36
Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla quale dico semplicemente, come del resto lei stessa mi ha insegnato:あがとう ございした (con inchino) Anno 2015 La lingua italiana e gli apprendenti giapponesi: Due lingue e due metodi didattici a confronto Autore: Chiara Bellucci

La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

  • Upload
    vodat

  • View
    216

  • Download
    1

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko先生,alla quale dico

semplicemente, come del resto lei stessa mi ha insegnato:ありがとう ございました

(con inchino)

Anno 2015

La lingua italiana e gli apprendenti

giapponesi:

Due lingue e due metodi didattici a confronto

Autore: Chiara Bellucci

Page 2: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 2

Può sembrare una cosa abbastanza insolita a dirsi, ma un apprendente di madrelingua giapponese, a discapito di quanto si possa credere, o di quanto lo stesso soggetto si ritenga, per ragioni culturali, poco portato per le lingue, una volta superato lo scoglio dei primi due livelli del QCER, di “incontro-scontro” con un idioma morfologicamente e sintatticamente lontano anni luce dal suo, i progressi dell’apprendente giapponese verso il livello intermedio e avanzato, si avvicinano e poi superano nettamente quelli di apprendenti di madrelingua più vicina all’Italiano.

Perché? La risposta è semplice. L’apprendente giapponese è motivato e soprattutto abituato a

studiare costantemente e, dunque, modellato mentalmente da una cultura dell’educazione scolastica molto più rigida di quella Occidentale.

Perciò potrebbe tornare molto vantaggioso al docente sfruttare la motivazione dell’apprendente giapponese e la sua capacità di memorizzare che è quasi innata, considerando che la lingua madre è prevalentemente “scritto-centrica” .

In giapponese, ogni parola, sia essa riferita ad un oggetto concreto o sia espressione di un concetto astratto, prima di essere scritta, richiede una duplice memorizzazione: 1) il numero dei tratti componenti il kanji1, 2) l’ordine dei tratti costituenti.

Alla rappresentazione mentale del “disegno” (emisfero destro del cervello) del kanji, segue poi la sua “esecuzione scritta” (emisfero sinistro del scervello) che riproduce minuziosamente l’ordine dei tratti (strokes) , fenomeno che la mia insegnante di giapponese chiama “memoria della mano”.

E non lo dice per scherzare. In Giappone la mano può avere memoria. Non è soltanto una questione linguistica dunque, ma un discorso di differenza culturale tra noi e loro.

E’ necessario conoscere la lingua giapponese per insegnare italiano a persone giapponesi?.

Allora, se la meta è molto alta e include l’IIC di Tokyo, ci metterei un bel si e aggiungerei anche a livello B1 del QCER. Negli altri casi, propenderei per un facoltativo “sarebbe meglio”, ma ciò che veramente si pone come must per un docente di italiano è conoscere la cultura dei destinatari dell’intervento didattico.

Non a caso nella bibliografia DITALS 1 disponibile sul sito unistrasi.it (Università di Siena) viene menzionato il saggio antropologico del professor H.Nakagawa “Introduzione alla cultura

giapponese”, che l’autore stesso definisce “saggio di antropologia reciproca” ovvero uno sguardo a

metà fra le due culture.

Il Professor Nakagawa per motivi professionali è stato in Occidente. La permanenza in Europa e la conoscenza della nostra cultura, gli hanno permesso di trascendere la distanza fra Occidente e Oriente, smentendo tanti luoghi comuni che non soltanto abbiamo noi dell’Oriente, ma che i Giapponesi stessi hanno degli occidentali, uno fra i quali, l’appellativo 青いめ aoi me=occhi azzurri.

Come se tutti gli occidentali avessero gli occhi azzurri, sottolinea ironicamente il Professor Nakagawa.

Il saggio è breve e di scorrevole lettura. E’ molto interessante e funzionale per il futuro docente di italiano che, per insegnare la nostra lingua e la nostra cultura, dovrà tenere sempre in considerazione quella giapponese per farsi capire e fare capire, per esempio, l’egocentrismo del pronome personale io, specie nel parlato italiano, laddove la lingua giapponese opta per un uso

1 Kanji=carattere cinese, preso in prestito a tutti gli effetti dagli Hànzì cinesi. Kanji in lingua madre è 漢字, dove 漢 significa Cina e 字 sta per carattere

Page 3: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 3

“lococentrico” dello stesso, sempre in rapporto con il noi e la situazione in cui la

comunicazione ha luogo.

Non dimentichiamoci che l’io nella cultura giapponese è un tutt’uno con la società, vista come un organismo unicellulare in cui ciascuno agisce non per il suo bene, ma per il bene della collettività, da cui un concetto di soggettività molto meno “prepotente” di quello Occidentale.

Quando un nostro studente va all’estero e lì vi rimane facendo carriera, per l’Italia è un vanto, un prestigio quasi, che un connazionale si distingua in eccellenza all’estero. Per un giapponese, un “cervello in fuga” o comunque un connazionale che si realizza professionalmente all’estero, non è né un vanto, né un prestigio, perché appunto, viene meno la struttura unicellulare della società giapponese, all’interno della quale il soggetto dovrebbe autorealizzarsi come individuo e come professionista.

Se tutto ciò avviene all’estero, qualcosa nel processo si è perso purtroppo e non è bello per un giapponese. Un individuo giapponese per essere motivo di orgoglio nazionale dovrebbe realizzarsi dentro il paese natale e non altrove.

Ancora una volta emerge chiaramente l’importanza di conoscere la loro cultura, se non necessariamente la lingua, per non cadere in errori di incomprensione o fraintendimenti spiacevoli non certo dovuti alla lingua, ma alla componente extralinguistica legata alla cultura.

Siccome fare il docente di italiano significa comunicare e veicolare contenuti oltre che linguistici anche culturali, prima di un rapido excursus a carattere contrastivo sulla lingua giapponese, brevemente propongo alcune differenze nel concepire la comunicazione in Occidente e in Oriente.

L’Occidente predilige una conversazione che va sempre dritta al punto e che si esprime in modo chiaro e franco a differenza di quella Orientale che è volutamente indiretta e che, saggiamente, aggiungerei, si focalizza sull’armonia dei rapporti.

Ciò vuol dire che un giapponese prima di parlare, mentalmente si chiederà: - “come la dico questa

cosa?”. Come detto in precedenza, in Giappone l’armonia dei rapporti viene prima di tutto e violare tale etichetta, magari parlando a sproposito, è sconveniente perché può risultare offensivo.

La nostra conversazione è molto emotiva e condotta dal cuore. Il parlare italiano è scandito

da gesti che molte volte variano anche a livello regionale. In Giappone, invece, la conversazione non prevede gesti. Si pensi ad un business man giapponese e al suo self-control. Il tutto parte dalla testa e fondamentali sono il tatto e la diplomazia.

In Giappone, i conflitti che possono insorgere in una conversazione vanno risolti con

discrezione, mentre in Occidente i conflitti vengono visti in accezione positiva.

L’Occidente non ama leggere fra le righe, ma l’Oriente si.

In Occidente un meeting tra uomini d’affari prevede l’interruzione reciproca, assolutamente mal vista in Giappone. Il giapponese non ama essere interrotto mentre parla. Non gradisce cambi di argomento di conversazione repentini, oppure, che a domanda, venga risposto – “non ho elementi

per rispondere” o “no, non sono d’accordo”.

Un’altra interessante caratteristica della persona giapponese e che si riscontra in ambito lavorativo o didattico è il rispetto per il silenzio -沈黙 (chinmoku).

Page 4: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 4

Il silenzio nella cultura giapponese significa tante cose ed è anche un modo di ascoltare, non certo un vuoto comunicativo. L’occidentale dovrebbe imparare a conoscere questo codice extralinguistico per non cadere nel luogo comune che l’apprendente giapponese sia passivo, disinteressato, distante, freddo e imperscrutabile.

Niente di tutto questo. In classe o anche in un meeting aziendale, il chinmoku indica rispetto verso chi parla, segno di ascolto profondo, di interesse verso chi sei e anche nel caso di grossa stupidaggine udita, un giapponese non sarà mai diretto nel dirti – hai detto una bestialità – perché teme di offendere.

Se un allievo giapponese fa un regalo al docente non è tentativo di corruzione e il docente dovrà accettare perché nella loro cultura fare regali è un’arte (Zoto).

E si potrebbe scrivere un miliardo di pagine a proposito delle differenze culturali, ma ritengo che questa introduzione sia più che sufficiente.

Passiamo ora alla lingua, perché per apprendenti di madrelingua distante dall’italiano come il cinese o il giapponese, non si può prescindere dall’utilizzare l’analisi contrastiva e dunque adottare un approccio scientifico.

La lingua giapponese

Se immaginassimo di essere un giapponese vissuto in Giappone nei primi dieci secoli, sicuramente il concetto di scrittura non ci sarebbe molto familiare. Il giapponese delle origini era una lingua orale e non conosceva scrittura, almeno fino al momento in cui cinesi e giapponesi sono venuti in contatto.

La scrittura è un regalo che i cinesi hanno fatto ai giapponesi e, insieme alla scrittura, hanno loro trasmesso l’importanza del segno scritto. La lingua cinese è infatti una lingua scritto-centrica, cioè il perno è sul carattere grafico (Hànzì) che in giapponese, come abbiamo visto si chiama kanji.

Ipotizziamo ancora di essere lo stesso giapponese descritto sopra e, che questo signore, ad un certo punto x del tempo, V secolo, diciamo, incontra un cinese (tenete presente che non stiamo parlando della lingua nazionale cinese moderna, ovvero il mandarino, ma del cinese di allora).

Il giapponese e il cinese si mettono vicini e guardano, ad esempio, una montagna. Il cinese, utilizzando la lingua cinese antica la chiamerà san, mentre il Giapponese, indicandola gli dirà – “nella mia lingua si dice yama”.

Con un po’ di fantasia, facciamo finta che i due interlocutori abbiamo fatto lo stesso giochino per tutte le altre cose e il risultato è stato quello di avere 2 pronunce distinte per ciascuna parola o anche di più, considerando la rapida evoluzione diacronica del cinese.

Per lungo tempo le varie pronunce sono state mantenute a fianco di ogni kanji, ma di certo, oggi, se andate in Cina e scrivete kitte cioè francobollo in giapponese 切手, per un cinese avete scritto

tagliare la mano a qualcuno, quindi attenzione con i significati.

Però, per ritornare al discorso delle pronunce, riprendiamo la nostra montagna e brevemente vediamo come il kanji di montagna compare in un dizionario, o meglio, tavole di kanji.

Page 5: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 5

Il kanji è il disegno sulla sinistra e le punte infatti evocano i picchi di una montagna. A destra abbiamo una lettura giapponese esplicativa kunyomi (yomu=leggere) scritta in hiragana o caratteri piatti giapponesi. Sotto, troviamo una lettura in cinese riprodotta tramite katakana

che i Giapponesi utilizzano per trascrivere foneticamente parole di origine straniera.

Dunque, in lingua autoctona, montagna è yama (trascrizione in caratteri latini o romaji), mentre in cinese, lingua straniera, è san o zan. Come hanno fatto i Giapponesi ad integrare i due sistemi? La risposta è tramite combinazione di kanji nei composti. Sebbene non sia la regola fissa, solitamente, più kanji messi insieme, seguono la pronuncia cinese, mentre il kanji singolo segue la pronuncia giapponese.

Se io dicessi in giapponese la montagna è alta, direi: 山 は 高い です (yama wa takai desu), ma se volessi dire il vulcano è alto, combinando cioè il kanji di montagna e quello di fuoco, perché un vulcano è una montagna di fuoco, dirò火山 は 高い です(kazan wa takai desu). Per dire vulcano

ho dunque associato il kanji di fuoco 火 ka e quello di montagna 山 yama. Non potrò dire

kayama, ma kazan, utilizzando, perciò, la lettura cinese.

Sottolineo ancora una volta che non è una regola matematica. La parola 山道 yamamichi, che vuol dire strada di montagna utilizza per entrambi i kanji la lettura giapponese: michi ha in effetti una pronuncia anche cinese (dō) di cui mi servirò, ad esempio, nella parola 国道 (Kokudō=strada

nazionale).

Il famoso brand yamaha 山山山山葉葉葉葉 (moto, tastiere musicali, ecc), come tutte i nomi giapponesi, ha un

preciso significato. Yama già lo sapete è montagna e ha 葉 è foglia (una delle tante pronunce). Utilizza però, malgrado siano due kanji, la pronuncia giapponese. Al contrario, quando foglia indica la foglia rossa autunnale, la pronuncia da seguire è la cinese 紅葉 (kōyō).

Attraverso i kanji abbiamo appreso anche i kana. Cioè le due scritture sillabiche giapponesi: hiragana e katakana (per trascrivere nomi stranieri).

Non conoscendo i kanji, potrei scrivere やま(ya-ma) per indicare la montagna, ma per presentare

me stessa agli amici giapponesi dirò キアラです(Chiara desu), cioè sono Chiara, poiché il mio nome

non è giapponese.

La particolarità del giapponese sta nel fatto che è un sistema misto di tre scritture “coesistenti”: kanji e i due kana.

Se dovessi infatti dire Io mi chiamo Chiara, userei, a tutti gli effetti, le tre scritture,

私はキアラです=watashi ha chiara desu, in cui:

私=watashi=io è un kanji

は= particella che indica il main topic della frase

キアラ= chiara, nome proprio di origine straniera scritto in katakana

です= verbo essere/sono: hiragana

山山山山

Japanese kun: やまやまやまやま

Japanese on: サン、 セン

Page 6: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 6

Quindi abbiamo imparato inconsciamente una caratteristica del giapponese scritto che è totalmente assente nel nostro alfabeto: la tridimensionalità.

Le nostre parole sono formate da lettere (segno grafico e significato) ma un kanji giapponese sarà invece composto da:

un disegno 山

una trascrizione fonetica in hiragana o katakana やま un significato: montagna

Ecco la prima difficoltà che un apprendente giapponese riscontra nell’imparare la nostra lingua che è bidimensionale. Se riflettiamo un pochino, ci accorgeremo che un ragazzino italiano di 11 anni accede alla scuola media già pienamente in grado di leggere e scrivere. Un ragazzino giapponese no. Saprà la fonetica e i kana, ma la scrittura kanji la apprenderà dalle medie in poi fino addirittura all’università. Per Giapponesi e Cinesi scrivere e leggere kanji nuovi impegna tutta la vita, è davvero life-long learning.

Oggi poi, per facilitare gli stranieri in Giappone nella lettura di cartelli e insegne, a fianco ai kana, troviamo i romaji, cioè la trascrizione in caratteri alfabetici latini dell’hiragana es. yama e, in alcuni casi, quando gli stranieri o i bambini giapponesi studiano i kanji, i loro docenti usano il furigana, ovvero utilizzare piccoli caratteri hiragana per aiutare lo straniero nella pronuncia del kanji. Sarebbe come scrivere la rappresentazione grafica del kanji qui in basso.

Sebbene ci sia stato dunque un prestito di scrittura dai cinesi, il cinese e il giapponese sono due sistemi completamente distinti. Il cinese è una lingua isolante e appartenente alla famiglia linguistica sino-tibetana, mentre il giapponese ha un’origine piuttosto controversa, anche se alcuni studiosi la inquadrano di preferenza nel gruppo uralo-altaico. Morfologicamente è agglutinante, come il finlandese ad esempio, in cui, data una parola, attraverso un gioco di affissi e desinenze è possibile crearne altre.

Malgrado la maggiore difficoltà per un apprendente giapponese sia la morfosintassi dell’italiano, rispetto ad un sinofono, un minimo di idea di radice e desinenza verbale, il parlante giapponese la ha. Tuttavia non è possibile paragonare la morfosintassi della lingua giapponese alla complessità morfosintattica italiana, anche solo per ciò che riguarda il verbo, che fa dell’italiano una lingua prodrop2.

Vediamo un esempio di funzionamento del verbo giapponese e scegliamo il verbo mangiare che è molto regolare.

2 In italiano possiamo tranquillamente omettere i pronomi personali. Dire noi mangiamo e mangiamo non influisce sul significato.

やまやまやまやま

Page 7: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 7

Un accenno al verbo giapponese

Questo kanji taberu, significa appunto mangiare. In giapponese i verbi vengono grammaticalmente scissi in radice che indica il significato del verbo ed è scritta in kanji (nel caso di mangiare il disegno stilizza il concetto di un uomo che finché mangia sta bene) e una desinenza scritta in hiragana.

Utilizziamo la tabella in basso per semplificare

Radice=significato del verbo Sillaba tematica Desinenza della forma piana (infinito) 食た食た食た食た=ta=ta=ta=ta べ bebebebe る rurururu たべるたべるたべるたべる taberu=mangiare

Anche l’italiano forma i verbi in modo simile. “Mangio” è infatti voce verbale composta dalla radice mang + una vocale tematica (i) + desinenza o, cioè il morfema che veicola l’informazione grammaticale: prima persona singolare del presente indicativo.

Diciamo che il giapponese però si spinge ben oltre. Dove l’italiano utilizza perifrasi, ad esempio, per esprimere azioni progressive quali sto mangiando, optando per tecniche analitiche, stare +

gerundio, come l’inglese to be + gerund, in giapponese, troviamo una tecnica sintetica, che non è simile alla classica marca aspettuale del verbo cinese, ma è più come specializzare una

sillaba che diviene cioè adibita ad esprimere la qualità dell’azione. Nel caso del presente

progressivo, tale desinenza è la forma in -te てててて.

Dunque, per dire sto mangiando, in giapponese dirò 食べています, (tabete imasu) in cui il て è

desinenza del presente progressivo e います è come dire “stare”. Ricordiamo che in giapponese i

verbi non hanno persone e posso tranquillamente usare食べています se riferito a me oppure ad altro soggetto.

Le desinenze sono praticamente ovunque e incarnano la natura agglutinante della lingua: masu (presente o futuro forma cortese) mashita (passato cortese) te-imasu (progressiva) nai-

de+kudasai (imperativo negativo cortese), nakerebanarimasen (esprime l’idea di dovere come il must anglosassone)

Il giapponese ha perfino una desinenza per esprimere la capacità o l’incapacità di fare una

cosa. Guardate le tre forme in basso, in cui viene evidenziata in rosso la desinenza.

1. 日本 の 新聞 を 読みみみみます= Nihon no shinbun o yomimasu = leggere il giornale giapponese

2. 日本 の 新聞 を 読んんんんででででいます= Nihon no shinbun o yonde imasu=sto leggendo il giornale giapponese

3. 日本 の 新聞 を 読めめめめます= Nihon no shinbun o yomemasu=so leggere il giornale

giapponese

読む yomu è il verbo di partenza alla forma piana o base. La radice è un kanji a cui viene aggiunta subito la desinenza dell’infinito senza sillaba tematica, ma:

� nel primo caso みみみみ è desinenza della forma cortese con cui traduciamo il presente o l’infinito.

� nel secondo caso でででで è desinenza del presente progressivo in cui んんんん è una doppia radice di yomu/yon

Page 8: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 8

� nel terzo caso il めめめめ è desinenza che indica abilità come il can inglese che significa sia potere

che saper fare, forma sinonimica per to be able to (I can drive, I can swim, I can read).

Un accenno all’aggettivo giapponese

Lo stesso si applica agli aggettivi se accompagnati dal verbo essere come copula, che porta noi italiani ad interpretare convenzionalmente il fenomeno come una coniugazione dell’aggettivo, quando in realtà sembrerebbe più una forma di attrazione o trattamento verbale dell’aggettivo, poiché non esiste il concetto di coniugazione in giapponese, ma è ammesso, nelle dovute restrizioni però, quello di paradigma3 per le voci verbali.

Si osservino le seguenti frasi in italiano positive e negative nel presente e nel passato con l’interpretazione giapponese di fianco.

Italiano Riformulazione in giapponese

Resa in giapponese Trascrizione fonetica

Questo libro è interessante

Libro interessante nel presente

この 本 は 面白面白面白面白いいいい ですですですです Kono hon ha omoshiroi desu

Questo libro non è interessante

Libro non interessante nel presente

この 本 は 面白面白面白面白くくくくないないないない Kono hon ha omoshirokunai

Questo libro era interessante

Libro interessante nel passato

この 本 は 面白面白面白面白かかかかったったったった Kono hon ha omoshirokatta

Questo libro non era interessante

Libo non interessante nel passato

この 本 は 面白面白面白面白くくくくなかっなかっなかっなかっ

たたたた Kono hon ha omoshirokunakatta

L’aggettivo interessante è面白面白面白面白い(omoshiroi). Abbiamo ora imparato a riconoscere le radici in kanji

e le desinenze in hiragana. La desinenza aggettivale è i ovvero い, che, in questo caso, è una vocale e

non una sillaba (le vocali in giapponese sono あ、い、う、え、お e ア、イ、ウ、エ、オ rispettivamente a, i, u, e, o in hiragana e katakana).

Quindi, se devo rendere l’idea di libro non interessante nel presente, un giapponese pensa nella seguente maniera:

Prendo l’aggettivo e lo privo della desinenza. La desinenza è い, dunque mi resta la radice

omoshiro 面白面白面白面白.

Rendo la radice negativa attraverso il suffisso くくくく ku ottenendo la forma avverbiale

omoshiroku 面白面白面白面白くくくく.

Completo con la desinenza ない negativo di esserci (forma piana aruある). La risultante è

面白面白面白面白くくくくないないないない omoshirokunai, cioè, non interessante.

Nel caso di libro interessante (grado positivo) nel passato, procedo nello stesso modo:

Privo la radice della desinenza い;

E’ altamente presumibile che in questo caso la forma avverbiale 面白面白面白面白くくくく non poteva

permettere l’attacco della desinenzaあった, atta, (passato di esserci, ある, aru)

direttamente a ku くくくく. Perciò la sillaba く e la vocale あ si sono fuse nella sillaba ka かかかか, dando

come risultato面白面白面白面白かかかかったったったった. (omoshirokatta)

3 Spesso il giapponese è stato definito il latino d’oriente. Ci sono interessantissime similitudini, ma di certo è controproducente intendere il concetto di paradigma in maniera similare alle voci fondamentali di un verbo così come le si trovano in un dizionario di latino. Le voci fondamentali di un verbo giapponese sono di gran lunga più ristrette e non esiste poi né il supino né il participio.

Page 9: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 9

L’ultimo caso è quello dell’idea di libro non interessante nel passato ed è facilmente spiegabile per analogia con i casi di cui sopra:

Partiamo direttamente dall’avverbiale 面白面白面白面白くくくく

La desinenza nai ない viene trattata come aggettivo e privata della い

Alla sillaba な viene aggiunto katta, di modo che abbiamo il concetto di non essere

interessante nel passato, e il tutto risulterà面白面白面白面白くくくくなかったなかったなかったなかった omoshirokunakatta.

Se avete notato ho escluso il futuro: il libro sarà interessante.

In giapponese non esiste il futuro. Il nostro sistema verbale, modellato sulla sintassi del verbo latino, prevede un tempo futuro, sulla base di un’ipotetica linea temporale, per esprimere azione che deve ancora svolgersi rispetto al presente.

La mente giapponese parte dal presupposto che il presente è certo, ma il futuro no: oggi mi sono svegliato, ma chi lo sa domani. Nella lingua giapponese esistono solo presente e passato, in quanto l’idea di futuro è espressa dall’avverbio. Il verbo rimane al presente, analogamente alle espressioni italiane che adoperano il presente + l’avverbio che indica futuro: “ci vado domani”, oppure “ci

trasferiamo il prossimo mese”.

Abbiamo quindi scoperto un’altra difficoltà che il parlante-apprendente giapponese incontra nello studio della lingua italiana.

� In italiano c’è il futuro; � In italiano gli aggettivi concordano in genere e numero con il nome a cui si

riferiscono e il fatto di esplicitare qualità presenti o passate è affidato

esclusivamente al verbo.

In un certo senso, essendo io stessa una studentessa di giapponese in contesto LS, mi diventa più facile, per diretta esperienza, capire quali sono gli ostacoli di apprendimento dell’italiano per un giapponese, poiché, in molti casi, si tratta delle stesse difficoltà “in reverse”che incontra un italofono nell’apprendere il giapponese.

Per gli italiani che studiano giapponese è essenziale studiare su testi scritti da giapponesi, magari con spiegazioni grammaticali in inglese, poiché utilizzare testi in cui l’autore deve per forza andare a ricercare delle corrispondenze, quasi fossero vitali, tra l’italiano, il latino e il giapponese, rasenta veramente l’assurdo.

E’ chiaro che non esiste solo la famiglia linguistica indoeuropea. Sentire parlare di coniugazione dell’aggettivo o futuro o preposizioni giapponesi, è abbastanza illogico, poiché le nostre categorie grammaticali non trovano corrispettivo nella lingua giapponese.

E’ verissimo che il giapponese presenta delle somiglianze straordinarie con la costruzione della frase latina, ma sarebbe sempre meglio evitare di studiare la morfosintassi di una lingua straniera, applicandovi le regole che si insegnano nei ginnasi e nei licei, considerando anche il fatto che sia il latino che il greco antico, pur non essendo morte, sono comunque lingue immobili, perché non più parlate e dunque fossilizzate nella loro evoluzione.

Il primo anno di giapponese per un italofono è falsamente incentrato sul metodo grammaticale traduttivo. Dico falsamente perché in realtà non è una traduzione, ma un costante tentativo da parte dell’insegnante di giapponese, attraverso schemi e boxini alla lavagna, di portare la nostra

Page 10: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 10

mente non a tradurre dall’italiano al giapponese, ma a pensare direttamente in giapponese, il che comporta una notevole differenza in termini di metodologia didattica.

Lo stesso vale per un locutore giapponese nei confronti della nostra lingua.

Il problema sta nel modo di intendere la traduzione, poiché essa non è mai un punto di partenza e una tecnica didattica. La traduzione è qualcosa di molto complesso che presuppone, sempre, a fianco alla competenza linguistica, altre componenti quali la competenza metalinguistica e la competenza culturale che consente al traduttore di astrarre le componenti culturali che influenzano una traduzione.

Tradurre dal giapponese all’italiano e viceversa è difficilissimo e servono anni e anni di esperienza per cercare di evitare che “tante informazioni” si perdano nella traduzione.

Le particelle giapponesi: le false preposizioni

Ecco un'altra grossa difficoltà per un parlante-apprendente giapponese: il tentativo di spiegare le

preposizioni italiane facendo riferimento alle loro particelle: は、が、を、に、へ、まで、から、

の e cosi via di scorrendo.

La prima cosa che mi sento di dire è che in giapponese, le particelle non possono essere preposizioni perché in realtà non sono preposte ma postposte, quindi al limite sarebbe più corretto chiamarle postposizioni.

Se voglio dire “vado in Giappone” dirò 日本へへへへ行きます nihon he ikimasu. Noterete che la

particella di moto a luogo he へ non è preposta (in Giappone) ma postposta (Giappone in).

Le particelle rimandano al latino e alla loro tecnica sintetica di rendere soggetto, oggetto e complementi indiretti (dativo e genitivo)

� Soggetto は、が

� Complemento oggetto: を

� Dativo: に

� Genitivo: の

Volevo brevemente soffermarmi sul soggetto e sul genitivo perché sono le particelle più difficili da reinterpretare in italiano per un apprendente giapponese.

In italiano, dall’analisi logica della frase, sappiano che il soggetto logico coincide con il soggetto grammaticale.

“Mangio la mela”.

In italiano si parte dal nucleo (verbo + argomenti) e in questo caso mangio, che essendo un verbo transitivo regge due elementi, cioè è bivalente. I due elementi sono il soggetto io e l’oggetto mela.

Il giapponese, come il cinese, è topic-prominent, cioè esistono due soggetti: un soggetto logico が

(ga) e un soggetto a livello di frase は (ha, letto wa).

Page 11: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 11

Rendiamola in giapponese

1 私 がががが りんご を 食べます(watashi ga ringo o tabemasu)

Io soggetto mela (c.oggetto) mangio, mangerò

La traduzione in questo caso è letterale. Cosa notiamo? Una frase simile a quella italiana tranne il fatto che

� Il verbo è a fine frase come in latino poiché il giapponese è una lingua SOV (soggetto-oggetto-verbo)

� Le particelle sono postposte e, come in italiano, accompagnano gli argomenti del verbo che è transitivo.

Utilizziamo, ora la stessa frase con ha は

2 私 はははは りんご を 食べます(watashi wa ringo o tabemasu)

La frase presenta la stessa identica traduzione, ma quello che cambia è la sfumatura di importanza che viene data al soggetto. In questa seconda frase è come se volessi focalizzarmi sul fatto che sono proprio io a mangiare la mela e non un altro soggetto, dunque, accettabile sarebbe una traduzione del tipo “In quanto a me, riguardo a me” mangio una mela

In Giapponese non ci sono gli articoli, ma i classificatori, che non tratterò in queste pagine, perché troppo complessi. La mela, una mela, le mele, delle mele; il tutto si desume dal contesto ed è molto ingannevole, ad esempio, sforzarci di intendere le particelle は/が soltanto come suppletive

dell’articolo italiano.

Vi ricordate di quella profondità della cultura giapponese di cui parlavo all’inizio? Questa sfumatura ne è un esempio.

Vediamo un caso in cui utilizzo entrambe le particelle. Il soggetto sono sempre io che mangio la mela, ma questa volta, nella frase, aggiungo altre informazioni e cioè che mangio la mela davanti all’ascensore mentre lo aspetto.

In italiano avrò “Davanti all’ascensore mangio la mela”

In giapponese dirò:

エレベーターエレベーターエレベーターエレベーター の 前 にににに はははは | 私 がががが りんご をををを 食べます (erebeta no mae ni wa watashi ga ringo o

tabemasu)

Ascensore di davanti a (topic ) io (soggetto logico) mela c.o mangio

Questa frase è ricchissima di elementi peculiari rispetto all’italiano e lo si può capire dalla pessima traduzione letterale. Esaminiamola insieme:

Sappiamo che la particella は è la particella che indica main-topic, quindi, in questa frase, prima di un soggetto logico (io), ci sarà un elemento su cui il parlante vuole che l’interlocutore focalizzi l’attenzione, cioè il luogo: davanti all’ascensore.

Non ci importa il fatto che io stia mangiando una mela. Ciò è secondario. Quello che ci interessa è il luogo “davanti all’ascensore”.

Page 12: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 12

Ricordate poi il katakana, cioè la scrittura sillabica per tradurre le parole straniere? Ascensore è un forestierismo o prestito adattato, da cui la resa fonetica dell’anglosassone elevator che diventa erebeta.

前 mae vuol dire “prima”, ma anche davanti, potenziato dalla particella di stato in luogo に ni

の traduce il genitivo sassone inglese, o la particella italiana di o il genitivo latino. E’ come dire

dell’ascensore davanti, davanti dell’ascensore oppure in italiano corretto davanti all’ascensore.

Sarebbe stato grammaticalmente corretto anche scrivere

エレベーターエレベーターエレベーターエレベーター の 前 にににに | 私はははは りんご をををを 食べます (erebeta no mae ni watashi wa ringo o tabemasu)

E’ un chiaro esempio in cui il soggetto logico e il main topic coincidono. La sfumatura, tuttavia, in questo caso, si sposta dal luogo alla persona. Importante, qui, è il soggetto “io” e non il luogo.

Se riprendete la frase con cui mi sono presentata dicendo私ははははキアラです=watashi ha chiara

desu, ora sapete, che quella particella è come tradurre-rendere la frase italiana con un “Riguardo

a me, io (soggetto sottointeso), sono Chiara”, vale a dire un altro esempio di soggetto logico e main topic che coincidono.

Non vi ricorda nulla questo modo di segmentare la frase? Sicuramente si. Le dislocazioni della nostra lingua. La logica è molto simile.

1. Di questo argomento, ne abbiamo già discusso

Rendiamo per un attimo la frase nell’ordine soggetto-verbo-oggetto

2. Abbiamo già discusso di questo argomento

Cosa succede nella prima frase? L’oggetto, “questo argomento”, viene posto in posizione tematica e non rematica, isolandolo dalla frase, quasi a focalizzare l’importanza su di esso, poi troviamo una virgola e il clitico che riprende il tema, più un soggetto sottointeso che è noi, perché lo deduciamo dal morfema abbia-mo. Tale frase è una dislocazione a sinistra, poiché l’oggetto è posto prima.

Se dicessi

3.Ne abbiamo già discusso di questo argomento

La dislocazione è a destra perché l’oggetto è alla fine e il ne non è in posizione anaforica ma cataforica, poiché ad inizio frase.

Se le particelle は e が si trovano poi nella stressa frase, la questione si complica maggiormente. Una frase italiana come “Il padre di Ilaria è un insegnante” in Giapponese può tranquillamente prevedere due soggetti: uno a livello di topica e uno a livello logico.

Rendiamo la frase in giapponese

イァリアイァリアイァリアイァリアさんははははお父さんがががが教師です。

Page 13: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 13

Letteralmente un giapponese pensa così:

• イァリアイァリアイァリアイァリアさんはははは (Ilaria-san wa)= riguardo Ilaria

• お父さんがががが (otousan ga)= padre

• 教師です(kyoushi desu) = è insegnante

Quindi, nella frase in esame, si distingue nettamente un main topic: Ilaria e un soggetto

logico: cioè suo padre.

Chiudiamo questa sezione con la particella の che indica possesso, ecco perché si tende ad identificarla con il gentivo, secondo un ordine inverso all’italiano che prevede determinato+determinante.

In Giapponese è l’inverso determinante+determinato.

Il mio gatto diventa di me il gatto cioè 私の猫 (watashi no neko), struttura simile anche in cinese

in cui il の viene sostituita dalla particella de的 e il pronome personale di prima persona watashi

da wo 我. Dunque tutto insieme è: Wǒǒǒǒ de māāāāo (我的猫)

Caratteristiche dell’apprendente giapponese

Chi è l’apprendente di madrelingua giapponese? Sappiamo che parla il giapponese e proviene da una cultura completamente diversa dalla nostra, così come la sua lingua, del resto. Ma la domanda che ci poniamo è perché un madrelingua giapponese decide di studiare proprio l’italiano?

Per rispondere, dobbiamo necessariamente separare un contesto di italiano come lingua straniera LS da un italiano come lingua seconda L2. La differenza è basilare.

ITALIANO LS

In un contesto di italiano LS, che è poi quello che racchiude la maggioranza dei casi, la lingua italiana viene studiata come lingua straniera in Giappone da:

Studenti che hanno l’italiano come materia curricolare, magari all’università. Malgrado la prima lingua straniera rimanga l’inglese, sette università giapponesi hanno dipartimenti di italianistica (motivazione strumentale: bisogno o necessità di passare gli esami)

Adulti che decidono di studiare l’italiano per motivazioni intrinseche/culturali. Diciamo che questo gruppo è particolarmente numeroso e include una svariata gamma di apprendenti. Dalla persona colta che ama l’arte italiana e vuole fare un corso di storia dell’arte in italiano (una sorta di CLIL, utilizzando perciò la lingua italiana per apprendere altri contenuti), agli appassionati di musica, di letteratura, di design e tutto ciò che è made in Italy. (motivazione

intrinseca:piacere)

Professori in pensione che si iscrivono ad un corso di italiano per saperne di più e sono questi soggetti i più esigenti e i più propensi a fare domande, alle quali si aspettano esaustive risposte. Gli ex professori, per deformazione professionale, specie quelli che hanno raggiunto una competenza B1 del QCER , spesso e volentieri fanno domande specifiche sulle etimologie delle parole italiane. (motivazione intrinseca:piacere)

Page 14: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 14

Cosa caratterizza questi apprendenti? Semplice. La stessa cosa che caratterizza l’italofono che impara il giapponese in Italia. Una volta finito il corso, si esce dalla classe e si parla la lingua madre, cioè manca l’immersione totale nella lingua straniera o bagno linguistico (Cecilia Adorno) che coniuga apprendimento guidato e acquisizione spontanea.

In un contesto LS, l’italiano viene studiato in apposite classi di italiano per giapponesi, tutti accomunati dalla stessa lingua, cultura e retaggio del sistema scolastico giapponese, contraddistinto da elementi tradizionali che rimandano all’approccio formalistico. (obiettivo: competenza formale: So la grammatica=so la lingua).

Escludendo i più giovani, che magari conoscono già altre lingue straniere e hanno eventualmente alle spalle programmi di mobilità accademica (studenti), ci si chiede se, al contrario, un adulto sarà ben disposto ad apprendere una lingua straniera secondo approcci di tipo comunicativo. (approcci, tra l’altro, consigliati dal QCER e improntati sull’uso della lingua, più che sulla conoscenza formale di essa).

La soluzione è paradossalmente proprio nell’apprendente giapponese che ha una motivazione tale da superare gli ostacoli che insorgono nel percorso didattico. Non è da escludersi che un parlante giapponese apprenda la lingua italiana per comunicare con gli italiani per puro piacere anche in prospettiva di una certificazione linguistica: vale a dire unisco l’utile al dilettevole. Se apprendo una lingua straniera in età adulta voglio poi certificare la mia competenza.

Il docente dovrebbe sfruttare al massimo questa sua motivazione e, specie se il soggetto è adulto, motivare in ogni stadio del percorso linguistico le scelte didattiche, anche quelle che “deviano” dall’insegnamento tradizionale che l’adulto avrà sicuramente avuto a scuola per anni e anni.

L’ideale sarebbe integrare metodi scolastici giapponesi con approcci di tipo

comunicativo per ottenere, almeno in fase iniziale di percorso, buoni risultati .

Con gli adulti, anche se giapponesi, può rivelarsi particolarmente funzionale un approccio di tipo andragogico (Malcom Knowles) che parte dal presupposto che l’adulto apprende per volontà.

Un adulto ha un suo stile cognitivo, una personalità e un’autonomia. Non si può “formare” un adulto. Risulta quindi piuttosto evidente che il rapporto fra docente/discente non sarà più di tipo educativo, ma di tipo istruttivo.

Abbiamo già parlato del fatto che molti adulti sono ex insegnanti a loro volta, e che forse, più degli altri, non gradiranno il confronto con la classe (interazione fra pari) tipica dell’approccio comunicativo (cooperative learning) che privilegia l’interazione-negoziazione di significati.

Questo tipo di adulto cercherà invece:

� Un confronto con il docente; � Risultati dal corso, considerando che paga;

L’approccio andragogico, ponendo l’adulto di fronte alla sua competenza ed autonomia, porta docente e discente a negoziare una sorta di contratto psicologico di mutua fiducia e collaborazione.

Con gli adulti, giapponesi in modo particolare, sarebbe meglio evitare tecniche di drammatizzazione, role-play, role-making e optare invece per esercizi a coppia con il compagno di banco che mettono maggiormente a proprio agio lo studente giapponese che di natura è molto riservato.

Page 15: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 15

Tecniche di drammatizzazione, se proprio non possono essere evitate, vanno motivate in termini di utilità a fini didattici, altrimenti sarebbe meglio adoperarle in presenza di un profilo utenti più giovane, anche se in un contesto LS, attività in plenaria non sono proprio ben viste in generale.

Perché ci sia apprendimento, considerati anche i problemi specifici di metabolizzazione della morfosintassi italiana, è necessario che il clima sia rilassato e privo di ansia.

La cultura giapponese parla di un’armonia universale wa che governa le cose. La classe dovrebbe diventare quel luogo fisico e mentale dove riproporre “in piccolo” quest’armonia (ba), tale da consentire al docente di scalfire quel muro di diffidenza iniziale che gli garantirà l’ingresso nella

“rete” di fiducia dei discenti (shinyo).

Ecco perché è importante recuperare la lezione dell’approccio umanistico affettivo per quel che riguarda un apprendimento libero da ansia e competizione (che la cultura giapponese vede negativamente tra l’altro) e, soprattutto, un apprendimento in cui i contenuti linguistici, data la complessità dell’oggetto in questione, vengano ciclicamente ripresi di volta in volta secondo una metodologia didattica a spirale, che coniuga metodi induttivi (moderni) e deduttivi (tradizionali), nel rispetto della cultura dell’apprendimento giapponese.

I giapponesi imparano le lingue straniere attraverso una metodologia grammaticale-traduttiva basata su una versione tipicamente giapponese del reading method, chiamata yakudoku.

A differenza del reading method, all’insegna del piacere della lettura, lo yakudoku giapponese è la lettura analitica di un testo autentico, che dovrà essere scannerizzato in tutte le componenti grammaticali e lessicali, per essere poi tradotto, il che significa, rifraseggiato, in giapponese.

E’ diciamo un ibrido fra metodo lettura e metodo grammaticale-traduttivo. Non sta al docente giudicare se il metodo funziona o no. Un giapponese studia la lingua straniera in questo modo e se vogliamo che lo studente si apra a metodi più comunicativi, uscendo fuori dalla prigione logica che gli impone il suo stesso emisfero sinistro del cervello, di certo non si può entrare in classe e mettere in discussione lo yakudoku tradizionale.

Un atteggiamento del genere alza il filtro affettivo al 100%. Cercare invece una mediazione e, passo dopo passo, proporre tecniche di lettura finalizzate, ad esempio, alla comprensione globale di un testo, possono essere funzionali per un apprendente giapponese, che, per cultura è portato a vedere in maniera negativa il cambiamento inteso come rivoluzione in accezione occidentale.

Se, al contrario, proponiamo un cambiamento in ottica di evoluzione, il risultato è positivo.

Non dimentichiamoci che in Giappone si stanno sperimentando approcci umanistico affettivi in classe. Ovviamente questo non vuol dire usare tutti i metodi. La suggestopedia comincia infatti a proporsi sempre di più come metodo di supporto a completamento di quelli comunicativi.

I metodi umanistico affettivi e quelli comunicativi perseguono lo stesso obiettivo: la competenza linguistico comunicativa, ma i metodi umanistici sono molto più tolleranti circa i tempi di

acquisizione della grammatica, il che li rende particolarmente adatti ad un profilo di apprendenti la cui lingua madre è piuttosto lontana dalla lingua bersaglio, perché mira a consolidare

conoscenze già apprese.

Non insegnare tutto e subito, ma un po’ alla volta, tornando spesso su quello che si è già interiorizzato e rinforzarlo, se serve.

Page 16: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 16

Ecco spiegato il fatto che, a fianco a libri di testo ormai utilizzati da anni in Giappone come Espresso, è comparso recentemente un testo come Villa Gioconda, di impostazione umanistico-affettiva (suggestopedia).

In realtà la linea metodologica adottata dal manuale menzionato sopra è abbastanza rigorosa e riconosce al docente il ruolo di guida carismatica.

Conclusioni

Dai punti sopra descritti è facile dedurre che l’approccio che meglio si adatta all’apprendente di madrelingua giapponese è un approccio di tipo eclettico o integrato (Ciliberti) che appunto integra modi e approcci diversi per rispondere alle specifiche esigenze del parlante-apprendente giapponese. Lo stile di apprendimento di questa tipologia di studente è essenzialmente legata:

al sovra-utilizzo dell’ emisfero sinistro del cervello da cui la maggiore predisposizione per abilità di tipo logico (studi sul cervello giapponese);

educazione scolastica giapponese in cui il testo straniero è letto in modalità scanning per ricostruirlo-rifraseggiarlo in lingua madre, quindi in accordo con il metodo grammaticale traduttivo;

Stile cognitivo fortemente influenzato dalla cultura di appartenenza e il modo in cui l’individuo è visto nella collettività, da cui ne discende che il loro modo di argomentare è diverso dal nostro (Nakagawa);

Di conseguenza un intervento didattico per apprendenti giapponesi non può prescindere dal considerare questi parametri, focalizzandosi su:

Contestualizzazione dell’ascolto (abilità ricettive); Morfosintassi dell’italiano (abilità linguistiche: competenza morfosintattica, competenza

testuale); Consegne chiare e comprensibili perché fin tanto che lo studente rimane orientato ciò lo

rassicura e Riflessione metalinguistica utilizzando schema pieno, ma privilegiando metodi induttivi.

ITALIANO LS: L’esperienza dell’IIC di Tokyo

L’italiano LS in Giappone è praticamente rappresentato con successo da anni dall’Istituto di Lingua e Cultura Italiana a Tokyo, l’IIC che eroga corsi di italiano LS fino al B1 del QCER.

Non solo l’IIC propone offerte didattiche di una varietà incredibile, adatte ad adulti e a studenti, ma l’IIC “studia” soprattutto i suoi studenti, proponendo test in itinere e test di fine corso, non tanto relativi alla lingua italiana, quanto al grado di soddisfazione dei corsisti.

Sappiamo come l’IIC punta su corsi di italiano tematici: arte, letteratura, storia, cinema, design e cucina in modo particolare. La lingua italiana in Giappone conserva orgogliosamente il primato di “lingua di cultura” per antonomasia e il numero delle proposte formative dell’ IIC, articolate in lezioni settimanali e fine settimanali, è indice del reciproco interesse dei due paesi. Accanto a tutto ciò che riguarda il Made in Italy, l’IIC promuove anche corsi di italiano che si servono delle ormai ben note glottotecnologie, che da parecchio hanno preso piede in ambito didattico e naturalmente legate al computer e alla rete.

L’IIC si dimostra da tempo all’altezza del proprio ruolo di ambasciatore della lingua e della

cultura italiana a Tokyo, puntando su metodi ritagliati per l’apprendente e su docenti altamente

Page 17: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 17

qualificati, che seguono corsi di aggiornamento costanti in prospettiva life-long learning. L’IIC eccelle soprattutto nella scelta dei suoi insegnanti; un corpus docenti non solo competenti in lingua italiana, ma anche nello specifico settore che l’apprendente vuole studiare in italiano (musica, arte, letteratura, cucina).

La professionalità e il fattore umano (Gesuato) sono insomma i punti cardine della filosofia

di insegnamento dell’IIC.

Docenti mai passivi, che guardano alle persone piuttosto che ai materiali didattici, che sono consapevoli della differenza, in un’ottica di relatività dei valori e che conoscono la lingua madre degli apprendenti.

Un docente in una classe di apprendenti giapponesi sa che:

� Non deve alzare la voce; � Essere paziente; � Evitare battute umoristiche almeno nei primi incontri e � Proporsi come facilitatore dell’apprendimento mascherato da insegnante tradizionale,

coniugando tradizione e modernità.

Un grande merito dell’IIC di Tokyo, come accennavo sopra, sono i questionari rivolti a docenti e studenti, utilissimi per capire cosa funziona e cosa invece potrebbe funzionare meglio.

Un risultato tratto da un campione recente di 500 studenti dell’IIC tra i 18-25 anni che apprendono l’italiano non come materia curricolare, ha dimostrato che:

I giapponesi sono estremamente motivati e studiano per certificarsi; Il cooperative learning non è molto usato e la preferenza va verso attività in coppia; Le abilità produttive orali come il monologo sono più difficili di quelle scritte (cosa

facilmente spiegabile considerando che la scuola giapponese tradizionale è improntata sulla memorizzazione dei kanji e relativa scrittura);

I giapponesi sono attratti dal modo di gesticolare tipico italiano ; Gli studenti vorrebbero più interventi in L2 per potenziare l’input; Preferiscono essere corretti dopo l’elocuzione (capire dagli errori e non errore come colpa,

cosa che invece si ritrova nel sistema scolastico tradizionale che interpreta l’errore come una deviazione dalla regola);

Sono contenti del clima rilassato e cordiale delle lezioni; Vorrebbero lavorare maggiormente sulla comprensione globale di testi, il che è un dato

incredibile, poiché segna una svolta nell’ambito dell’insegnamento linguistico, quasi a dimostrare che, se lo si porta a piccoli passi, lo studente giapponese si apre favorevolmente ad una metodologia didattica diversa da quella tradizionale.

Questa è la prova di quanto molte affermazioni riguardo la didattica delle lingue in Giappone siano, in realtà, dettate dal pregiudizio e si spera in continui miglioramenti nel futuro. A dire il vero, di cambiamenti ce ne sono già stati parecchi e tutti rivelano una netta apertura del Giappone verso l’importanza dell’educazione linguistica reciproca.

Lo sapevate che anche in Giappone esiste una differenza tra Giapponese L2 e Giapponese LS proprio come in Occidente?

Page 18: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 18

La lingua giapponese da me studiata è infatti denominata 日本語 nihongo, vale a dire la lingua del Giappone, ovvero la lingua del paese dove sorge il sole. Il Giappone non è forse per noi occidentali il paese dell’Est per eccellenza? Ad Est sorge il sole. I kanji ancora una volta ci aiutano 日(ni è una

delle tante pronunce per dire sole o giorno) 本 (moto oppure hon oltre che libro, in questa

posizione indica origine o provenienza) 語 (go che è composto dal kanji 言+ la vocale う, ovvero iu,

significa parlare, parola, linguaggio, lingua). Per noi stranieri, la lingua giapponese è questo.

Ma un giapponese che studia la lingua madre non studia il nihongo 日本語, ma studierà la lingua

nazionale 国語国語国語国語 (kokugo) poiché il kanji 国 koku vuol dire paese, nazione.

Come spiegarsi questa differenza di termini, che entrambi significano giapponese? La risposta è nel

confronto con le altre lingue, anzi, il bisogno del confronto con le altre lingue, in modo particolare con le lingue occidentali, in un’ ottica di mediazione culturale, e quindi, siamo ritornati al punto di partenza, cioè al saggio di antropologia reciproca, scritto dal professor Nakagawa, e senza rendercene conto, secondo un percorso circolare, tipicamente giapponese.

ITALIANO L2

Un po’ più complesso è il caso dell’apprendente giapponese che studia l’italiano in un contesto L2. A tale riguardo, includiamo nel suddetto gruppo, studenti in mobilità accademica o professionisti che lavorano il Italia per un dato periodo di tempo o addirittura professionisti che vengono a fare business nel nostro paese, e di conseguenza il tempo di permanenza si allunga, includendo anche eventuale personale diplomatico (ambasciate e organizzazioni internazionali).

Molti di questi apprendenti vengono in Italia già provvisti di una base di conoscenza della lingua italiana, magari studiata in Giappone.

Tuttavia, una volta giunti in Italia, l’italiano studiato in contesto LS potrebbe rivelarsi non sufficiente e poco funzionale all’interazione con i nativi, perché logicamente in un contesto LS, l’input linguistico a cui l’apprendente è esposto è meno complesso o ricco rispetto all’input L2 che è il prodotto dell’ italiano autentico.

Un apprendente-locutore giapponese in contesto L2 sentirà parlare persone che non sono necessariamente professori di italiano. Assisterà dunque alla varietà linguistica tipica della nostra lingua: un input “altro” rispetto all’input linguisticamente corretto del docente in Giappone e non è da escludersi il fatto che l’apprendente potrebbe sentire errori di eloquio da parte dei nativi stessi, tipo congiuntivi sbagliati (da cui la necessità di coniugare sapientemente acquisizione spontanea e apprendimento guidato).

Il problema fondamentale sarà però rappresentato dall’apprendimento in una classe mista, cosa che naturalmente è ininfluente in un contesto LS, dove la classe è omogenea.

In una classe mista, un docente dovrà considerare le difficoltà specifiche dell’apprendente giapponese (livello base: A1 – primo contatto, A2 - elementare) riguardanti principalmente la morfologia, la grammatica e la ricezione/produzione orale, perché certo, vorrà evitare la spiacevole situazione di lasciare indietro alcuni studenti solo perché la madrelingua non appartiene alla famiglia indoeuropea.

La situazione ottimale sarebbe piccole classi L2 di giapponesi.

Page 19: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 19

In una situazione di omogeneità linguistica e culturale, il docente riesce meglio a focalizzare l’attenzione sui soli apprendenti giapponesi.

Nel caso di una classe mista, ad esempio studenti universitari, si potrebbe presentare una situazione del genere:

� Studenti giapponesi che conoscono l’inglese e altre lingue europee. Tali soggetti hanno già in parte familiarizzato con la morfologia flessiva perché abituati a flettere e coniugare verbi in altre lingue flessive (massimamente nelle lingue romanze, un minimo nell’inglese).

� Studenti giapponesi che conoscono un po’ di inglese e solo la lingua madre. Questa tipologia di apprendenti necessita, per forza di cose, prima di studiare la grammatica italiana, di un aiuto nel configurare ciascuno nella propria mente, le categorie astratte della nostra grammatica.

Non è da escludersi, consentendolo la struttura, che studenti di madrelingua giapponese abbiano bisogno di più ore extra-scolastiche per fissare determinati elementi linguistici dell’italiano al fine specifico di evitare che rimangano troppo indietro rispetto ai compagni.

Mi riferisco ovviamente a livelli iniziali dell’apprendimento, perché raggiunto il livello soglia non può che essere un bene l’interazione con altri studenti stranieri.

La cosa più importante, però, è evitare di demotivare lo studente giapponese, presentando le ore extra-scolastiche come necessarie, dato che per loro, l’apprendimento dell’italiano risulta più complesso che per un francese o uno spagnolo.

Una posizione di questo tipo intacca la motivazione, che nell’apprendente Giapponese è sempre molto alta, e non rende giustizia alle abilità indiscusse di memorizzazione che questo tipo di studente ha per cultura di apprendimento.

Tra l’altro, un’affermazione del tipo: “per spagnoli e francesi è più facile studiare l’italiano” sarebbe doppiamente sconveniente, perché oltre a minare la motivazione dello studente giapponese, sembrerebbe dare ragione al luogo comune che l’apprendente giapponese non sia portato per l’apprendimento di lingue straniere.

Non confondiamo infatti l’eccellere, magari in altre aree del sapere, con situazioni di effettiva

assenza di “contatto” linguistico.

Il Giappone è un paese ben noto per il suo lungo isolamento, che ne ha inevitabilmente influenzato la cultura, il carattere del popolo e anche l’educazione linguistica. Paesi già da tempo aperti all’insegnamento di altre lingue straniere, per forza di cose, hanno tratto dall’educazione linguistica benefici più evidenti.

L’educazione linguistica è già da un bel po’ di tempo attiva in Giappone e come riferito in precedenza sette università giapponesi hanno i propri dipartimenti di italianistica.

E’ logico che più ti esponi alla lingua e maggiormente assimili e riutilizzi. Un apprendente giapponese non è diverso, è stato solo educato “linguisticamente” in maniera diversa. Perché uno studente giapponese produce elaborati scritti grammaticalmente corretti, rispetto ad un altro studente straniero, magari dello stesso livello linguistico o anche di poco superiore?

Page 20: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 20

Perché l’educazione linguistica della lingua madre, per un nativo giapponese, dura davvero tutta la vita. Se si pensa che, a livelli alti di cultura, un giapponese conosce 6000 kanji, ma che in totale i kanji sono molto più di 6000, possiamo avere una vaga idea di quanto queste persone diligentissime siano abituate ad usare la memoria.

Memorizzazione ed elocuzione alla fine: solo quando si è sicuri di aver assimilato la regola e quindi di produrre enunciati linguistici grammaticalmente corretti, si parla. La scuola giapponese insegna ciò. Un giapponese è impostato così, forse fanno eccezione le ultimissime generazioni, ma l’impronta fondamentalmente è parlare quando si è sicuri di parlare correttamente.

Purtroppo un’impostazione di questo tipo viene meno al processo per cui la pratica dell’input

tramite output produce intake=assimilazione e sistematizzazione di codice linguistico straniero.

Gli studi del dottor Tsunoda sul cervello giapponese

Non è assolutamente un fattore genetico parlare lingue diverse e gli studi del dottor Tsunoda a partire dagli anni 60 su soggetti giapponesi dimostrano a pieno che la genetica non c’entra nulla.

Il professore condusse studi molto accurati su come il cervello giapponese processa suoni

vocalici come suono verbale, individuando l’area coinvolta nel processo proprio all’interno dell’ emisfero sinistro e paragonò tali risultati con studi similari condotti su parlanti anglofoni degli Stati Uniti, rilevando che effettivamente un occidentale li processa utilizzando l’emisfero destro.

Tsunoda per essere sicuro dei risultati, ripropose l’esperimento su giapponesi che vivevano all’estero da diverse generazioni, che, oltre alla lingua madre, avevano appreso fin da piccoli la lingua del posto e riscontrò che i loro cervelli si comportavano alla maniera occidentale: processavano le vocali con l’emisfero destro.

La genetica non c’entra. E’ la lingua giapponese stessa e la particolare rilevanza delle vocali all’interno del sistema linguistico e fonetico, similmente alla lingua dei polinesiani, individui che presentano una lateralizzazione cerebrale somigliante a quella dei giapponesi .

La conclusione è che per giapponesi e polinesiani le vocali sono suoni verbali e come tali elaborati dall’emisfero sinistro, mentre per gli occidentali, sono suoni non verbali e vengono quindi elaborati dal destro.

Su soggetti esposti a lingua straniera fin da piccoli, la lateralizzazione interessa l’emisfero destro e dunque quest’ultima non dipende solo da meccanismi insiti nel cervello ma è influenzata da

fattori esterni o ambientali.

Difficoltà specifiche dell’apprendente giapponese

L’ascolto e la comprensione orale

Dopo aver letto i paragrafi precedenti, non dovrebbe stupirci il fatto che l’ascolto-ricezione e comprensione orale, siano annoverate tra le difficoltà specifiche dell’apprendente giapponese.

L’attenzione che la scuola Giapponese riserva alla lingua madre è propriamente un’attenzione per la forma scritta. La comprensione intesa come globalità, ovvero riconoscimento dei nuclei formativi di un testo straniero orale o scritto che sia, non è una pratica molto esercitata nella scuola giapponese. Sappiamo che lo studente giapponese deve analizzare ogni singolo elemento del testo

Page 21: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 21

straniero dal punto di vista grammaticale, secondo un approccio che è bel lontano da intenti anche solo vagamente comunicativi.

Sebbene apprendenti giapponesi in contesto di italiano L2 presentino abilità ricettive più sviluppate rispetto agli apprendenti di italiano LS, l’abilità ricettiva pura non si realizza mai neanche in L2.

La motivazione sta nel fatto che la caratteristica agglutinante del giapponese, crea difficoltà nel momento in cui l’apprendente giapponese deve abituare l’orecchio ad una lingua che è analitica e tende a “spezzettare”; basti pensare alle tante espressioni polirematiche dell’italiano.

Se in italiano dico: camera da letto sto utilizzando una polirematica. Due parole piene e una vuota che compongono un unico sintagma.

L’equivalente giapponese è 寝室 (Shinshitsu) cioè unione del kanji 寝 (neru o SHIN) dormire + il

kanji 室 (shitsu) ovvero camera da letto secondo una tecnica sintetica.

In Giappone è anche molto in uso ベッドルーム(Beddorūmu) dall’anglosassone bedroom, ma

anche in questo caso, la stessa parola inglese “bedroom” è il risultato di una tecnica sintetica.

L’italiano spezza molto laddove il giapponese mette insieme e bisogna avere pazienza nell’educare l’apprendente giapponese all’ascolto e alla comprensione.

Non dimentichiamo mai che, data la distanza enorme fra la lingua madre e la lingua bersaglio, l’interlingua di un apprendente giapponese va sempre intesa, prima di tutto, come una gigantesca

e faticosa opera di “decostruzione” delle strutture della lingua madre. (come del resto per noi italiani che studiamo il giapponese).

Come facilitare dunque ad un apprendente giapponese la comprensione orale? Possibili soluzioni:

� Potenziare la contestualizzazione dell’ascolto in fase di motivazione; � Proporre svariate attività di comprensione del testo in fase di globalità;

Il primo punto incarna in pieno la fase di motivazione che non a caso è la prima fase dell’unità didattica, poiché pone le fondamenta dell’apprendimento.

In fase di motivazione viene creato il contesto della comprensione globale, attraverso tecniche di anticipazione dei contenuti (expectancy grammar), in cui è il docente stesso, mediante svariate attività di brainstorming, diagrammi a ragno, elicitazione a introdurre le parole chiave del testo.

Se ad esempio il docente opta per un testo orale, magari un film in cui viene proposta la scena di un gruppo di amici al ristorante, in fase di contestualizzazione si potrebbe proporre una serie di depliants di ristoranti con menu e immagini dei piatti.

Ciò attirerà l’attenzione degli apprendenti e li renderà particolarmente ricettivi e attivi insieme. Chiedendo loro direttamente se gli piace la cucina italiana o se conoscono qualche piatto in particolare , si può iniziare una conversazione “mirata” all’argomento.

In questo modo ho anticipato i contenuti, poiché è sicuro che i fotogrammi del film4 proposti in fase di globalità, parleranno di cibo e non di sport estremi o altro.

4 Va bene qualsiasi tipo di realia (sito web, depliant, foto) che consentano l’anticipazione dei contenuti. L’importante è scegliere i realia di supporto in relazione all’età e agli interessi della classe.

Page 22: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 22

L’immagine aiuta molto l’apprendente giapponese considerando il fatto che i giapponesi provengono da una lingua madre logografica dove ciascun kanji è la stilizzazione di un concetto. La componente pittografica dei kanji ripropone i processi cognitivi tramite i quali il cervello umano acquisisce le informazioni, secondo un asse direzionale ben preciso che va dall’emisfero destro (analogico) a quello sinistro (logico).

La mente di un soggetto giapponese crea in primo luogo un’ immagine globale del disegno del kanji nell’emisfero destro. Successivamente, l’emisfero sinistro assembla i singoli tratti sul foglio di carta, innescando una dinamica simile all’utilizzo dell’ immagine nei manuali didattici.

Lavorare sulle immagini, almeno per studenti principianti, può rivelarsi particolarmente produttivo e altamente motivante.

Ovviamente alla fase di motivazione, seguirà una fase di globalità, riproponendo l’ascolto anche più volte. Tecniche specifiche per favorire la comprensione come la scelta multipla, il cloze e le griglie

saranno poi utili per ricostruire la globalità di un insieme.

L’apprendente giapponese si diverte molto con l’audiovisivo tra l’altro. Non dimentichiamoci che i Giapponesi sono persone estremamente colte e non è da escludersi che conoscano bene il cinema italiano. L’audiovisivo in un contesto didattico è funzionale all’apprendimento perché coniuga immagine (emisfero destro) e parola (emisfero sinistro), la cui associazione è sfruttabile ampiamente per la memorizzazione del lessico.

L’audiovisivo contestualizza (anche solo l’immagine, tolto il sonoro), attivando la bimodalità (Danesi) e presentando ai destinatari tante componenti non verbali (competenza

extralinguistica) funzionali non solo all’apprendimento ma anche all’instaurarsi di un “rapporto personale” tra apprendente e lingua. Bisognerebbe tuttavia prestare sempre attenzione alla scelta del contenuto del materiale audiovisivo.

Il contenuto deve essere semplice nella struttura, proporre un italiano standard, poiché non si può pretendere che un principiante capisca le varietà regionali, cosa che non comprendo neanche io a livello madrelingua quando vedo alcuni film, dei quali, se non ci fosse il sottotitolo in italiano standard, il significato delle espressioni in dialetto, risulterebbe per me incomprensibile da cima a fondo.

L’audio deve essere ottimo, altrimenti, esercitare l’ascolto su file audio corrotti produce l’effetto opposto: demotivazione da stress.

Volendo, se l’insegnante ha conoscenze di montaggio video, può selezionare e montare personalmente i contenuti da proporre alla sua classe, ma in tal caso il montaggio andrebbe tuttavia curato nei minimi dettagli, perché se le immagini risultano slegate dal parlato, il tutto diventa un ammasso di pezze messe lì a casaccio.

Un’altra considerazione importante è scegliere contenuti filmici che abbiano una certa rilevanza per l’apprendente. Proporre uno stralcio di trasmissione televisiva dove magari qualche professore parla dettagliatamente di filosofia, ad esempio, può essere indubbiamente interessante, ma ovviamente poco adatto a fini didattici.

Morfologia e lessico

Morfologia e lessico italiani sono un altro scoglio da superare per l’apprendente di lingua giapponese perché presentano costrutti morfologicamente molto diversi dalla lingua madre e che

Page 23: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 23

come tali, comportano un grosso dispendio di energia e di studio costante, pratica quest’ultima, a cui il soggetto giapponese, per indole e per cultura, è molto abituato tutto sommato.

Per insegnare lessico e grammatica ad un apprendente giapponese è utilissimo il lexical approach in cui la grammatica viene trattata in posizione subordinata rispetto al lessico, poiché il punto di partenza è la coerenza comunicativa dell’input proposto, aspetto quest’ultimo, su cui focalizzarsi di preferenza in un contesto di italiano L2.

Lessico e grammatica devono essere sillabi compresi nel curricolo dell’apprendente giapponese, specie poi se si tratta di uno studente, il quale accanto ad una competenza linguistico-comunicativa, dovrà focalizzarsi su una competenza linguistica in senso stretto considerando che all’Università ascolterà lezioni in italiano, si rivolgerà a professori e compagni italiani, dovrà leggere manuali universitari in lingua italiana, prendere appunti e dare esami scritti e orali in italiano.

Bisogna lavorare sullo sviluppo delle quattro abilità primarie e integrate, considerando le specifiche problematiche della morfologia che richiedono molto più che esaustive spiegazioni grammaticali.

Dire ad esempio che in italiano abbiamo parti del discorso variabili e parti invariabili e che l’articolo è incluso tra le variabili e l’avverbio tra le invariabili, indipendentemente che lo spiegate in giapponese o ve lo fate tradurre o usate l’inglese, il risultato non cambia: l’apprendente avrà

capito zero di quello che avete detto.

Prima di “spacchettare” (Stefano Rastelli ) la grammatica e la sintassi, sarebbe meglio preoccuparsi di aiutare lo studente nella terminologia affinché possa costituire nella propria mente le categorie astratte della grammatica italiana, percorso che naturalmente il nativo compie durante il ciclo scolastico della scuola media - primo anno: analisi grammaticale, secondo anno: analisi logica,

terzo anno: analisi del periodo.

Considerando quanto per gli studenti italiani stessi l’apprendimento di morfologia e sintassi della lingua madre sia diluito nel tempo, è bene cercare di utilizzare con soggetti di madrelingua giapponese una metodologia “a spirale” per la grammatica italiana, ritornando ciclicamente sugli argomenti.

Se in una lezione spiego l’articolo determinativo, mi limiterò ai generi maschile e femminile di numero singolare, riservando la trattazione del plurale e relative eccezioni in una seconda lezione, riprendendo, prima delle nuove spiegazioni, la parte grammaticale già vista in precedenza.

Particolare attenzione va riservata alla trattazione dell’articolo. Sarebbe meglio che l’articolo venisse spiegato insieme al sostantivo per agevolare lo studente nella comprensione del concetto di “concordanza” degli elementi grammaticali, metodologia tra l’altro adottata anche in molti manuali didattici.

Una tale scelta didattica risulta particolarmente produttiva perché rispetta i tempi di acquisizione che in un apprendente giapponese potrebbero essere più lunghi.

Risulta basilare educare gli apprendenti giapponesi ad una riflessione sulla grammatica per mitigare quella rigidità analitica che è retaggio dell’istruzione scolastica giapponese, senza denigrarla o criticarla, ma coniugando armonicamente metodi deduttivi e induttivi, se funzionali all’apprendimento.

Page 24: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 24

Esempi pratici con studenti giapponesi in Italia: livello A1

L’esempio proposto può essere tranquillamente utilizzato anche con apprendenti di madrelingua cinese o comunque lingue morfologicamente distanti dall’italiano.

L’attività proposta mira a potenziare le abilità di ascolto e comprensione di un testo. Vediamo gli obiettivi dell’unità didattica proposta. Riporto il link della risorsa pubblicata dall’autore stesso: Italiano LinguaDue, I. Superti, n. 1.2010

Obiettivo comunicativo: usare la lingua Obiettivo grammaticale e morfologico: conoscere la lingua

L’apprendente acquisirà le strutture linguistiche utili per interagire in una biblioteca universitaria:

� Rivolgersi al personale (sociopragmatica) � Ottenere informazioni su come si prendono i

testi e gli orari della biblioteca (funzione regolativo-strumentale)

� Rivolgersi ai compagni di corso (acquisizione eventuale di espressioni idiomatiche)

Nello specifico si esamineranno le strutture morfologiche e grammaticali che consentono di realizzare gli obiettivi proposti nella sezione usare la lingua

� Fissazione di strutture fraseologiche introdotte dai verbi servili (dovere, potere + infinito)

� Per + infinito o + sostantivo con valore finale per raggiungere lo scopo della comunicazione

� Pronomi personali soggetto � Pronomi personali oggetto e indiretti

Motivazione

In questa fase di pre-ascolto viene attivata la dinamica di anticipazione dei contenuti e di contestualizzazione dell’ascolto che aprirà la fase seguente. Si può adottare una tecnica di brainstorming coadiuvata dalla realizzazione di un associogramma a tema biblioteca.

Il docente invita la classe a fornire parole e locuzioni che possono essere associate al concetto biblioteca, basandosi solo sulla loro esperienza. L’elicitazione tramite domanda diretta è particolarmente utile:

Che cos’è una biblioteca? Cosa si fa in una biblioteca? (prendere in prestito libri, prestare, restituire libri, restituire,

leggere, consultare libri ecc.) Cosa non si può fare in biblioteca? (mangiare, bere, fumare, parlare, parlare ad alta voce,

ascoltare radio) Che cosa è un tesserino? Che cosa è un modulo?

L’insegnante dovrà creare un clima sereno e informale nella classe, spronando gli studenti a parlare, poiché in questa fase del lavoro niente è giusto oppure sbagliato. Il grosso del lavoro va fatto dal discente. Il docente controlla e guida, ad esempio colmando eventuali lacune, portando lo studente stesso a ripetere parole foneticamente o morfologicamente inesatte, senza esplicitare che ha sbagliato (considerando che magari lo studente avanza qualcosa che ancora non si è studiato e dunque non è responsabile dell’errore, ma anzi, al contrario, va elogiato per l’intraprendenza).

Page 25: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 25

Globalità

Viene presentato il testo audio o audiovisivo in cui uno studente di nazionalità giapponese di nome Toshi, si reca presso una biblioteca universitaria italiana per chiedere informazioni.

Durante il primo ascolto non verrà fornito lo script del dialogo fra i personaggi. L’insegnante potrebbe optare per un ulteriore tentativo di contestualizzazione: presentare foto di biblioteche e anticipare per sommi capi il contenuto del testo riguardo Toshi e il motivo che lo ha portato in biblioteca.

Il docente dovrà esplicitare che non è importante in questa fase focalizzare le forme verbali o le concordanze, ma soltanto comprendere i punti cardine del testo (chi, come, dove, quando e

perché).

Dopo un primo ascolto ne verrà riproposto un secondo, al termine del quale, il docente presenterà agli studenti la prima attività: una lista di domande vero/ falso a cui rispondere mentre magari ascoltano il brano.

Vero Falso

Domanda 1

Domanda 2

Domanda 3

Domanda 4

Domanda 5

Per il terzo ascolto sarà fornito anche lo script che riporta la trascrizione dei dialoghi.

Analisi

Se necessario, il docente può riproporre l’ascolto anche in questa fase, fermando l’audio per suddividere il testo in segmenti di comprensione più “specifica”, tali da consentire allo studente di focalizzare l’attenzione sulle singole parole. Durante il lavoro sul testo è importante intercettare e isolare pattern linguistici e occorrenze di varia natura, utilizzando tutte le tecniche proponibili e compatibili in fase di analisi, compresa la sottolineatura e la conseguente evidenziazione di parti del testo trascritte.

Quindi si procede con la seconda parte del filmato in cui Toshi cambia interlocutore e dunque anche registro stilistico, passando dall’italiano formale all’italiano informale. Nella seconda parte del filmato, Toshi si relaziona infatti ai suoi coetanei, cosa che richiederà la necessaria ripetizione delle relative attività proposte nella prima parte, compresi i test vero/falso in cui potremmo aggiungere nuove informazioni: cosa si può fare in biblioteca e cosa è vietato.

Riflessione metalinguistica

Tale fase è totalmente affidata al docente e potrebbe essere gestita sia deduttivamente attraverso la spiegazione esplicita degli elementi linguistici, sia induttivamente, se gli studenti si sentono a proprio agio, attraverso la compilazione di schemi vuoti. Tale attività sarà efficace per formulare ipotesi sul funzionamento linguistico, magari in coppia o in piccoli gruppi e per poi verificare le ipotesi avanzate.

Page 26: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 26

Sintesi

In fase di sintesi la classe dovrà dimostrare di saper riutilizzare ciò che ha appreso e si potrebbe lavorare con attività rivolte allo sviluppo di abilità produttive: compilare ad esempio con il compagno di banco una scheda per prendere in prestito un libro dalla biblioteca, oppure proporre, ma solo se gli studenti se la sentono, una piccola drammatizzazione in cui ciascuno di loro interpreta uno dei personaggi del dialogo, riproponendo le strutture linguistico comunicative affrontate nell’unità.

Verifica

Si potrebbe tentare un esercizio molto semplice di produzione di un breve testo, magari insieme al compagno di banco, in cui i ragazzi espongono come si prendono in prestito i libri in Giappone e se le procedure di prestito e restituzione sono le stesse. Il docente potrebbe anche suggerire un numero massimo di parole e fornire una traccia, fornendo, ad esempio, gli elementi grammaticali obiettivo (verbi servili, infinito, pronomi), cercando di “ri-attivare” la motivazione e non alzare troppo il filtro affettivo facendoli sentire “esaminati”.

Esempi pratici con studenti giapponesi in Giappone: livello B1

La seguente unità didattica che ho preso a modello dal sito www.il-centro.net (Società Dante Alighieri di Tokyo) viene in realtà presentata ad un’utenza di livello elementare composta da adulti interessati alla nostra lingua e alla nostra cultura particolarmente audaci, poiché l’unità è incentrata sugli usi del congiuntivo.

Il congiuntivo è infatti incluso nel sillabo per il livello B1 (congiuntivo presente, imperfetto e uso del congiuntivo esortativo) e B2 (congiuntivo passato, trapassato e usi del congiuntivo desiderativo).

L’introduzione del congiuntivo a livello A2 proposto da il centro.net è giustificata dall’esplicita richiesta degli apprendenti di praticare il congiuntivo, ma nel seguente elaborato, per un discorso di coerenza e consistenza con i criteri del QCER su cui l’esame DITALS1 è basato, ipotizzerò che la classe in questione sia a livello B1.

Contestualizzazione - motivazione

Dopo che il docente ha introdotto alla classe gli obiettivi dell’unità didattica, verranno proposte una serie di immagini coadiuvate da brainstorming e associogrammi a tema “ristorante italiano”.

Le dinamiche saranno le stesse descritte nella fase di motivazione presentata in precedenza con gli studenti universitari.

Globalità

Viene proposto un primo ascolto del dialogo (o eventualmente file audiovisivo). Si tratta di un gruppo di amici al ristorante e, se l’insegnante lo ritiene necessario, al primo ascolto seguiranno altri ascolti e quindi attività finalizzate alla comprensione globale quali:

Domande vero e falso Scelta multipla Cloze: riempire gli spazi con la parola giusta per ricostruire la globalità del testo

Page 27: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 27

In classe verranno poi progressivamente verificate le risposte.

Analisi e riflessione metalinguistica

In questa fase l’insegnante può distribuire lo script del dialogo perché gli studenti possano rileggerlo, attività, quest’ultima che consentirà al docente di verificare l’eventuale comprensione di segnali discorsivi o espressioni idiomatiche, chiedendo poi se tutto è chiaro o necessita di ulteriore spiegazione.

Se non ci sono problemi, l’insegnante prosegue e chiede allo studente di evidenziare o sottolineare nel testo la frase “Spero che si mangi bene”.

Dopo di che, è l’insegnante stesso a scrivere la frase alla lavagna e invitare i corsisti a focalizzare l’attenzione su quel costrutto, magari chiedendo loro di suggerire la corrispondente forma al presente indicativo, che il docente annoterà a fianco della frase al congiuntivo.

Dunque, le frasi individuate saranno scritte alla lavagna dal docente e rilette a turno, una volta dai corsisti e poi dal docente con la dovuta enfasi.

Segue la riflessione metalinguistica, affidata inizialmente al docente che spiegherà in giapponese gli usi del congiuntivo italiano in dipendenza da verbi di opinione e relativi sostantivi, che esprimono volontà, necessità, desiderio, speranza.

Verrà poi puntualizzato che, a differenza dell’indicativo, modo della certezza, il congiuntivo è il

modo dell’incertezza e strutturalmente non può trovarsi da solo, ma è sempre dipendente da un verbo collocato nella frase principale, dalla quale la subordinata al congiuntivo non può mai separarsi, perché non potrebbe altrimenti riempire la sua valenza strutturale.

Credo (frase principale) che in questo ristorante si mangi bene (subordinata di primo grado)

Vengono poi proposti tanti altri esempi simili per consentire ai corsisti di familiarizzare con la nuova struttura.

Si può tentare, a questo punto, di lasciare alla classe il compito di esercitare la riflessione metalinguistica, magari provando a compilare qualche schema vuoto di coniugazione al congiuntivo di verbi diversi da quelli del dialogo.

Sintesi

E’ ora il momento di applicare ciò che si è osservato per “acquisire” competenza. Considerando che la classe è composta da adulti, tralascerei le drammatizzazioni e punterei su qualcosa di più tradizionale: un completamento di frasi.

Verrà cioè proposta una frase con lo spazio bianco al posto del verbo che verrà comunque segnalato tra parentesi all’infinito sul modello riportato in basso:

Penso che in questo ristorante (mangiare)________________ bene

Il corsista, individualmente o a coppia, dovrà quindi manipolare la forma verbale perché venga utilizzata al congiuntivo. E’ un buon esercizio per la coniugazione verbale e la pratica dei morfemi delle desinenze relative alle varie persone.

Page 28: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 28

Verifica

Si potrebbe proporre un testo in cui compaiono verbi e sostantivi che esprimono appunto opinioni, dubbi, desideri e che quindi si prestano a verificare le conoscenze sul congiuntivo. Tolti i verbi, rimane lo spazio vuoto che il corsista dovrà riempire con la forma verbale più appropriata nel modo congiuntivo. La tecnica proposta è un cloze facilitato, con i verbi da usare riportati in calce alla fine del brano, particolarmente funzionale perché coniuga attività di comprensione globale (se comprendo il testo nella globalità so inserire il verbo mancante) ad esercizi di tipo strutturale e manipolativo (dall’infinito del verbo riportato in calce, devo formare il congiuntivo).

Rinforzo

Fase puramente facoltativa in cui, qualora fosse necessario, il docente potrebbe proporre esercizi di impostazione strutturalista sul modello pattern drills, particolarmente adatti per fissare le regole secondo il pattern riportato in basso:

- L’insegnante dice: “E’ un libro interessate” - L’allievo a turno la ripropone al congiuntivo: “Mi sembra che sia un libro interessante”

Esempi pratici con studenti giapponesi in Italia: livello B1/B2

L’esempio seguente viene preso a modello da un reale intervento didattico svolto a Siena su una piccola classe di studenti giapponesi, raccolto nel volume “La ditals risponde 9” a cura di Pierangela Diadori – Guerra Edizioni. L’autrici del saggio sono la professoressa Paola Peruzzi e la professoressa Junko Masuda.

L’unità didattica è incentrata sul pronome relativo e le subordinate di tipo relativo che costituiscono uno delle più grandi difficoltà per l’apprendente giapponese, poiché una struttura simile non esiste nella loro lingua madre. Ci sono frasi che possono essere tradotte utilizzando il pronome relativo, ma di certo un nativo non potrebbe mai parlare di “frase relativa” nella lingua madre giapponese.

Idem per gli articoli. Non esiste l’articolo in giapponese. Tecniche di cloze, spazi vuoti o esercizi di

natura insiemistica possono agevolare lo studente giapponese a sistematizzare l’articolo italiano, perché non venga confuso con i vari classificatori presenti nella lingua madre.

Prendiamo una relativa in italiano e, a fianco, riformuliamo la stessa frase in giapponese:

Italiano Giapponese Lo studente che ha superato l’esame era felice

試験 に 受かった 学生 は 幸せ だった Shiken ni ukatta gakusei ha shiawase datta

La frase italiana propone una relativa soggettiva in cui lo studente è colui il quale ha superato l’esame e perciò ne è felice.

Abbiamo dunque

una principale: lo studente era felice la subordinata: relativa soggettiva che ha superato l’esame

In Giapponese la logica è diversa. Ormai sappiamo che la particella ha は è il main topic della frase. In questo caso coincide con il soggetto logico: gakusei ha = (lo studente, riguardo lo studente)

Page 29: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 29

shiawase datta (era felice. Quel datta è la forma piana per deshita, passato del verbo essere in forma cortese).

Interessante è l’espressione Shiken ni ukatta che noi traduciamo con la relativa. Il costrutto letteralmente significa passato l’esame ed è sintatticamente sciolto dal soggetto della frase. Ukatta

esprime passato, azione compiuta ed è un verbo che in giapponese, a differenza dell’italiano, regge il dativo e infatti, non a caso, troviamo la particella ni, postposta.

Dove in italiano troviamo coesione sintattica, in giapponese troviamo strutture libere. La costruzione ricorda vagamente l’ablativo assoluto latino in quanto a libertà di costrutto

«Scelerati, conscientia obstrepente, condormire non possunt.» (Curl. 6,10,14)

Letteralmente: i delinquenti, disturbando la coscienza, non possono chiudere occhio.

Quindi scindendo l’ablativo assoluto, magari tramite una subordinata causale, cerco di ripristinare nella traduzione italiana, la coesione sintattica (rapporto causa/effetto): i delinquenti non possono

chiudere occhio perché la voce della coscienza li turba.

Nella frase giapponese proposta avviene qualcosa di simile, ma ciò non significa certo che in giapponese esiste un costrutto che ripropone o si chiama ablativo assoluto. Nell’esempio in cui viene introdotta una relativa oggettiva, la dinamica è la stessa.

Italiano Giapponese L’insegnante loda lo studente che ha passato l’esame

先生先生先生先生 はははは 試験試験試験試験 にににに 受かった受かった受かった受かった 学生 を 褒める Sensei ha shiken ni ukatta gakusei o homeru

Identico costrutto a parte il fatto che:

Il main topic e dunque la collocazione della particella ha はははは è dopo sensei cioè l’insegnante, perché il soggetto della frase è l’insegnante.

Il verbo della principale è alla fine: homeru (da notare come in giapponese l’infinto può essere utilizzato al posto del presente)

Il complemento oggetto è lo studente 学 gakusei, che infatti è accompagnato dalla

particella del complemento oggetto を shiken ni ukatta = passato l’esame. Ancora una volta, nessun legame sintattico

Come spiegare dunque ad un apprendente giapponese la relativa italiana? Sarà per lui, un ulteriore sforzo nel comprendere che l’italiano è analitico laddove il giapponese è sintetico e scisso nella struttura della frase.

L’intervento didattico in questione si è servito dei fumetti della famosa Valentina di Crepax che sono stati presentati privi di dialoghi agli studenti per spingerli a descrivere le immagini e quindi, con altissima probabilità, ad utilizzare la relativa.

Il fumetto, parlando per immagini, contestualizza e consente di anticipare i contenuti; Poi alcune frasi vengono estrapolate in fase di analisi per individuare le relative; Analisi e riflessione da parte del docente e degli studenti concludono l’intervento didattico.

Il lavoro compiuto sul testo partirà dall’ isolare prima, e poi legare, le frasi in cui la protagonista è Valentina.

Page 30: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 30

Si guardino i seguenti esempi:

� Abbiamo descritto una ragazza. � La ragazza si chiama Valentina. � La ragazza porta le bretelle.

Tutte le frasi hanno un denominatore comune: una ragazza di nome Valentina; ed è proprio in base a questo comune denominatore che lo studente potrà creare altrettante frasi relative sul modello:

� La ragazza che abbiamo descritto si chiama Valentina � La ragazza che porta le bretelle si chiama Valentina

Ricordate che per svolgere un’attività di questo tipo, lo studente deve essere già in possesso di una conoscenza di tipo procedurale della sintassi del periodo italiana.

In breve, senza conoscere l’analisi logica, lo studente non può analizzare il periodo, dunque non sono attività che possono minimamente essere presentate a livelli A1 e A2.

Si può presentare il fumetto, ma le attività sul testo non possono essere così complesse. Per non sbagliare, sarebbe opportuno avere sempre il sillabo di riferimento per ciascun livello proposto dal QCER di modo che sia più facile organizzare unità didattiche sempre funzionali ai bisogni linguistici dell’apprendente.

Analisi di materiali didattici per apprendenti giapponesi

Possiamo con sicurezza affermare che dal secondo dopoguerra in poi, il Giappone ha manifestato un interesse progressivamente crescente verso la lingua e la cultura italiana. La circolazione di manuali didattici di italiano è infatti attestata a partire dagli anni 60 del Novecento.

Analizziamo brevemente alcuni campioni di materiali didattici utilizzati in Giappone per l’insegnamento dell’italiano in ordine cronologico dai più datati ai più recenti

ITARIAGO YONSHUKAN (l’italiano in 4 settimane)

� Autore: Soichi Nogami � Scopo: Autoapprendimento � Pagine: 347 � Unità: 28 � Obiettivo: competenza grammaticale � Approccio: formalistico � Metodo: grammaticale-traduttivo

Il manuale, come ci suggerisce il titolo stesso, si suddivide in 28 unità e lo studente dovrà affrontarne un’unità al giorno per un totale di 60/90 minuti giornalieri, se davvero vuole completare il percorso didattico in quattro settimane.

Il testo è studiato per l’autoapprendimento e presenta una tipologia simmetrica (un’ unità al giorno per ricoprire quattro settimane)

L’approccio è di tipo formalistico e il metodo è grammaticale-traduttivo. Gli esercizi proposti richiedono analisi grammaticale, traduzione e coniugazione dei verbi italiani.

Page 31: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 31

La spiegazione grammaticale è scritta in parte in inglese e in parte in giapponese.

L’autore utilizza delle situazioni tipicamente italiane (al bar, al ristorante, ecc.) e ripropone modelli di conversazione tutti tradotti anche in giapponese, ma non si evince dai testi nessun intento di carattere comunicativo.

Vengono proposte anche letture di testi con riferimento ad elementi di civiltà e cultura italiana ed una sezione riservata alla geografia italiana: itaria no chiri, suddivisa in quattro parti, una delle quali incentrata sulla rete ferroviaria italiana, mostrando un notevole interesse per tutto ciò che è tecnologia.

Fra le letture vengono proposti alcuni brani di Cuore di De Amicis, perché rappresentano modelli di virtù italiana.

Completa l’opera un vocabolario di stereotipi italiani e piatti italiani famosi.

ITARIAGO NYUMON (Introduzione alla lingua italiana)

� Autore: Harada Kenji � Pagine: 150 � Obiettivo: abilità di lettura � Approccio: formalistico � Metodo: grammaticale-traduttivo

Il testo è progettato per lo sviluppo e il rinforzo delle sole abilità di lettura e abilità orali. Considerevole spazio viene dato allo studio della fonetica italiana. Ritroviamo brani del libro Cuore nelle letture, ma manca totalmente la parte grammaticale che deve essere acquistata “a parte” dallo studente per completare il percorso didattico.

ITARIAGO DAIIPPO (Primi passi in lingua italiana)

� Autore: Toshihiko Tokuo � Obiettivo: competenza grammaticale � Approccio: formalistico � Metodo: grammaticale-traduttivo

Il manuale è di chiara impostazione formalistica e propone uno studio della lingua italiana secondo gli stessi metodi di insegnamento scolastico della lingua madre. Non emerge nessun tentativo di proporre una metodologia all’insegna dell’uso vivo della lingua.

Specifici per Italiano LS

SHIKKARI MANABU ITALIA-GO

Livello: A1/A2 (grammatica) A1 (lessico)

Il manuale è stato pensato per l’autoapprendimento. Falsamente articolato in unità, che sono a tutti gli effetti lezioni di grammatica, il testo utilizza un approccio formalistico con metodo grammaticale traduttivo, proponendo vari esercizi di tipo strutturale (trasformazione, manipolazione, incastro).

Page 32: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 32

La grammatica è spiegata in modo esaustivo sia in giapponese che in inglese e l’input è strettamente legato alla grammatica e completamente slegato da un tema o situazione.

Il manuale comprende:

� CD per la fonetica; � Liste lessicali a tema; � Chiavi a fine volume degli esercizi proposti.

GRAMMATICA ESSENZIALE DELLA LINGUA ITALIANA

Livelli (A1-A2) (B1-B2)

Si compone di 96 false unità corrispondenti in realtà a lezioni grammaticali. Ogni elemento grammaticale è una lezione. Le spiegazioni grammaticali sono scritte in giapponese. Gli argomenti che risultano più ostici per l’apprendente giapponese vengono contrassegnati dalla parola attenzione.

Il manuale è provvisto di chiavi. Può dunque essere utilizzato anche in autoapprendimento

Specifici per Italiano L2

OPERA PRIMA, Volumi 1 e 2

Livello: A1

Il manuale è rivolto a principianti assoluti e può essere utilizzato in realtà anche in contesto LS sia in classi omogenee che eterogenee.

Specificamente studiato per il primo contatto con la lingua italiana, il manuale è scritto in italiano con guida didattica bilingue.

Il testo è infatti ampiamente utilizzato presso l’IIC di Tokyo e anche per studenti in Italia. L’approccio fondamentale del manuale è di chiaro intento comunicativo, supportato da una grafica particolarmente chiara e curata in ogni dettaglio (foto e tabelle).

Completa il manuale una sezione grammaticale integrativa alla pragmatica con un corollario di esercizi strutturali per fissare e sistematizzare le strutture morfosintattiche.

Insieme al manuale lo studente troverà

� CD; � DVD in cui vengono proposti cortometraggi in lingua italiana e drammatizzazioni legate al

tema di ciascuna unità, di carattere culturale principalmente; � Proiezioni e slideshow; � Propone un modello di apprendimento di tipo graduato e ciclico, ottimo per studenti di

madrelingua così distante dalla lingua target, in modo particolare orientali.

Page 33: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 33

ITARIA-GO HATSUON

Livello: A1

Come il titolo suggerisce, il manuale è progettato per lo sviluppo di abilità di tipo fonetico. E’ provvisto di esaustive spiegazioni delle regole fonetiche della lingua italiana in ottica contrastiva con quelle giapponesi, prestando particolare attenzione all’inadeguatezza di un approccio basato sulla traslitterazione dei suoni italiani in katakana giapponesi.

L’ultima parte tratta l’argomento fonemi in ottica contrastiva e propone una vasta gamma di testi estesi italiani trascritti, anche notevolmente complessi come arie di opere liriche, il che consente l’utilizzo del manuale anche a studenti di livello superiore.

DOVE’L SI SUONA

Manuale rivolto a principianti e finalizzato allo sviluppo delle abilità ricettive e produttive scritte.

Propone temi di vita quotidiana e riferimenti all’arte e alla cultura italiana proponendo vari esercizi di produzione testi che evitano l’utilizzo della traduzione letterale.

Il metodo si basa sul focus on form, osservazione della struttura e poi interpretazione testo.

Il manuale comprende:

� Guida per l’insegnante; � Esercizi studente che crescono in complessità da livelli più bassi a livelli più alti.

Testi per l’apprendimento guidato

Akiyama Y., Ichinose T., Shirasaki Y., Passo a passo, Tokyo, Hakusuisha, 2004 Borriello G., Italiano facile per giapponesi, Milano, Vallardi, 2008 Endo R., Un piatto d’italiano, Tokyo, Hakusuisha, 2006 Gioè I., Maggia F., Shirasaki Y, In classe – corso base di italiano, Tokyo, Asahi, 2011 Kanno V., Ho capito, Tokyo, Hakusuisha, 2011 Maggia F., Miscio F., Quaglieri A., Spinuso V., Zamborlin C., Opera Prima, Volume 1-2,

Ashai, Tokyo, 2012 Ishikawa, M., Mezzadri M., Zamborlin C., Grammatica essenziale della lingua italiana,

Guerra Edizioni, Perugia 2003 Mizuno R., Zamborlin C., Mosaico – Grammatica e Letture, Tokyo Ashai, 2008 Mizuno R, Zamborlin C., Biglie – Ascolto e produzione orale, Tokyo Ashai, 2009 Nannini A., Furuta Y., Ichinose T., Dove’l si suona, Tokyo Ashai, 2012 Shirasaki Y., Maizza A., Rakuraku masuta itariago, Tokyo Ikubundo 2010 Sugimoto H., Corso di italiano, Tokyo Ashai, 2007 Università di Tokyo – Coordinamento per la didattica della lingua italiana - Italiano in

partenza, Tokyo, Hakusuisha, 2009 Waguri J, Nawate E., Italiano più attivo!, Tokyo, Hakusuisha, 2013

Page 34: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 34

Testi per autoapprendimento

Horigome R., Tabi no yubisashi kaiwacho – Dire col dito, Tokyo, Jyoho Center Shuppankyoku, 2009

Ichinose T., Shikkari manabu italia-go, Tokyo, Beret 2001 Miscio F., Mizuno R., Zamborlin C., Italia-go hatsuon training, Tokyo, Hakusuisha, 2012 Biondi M., Pisani B., Irasuto Ippai! Itaria-go, Tangoshu, Il Paroliere, Tokyo, Hakusuisha,

2012 Quaglieri A., Shibata K., Odorokuhodo mi ni tsuku italia-go, Tokyo, Takahashi Shoten,

2002 Quaglieri A., Shibata K., Italia-go kaiwa – phrase, Tokyo Gakken, 2007 Quaglieri A., Shibata K., Italia-go Book, Tokyo, Seibido, 2012

L’editoria per l’italiano L2 in Giappone

QUI ITALIA

Manuale di stampo eclettico che sembra venire incontro alle esigenze del discente giapponese specie per quel che riguarda l’impianto grammaticale, utilizzando molti schemi pieni. Il testo ha però alcuni limiti: naturalezza dell’ascolto e introduzione di forme fondamentali in uno stadio di

lettura avanzata del manuale. Tuttavia viene seguita una certa progressione nelle spiegazioni dei contenuti grammaticali e nel lessico. E’ un buon manuale per un apprendimento a lungo

termine.

LINEA DIRETTA

La nuova edizione ha rinnovato la grafica rendendola più semplice, più chiara e snella. Viene inoltre proposto un eserciziario più ampio e articolato con materiali autentici e ascolti più naturali. Le letture proposte sono piuttosto impegnative, ma lo sono volutamente, perché Linea Diretta è un manuale che si propone di rendere autonomo lo studente giapponese. Gli ascolti che il manuale contiene sono relativamente lunghi e secondo alcuni docenti tale lunghezza si presta molto bene ad attività didattiche di più ampio respiro, ma per altri contribuisce a far perdere la concentrazione. Gli ascolti sono comunque stimolanti sia dal punto di vista grammaticale che comunicativo.

ESPRESSO 1

E’ un manuale eclettico, anche se l’impronta è fortemente comunicativa, con una grafica gradevole che ha riscosso parecchia popolarità fra i docenti, ma ha posto gli studenti giapponesi di fronte a qualche difficoltà. Pensato per un pubblico europeo, Espresso è un manuale che esce un pochino dai canoni del testo giapponese tipico, per la mancanza apparente di ordine e progressione che perfino alcuni docenti riscontrano, ad esempio, nei testi più tradizionali. Gli esercizi sono a parte e il docente deve essere molto attento ad orientare gli studenti se vede che si trovano in difficoltà con le attività proposte.

Il manuale propone ascolti brevi ma stimolanti dal punto di vista comunicativo, risulta, però, più efficace con studenti che hanno già conoscenze minime di grammatica italiana. In ambito universitario Espresso 1 potrebbe essere utilizzato dal docente per spiegare la pragmatica, ma la riflessione metalinguistica dovrebbe essere affidata ad un docente giapponese. In alcune classi in Giappone, Espresso 1 è utilizzato solo per corsi di conversazione.

Page 35: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 35

UN VIAGGIO

E’ un caso unico nel panorama dell’insegnamento in Giappone. Si tratta di un manuale per corsi base realizzato appositamente per studenti giapponesi e utilizzato fino al 2006 nell’IIC di Tokyo. E’ un testo che cerca di andare incontro a bisogni specifici dell’apprendente giapponese, basandosi sulla storia che compiono due ragazze giapponesi in Italia fino al ritorno nel loro paese, giocando dunque su immedesimazione e personalizzazione. E’ presente la traduzione giapponese di termini poco noti e spiegazioni grammaticali. La quantità di lessico è volutamente controllata. La didattica è a spirale: tornare sugli argomenti più volte per favorire la fissazione del

lessico di base. Le illustrazioni sono ricche e funzionali all’apprendimento e in ogni unità viene presentata un’analisi linguistica in ottica contrastiva italiano/giapponese.

VIVITALIA

Sono presentate situazioni di vita italiana, in linea con i manuali prodotti in Italia ed è pensato per studenti che studiano l’italiano nel loro paese o in Italia, quindi non specificamente giapponesi. Il manuale copre i livelli A1, A2 e B1 del QCER. Vivitalia pone attenzione sulle abilità di

ricezione (lettura e ascolto) e alla produzione scritta. Ha un eserciziario di tipo tradizionale e una grafica gradevole con predominanza di foto, non sempre chiare e necessarie. Gli ascolti, costruiti in modo naturale includono sezioni di pronuncia e ripetizione.

GRUPPO META - UNO

Non è un testo che ha avuto molta fortuna in Giappone, malgrado coniughi in maniera ottimale intenti comunicativi e attenzione alle strutture. Le foto e le illustrazioni sono funzionali alla didattica e l’eserciziario è separato. Pur essendo un manuale di approccio comunicativo, riesce a presentare con una grafica leggera e comprensibile importanti strutture linguistiche, dando al discente giapponese una chiara idea di ciò che sta studiando.

PROGETTO ITALIANO 1

È un manuale di stampo più classico che presenta in maniera lineare la grammatica, attribuendo ad essa la dovuta importanza, secondo la metodologia tradizionale giapponese nello studio di lingue straniere. Offre una vasta gamma di esercizi di varia natura e argomenti culturali molto

interessanti e stimolanti. La grafica è molto densa. La grammatica segue il testo di input con uno schema pieno, strategia che da una parte non induce lo studente a sforzarsi troppo nello scoprire la lingua, ma dall’altro lo aiuta a memorizzare poiché un discente giapponese è abituato a studiare

in questo modo. Gli ascolti sono “costruiti” e facilmente comprensibili, tuttavia, estremamente focalizzati alla comprensione dettagliata dei contenuti.

ALLEGRO 1

Il discorso su Allegro 1 è molto simile ad Espresso 1. Il manuale ha una grafica leggera e stimolante. Rispetto a Espresso, Allegro 1 è più completo grammaticalmente e lessicalmente. Ogni due unità c’è un ripasso che include consigli per lo studio e attività comunicative, forse un po’ più complesse del compito da eseguire effettivamente. Il testo propone delle letture di civiltà, piuttosto difficili per uno studente giapponese, rese ancora più complicate nella comprensione per via della totale assenza di attività sul testo. I riquadri riassuntivi a fine unità sono chiari e user-friendly, ma mancano schemi generali più comprensivi degli argomenti grammaticali. L’eserciziario è completo e variegato con l’aggiunta di un ulteriore libricino di extra esercizi.

Page 36: La lingua italiana e gli apprendenti giapponesilinguisticamente.net/.../02/apprendenti-madrelingua-giapponese.pdf · Dedicato alla mia insegnante di Giapponese, Keiko 先生,alla

[APPRENDENTI DI MADRELINGUA GIAPPONESE] 1 gennaio 2015

Chiara Bellucci ©2015 36

Bibliografia DITALS1 profilo apprendenti giapponesi e autori di materiali

didattici

GESUATO M., PERUZZI P. (cur.), La lingua italiana in Giappone. Insegnare e apprendere, Tokyo, Istituto Italiano di Cultura, 2009

ZAMBORLIN C., “Didattica dell’italiano in Giappone. Un’avventura contrastiva sul piano linguistico e pedagogico”, Venezia, Laboratorio ITALS, Università Ca’ Foscari, 1 (2003), 2, pp. 109-125

NAKAGAWA H., Introduzione alla cultura giapponese. Saggio di antropologia reciproca, Milano, Mondadori, 2006

CHIE N., La società giapponese, Milano, Raffaello Cortina, 1992 IKENO O., DAVIES R. (cur.), La mente giapponese, Roma, Meltemi, 2007 PERUZZI P., MESSINA L., “Come insegnare italiano agli studenti di madrelingua

giapponese? Un’introduzione”, in P. Diadori (cur.), La DITALS risponde 9, Perugia, Guerra, 2013, pp. 118-129,273-276,312-313

TOLLINI A., Lineamenti di storia della lingua giapponese, Venezia, Cafoscarina, a.a. 2001-2002

SUPERTI I., Le abilità di ascolto e gli apprendenti giapponesi: difficoltà e stimoli per l’apprendimento dell’italiano LS.

MANTENUTO I., Il dialogo nell’approccio suggestopedico per apprendenti giapponesi di italiano L2

L’apprendimento dell’italiano da parte di studenti giapponesi adulti in Italia: criticità e ipotesi didattiche. (Contenente la bibliografia completa)