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LA CALABRIA

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Antologia della rivista di letteratura popolare omonima a cura di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido. La Città del Sole edizioni. Giugno 2009 Prezzo 25,00 euro

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La CalabriaAntologia della rivista di cultura popolareLA CALABRIAdiretta da Luigi Bruzzano

a cura di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

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© Città del Sole Edizioni s.a.s.di Franco Arcidiaco & C.Via Ravagnese Sup., 60/A89131 REGGIO CALABRIATel. 0965.644464Fax 0965.630176e-mail: info@cittadelsoledizioni.itwww.cittadelsoledizioni.itImpaginazione: Maurizio de MarcoStampa: Legatoria Manna - Rende (CS)Aprile 2009

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Alla Terra di Calabria che amiamo più di noi stessi, all’infuori di tutto e di tutti.Il suo aspetto ci appare incontaminato e talora meraviglioso; la natura ha fatto di tutto per rendere questa nostra regione felice e prospera. Essa è qui solenne, sacra, come il pagano e il divino. Ma l’indifferenza dei governi, l’incapacità delle autonomie e la mentalità di noi calabresi, da molti secoli ne impediscono lo sviluppo.Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

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Prefazione

Quando nescisti tu, spinguola d’uoroQuattro tuorci al lu cielu s’addumaru

Scorro i canti, le leggende, le novelle, tratti dalla rivista “La Calabria”(1888 - 1902) di Luigi Bruzzano, e ancora una volta resto colpito, ammi-rato, dalla bellezza, vastità, importanza della nostra cultura popolare, dallozelo, dalla tenacia di quei pochi che si preoccuparono di registrarla, salvar-la. Un patrimonio elaborato nei secoli: la nostra memoria collettiva, lanostra identità. L’Italia alla fine dell’Ottocento, dopo l’Unità, era ancoratutta intessuta di parlate, dialetti, culture diverse, che si distinguevano dauna provincia all’altra, da un villaggio all’altro. Si sarebbero dovuti incre-mentare la pubblica istruzione, lo sviluppo sociale e culturale del paese,per accedere ad una nuova consapevolezza veramente unitaria. Invece, findall’inizio, questo patrimonio è stato ignorato, disprezzato dalla cultura“nazionale”. Prima, durante e dopo il fascismo il dialetto, la poesia dialet-tale, il cosiddetto “folklore”, tutte le espressioni di cultura “minore” furo-no banditi dalle scuole italiane, dall’ufficialità della cultura. Perché?Probabilmente la coscienza segreta di un’italianità che non s’era elaborataspontaneamente, dal di dentro, aveva portato ad un delirio nazionalista, avoler cancellare ogni traccia di diversità fra gli italiani. Nello stesso temposi sono falsati, stravolti, obliterati i fatti. La terribile guerra civile - la cosid-detta “repressione del brigantaggio” - che, a partire dal 1860, per diecianni, insanguinò l’Italia - trentatremila morti - è stata ignorata. Nei libri discuola non c’è. L’altra catastrofe che seguì, a partire dal 1890, l’emigrazio-ne, è stata quasi del tutto ignorata non solo dai libri di scuola ma anchedalla letteratura. Non c’è un solo romanzo importante su questo argo-mento. Il cinema gli ha dedicato qualche film. Niente è stato elaborato,acquisito alla coscienza. Invece c’è stata la fioritura di un’incredibile reto-rica, che faceva a pezzi la realtà: quella del “posto al sole”, ad esempio, for-mulata dal Pascoli, secondo cui gli italiani, popolo numeroso e prolifico,7

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avrebbero dovuto espandersi, conquistare colonie, finanche un impero;oppure l’altra, terribile, della necessità dei settecentomila caduti dellaprima guerra mondiale, per cementare nel sangue l’Unità d’Italia. Oggi,dopo 150 anni, finalmente, con la pubblicazione di queste opere, di que-sti canti, poesie, proverbi, torniamo alle cose semplici, umili, a misuraumana, dalle quali non si può prescindere per ricostruire, ripeto, la nostracultura e la nostra identità. Sono grato a Filippo Curtosi e a GiuseppeCandido che ce le hanno proposte.Vittorio De Seta

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Introduzione

Le tradizioni popolari oggi sono oggetto di un processo estremamen-te articolato e contraddittorio; da un lato, continuano a essere considera-te forme culturali “inferiori” di cui vergognarsi, quali manifestazioni diarretratezza culturale, quando non segni di rozzezza e di “inciviltà”; dal-l’altro, vengono assunte quali segno di costumi incorrotti, incontaminatirispetto al tumultuoso volgersi dei tempi, testimonianze di un’identità pri-genia da conservare nella sua cristallina “purezza”.Sia l’uno che l’altro atteggiamento non sono in alcun modo condivisi-bili; la realtà nel suo concreto dispiegarsi, non sa che farsene delle nostreaccigliate condanne e delle nostre enfatiche esaltazioni; essa, più sempli-cemente e più faticosamente, deve essere compresa nella sue articolazio-ni, nei processi storici di cui è comunque esito, nelle funzioni che presu-mibilmente ha svolto o continua a svolgere. Tale realtà sollecita, dunque,il nostro impegno conoscitivo; ci richiama a un itinerario critico, teso arinsaldare la nostra soggettività, la nostra consapevolezza di essere, hic etnunc, titolari della nostra storia. La consapevolezza critica del nostro pas-sato rende possibile la pienezza del nostro presente e la possibilità in essodi elaborare le linee del nostro futuro.Nella prospettiva qui delineata, in forma necessariamente sintetica,appare particolarmente opportuna l’iniziativa di Filippo Curtosi eGiuseppe Candido di riproporre, un’ampia antolologia di testimonianzefolkloriche pubblicate dalla “rivista di letteratura popolare”, “La Calabria”,che ebbe vita a Monteleone, oggi Vibo Valentia, tra la fine dell’Ottocentoe i primi del Novecento, le cui linee essenziali val la pena, forse, qui riper-correre.Il 15 settembre 1888 appariva a Monteleone di Calabria il primo nume-ro di una “Rivista di letteratura popolare”: “La Calabria”, diretta da Luigi9

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Bruzzano, che così delineava le finalità dell’iniziativa: «Tre anni fa, quan-do io col mio amico Ettore Capialbi pubblicavo nella quarta pagina de“L’Avvenire Vibonese” i racconti greci di Roccaforte, pochi fannulloni,miei concittadini, assordarono di grida la redazione del giornale, per indur-la a smettere le pubblicazioni di tutte quelle nostre chiacchiere. Il poverodirettore non sapeva che rispondere, ma una colta e gentile signora, allaquale serberò sempre la mia gratitudine, fece in modo che parecchi rac-conti greci furono pubblicati. Le belle e dotte recensioni che uomini illu-stri e miei maestri scrissero di quei racconti nell’Archivio per le tradizionipopolari e nella “Rivista di filosofia e letteratura d’Italia” e da taluni profes-sori della stessa Grecia, dettero ragione alla Signora, che ci accordò il suopatrocinio, e torto a quei dottorini da caffè, che tuttavia ci guardavano conun sorriso di scherno e di compassione. Ora pubblico a mie spese unarivista di letteratura popolare nella quale saranno inserite in gran numeronovelline greche ed albanesi inedite, canti anche inediti o varianti di altrigià editi, e scritti che riguardano gli usi e i costumi di queste contrade. Taleimpresa, troppo superiore alle mie forze, avrà certamente le solite decisio-ni, ma sarà proseguita con coraggio, se i miei colleghi calabresi vorrannodarmi una mano e se avrò il compatimento di quegli uomini illustri, chealtra volta si occuparono a scrivere dei raccontini greci, raccolti da me edal mio amico Capialbi».La rivista proseguì le pubblicazioni fino al 1902, e molti colti corregiona-li diedero a Bruzzano quella mano che egli auspicava. Riflettendo su talerivista avremo modo di intendere quale temperie culturale fosse in atto inCalabria sul finire dell’Ottocento, quali le caratteristiche dello sguardodemologico, quali miseria e nobiltà albergassero presso le classi dominanti.Una riflessione relativa alla storia degli studi demologici, dell’affermar-si della prospettiva demologica nella nostra regione, questa, dunque, maproprio in quanto tale non soltanto riflessione demologica, se è vero chela storia degli sguardi che la cultura egemone rivolse alla realtà popolare ealla cultura da questa espressa, rivela anche appannamenti e cecità da rap-portare a una dialettica tra culture che è riflesso - pur con tutte le media-zioni volta a volta instauratesi - di vicende storiche dispiegatesi in tutta laloro complessità e quindi da ripercorrere problematicamente nelle loropuntuali specificità.Che una rivista venga assunta come punto di partenza e angolo diosservazione di un discorso così ambizioso non sorprenderà di sicuro, solche si rifletta sull’importanza che nella cultura intellettuale italiana assun-10

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cultura - è già atteggiamento progressista. Certo, molte volte si tenta dinobilitare tali forme culturali con la sottolineatura di analogie con moda-lità colte; il richiamo alla natura e alla spontaneità della vita semplice risul-ta di maniera; le forme folkloriche vengono selezionate secondo i parame-tri della cultura dominante. Ma i risultati vanno al di là delle intenzionali-tà degli autori; la vita delle opere trascende nel tempo e nei significati daquella dei relativi autori. E allora, a prescindere da quello che questo grup-po di intellettuali ritenne di fare, quello che fece fu di contribuire a custo-dire la memoria storica di classi che erano state ridotte al silenzio dalladinamica del dominio. È nell’ambito di attività di questa rivista che siattuano le prime esperienze demologiche di chi attraverso decenni di ope-rosità scientifica produrrà quella Biblioteca delle tradizioni popolari calabresinella quale Raffaele Lombardi Satriani materializzerà la memoria folklori-ca della nostra regione. Tutto ciò avverrà in un’altra temperie culturale ma,lo abbiamo appena visto, Raffaele Corso, a proposito della rivista“Folklore Calabrese”, ha sottolineato il legame ideale tra il movimento ini-ziato in San Costantino di Briatico da Raffaele Lombardi Satriani e quel-lo creato da Luigi Bruzzano in Monteleone di Calabria.Custodi di memoria, dunque, e, come tutti coloro che consentonocomunque la vita di Memoria, operatori di libertà, ché solo nella continuariconquista di memoria la nostra vicenda esistenziale e culturale puòdispiegarsi, come libertà e progetto. È per questo complesso di motiviche, come ho già accennato all’inizio di questa Introduzione, appare par-ticolarmente apprezzabile l’iniziativa di Filippo Curtosi e GiuseppeCandido di proporre un’ampia antologia di documenti folklorici pubblica-ti da questa Rivista la cui conoscenza è stata sinora limitata agli addetti ailavori, restando l’impegno demologico di Bruzzano e dei suoi collabora-tori pressoché sconosciuto a un più ampio pubblico, che può ora apprez-zarne direttamente i risultati critici cui esso pervenne.Luigi Maria Lombardi Satriani

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Perché

L’idea di riproporre editorialmente “La Calabria” di Luigi Bruzzanorisale all’incirca a tre anni fa quando fondammo il nostro periodico“Abolire la Miseria della Calabria” e decidemmo di pubblicare, in un inser-to letterario, alcuni brevi stralci della rivista.I motivi di questa scelta sono molteplici, e qui proveremo a spiegarlicon l’obiettivo di meglio illuminare intenti e finalità di un’iniziativa - intra-presa come associazione di volontariato culturale Non Mollare - che harichiesto molto tempo. Una prima motivazione scaturisce da una conside-razione molto semplice: l’attualità e l’universalità del tema, vale a dire lasua valenza etnografico-antropologica è stato uno degli elementi che ci haindotto alla scelta.Il desiderio di rivedere e conoscere meglio la nostra storia ci è statoespresso - in privato o in pubblico - ma le occupazioni sono tante, gli annipassano ed il ricordo dei nostri avi si va dissolvendo nel passato, senza chela tradizione sia per davvero conosciuta.Patriota e insigne letterato calabrese, Luigi Bruzzano è ancora oggi sco-nosciuto a molti calabresi. Con un coraggio sorprendente per gli anni incui vive, Bruzzano rifiuta l’immagine astratta e convenzionale dell’uomo,riaffermando l’assoluta convergenza tra mondo sociale, politico e mondomorale.Le antinomie tra le quali si muovono le sue ricerche sono le stesse cheancora oggi ritroviamo ne Il Mondo perduto di Vittorio De Seta, documen-tari del periodo 1954-1959 editi da Feltrinelli-Real Cinema nel 2008. Perquesto abbiamo pensato subito al maestro De Seta per la prefazione aquesto nostro lavoro. Bruzzano e De Seta: la stessa umile empatia nel raf-figurare la realtà popolare. L’attività artistica di un personaggio come LuigiBruzzano, ci farà assaporare la presenza - in piena era globalizzata - di un33

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qualcosa che, rifuggendo dalla meditazione e da ogni orpello, sgorgaspontanea da quell’insopprimibile bisogno di narrare la realtà calabreseper quella che era e che oramai è divenuta “un mondo perduto”. La vitadi ogni giorno che viene messa a fuoco dal raccoglitore impareggiabile dicultura, scrittore, antropologo, poeta è vista da una lente nella quale leimmagini non vengono gonfiate, sciolte, distorte ma tendendo a far pro-pri i motivi e gli atteggiamenti dei calabresi senza retorica, senza eleganzaidiomatica e levigatezza stilistica.Oltre allo stesso Bruzzano, su “La Calabria” scrivevano infatti nume-rosi nomi della cultura calabrese tra cui Antonio Iulia, Giovan BattistaMarzano, Pietro Ardito, Apollo Lumini, Carlo Massinissa Presterà,Giovanni De Giacomo, Ettore e Vito Capialbi, Eugenio Scalfari e NicolaLombardi Satriani la cui famiglia ne rappresenta la naturale continuità.Nell’ottica di una valorizzazione della cultura e delle tradizioni popolariper la ricostruzione della nostra identità, riteniamo che il lavoro di LuigiBruzzano debba essere meglio conosciuto e divulgato, anche attraversoazioni educative e informative, in collaborazione con le Istituzioni scolasti-che e territoriali. Questo perché “La Calabria” di Luigi Bruzzano non è sol-tanto una rivista che raccoglie brani di letteratura popolare, ma rappresentaun vero e proprio studio delle tradizioni culturali e agiografiche calabresi.Bruzzano, in sostanza, riesce a carpire la voce del volgo per “fotogra-fare” e studiare il popolo calabro e le sue tradizioni. Tutto ciò che fosse ingrado di rappresentare il popolo calabrese. Nel suo linguaggio e perciònella sua identità. Per questo, anche i proverbi, le facezie e le imprecazio-ni in stretto dialetto calabrese trovano il loro spazio. Nella leggenda,popolare o religiosa, più che nella religione vera, Bruzzano riesce a coglie-re il patrimonio esclusivo del popolo calabro: «in essa le menti volgari ecredenti attingono il sostrato di una credenza superstiziosa». E così il pro-fano si intreccia con il sacro per diventare credenza, costume, usanza.Bruzzano pubblicò importanti studi dell’etimologo Giovanni BattistaMarzano tra cui un dizionario etimologico dei termini dialettali calabresidi cui abbiamo riportato alcuni stralci nella sezione X della presente rac-colta. È invece del prof. G.B. Moscato il saggio sui nomi calabresi chehanno origine nel greco.Per le sue pubblicazioni sulle tradizioni linguistiche e sulle origini delpopolo calabrese per i quali non riscosse successo nel suo paese,Bruzzano venne invece lodato da recensioni e lettere di importanti uomi-ni illustri del tempo.34

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Nella rivista “Aqhna”, opera periodica della società scientifica d’Atene,anche il professore di glottologia dell’Università di Atene, G. Catzidacis,riferendosi alla rivista di letteratura popolare “La Calabria” di Bruzzano,la recensisce definendola: «...un periodico mensile, che da due anni vedeluce in Monteleone di Calabria, ed è diretto dal ragguardevole Sig. LuigiBruzzano. I suoi articoli sono degni di molta considerazione per la cono-scenza dei popoli dell’Italia meridionale. Perché gli scrittori dell’Europaoccidentale pensarono da gran tempo, che, ad aver esatta notizia di cia-scun popolo, è assolutamente necessario, che siano accuratamente osser-vati e conosciuti colla stampa non solo la lingua ed i canti popolari, maeziandio ogni suo tesoro spirituale, come a dire, le credenze religiose, lesuperstizioni e i pregiudizi, i giochi, le feste, le danze, e in genere ogni suopassatempo... “La Calabria” fin dalla sua apparizione segue questo santoe utile scopo con impareggiabile costanza».Il 16 ottobre 1888 il direttore dell’ “Archivio per le tradizioni popolari”nonché illustre etnografo, letterato, antropologo e studioso di tradizionipopolari, Giuseppe Pitrè in risposta al Bruzzano che gli aveva inviatocopia del primo numero della sua rivista lo elogia esplicitamente: «Ebbi,con la pregiata sua del 15 sett., il I numero della Calabria e ne fui e ne sonolieto. Ella ha fatto opera buona, e della evidenza in cui metterà le tradizio-ni calabresi, tutti Le saranno gratissimi. Voglia il cielo che i suoi sforzi ven-gano coronati dal buon successo che meritano!».Sempre il Pitrè, nel recensire le novelle greco-calabresi di LuigiBruzzano ed Hettore Capialbi scrive: «i modesti quanto dotti ProfessoriCapialbi e Bruzzano non dovrebbero arrestarsi sulla via nella quale contanto bella preparazione di studi e con sì caldo amor patrio si son messi.Entrambi dovrebbero continuare pazienti ed operosi il lavoro dellaRaccolta, sicuri di fare opera doppiamente utile alla filologia e alla etno-grafia. Sappiamo bene che nessun compenso materiale potrà confortarli atanta impresa, ma sappiamo pure che alle anime gentili è conforto il plau-so dei buoni...»E ancora: «... I bravi proff. Capialbi e Bruzzano forse non troverannouna parola di confronto nel loro paese, ed abbiam detto poco; scusando-si modestamente coi “pochi professori ai quali mandano questa prima rac-colta” entrambi aggiungono: “essi ci compatiranno ove abbiamo errato, eci loderanno, se non d’altro del nostro buon volere; il che sarà per noilarga ricompensa delle derisioni sofferte”». Si capisce chiaramente chenon solo Luigi Bruzzano non ebbe incoraggiamento alcuno dai suoi com-35

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paesani, ma peggio ancora - e questo è assai doloroso - fu deriso! È la soli-ta storia: ieri come oggi. Quello che non si capisce lo si disprezza. Ma èanche la solita storia di questa - a volte misera ma comunque amata -nostra terra per la quale Nicola Giunta (Reggio Calabria, 4 maggio 1895 -31 maggio 1968) poeta dialettale eclettico scrisse che «chistu è u paisi aundisi perdi tuttu».Chistu è u paisi aundi si perdi tuttu

Chistu è u paisi aundi si perdi tuttu,aundi i fissa sugnu megghiu i tia,u paisi i m’icrisciu e mi’ndi futtue ogni cosa è fisseria.E si ‘ndi voi sapiri natra i chhiùchistu è u paisi i scindi e falla tu;u paisi disgraziatu:ne io cuntentu e né tu cunsulatu.Perciò no resta chi nu fattu sulu:mu jiti tutti mà pigghiati ‘ntoculuEd è inutili mu va pigghiatipecchi cchiù a giriati e ‘a firriati,sempri cchiù dintra ‘culu va trovatiNicola Giunta

Tant’è vero che «gli indigeni - come scriveva nel 1892 in una recensio-ne della rivista “La Calabria”, il prof. Gustavo Meyer dell’Università diGraz (regno Austro-Ungarico) cui Bruzzano aveva inviato copia - si sondati ben poco pensiero della lingua e del genio nazionale dei Greci viven-ti in mezzo a loro, [...] solo negli ultimi anni l’onda del progresso, che haprovocato nel rimanente d’Italia raccolte e studi così vigorosi di letteratu-ra popolare, è pervenuta anche in quel lembo estremo della penisolaappenninica. I due professori Ettore Capialbi e Luigi Bruzzano hannoraccolto novelle e canti greci pubblicandoli dapprima nel giornale“L’Avvenire Vibonese”, e poi in due fascicoli a parte intitolati “Raccontigreci di Roccaforte” (Monteleone 1885-1886) [...] I due raccoglitori nonhanno trovato tra i loro concittadini, nessuna specie d’incoraggiamento aproseguire nel loro lavoro. Anzi raccontano come essi siano stati derisi, e36

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come soltanto l’interposizione di una colta Gentildonna abbia fatto sì chepotessero essere pubblicate almeno alcune novellette. Uno dei due amicinon si è lasciato scoraggiare nel continuare colla sua attività volenterosa inquesta specie di studi.Egli ha pubblicato sin dal 15 settembre di quest’anno, ed a sue propriespese, una rivista mensile dal titolo “La Calabria - rivista di letteraturapopolare” in Monteleone; e tanto più si deve avere in pregio questa abne-gazione se si pensa che gli insegnanti dei ginnasi italiani non sono com-pensati molto generosamente».Parole quanto mai attuali quelle del professore Mayer che prosegue:«Noi desideriamo di cuore che l’opera di Bruzzano [...] possa prosperaresenza nessun ostacolo; egli deve senza dubbio cercare nella riconoscenzache gli si ha fuori dalla sua patria, la sua più vera soddisfazione».E fu proprio così, pur avendo avuto lodi di chiara fama nazionale edinternazionale, non fu capito proprio dai suoi conterranei calabresi. Danoi calabresi che spesso disprezziamo - sino a deridere - ciò che nonconosciamo. In stretto dialetto calabrese, potremmo dire oggi: u pigghiaru’ngiru. O peggio u cugghiunaru!Nella laudationes che l’8 dicembre del 1902 il prof. Francesco Cremonascrisse in occasione della morte di Luigi Bruzzano si legge: «[...] viaggiavagiorno e notte, talvolta intere settimane, non di rado per luoghi alpestri einaccessibili, d’estate come d’inverno, in vettura ed a piedi, non curando-si dei danni che poteva risentir la salute, non badando a spese, con fervo-re d’innamorato, con fede di apostolo. E frugava e ricercava dappertutto,e raccoglieva leggende, novelle, fiabe, canzoni, descrizioni di usi e costu-mi, tornando lieto a casa solo quando gli fosse riuscito di trovare moltomateriale nuovo che l’acume critico della sua mente indagatrice avrebbepoi ben saputo ordinare e coordinare.Forte, adunque, della profonda conoscenza del greco moderno e deldialetto albanese in special modo, padrone di un ricco tesoro di produzio-ni popolari, fondò nel 1888 un’autorevole rivista, “La Calabria”, finitapurtroppo con lui! La quale fu meno conosciuta ed apprezzata nei nostripaesi, che fuori gli fruttò non solo l’onorificenza di Cavaliere della Coronad’Italia, ma altresì l’onore di esser nominato socio corrispondente di varieAccademie e di ricevere dalla Francia, come dalla Germania, dall’Austria,dalla Grecia ed anche dalla lontana America congratulazioni e attestati diammirazione e simpatia da parte di uomini eminenti nelle lettere e nelle

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scienze. E mentre insigni scrittori calabresi collaboravano con lui, da Parigii prof.ri Carnai, Sibillat, Gaidoz, da Bruxelles, il prof. Monsour, daWashington il Langley, dall’Italia settentrionale i prof.ri Morosi e Muller,pregavano lui stesso di voler collaborare nelle loro mondiali riviste… Edio non saprei meglio riassumere i titoli di merito del compianto professo-re, che riportando dal dizionario dei Contemporanei Italiani, compilatodall’illustre Angelo De Gubernatis, quanto si legge al nome di BruzzanoLuigi:“Benemerito folclorista calabrese - nato in Monteleone il 1 marzo 1838- pubblicò nel 1861 alcune poesie patriottiche, in seguito la foneticaMonteleonese - una collezione di parole greche in uso nel suo circonda-rio - due volumi di racconti greci di Roccaforte. Fondò e dirige aMonteleone “La Calabria”, rivista di letteratura popolare. È sociodell’Accadia Dafnica di Acireale, socio corrispondente dell’Accademiacosentina e della società Corea di Atene, Consigliere della SocietàNazionale delle tradizioni popolari - lavoratore indefesso, ma forse trop-po modesto. Benché degno di più alta promozione, è sempre professorenelle classi inferiori del patrio ‘Ginnasio’”.A ciò - afferma il prof. De Gubertantis - è ancora da aggiungere che ilBruzzano pubblicò vari, pregevolissimi lavori di Filologia nel “Giornaledella Domenica” di Napoli e nell’“Archivio” del chiaro G. Pitrè, oltre aqualche scherzo comico molto ben riuscito, e che il suo nome occupa unposto onorevole nel Dictionaire international des Folkloristes contempo-raines che si pubblica a Parigi sotto la direzione del prof. Carnai. L’animoforte, la vita intemerata gli […] la stima ed il rispetto dell’universale. Di luipuò ben dirsi ciò che un illustre professore affermava di quell’insigne filo-sofo che fu Francesco Fiorentino, al quale il nostro Bruzzano tanto siassomigliava. Non vi fu cuore più gagliardo e più tenero, più sdegnoso epiù mite, più capace e più caldo. Fu anima sdegnosa, ma non seppe odia-re, amò invece quanto può cuore d’uomo nato fra i tepori del cielo meri-dionale, ebbe dell’Alpe granitica, non mentì mai né si curvò, detestò laforma che mentisce e nasconde la realtà, fu ingenuo come un fanciullo,impavido come un eroe».Perché abbiamo voluto curare questo lavoro? Perché “La Calabria” diLuigi Bruzzano è il ritratto di un mondo, quello dove la gente parlavacome mangiava e viveva secondo regole nobili. Perché è stata una emo-zione intensa, una condivisione totale.Perché «la Calabria è un incanto naturale» che attira il nostro sguardo e38

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con lo sguardo l’attenzione, per la potenza della parola parlata, alla porta-ta di tutti: la parola si fa scena, immagine, suono, colore, come i cortome-traggi di De Seta. Con loro, con Bruzzano ieri e con De Seta oggi, «par-lano le persone, i luoghi, le cose, i suoni, i volti, i riti, storie, gesti».Non vogliamo analizzare, non essendo questo nelle nostre capacità, illavoro di Bruzzano, cosa che del resto fa in modo eccelso il prof. LuigiMaria Lombardi Satriani nella sua introduzione. Ci conforterebbe solo ilpensiero che questo lavoro possa contribuire, piccola goccia, a conosceremeglio il patrimonio della letteratura popolare calabrese e per questosiamo grati al maestro Vittorio De Seta e al professore Luigi MariaLombardi Satriani che ci riconoscono il merito perché abbiamo sollevatouno dei veli dell’oblio occultanti il carattere nobile del Popolo di Calabria.Si intende soltanto presentare e far conoscere meglio la società del seco-lo scorso attraverso non studi specifici o ricerche erudite, ma attraverso laluce di come eravamo, attraverso le nostre radici, il nostro linguaggio, lanostra “natura” nell’accezione che noi calabresi diamo a questo termine.Bruzzano non fu uno storico, ma si interessò agli avvenimenti storici dellaCalabria per il suo amore verso questa terra, perché «il Nostro ne incarna-va i santi ideali della gioventù calabrese ed era vivamente appassionato allacausa della libertà italiana, in quel tempo che ritenevasi delitto gravissimoanche il solo parlare di libertà». Ne ricacciò i fatti, evidenziandone via viagli aspetti fortemente caratterizzanti della quotidianità. Li penetrò, ne illu-minò ogni aspetto con una luce intensa, vera, evidenziando il vero volto,la vera anima, il vero cuore della Calabria.Nella sezione seguente è riportata integralmente la copia di un volu-metto ingiallito, stampato nel 1892 in Monteleone di Calabria con il tito-lo: “La Calabria. Rivista di letteratura popolare. Recensioni e Lettere diuomini illustri”. Sono lettere e recensioni scritte da uomini di chiara famadell’epoca. Tra questi oltre ai professor Gustavo Meyer dell’Univesitàaustroungarica di Graz e G. Catzidacis, docente di glottologiadell’Università di Atene parzialmente già citati, vi si trovano pure scrittidel direttore dell’archivio per le tradizioni popolari di Catania nonché illu-stre etnografo letterato, Giuseppe Pitrè, con le sue recensioni lodanti ilprofessore Bruzzano per il suo lavoro e le lettere di G. Morosi, docentedell’Istituto superiore fiorentino. Lettere e recensioni di uomini illustri chedimostrano l’interesse e la considerazione che si ebbe all’estero, oltre chein Italia, del lavoro di raccolta che Bruzzano stava compiendo, incompre-so e deriso dai suoi concittadini di allora, troppo poco conosciuto ai suoi39

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conterranei oggi e alle giovani generazioni. Per questo “La Calabria” diBruzzano e il suo recupero hanno per noi e, speriamo anche per il letto-re, un grande valore. Essa rappresenta la testimonianza, forse l’unica di uncerto livello, della cultura e delle tradizioni popolari calabresi. Nel tempoche celebra il culto mediatico, dare uno sguardo al mondo che fu nonserve per esorcizzare o evadere la realtà, quanto piuttosto per recuperareil senso, i segni e i simboli, ancora carichi di sacralità perché veri, umani.Questi i motivi della nostra iniziativa che ci auguriamo incontri la benevo-lenza di quanti vogliano conoscere e approfondire le nostre radici. E perquesto speriamo di poter continuare con quest’opera di ricostruzioneidentitaria della cultura della terra che amiamo.Grazie a Vittorio De Seta, a Luigi Maria Lombardi Satriani e al contri-buto degli specialisti e di tutti coloro che hanno collaborato e sostenutoquesto lavoro. Per ultimo ci piace pensare che si è così realizzato il desi-derio di Luigi Bruzzano, quello di scoprire, far conoscere, attraverso lademologia nuovi anelli della interrotta catena che lega il presente al passa-to. Facciamo nostro il pensiero di Bruzzano: «I lettori ci compatiranno oveabbiamo errato e ci loderanno, se non d’altro, del nostro buon volere».Ci conforta il pensiero che il nostro lavoro possa contribuire a cono-scere meglio il patrimonio di tradizioni popolari della nostra Patria, e chesia anche riuscito a sollevare uno dei veli dell’oblio occultanti il caratterenobile del popolo di Calabria, di cui siamo fieri di far parte: popolo alta-mente conservatore e quindi nazionale, che mantiene la stessa vivacità percui si distinse in un lontano passato, la stessa sottigliezza di mente, la stes-sa finezza di gusto in arte, le stesse tendenze nella vita privata e pubblica,la stessa facondia e l’acutezza e il calore della frase e la ricerca dell’armo-nia e della grazia.Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

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Non saper leggere e scrivere,“la cultura che si raccontava con la parola”

Per chi conosce o crede di conoscere la nostra regione questi scritti,recuperati e riproposti ad una fruizione popolare da Giuseppe Candido eFilippo Curtosi, sono un vero e proprio viaggio nelle antiche costumanzedi un tempo. Sono alcuni scritti de “La Calabria” di Luigi Bruzzano, sele-zionati e ristampati oggi per offrire una sorta d’inedito viaggio effettuatosenza alcuna retorica del tempo passato, senza nostalgie preconcette del-l’antico che non c’è più dove tutto, per una sorta di distorsione mentale dilettura dell’oggi, era più povero ma bello. Un viaggio in quella Calabria difine Ottocento tra contadini veri, tra gente sofferente di fatica e gioiosadel vivere quotidiano, tra lutti e feste, tra amore romantico e carnalità pas-sionale, tra lavoro e gioco.È un viaggio, riletto simbolicamente, tra la gente che quando racconta-va credeva profondamente a quanto veniva raccontato perché tutta laconoscenza posseduta era stata loro tramandata proprio attraverso rac-conti. In fondo, per chi non sapeva leggere e scrivere, questa era la vera epropria cultura, il racconto era tesoro, appartenenza alla comunità, eramemoria e identità, conoscenza da tramandare, sapere personale e collet-tivo da trasmettere a chi veniva dopo, era la propria profonda cultura dellamemoria. Dopo i vasti recuperi archeologici del Settecento, l’Ottocentooffre stimoli a tanti viaggiatori stranieri che scendono nel Sud Italia pervedere e descrivere in maniera oleografica. La tradizione orale diventascritta, recuperata da appassionati studiosi, da chi aveva percepito profon-damente il valore in essa racchiuso.Si comprende, negli scritti raccontati nelle pagine de “La Calabria” diBruzzano e dei suoi collaboratori attivi in loco, una sorta di potere delleparole e una speciale coscienza nascosta nelle stesse parole, che viene allaluce come un prezioso reperto da recuperare subito e da studiare, da capi-41

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re, da analizzare, esporre alla vista ed essere offerto alla conoscenza di piùpersone non per fini puramente folklorici, ma per una comprensione piùprofonda e generale di forme culturali dinamiche e vitali che riescono afar conoscere e riconoscere la comunità a se stessa e, per la prima volta,anche agli altri che stanno al di fuori di essa.Ma quale vetrina, pur simbolica, poteva avere in quel tempo, un canto,una leggenda popolare, un indovinello, un pregiudizio, un frammentoorale descrivente ricette culinarie ed usi della medicina popolare, una cre-denza o altri detti e ridetti racconti raccontati nei vari dialetti e da millevoci differenti. Quale potere culturale uniformato ci poteva essere in quel-le parole raccontate in dialetto stretto e molte volte anche non dette affat-to. In nome di una conoscenza più generale dei popoli dell’Italia meridio-nale si percepisce, già in quella remota epoca, la più alta considerazionedella cultura subalterna che poi sono le tante culture popolari, le stratifi-cazioni culturali che non sono morte nella memoria ma che vivono nelracconto, cambiano, progrediscono, si modificano e non solo si trasmet-tono. Il limite della lingua dialettale e della toponomastica locale vienesuperato da un interesse più ampio e profondo rivolto verso tutto ciò cheviene recuperato dalla parola e dal dare parola alla gente, a pastori, conta-dini, pescatori, massari, coloni e fattori.È la storia della gente che vive la propria vita con le tante culture rac-contate addosso, parole possedute, tramandate e con la convinzione chedentro queste parole raccontate, gridate, sussurrate o solo percepite nellametafora e nel non detto, ci sia racchiuso il potere infinito del sapere tra-mandato da migliaia di anni prima testimoniato da rimasugli archeo-lingui-stici, in similitudine con racconti greci, o con antichi residui e contamina-zioni culturali di spagnoli, francesi, normanni, arabi, germanici…, repertiche vivono nel reperto vivo e nell’attuale contemporaneo del tempo.Il tesoro delle parole, recuperato da Luigi Bruzzano per la pubblicazio-ne della sua “La Calabria” di fine Ottocento, scalfisce la barriera delmondo popolare del tempo passato e ricordato con un recupero, alcunevolte davvero inedito, che scava nel tempo speciale delle feste, delle usan-ze e delle danze e dei passatempi del momento ludico, nel racconto dellenenie, nella descrizione di fatti e costumanze ritualizzate, del vitto e dellacucina, della medicina popolare, del vestiario, delle superstizioni e dellecredenze religiose, magiche e delle loro tante ritualità e liturgie.Ogni attività, anche la più semplice, non viene mai sottovalutata, vienepercepita come azione detentrice di cultura capace di fare luce sul caratte-42

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re più profondo di un popolo del Sud e dei caratteri che ne reggono lesorti, percependo pregi e difetti ma anche coscienza del mantenimento diuna resistenza di caratteri e caratteristiche di un’identità culturale e delsenso di appartenenza costruito dai calabresi, giorno dopo giorno, inmigliaia di anni.Franco Vallone

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Luigi Bruzzano e Monteleone

Vita e attività di Luigi Bruzzano sono strettamente intrecciate a quelledi Monteleone, nome con cui, nel Regesto del 1239 del re svevo FedericoII, era nota l’attuale Vibo Valentia e che si conservò fino al 1928 quando,con decreto del Governo Fascista di Roma, si preferì recuperare quellodell’antica colonia latina.L’Ottocento è un secolo cruciale nella storia dell’Italia e della Calabriama, val bene ricordarlo, è preparato, sotto la spinta della rivoluzione fran-cese, dal triennio 1796-1799, in cui si gettano le basi di un ritrovato nazio-nalismo e si ridefiniscono i termini della vita politica italiana, poiché sonosul tappeto le grandi questioni degli anni a venire: libertà, democrazia,indipendenza, unità. Agli inizi del secolo Napoleone, dopo aver creato laRepubblica Cisalpina, col proclama di Schoenbrunn dichiara finita la casa-ta borbonica, costringe Ferdinando IV alla fuga in Sicilia, mette sul tronoil fratello Giuseppe Bonaparte, quindi dà mandato al generale Massena dioccupare il Regno di Napoli e al generale Reynier di ridurre al dominiofrancese una Calabria già prostrata dal violento terremoto del 1783 e dalladura repressione, seguita alla breve parentesi della Repubblica partenopeadel 1799, ad opera del cardinale Ruffo, sbarcato a Reggio in qualità diVicario Regio.A Monteleone i francesi sono accolti a braccia aperte, ma il controllodel territorio non è facile, in quanto le truppe borboniche hanno l’appog-gio di bande di briganti che ostacolano le comunicazioni, depredano i vil-laggi, uccidono. Nel monteleonese il brigante Bizzarro1, a capo di 400uomini, mette a dura prova il generale Messana che chiede inutilmente,1 F.S. Nitti, Eroi e briganti, Longanesi, Roma-Milano, 1946, pp. 43-44.

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con un bando, la resa pacifica delle armi. La situazione si normalizzerà,infatti, solo dopo la dura repressione del francese Manhès nel 1810.Con Gioacchino Murat, salito al trono nel 1806, la Calabria è divisa indue province: quella Citeriore, con capoluogo Cosenza, e quella Ulteriore,con capoluogo Monteleone che, dopo tre secoli, cessa di essere feudo ediventa, grazie anche alla posizione strategica, un centro di grande rilievo.La fine dell’Età napoleonica e, in Calabria, della centralità diMonteleone, è segnata dal congresso di Vienna del 1815, che riconsegnail regno di Napoli a Ferdinando IV, col titolo di Ferdinando I Re delle dueSicilie. Inizia, con la Restaurazione, un periodo di decadenza economica esociale che dura fino al 1860 e oltre, come testimonia anche il vistoso calodella popolazione. Tuttavia, a dispetto del declino, il fermento culturale epolitico del periodo è intenso. Già alla fine del Settecento avevano comin-ciato a circolare, fra gli intellettuali monteleonesi, le idee liberali dellaRivoluzione francese e della Massoneria che, perseguitata a più riprese daCarlo III e Ferdinando IV, aveva attecchito perché auspicava la fine diprincipati e sacerdozi, in quanto compromissori della libertà che Dio hadato all’uomo2.Dopo il 1815, inoltre, si vanno diffondendo in tutta Italia le “venditecarbonare”, col parziale contributo di quel ceto borghese che aveva vistoridimensionate, con la caduta di Napoleone, le proprie prerogative. Senzaun reale programma politico, esse legano la loro vicenda nazionale a quel-la europea, sulla base dell’idea che libertà individuale e libertà dei popolisiano incontestabilmente collegate. A Monteleone sono attive, in questianni, due “vendite”, quella della Valle del Mesima e quella della Valled’Angitola, vecchi nomi di significativa derivazione massonica. Il malcon-tento della popolazione, del resto, è enorme: le tasse sono esiziali, il com-mercio è danneggiato dalle imposte doganali, la proprietà rustica èdeprezzata. In Calabria la repressione dei carbonari è violenta: donne, vec-chi e bambini vengono torturati perché facciano i nomi degli affiliati allesette.Né va meglio da Napoli a Torino: i moti del 1820-21, che non registra-no la partecipazione del popolo e neppure delle classi medie, falliscono.Diversi, tuttavia, i calabresi che vi partecipano e, fra questi, il monteleone-se Michele Morelli che, a Nola, è catturato e subito ucciso3.2 A. Dito, Storia della massoneria calabrese. Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria, Brenner, Cosenza, 1980.3 R. Giraldi, Il popolo cosentino e il suo territorio: da ieri a oggi, Pellegrini Editore, Cosenza, 2003, p. 165 e ss.

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Delude anche il biennio 1831-33, nonostante la discesa in campo dellaborghesia. Comincia, così, un periodo di relativa stasi in cui si riflette sulfallimento dei moti e si prepara, sotto l’egida di Mazzini e dei liberali, orain sintonia ora divergenti, una nuova idea d’Italia. Parole d’ordine: indi-pendenza, unità, libertà. Strumenti: educazione e insurrezione. Necessitàindividuata: mobilitazione popolare. A Monteleone, che conta ormaimeno di ottomila abitanti, gli anni Trenta sono tempo di rinascita: si aprel’ospedale civile sui resti dell’antico convento carmelitano, giunge in visi-ta Ferdinando II che promette la costruzione di un orfanotrofio e di unistituto agrario, fioriscono attività artigianali e opifici come quello per lalavorazione della seta, lavorano diverse tipografie, è presente una scuolapittorica4 che, aperta nel Seicento, continua a produrre tele su committen-za non solo religiosa ma anche privata.Uno svizzero, Didier, nel resoconto del suo viaggio in Calabria, parle-rà della Monteleone di questi anni come di un centro che va europeizzan-dosi, a dispetto di ciò che si vede nel resto della regione5. Certo, l’istruzio-ne è ancora per pochi: trascurata dai francesi, è volutamente negata daiBorboni, secondo cui il popolo non deve pensare ma è sufficiente checonosca i rudimenti dell’alfabeto. Alle bambine, ad esempio, si richiedeessenzialmente di saper lavorare a maglia e di avere una buona formazio-ne cristiana. E tuttavia, nei primi anni Quaranta, è attivo un gruppo di gio-vani di idee liberali, come Musolino (fondatore a Napoli dei Figli dellaGiovane Italia, cui aderisce Luigi Settembrini), Presterà, Santulli, Morelli,Nicotra, Ammirà, Capialbi, che si riuniscono a casa di Cordopatri o alcaffè Minerva.Falliscono però, e tragicamente, i moti di Cosenza del 1844 e di Reggiodel 1847. A Cosenza un giovane Plutino, reduce dal Comitato centrale diNapoli, aveva riferito agli aderenti alla Giovane Italia la decisione dei varipartiti costituzionali e dei repubblicani di «piegar le bandiere di fronte aivitali interessi della nazione»: Mazzini, in sostanza, aveva offerto la coro-na d’Italia a Carlo Alberto perché guidasse la lotta contro l’Austria e solouna futura costituente nazionale avrebbe deciso la forma di governomigliore. La rivolta, scoppiata il 15 marzo del 1844, è subito repressa, mala notizia non giunge a Corfù da dove i veneziani Bandiera, ex ufficiali4 C. Carlino - G. Floriani, La “Scuola”di Monteleone. Disegni dal XVII al XIX secolo, Rubbettino, SoveriaMannelli, 2001.5 A. Borello (a cura di), Cronistoria di Vibo Valentia. 1830-1899, in “Sistema bibliotecario vibonese”, “Bibliotecadigitale”, 2000, p. 263 e ss.

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della marina austriaca, partono per portare il loro aiuto. Sbarcati aCrotone, guidati da quello che considerano un profugo politico, in realtàil brigante Meluso, vengono traditi, catturati nei pressi di San Giovanni inFiore e condannati a morte.Tre anni dopo, in una Reggio che ritiene maturi i tempi, rientranodiversi studenti da Napoli, Palermo, Torino per fare propaganda rivoluzio-naria. Ancora una volta le decisioni arrivano dal Comitato napoletano diliberazione: l’insurrezione dovrà partire, contemporaneamente, daCosenza e Palermo. Ma i siciliani non ci stanno: vogliono la costituzionesolo trattando pacificamente col re. È un nativo di Santo Stefanod’Aspromonte, Romeo, a decidere: toccherà a Messina e Reggio insorge-re per attirare le truppe borboniche in maniera da consentire ai rivoltosi,attraverso la via dei monti, di raggiungere Palermo e Napoli. A Messina larivolta è subito sedata. A Santo Stefano d’Aspromonte, benedetta la ban-diera dal parroco e accorsi aiuti da tutti i paesi limitrofi, si insorge al gridodi «viva il re costituzionale, viva la libertà». Ma si perde tempo, a vantag-gio del generale Nunziante che, da Pizzo, risale via via fino a Monteleonee oltre, riuscendo ad accerchiare i rivoltosi costretti sui monti: chi nonmuore, è condannato al carcere duro6.È il 1848 la data cruciale per l’Europa: i popoli si ribellano ai governiassoluti; da una Sicilia che ha anima separatista parte l’insurrezione chepresto infiamma l’intero napoletano; Venezia e Milano sono teatro dirivolta contro gli austriaci. La partecipazione dei calabresi è grande.Rientra, dopo un esilio di circa trent’anni, quel Guglielmo Pepe che primaaveva combattuto al fianco di Murat contro gli Austriaci e poi partecipa-to ai moti del 1820. A Reggio gli studenti scendono in piazza. FerdinandoII, messo alle strette, è costretto a concedere la costituzione, che prevedel’istituzione di una Commissione dei Pari in cui entrano due monteleonesi,Taccone e Gagliardi. L’esempio sarà seguito in Piemonte, in Toscana, aRoma. Il disaccordo tra re e Parlamento sulla formula del giuramento,però, induce Ferdinando II a sciogliere la Camera dei deputati riunita aMonte Oliveto. Il 15 maggio è guerra civile. La notizia raggiunge laCalabria dove i Comitati per la salute pubblica di numerosi centri insorgono.A Cosenza si forma un governo provvisorio che dichiara rotto ognipatto tra il re e il popolo e chiede aiuto ai siciliani nella lotta per l’indipen-6 F. Aliquò Taverriti, La Calabria per la storia d’Italia, “Corriere di Reggio”, Reggio Calabria, 1960, p. 41 e ss.

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denza; Catanzaro è in subbuglio; a Reggio si vivono ore di attesa; aSant’Eufemia d’Aspromonte convergono i patrioti reggini guidati daPlutino, Romeo, Cuzzocrea, Di Lieto che, con 500 volontari, formano ilCorpo dell’esercito calabro-siculo. Si appellano, con volantini, al popolo, “carnevenduta alle voglie di ogni dispotico capriccio”, perché riprenda in manoil suo destino senza più affidarsi al sovrano. A Monteleone la gendarme-ria borbonica è disarmata, ma lo sbarco del generale Nunziante pone subi-to fine all’insurrezione in tutte le province. Ricominciano, così, le trattati-ve. Il re fissa, per il 15 giungo, i comizi per l’elezione dei deputati; ilParlamento inizia i suoi lavori a luglio ma, l’anno che segue, è denso ditensioni finché, nel giugno del 1849, sciolto il Parlamento, tolta la coccar-da tricolore dalla bandiera bianca, ricomincia l’ondata delle persecuzioni.Si assiste, nei tre anni successivi, a una serie di processi farsa a danno deiliberali, in cui il nuovo Procuratore Generale, Morelli, detto la “jena”, con-tribuisce alla distorsione dei fatti per favorire le condanne. I ricorsi degliimputati vengono rigettati dalla Corte Suprema di Napoli e solo la prote-sta popolare fa sì che le condanne siano mitigate: sei su 49 i condannati,con pene da sette a trent’anni.Nel 1852 Ferdinando II scende di nuovo in Calabria, di nuovoMonteleone lo ospita, ma il clima resta teso: si susseguono vendette, per-secuzioni, perquisizioni. La magistratura è sotto pressione, gli studentisono tenuti d’occhio. È di questi anni l’arresto del monteleonese Ammiràche, processato per la sua attività di diffusione delle idee liberali, è accusa-to persino di offendere il buon costume in quanto tiene in casa una copiadel Decameron di Boccaccio. Non è comunque venuta meno, nonostante lebatoste, l’azione dei liberali monteleonesi. Lo stesso re rischia la vita permano di un calabrese, Agesilao Milano, che, dopo la leva, riuscito con unostratagemma ad entrare nel corpo dei Cacciatori, durante la parata dell’8dicembre del 1856 a Campo Capodichino, riesce a raggiungereFerdinando II e a colpirlo col calcio del fucile.Intanto, mentre il dibattito nazionale divide l’ipotesi mazziniana di unarivoluzione popolare dalla proposta monarchico-governativa di Cavour, levicende precipitano e le due soluzioni finiscono col trovare una sintesi. Nel1857 fallisce la spedizione a Sapri di Pisacane, che ha al fianco i calabresiNicotera e Falcone. Mazzini sacrifica definitivamente l’idea repubblicanaalla libertà degli italiani, i franco-piemontesi combattono contro gli austria-ci, crollano i ducati di Toscana ed Emilia, nasce il regno dell’Italia del nord.I successi infiammano il sud: a Reggio, nella bottega di un barbiere, si radu-49

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nano a più riprese i rivoltosi. La spedizione in Sicilia è uno dei momentichiave dell’unità d’Italia: nel 1859 Francesco II subentra al padre, fiuta latristezza dei tempi e si affretta a concedere la costituzione, ma è tardi e tuttilo abbandonano. L’anno successivo Garibaldi sbarca a Marsala, sbaraglia iborbonici, raggiunge da liberatore Palermo e si appresta ad attraversare laSicilia mentre a Reggio Calabria sono pronti i comitati insurrezionali, chearruolano volontari allo scopo di formare un campo in Aspromonte. Èl’uomo giusto, pragmatico e capace di animare il popolo, senza necessaria-mente avere lo spessore del maestro Mazzini poi rinnegato.La sua impresa aveva messo in moto i calabresi che vivevano a Torinoe a Genova e che subito avevano avviato un’affannosa colletta di soldi edarmi. Da Quarto si erano imbarcati con lui nove cosentini, sei catanzare-si e altrettanti reggini. Destinazione Sicilia, dove tuttavia l’insurrezione erafallita sul nascere. Le tappe del generale erano state trionfali: Calatafimi,Palermo, Milazzo, Messina. Sotto la guida di Musolino e Plutino, ai cala-bresi era stato affidato il compito di occupare il forte di Altafiumara, sullostretto, per facilitare il passaggio del generale. Il piano, però, era mutato ei patrioti erano risaliti sui monti per attirarvi le truppe borboniche dellacosta. A San Lorenzo, in duecento e ben accolti dalla popolazione, il 16agosto danno il via all’insurrezione e, il giorno successivo, si ricongiungo-no con Garibaldi a Mileto. Intanto, le truppe borboniche di stanza aMonteleone sono allertate e, proprio mentre Garibaldi e Bixio raggiungo-no Mileto, il generale Ghio prepara la ritirata a Napoli. Il 21 agosto, dopoaspri scontri, Reggio è conquistata e a Londra giunge la notizia che ilRegno di Napoli è ormai cancellato dalle carte d’Europa.Ricomincia la salita. I paesi insorgono. Garibaldi raggiunge unaMonteleone sguarnita che lo accoglie trionfalmente e vi sosta, ospite delmarchese Gagliardi, dal balcone del cui palazzo incita la gente venuta adascoltarlo: «Se un popolo risponde al grido di libertà - dice - esso è degnod’averla». Proprio a Monteleone c’era stato un precipitoso quanto inutilecambio di guardia: il maresciallo Vial, preoccupato dalle notizie che giun-gevano, si era dimesso e da Pizzo, con un migliaio di soldati, si era imbar-cato alla volta di Napoli; il suo successore, il generale Ghio, non avevapotuto far altro che abbandonare il paese e mettersi in marcia versoTiriolo. Intanto, Catanzaro, Maida, la stessa Tiriolo vengono liberate. DaMaida Garibaldi chiede aiuto contro le truppe di Ghio ferme a SoveriaMannelli. Ed è a questo punto che la storia del poeta e patriota LuigiBruzzano e quella della sua terra si intrecciano: il 30 agosto, a Soveria50

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Mannelli, poco più che ventenne, prende parte allo scontro tra i garibaldi-ni guidati dal generale Scocco, che aveva organizzato un suo gruppo, iCacciatori della Sila, e i borbonici guidati da Ghio che, vistosi circondatodalle truppe nemiche posizionate sulle alture e incalzato frontalmente daGaribaldi, si arrende insieme ai suoi 10.000 uomini.Il resto del tragitto, fino a Salerno, è un passaggio attraverso rivolte giàcompiute. Nella cittadina campana Garibaldi incontra altri due calabresi,Salazar e Piria, lo stesso che di lì a poco, su incarico di Cavour, avrebbepreparato il plebiscito in Calabria. Poi la cronaca: in ottobre, a Teano, ilDittatore dell’Italia Meridionale consegna a Vittorio Emanuele II le dueProvincie continentali delle Due Sicilie che, come ratificherà nel docu-mento a sua firma dell’8 novembre successivo, lo hanno scelto quale loroSovrano Costituzionale, unendosi alle altre Province d’Italia, con1.302.064 di voti a favore e 10.312 contro. Fra i parlamentari del nuovoRegno un monteleonese, Musolino e, fra i senatori, quel marcheseGagliardi che aveva finanziato l’impresa garibaldina7.Gli ultimi decenni dell’Ottocento sono di grande fermento politico, eco-nomico, sociale e culturale in Italia, ma il Sud da subito arranca. Alla Camerail deputato del collegio di Melito Porto Salvo, Agostino Plutino, protestaripetutamente contro la cattiva amministrazione regia, propensa a “piemon-tesizzare” i territori liberati da Garibaldi. Ovunque si chiede Roma capitale,ma la Francia si oppone e il governo Rattazzi scontenta tutti. Così Garibaldi,nel 1862, torna in campo, risale da Palermo verso Napoli ma è fermato eferito ai Forestali, sull’Aspromonte, nel corso di uno scontro con i sessantabattaglioni che, guidati dal generale Cialdini, gli sono stati mandati contro,mentre a Reggio la Giunta Municipale, il Consiglio Comunale e gli ufficialidella Guarda Nazionale si dimettono. Garibaldi ritornerà in Calabria,ammalato, nel marzo del 1882, per raggiungere Palermo e partecipare allacommemorazione dei Vespri. Il viaggio in treno è lentissimo: dappertutto,lungo i binari, folle di calabresi giunte a salutarlo. Il legame con Reggio èforte, la città non l’ha mai dimenticato, nel decennio successivo alla spedi-zione gli ha conferito una medaglia, lo ha eletto presidente onorario dellaSocietà Operaia di Mutuo Soccorso, gli ha mandato un assegno di mille lire annuenel momento in cui lo ha saputo in difficoltà8.

7 F. Aliquò Taverriti, op. cit.8 Ibidem.

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Eppure, masse intere di contadini ridotte in miseria gli rimproverano dinon aver mantenuto la promessa di una riforma agraria: l’agognata unità haprodotto un ulteriore arretramento nelle loro condizioni di vita, provocan-do periodiche insurrezioni e acuendo il fenomeno del brigantaggio. È unpiccolo esercito composito quello che si ribella, fatto di braccianti esaspe-rati dallo sfruttamento dei latifondisti, dall’eccessiva tassazione, dalla priva-tizzazione delle terre demaniali, dalla vendita dei beni ecclesiastici, dall’ob-bligo del servizio di leva e poi di pastori, ex garibaldini, ex soldati dell’eser-cito borbonico, malviventi, latitanti: sono, per la gran parte, i “cafoni” diSalvemini in guerra contro i “galantuomini” locali e l’industrializzazionedel nord. La repressione, affidata al generale Cialdini, è dura: la legge Picadel 1863, che gli conferisce poteri speciali, consente di colpire non solo ipresunti briganti ma anche parenti e semplici sospettati.In Calabria, la rottura dell’isolamento ha creato le condizioni per l’av-vio di una situazione stabile di marginalità economica. L’apertura di unmercato nazionale e l’estensione del gravoso sistema fiscale piemontese,grazie alle cinque leggi Bastogi che si sono susseguite tra il 1861 e il 1862,hanno colpito le poche industrie esistenti. Fino alla metà dell’Ottocento,infatti, la regione, nei territori del cosentino e del marchesato crotonese,produce il 70% della liquirizia consumata sul territorio nazionale e questoè l’unico prodotto che ancora a fine secolo riesce ad esportare in Belgio,Gran Bretagna e Olanda. A Catanzaro, Cosenza e Villa San Giovanni èstata a lungo attiva la manifattura della lana. Funzionavano bene i compar-ti alimentare e meccanico, la lavorazione di cuoio e pelli, le industrieestrattiva e metallurgica. Già alla vigilia degli anni Settanta e nel ventenniosuccessivo cambia tutto: la crisi agraria, conseguenza di un mercato libe-ro che trova le campagne impreparate a competere con i paesi europei,determina il crollo di settori trainanti come quello granario e vinicolo;declinano le industrie e le piccole unità produttive di tipo artigianale; pren-de il via il fenomeno migratorio, unico in grado di determinare quel flus-so di risorse che può dare respiro alla bilancia dei pagamenti e consentire,a molte famiglie, di sottrarsi alla miseria9. Il malumore è enorme: il Sud sisente tradito e depredato da chi avrebbe dovuto sanare le strutture feuda-9 V. Daniele, Ritardo e crescita in Calabria. Un’analisi economica, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005. Dello stes-so autore è possibile consultare Una modernizzazione difficile. L’economia della Calabria oggi, Rubbettino,Soveria Mannelli, 2001. Notizie sulle industrie nel Regno di Napoli si trovano in M. Petrocchi, Le industriedel Regno di Napoli dal 1850 al 1860, Edizioni R. Pironti, Napoli, 1955. Il periodo di crisi è sintetizzato daA. Placanica, Storia della Calabria dalle origini ai nostri giorni, Meridiana libri, Catanzaro, 1993, p. 348 e ss.

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li lasciate dai Borboni e, invece, adotta una politica di rapina. Nessungoverno pare realmente interessato alle sorti della parte più debole e arre-trata del paese: è di Depretis la tassa sul grano, come di un meridionale,Crispi, quella politica protezionistica che va ad intaccare la piccola coltu-ra vinicola ingrassando le entrate del Nord e i latifondisti del Sud, ben rap-presentati in Parlamento e favoriti da un sistema elettorale che esclude daldiritto di voto chi non sa leggere e scrivere. Salvemini invoca il federali-smo come unica faticosa via d’uscita10; ancora negli anni Venti del nuovosecolo Gramsci denuncerà il “patto mostruoso” tra la classe liberale e pro-gressista del Nord e i latifondisti reazionari del Sud voluto da Crispi che,alla domanda di terra dei contadini meridionali, risponde con la facile pro-messa delle conquiste coloniali11.Appare lontanissimo quel Nord insieme al quale si è lottato per l’indi-pendenza e l’unità. Lì crescono i poli industriali; si forma un proletariatoindustriale con ansie e istanze diverse da quelle degli operai che, lavoran-do in fabbriche avvantaggiate dal protezionismo, godono di miglior trat-tamento salariale; cresce una coscienza operaia di classe che avanza le suerivendicazioni non più solo attraverso la rete solidale delle Società Operaiedi Mutuo Soccorso ma anche attraverso l’Associazione Internazionaledegli Operai, di matrice anarchica. Si discute e, nella Milano del 1882, sigiunge alla costituzione del Partito Operaio Italiano, subito ridotto allaclandestinità dalla parte più conservatrice della borghesia.E, però, il fiume è inarrestabile: si diffonde il marxismo; nel 1889 dele-gati italiani del Partito Operaio partecipano, a Parigi, alla SecondaInternazionale; le diverse categorie dei lavoratori si organizzano in federa-zioni; si costituiscono le prime Camere del Lavoro; nasce a Genova, nel1892, il Partito Socialista, che tenta di mediare tra socialdemocrazia e spin-te rivoluzionarie. La crisi del ’93, che segna un regresso delle condizioni divita di operai e contadini, non trova impreparati e, alla fine degli anniNovanta, sono proprio gli operai a scendere in piazza, da soli e senza gros-sa organizzazione, intanto che i socialisti tentano la via della mediazione esi spaccano. Il secolo si chiude con lo sciopero generale di Genova12.

10 G. Salvemini, Il federalismo, in R. Villari (a cura di), Il Sud nella storia d’Italia, vol. II, Laterza, Roma-Bari,1977, p. 348 e ss.11 A. Gramsci, Il Mezzogiorno e la rivoluzione socialista, in R. Villari (a cura di), op. cit., p. 535 e ss. Sullo stes-so tema cfr. A. De Viti De Marco, Il miraggio della Libia, in R. Villari (a cura di), op. cit., p. 424 e ss.12 M. Michelino, 1880-1993. Cento anni di lotte operaie, Edizioni Laboratorio politico, Napoli, 1993.

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Diffuso è il pregiudizio, anche in ambiente operaio e favorito dal rifor-mismo socialista, che l’arretratezza del Mezzogiorno sia legata all’inferio-rità della sua razza13. Quando Gramsci affronterà la questione meridiona-le - individuando nell’alleanza tra la borghesia settentrionale e i grandiproprietari terrieri del sud le ragioni dell’immobilismo semifeudale delMezzogiorno ridotto, insieme alle isole, a “colonia di sfruttamento” - invi-terà il proletariato industriale del nord ad allearsi con i contadini del sud ea guidare la lotta per l’emancipazione14.E tuttavia, nei piccoli centri calabresi, sia pure con forte caratterizza-zione locale, non manca il fermento culturale che si respira nel resto delpaese. A Monteleone di Calabria, all’indomani dell’Unità, si succedonocome sindaci gli uomini che avevano guidato idealmente il rinnovamento,come Cordopatri, Gagliardi e Capialbi; scrivono e pubblicano figure ver-satili come Cordopatri, Morelli, Santulli, Pignatari, Lumini, Morabito,Ammirà, Marzano, Gasparri, Mele; uno dietro l’altro vedono la luce diver-si fogli periodici, in cui è dato grande risalto ai problemi locali e alle tra-dizioni popolari e che meriterebbero maggiore approfondimento: “LaVoce pubblica”, “La Verità”, “La Ghirlanda”, “Folklore calabrese”,“Cronaca Vibonese”, “Il primo passo”, l’“Avvenire Vibonese” di EugenioScalfari e, dal 1889 al 1902, “La Calabria. Rivista di letteratura popolare”di Bruzzano. Luci e ombre, comunque: il secolo qui si chiude, infatti, conl’arresto dei fratelli Raho, nella cui tipografia si stampavano giornalidemocratici e socialisti. Muta poco nei primissimi anni del Novecento.Ancora fogli e periodici, testate di destra o socialiste, testimoniano unvivissimo pullulare di idee e interessi. Bruzzano, che si era dedicato alrecupero delle tradizioni popolari in un momento particolarmente diffici-le per le masse del sud, muore nel 1902 e la sua cittadina si avvia al ven-tennio fascista tra alti e bassi.Vitalità politica e culturale, scavi archeologici e pubblicazioni di grandeinteresse come quelle di Umberto Zanotti Bianco e Paolo Orsi15, persona-lità di spicco come Lombardi Satriani e, poi, l’altra faccia della medaglia,che racconta il disastro di due terremoti, la miseria e l’emigrazione, le cat-tive condizioni igieniche, la malaria.Giovanna Canigiula

13 N. Colajanni, Per la razza maledetta, in R. Villari (a cura di), op. cit., p. 431 e ss.14 A. Gramsci, op. cit.15 M.A. Romano, L’archeologia di Paolo Orsi a Monteleone Calabro. 1912-1925, Qualecultura, Vibo Valentia, 2006.

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IndicePrefazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Perché . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Non sapere leggere e scrivere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Luigi Bruzzano e Monteleone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”SEZIONE IRecensioni e lettere di uomini illustriLa Calabria - Rivista di letteratura popolare. . . . . . . . . . . . . . ”SEZIONE IICanti Sacri e leggende religioseLa festa di Sant’Antonio protettore di Nicastro . . . . . . . . . . ”La leggenda di Sant’Antonio (secondo la redazione di Brognaturo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”La leggenda di Sant’Antonio (secondo la redazione di Monteleone) . . . . . . . . . . . . . . . . . ”La Madonna della lettera in Pannaconi di F. Mantella-Profumi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Leggenda di San Gennaro in Calafatoni di D. Corso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Leggenda di San Vito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canto religioso di Piscopio “Lu Rivogiu” . . . . . . . . . . . . . . . ”Canti Sacri di Vazzano di D.A. Fuscà . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canti Sacri e Leggende Religiose:S. Agazio protettore di Squillace e di Guardavalledi G. Brinati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Santa Marina patrona di Filandari di Carlo Albreto Taccone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canti Sacri di San Gregorio inferiore di G. Bonelli . . . . . . . ”La notte di San Giovanni di C. Bisogni . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Lamento del Devoto (per la Passione di Cristo) di G. Brinati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.

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La notte dell’Annunziata di Carlo Bisogni . . . . . . . . . . . . . . . ”Canti Sacri di Vazzano Calabro: A San Giuseppe . . . . . . . . . ”Canti Sacro di Pizzoni per l’Adorazione della Croce. . . . . . . ”Canto Sacro di Vallelonga: la Madonna di Monserrato. . . . . ”Canti Sacro di Pizzoni: a San Rocco. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canti Sacro di Pizzoni: a San Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canti Sacro di Pizzoni: a San Nicola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canto Sacro di Pizzoni: Rosario per il terremoto . . . . . . . . . ”Canti Sacro di Pizzoni: “all’Immacolata” . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canto Sacro: alla Madonna del Rosario . . . . . . . . . . . . . . . . . ”SEZIONE III Canti PopolariCanto popolare di Caridà di G.B. Marzano . . . . . . . . . . . . . . ”Canto popolare di Serra San Brunodi Vincenzo Agostino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canto popolare di Rossano (Ninne-Nanne)Di R. de Leonardis. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canto satirico di Carlo Giuranna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canto popolare di Cessaniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canti poloari di Mantineo di Vincenzo Lo Prelato . . . . . . . . ”Canti popolari di Monteleone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canti popolari di Palmi di A. De Salvo . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canti di Mandaradoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canti Rossanesi di R. de Leonardis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canti in pagamento (di Aiello) di Achille Giulio Danesi. . . . ”Canti popolari di Melicuccà di Carlo Buccisani . . . . . . . . . . . ”Canto Popolare “A Cuccagna” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canto Popolare “La Pippa” di Vincenzo Ammirà. . . . . . . . . ”SEZIONE IV Novelle e leggende popolariLeggenda di Papaglionti: “La tromba del Diavolo”di Vincenzo Taccone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Leggenda di Ionadi: “La chioccia e i pulcini d’oro”di Carlo Albreto Taccone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Leggenda “marinaresca” di Antonio Renda. . . . . . . . . . . . . . ”Novellina Popolare di Conidoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Novellina popolare: “La potenza del denaro” . . . . . . . . . . . . ”

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SEZIONE VUsi, costumi, credenze e tradizioni di medicina popolareUsi e Costumi di Serra San Bruno:sul dialetto calabrese e “canzoni” di Vincenzo Agostino . . pag.Costumanze e tradizioni di Mileto di Giuseppe Pardi. . . . . . ”Usanze Nicoteresi (breve) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Usi e costumi di Laureana di Borrello di G.B. Marzano . . . . ”Medicina Popolare: “Il giogo” di F.I. Pignatari . . . . . . . . . . . ”Medicina Popolare: “Rimedi contro le febbri palustri”di F.I. Pignatari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Medicina Popolare: “Tarantola, tarantolati, tarantella”di F.I. Pignatari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”SEZIONE VIIndovinelli, imprecazioni e facezieNdivinagghi (indovinelli) di Serra San Bruno di Vincenzo Agostino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Imprecazioni calabresi di G. De Giacomo. . . . . . . . . . . . . . . ”Facezie di Andrea Cefalì . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”SEZIONE VII Raccolta di proverbiIntroduzionedi Luigi Bruzzano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Modi proverbiali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Proverbi su- mesi dell’anno. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”- stagioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”- giorni della settimana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Altri proverbi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”- il sonno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”- meteorologia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”- agricoltura e bachicoltura. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”- etica per tutti i gusti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”- giurisprudenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”- atavismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”- fisionomia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”- igiene e medicina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”- prognosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”- matrimoni, famiglie e parentele. . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”- donna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”

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- educazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.- galantuomo e villano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Altri proverbi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”SEZIONE VIIITradizioni agiografiche della CalabriaS. Leoluca protettore di Monteleone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”SEZIONE IX Novelle e canti greciNovella Greca di Roccaforte testo, riduzione in caratteri greci e versione in italiano . . . . . ”Canti greci di Bova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”SEZIONE X Novelle e Canti albanesiCanto Albanese di San Nicola dell’Alto:“Il testamento dell’asino” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Canto albanese di Falconara . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”SEZIONE XI EtimologiaIl Dizionario etimologico del dialetto calabrese di G.B. Marzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Estratti del “Saggio sui Nomi calabresi che hanno origine nel greco” di G.B. Moscato . . . . . . . . . . . ”SEZIONE XII Documenti e manoscritti???????????????? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”Nota Biografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ”

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