiare il lavoro di tipo subordinato in lavoro autonomo oper motivi di famiglia.27Perlomeno lo era al momento dellapprovazione della Legge.

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    accompagnata da politiche nel settore sociale capaci di giustificarla e dar-le spessore. 28

    Sempre rimanendo in ambito legislativo, la Zincone e Di Gregorio(2002) ampliano questa visione sintetica dei vari testi legislativi da noitradotta in immagini e sostengono che, indipendentemente dalla maggio-ranza al governo e dalla sua particolare posizione nei confronti dei mi-granti, ogni testo legislativo su tematiche migratorie (con relative imple-mentazioni) si dibatte tra quattro posizioni ben delineate: solidaria, fun-

    zionalista, legalitaria e identitaria. La prima intende ampliare i diritti deimigranti e proteggere le fascie pi deboli (indocumentati, minori, vittimedi tratta); la seconda ha il fine di regolare il flusso dei migranti solo in ba-se allofferta di lavoro; la terza vuole soprattutto respingere i migranti il-28Pu essere interessante una comparazione con la legislazione spagnola e tanto piin quanto questo progetto Socrates ha come partner la Spagna- in particolare per quan-to riguarda i capitoli relativi ai percorsi che spingono gli stranieri a entrare e permane-re nel Paese in una situazione di regolarit. Lanno 2000 potrebbe essere definito, perla Spagna, come lanno delle politiche migratorie: infatti due leggi si sono succedute adistanza di pochi mesi luna dallaltra: la Legge 4/2000 e la legge di riforma 8/2000che ha modificato in alcuni punti il testo precedente. La Legge 4/2000 stato il primotesto normativo attinente agli stranieri residenti (in quanto la Legge 7/1985 era volta a

    riconoscere uno status privilegiato ai cittadini latino-americani) e presentava un tagliodecisamente innovativo nel contesto europeo: garantiva allo straniero, capace di di-mostrare la sua permanenza in Spagna da almeno cinque anni, la possibilit di regola-rizzare la propria situazione e dava la possibilit di convertire il permesso di turismoin permesso di soggiorno nel caso che lo straniero fosse nel frattempo riuscito a trova-re unoccupazione. La Legge 8/2000, al contrario, voluta dal primo ministro Aznar inlinea con il rigore degli accordi di Schengen, si caratterizza per elementi fortementereazionari e limitanti nei confronti delle libert degli stranieri in posizione di irregola-rit. (Vedi la Ley organica 4/2000 de 11 de enero sobre derechos y libertades deextranjeros en Espana y su integracin social, en su redaccin dada por la Ley

    organica 8/2000 de 22 de diciembre , il commento nellarticolo di Perotti Politicamigratoria espaola en el marco europeo (2001) e lanalisi di Garofalo La LeyOrgnica 4/2000, de Extranjera(2003). Segnaliamo inoltre che il 22 dicembre 2003 entrata in vigore la Ley Orgnica 14/2003 di riforma alla Legge 4/2000 modificatadalla Legge 8/2000.

    Va sempre tenuto presente che ogni maggioranza al governo in ogni paesedellUnione Europea, al momento di legiferare, deve tener conto degli accordi diSchengen basati sui flussi. A questo proposito vedi, per esempio, Sciortino 1999 e2000.

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    legali e reprimere il crimine; infine lultima guarda favorevolmentelentrata di migranti che presentino delle somiglianze con la societdaccoglienza o perch figli o nipoti di oriundi italiani, come nel casodellArgentina, o perch dello stesso credo religioso. Ciascuna delle quat-tro posizioni presenta limiti evidenti: la posizione identitaria presupponeuninclusione basata su tratti considerati oggettivi; la legalitaria equiparail migrante divenuto irregolare a un criminale; la funzionalista alimentauna percezione di insicurezza da parte dei migranti; infine la solidaria pu

    causare una reazione di rifiuto da parte della societ daccoglienza. Cia-scuna di tali posizioni , secondo linterpretazione della Zincone e di DiGregorio, portata avanti da una coalizione di attori sociali, che vanno divolta in volta identificati, 29 i quali esercitano pressioni politiche perch itesti legislativi adottino una posizione piuttosto che unaltra, mitighino la

    posizione presa o la correggano. Cos, per chiarire, al momento della-pprovazione della Legge 40/98, la situazione, rispetto alle quattro posi-zioni citate, si presentava in questi termini: da un lato stavano la coalizio-ne solidaria, espressione di associazioni cattoliche e laiche e la posizionefunzionalista appoggiata dal mondo degli affari; dallaltro la posizionelegalitaria, appoggiata dai partiti di destra e a sua volta influenzatadallopinione pubblica e i gruppi che rappresentavano la posizione identi-

    taria, fra i quali soprattutto la Lega Nord, che dichiaravano di salvaguar-dare identit regionali minacciate dai migranti. 30 Nellelaborazione dellaLegge 40, il governo di centro-sinistra stato inizialmente influenzatodalla coalizione solidaria; ha poi adottato disposizioni di tipo legalitario

    per le pressioni esercitate dal trattato di Schengen e da posizioni politichee dellelettorato che premevano per la sicurezza; infine ha agito comemediatore tra le differenti posizioni includendo anche quella funzionalistache chiedeva unapertura dei flussi di migranti legali e quella identitaria

    29Per dare unidea che cosa debba intendersi per advocacy coalitiongli autori portanolesempio della casuale convergenza di interessi nel chiedere un aumento delle quoterelative ai flussi di migranti fra le imprese bisognose di manodopera e le associazionicattoliche. Per un approfondimento delpolicy makingvedi Sabatier 1993 e 1999.30 il caso di ricordare che per quanto riguarda il Veneto, la regione che a noi interes-sa, la problematica dellidentit veneta particolarmente sentita: esiste un assessoratoallidentit veneta e leggi regionali che facilitano i rientri in Italia dei veneti e dei di-scendenti dei veneti. Su questioni di identit regionale vedi Marangon 2003.

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    che, al contrario, voleva il blocco dei flussi non opponendosi a un tratta-mento preferenziale per i migranti discendenti di italiani. 31

    Allo stesso modo, le posizioni legalitaria (con pesanti multe per datoridi lavoro con lavoratori non in regola, un rafforzamento delle misure diespulsione e di controllo alle frontiere), funzionalista (il permesso di sog-giornare in Italia vincolato allesistenza di un contratto di lavoro) e identi-taria (con lideale di un lavoratore immigrato temporaneo, dunque noncapace di modificare le identit locali) hanno animato le modifiche e ag-

    giunte che hanno dato luogo allattuale Legge 189/02 del governo Berlu-sconi di centro-destra. Tuttavia la posizione funzionalista si successi-vamente ampliata e unita agli interessi della posizione solidaria ottenendola regolarizzazione di lavoratrici e lavoratori gi nel paese; e infine misu-re nettamente solidarie sono state riammesse nel nuovo testo Legge (vedigli articoli 18, 32) 32. Per la Legge attualmente in vigore dunque esclu-sivamente sul piano del lavoro che si giocano le due variabili di inclusio-ne ed esclusione dei migranti.

    Ritorniamo allipotesi di partenza, secondo la quale la societ italiana hadelegato ai testi legislativi il compito di costruire il rapporto con la diffe-renza. Naturalmente prendiamo atto che ogni testo legislativo frutto di

    un processo politico scomponibile in varie fasi: una fase di spinta che par-te da carenze della legislazione precedente e che viene alimentata da atto-ri della societ civile (associazioni, sindacati, coalizioni, pressionidallUnione Europea); una fase di formulazione; una fase di approvazionee infine una fase di implementazione. Dunque, soprattutto nella prima fa-se il testo permeabile agli inputsricevuti e addirittura pu essere consi-derato espressione di un comune sentire con il quale viene a identificarsi

    parte dellelettorato. Riteniamo tuttavia che, una volta approvato, una sola

    31 A questo proposito vedi la tesi sullo scontro di civilt portata avanti da Sartori(2000) che riprende la pi nota argomentazione del politologo Huntington (1996) se-condo cui le distinzioni pi rilevanti fra i popoli, dopo la caduta del muro di Berlino,non sono ideologiche, bens culturali. Nello scenario dipinto da Huntington previstouno scontro tra lOccidente e lIslam.32 Vedi il commento del gi citato lavoro della Zincone e Di Gregorio (2002), moltointeressante per la ricostruzione del processo politico di elaborazione dei testi leggesullimmigrazione.

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    chiave di lettura del testo legge venga trasmessa al pubblico, riducendo esemplificando lo spirito che lha animato in unimmagine dominante chelaccompagner durante il suo periodo di validit. In questo modo il testocristallizzer unimmagine senza essere riuscito a suggerire nuovi respiri.Accettando questa immagine calata dallalto, lItalia ammette di non ave-re una cultura della differenza e di accettare di impigliarsi in quel giocoambiguo dove il livello legislativo si nutre di luoghi comuni per poiriammetterli, cristallizzati, nella quotidianit. In secondo luogo, il rappor-

    to con la differenza non pu essere ridotto allambito giuridico, schiaccia-to in una sola dimensione. invece necessario avere una visione sulla so-ciet di domani e decidere verso quale modello multiculturale orientarsi:verso il modello dellesclusione nella sua versione isolazionista che e-margina le culture altre dal proprio sistema di relazioni in quanto le ritie-ne fonte di allarme e incertezza o nella sua versione differenzialista chesostiene di voler mantenere e proteggere le differenze, ma in realt vuolecompartimenti dove non ci si possa muovere liberamente. 33Oppure versoun modello che propone lincontro fra identit diverse alla ricerca di undenominatore comune che permetta la comunicazione. 34La distinzionefra queste visioni sostanziale perch lultima implica lealt che acco-munano. La sfida dunque, nella realt contemporanea, per autoctoni e

    nuovi venuti, la ricerca e lindividuazione di queste lealt comuni.

    Una delle due variabili sulle quali si incentrato il progetto Socrates stata il lavoro; quale dunque il quadro che si presentato nella RegioneVeneto, di cui Padova fa parte, al momento del progetto Socrates?

    33Mi pare opportuno un richiamo a Verena Stolcke (1995) che chiama questo modellofondamentalismo culturale in quanto presenta delle caratteristiche precise: le culture,di cui gli esseri umani sono portatori, sono distinte; i rapporti fra culture differentisono conflittuali; la natura umana di per s sospettosa della differenza. Questo mo-dello che la Stolcke, sulla linea di Martiniello (1995 [1993]), identifica e critica so-stiene un relativismo culturale estremo come base della teoria dellesclusione.34 Viene in mente Latouche (1992) che vede nella comunicazione la costruzione di

    uno spazio comune possibile. Ma se ovvio che tale possibilit comunicativa ci vienedata in quanto specie, altrettanto ovvio che sta a noi decidere i contenuti e dunqueattivare o meno tale possibilit. Secondo Latouche perch il confronto comunicativoavvenga necessario fare delle concessioni da entrambe le parti, in altre parole riem-pire di contenuti il desiderio comunicativo.

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    Gli spazi aperti al lavoro migrante appaiono prevalentemente due: lafabbrica per gli uomini35, i servizi alle persone, vale a dire il servizio do-mestico e di assistenza agli anziani, per le donne36. Il fenomeno del servi-35 Con questo termine intendiamo la fabbrica nelle sue dimensioni medio-piccole eincludiamo lattivit nel settore metalmeccanico (saldatori e tornitori), nel settore e-strattivo (cave), limpiego nelle concerie, nelle aziende manifatturiere (moda e legno),nel settore agroalimentare e limpiego in piccole imprese di carattere artigianale.36

    Questa una semplificazione di carattere quantitativo e come tale presenta dei limi-ti: di fatto ci sono uomini impiegati anche nel settore alberghiero, nel commercio e neiservizi alle imprese (quasi un quarto del totale), e in misura minore nei settori dellecostruzioni e nel settore agricolo; ci sono donne che lavorano in fabbrica (nel padova-no in pollerie, in industrie manifatturiere e addirittura nel settore metalmeccanico).Per quanto riguarda una visione complessiva delloccupazione nel Veneto vedi Ana-stasia (1998), Anastasia e Bragato (1998), Lavoratori extracomunitari nel Veneto(2001) curato da Veneto Lavoro Osservatorio e Ricerche e Il mercato del lavoro nelVeneto (2001) curato dalla Regione Veneto e Baronio e Carbone (2002). Possiamoinoltre fornire i dati della ricerca curata da Anastasia e altri (2001): a fine 2000 la sti-ma di forza lavoro non UE era di 95. 000 unit, di cui 80. 000 occupati e 15. 000 i-scritti al collocamento. Lammontare di forze di lavoro non UE utilizzate nel corsodello stesso 2000 stimato in 112. 000 unit, di cui 104. 000 occupati per periodi pio meno lunghi e 8000 iscritti al collocamento che non hanno mai lavorato. Dal 1994al 2000 gli ingaggi dei lavoratori immigrati si sono moltiplicati per sette e nel 2000hanno costituito il 13% dei neoassunti (con una cifra pari al 30% nei comuni di Arzi-gnano e Bovolone e di oltre il 20% per Castelfranco, Montebelluna, Oderzo, Pieve diSoligo, Lonigo, Schio, Thiene e la citt di Vicenza). Nel corso del 2001 le assunzioninon UE hanno superato le 70. 000 unit con unincidenza delle assunzioni totali parial 14, 5 %. Questo dato inferiore solo ai dati delle regioni Trentino-Alto Adige eFriuli-Venezia Giulia, a riprova che le tre regioni che costituiscono il Nordest sono alvertice della graduatoria nazionale. Mediamente il tasso di occupazione di immigratinon UE pari al 49%, dunque perfino superiore a quello della popolazione locale. Cper una pronunciata differenziazione territoriale: si va infatti da tassi di occupazionedell80% nella cosiddetta area Pedemontana (Arzignano, Conegliano, Cittadella) aquote sul 30% nella bassa veneta. Pure accentuata la differenziazione del tasso dioccupazione per paese di provenienza: dal 99% del Bangladesh ad oltre il 60% perSenegal, India e Polonia (che, va comunque rilevato, non sono paesi di provenienzamaggioritari nel Veneto), al 40% per Somalia, Filippine e Sri Lanka. Infine, va rileva-

    to ancora il legame fra demografia ed economia: le presenze di immigrati sono con-centrate infatti nei principali distretti produttivi e in citt come Vicenza, Verona eTreviso. Per avere unidea, nel 2001 le richieste di assunzioni di cittadini non UE pre-sentate alle Direzioni provinciali del Lavoro sono state 22. 000; fra queste sono state15. 000 le domande delle imprese a tempo indeterminato, ma sono state rilasciate au-

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    zio alle persone, che fino dallinizio degli anni novanta era diffuso neigrossi centri quali Roma e Milano, ha cominciato a diffondersi capillar-mente sul territorio italiano e a presentare delle caratteristiche peculiari:innanzi tutto la provenienza prevalente delle donne migranti specifica perogni citt (a Roma, per esempio, le capoverdiane e le filippine; a Milanole peruviane; a Genova e a Bergamo le ecuatoriane; a Padova le filippine,

    poi le croate e, oggi con sempre maggior frequenza le moldave). Questadiffusione crescente della collaboratrice domestica ha avuto ricadute im-

    portanti: se la donna di servizio, anche a ore, era fino a poco tempo fauna categoria in via destinzione e in ogni modo appannaggio di poche

    persone, oggi un numero crescente di famiglie, essendoci la domanda, nerichiede il servizio (nelle varie formule a tempo pieno, parziale o a ore). 37Altrettanto importante la ricaduta nel settore dellassistenza: dal momentoche il numero delle persone anziane, spesso non autosufficienti, in au-mento e spesso non trova corrispondenza con quanto offerto dal servizio

    pubblico prevedibile che il bisogno rimanga costante negli anni a veni-re. 38 In entrambi i casi stata comunque lofferta a determinare la do-

    torizzazioni solo per 3000 assunzioni. Per il 2002, sempre nel Veneto, il fabbisognoda parte delle imprese stato calcolato in 17. 000 lavoratori a tempo indeterminato e

    7. 000 stagionali.Gallo (1999) sottolinea limportanza che il fenomeno migratorio ha avuto e continuaad avere nello sviluppo economico della regione Veneto, garantendo la disponibilitdi manodopera aggiuntiva ad uneconomia in crescita che rende possibile un processodi sostituzione della manodopera locale, specialmente nei lavori meno qualificati (ve-di Anastasia e Bragato 1998). Rotondi si spinge oltre e afferma di quanto sia necessa-ria: unonesta riflessione che tenga conto delle responsabilit di quelle imprese cheoperano ben oltre i limiti del legale ricorrendo al sommerso e per restare competitivein un mercato sempre pi aggressivo gli giocoforza utilizzare manodopera irregola-re, per nulla sindacalizzata e quindi ricattabile, licenziabile e soprattutto a basso co-sto ( 2002: 387). Di Rotondi vedi anche larticolo del 1999.37Fra le ragioni del successo incontrato dallofferta del lavoro domestico in Italia pos-siamo annoverare: la presenza di uneconomia informale (vedi Portes 1995 e 2000),uninsufficienza di servizi di supporto alla famiglia, uno stipendio alto, corrisposto

    alle collaboratrici domestiche, rispetto ad altri paesi. Inoltre stato notato come ladonna italiana sia particolarmente meticolosa nella cura dello spazio domestico e dicome non trovi nel marito un alleato in tale cura.38Una ricaduta immediata ha interessato le case di ricovero per anziani di Padova: nelcorso del 2001 non cera pi lista di attesa per accedervi, il che significa che un nume-

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    manda e non viceversa. Una seconda considerazione riguarda lo stato giu-ridico delle donne in questione che spesso di irregolarit, cio visto diingresso e permesso di soggiorno scaduti. Il fenomeno, ampiamente noto,ha finito per caratterizzare la Legge Bossi-Fini (189/02) che ha concessoa domestiche e badanti, termine con il quale sono state denominate ledonne impegnate nellassistenza agli anziani, la possibilit di regolarizza-re la propria posizione. A noi interessa rilevare che la sanatoria prevista

    per queste categorie, colf e badanti, ha dato vita a uno scontro politico che

    intendeva ottenere, e di fatto ha ottenuto, unestensione della sanatoriaanche agli stranieri irregolari impiegati nelle aziende; dunque stato permerito delle donne, e di un servizio del quale lattuale governo ha ritenutodi non poter fare a meno, che si ovviato a una discriminazione di generenei confronti dei maschi39. Nello stesso modo, sempre attraverso un set-

    ro crescente di famiglie sta optando per lassistenza domiciliare. Secondo una ricercadi Castegnaro (2002), svolta per la Fondazione Zancan, il risparmio di fondi pubblicidella Regione, ottenuto grazie allimpiego delle badanti da parte delle famiglie, statopari nel 2001 a 350 miliardi di lire. Per un calcolo delle persone assistite dalle aiutantidomiciliari, il cui numero stimato in Veneto in 15. 000 unit, si veda il primo rap-porto sulle povert delle Caritas del Triveneto (2001) consultabile su www. chiesacattolica. it/osret. Della Caritas vedi anche Immigrazione Dossier Statistico 2002eImmigrazione Dossier statistico 2003.Dobbiamo segnalare che tale orientamento delle famiglie ha trovato lattenzione delsettore socio-sanitario che, nellambito del Progetto Immigrazione della RegioneVeneto, ha istituito corsi di formazione per 400 badanti nei vari distretti sanitari, apartire dal primo corso tenuto nel distretto di Este-Montagnana (2002). Il passo suc-cessivo del Progetto Immigrazione lorganizzazione di corsi per formatori cheavranno il compito di aggiornare il personale formato; infine si prevede listituzionedi uno sportello con lo scopo specifico di tenere un registro professionale, di far in-contrare domanda e offerta assistenziale e di monitorare la situazione delle famiglie.Va aggiunto che il Progetto Immigrazione si rivolge anche ad altri ambiti: una qua-lificazione dellassistenza sanitaria a utenti immigrati; un monitoraggio dellinfanziastraniera; un programma legato alla cosiddetta circoncisione femminile; la formazionedi operatori di treno, figure che dovrebbero affiancare gli operatori di stradanellavvicinamento e nellappoggio socio-sanitario alle prostitute.

    Sulle badanti, per quanto riguarda il Veneto, segnaliamo le ricerche di Anci Veneto(2003) e del Comune di Venezia (2001) e, a livello pi generale Arru (1996) e Ranci(2001).39Va segnalato che la sanatoria non era prevista nella Bossi-Fini, ma avvenuta in unmomento successivo alluscita della Legge. Le richieste di regolarizzazione sono state

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    tore di lavoro a prevalenza femminile, quello infermieristico, che vienecontemplata una professionalizzazione del lavoro migrante: per anni unacarenza di personale in questo settore era accompagnata dalla presenzasul territorio di personale straniero, con qualifica ottenuta nel paese di pro-venienza, che non trovava il modo di essere presa in considerazione. Oggila Regione Veneto stata incaricata dal Ministero della Sanit di seguireliter per il riconoscimento dei titoli degli infermieri qualificati allestero(paesi fuori dalla UE) mentre gli infermieri professionisti da assumere pres-

    so strutture sanitarie pubbliche e private entrano a far parte delle categoriespeciali al di fuori dal sistema delle quote, vale a dire sottratte alla regola-mentazione sui flussi migratori e senza limitazione numerica. 40

    Infine, lalta concentrazione di imprese di piccole dimensioni che ca-ratterizzano il modello economico del Nord-est sembra aver contagiato

    numericamente significative per la provincia di Padova: i dati danno 13. 364 richiesteincludendo quelle per colf e badanti e per lavoro subordinato (su un totale, per il Ve-neto, di 61. 418 richieste e pi precisamente 24. 959 per lavoro domestico e 36. 459per lavoro subordinato). Va detto che alle 61. 418 domande va sottratto un 15% costi-tuito dalle domande presentate pi di una volta e che riguardano la stessa persona. Lastima dunque di 52. 205 unit. A titolo indicativo ricordiamo che a Roma le richieste

    di regolarizzazione sono state nellordine di 100. 000. A ottobre 2003, vale a dire unanno dopo la sanatoria ancora non conclusa, risultano circa 450.000 i permessi disoggiorno accordati a livello nazionale su un totale di 702.000 domande di regolariz-zazione presentate (361.000 per lavoro domestico e di cura alle persone e 341.000 perlavoro in aziende). Possiamo anche ricordare che in Italia, a ottobre 2003, gli immi-grati in possesso del permesso di soggiorno erano 1.363.000 mentre secondo le stimedella Caritas gli immigrati presenti in Italia, fra regolari e irregolari, erano 2.400.000.Le comunit pi numerose risultavano nellordine: marocchina (250.000), albanese(138.000), filippina (114. 000) , rumena (80.000) e cinese (62.000).Per un confronto in ambito europeo sul tema della regolarizzazione vedi larticolo diDi Francesco Le procedure di regolarizzazione nei Paesi europei ed in particolare inquelli di recente immigrazione.40 Liter burocratico per il riconoscimento del titolo conseguito allestero prevedelequipollenza dei titoli, la necessit di corsi di qualificazione, corsi di lingua italiana.

    Lesercizio della professione poi subordinato alliscrizione al Collegio Infermieri.Per chi non si vede riconosciuto il titolo di studio prevista la possibilit di ottenere laqualifica di operatore socio-sanitario. A titolo informativo nel Veneto esistono 31.000infermieri dei quali 5.000 impiegati nel settore privato e 26.000 nelle aziende ospeda-liere pubbliche.

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    anche gli immigrati, uomini e donne, che non appena possono si mettonoin proprio: sono quasi 9000 infatti nel Veneto gli stranieri non UE titolaridi aziende nei settori delle costruzioni, tessile, manifatturiero, della risto-razione, del commercio allingrosso e al dettaglio e dei trasporti. Sar daverificare se questa vivace iniziativa imprenditoriale straniera regger omeno, nel corso del tempo, al peso imposto dalla burocrazia e dal fisco ese, come si chiede Sergio Frigo, il direttore della rivista Cittadini, questinuovi imprenditori apporteranno modifiche al modello dellimprenditore

    veneto che ha fortemente penalizzato famiglia e relazioni sociali per de-dicarsi al lavoro. 41

    Quali i cambiamenti pi significativi che le donne immigrate subiscono oauspicano? Per tentare delle generalizzazioni ci vengono in aiuto studi percomunit o per paese di provenienza che hanno come scenario il Venetoe, comparativamente, altre regioni italiane. Per le donne del Marocco ve-nute a seguito del marito o ricongiunte limmigrazione sembraloccasione per maturare un progetto migratorio anche di carattere perso-nale che, non appena possibile, lascia affiorare desideri diversi: il deside-rio di lavorare, unopportunit di uscire dal controllo della famiglia delmarito, la possibilit di una maggiore condivisione di responsabilit nei

    riguardi delleducazione dei figli (Schmidt di Friedberg e Saint Blancat1998; Saint-Blancat, 1999 e 2000). Il ruolo di madre rimane preminenteper cui lattivit lavorativa remunerata, anche se apprezzata, non si collo-ca sullo stesso piano della cura dei figli. Si pone tuttavia il problema diuna mediazione fra un modello tradizionale con aspettative sociali, che

    prevedono una divisione dei ruoli, con esigenze familiari, particolarmentesentite nel paese ospite, e aspettative personali delle quali caricatalesperienza migratoria. 42 Secondo la Saint-Blancat, rivolgendo

    41 Secondo i dati forniti dalle Camere di Commercio, a dicembre 2002, nel Venetoerano presenti 8751 imprese gestite da stranieri che non provenivano dai paesi UE,dagli Stati Uniti, dalla Svizzera o da altri paesi OCSE. Di queste 1409 erano localizza-te nella Provincia di Padova, 2194 a Verona, 1840 a Treviso, 1607 a Vicenza e 1095 a

    Venezia. Sono i marocchini i titolari pi numerosi, seguiti da cinesi e jugoslavi.42Una ricerca condotta da Elisabetta Zontini nella citt di Bologna sottolinea questoaspetto emancipatorio con il quale viene vissuta la migrazione dalle donne del Maroc-co: Il loro scopo studiare, essere capaci di lavorare, godere di maggiore libert, e-ludere il controllo sociale, iniziare una nuova vita e cos via. Per rendere tali obiettivi

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    lattenzione lavorativa a settori quali la scuola, la sanit e il sociale avvie-ne, attraverso la mediazione dei figli, unaccettazione del tipo di lavoro edel ruolo della donna da parte della collettivit di appartenenza in quantoil loro coinvolgimento in questi ambiti coincide con le loro funzioni so-ciali; da parte della donna invece avviene una rielaborazione fra modellidi partenza e modelli della societ ospitante e dunque la possibilit di faraffiorare la dialettica fondamentale tra adesione normativa e domanda disoggettivit (2000: 200)43. La Busato (2001) rileva la multiformit dei

    progetti migratori che caratterizzano la recente migrazione femminile dalMarocco e i diversi profili di donne che la compongono soffermandosi in

    particolare sulle emigrate da sole (quindi non per ricongiungimento fa-migliare) per le quali lambito di lavoro risulta centrale e valorizzato perla sua dimensione di apertura verso lesterno (sia questo un lavoro di ope-raia, infermiera, addetta alla ristorazione o alla cura degli anziani). Il mo-dello economico del Veneto con il policentrismo delle opportunit lavora-tive e il conseguente insediamento disperso e decentrato dei nuclei fami-liari favorisce il soddisfacimento di queste diverse esigenze perch il con-trollo comunitario meno vigile e il modello autoritario del marito lasciaspazio a maggiore corresponsabilit. 44 In questo scenario, l immagine

    socialmente accettabili, le donne sposate li pongono allinterno di un progetto fami-gliare mentre le donne sole li giustificano come mezzi temporanei per accumulare ca-pitale per la famiglia dorigine o per se stesse (2002: 115).43Per una riflessione su migrazione e desiderio di soggettivit vedi il lavoro di Salvini1991.Ricordiamo inoltre che le donne marocchine coniugate, venute a seguito del marito,non sono, come ha opportunamente sottolineato Chantal Saint-Blancat (1999), lunicatipologia presente sul territorio: ci sono anche le nubili a seguito di fratelli e le giovaniche crescono in famiglie immigrate. A queste categorie vanno aggiunte le donne ve-nute da sole perch divorziate (vedi Zontini 2002) e le donne anziane che hanno deci-so di raggiungere i figli maschi (vedi Schmidt e Palutan 2003).44La correlazione fra struttura decentrata, in termini abitativi ed economici, e poten-zialit dintegrazione appare evidente se confrontata con altri studi. Per esempio laricerca condotta da Ilaria Daolio (1998) sulle donne del Marocco a Bologna ha messo

    in rilievo come lappartenenza a una comunit su base spaziale condizioni in manieradoppiamente negativa la donna: da un lato si creano situazioni di conflittualit internache non solo aumentano il controllo da parte della componente maschile, ma da partedelle stesse donne impedendo cos il costituirsi di quelle reti di solidariet femminiliche sono parte del tessuto sociale in Marocco. Dall'altro, il confinamento spaziale crea

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    che ricaviamo ben lontana da quella della donna sottomessa in quantolinevitabile confronto di codici culturali e comportamentali non necessa-riamente spinge a una chiusura identitaria, ma spinge a rinegoziare il pro-

    prio ruolo allinterno dei rapporti famigliari; il cambiamento di paesedunque non va interpretato in termini di sradicamento bens in termini dirisorsa sociale.

    Se lesperienza di lavoro costituisce per molte marocchine un passo suc-

    cessivo allesperienza della migrazione, per le donne provenienti dallaMoldavia il lavoro coincide con lesperienza migratoria che acquista sen-so solo se il mantenimento dei figli rimasti a casa, la molla fondamentaleche le spinge a uscire dal paese, viene soddisfatto. Una ricerca condottanella citt di Padova (Mazzacurati 2002) si sofferma sulle reti amicali,sullo scambio di informazioni e sulla pratica della vendita del lavoro(domestico e alle persone) fra le donne moldave e ucraine, mettendola inrelazione e in contrapposizione con il blat, scambio di favori e di servizicaratteristico del periodo sovietico. Tuttavia, mentre il blat era fondatosui principi della reciprocit, della circolarit e soprattutto dellassenza diun corrispettivo monetario per il servizio o il bene ricevuto, il contestomigratorio ha monetarizzato questa pratica non reputandola pi un inve-

    stimento a medio e lungo termine. Le nuove relazioni che vengono a co-stituirsi nel paese di emigrazione sono tuttavia importanti e i piccoligruppi di amiche, che si formano nella nuova realt, riproducono in pic-colo quel meccanismo di reciprocit altrimenti dimesso.

    Il rapporto di lavoro e le aspettative delle donne moldave, in particolaredella fascia costituita dalle pi giovani, sono tuttavia diversi rispetto alrapporto e alle aspettative delle donne immigrate impegnate in questo set-tore fino a poco tempo fa. Infatti, se in un recente passato si aveva sostan-zialmente un lavoro residenziale, vale a dire un lavoro fisso pressoununica famiglia beneficiando di una casa sicura e spesso, anche se nonsempre di contratti regolari, oggi la tendenza di ricercare, non appena

    possibile, occupazioni non residenziali e di ottenere pi contratti a tempo

    parziale e a ore. Questo doppio passaggio, se riuscito fatto che non per

    situazioni altrettanto conflittuali con i membri della societ daccoglienza favorendolimmagine degli immigrati come problema sociale.

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    nulla garantito porta, insieme con una maggiore precariet, anche unadimensione meno totalizzante del rapporto lavorativo e la possibilit dicostruirsi una vita propria riappropriandosi del proprio tempo (Daniele,1995). Studi qualitativi (Sorgoni 2002, Casella Paltrinieri 2002, Andall2000) si soffermano sul lavoro domestico retribuito considerandolo unterreno di analisi antropologica e sociologica particolarmente fertile inquanto strutturato lungo linee di distinzione sociale come il genere elappartenenza, in quanto contribuisce alla riproduzione di relazioni che

    riconfermano un ordine sociale asimmetrico e per la presenza di interessiconflittuali allinterno dellunit domestica che per il datore di lavoroviene vista come riproduttiva e per la colf un luogo di produzione di red-dito. Inoltre il lavoro di colf dove una preparazione apparentemente nonsembra necessaria in quanto transculturalmente la donna a occuparsidella casa e dove spesso si d per scontato che le competenze acquisitenon siano suscettibili di revisioni ci dice, come sottolinea Casella Pal-trinieri (2001), che nemmeno la sfera domestica sottratta alla cultura

    perch se il lavoro di colf facile da prendere non per facile da soste-nere, risultando evidente da entrambe le parti la difficolt di relazionarsi.E tuttavia, anche il lavoro domestico un potenziale agente di cambioche, aldil di tutte le contraddizioni e frustrazioni, pu trasformarsi in e-

    lemento di crescita personale. Infine forse proprio attraverso la posizio-ne di queste lavoratrici - colf e badanti, immigrate e donne - che si rende

    palese lo scollamento fra norme e reale incorporazione nel tessuto sociale.

    Sempre rimanendo nellambito del servizio alle persone possiamo segna-lare il caso delle donne ucraine a Napoli, studiato da Span e Zaccaria(2003), che ci permette di evidenziare delle caratteristiche contestuali in-teressanti in ambito comparativo. Innanzitutto i salari considerevolmente

    pi bassi rispetto a quelli del Veneto; una sistematica evasione delle nor-me contrattuali da parte delle famiglie; la tendenza di a rivolgersi alledonne ucraine, considerate le pi vantaggiose per impegno lavorativo e

    per salario concorrenziale; una considerevole presenza di mediatori ita-liani nel loro reclutamento e infine la scarsa domanda di forza lavoro ma-schile. Oltre a questi elementi, se ne aggiungono altri sul piano di orga-nizzazione del lavoro: la collaboratrice domestica viene considerata unatutto fare a cui vengono assegnati i compiti pi svariati: la pulizia di casae uffici, la compagnia a un ammalato, la spesa, la cucina, laccom-

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    pagnamento dei figli alle varie attivit. Inoltre gli autori accennano allaresponsabilit, sentita da parte dei datori di lavoro, verso colei che co-munque considerata parte della famiglia; questo atteggiamento da un latocostituisce un appoggio in caso di necessit dallaltro che si traduce in uncontrollo della sua persona e delle sue frequentazioni.

    Zontini, nella sua ricerca sulle donne filippine nella citt di Bologna(2002) si interessa soprattutto del ruolo che tali donne, impiegate a Bolo-gna come altrove nel servizio domestico, hanno nella famiglia e nel pi

    ampio gruppo di parentela in unottica transnazionale, non limitata dun-que alla sola incorporazione nel mercato lavorale della societdaccoglienza. In questa luce, rileva caratteristiche comuni qualiunorigine rurale, una migrazione interna da unarea rurale a una urbana

    precedente larrivo in Italia, la provenienza da una famiglia numerosa eda unit domestiche con a capo una donna. La migrazione viene vistacome un mezzo per migliorare una situazione economica percepita come

    precaria e in particolare un mezzo per pagare gli studi dei figli rimasti acasa o una scusa, accettata socialmente, di allontanarsi da ununione ma-trimoniale infelice. Il contesto migratorio poi, nel condizionare le scelteofferte alle donne, presenta elementi di continuit e cambio rispetto allacondizione di partenza: la limitata disponibilit di alloggi e il costo eleva-

    to degli affitti rendono la struttura della famiglia nucleare, comune nelleFilippine, poco appetibile in Italia per cui si preferiscono unit pi allar-gate composte da parenti di vario grado (continuit) o da relazioni di ami-cizia (cambio). La tipologia di lavoro, la responsabilit nei confronti dei

    parenti rimasti a casa, il limitato aiuto disponibile (in quanto lavorano tut-ti) accelerano un processo di diminuzione delle nascite, gi in corso nelleFilippine. Nel nuovo contesto poi, sia che le donne si sposino, sia che de-cidano di rimanere nubili (cambio) o di sposarsi con italiani, la scelta del

    partner sembra ricadere interamente su di loro. Infine va notato il caratte-re transnazionale delle famiglie che spesso hanno membri residenti in vari

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    paesi sparsi nei cinque continenti 45, ma con i quali tuttavia mantengonorelazioni46.

    Sempre per quanto riguarda lattivit lavorativa delle donne e allargandolo sguardo oltre il Veneto, vogliamo ricordare il crescente numero di ri-cerche per collettivit: si vedano per esempio Campani (1995) e Cecca-gno (1997) per la collettivit cinese; Nodari (1997) e Zucchetti (1997) perlest europeo; Ambrosini (1995), Zontini (2002b), Tacoli (1999), Comi-

    nelli (2003) per la collettivit filippina; Amato per quella di Sri Lanka(1998); Lodigiani e Martinelli (2003) e il testo curato da Melchionda perlalbanese (2003); Ambrosini e Schellenbaum (1994) e Infantino (1998)

    per legiziana; Andall (1998) per la capoverdiana; De Luca e Panareo(1993) per la senegalese; Chell (1997) e Valetti per la somala (1999);Macioti (2000) per la marocchina; Didon per la sikh (2004). Pi in gene-rale, menzioniamo i lavori di Tarozzi (1998), Vicarelli (1994), Arena(1983) e Barsotti e Venturi (1991), Tognetti Bordogna (1993), Grasso(1994), Krasna (1999), Brunetta (1995), Bellotti (1997), de Filippo (2000)e Chell (2000)47. Altri ambiti in cui si sono dirette le ricerche relativealluniverso femminile, che direttamente o indirettamente hanno coinvol-to laspetto lavorativo, sono lambito delle reti informali e associazioni-

    stiche (Daolio 1998; Maher 1989; IRES Piemonte 1991; Campani 1993 e1994; Decimo 1996; Lodigiani 1994); le reti etniche (Abbatecola 2002;La Rosa e Zanfrini 2003) e famigliari (Marazzi 2001 e 2002; TognettiBordogna 1996; de Bernart e altri 1995; Favaro 1995; Landuzzi 1995;

    45 Se gli Stati Uniti e lAustralia sono considerati i paesi preferenziali, lItalia e laSpagna vengono subito dopo in ordine di prestigio (Zontini 2002).46 Sullimpiego delle ecuadoriane nella cura delle persone anziane a Genova vedi La-gomarsino 2003. Per uno sguardo pi generale sul lavoro domestico vedi Carchedi eal. 2003.47Per una visione generale sullinserimento degli immigrati nel mercato del lavoro sipossono consultare, per esempio, gli studi di Ambrosini (1999, 1997, 1995), Colasan-

    to e Ambrosini (1993), Zanfrini (1996 e 2000), Reyneri (2002, 1998, 1996), Frey eLivraghi (1996), Dal Lago (1994), Carboni (1990). Su settori produttivi specifici vediPagliai (2002) sulla piccola impresa; Chiesi, Regalia, Regini (1995) per il settore in-dustriale; Cesareo e Ambrosini (1999) per lartigianato, Iori e Mottura perlagricoltura (1990).

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    Donati 1993). Sempre nellambito della famiglia, attenzione stata rivol-ta alla donna nel suo ruolo di madre (Balsamo 1995; Benkhdim 1995,Bensalah 1993), alla dimensione del parto e dellallattamento (Giacalone,2002; Giacomini 1995) e del cibo (Dore, 2003 e Pullia, 2000). Infinevanno menzionati due ulteriori orientamenti di ricerca: le donne in vestedi mediatrici tra i principi religiosi dellislam e la prassi sociale nelle so-ciet daccoglienza (Saint-Blancat 1993, 1997 e 2000 e Allievi 2003)48ele riflessioni in prima persona sullesperienza di migrazione (Maricos

    1990; Makaping 2001). 49Va sottolineato un fattore importante: le ricerche contemporanee sui

    fenomeni migratori che coinvolgono i paesi del sud dellEuropa prestanosempre maggiore attenzione alle migrazioni femminili e non si limitanosolo al ruolo e alla funzione che svolgono le donne nel mercato del lavoro50 e in particolare nel servizio domestico e nella prostituzione- 51ma siorientano verso una prospettiva di genere che, pur mantenendo la centrali-t della variabile lavoro, si allarga alle relazioni famigliari e di parentelasia nel paese dorigine che nel paese daccoglienza e il modo in cui questerelazioni significative vengono cambiate e rinegoziate durante il processomigratorio. 52

    48Per una comparazione con le donne marocchine in Spagna su questa tematica vediRamirez 1997.49Per una panoramica sulla condizione della donna immigrata in Italia si possono vi-sionare i lavori di Favaro 1991, Raffaele 1992, Grasso 1994, Brunetta 1995, Marengo1997, Krasna 1999.50Una ricerc