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V oluta dal conte Ame- deo V nel 1290 la fiera franca di san Luca divenne il motore dell’e- conomia bussolenese: in quegli anni ricchezza materiale e promozione sociale della comunità locale raggiunsero il loro apice. Voluta in anni di duri conflitti di frontiera tra i conti sabaudi e i principi Delfini, per Amedeo V non fu tanto la necessità di valorizzare un mercato interno a spingerlo a promuovere la fiera, quanto piuttosto l’intento di sottrar- re risorse economiche ai suoi nemici più vicini. L’istituzione della fiera si spiega come vero e proprio atto di concorrenza commerciale con le più antiche fiere franche di Oulx e Briançon, volute e pro- tette dagli ostili conti d’Albon. L’operazio- ne si rivelò fortunata poiché la fiera di Oulx (nundine sancti Laurencii) fino a tutto il Duecento scadenza commerciale di una certa vivacità in quell’area alpina, tende a perdere importanza proprio negli anni successivi alla creazione della fiera bussolenese. Minore fu la capacità di incidere sul volume d’affari della fiera di Briançon, anche perché la fiera bussole- nese divenne una scadenza complemen- tare piuttosto che concorrente rispetto al commercio della valle della Durance. Lo scambio di merci e manufatti alla fiera di san Luca era senz’altro limitato se lo si confronta con quello delle grandi fiere internazionali del secondo medioevo, ma risulta invece notevole se lo si mette a confronto con i commerci interregionali di area alpina tra i passi del Moncenisio e del Monginevro. Collocata in una data (18 ottobre) che coincideva o era di poco successiva a quella in cui le mandrie lungo i tratturi della transumanza scendevano dagli alpeggi al termine della stagione estiva diretti verso la pianura lombarda, la fiera bussolenese si presentava allora come un robusto e vivace mercato boario, punto d’incontro tra le popolazioni subalpine e i montanari della Moriana e del Delfinato meridionale. Rilevante era soprattutto l’afflusso delle genti delfinatesi, giacché nel corso delle guerre delfino-savoiarde della prima metà del Trecento, che bloccarono durante gli eventi bellici più cruenti i commerci lungo la direttrice del Mongi- nevro, i rendiconti della fiera segnalano e registrano un forte calo delle entrate (quia homines Dalphini non venerunt propter guerram; computat minus quia non fuerunt mercatores de Brianczono nec bestie de Mauriana). Il giro d’affari che interessava il bestiame era notevole e lo si può valutare sulla base del diritto di mercato (leida nundi- narum) che il conte riscuoteva secondo una rigida tariffa: 12 denari per ogni bovino (de bovina bestia), 6 denari per i capi ovini (de ovina bestia), 8 per i maiali adulti (de porco pingui) e due per quelli da latte (de parvo porco) così come due denari erano riscossi per capretti e agnelli. Un vasto parco bestia- me era stato ricavato nei prati a sud-ovest del villaggio in una località che assunse appunto il nome di Prato della Fiera (pratus nundinarum, in via publica a parte superiori ipsius loci ubi nundine bestiarum tenentur) fuori Porta di Francia. Sull’altro lato dell’insediamento, fuori Porta di Piemonte, dove si teneva anche il mercato settimanale, trovava spazio la teoria di banchi degli altri gene- ri (banca mercandie) anch’essi colpiti dal conte con una tassa. Qui si esitavano panni francesi, fiamminghi e brabanzoni (panni Francie), fustagni piemontesi e in particolar modo chieresi e pinerolesi (fustanei), panni genovesi, milanesi e in genere delle terre pedemontane (panni Lombardie), preziose tele guarnite d’oro e di seta (panni de sirico, panni deau- rati), pelletterie e produzioni tessili loca- li (mercerie), ferro di lavorazione valsu- sina e torinese (calibis) oltre ai vari pro- dotti dell’artigianato locale tra cui si segnalavano gli oggetti lignei lavorati al tornio nella montagna di Bussoleno e S. Giorio (scutelle, incisoria, ciphi, curle, tine, vegetes, colorie). Notevole era poi la compravendita di vino destinato a rag- giungere i mercati del Delfinato. Se è vero che le presenze transalpine conno- tarono profondamente la frequentazione della fiera da parte di un pubblico occita- no e francoprovenzale, non meno rile- vanti appaiono le presenze subalpine e di area lombarda: a fine Trecento risultano infatti esenti dalla leida della fiera i mer- canti di Susa, Avigliana, Rivoli, Chieri, Savigliano e Ciriè che -escludendo Susa - costituivano il nerbo del commercio pedemontano. E’ inoltre evidente come la promozione economica del borgo dipen- desse in particolar modo dai capitali investiti nel controllo dei flussi e degli scambi commerciali secondo le esigenze della finanza mercantile subalpina, soprattutto chierese e torinese: si spiega così l’apertura di un banco feneratizio (casana) in Bussoleno nei primissimi anni del Trecento per iniziativa della famiglia Provana di Chieri e, in età avi- gnonese, l’arrivo dei da Gorzano e dei Savi. Il controllo fiscale della fiera era comun- que esclusivamente in mano al conte sabaudo che vi riscuote la leida sulle merci trattate e vendute, garantisce e col- pisce con un tributo le operazioni di pesatura (pondus nundinarum) e inte- gra le sue entrate con l’exitus ludi nun- dinarum, vale a dire con un tributo che colpiva il gioco d’azzardo: di per sé un’attrattiva non secondaria a giudicare dall’entità del ricavato spesso superiore a quanto il conte lucrava dalle operazioni di pesatura. I diritti sulla fiera passarono poi ai signo- ri locali per l’acquisto fattone dai della Catena dal duca Carlo III. Nel 1575 que- gli stessi diritti furono venduti dai della Catena al comune di Bussoleno. Fuori porta Piemonte si trovava l’ospeda- le medievale, uno dei più antichi della valle tra quelli a gestione comunale. Come tutti gli ospedali medievali fungeva da ospedale-ospizio, ma non svolgeva funzioni nosocomiali. Raccoglieva cioè poveri pellegrini e viandanti che non potevano permettersi l’ospitalità a paga- mento nelle locande. Un modesto arredo ne attrezzava le camerate (forme lecti, copertoria, lin- teamina) e la cucina (asiamenta vel utensilia coquine) sotto la direzione di un hospitalarius (talvolta anche donna) che prendeva in custodia l’edificio e redi- geva un inventario degli arredi impe- gnandosi a riconsegnare ogni cosa alla fine del mandato che era annuale se non reiterato. La ricettività era comunque modesta non potendo contare più di sette letti. L’ospedale, nonostante l’intitolazione a sant’Antonio non era però un ospedale antoniano nel senso di una dipendenza organica da S. Antonio di Ranverso. Si può tranquillamente escludere qualsia- si rapporto con la precettoria ranversia- na: quell’intitolazione registrava solo la fortuna e la diffusione medievale di una devozione verso il santo abate con il maialino che tra i montanari della Savoia, del Delfinato e dell’attuale Piemonte era una sorta di santo agrario polivalente. Patente sabauda dell’anno 1698 che concede al Comune di Bussoleno di tenere il mercato il venerdì di ogni settimana Anni ‘20. La Cappella di S. Antonio e i prati ad essa prospicenti ove negli anni ‘70 fu costruita l’attuale piazza del mercato 1821. Riproduzione dell’acquerello dipinto dal consigliere comunale Lorenzo Gianone che ritrae piazza della Chiesa in un giorno di fiera. Dalla piazza si accedeva al Borgo chiuso attraverso una porta, detta inferiore o di Piemonte, poi demolita nel 1815 La Fiera Provincia di Torino, Assessorato alla Cultura • Associazione “Centro Storico” • Comune di Bussoleno Testi di Luca Patria • Materiale illustrativo Centro Studi V. Bellone • Fotografie attuali studio Commisso

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Voluta dal conte Ame-deo V nel 1290 la

fiera franca di san Lucadivenne il motore dell’e-conomia bussolenese: inquegli anni ricchezzamateriale e promozionesociale della comunitàlocale raggiunsero il loroapice.Voluta in anni di duriconflitti di frontiera tra iconti sabaudi e i principiDelfini, per Amedeo Vnon fu tanto la necessitàdi valorizzare un mercatointerno a spingerlo a promuovere lafiera, quanto piuttosto l’intento di sottrar-re risorse economiche ai suoi nemici piùvicini. L’istituzione della fiera si spiegacome vero e proprio atto di concorrenzacommerciale con le più antiche fierefranche di Oulx e Briançon, volute e pro-tette dagli ostili conti d’Albon. L’operazio-ne si rivelò fortunata poiché la fiera diOulx (nundine sancti Laurencii) fino atutto il Duecento scadenza commercialedi una certa vivacità in quell’area alpina,tende a perdere importanza proprio neglianni successivi alla creazione della fierabussolenese. Minore fu la capacità diincidere sul volume d’affari della fiera diBriançon, anche perché la fiera bussole-nese divenne una scadenza complemen-tare piuttosto che concorrente rispetto alcommercio della valle della Durance.Lo scambio di merci e manufatti alla fieradi san Luca era senz’altro limitato se lo siconfronta con quello delle grandi fiereinternazionali del secondo medioevo, marisulta invece notevole se lo si mette aconfronto con i commerci interregionalidi area alpina tra i passi del Moncenisioe del Monginevro.Collocata in una data (18 ottobre) checoincideva o era di poco successiva aquella in cui le mandrie lungo i tratturidella transumanza scendevano daglialpeggi al termine della stagione estiva

diretti verso la pianura lombarda, la fierabussolenese si presentava allora come unrobusto e vivace mercato boario, puntod’incontro tra le popolazioni subalpine ei montanari della Moriana e del Delfinatomeridionale.Rilevante era soprattutto l’afflusso dellegenti delfinatesi, giacché nel corso delleguerre delfino-savoiarde della primametà del Trecento, che bloccaronodurante gli eventi bellici più cruenti icommerci lungo la direttrice del Mongi-nevro, i rendiconti della fiera segnalano eregistrano un forte calo delle entrate(quia homines Dalphini non veneruntpropter guerram; computat minus quianon fuerunt mercatores de Brianczononec bestie de Mauriana).Il giro d’affari che interessava il bestiameera notevole e lo si può valutare sullabase del diritto di mercato (leida nundi-narum) che il conte riscuoteva secondouna rigida tariffa: 12 denari per ognibovino (de bovina bestia), 6 denari peri capi ovini (de ovina bestia), 8 per imaiali adulti (de porco pingui) e dueper quelli da latte (de parvo porco) cosìcome due denari erano riscossi percapretti e agnelli. Un vasto parco bestia-me era stato ricavato nei prati a sud-ovestdel villaggio in una località che assunseappunto il nome di Prato della Fiera(pratus nundinarum, in via publica a

parte superiori ipsius loci ubi nundinebestiarum tenentur) fuori Porta diFrancia. Sull’altro lato dell’insediamento,fuori Porta di Piemonte, dove si tenevaanche il mercato settimanale, trovavaspazio la teoria di banchi degli altri gene-ri (banca mercandie) anch’essi colpitidal conte con una tassa. Qui si esitavanopanni francesi, fiamminghi e brabanzoni(panni Francie), fustagni piemontesi ein particolar modo chieresi e pinerolesi(fustanei), panni genovesi, milanesi e ingenere delle terre pedemontane (panniLombardie), preziose tele guarnite d’oro

e di seta (panni de sirico, panni deau-rati), pelletterie e produzioni tessili loca-li (mercerie), ferro di lavorazione valsu-sina e torinese (calibis) oltre ai vari pro-dotti dell’artigianato locale tra cui sisegnalavano gli oggetti lignei lavorati altornio nella montagna di Bussoleno e S.Giorio (scutelle, incisoria, ciphi, curle,tine, vegetes, colorie). Notevole era poila compravendita di vino destinato a rag-giungere i mercati del Delfinato. Se èvero che le presenze transalpine conno-tarono profondamente la frequentazionedella fiera da parte di un pubblico occita-no e francoprovenzale, non meno rile-vanti appaiono le presenze subalpine e diarea lombarda: a fine Trecento risultanoinfatti esenti dalla leida della fiera i mer-canti di Susa, Avigliana, Rivoli, Chieri,Savigliano e Ciriè che -escludendo Susa -costituivano il nerbo del commerciopedemontano. E’ inoltre evidente come lapromozione economica del borgo dipen-desse in particolar modo dai capitaliinvestiti nel controllo dei flussi e degliscambi commerciali secondo le esigenzedella finanza mercantile subalpina,soprattutto chierese e torinese: si spiegacosì l’apertura di un banco feneratizio(casana) in Bussoleno nei primissimianni del Trecento per iniziativa dellafamiglia Provana di Chieri e, in età avi-gnonese, l’arrivo dei da Gorzano e deiSavi.Il controllo fiscale della fiera era comun-que esclusivamente in mano al conte

sabaudo che vi riscuote la leida sullemerci trattate e vendute, garantisce e col-pisce con un tributo le operazioni dipesatura (pondus nundinarum) e inte-gra le sue entrate con l’exitus ludi nun-dinarum, vale a dire con un tributo checolpiva il gioco d’azzardo:di per sé un’attrattiva non secondaria agiudicare dall’entità del ricavato spessosuperiore a quanto il conte lucrava dalleoperazioni di pesatura.I diritti sulla fiera passarono poi ai signo-ri locali per l’acquisto fattone dai dellaCatena dal duca Carlo III. Nel 1575 que-

gli stessi diritti furono venduti dai dellaCatena al comune di Bussoleno.Fuori porta Piemonte si trovava l’ospeda-le medievale, uno dei più antichi dellavalle tra quelli a gestione comunale.Come tutti gli ospedali medievali fungevada ospedale-ospizio, ma non svolgevafunzioni nosocomiali. Raccoglieva cioèpoveri pellegrini e viandanti che nonpotevano permettersi l’ospitalità a paga-mento nelle locande.Un modesto arredo ne attrezzava lecamerate (forme lecti, copertoria, lin-teamina) e la cucina (asiamenta velutensilia coquine) sotto la direzione diun hospitalarius (talvolta anche donna)che prendeva in custodia l’edificio e redi-geva un inventario degli arredi impe-gnandosi a riconsegnare ogni cosa allafine del mandato che era annuale se nonreiterato. La ricettività era comunquemodesta non potendo contare più di setteletti.L’ospedale, nonostante l’intitolazione asant’Antonio non era però un ospedaleantoniano nel senso di una dipendenzaorganica da S. Antonio di Ranverso.Si può tranquillamente escludere qualsia-si rapporto con la precettoria ranversia-na: quell’intitolazione registrava solo lafortuna e la diffusione medievale di unadevozione verso il santo abate con ilmaialino che tra i montanari della Savoia,del Delfinato e dell’attuale Piemonte erauna sorta di santo agrario polivalente.

Patente sabauda dell’anno 1698 che concede al Comune di Bussoleno di tenere ilmercato il venerdì di ogni settimana

Anni ‘20. La Cappella di S. Antonio e i prati ad essa prospicenti ove negli anni ‘70 fu costruita l’attuale piazza delmercato

1821. Riproduzione dell’acquerello dipinto dal consigliere comunale Lorenzo Gianone che ritrae piazza della Chiesain un giorno di fiera. Dalla piazza si accedeva al Borgo chiuso attraverso una porta, detta inferiore o di Piemonte,poi demolita nel 1815

La Fiera

Provincia di Torino, Assessorato alla Cultura • Associazione “Centro Storico” • Comune di Bussoleno Testi di Luca Patria • Materiale illustrativo Centro Studi V. Bellone • Fotografie attuali studio Commisso