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Tesi di laurea magistrale in Sociologia del lavoro e dell'organizzazione presso l'università di Milano-Bicocca
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO – BICOCCA
Facoltà di Sociologia
Corso di Laurea magistrale in Sociologia – Lavoro e organizzazione
LA NASCITA DEI DIRITTI DI PROPRIETA' MODERNI NELLA COMMON
LAW DEL BASSO MEDIOEVO INGLESE
Relatore: Chiar.mo Prof. Alberto Giasanti
Co-relatore: Chiar.mo Prof. Giovanni Chiodi
Tesi di laurea di:
Niccolò Cavagnola
Matr. N. 064643
Anno Accademico 2011-2012
INDICE
RE E REGINE DAL 1066 p. i
CONTEE STORICHE D'INGHILTERRA E DI GALLES iv
PREMESSA v
I. TEORIA DEI DIRITTI DI PROPRIETA'
1. Teoria dell'azione razionale 1
2. Teoria dei diritti di proprietà 11
2.1 Istituzioni 12
2.2 Diritti di proprietà 30
2.3 Cambiamento sociale 40
II. DIRITTI DI PROPRIETA' NEL FEUDALESIMO INGLESE (XI-XII sec.)
1. Profilo generale del sistema giudiziario dell'Inghilterra post-conquista 49
1.1. Le giustizie comunali 50
1.2. Le giustizie signorili 62
1.3. La giustizia regia 65
2. Il sistema feudale inglese 70
2.1. Definizione e origine del sistema feudale 70
2.2. Il feudalesimo inglese 76
2.2.1. Feudalesimo e diritti di proprietà 77
2.2.2. La tenure feudale 84
2.2.3. Diritti sulla terra e sugli uomini 90
2.2.4. Limiti alla proprietà assoluta 93
2.2.5. Il maniero e l'economia manoriale 101
─ A) Aspetti giuridici 101
─ B) Aspetti economici 108
III DAL POSSESSO ALLA PROPRIETA' (XII-XVI sec.)
1. L'aristocrazia 119
1.1. Economia e società nei secoli XII-XIII 120
1.2. Nuovi diritti di proprietà sulla terra 124
1.2.1. Ereditabilità 124
1.2.2. Alienabilità e disponibilità testamentaria 133
2. I contadini 143
2.1. Economia e società nei secoli XIII-XV 143
2.2. Diritti di proprietà tra i contadini 146
2.2.1. Titolo ai possedimenti servili 146
2.2.2. Mercato della terra 151
2.2.3. La fine del servaggio 155
2.2.4. Copyhold e giustizia reale 163
Riferimenti bibliografici 168
i
RE E REGINE DAL 1066
Casata di Normandia
William I, 25 Dic. 1066-1087
William II, 26 Set. 1087-1100
Henry I, 5 Ago. 1100-1135
Stephen, 26 Dic. 1135-1154
Angevini (Casata dei Plantageneti)
Henry II, 19 Dic. 1154-1189
Richard I, 3 Set. 1189-1199
John, 27 Mag. 1199-1216
Casata dei Plantageneti
Henry III, 28 Ott. 1216-1272
Edward I, 20 Nov. 1272-1307
Edward II, 8 Lug. 1307--1327
Edward III, 25 Gen. 1327-1377
Richard II, 22 Giu. 1377-1399
Casata dei Lancaster
Henry IV, 30 Set. 1399-1413
Henry V, 21 Mar. 1413-1422
Henry VI, 1 Set. 1422-1461
ii
Casata degli York
Edward IV, 4 Mar. 1461-1483
Edward V, 9 Apr. 1483
Richard III, 26 Giu. 1483-1485
Casata dei Tudor
Henry VII, 22 Ago. 1485-1509
Henry VIII, 22 Apr. 1509-1547
Edward VI, 28 Gen. 1547-1553
Mary I, 19 Lug. 1553-1554
Philip e Mary, 25 Lug. 1554-1558
Elizabeth I, 17 Nov. 1558-1603
Casata degli Stuart
James I, 24 Mar. 1603-1625
Charles I, 27 Mar. 1625-1649
[Interregno, 1649-1660]
Charles II, 30 Gen. 1649 (de jure); restaurato 29 Mag. 1660-1685
James II, 6 Feb. 1685-1688
William e Mary, 13 Feb. 1689-1694
William III, 28 Dic. 1694-1702
Anne, 8 Mar. 1702-1714
Casata degli Hannover
George I, 1 Aug. 1714-1727
George II, 11 Giu. 1727-1760
George III, 25 Ott. 1760-1820
George IV, 29 Gen. 1820-1830
iii
William IV, 26 Giu. 1830-1837
Victoria, 20 Giu. 1837-1901
Casata dei Saxe-Coburg e Gotha
Edward VII, 22 Gen. 1901-1910
Casata dei Windsor
George V, 6 Mag. 1910-1936
Edward VIII, 20 Gen. 1936
George VI, 11 Dic. 1936-1952
Elizabeth II, 6 Feb. 1952-
v
PREMESSA
Fra i popoli cacciatori, dove vi è poca proprietà, o per lo meno non vi è
proprietà che superi il valore di due o tre giorni di lavoro, raramente vi
è un magistrato costituito o una regolare amministrazione della
giustizia [...]. E' soltanto con la protezione del magistrato civile che
colui che possiede una ingente proprietà, acquisita col lavoro di molti
anni o forse di molte successive generazioni, può dormire tranquillo la
notte. Egli è sempre circondato da nemici ignoti, che sebbene non
abbia mai provocato non può mai placare, e dalla cui ingiustizia egli
può essere protetto soltanto dalla potente mano del magistrato civile
che continuamente è levata a punirli. Perciò l'acquisizione di una
costosa e considerevole proprietà, richiede necessariamente
l'istituzione di un governo civile. Dove non vi è proprietà, o per lo
meno non vi è proprietà che superi il valore di due o tre giorni di
lavoro, il governo civile non è così necessario.
Adam Smith, La ricchezza delle nazioni
L. V, c. II, p. II [Smith 1975: 874-875].
I diritti di proprietà sono le regole che determinano l'accesso, l'utilizzo e lo scambio delle risorse
presenti nella società. Sono pertanto un'istituzione fondamentale, in grado di determinare
pervasivamente le possibilità di scambio sociale tra individui, e quindi le forme di cooperazione
sociale conseguenti. Diverse regole relative alla proprietà possono condurre a differenti esiti del
processo di scambio sociale: l'ambiente istituzionale entro cui gli individui si trovano ad agire
costituisce una variabile tutt'altro che secondaria nello spiegare gli esiti differenziali con cui le
società rispondono a eventi del tutto simili. Il tema dei diritti di proprietà è stato poco studiato dalla
sociologia contemporanea, nonostante l'attenzione a questo dedicato da alcuni dei padri della
disciplina [Carruthers e Ariovich 2004: 24]. Uno sguardo alla figura I può aiutare a intuire la
rilevanza dell'argomento. La figura mostra, su un campione di 110 paesi, la correlazione tra
l'International Property Rights Index (IPRI) per l'anno 2008 e due misure di benessere alternative
relative allo stesso anno: lo Human Development Index (HDI1) elaborato dalle Nazioni Unite (figura
1 Lo HDI è una «misura sintetica dello sviluppo umano. Misura le conquiste medie di un paese su tre dimensioni
basiche di sviluppo umano: una vita lunga e in salute, l'accesso alla conoscenza e un decente standard di vita» [UNDP
2011: 168]. E' un indice, che assume valore compreso tra 0 e 1 (dove 0 indica uno standard di vita minimo e 1
massimo), calcolato come media geometrica di tre indici normalizzati, relativi rispettivamente a: aspettativa di vita alla
nascita; scolarità della popolazione (media effettiva di anni di scolarità e anni attesi di studio); PIL pro-capite [ibidem].
vi
Ia) e il prodotto interno lordo (PIL) pro-capite, calcolato in Purchasing Power Parity (PPP, figura
Ib). L'IPRI è un indice sintetico calcolato sulla base di dieci variabili indicatore, ricondotte a loro
volta a tre dimensioni: ambiente legale e politico (indipendenza del potere giudiziario, rule of law,
stabilità politica, corruzione); diritti di proprietà fisica (protezione della proprietà fisica,
registrazione della proprietà, accesso al sistema creditizio); diritti di proprietà intellettuale
(protezione della proprietà intellettuale, protezione dei brevetti, protezione del copyright). L'indice
varia da un valore di 0 (minima protezione) a uno di 10 (massima) [IPRI 2009: 14-17]. Come si può
notare, l'indice risulta strettamente correlato sia col livello del PIL pro-capite (indice di correlazione
lineare pari a 0,803), sia con l'HDI (0,733): appare esservi una stretta associazione statica tra la
protezione dei diritti di proprietà ed entrambe le misure di benessere considerate. L'effetto di
istituzioni che proteggano i diritti di proprietà (indipendenza del potere giudiziario, potere esecutivo
limitato ed esercitato entro termini di legge, sistema giudiziario efficiente, rispetto dei contratti,
minore presenza di corruzione nella burocrazia pubblica) risulta avere anche un effetto dinamico: i
paesi con un sistema istituzionale più favorevole al rispetto dei diritti di proprietà privata risultano
sperimentare anche tassi di crescita maggiori nel tempo, rispetto ai paesi che mancano di tale
ambiente istituzionale [Keefer e Knack 1997: 598]. La minore incertezza sull'utilizzo delle risorse
permette un maggiore livello di investimento in capitale fisico e umano, che si riflette positivamente
sulla crescita economica e sul benessere.
L'ambiente istituzionale costituisce una potente determinante degli incentivi che gli individui si
trovano ad affrontare nelle loro interazioni quotidiane. Diventa rilevante, pertanto, cercare di
Figura I a) Correlazione tra IPRI e HDI; b) Correlazione tra IPRI e PIL pro-capite PPP
y = 0,281 + 0,078xR² = 0,537
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
0,8
0,9
1
0 2 4 6 8 10
HD
I 2
00
8
IPRI 2008
a)
y = - 28.140 + 8.465x R² = 0,645
0
10.000
20.000
30.000
40.000
50.000
60.000
70.000
80.000
90.000
0 2 4 6 8 10
PIL
pro
-ca
pit
e 2
00
8
IPRI 2008
b)
vii
comprendere come i moderni sistemi di diritti di proprietà presenti nei paesi avanzati si siano
formati. Nel presente lavoro viene enfatizzata l'importanza del ruolo dello stato moderno
centralizzato, sottoposto alla rule of law, nel difendere la proprietà degli individui [Acemoglu e
Robinson 2012: 80-81]. Il passo di Adam Smith citato a esergo mette in luce la questione: per
parlare di proprietà è necessario che esista un meccanismo istituzionale in grado di riparare quei
torti a cui un individuo può essere sottoposto in relazione al suo possesso delle risorse della società.
Se tale meccanismo non esiste, o è inefficace nei fatti, difficilmente si può parlare di proprietà, e
men che meno di diritto alla proprietà. Gli scambi sociali, se non sottoposti a un insieme di regole
comuni, sarebbero sottoposti a una elevata dose di incertezza, in grado di ostacolarne il
proseguimento. Un passo di Luigi Einaudi, relativo alla descrizione dello scambio di mercato in una
fiera, illustra efficacemente il punto:
Ma tutti coloro i quali vanno alla fiera, sanno che questa non potrebbe aver luogo se, oltre ai banchi dei venditori i quali
vantano a gran voce la bontà della loro merce, ed oltre la folla dei compratori che ammira la bella voce, ma prima vuole
prendere in mano le scarpe per vedere se sono di cuoio o di cartone, non ci fosse qualcos'altro: il cappello a due punte
della coppia dei carabinieri che si vede passare sulla piazza, la divisa della guardia municipale che fa tacere due che si
sono presi a male parole, il palazzo del municipio, col segretario ed il sindaco, la pretura e la conciliatura, il notaio che
redige i contratti, l'avvocato a cui si ricorre quando si crede di essere a torto imbrogliati in un contratto, il parroco, il
quale ricorda i doveri del buon cristiano, doveri che non bisogna dimenticare nemmeno sulla fiera [Einaudi 2002: 26].
Gli stati moderni, quando temperati dal controllo della legge e dei parlamenti, si sono dimostrati il
meccanismo storicamente più efficace nel fornire il potenziale di violenza necessario a produrre la
garanzia del possesso, e quindi la proprietà effettiva delle risorse, agli individui. I governi, però,
rispondendo a incentivi di tipo politico, non hanno protetto, lungo la storia, necessariamente ogni
tipo di proprietà in modo eguale. Una variabile importante nel determinare lo sviluppo dei sistemi di
diritti di proprietà è costituito dalla base sociale a cui risponde il potenziale coercitivo dello stato. In
generale si può dire che i gruppi sociali in possesso delle risorse di maggiore valore avranno un
incentivo nel cercare una maggiore protezione dei propri possessi, come notato da Smith nel
passaggio già citato. I sistemi istituzionali di protezione della proprietà hanno un costo non
irrilevante: laddove i possessi individuali non abbiano un valore tale da coprire i costi della
costituzione e del mantenimento di un sistema di protezione dei diritti di proprietà non esiste
nemmeno un incentivo alla sua costituzione. La nascita e lo sviluppo dei moderni regimi di
proprietà pertanto possono essere considerati, a grandi linee, una funzione del valore delle risorse
del cui possesso si cerca protezione, e dei ceti sociali che di quelle risorse hanno il controllo. Le
democrazie contemporanee dei paesi avanzati hanno raggiunto, dopo secoli di evoluzione, un
sistema di protezione della proprietà generalizzato alla totalità della popolazione, che oggi
viii
costituisce la base a cui l'azione del governo risponde. Non è sempre stato così. La proprietà privata
ha cominciato a venire riconosciuta e protetta dallo stato in tappe successive, a seconda del valore
dei beni di cui si chiedeva protezione, e a seconda dell'influenza politica ed economica che i gruppi
in possesso di tali beni esercitavano di volta in volta. Ma anche oggi i sistemi di protezione della
proprietà sono in costante evoluzione su linee analoghe. Si pensi alla crescente importanza della
protezione dei diritti di proprietà intellettuale: in molti casi, come nel caso dell'industria
dell'Information Technology (IT), le protezioni garantite dallo stato si sono rafforzate
considerevolmente solo a seguito della rivoluzione informatica, e nel rispondere alle pressioni di un
settore in crescita impetuosa, le cui risorse stavano assumendo un valore prima sconosciuto [Boldrin
e Levine 2012: 19-24].
Il presente lavoro è uno studio di caso. Si ripropone di indagare il processo di evoluzione dei diritti
di proprietà sulla terra, la risorsa di gran lunga più importante nel periodo precedente la Rivoluzione
industriale, nell'Inghilterra del Basso Medioevo. L'Inghilterra costituisce un caso interessante, in
quanto in tale paese si ebbe un relativamente precoce sviluppo dello stato moderno e di un sistema
giudiziario centralizzato [Maitland e Montague 1998: 205]. Fu inoltre tra i primi paesi a sviluppare
un sistema di governo limitato, esercitato entro i limiti della rule of law, rispettoso dei diritti di
proprietà dei propri soggetti [North e Weingast 1989: 804]. Fu infine tra i primi paesi a imboccare
un percorso di rapido e sostenuto sviluppo tramite la Rivoluzione agricola nella prima età moderna,
e il primo ad aprire l'era della Rivoluzione industriale [Allen 2001: 54-55]. Queste caratteristiche
rendono rilevante l'interesse del tracciare un profilo dell'evoluzione del sistema legale relativo alla
protezione della proprietà sulla terra, mettendolo in relazione all'evoluzione dei rapporti economici
e sociali sperimentati nel periodo compreso tra l'XI e il XVI secolo. Il capitolo I è dedicato alla
delineazione di un quadro teorico volto alla spiegazione dell'evoluzione dei diritti di proprietà. Il
capitolo II è rivolto a tracciare un profilo del sistema giudiziario inglese all'epoca della conquista
normanna del 1066. Infine, il capitolo III analizza l'evoluzione dei diritti di proprietà sulla terra tra
l'XI e il XVI secolo, per ognuna delle due principali categorie della popolazione inglese:
l'aristocrazia terriera e i contadini in condizioni servili. Il periodo viene scomposto analiticamente in
due parti: la prima, tra l'XI secolo e la prima metà del XIV, in cui la crescita dei valori della terra e
la crescente influenza dell'aristocrazia terriera contribuirono alla nascita di un efficiente sistema di
definizione e protezione delle proprietà terriere dell'aristocrazia; la seconda, compresa tra la
seconda metà del XIV secolo e la fine del XVI, in cui gli sconvolgimenti sociali causati dalla Morte
nera portarono a una crescita del valore dei servizi lavorativi posseduti dalla stragrande
maggioranza della popolazione inglese, cioè la classe dei contadini in condizioni servili, e a uno
sviluppo legale favorevole alla proprietà contadina.
1
CAPITOLO I
TEORIA DEI DIRITTI DI
PROPRIETA'
1. TEORIA DELL'AZIONE RAZIONALE
La prospettiva qui adottata si ispira all'individualismo metodologico di matrice weberiana [Weber
1980]. I sistemi sociali sono composti da individui, o attori, e dalle relazioni e interazioni tra di essi:
«l'azione, o il comportamento, del sistema composto dagli attori è una conseguenza emergente delle
azioni interdipendenti degli attori che costituiscono il sistema» [Coleman 1986: 1312]. La
spiegazione di un fenomeno sociale, pertanto, può essere ridotta alle azioni intenzionate dei singoli
individui che lo producono1 [Nozick 1997: 111]. Essendo il fenomeno sociale, risultato di un vasto
numero di interazioni tra individui, la variabile che richiede di essere spiegata, è necessario partire
da un modello di azione individuale piuttosto semplice [Coleman 1990: 18-19]. Nell'approccio qui
adottato questo significa assumere gli attori all'interno del sistema come razionali, cioè come
individui che perseguono razionalmente i propri fini dati dei vincoli esterni2 [Farmer 1982: 189]. Il
modello di attore razionale è un costrutto teorico, e quindi, per sua natura, astratto: ai fini della
teoria non è necessario stabilire se descriva minutamente i reali meccanismi psicologici degli
individui o se, più semplicemente, ne descriva il comportamento empirico3 [Friedman e Savage
1948: 298; Goldthorpe 2006: 163]. Suo compito è tentare di catturare le componenti sistematiche
1 Come ha scritto Max Weber, «per l'interpretazione intelligibile dell'agire, a cui la sociologia aspira, queste formazioni
[stato, società, azienda] sono invece semplicemente processi e connessioni dell'agire specifico di singoli uomini, poiché
questi soltanto costituiscono per noi il sostegno intelligibile di un agire orientato in base al senso» [Weber 1980: 12]. 2 Il principio di razionalità può addirittura essere considerato tautologico o non falsificabile [Boland 1981: 1035].
Questo, di per sé, non determina una visione funzionalista della società, in quanto quest'ultima è costituita
dall'interazione delle azioni individuali. E' possibile così eliminare una visione funzionalista della società pur
mantenendo una simile visione a livello individuale [Coleman 1986: 1312]. 3 Sempre secondo Weber, «un'interpretazione fornita di senso, per quanto evidente, non può come tale, e in virtù di
questo carattere di evidenza, aspirare ad essere anche l'interpretazione causalmente valida. Essa rimane di per sé
soltanto un'ipotesi causale particolarmente evidente [...]. A base di processi esterni dell'agire che ci appaiono "eguali" o
"simili" possono esservi, nell'individuo o negli individui che agiscono, connessioni di senso assai differenti» [Weber
1980: 9].
2
dell'agire sociale, cioè quelle componenti varianti con sistematicità al variare delle condizioni
esterne, pur lasciando spazio a una certa variabilità stocastica nei comportamenti empirici
individuali [King 1998: 9-11; Goldthorpe 2006: 169]. Un comportamento che può essere dedotto
dalla serie di assiomi e postulati alla base della teoria dell'azione razionale è considerato razionale
secondo la teoria, a prescindere che corrisponda effettivamente a un comportamento in linea con
l'idea di razionalità comunemente intesa4. La teoria, pertanto, ha valore positivo e non normativo.
Se il comportamento sociale sia meglio spiegato da teorie a livello macro o micro rimane in fin dei
conti una questione di adeguatezza della teoria nel rendere conto dei fatti, risolvibile scegliendo
quella teoria meglio in grado di approssimarsi alla verità, cioè meglio in grado di prevedere
logicamente un maggior numero di conseguenze vere rispetto alle teorie concorrenti [Popper 1972:
119; Lucas 1976: 29-30]. Come riassunto da James Coleman, un modo di guardare alla teoria
dell'azione razionale è «specificare che la teoria è costruita per un insieme di astratti attori razionali.
Diventa perciò una questione empirica se una teoria così costruita può rispecchiare il
funzionamento di reali sistemi sociali che involvano persone reali» [Coleman 1990: 18]. La teoria
dell'azione razionale (d'ora in poi RAT, Rational Action Theory5
) è anche definita Beliefs,
preferences, and constraints model (BPC). Questa formulazione aiuta a esplicitare le componenti
fondamentali della teoria, cioè credenze, preferenze e vincoli6 [Gintis 2012: 319].
Innanzitutto, alla base della teoria, vi è l'assunto di razionalità individuale. Seguendo James
Coleman, il nocciolo di tale assunto si riduce a considerare gli individui come votati alla
massimizzazione della propria soddisfazione o utilità: «questa concezione è basata sulla nozione
che diverse azioni (o, in alcuni casi, diversi beni) abbiano una particolare utilità per l'attore ed è
accompagnata da un principio di azione che può essere espresso dicendo che l'attore sceglie l'azione
che massimizzerà l'utilità» [Coleman 1990: 14]. Formalmente, dati certi postulati, l'utilità di un
individuo può essere rappresentata da una funzione di utilità [Farmer 1982: 185]. Una funzione di
utilità non è altro che una relazione tra uno stato di cose del mondo relativo a una persona e la
soddisfazione complessiva che tale stato di cose conferisce all'individuo. Il criterio della
soddisfazione permette di comparare diversi stati del mondo che, di per sé, risulterebbero
incomparabili: a esempio il rispetto di una scelta morale e l'acquisizione di un bene materiale di un
certo valore [Stigler 1946: 13]. Questo stato di cose, argomento della funzione di utilità, può infatti
includere le situazione più diverse: dal possesso e l'utilizzo di un determinato insieme di beni, a uno
4 Ammesso, e non concesso, che esista una visione condivisa di cosa costituisca un comportamento razionale.
5 Si tendono ad etichettare come Rational Action Theory le teorie ispirate al principio di razionalità in campo
sociologico, per distinguerle dalla Rational Choice Theory tipica della scienza economica [Goldthorpe 2006: 183]. 6 Peter Hedström, pur avanzando una teoria che vorrebbe distanziarsi dalla RAT, propone non di meno un modello
basato sugli identici assunti, chiamato Desires, beliefs, opportunities (DBO) [Hedström 2006: 48-49]. A parte la
terminologia, concettualmente identica, e l'intento, il modello risulta perfettamente compatibile con la RAT.
3
stato di relazioni personali soddisfacenti o meno, a una coerenza delle proprie convinzioni morali o
ideologiche con lo stato del mondo esterno. Essendo la soddisfazione derivante dai diversi stati di
cose l'oggetto della comparazione tra i risultati possibili di diverse scelte, stati del mondo così
radicalmente differenti diventano comparabili, e pongono pertanto la base della scelta individuale.
L'assunto centrale della teoria della scelta razionale è che gli individui tentano, dati i vincoli esterni,
di massimizzare la propria funzione di utilità: si suppone, cioè, che il corso di azioni intrapreso da
parte di un individuo sia quello di perseguire quello stato di cose in corrispondenza del quale la
propria funzione di utilità raggiunga un massimo7. In questo modo è possibile modellare gli
obbiettivi più diversi potenzialmente perseguibili da un attore sociale: come ironicamente illustrato
da George Stigler, «una pigrizia attentamente pianificata può essere interpretata come la
massimizzazione dell'obbiettivo di non lavorare; se non è pianificata, può essere vista come la
simultanea massimizzazione dell'obbiettivo di non lavorare e di non pensare» [ibidem].
La soddisfazione per uno stato di cose deriva dal fatto che gli individui hanno un insieme di
preferenze, che descrive la soddisfazione derivante dalle diverse situazioni in cui possono di volta
in volta trovarsi. Le preferenze stabiliscono la forma della funzione di utilità dell'individuo, cioè
come gli stati di cose del mondo si rapportano con la sua soddisfazione o utilità. La teoria
dell'azione razionale assume che tali preferenze siano complete, e siano internamente consistenti,
godano cioè della proprietà della transitività8: se un individuo preferisce uno stato di cose A a uno
stato di cose B, e preferisce lo stato B a uno stato C, se le preferenze sono coerenti si può dedurre
che preferirà lo stato A allo stato C9 [Becker 1962: 2]. Quanto richiesto dal principio di razionalità
non ha nulla a che vedere col contenuto delle preferenze. Le preferenze individuali sono solitamente
considerate un dato del problema di massimizzazione, e non sono pertanto sottoposte a
giustificazione razionale. Il filosofo scozzese David Hume, che, col suo Trattato sulla natura
umana, scritto nel XVIII secolo, può essere considerato un precursore della RAT, esprimeva tale
concetto recisamente:
7Il principio di massimizzazione non è strettamente necessario: un individuo può voler tentare di minimizzare la
soddisfazione relativa a un determinato obbiettivo, o porsi il compito di raggiungere solo una frazione del massimo
raggiungibile. Includere tali ipotesi comportamentali nel semplice modello di massimizzazione non cambia la sostanza
della teoria, e il criterio di massimizzazione viene pertanto utilizzato per semplicità [Stigler 1946: 13]. 8 Più precisamente il concetto di razionalità qui utilizzato richiede che le preferenze siano complete e transitive. Cioè
che, in linea di principio, l'individuo sia in grado di stabilire una relazione di preferenza (o indifferenza) rispetto a una
qualsiasi coppia di stati del mondo, e che tali relazioni di preferenza siano transitive [Buchanan 1954: 341; Arrow 2012:
13-19]. 9 Assumere razionalità a livello individuale non significa, tuttavia, che tale assunto resti necessariamente valido anche a
livello sociale. Le scelte sociali, cioè le scelte risultanti dall'aggregazione di un insieme di scelte individuali, possono
non conformarsi ai criteri sopra delineati, cioè completezza e transitività delle preferenze, pur se vi si conformano i
singoli individui [De Scitovszky 1941: 88; 1942: 94; Buchanan 1954: 341; Arrow 2012: 59]. Solo ponendo delle
determinate restrizioni rispetto alle possibili preferenze degli individui è possibile traslare senz'altro il principio di
razionalità dal livello individuale a quello sociale [Becker 1962: 7; Arrow 2012: 74].
4
non è contrario alla ragione preferire la distruzione del mondo intero per non graffiarmi un dito. Non è contrario alla
ragione che io scelga di rovinarmi completamente per impedire il minimo dolore di un Indiano o di un completo
sconosciuto. Né è contrario alla ragione preferire il bene che so essere minore a quello maggiore, e nutrire un'affezione
più intensa per il primo invece che per il secondo [Hume 2001 : 823].
Le preferenze possono pertanto essere delle più varie10
, e lo specifico contenuto delle stesse
nell'analisi di una situazione sociale è un'ipotesi cruciale formulata dal ricercatore. Relativamente
all'azione sociale, spesso l'alternativa più rilevante che si presenta è se gli individui abbiano
preferenze egoistiche o altruistiche [Hechter e Kanazawa 1997: 194]. Nel primo caso si suppone
che l'attore massimizzi la propria utilità senza tenere conto della soddisfazione delle persone con cui
venga a interagire. Nel secondo si considera l'attore come ricavante utilità dall'utilità altrui: agire
per aumentare la soddisfazione di terzi permette così di aumentare la propria [Becker 1976: 818-
819]. L'argomento humeano è stato espresso in modo esplicito più di recente da Herbert Gintis:
[il modello dell'attore razionale] presuppone che le persone abbiano preferenze coerenti, ma non richiede che le
preferenze siano egoistiche o materialistiche. Possiamo semplicemente mappare come le persone valutino l'onestà o la
lealtà nello stesso modo in cui possiamo mappare come valutino il pollo fritto o i golfini di cashmere [...] Le scelte
individuali, anche se sono egoistiche (a esempio, consumo personale) non sono necessariamente volte al miglioramento
del benessere. Nel senso del modello dell'attore razionale, può essere razionale fumare, fare sesso non protetto, e anche
attraversare la strada senza guardare [Gintis 2012: 318-319].
Chiaramente è difficile immaginare individui caratterizzati da preferenze esclusivamente egoistiche
o esclusivamente altruistiche. Un'ipotesi più realistica consiste nel considerare gli individui, almeno
come ipotesi di lavoro, costituiti da preferenze orientate a un punto intermedio tra l'egoismo e un
altruismo limitato [Hume 2001: 977]. Questo significa considerare le azioni individuali orientate,
normalmente, al miglioramento del proprio benessere, a prescindere del benessere di terzi, mentre
orientate in senso altruistico solo nei confronti di una selezionata cerchia di individui. Utilizzando
di nuovo le parole di Hume,
lungi dal pensare che gli uomini non abbiano alcuna affezione per tutto ciò che trascende loro stessi, ritengo che,
sebbene sia raro incontrare qualcuno che ama una singola persona più che sé stesso; tuttavia è altrettanto raro incontrare
qualcuno in cui tutte le affezioni gentili11
, unite insieme, non sorpassino completamente l'egoismo [...]. Ogni persona
ama sé stessa più di ogni altra, e nel suo amore per gli altri riserva il suo affetto principalmente ai parenti e ai conoscenti
[ivi:: 963].
10
Non si ritiene qui di fondamentale importanza, da un punto di vista metodologico, la distinzione, spesso sottolineata,
tra gusti e valori [Marconi 2007: 155; Arrow 2012: 18]. Entrambe le categorie vengono qui considerate come sottotipi
di preferenze. 11
Nel senso di orientate altruisticamente: la traduzione italiana a cui si fa riferimento è stata leggermente modificata. Si
riporta il passaggio originale: «So far from thinking, that men have no affection for any thing beyond themselves, I am
of opinion, that tho' it be rare to meet with one, who loves any single person better than himself; yet 'tis as rare to meet
with one, in whom all the kind affections, taken together, do not over-balance all the selfish» [Hume 2001: 962].
5
La teoria della scelta razionale assume, di norma, una certa stabilità delle preferenze individuali,
anche su periodi temporali relativamente lunghi. In principio è possibile spiegare qualsiasi
cambiamento sociale o istituzionale tramite cambiamenti delle preferenze tra i responsabili dello
stesso12
[Fenoaltea 1975b: 714]. Data, però, una certa regolarità empirica dei comportamenti umani
in risposta a stimoli simili, appare più promettente, e attinente alla realtà dei fatti, cercare una
spiegazione del cambiamento sociale incentrata sui cambiamenti nel comportamento di singoli
individui con preferenze stabili, in risposta al cambiamento dei vincoli esterni (i constraint del
modello BPC)13
[Friedman e Savage 1948: 287; Stigler e Becker 1977: 76-77].
Gli individui agiscono, nel tentare di soddisfare le proprie preferenze, vincolati da un ambiente
esterno, che racchiude le possibilità di azione e interazione, e che restringe, perciò, i corsi di azione
disponibili all'individuo14
[Arrow 2012: 15]. L'ambiente esterno può essere considerato come
l'insieme di tutte le risorse utilizzabili dagli attori razionali nel perseguimento dei propri fini e dal
loro stato, ed è caratterizzato da una determinata distribuzione delle stesse. La situazione di partenza
di un individuo è costituita dalla parte di risorse dell'ambiente esterno su cui abbia un certo grado di
controllo. Tali risorse possono essere del tipo più vario, e corrispondere a reddito o ricchezza,
informazione, particolari eventi, relazioni personali, istituzioni sociali, lo stato corrente della
tecnologia, o il valore o prezzo degli oggetti presenti nel sistema [Coleman 1990: 28]. L'incontro tra
le preferenze individuali e le risorse sotto il controllo dell'individuo determinano un sistema di
scambio sociale, tramite cui le risorse controllate vengono utilizzate o scambiate nel perseguire i
fini individuali [Homans 1958: 604-605]. Seguendo Max Weber, mentre le interazioni tra individui
costituiscono una parte dinamica del sistema, costituito dagli scambi delle risorse sociali tra gli
attori, le relazioni sociali, una volta instaurate, costituiscono un dato del sistema, e sono pertanto
interpretabili come una risorsa dell'ambiente utilizzabile come oggetto di scambio sociale. Per
relazione sociale, quindi, «si deve intendere un comportamento di più individui instaurato
reciprocamente secondo il suo contenuto di senso, e orientato in conformità. La relazione sociale
consiste pertanto esclusivamente nella possibilità che si agisca socialmente in un dato modo (dotato
di senso), quale che sia la base su cui riposa tale possibilità» [Weber 1980: 23-24]. Il diverso grado
12
In tal caso rimarrebbe comunque da spiegare il cambiamento di preferenze [Aguiar e De Francisco 2002: 130]. 13
La stessa tesi può essere interpretata in senso strumentalista, cioè ritenendo possibile la spiegazione di un vasto
numero di fenomeni sociali a partire dall'assunto di preferenze stabili, a prescindere dall'isomorfia di tali assunti con la
realtà dei fatti, concentrandosi sulla validità empirica delle implicazioni derivabili dalla teoria [Becker 1962: 3-4;
Alchian 1950: 220-221]. Nonostante la preferenza personale per una posizione realista (come, a esempio, in Coleman
[1990: 667]), si preferisce concentrarsi nel presente lavoro sulle implicazioni testabili della teoria, a prescindere da
considerazioni filosofiche più generali. 14
Con la terminologia utilizzata da Peter Hedström, «con opportunità, per come intendiamo qui il termine, si intende il
"menu" delle azioni a disposizione dell'attore, ossia l'effettivo insieme di corsi d'azione alternativi che esistono
indipendentemente dalle credenze che l'attore ha nei loro riguardi» [Hedström 2006: 49].
6
di controllo sulle risorse dell'ambiente fa sì che tra i singoli individui nascano delle interazioni, il
cui intreccio e la cui eventuale persistenza concorrono a costituire il sistema sociale:
se gli attori controllano tutte quelle risorse che gli interessano, allora le loro azioni sono automatiche: questi esercitano
meramente il loro controllo in un modo che soddisfi i propri interessi [...]. Quello che crea un sistema sociale, in
contrasto a un insieme di individui che esercitano indipendentemente il loro controllo sulle attività atte a soddisfare i
propri interessi, è un semplice fatto strutturale: gli attori non sono pienamente in controllo delle attività che possono
soddisfare i propri interessi, ma trovano alcune di queste attività parzialmente o completamente sotto il controllo di altri
attori. [Le transazioni risultanti] non includono solo ciò a cui normalmente si pensa come scambio, ma anche una
varietà di altre azioni che rientrano in un concetto più ampio di scambio. Queste includono tangenti, minacce, promesse,
e investimenti di risorse. E' tramite queste transazioni, o interazioni sociali, che le persone sono in grado di utilizzare le
risorse sotto il proprio controllo, e in cui hanno poco interesse, per realizzare i propri interessi che risiedono in risorse
controllate da altri attori [Coleman 1990: 29].
Ai fini della teoria è necessario considerare l'ambiente reale disponibile agli individui, e non un
ipotetico ambiente ideale, disponibile nella mente del ricercatore con il senno di poi, ma invisibile o
inesistente per gli individui oggetto d'analisi15
[Demsetz 1969: 1]. Questo è particolarmente vero
per quanto riguarda i vincoli informativi cui sottostanno gli attori16
, così come per lo stock di
conoscenza (scientifica, tecnica o empirica) accumulato dalla società nel suo complesso [North
1981: 17]. La non disponibilità agli attori considerati di alternative fuori portata può aiutare a
spiegare razionalmente l'esistenza, in passato, di istituzioni considerate oggi "irrazionali" (come il
processo tramite ordalia, descritto nel paragrafo 1.1), e può fornire allo stesso tempo, in concorso
con ulteriori cambiamenti dell'ambiente correlati, un'ipotesi sugli incentivi che possono portare gli
attori a intraprendere un processo di cambiamento istituzionale (come nel caso della nascita del
processo tramite giuria nella difesa dei diritti di proprietà, trattato nel paragrafo 1.3 e nel capitolo
III).
L'ultima componente del modello BPC è costituita dalle credenze degli attori [Hedström 2006: 49].
Una credenza può essere considerata come l'insieme di proposizioni sul mondo che gli individui
ritengono vere: «la credenza, some è spesso detto, "tende alla verità", nel senso che le credenze
15
Come scrive Harold Demsetz, facendo uso di modelli nello spiegare la realtà si corre il rischio di confrontare «una
norma ideale e un sistema istituzionale "imperfetto" realmente esistente. Questo approccio nirvana si differenzia
considerevolmente da un approccio istituzionale comparativo, in cui la scelta rilevante è tra alternativi sistemi
istituzionali reali» [Demsetz 1969: 1]. Tale appunto non consiste nel suggerire l'abbandono della spiegazione tramite
modelli, ma nel suggerire l'utilizzo di modelli più realistici, che prendano in considerazione le reali opzioni degli
individui, in luogo di etichettare come irrazionale ogni situazione reale che si distanzi eccessivamente da un modello
eccessivamente astratto [Eggertsson 1990: 22-23]. 16
Opportunità o vincoli sconosciuti all'attore difficilmente potrebbero influenzarne il comportamento, a prescindere
dall'eventuale utilità che potrebbe derivargliene: «sebbene le opportunità esistano indipendentemente dalle credenze
soggettive, esse devono comunque essere note a chi agisce e, perciò, è possibile sostenere che la loro influenza si
manifesti attraverso le credenze dell'attore» [Hedström 2006: 49].
7
sono il tipo di stati mentali che devono essere veri per far sì che la mente "si adatti" al mondo17
»
[Engel 2002: 57]. Le credenze, pertanto, costituiscono l'insieme delle teorie e dei modelli sul
funzionamento del mondo che i soggetti prendono come vere: in questo senso costituiscono uno
stato mentale in grado di orientare il comportamento individuale [North 1994: 48-49]. La
formazione di credenze sul mondo è necessariamente influenzata dai vincoli informativi a cui è
sottoposto l'individuo [Hayek 1945: 530]. Se una teoria sul mondo viene creduta in quanto in grado
di spiegare il funzionamento della realtà, svolgerà la sua funzione solo finché i fatti del mondo non
verranno a contraddirla [North 1981: 49; Hayek 1988: 51-52]. Vincoli informativi possono produrre
un'immagine distorta degli stati del mondo, e quindi fornire supporto a una credenza errata, così da
assicurarne la persistenza [Acemoglu et al. 2005: 424]. In ragione di ciò, gli individui hanno un
incentivo ad acquisire informazioni sul mondo atte a migliorare le proprie credenze (nel senso di
sostituire credenze vere a credenze false), così da avere un maggiore controllo sull'ambiente
esterno18
[Barro 1997: 249].
Il concetto di credenza qui utilizzato è soggettivo: ai fini della teoria dell'azione è importante capire
le credenze, giuste o errate che siano, effettivamente in possesso dell'attore. Un'importante genere di
credenza soggettiva è costituito dalle ipotesi degli attori relative ai diversi possibili stati del mondo
futuri. In situazioni caratterizzate da un certo grado di incertezza, in cui, cioè, gli esiti delle proprie
azioni o i futuri stati del mondo non sono conosciuti con certezza, gli individui agiscono sulla base
di ipotesi probabilistiche. In questo caso le credenze soggettive relative alla distribuzione di
probabilità dei futuri stati del mondo diventano cruciali nel fornire la base per un'azione razionale
[Levine 2012: 6]. Dal momento in cui è la credenza individuale a fornire il movente per l'azione,
non è necessario supporre che le credenze probabilistiche soggettive corrispondano alla probabilità
oggettiva19
dell'insieme di eventi possibili. Le ipotesi individuali sui possibili accadimenti futuri
dipenderanno dalle informazioni in possesso dell'attore e, pertanto, più un evento sarà di interesse
per un soggetto, più informazioni verranno acquisite intorno alle condizioni del suo accadimento
[Coleman 1990: 103]. Per questi motivi, è ipotizzabile che le credenze soggettive sugli stati del
mondo siano più vicine alla realtà dei fatti per gli eventi in cui gli attori hanno un diretto interesse:
17
Con le parole di Paul Boghossian, «una credenza è un tipo particolare di stato mentale [...]. Credere che Giove ha
sedici lune, si può dire, è ritenere il mondo essere tale che in esso Giove ha sedici lune; o rappresentare il mondo come
contenente un particolare corpo celeste con sedici lune; e così via» [Boghossian 2006: 10]. 18
Supponendo, nei termini del modello, che gli attori abbiano preferenze meglio soddisfabili al crescere del proprio
controllo sull'ambiente. 19
La probabilità oggettiva di un evento può essere considerata la reale frequenza relativa dello stesso rispetto al numero
dei casi in cui il suo accadimento è possibile [Popper 2010: 153, 181]. La probabilità soggettiva può essere considerata
un'ipotesi relativa alla probabilità oggettiva di un determinato evento [ivi: 225-228].
8
l'asserzione che gli individui agiscono come se avessero assegnato delle probabilità personali a tutti i possibili eventi è
un'ipotesi comportamentale, non una descrizione della psicologia individuale o l'asserzione che un individuo darà una
risposta significativa a una domanda rispetto alla probabilità che assegnerebbe a un evento, ad esempio la continuazione
della democrazia parlamentare nel Regno Unito. Se l'evento in questione non incide a sufficienza sulla sua vita, o,
anche se lo fa, non incide sulla parte del suo comportamento soggetto al suo controllo, non vi è ragione per cui
dovrebbe allocare un qualsiasi sforzo al crearsi un'opinione rispetto a tale questione, e darà senza dubbio una risposta
alla buona. D'altra parte, se una parte importante del suo comportamento dipende dal fatto che la democrazia
parlamentare continui nel Regno Unito o meno (nei termini del nostro esperimento ipotetico, se il premio o la perdita
scatenata da questo risultato è sufficientemente grande), il formarsi un'opinione definita avrà valso lo sforzo [Friedman
2007: 84].
Lo studio della realtà sociale tramite il modello BPC, in conclusione, si risolve nell'applicazione dei
sovraesposti criteri metodologici, dando vita a ciò che Karl Popper chiamava "logica della
situazione"20
, cioè la convinzione secondo cui «le nostre azioni sono in larghissima misura
spiegabili nei termini della situazione in cui si svolgono» [Popper 1996: 116]. Citando più
ampiamente, la "logica della situazione"
è caratterizzata dal fatto di analizzare la situazione dell'uomo che agisce in modo sufficiente per spiegare l'azione sulla
base della situazione, senza bisogno di sussidi psicologici. La "comprensione" oggettiva consiste nel vedere che l'azione
corrispondeva oggettivamente alla situazione. In altri termini, la situazione è analizzata fino al punto in cui quei
momenti che in un primo tempo sembrano psicologici, ad esempio i desideri, i moventi, i ricordi e le associazioni, sono
trasformati in momenti della situazione. La persona che aveva questi o quei desideri si trasforma allora in una persona
alla cui situazione appartiene il fatto di perseguire questi o quegli scopi oggettivi. E la persona che aveva questi o quei
ricordi e associazioni diventa una persona della cui situazione fa parte il fatto che sia oggettivamente provvista di queste
o quelle teorie, di questa o quell'informazione [...]. La logica della situazione presuppone, in genere, l'esistenza di un
mondo fisico in cui agiamo. Questo mondo contiene, ad esempio, sussidi fisici che stanno a nostra disposizione [...].
Inoltre la logica situazionale deve anche presupporre l'esistenza di un mondo sociale, composto di altre persone, dei cui
scopi noi conosciamo qualcosa (spesso non molto), e, inoltre, istituzioni sociali [Popper 1972: 121-122].
La logica situazionale riassume quindi le componenti del modello BPC (credenze, preferenze e
vincoli), che vengono considerate come dati della situazione all'interno della quale l'individuo si
trova a formulare le proprie decisioni in merito ai corsi di azione ottimali. Come già notato, adottare
un metodo individualista non significa adottare una teoria dell'azione in cui il sistema sociale, e in
particolare le norme e le istituzioni che lo caratterizzano, non giochi alcun ruolo: piuttosto significa
considerare dette istituzioni sociali come vincoli all'azione e risultato dell'aggregazione delle azioni
individuali21
[Eggertsson 1990: 4-6]. Il modello generale di attore razionale fondato sulla logica
20
In campo sociologico la "logica della situazione" di ispirazione popperiana è stata esplicitamente accolta da alcuni
autori all'interno della corrente di sociologia analitica, ad esempio in Coleman [1990: 5] e Goldthorpe [2006: 190]. 21
L'interazione tra soggetti collettivi e individuali, all'interno di una teoria dell'azione individualista, è così delineata da
Max Weber: «l'interpretazione dell'agire deve riconoscere il fatto, di fondamentale importanza, che quelle formazioni
9
della situazione, in presenza di vincoli istituzionali o di altro genere, può essere schematizzato con
la cosiddetta Coleman's Boat (figura 1.1) [Coleman 1986: 1322]. Le istituzioni sociali nel periodo 𝑡
influiscono sull'ambiente dell'attore tramite la relazione (1), limitandone le possibilità di azione22
.
Accanto agli altri vincoli ambientali esistenti a 𝑡, tramite la relazione (2) influenzano le possibilità
di azione nel successivo periodo 𝑡 + 1 : «in tale situazione strutturata da regole, gli individui
scelgono le proprie azioni da un insieme di azioni permesse, dato l'intero insieme di incentivi
esistenti nella situazione» [Ostrom 1986: 6]. L'azione così vincolata tende, in interazione con le
azioni degli altri attori (parte dell'ambiente esterno), a produrre un cambiamento istituzionale, e
quindi a determinare la forma delle istituzioni a 𝑡 + 1, tramite la relazione (3). Le relazioni di tipo
(1) e (3) descrivono, rispettivamente, movimenti da uno stato macro a uno micro, e da uno stato
micro a uno macro, mentre la relazione (2) descrive il processo di azione razionale fondato sugli
assunti sopra delineati (interno al livello micro). La transizione (1) descrive tutti quegli elementi che
stabiliscono le condizioni iniziali vincolanti le azioni individuali: le sue preferenze, credenze,
informazioni, le norme o istituzioni sociali, lo stato del mondo, le azioni altrui. La transizione (3)
descrive invece le conseguenze dell'azione individuale: come si combina, interferisce o interagisce
con quelle degli altri, concorrendo a creare un nuovo contesto, che, nei confronti del successivo
periodo 𝑡 + 2, costituirà a sua volta parte delle condizioni iniziali [Coleman 1990: 11-12]. La linea
tratteggiata, infine, descrive il passaggio, interno al livello macro, dallo stato dell'istituzione da 𝑡 a
collettive appartenenti al pensiero comune o al pensiero giuridico (o anche di altre discipline) sono rappresentazioni di
qualcosa che in parte sussiste e in parte deve essere, le quali hanno luogo nelle menti di uomini reali (e non soltanto dei
giudici e dei funzionari, ma pure del "pubblico"), e in base alle quali si orienta il loro agire - e che esse hanno, in quanto
tali, un'importanza causale assai forte, e spesso addirittura predominante, per il modo in cui procede l'agire degli uomini
reali» [Weber 1980: 13]. 22
Questo equivale a sostenere che le istituzioni sociali non agiscono direttamente sul comportamento individuale
tramite interiorizzazione, come nella trattazione classica di Durkheim [1996: 28-29]; bensì indirettamente, strutturando
la situazione in cui l'individuo viene a trovarsi. Come riassunto da Elinor Ostrom, «in luogo di considerare le regole
come direttamente incidenti sul comportamento, vedo le regole come direttamente incidenti sulla struttura della
situazione dove le azioni vengono scelte» [Ostrom 1986: 6].
Figura 1.1 Coleman's Boat
10
𝑡 + 1 : il tratteggio sottolinea come la trasformazione sia mediata dalle interazioni individuali
attraverso le relazioni (1), (2) e (3).
11
2. TEORIA DEI DIRITTI DI PROPRIETA'
Émile Durkheim, nella prefazione alla seconda edizione de Le regole del metodo sociologico,
scriveva: «si può [...] chiamare istituzione ogni credenza e ogni forma di condotta istituita dalla
collettività; la sociologia può venir allora definita come la scienza delle istituzioni, della loro genesi
e del loro funzionamento» [Durkheim 1996: 20]. Scopo del presente lavoro è indagare la genesi e il
funzionamento di un particolare tipo di istituzione, e cioè dei moderni diritti di proprietà privata.
L'attenzione dei sociologi contemporanei nei confronti di un'istituzione tanto pervasiva da essere
data generalmente per scontata è stata scarsa, nonostante l'interesse per la stessa di molti dei padri
fondatori della disciplina [Carruthers e Ariovich 2004: 24]. A esempio, il giovane Marx, criticando
l'economia politica a lui contemporanea ne i Manoscritti economico-filosofici, così poneva il
problema:
l'economia politica parte dal fatto della proprietà privata. Ma non ce lo spiega. Coglie il processo materiale della
proprietà privata quale si rivela nella realtà, ma lo coglie in formule generali, astratte, che hanno per essa valore di
leggi. Essa non comprende queste leggi, cioè non riflette in qual modo esse derivino dall'essenza della proprietà privata
[Marx 1949: 66].
La vita sociale si svolge all'interno di un quadro istituzionale, composto da leggi, norme e regole, le
quali hanno un'influenza sul comportamento individuale, come sostenuto nel paragrafo 1. Spiegare
il comportamento sociale senza tenere conto delle differenze istituzionali che determinano una larga
parte dei vincoli alle azioni individuali costituisce un'omissione gravida di conseguenze, in
particolare nello spiegare il funzionamento differenziale di diverse società [North 1986: 63;
Acemoglu et al. 2005: 389]. Il presente capitolo è pertanto dedicato a delineare un quadro teorico
generale atto a spiegare l'origine dei diritti di proprietà. Nello spiegare fatti storici tramite i postulati
della Teoria dell'azione razionale, si intende fornire una "narrativa analitica" [Bates et al. 1998: 10-
13] dello sviluppo delle regole di Common law in Inghilterra relative alla proprietà privata sulla
terra, le cui basi furono sviluppate nel XII e XIII secolo (oggetto dei capitoli II e III). Una narrativa
analitica integra un approccio storico-empirico ai fatti, a un modello di spiegazione ipotetico-
deduttivo degli stessi. Tramite i fatti storici è possibile ricostruire «le preferenze degli attori, le loro
percezioni, la loro valutazione delle alternative, le informazione che posseggono, le aspettative che
formano, le strategie che adottano, e i vincoli che limitano le loro azioni» [ivi: 11], e quindi tentare
di applicare una teoria individualista dell'azione nella spiegazione del loro evolversi. Questo
equivale a fornire un'interpretazione di un particolare corso storico. L'utilizzo di principi teorici
esterni, però, permette di fornire un'interpretazione vincolata, cioè basata su teorie valide
indipendentemente dai fatti considerati [Popper 2008: 149-151]. La validità, e l'interesse,
12
dell'interpretazione, risiede pertanto nell'eventuale capacità della teoria di rendere conto dei fatti
effettivamente osservati storicamente [Bates et. al 1998: 16-17].
2.1. Istituzioni
Un'istituzione è qui definita come un sistema di regole, intese come «prescrizioni comunemente
conosciute e utilizzate da un insieme di partecipanti per ordinare relazioni personali ripetitive e
interdipendenti» [Ostrom 1986: 5]. Tali prescrizioni definiscono l'insieme delle azioni, che sono
richieste, proibite o permesse ai componenti del gruppo sociale di riferimento. Questo significa che,
sotto un sistema di regole, «una norma relativa a un'azione specifica esiste quando il diritto,
socialmente definito, a controllare tale azione è detenuto non dall'attore ma da altri» [Coleman
1990: 243]. Il sistema di regole così definito (l'istituzione), tenderà a specificare: le posizioni che gli
individui possono occupare nell'ordine sociale; le modalità di ingresso e uscita da tali posizioni;
l'insieme delle azioni e degli eventi su cui gli individui possono, non possono, o devono esercitare
un controllo23
[Ostrom 1986: 5]. A un primo livello, le istituzioni possono essere suddivise in
sistemi di regole formali e informali. I vincoli formali possono essere considerati costituiti da quelle
regole esplicite il cui rispetto è garantito tramite la coercizione di un'autorità pubblica, mentre i
vincoli informali sono costituiti da quelle regole, spesso implicite, il cui rispetto è garantito dalla
società in generale (ad esempio nel caso delle norme sociali e dei codici morali) [North 1994: 24].
La linea di separazione tra formale e informale non è necessariamente così netta: le istituzioni
appartengono a un continuum, e la separazione in due classi è un operazione analitica24
[ivi: 77].
Secondo una seconda definizione di Douglass North, «le istituzioni sono un insieme di regole,
procedure di conformità, e norme comportamentali morali ed etiche, progettate per limitare il
comportamento degli individui in modo da massimizzare il benessere o l'utilità dei costituenti»
[North 1981: 201-202]. In questa seconda definizione, accanto alla natura regolamentare delle
istituzioni, è resa esplicita la relazione tra il sistema normativo e gli interessi degli individui che
hanno il potere e la volontà di metterlo in atto. Perché una norma, formale o informale, emerga, è
necessario che gli interessi di un gruppo di costituenti siano in qualche modo toccati dalle azioni
altrui: questo stato di cose viene a creare una domanda per una norma che limiti le azioni di terzi.
Secondo il modello di James Coleman, le azioni e interazioni sociali creano, nella maggior parte dei
23
Analoga è la definizione di norma sociale di James Coleman: le norme sociali «specificano quali azioni sono ritenute
da un insieme di persone come appropriate o corrette, o inappropriate o scorrette» [Coleman 1990: 242]. 24
Una norma sociale in una piccola comunità chiusa, ad esempio, può essere fatta rispettare più efficacemente e con un
maggiore grado di coercizione di quanto sia possibile, in molti casi, ottenere lo stesso risultato in relazione a norme di
legge garantite dall'apparato coercitivo dello stato. North pone vicine all'estremo delle istituzioni formali le costituzioni
e le regole di legge, mentre più vicine all'estremo delle regole informali le norme sociali, i codici morali, i tabù e i
costumi [North 1981: 203; 1994: 77].
13
casi, delle esternalità o effetti esterni [Coleman 1990: 249]. Un'esternalità è presente quando
un'attività sotto il controllo di un soggetto B, ma non controllabile da A, ha un'influenza sull'utilità
di A [Buchanan e Stubblebine 1962: 372]. L'origine di un'esternalità risiede nell'inesistenza, fino al
momento della sua apparizione, di un consenso rispetto al diritto di una parte piuttosto che di
un'altra nel controllare un insieme di azioni. In assenza di un diritto riconosciuto non è possibile per
le parti coinvolte accordarsi nel regolare un comportamento: tale comportamento o attività ricade
nel dominio pubblico, e non è proprietà personale di nessuno [Coleman 1993: 220-221]. Come
esempio, si immagini l'attività di fumare in un ristorante, laddove non esistano regole che
definiscano i soggetti in possesso del controllo esclusivo dell'attività in questione. Gli avventori
disturbati dal fumo potrebbero pensare di compensare in qualche modo i fumatori per smettere.
Questo sarebbe possibile, ma, i fumatori, per quanto potrebbero decidere di garantire la loro
astensione dal fumo, non potrebbero vincolare ulteriori avventori a seguire lo stesso
comportamento. Allo stesso modo, si potrebbe pensare di compensare il proprietario del ristorante.
Quest'ultimo, però, non possedendo il diritto a regolare la quantità di fumo presente nel locale, non
potrebbe impedire di fumare agli avventori. Se nessuna delle parti in causa possiede il diritto
esclusivo a controllare un certo genere di azioni, non è possibile contrattare una forma di
compensazione per gli emettitori di esternalità in grado di farli desistere dal comportamento
indesiderato [Coase 1960: 8; Cheung 1970: 66-67]. L'esternalità imposta da B ad A può essere
positiva, può cioè incrementare la soddisfazione di A (ad esempio nel caso in cui B suoni nelle
vicinanze di A musica a lui gradita), o negativa, nel caso diminuisca la soddisfazione di A (ad
esempio nel caso in cui B suoni musica non gradita ad A). In presenza di un'esternalità il soggetto in
controllo dell'azione in questione non internalizza completamente i suoi effetti sociali, cioè ricadenti
su terzi: nel valutare i costi e benefici delle sue azioni non tiene, cioè, conto dell'utilità o disutilità
causata a terzi dalle sue azioni, ma solo della soddisfazione personale derivante dalle stesse (in caso
di esternalità negativa questo si traduce in un'emissione eccessiva di un determinato
comportamento, dal momento che B non tiene conto degli effetti negativi prodotti su altri rispetto a
lui; in caso di esternalità positiva, in un'emissione scarsa dello stesso, dal momento in cui B non
beneficia degli effetti positivi ricadenti su terzi). Un'azione che imponga delle esternalità crea un
interesse negli attori da questa danneggiati (o beneficiati) nel controllo dell'azione stessa, e quindi
un interesse per una norma che limiti (o incentivi) un determinato tipo di comportamento25
. Il
gruppo sociale di riferimento può così essere diviso analiticamente in beneficiari di una norma
(coloro che subiscono l'esternalità) e obbiettivi della stessa (coloro le cui azioni impongono
l'esternalità). Il gruppo di beneficiari e obbiettivi possono coincidere (ad esempio nel caso di una
25
In caso di esternalità positive si avrà una norma prescrittiva, mentre in caso di esternalità negative si avrà una norma
proscrittiva [Coleman 1988b: 54].
14
norma contro il furto, applicata a tutti), nel qual caso si hanno norme congiunte, o possono
costituire due gruppi differenti (ad esempio nel caso di una norma relativa al comportamento dei
figli imposto dai genitori), nel qual caso si hanno norme disgiunte. Nel primo caso tutti i membri
del gruppo rinunciano congiuntamente al diritto a controllare una classe di azioni, conferendolo alla
comunità (formalmente, tramite la costituzione di organismi di tipo poliziesco o giudiziario, o
informalmente, tramite sanzioni sociali diffuse), che acquisisce pertanto il diritto a punire eventuali
violazioni. Nel secondo caso, invece, una parte dei membri del gruppo stabilisce disgiuntamente il
diritto a controllare e sanzionare una classe di azioni di un'altra parte dei membri [Coleman 1988a:
370; Coleman 1990: 248-249].
In caso esistano diritti definiti sul controllo di un insieme di azioni, non vi sono esternalità. Se la
disutilità di un individuo A, affetto da un comportamento di B, è maggiore dell'utilità del compiere
l'azione in questione per B, A può compensare B perché desista dal suo comportamento (allo stesso
modo, in caso di esternalità positiva, A può compensare B così da assicurarsi la prosecuzione del
comportamento). In questo modo B viene indotto a includere nelle variabili da considerare nello
scegliere le proprie azioni il costo imposto ad altri dal suo comportamento26
[Buchanan e
Stubblebine 1962: 375]. Se non esistono regole definite sul diritto a controllare determinati corsi
d'azione, invece, l'esistenza di esternalità fa sì che sia presente un incentivo per crearle. Se la norma
verrà creata o meno dipende dai costi di transazione presenti nella situazione in esame. I costi di
transazione indicano i costi delle interazioni sociali. Essendo il tempo una risorsa scarsa, allocabile
tra differenti attività, le interazioni sociali hanno un costo27
. Più nello specifico, è possibile
distinguere tre dimensioni rilevanti dei costi di transazione delle interazioni sociali. Innanzitutto, gli
individui, nel partecipare agli scambi sociali, sopportano dei costi di ricerca e di informazione: due
parti interessate a un certo tipo di interazione devono trovarsi, e acquisire informazioni l'una
sull'altra, per determinare se l'interazione abbia un interesse per entrambi. In secondo luogo, una
volta incontrate, le parti sostengono dei costi di contrattazione, nel determinare i termini dello
scambio sociale, e di decisione, in particolare laddove le parti allo scambio siano numerose (ad
esempio nel caso in cui i soggetti danneggiati da un'esternalità, o i soggetti responsabili dell'effetto
26
Questo risultato è noto come "Teorema di Coase" e implica che, in presenza di una qualsiasi allocazione definita dei
diritti di proprietà, e in assenza di costi di transazione, gli effetti esterni di un comportamento siano sempre
internalizzati [Coase 1960: 4-8]. In caso di costi di transazione positivi, il potenziale beneficio derivante dall'esclusione
dell'effetto esterno andrà calcolato al netto dei costi di transazione necessari alla sua eliminazione [Demsetz 2003: 294-
295]. 27
Il concetto di costo è qui inteso come costo opportunità: «il costo di un qualsiasi servizio produttivo X nella
produzione di un qualsiasi bene A è l'ammontare massimo che X produrrebbe di un qualsiasi altro prodotto (B, C, ...)»
[Stigler 1946: 102]. Il costo di un'interazione sociale in un lasso di tempo consiste, pertanto, nella massima utilità che si
potrebbe ottenere utilizzando lo stesso tempo nella migliore delle altre attività disponibili al soggetto (lavoro, relazioni
sociali di altro genere, divertimento, ...).
15
esterno, siano un gruppo di dimensioni ampie). Infine, una volta che lo scambio sociale è avvenuto,
vi sono dei costi relativi al controllo del rispetto dei termini dello stesso da parte della (o delle)
controparti, comprendenti i costi derivanti dal sanzionare eventuali violazioni28
. Le tre dimensioni
specificate possono essere ridotte a un'unica radice comune: i tre tipi di costo derivano, in
definitiva, dalla mancanza di informazione completa e perfetta dei soggetti sugli individui con cui
interagiscono e sull'ambiente esterno [Dahlman 1979: 147-148]. L'informazione rispetto agli stati
del mondo e agli individui con cui si viene a interagire è un bene costoso, distribuito in modo
ineguale nella società [Stigler 1961: 216; Coleman 1986: 1318-1319]. Questo stato di cose
contribuisce a creare incertezza rispetto ai possibili stati del mondo. L'incertezza stessa è un genere
di esternalità: la conoscenza imperfetta riguardo i corsi d'azione futuri di soggetti terzi, dovuta
all'assenza di diritti ben definiti di controllo su particolari insiemi di corsi d'azione, impedisce agli
individui di prevedere univocamente il risultato delle proprie azioni (che dipende dall'interazione
con azioni di terze parti), abbassandone l'utilità attesa [Nozick 2008: 86]. L'incompletezza
dell'informazione sul comportamento altrui, e l'incertezza così derivante, però, creando
un'esternalità negativa, crea anche un incentivo alla sua riduzione o, al limite, eliminazione. Le
istituzioni sono pertanto un meccanismo atto a ridurre l'incertezza delle interazioni sociali e
dell'ambiente esterno, e, di conseguenza, atto a ridurre i costi di transazione dei rapporti tra persone.
Regole sul comportamento accettabile, oltre a ridurre gli effetti esterni negativi dei comportamenti
inaccettabili, permettono di ridurre la complessità del mondo, così da semplificare i processi sociali
[North 1994: 51]. Lo stabilire una norma comporta anche dei costi, derivanti dal monitorare il
rispetto della stessa e dal punire eventuali violatori29
. Instaurare una norma equivale a sottrarre al
dominio pubblico un insieme di azioni, stabilendo il diritto al controllo delle stesse da parte di un
gruppo (o un individuo)30
. Se i benefici dello stabilire una proprietà esclusiva su un insieme di
azioni, al netto dei costi di transazione nell'assicurare tale esclusione, risultano maggiori rispetto al
lasciare l'insieme di azioni nel dominio pubblico, è probabile che la norma venga adottata dal
gruppo interessato31
[Cheung 1970: 64; Eggertsson 2003: 82-83].
28
I costi di enforcement, cioè i costi derivanti dall'assicurare il rispetto di una norma, sono di particolare importanza
all'interno di una teoria delle norme sociali, dal momento che determinano l'effettività con cui una regola può essere
fatta rispettare. 29
Questo, a sua volta, comporta il costo di coordinare il gruppo beneficiario al mantenimento della norma. 30
Nei termini della classificazione dei beni illustrata nel paragrafo 2.2, stabilire una norma equivale a trasformare
un'azione da bene non esclusivo (comune o pubblico) a bene esclusivo (privato o di club). 31
Nel caso di norme disgiunte, diversi sistemi di norme, quindi diverse allocazioni del diritto a controllare insiemi di
azioni, implicano diversi costi e benefici per i gruppi interessati (gruppo beneficiario e gruppo obbiettivo) [Demsetz
1966: 65-66; 1972: 228-229]. Una norma massimizza il benessere del gruppo in grado di imporla, e non
necessariamente il benessere di tutti i soggetti coinvolti [North 1981: 43]. Ad esempio, una norma contro il fumo è
vantaggiosa per chi sia interessato a respirare aria pulita, ma svantaggiosa per chi desideri fumare.
16
Un'istituzione, formale o informale, può dirsi avere un'efficacia reale se sostenuta da un sistema
efficace di sanzioni che scoraggi un genere di comportamento, cioè in caso esista un sufficiente
potenziale di enforcement rivolto all'insieme di azioni oggetto della norma. I costi sostenuti nel
garantire l'applicazione di una norma derivano principalmente dalla necessità di monitorare
eventuali violazioni, e dall'applicazione di determinate sanzioni. In presenza di una minaccia
credibile a punire la violazione di determinate norme, una norma può venire rispettata senza la
necessità che la punizione si concretizzi continuamente nella realtà [Ostrom 1986: 6; Coleman
1990: 266; Haddock 2003: 171]. Nel caso delle istituzioni formali, il potenziale efficace di
enforcement è stato storicamente fornito dallo stato. La definizione di stato di Max Weber, non a
caso, mette al centro il potenziale di violenza garantito nell'applicazione delle norme
dall'organizzazione statale: «per stato si deve intendere un'impresa istituzionale di carattere politico
nella quale - e nella misura in cui - l'apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di
monopolio della coercizione fisica legittima, in vista dell'attuazione degli ordinamenti» [Weber
1980: 53]. Lo stato può essere considerato l'organizzazione più efficiente nel far rispettare le norme
grazie alle sue dimensioni e alla sua specializzazione nell'utilizzo della violenza legittima.
Un'organizzazione delle dimensioni dello stato può essere soggetta a importanti economie di
scala32
, rispetto a piccole organizzazioni, familiari o di gruppo, nell'esercizio di atti coercitivi tesi a
far rispettare un determinato numero di norme sociali: «se ogni individuo fosse eguale nella sua
abilità di escludere gli altri dal proprio possedimento, e se non vi fossero economie di scala nella
produzione della forza, vi sarebbe minore necessità di unire le forze nel definire e applicare i diritti
territoriali» [Anderson e Hill 2003: 131]. Lo stato avrebbe così un vantaggio comparato nell'utilizzo
della violenza, derivante dalla specializzazione di un gruppo di funzionari nel compito di far
rispettare regole generali, rispetto a una situazione in cui lo stesso compito fosse demandato ai
singoli individui o ai singoli gruppi familiari [North 1980: 21]. Il carattere di monopolio della
violenza da parte dello stato deriva da un'evoluzione di lungo periodo, caratterizzata dalla
competizione di agenzie di protezione alternative più piccole. L'organizzazione meglio in grado di
garantire il rispetto delle norme tende a spiazzare le concorrenti, acquistando aree di influenza
maggiori, fino a rimanere l'unica agenzia di protezione, garantendosi così il monopolio dell'utilizzo
della forza33
[Nozick 2008: 38-40].
32
Col termine "economie di scala" si intende la diminuzione del costo medio per unità di prodotto all'aumentare della
produzione [Stigler 1946: 138]. In questo caso il prodotto è costituito dalla fornitura dei mezzi coercitivi nel far
rispettare una norma. 33
Tale modello, proposto da Robert Nozick in Anarchia, stato e utopia, e pur nella sua astrattezza, descrive nondimeno
l'evoluzione dell'autorità pubblica dall'alto medioevo all'età moderna in modo plausibile. In questo lungo lasso di tempo,
le agenzie di protezione passarono da dimensioni più ridotte e inefficienti, come nel caso della faida familiare, in cui
l'agenzia di protezione principale era il gruppo parentale, a dimensioni maggiori, come nel caso delle assemblee di
17
Le istituzioni formali, pur derivando la loro particolare efficacia dal potenziale coercitivo dello
stato, riposano nondimeno su un sostrato costituito da norme sociali, fatte rispettare dalla società in
generale, senza l'intervento dell'autorità pubblica. Un'istituzione formale, senza il supporto di norme
sociali informali a suo sostegno, potrebbe essere mantenuta solo a costi proibitivi, tramite un
continuo intervento dell'autorità dello stato [North 1981: 46-47]. Una legge scritta, ad esempio,
diventa una regola effettiva solo se generalmente seguita, e cioè solo se sostenuta da un sufficiente
potenziale di enforcement [Ostrom 1986: 6]. L'efficacia complessiva di una regola deriva
dall'ammontare totale del potenziale di enforcement, composto dalla sua componente privata,
fornita dai membri della società, e da quella pubblica, fornita dallo stato. Istituzioni formali e
informali possono pertanto supportarsi mutualmente, o entrare in conflitto, determinando così il
sistema di regole effettivamente vigente in un determinato momento nella società [Axelrod 1986:
1106-1107]. Il rispetto generalizzato di un ampio insieme di norme da parte della società, può
essere considerato un esempio di cooperazione di primo livello tra individui, garantito dalla forze
sociali private, tramite sanzioni endogene al gruppo. Il rispetto di norme garantito da un'autorità
pubblica, come lo stato, può essere considerato un esempio di cooperazione di secondo livello,
indotto da sanzioni esogene al gruppo. La separazione tra i due livelli non è così netta, e le sanzioni
di secondo livello possono intervenire nel facilitare la cooperazione di primo livello, e viceversa
[Raub 1988: 334].
In assenza di un'autorità pubblica, un ampio numero di norme può essere mantenuto in essere con
bassi costi di enforcement privati, laddove il gruppo interessato alla norma sia sufficientemente
piccolo e le interazioni tra individui continuative. Il rispetto di una norma sociale, nel caso di
interazione tra due individui, può essere considerato un mutuo atto cooperativo: un individuo A può
essere costretto a limitare la propria emissione di esternalità negative (o accrescere quella di
esternalità positive), a patto che la controparte B faccia altrettanto, sotto la minaccia da parte di B di
rifiutarsi di cooperare nelle interazioni seguenti in caso di continuazione da parte di A del
comportamento indesiderato. In un sistema di scambio sociale ogni individuo può compiere atti
cooperativi nei confronti di terzi, con l'aspettativa che tali atti verranno reciprocati. In particolare è
possibile scambiare atti con un basso costo per l'esecutore A ma con un grande valore per il
recipiente B, nell'aspettativa che in futuro B restituisca un favore di grande valore per A nel
giustizia comunali e dei principati territoriali, fino ad approdare allo stato moderno centralizzato come unico detentore
del potere di coercizione legittimo. L'esistenza contemporanea dei tre tipi di fonte di protezione nel periodo storico, e la
graduale scomparsa dei tipi di dimensioni minori, suggeriscono una persistente competizione tra le agenzie, vinta infine
da quella dalle dimensioni più efficienti, cioè lo stato moderno.
18
momento in cui abbia un costo inferiore per B34
[Coleman 1990: 309-310]. Se un individuo A ha un
interesse nel proseguimento degli atti cooperativi di B, B può essere indotto a cessare i propri
comportamenti dannosi per A sotto la minaccia di perdere futuri comportamenti, per lui
vantaggiosi, da parte di A35
. B può scambiare la propria emissione di esternalità negativa per
l'emissione di una positiva di A, così da avere entrambi un guadagno dalla mutua cooperazione
continuativa. Questo sistema di scambio sociale è conosciuto come "altruismo reciproco"36
[Trivers
1971: 35]. Dal momento in cui l'altruismo reciproco si fonda sulla possibilità di una reciprocità
futura, il meccanismo può essere tenuto in vita solo se le possibilità della reciprocità non diventano
troppo esigue. In caso di gruppi di dimensioni elevate, dove i risultati della propria cooperazione
dipendono da e influiscono sui comportamenti di un ampio numero di controparti, è più difficile
identificare le singole esternalità oggetto di scambio sociale e interagire con tutti gli emettitori o
vittime delle stesse [Dawes 1980: 182-183]. Allo stesso modo, se i membri con cui si interagisce
sono un numero elevato è possibile che, a causa del numero crescente di interazioni con persone
differenti, la lunghezza delle interazioni reciproche venga ad accorciarsi, impedendo l'evoluzione di
una serie di atti cooperativi reciproci bilaterali [Trivers 1971: 37]. Nonostante le ampie dimensioni
degli aggregati sociali in cui gli uomini convivono (stati, città, grandi aziende), gli individui
tendono a interagire con gruppi più ristretti di persone (famiglia, gruppi di vicinato, associazioni),
costruendo così una rete di interazioni relativamente stabili e continuative. Queste interazioni stabili
costituiscono la struttura sociale entro cui gli individui si trovano ad agire, la quale fornisce i vincoli
e le opportunità su cui basare la scelta delle proprie azioni [Granovetter 1985: 490]. Questo fa sì che
gli effetti della grande dimensione di molti degli aggregati sociali sulle possibilità della
cooperazione risultino meno drammatici di quanto si potrebbe ritenere in prima approssimazione
[Crouch 1982: 65; Burnham e Johnson 2005: 131].
34
Robert Trivers riporta l'esempio del salvataggio di un uomo dall'annegamento. Nonostante il salvataggio stesso sia un
atto rischioso, il costo del compiere il gesto è infinitamente minore rispetto al guadagno per l'uomo salvato dalle acque.
Se vi è la possibilità che in futuro l'atto venga reciprocato nelle stesse circostanze ma a parti invertite, i benefici avranno
superato di gran lunga i costi per entrambi gli individui [Trivers 1971: 36]. 35
L'astinenza da atti cooperativi futuri è, in questo caso, considerato il meccanismo di enforcement in uso. 36
E' possibile spiegare gli atti cooperativi assumendo delle preferenze pro-sociali negli attori, che danno luogo a forme
di altruismo incondizionato (cioè, a prescindere dalla possibilità di reciprocità) [Torsvik 2000: 456; Burnham e Johnson
2005: 114; Gintis 2012]. In questo caso la cooperazione sociale non avrebbe, nella maggior parte dei casi, carattere
enigmatico. Pur senza negare l'esistenza di comportamenti pro-sociali, dettati dall'interiorizzazione individuale di norme
sociali o precetti morali ritenuti internamente vincolanti [Dawes 1980: 175-178], da una parte resta l'interesse di
spiegare l'evoluzione della cooperazione tra individui che non condividono le medesime preferenze, o in contesti dove
preferenze caratterizzate da altruismo incondizionato possono essere senz'altro escluse; dall'altra, dal momento in cui gli
atti altruistici hanno un costo opportunità, a meno di assumere preferenze tali da generare comportamenti
continuativamente altruistici anche in presenza di costi ingenti per l'attore, la cooperazione mantiene un carattere
enigmatico [Gintis 2012; Levine 2012: 32-37]. L'evoluzione della cooperazione tra attori egoisti è stata ad esempio
studiata, nel campo delle scienze politiche, in relazione all'equilibrio internazionale stabilitosi durante la guerra fredda,
o negli equilibri cooperativi riscontrabili nelle assemblee legislative composte da partiti con interessi direttamente
contrastanti [Eggertsson 1990: 355; Axelrod 2006: 3-7].
19
La discussione sull'altruismo reciproco può essere formalizzata grazie alla Teoria dei giochi. Di
particolare interesse è l'utilizzo del gioco del "dilemma del prigioniero" a due giocatori37
, utile nel
modellare situazioni tipiche delle dinamiche di piccolo gruppo. Un gioco, nei termini della Teoria
dei giochi, è una
descrizione accurata di una situazione sociale, che specifica le opzioni disponibili ai "giocatori", come le scelte tra
queste opzioni si concretizzano in "risultati", e come i partecipanti "si sentono" rispetto a quei risultati. Le tempistiche
delle decisioni e le informazioni disponibili ai giocatori quando si dispongono a prendere quelle decisioni devono altresì
essere specificate [Levine 2012: 5].
Il gioco pertanto descrive la situazione, come intesa nel paragrafo 1, in cui un individuo si trova a
dover formulare delle decisioni rispetto ai possibili corsi d'azione disponibili. Il mutuo rispetto di
una norma, ad esempio contro il furto, equivale a un atto cooperativo tra due individui, consistente
nel mutuo rispetto della proprietà del proprio vicino. Il gioco qui descritto è teso a stabilire a quali
condizioni due individui egoisti dovrebbero scegliere di cooperare nello stabilire e rispettare una
norma sociale, in assenza di vincoli istituzionali di secondo livello.
E' possibile, in prima analisi, definire un modello di cooperazione di primo livello tra due individui
(in assenza, cioè, delle sanzioni di un'autorità pubblica come lo stato). La matrice riportata nella
tabella 1.1 illustra i risultati individuali, o pay-off38
(sulla sinistra di ogni cella i valori per il
37
Il "dilemma del prigioniero" è un modello di interazione derivato dalla Teoria dei giochi, atto a studiare le possibili
strategie di comportamento di due individui completamente egoisti e non comunicanti, i cui destini individuali sono
però interdipendenti. Tale situazione ideale è spesso utilizzata nello studiare l'emergere della cooperazione anche in casi
limite, caratterizzati da perfetto egoismo e mancanza di sanzioni esterne [Axelrod 2006: 6-7]. 38
Il pay-off per un giocatore può essere considerato il beneficio, al netto dei costi, comunque definito, derivante da un
determinato risultato di un gioco. I valori riportati nella matrice vanno intesi in senso ordinale.
Tabella 1.1 Matrice dei pay-off per il gioco del "dilemma del prigioniero" a due persone
𝐼2
C D
𝐼1
C 3, 3 0, 5
D 5, 0 1, 1
20
giocatore 𝐼1, sulla destra quelli per il giocatore 𝐼2), possibili in un gioco non cooperativo39
e non a
somma zero40
tra due individui. Un gioco così strutturato è definito "dilemma sociale". Il dilemma
consiste nel fatto che, all'interno della situazione specificata, ogni giocatore ha un incentivo a
defezionare a prescindere dal corso d'azione degli altri giocatori, nonostante il risultato della mutua
cooperazione sia più vantaggioso di quello della mutua defezione per entrambi i giocatori [Dawes
1980: 170]. Il gioco è diviso in turni, in ognuno dei quali è possibile seguire un corso d'azione. Ad
ogni turno della situazione così definita il singolo attore può scegliere di cooperare (cioè rispettare
la proprietà altrui, nell'esempio qui adottato - colonna e riga denotate dalla lettera C), o defezionare
(cioè non rispettare la proprietà altrui - colonna e riga denotate dalla lettera D). I pay-off riportati
nella tabella 1.1 possono essere interpretati come il reddito derivante dall'utilizzo delle proprietà
personali. In caso di mutua astensione dalla proprietà altrui è possibile sfruttarle al meglio,
ottenendone il reddito maggiore (pari a 3). In caso di cooperazione di 𝐼1 e defezione di 𝐼2 , 𝐼1
subisce la perdita totale del proprio reddito (pay-off pari a 0), mentre 𝐼2, oltre al proprio reddito di 3,
ottiene quanto sottratto a 𝐼1 (incrementando, al netto dei costi derivanti dall'attività di predazione, il
reddito personale di 2, per un totale pari a 5). In caso di mutua defezione entrambi i giocatori
sottraggono una parte di reddito all'avversario, sostenendo però un costo di predazione maggiore, e
accontentandosi così di un pay-off pari a 1. Si assume, inoltre, che le uniche informazioni che un
giocatore ha sull'altro sono costituite dalle loro interazioni precedenti: non entrano in gioco, cioè,
effetti di reputazione esterni al singolo gioco [Axelrod 2006: 11-12]. Se il gioco è costituito da un
solo turno, la strategia più razionale a priori consiste nel defezionare in ogni caso: qualunque sia il
corso di azione di 𝐼2, 𝐼1 otterrà un pay-off maggiore defezionando41
. In questo caso la cooperazione
sociale fallirebbe. Se un individuo coopera mentre l'altro defeziona, il secondo impone
un'esternalità negativa sul primo: il pay-off del giocatore 𝐼1 è più basso di 3 rispetto al caso in cui 𝐼2
avesse cooperato42
[Levine 2012: 25]. Questo crea un incentivo alla nascita di una norma che faccia
39
Nella Teoria dei giochi, un gioco non cooperativo indica una situazione in cui ogni individuo sceglie il rispettivo
corso d'azione senza avere la possibilità di stringere accordi vincolanti con la propria controparte su una particolare
mossa da effettuare. Tale assunto appare realistico nello studiare l'emergere di norme informali non sanzionate
esternamente da un'autorità pubblica [Eggertsson 1990: 65]. 40
Un gioco è considerato a somma zero nel caso in cui i guadagni di un giocatore derivino esclusivamente dalle perdite
dell'altro. In un gioco non a somma zero, invece, gli interessi dei giocatori sono parzialmente allineati e parzialmente in
conflitto. Nell'esempio qui utilizzato il pay-off della mutua cooperazione, o (C, C) - la prima lettera stante a indicare la
mossa del giocatore 𝐼1 e la seconda quella del giocatore 𝐼2 - è più elevato della media del pay-off derivante dal risultato
(C, D) e del pay-off derivante dal risultato (D, C). Qui (C, C) è pari a 3, mentre la media di (C, D) e (D, C) è pari a 2,5.
Questa struttura dei pay-off formalizza l'assunto secondo cui la mutua cooperazione è più vantaggiosa rispetto a un
alternarsi di sfruttamento reciproco, cioè di (C, D) e (D, C). La mutua cooperazione è inoltre più conveniente della
mutua defezione [Axelrod 2006: 10]. 41
Se il giocatore 𝐼2 coopera, 𝐼1 otterrà un pay-off pari a 5 defezionando, rispetto a 3 cooperando. Se 𝐼2 defeziona, 𝐼1
otterrà un pay-off pari a 1 defezionando, mentre pari a 0 cooperando. 42
Dal momento che nella situazione così descritta non esistono definiti diritti di controllo sulle azioni altrui, l'esternalità
può essere considerata anche nella direzione opposta: se 𝐼2 defeziona e 𝐼1 fa lo stesso, il secondo giocatore ottiene un
pay-off inferiore di 4 rispetto a quanto possibile se il primo avesse cooperato [Coase 1960: 2].
21
internalizziare l'effetto esterno negativo. Se il gioco è costituito da un solo turno non vi sono risorse
interne alla struttura dello stesso perché questo avvenga. In caso il gioco venga ripetuto più volte tra
gli stessi giocatori, invece, la matrice di pay-off subisce una modifica, in quanto i giocatori non
prenderanno in considerazione solo i risultati di una singola interazione, ma anche i risultati
possibili di interazioni successive. Questo assunto, introducendo la possibilità di interazioni future
(così modificando la struttura della situazione), crea un'interdipendenza temporale tra i due
giocatori [Raub 1988: 326]. Il pay-off di un giocatore sarà costituito pertanto dal valore presente
scontato43
delle future interazioni. In un gioco ripetuto si assume che ogni giocatore scelga una
strategia, cioè una regola che determini quale mossa effettuare nel periodo 𝑡 + 1, tenendo conto
della storia delle mosse effettuate nei turni precedenti (𝑡′ ≤ 𝑡) dal giocatore avversario. Le strategie
ipoteticamente possibili sono infinite: per semplicità si assumerà quindi che le strategie disponibili
ai giocatori siano soltanto due, e cioè TRIGGER e ALL D. La strategia TRIGGER44
consiste nel
cooperare sempre durante il primo turno del gioco, e nelle mosse successive cooperare solo se tutti i
giocatori hanno cooperato in tutti i turni precedenti. In caso contrario, si defezionerà in tutti i turni
successivi [Gibbons 1992: 91]. Questo equivale ad adottare un comportamento cooperativo
condizionale: reciprocando la cooperazione dell'avversario, si cerca di indurre un comportamento
cooperativo punendo le defezioni (evitando di cooperare nei turni successivi), e premiando la
cooperazione (accettando di cooperare nel turno seguente). La struttura della situazione, costituita
da un gioco iterato più volte, contiene delle risorse utilizzabili a scopo sanzionatorio nello stabilire
una norma cooperativa [Bates et al. 1998: 9-10]. La strategia ALL D consiste invece nella tattica di
defezionare sempre, qualunque siano le mosse del proprio avversario [Axelrod 2006: 13]. Si assume
qui che il gioco abbia durata indeterminata, cioè che i due giocatori non conoscano la lunghezza
della loro serie di interazioni. Questo equivale a considerare la serie di interazioni come
potenzialmente infinita. Durante il primo turno di gioco è possibile calcolare il valore cumulato del
numero infinito di pay-off derivante dall'interazione continuativa tra i due giocatori, a seconda della
strategia utilizzata da ognuno. Il valore dei pay-off successivi a quello relativo al primo turno
entrerà nel calcolo moltiplicato per un fattore di sconto45
: questo equivale ad assumere una
preferenza degli individui per il presente. Un guadagno futuro verrà valutato, nel momento presente,
43
Il valore presente scontato indica il valore attuale di un flusso di guadagni futuri. Matematicamente, il valore, valutato
al tempo 𝑡 = 0, di un flusso di guadagni ricevuto tra 𝑡 = 0 e 𝑡 = 𝑇, è dato da
𝑉𝑃𝑆 = 𝑃𝑤𝑡
𝑇
𝑡=0
dove 𝑃 indica il guadagno ottenuto in ogni periodo, 𝑤 è il fattore di sconto (si veda la nota 45), e 𝑇 indica il numero di
periodi discreti in cui si riceve il guadagno. 44
Termine traducibile come "causa scatenante". 45
Il fattore di sconto, qui indicato con la lettera 𝑤, è definito con un valore compreso tra 0 e 1, e indica l'importanza del
pay-off ottenuto a 𝑡 + 1 rispetto a quello ottenuto a 𝑡. Ad esempio, se il pay-off guadagnato a 𝑡 + 1 è pari a 5, e se
𝑤 = 0,9, allora il pay-off ottenuto a 𝑡 + 1, ma valutato al tempo 𝑡, avrà un valore pari a 𝑤5 = 0,9 ∙ 5 = 4,5.
22
meno dello stesso guadagno ottenuto immediatamente. Perché gli individui prendano in
considerazione la possibilità di cooperare è necessario assumere che il futuro abbia comunque un
valore sostanziale, per quanto inferiore al presente. Il peso del futuro, pur considerando costante la
preferenza degli individui per il presente, tende a essere più elevato maggiore è la probabilità di
avere interazioni continuative con le stesse persone. Se i possibili pay-off futuri non valessero nulla
per i giocatori (ad esempio, se la possibilità di ulteriori interazioni con gli stessi individui fosse
sostanzialmente nulla), non vi sarebbe necessità di valutare la possibilità di interazioni inter-
temporali, in quanto i giocatori prenderebbero in considerazione esclusivamente i guadagni
ottenibili nel turno di gioco immediato. Nella tabella 1.2 è riportato il valore presente scontato
(VPS) dei pay-off per i due giocatori, all'interno di un gioco di durata infinita, ottenibili sotto ogni
possibile combinazione delle due strategie descritte46
. I numeri riportati indicano la stima, eseguita
a 𝑡 = 0 , del valore scontato dell'utilizzo di una strategia all'interno di un gioco di durata
indeterminata, per ognuna delle scelte strategiche dell'altro giocatore. I valori contrassegnati da un
asterisco indicano la migliore strategia disponibile a un giocatore data la strategia dell'altro.
Rispetto ai valori della tabella 1.1 ora non esiste più una strategia strettamente dominante, cioè
migliore a prescindere dalla strategia adottata dal secondo giocatore. Se 𝐼2 sceglie la strategia ALL
D anche a 𝐼1 converrà scegliere ALL D47
. Se 𝐼2 sceglie invece TRIGGER, converrà anche a
46
Il VPS di una serie infinita di pay-off identici è pari a 𝑃
1−𝑤, dove 𝑃 indica il guadagno, mentre 𝑤 il fattore di sconto.
Nel caso il primo pay-off sia diverso dai successivi (identici per tutta la rimanente durata del gioco), il VPS è pari a
𝑃′ +𝑃′′ 𝑤
1−𝑤, dove 𝑃′ indica il primo pay-off della serie, mentre 𝑃′′ il valore, identico, dei pay-off successivi. I valori
illustrati nella tabella 1.2 sono computati assumendo 𝑤 = 0,9, e utilizzando i valori di pay-off riportati nella tabella 1.1
[Axelrod 2006: 216]. 47
In questo caso il primo turno del gioco avrà come risultato le mosse (C, D), mentre nei turni successivi 𝐼1 punirà 𝐼2
per la deviazione, e si avrà quindi costantemente il risultato (D, D).
Tabella 1.2 VPS dei pay-off cumulati per ogni coppia di strategie
𝐼2
TRIGGER ALL D
𝐼1
TRIGGER 30*, 30* 9, 14
ALL D 14, 9 10*, 10*
23
𝐼1 utilizzare la stessa strategia, assicurandosi una mutua cooperazione continuativa48
. A seconda
della scelta strategica dell'avversario, cambierà la convenienza relativa della propria. In questo caso
sono possibili due situazioni di equilibrio, caratterizzate o dalla mutua scelta di TRIGGER o dalla
mutua scelta di ALL D (le due celle in cui entrambi i valori sono contrassegnati da un asterisco)
[Levine 2012: 27-30]. Dal momento che non esiste una strategia migliore in ogni caso, il primo
giocatore agirà su una stima della probabilità relativa alla strategia prescelta dall'avversario. Questo
significa che il valore presente scontato di una strategia verrà pesato per la probabilità stimata di
incontrare un determinato tipo di avversario [Gibbons 1992: 30-33]. Il giocatore sceglierà quindi la
strategia il cui VPS Atteso (pesato, cioè, per le probabilità delle possibili strategie dell'avversario)
risulti maggiore. Il valore atteso dell'utilizzo di una strategia 𝑆1 è dato da
𝑉𝑃𝑆𝐴 = 𝑝𝑉 𝑆1,𝑆2 + 1 − 𝑝 𝑉 𝑆1, 𝑆1
dove 𝑝 indica la probabilità che 𝐼2 utilizzi la strategia 𝑆2 (in questo caso TRIGGER), mentre
𝑉 𝑆1, 𝑆2 indica il valore presente scontato dell'utilizzo della strategia 𝑆1 (in questo caso ALL D) da
parte di 𝐼1 laddove 𝐼2 utilizzi la strategia 𝑆249
[ivi: 36]. Dal momento che la mutua cooperazione
produce un risultato molto più vantaggioso della mutua defezione, o della cooperazione durante il
primo turno di un solo giocatore, la scelta di TRIGGER da parte di 𝐼1 può essere considerata
razionale anche nel caso in cui la probabilità stimata che 𝐼2 utilizzi TRIGGER sia relativamente
bassa. Nella figura 1.2 è riportata sull'asse delle ascisse la probabilità stimata da parte di 𝐼1 che 𝐼2
utilizzi la strategia TRIGGER, mentre sull'asse delle ordinate la differenza tra il VPS Atteso nel
caso che 𝐼1 utilizzi TRIGGER, e nel caso utilizzi ALL D. Se la differenza è positiva significa che il
valore atteso della strategia TRIGGER viene considerato più conveniente rispetto all'utilizzo di
ALL D. Le tre diverse linee tracciate si riferiscono all'utilizzo di tre diversi fattori di sconto
( 𝑤 = 0,9; 0,6; 0,3 ), in modo da tenere conto delle possibilità della cooperazione al variare
dell'importanza del futuro rispetto al presente50
. Come si può vedere, se il futuro ha un'importanza
rilevante rispetto al presente (𝑤 = 0,9), è sufficiente che il primo giocatore ritenga che il secondo
utilizzi la strategia TRIGGER con una probabilità di poco superiore al 5% per decidere di fare lo
stesso51
. Al diminuire del peso del futuro (𝑤 = 0,6), il valore del parametro 𝑝 necessario a indurre
𝐼1 ad arrischiare la strategia TRIGGER sale al 50%, rendendo più difficile una cooperazione
48
In questo caso al primo turno entrambi i giocatori cooperano, replicando ogni turno la mossa precedente
dell'avversario, cioè cooperazione. 49
Simmetricamente, (1 − 𝑝) indica la probabilità che 𝐼2 utilizzi la strategia 𝑆1 , mentre 𝑉 𝑆1 , 𝑆1 indica il VPS
dell'utilizzo della strategia 𝑆1 da parte di 𝐼1 dato che 𝐼2 utilizzi la strategia 𝑆1. 50
Il peso del futuro può diminuire al diminuire della possibilità di avere ulteriori incontri con la stessa persona, ad
esempio nel caso di crescita numerica del gruppo sociale in cui l'individuo si trova a interagire, così da far diminuire la
durata media delle interazioni personali [Raub 1988: 325]. 51
Il valore sull'asse delle ordinate per 𝑝 = 1 e w= 0,9, non mostrato in figura, è pari a +16.
24
continuativa volontaria. Infine, quando il futuro non ha sostanzialmente influenza sulle decisioni
presenti (𝑤 = 0,3), nessun giocatore razionale sceglierà di cooperare la prima mossa per tutti i
livelli del parametro 𝑝: dal momento che la prima mossa ha un valore di molto superiore a qualsiasi
mossa successiva, la strategia dominante tornerà ad essere quella già trovata nel dilemma del
prigioniero con un singolo turno, cioè la defezione a prescindere dalla strategia adottata
dall'avversario. Si può concludere che la cooperazione volontaria tra due individui in giochi ripetuti
aumenti all'aumentare del peso attribuito dagli individui ai guadagni futuri, e al crescere della
proporzione stimata di individui cooperatori condizionali nel gruppo sociale di riferimento [Axelrod
2006: 64-65].
Accanto alla possibilità di interazioni ripetute tra i membri di un gruppo sociale, vi sono altri
elementi che possono influenzare il rispetto delle norme in assenza di un'autorità pubblica esterna.
Un meccanismo importante ha a che fare con l'informazione diffusa nel gruppo sociale, ed è
costituito dalla reputazione degli attori. La reputazione può essere definita come il comportamento
atteso da un determinato individuo, ed è funzione della lunghezza della storia di interazioni passate
con questi, e della coerenza delle stesse. Al crescere delle interazioni con un attore crescono le
informazioni utili a prevederne il comportamento futuro, mentre la coerenza dei comportamenti
passati permette di avere informazioni meno incerte tramite cui formare delle aspettative [Burt
2005: 98-100]. L'informazione relativa alla reputazione di un individuo può essere accumulata sia
Figura 1.2 Convenienza per 𝐼1della scelta TRIGGER rispetto ad ALL D, per diversi valori dei
parametri 𝑤 e 𝑝
-3,00
-2,00
-1,00
0,00
1,00
2,00
3,00
4,00
5,00
6,00
7,00
8,00
0,00 0,10 0,20 0,30 0,40 0,50 0,60 0,70 0,80 0,90 1,00
ΔV
PS
Att
eso T
RIG
GE
R -
AL
L D
Probabilità stimata TRIGGER (p)
w=0,9
w=0,6
w=0,3
25
tramite incontri diretti con l'individuo in questione, sia indirettamente tramite informazioni raccolte
da terzi facenti parte della propria cerchia di relazioni sociali52
[Coleman 1990: 310]. Se il gruppo
sociale di riferimento è sufficientemente stabile e di dimensioni contenute, di modo che le azioni dei
componenti possano essere monitorate con facilità e l'informazione a queste relativa facilmente
diffusa, gli individui possono prendere in considerazione gli effetti reputazionali delle proprie
azioni, così da avere un atteggiamento maggiormente cooperativo anche con individui coinvolti in
serie di interazioni di breve durata [Milgrom et al. 1990: 7-8]. Se la ripetuta defezione diminuisce le
probabilità di ottenere atti cooperativi in futuro dalle proprie controparti, gli effetti negativi su terzi
della non cooperazione possono venire internalizzati dall'attore, così da incentivarne il
comportamento cooperativo: «la violazione di una norma è non solo una parte di comportamento
caratterizzato da un pay-off per il violatore e per gli altri; è anche un segnale che contiene
informazione rispetto al comportamento futuro del violatore in un'ampia varietà di situazioni»
[Axelrod 1986: 1107]. Le informazioni ottenute individualmente, soprattutto se relative a un
numero limitato di interazioni, possono venire aggiustate tramite le informazioni ottenute
socialmente, fondate su un numero maggiore di interazioni, così da stimare la probabilità di
cooperazione futura dell'individuo con cui si interagisce, integrando informazioni di prima e
seconda mano [Phelps 1972: 659-660; Burt 2005: 106]. Nei termini del modello di interazione
ripetuta sopra esposto, se si ammette la possibilità della diffusione di segnali reputazionali
all'interno del gruppo, gli individui disposti a cooperare possono meglio discriminare tra le possibili
controparti, aumentando la proporzione di interazioni con individui cooperatori condizionali53
.
Un altro importante meccanismo in grado di facilitare lo stabilirsi di norme efficaci è costituito
dalle meta-norme. Una meta-norma è una norma di secondo livello che impone di punire non solo
chi non rispetti una norma di primo livello, ma anche chi si rifiuti di punire un violatore della
norma. Una norma ha maggiori possibilità di essere rispettata se sostenuta dall'esistenza di una
meta-norma, dal momento che il punire una violazione è, nella maggior parte dei casi, un atto
costoso54
. La presenza di una meta-norma fa sì che il costo di punire venga valutato tenendo
52
In caso di informazioni raccolte da terze parti è evidente l'importanza della coerenza tra le stesse, piuttosto che il loro
numero [Burt 2005: 106]. 53
Questo equivale a un aumento del parametro 𝑝 nell'equazione del VPSA. 54
Il costo può essere di due generi. Da una parte la punizione può derivare indirettamente dal rifiutare atti cooperativi
futuri, azione che può risultare costosa per chi punisce, nel momento in cui l'individuo sottoposto a punizione sia invece
disposto a cooperare. Dall'altra, i costi della punizione possono essere diretti (derivanti da un atto specifico di punizione
che imponga costi ulteriori sul violatore, oltre il semplice rifiuto di cooperazione futura). Nell'ambito delle norme
informali, in assenza di un apparato coercitivo formale, le sanzioni possibili, atte a imporre dei costi sui violatori,
ineriscono alle relazioni sociali esistenti tra i membri del gruppo: «dal momento in cui le relazioni sociali consistono di
obbligazioni e aspettative, simmetriche o asimmetriche, e siccome ogni attore controlla continuamente alcuni eventi in
cui l'altro è interessato, esiste intrinsecamente in ogni relazione sociale una componente di leva che può essere utilizzata
con l'obbiettivo di sviluppare delle sanzioni» [Coleman 1990: 270].
26
presente la possibilità di incorrere in costi maggiori in caso si venga puniti per non aver punito a
propria volta [Axelrod 1986: 1102]. All'interno di un gruppo in cui le interazioni tra gli attori sono
osservate senza difficoltà, e anche in assenza di incontri ripetuti tra gli stessi individui, può
evolversi un sistema di norme e meta-norme. Se le interazioni tra individui durano solo un turno, la
strategia dominante è la mutua defezione. Se, però, all'inizio di ogni turno ogni giocatore ha perfetta
conoscenza delle precedenti interazioni del proprio avversario con altri giocatori, può decidere di
cooperare solo in due casi: se anche l'altro ha cooperato al turno precedente, o se ha defezionato per
punire una precedente defezione gratuita della controparte. Questo significa adottare una strategia
TRIGGER Seriale, rivolta a più giocatori in luogo di uno solo. Ed equivale, altresì, allo stabilirsi di
una meta-norma: se 𝐼1, nel periodo 𝑡, ha cooperato mentre 𝐼2 ha defezionato, e 𝐼2 nel periodo 𝑡 + 1
affronta 𝐼3, quest'ultimo, se segue la strategia TRIGGER Seriale, defezionerà. Con questo, oltre a
seguire una strategia individualmente vantaggiosa55
, segnalerà al giocatore 𝐼4 nel periodo 𝑡 + 2 di
aver rispettato la norma di punire il violatore 𝐼2 , inducendo 𝐼4 a cooperare come premio per il
rispetto della regola (il quale, a sua volta, segnalerà a 𝐼5 la disponibilità a cooperare). Se 𝐼3 non
avesse punito 𝐼2, 𝐼4 avrebbe seguito la meta-norma, punendo la mancata punizione, in vista della
successiva interazione con 𝐼5 (che avrebbe cooperato per premiare il rispetto della meta-norma), e
così via. In questo modo è possibile stabilire una serie di atti cooperativi seriali, senza assumere
interazioni ripetute tra gli stessi individui, ma assumendo una osservabilità totale della storia delle
interazioni tra tutti i giocatori, disponibile, realisticamente, solo in gruppi relativamente ristretti
[Milgrom et al. 1990: 7-8]. Una meta-norma può anche venire stabilita grazie alla formazione di
coalizioni ristrette, all'interno del più ampio gruppo dei beneficiari, con la funzione di sanzionare i
non sanzionatori. Se il rispetto della norma di primo livello impone delle esternalità particolarmente
negative per un sottoinsieme degli individui appartenenti al gruppo, questi possono coalizzarsi e
investire delle risorse nel punire gli individui che non sanzionano, incentivandoli a cooperare al
rispetto della meta-norma. La coalizione di individui, in quanto di dimensioni inferiori rispetto al
gruppo, può sottrarsi ad alcuni degli inconvenienti tipici dei gruppi di grandi dimensioni, rendendo
l'applicazione della norma più efficace. Anche in questo caso, se la minaccia di sanzioni di secondo
livello è sufficientemente credibile, i costi di enforcement possono materializzarsi solo nei casi di
violazione della meta-norma, e non continuamente [Raub 1988: 332; Coleman 1990: 271-273].
I meccanismi normativi descritti fin'ora si riferiscono a situazioni in cui le dimensioni del gruppo di
riferimento sono relativamente contenute. Le dimensioni di un gruppo costituiscono una
55
Nei giochi a un solo turno la strategia dominante è la defezione.
27
caratteristica rilevante della sua struttura sociale. Come notava Georg Simmel, le variazioni nella
dimensione della cerchia sociale di riferimento portano a importanti cambiamenti della sua
struttura, in grado di modificare in modo rilevante le possibilità di interazione tra i membri:
si ammetterà fin dall'inizio e sulla scorta delle esperienze quotidiane che, a partire da una certa dimensione, un gruppo
deve darsi per il suo mantenimento e per il suo potenziamento regole, forme e organi di cui prima non aveva bisogno, e
che d'altra parte cerchie più ristrette presentano qualità e azioni reciproche le quali vanno inevitabilmente perdute con il
loro ampliamento numerico. [... Le cerchie ristrette] contengono infatti quelle possibilità di relazioni personali,
quell'approssimativa eguaglianza di livello dei loro membri, quegli interessi e ideali comuni, in presenza dei quali è
possibile lasciare la regolamentazione sociale a una forma di normazione così precaria ed elastica qual è il costume.
Con l'aumentare degli elementi e con la loro inevitabile indipendenza, queste condizioni vengono meno per la cerchia
nel suo insieme [Simmel 1998: 41, 54].
Al crescere della dimensione dei gruppi, quindi, alcuni dei meccanismi descritti possono non
risultare più efficaci. Nella tabella 1.3, nella prima colonna, sono riassunti i principali meccanismi,
sopra delineati, utilizzati nel sanzionare sistemi di norme informali. Nella seconda colonna sono
invece riportate le principali difficoltà nel garantire il rispetto delle norme informali al crescere
delle dimensioni del gruppo di riferimento, rappresentanti il "dilemma dei grandi numeri"
[Buchanan 1965a: 8].
Innanzitutto, al crescere delle dimensioni del gruppo sociale la proporzione di interazioni ripetute
tra coppie di individui tende a diminuire, perdendo valore la minaccia di rifiutare atti cooperativi
futuri come principale sanzione, così da ridurre i giochi non cooperativi al dilemma del prigioniero,
dove la strategia strettamente dominante è la defezione. Se la stabilità della situazione sociale viene
a ridursi, il fattore di sconto può ridursi al punto da far considerare agli attori le interazioni future
poco probabili e quindi irrilevanti [Raub 1988: 336]. In secondo luogo, se i network di cui gli
Tabella 1.3 Sanzioni e difficoltà per norme sociali informali
Meccanismi di enforcement per norme sociali Difficoltà per 𝑛 → ∞
Altruismo reciproco Diminuzione interazioni ripetute tra coppie
di individui
Reputazione Aumento interazioni al di fuori di network
chiusi
Osservabilità comportamenti Minore osservabilità dei comportamenti dei
membri del gruppo
Meta-norme Maggiore difficoltà nel garantire la
contribuzione alla produzione di beni
comuni
28
individui sono membri tendono ad allargarsi, il loro grado di chiusura56
tende a diminuire, e così la
diffusione di effetti di reputazione tende a indebolirsi [Burt 2005: 108-109]. In terzo luogo, al
crescere del numero dei componenti del gruppo di riferimento diminuisce la possibilità di
osservarne i comportamenti, così da avere informazioni dirette sui loro comportamenti precedenti
[Raub 1988: 334; Milgrom et al. 1990: 9]. Infine, così come un gruppo di grandi dimensioni rende
difficile il coordinamento degli individui ai fini della cooperazione, allo stesso modo le coalizioni di
individui interessate alla costituzione di una meta-norma tendono ad allargarsi, soffrendo così delle
stesse difficoltà [Olson 1971: 46]. Le norme (e le meta-norme) sociali, come qui intese, sono un
tipico esempio di bene comune57
: i benefici della norma o della cooperazione sono infatti
disponibili a tutti i membri del gruppo, che abbiano contribuito o meno al suo mantenimento
[Coleman 1990: 271]. La principale difficoltà nella produzione di beni comuni consiste nel fatto
che, a prescindere da chi si sobbarchi il costo di produrli, i loro benefici sono disponibili a tutti (i
vantaggi di una norma, ad esempio, sono percepiti sia da chi coopera nel rispettarla, sia da chi
decida di violarla), in quanto l'esclusione dal godimento dei non contributori può essere
impraticabile [Demsetz 2003: 297-298]. La situazione è identica al dilemma del prigioniero
illustrato nella tabella 1.1, ma in un contesto in cui più giocatori sono coinvolti: se un individuo
fornisce un bene comune (cioè, coopera), gli altri giocatori possono defezionare, usufruendone
senza pagare per la sua produzione, e diminuendo i benefici derivanti dalla cooperazione per il
primo [Levine 2012: 24]. In un gioco a 𝑛 > 2 giocatori, gli incentivi per il singolo individuo a
defezionare crescono al crescere di 𝑛 [Levine e Palfrey 2007: 149]. Se 𝑛 è alto, il contributo di un
singolo può aumentare di poco il valore del bene comune, mentre la quota di cui può fruire rimane
sostanzialmente identica sia che contribuisca, sia che non lo faccia: in caso non contribuisca, però,
non dovrà sopportare alcun costo, e perciò otterrà un beneficio al netto dei costi maggiore. Se tutti
gli individui adottano la medesima strategia, pertanto, il bene comune non verrà fornito58
[Hardin
1971: 473-474; Raub 1988: 342-343]. Il contributo di un singolo individuo aumenta il valore del
bene comune per l'intero gruppo e, pertanto, al crescere delle dimensioni del gruppo, la quota
individuale di beneficio ottenuta può superare facilmente i costi sostenuti dall'individuo nel
56
Nel senso dell'esistenza di connessione diretta, o indiretta ma costituita da pochi gradi di separazione, tra tutti i
membri del gruppo [Coleman 1990: 318-319; Burt 2005: 25]. 57
Per una tipologia dei diversi tipi di beni si veda il paragrafo 2.2. Per bene comune si intende qui un bene che è fruibile
da tutti i membri del gruppo a prescindere dal fatto che abbiano contribuito o meno alla sua produzione, e il cui
consumo da parte di un individuo diminuisce la possibilità di consumo da parte di un altro (rivalità nel consumo).
Garrett Hardin ha popolarizzato l'espressione "tragedia dei beni comuni", nel riferirsi al loro conseguente eccessivo
sfruttamento [Hardin 1968: 1244]. 58
Questo risultato non è generale, e dipende dalla forma della funzione di produzione del bene e dalla eventuale
presenza di rivalità nel suo consumo [Raub 1988: 345; Ostrom 2003: 243-246]. Nel caso di pay-off analoghi a quelli
riportati nella tabella 1.1 il risultato rimane valido.
29
contribuire59
. Nei piccoli gruppi, invece, è più facile che la quota di beneficio individuale possa
essere sufficientemente elevata da coprire l'intero costo della fornitura del bene comune [Olson
1971: 23-25; Trivers 1971: 44]. Anche nel caso di interazioni ripetute, la natura pubblica della
cooperazione fa sì che sia più difficile punire singoli defezionanti tramite la rinuncia ad atti
cooperativi futuri (come nel caso del TRIGGER), in quanto la punizione ricadrebbe sia sugli
individui cooperanti (che verrebbero ingiustamente puniti), sia su quelli non cooperanti. In questo
caso le punizioni per un comportamento scorretto sarebbero di lieve entità per il singolo
defezionante, in quanto ricadrebbero su tutto il gruppo, e quindi poco discriminanti e poco efficaci.
Allo stesso modo, anche se la punizione fosse focalizzata su un singolo attore, avrebbe natura di
bene comune: chi decidesse di punire si assumerebbe un costo personale, mentre i benefici della
punizione ricadrebbero su tutto il gruppo [Dawes 1980: 182-183; Raub 1988: 343]. La produzione
di un bene comune richiede che il gruppo di riferimento sia sufficientemente organizzato, che sia in
grado, cioè, di assicurare il contributo di tutti i membri alla sua produzione, così da sfuggire al
dilemma del prigioniero e alla defezione come strategia dominante individuale. Per far questo è
necessario che esista una possibilità di coordinazione tra i membri del gruppo: ad esempio
accordarsi per la cooperazione sapendo che le promesse saranno mantenute [Acemoglu et al. 2005:
428-429]. Le possibilità di organizzazione in questo senso sono una funzione decrescente delle
dimensioni del gruppo: i piccoli gruppi incontrano complessivamente minori costi di transazione
nel'organizzarsi e nel controllare che i propri membri cooperino rispetto a quelli grandi, e sono
pertanto facilitati nella fornitura di beni comuni [Olson 1971: 46-47]. Come illustrato nella tabella
1.2, anche nel caso di un gioco iterato a due persone, non esiste una strategia dominante a
prescindere dalla strategia dell'avversario. Per ottenere il risultato mutualmente più vantaggioso è
necessario che entrambi i giocatori utilizzino la stessa strategia. E' plausibile, pertanto, che in gruppi
di dimensioni inferiori il coordinamento e la diffusione di informazioni sulle strategie degli
avversari avvengano con una maggiore facilità [Raub 1988: 339-340].
Le istituzioni formali, caratterizzate da un potenziale coercitivo maggiore, nascono quindi a
supporto delle norme sociali informali, laddove le possibilità di enforcement privato si rivelino
insufficienti, per i motivi addotti, al supporto delle norme di primo livello: «è quando la struttura
sociale non è in grado di supportare una norma sufficientemente efficace nel soddisfare gli interessi
dei potenziali beneficiari della norma che nasce la questione di costituire un'entità esplicitamente
59
Se il contributo marginale di un individuo 𝐼1 ai costi per la fornitura di un bene comune, pari a 𝐶1, aumenta il valore
del bene di 𝑉𝑔 , l'individuo 𝐼1 non otterrà l'intero incremento di valore dovuto al suo contributo (pari a 𝑉𝑔), ma solo una
quota individuale 𝑉1 =𝑉𝑔
𝑛, in quanto l'aumento del valore del bene comune sarà suddiviso tra tutti i membri del gruppo
di dimensione 𝑛 (incluso 𝐼1). Al crescere di 𝑛 la quota 𝑉1 tenderà a diminuire, mentre il costo individuale 𝐶1 rimarrà
pressoché costante [Olson 1971: 23-25].
30
corporata dotata di maggiori poteri rispetto a una norma o a un insieme di norme» [Coleman 1990:
327]. Come ampiamente sottolineato, le norme informali ricavano la loro efficacia dalla struttura
sociale a cui vengono applicate. La struttura sociale determina le possibilità di interazione, la
visibilità dei comportamenti altrui, la diffusione dell'informazione su di essi, e crea una potenzialità
sanzionatoria o premiale alle specificità delle singole relazioni personali [Coleman 1988b: 56-57].
L'obbiettivo delle istituzioni formali è di fornire a un insieme di regole un meccanismo
sanzionatorio meno dipendente dalla struttura sociale [Coleman 1990: 329]. Le istituzioni formali
possono costituire un vincolo esterno all'azione che faciliti il rispetto delle regole informali,
aumentando la diffusione delle informazioni, estendendo gli effetti di reputazione oltre le piccole
cerchie, e fungendo da terza parte agli scambi sociali bilaterali, affiancando le capacità di
enforcement pubbliche a quelle private [Axelrod 1986: 1106; Milgrom et al. 1990: 9-14; North
1994: 78].
2.2. Diritti di proprietà
Un diritto consiste nella possibilità di intraprendere un determinato corso d'azione senza essere
ostacolato. Pertanto, «un attore ha un diritto a compiere un'azione, o far sì che un'azione venga
compiuta, quando tutti quelli toccati dall'esercizio di quel diritto accettano l'azione senza
discussione» [Coleman 1990: 50]. Un diritto è una costruzione sociale, come tale legata alle
rappresentazioni del mondo date dagli individui: «cose come la moneta, la proprietà, il matrimonio
e i governi sono create e mantenute dal comportamento cooperativo degli uomini. Togliete tutte le
rappresentazioni umane e avrete tolto moneta, proprietà e matrimonio» [Searle 1993: 60]. In
particolare, l'esistenza di un diritto implica il concetto di legittimità, cioè di consenso sociale
rispetto alla possibilità di intraprendere determinati tipi di azione senza impedimento. Nei termini
della teoria esposta nel paragrafo 2.1, il consenso rispetto a una struttura di diritti deriva dal sistema
normativo60
. L'esistenza di un diritto è garantita da una struttura istituzionale in grado di sanzionare
azioni dirette all'impedimento nell'esercizio dello stesso61
[Emerson 1962: 39]. Il consenso non va
qui inteso come unanimità tra i membri del gruppo di riferimento, ma come consenso delle parti
rilevanti, all'interno di una determinata struttura sociale, rispetto all'esistenza di un diritto. Le parti
rilevanti non sono necessariamente dotate dello stesso peso nel determinare un ordinamento. Un
diritto imposto da un individuo dotato di sufficiente potere, ad esempio, è considerato legittimo nel
momento in cui le altre parti nel gruppo non sono dotate delle risorse sufficienti, o della volontà, per
60
Secondo l'analisi di Max Weber, i fondamenti della legittimità possono essere vari (dedizione affettiva, razionalità
rispetto al valore, motivazione religiosa). Seguendo la teoria esposta nel paragrafo 2.1, si indaga qui il quarto tipo di
legittimità riportato da Weber: «la legittimità di un ordinamento può essere garantita anche (oppure soltanto) da
aspettative di specifiche conseguenze esterne, e cioè da una situazione di interessi» [Weber 1980: 31]. 61
Questa l'essenza del noto brocardo "ubi ius, ibi remedium".
31
opporsi al suo potere e contestarne la legittimità: «il consenso raggiunto, in quei casi in cui un
consenso viene in essere, non è del tipo in cui tutte le persone contano egualmente, ma è un
consenso che riconosce la struttura sociale, ed emerge dai processi di formazione delle opinioni in
quella struttura sociale» [Coleman 1993: 219].
Un diritto di proprietà è definibile come l'insieme delle azioni ritenute ammissibili nei confronti
degli oggetti, tangibili o intangibili, presenti nel mondo [De Soto 2000: 50; Ostrom 2003: 249;
Carruthers e Ariovich 2004: 25-26]. L'insieme delle azioni ritenute ammissibili nei confronti degli
oggetti può dare origine a differenti tipi di diritti di proprietà: un particolare diritto di proprietà
relativo a un particolare oggetto è definito da un "pacchetto di diritti", che specifica le azioni
concesse nei suoi confronti:
ciò che è posseduto sono diritti di azione socialmente riconosciuti [...]. Non è la risorsa in sé stessa che è posseduta; è
posseduto un pacchetto, o una porzione, di diritti a utilizzare la risorsa. Nel suo significato originale, proprietà si riferiva
esclusivamente a un diritto, titolo, o interesse, e le risorse non potevano essere identificate come proprietà più di quanto
potessero essere identificate come diritto, titolo o interesse [Alchian e Demsetz 1973: 17].
Una prima tipologia dei pacchetti di diritti possibili può essere costruita incrociando due differenti
dimensioni: la possibilità di escludere terze parti dall'utilizzo di un bene, e la rivalità nel consumo
dello stesso. La possibilità di esclusione consiste nella capacità di utilizzo, individuale o collettivo,
di una determinata risorsa, sottraendone l'utilizzo contemporaneo a terze parti (individui o gruppi).
La rivalità nel consumo indica invece se l'utilizzo di un determinato bene faccia sì che questo sia
disponibile in misura inferiore a terze parti o meno [Ostrom 2003: 240-241]. La tabella 1.4 illustra i
quattro tipi di beni derivanti dall'incrocio delle due dimensioni. I beni privati e comuni sono
caratterizzati da rivalità: l'utilizzo da parte di un individuo, o di un gruppo, fa sì che lo stesso bene
possa non essere utilizzato, o utilizzato in misura minore, da altri. Esempi di beni privati sono i
generi di consumo, ad esempio le automobili o gli articoli di vestiario. Beni comuni sono invece
esemplificati dal legname presente in una foresta, o dai pesci presenti in una zona di pesca. In
entrambi i casi l'utilizzo del bene fa sì che lo stesso non sia disponibile nella stessa misura ad altri
(l'utilizzo di un articolo di vestiario fa sì che lo stesso articolo non sia utilizzabile da altri; ogni
boscaiolo aggiuntivo in una foresta fa sì che il legname disponibile agli altri sia inferiore). La
differenza risiede nella possibilità di consumo esclusivo. Mentre un bene privato può venire
utilizzato escludendone gli altri (ad esempio con l'utilizzo di un'automobile privata), un bene
comune è tale per cui chiunque può accedervi (ad esempio nel caso di una zona di pesca aperta alla
generalità dei pescatori) [Cheung 1970: 52]. Beni di club e beni pubblici, invece, sono caratterizzati
da non rivalità: l'utilizzo degli stessi non esclude identiche possibilità di utilizzo da parte di altri.
32
Beni di club sono ad esempio i cinema o la televisione satellitare a pagamento. In questo caso è
possibile escludere terze parti dal suo utilizzo (chi non paga il biglietto o l'abbonamento), senza che
l'utilizzo da parte di uno diminuisca le possibilità di utilizzo di un altro62
. Beni pubblici esemplari,
invece, sono l'aria o la difesa nazionale: in entrambi i casi l'utilizzo viene garantito a tutti, che
contribuiscano o meno alla fornitura del bene, senza che questo diminuisca le possibilità di
consumo di terze parti.
Mentre la rivalità o meno nell'utilizzo di un bene deriva dalle caratteristiche intrinseche dello stesso
(il legname in una foresta è sempre limitato dal numero degli alberi, mentre la difesa nazionale,
proteggendo i confini dell'intero paese, non può produrre rivalità nel consumo tra i singoli abitanti
[Hardin 1968: 1243]), l'esclusività o meno deriva dalle strutture istituzionali e dai diritti socialmente
stabiliti sul suo utilizzo [Eggertsson 2003: 74]. La dimensione dell'esclusività nell'utilizzo di un
bene può essere ulteriormente specificata, a seconda di quali azioni siano precluse o precludibili a
terzi e quali no. I diritti di proprietà non sono mai illimitati, cioè esenti da restrizioni nel loro
esercizio, e si pongono piuttosto su un continuum tra proprietà privata e libero accesso. Diversi
corsi d'azione possono essere preclusi anche nel caso di una piena proprietà privata, così come una
piena proprietà privata non può essere del tutto esente da qualsiasi tipo di violazione63
[Dahlman
1980: 70; Haddock e Kiesling 2002: 557]. Edella Schlager ed Elinor Ostrom individuano cinque
62
Questo almeno fino a un certo punto. Un cinema che facesse entrare un numero di spettatori doppio rispetto alla
capienza della sala renderebbe la visione più difficile, o meno confortevole, per ogni spettatore aggiuntivo. La
dimensione del club titolare del diritto di proprietà come qui definito è pertanto limitata a un numero oltre il quale
subentra rivalità nel consumo [Buchanan 1965b: 7]. 63
Ad esempio, un diritto di proprietà privata sulla terra può implicare il diritto a raccoglierne i frutti, ma non a negare
un diritto di passaggio sulla stessa in caso di necessità. Analogamente può implicare la possibilità di sequestro al fine di
ripagare altre passività del proprietario [Ellickson 1993: 1382-1383]. La proprietà assoluta, come tutti gli altri diritti
individuali, è soggetta inoltre a limiti concorrenti stabiliti socialmente, come il divieto di compromettere l'incolumità
fisica di persone terze [Ryan 1987: 54].
Tabella 1.4 Tipologia dei beni e dei diritti di proprietà associati
Esclusivo Non esclusivo
Rivale Beni privati
(Proprietà privata)
Beni comuni
(Proprietà comune)
Non rivale Beni di club
(Proprietà di club)
Beni pubblici
(Proprietà pubblica)
33
generi di diritti relativi a un bene, la cui presenza o assenza simultanea determinano il livello di
controllo sullo stesso, e quindi il suo livello di esclusività nella proprietà. Nella tabella 1.5 sulle
righe sono riportati i diritti esercitabili nei confronti di un bene, mentre sulle colonne sono indicate
cinque tipologie di posizioni giuridiche nei confronti dello stesso, a seconda dell'insieme di diritti
posseduti [Ostrom 2003: 251]. Spostandosi da sinistra a destra sulla tabella ci si muove da una
forma di proprietà privata (o di club) assoluta a una forma di proprietà comune (o pubblica): rispetto
alla tabella 1.4 viene messo in luce come esista un continuum di diritti di disposizione su una risorsa
rispetto alla rigida dicotomia esclusività/non esclusività [Schlager e Ostrom 1992: 250]. I diritti
delineati possono essere posseduti da individui o da collettivi [Eggertsson 1990: 36; Ostrom 2003:
250]. Ad esempio, nel sistema di conduzione agricola open field (descritto nel paragrafo 2.2.5 del
capitolo II), gli individui detenevano il diritto all'accesso e allo sfruttamento nei confronti dei propri
appezzamenti di terra, ma il diritto di gestione, che implicava la scelta delle colture e della rotazione
dei campi, era detenuto ed esercitato collettivamente. Il diritto all'esclusione era detenuto
individualmente in relazione ai singoli poderi, ma collettivamente per quanto riguardava
l'ammissione di nuovi membri all'interno del villaggio.
L'argomento del presente lavoro è l'emergere di diritti di proprietà privata sulla terra dal sistema di
diritti di usufrutto relativi tipico del periodo feudale. Una definizione di proprietà privata assoluta
sulla terra, ispirata a William Blackstone64
, è fornita da Robert Ellickson. Si ha un diritto
individuale di proprietà privata sulla terra quando è legittimo esercitare perpetuamente i seguenti
64
William Blackstone è stato un importante giurista inglese vissuto nel XVIII secolo, autore del trattato Commentaries
on the laws of England, raccolta delle sue lezioni universitarie sulla Common law tenute a Oxford [Baker 2007: 190-
191].
Tabella 1.5 Insiemi di diritti associati alla posizione giuridica nei confronti di un bene
Proprietario Titolare Richiedente
autorizzato
Utilizzatore
autorizzato
Autorizzato
all'accesso
Accesso X X X X X
Sfruttamento X X X X
Gestione X X X
Esclusione X X
Alienazione X
Accesso: diritto di ingresso in una determinata proprietà. Sfruttamento: diritto ai prodotti ottenibili da una risorsa.
Gestione: diritto a regolare l'utilizzo della risorsa. Esclusione: diritto a determinare chi ha o non ha un diritto di
accesso alla risorsa. Alienazione: diritto a vendere o affittare tutti o parte degli altri diritti [Schlager e Ostrom 1992:
250-251].
34
diritti su un tratto di territorio in qualche modo demarcato: diritto assoluto a escludere terzi
utilizzatori; privilegio assoluto a utilizzare la terra in ogni modo; potere assoluto a trasferire l'intero
appezzamento (o qualsiasi parte componente) tramite vendita, dono, testamento, discendenza o
qualsiasi altro metodo [Ellickson 1993: 1362-1363]. Nella tabella 1.6 sono riportate, nella prima
colonna, le dimensioni dei diritti di proprietà privata di Schlager-Ostrom, ridotte nella seconda
colonna alle tre dimensioni suggerite da Ellickson per identificare la proprietà privata sulla terra.
Nella terza colonna sono riportati i tre indicatori che verranno utilizzati nei capitoli II e III nel
catturare la nascita della proprietà privata moderna sulla terra secondo la Common law.
L'ereditabilità de jure dei possedimenti terrieri cattura le dimensioni dell'accesso, dello
sfruttamento, della gestione e dell'esclusione perpetua: il diritto a ricevere in eredità un
possedimento significava infatti considerare il feudo come patrimonio del vassallo, e non una
semplice concessione revocabile [Bloch 1949: 219-221]. Questo permetteva di escludere
dall'accesso terze parti surrettiziamente introdottesi col consenso del proprio signore, ed è pertanto
un indicatore della possibilità di esclusione e perpetuità dei diritti di gestione, sfruttamento e
accesso65
[Palmer 1985: 28]. La possibilità di alienazione (tramite vendita o dono) e la disponibilità
testamentaria (entrambe senza il consenso del proprio signore), indicano invece la dimensione
probabilmente più cruciale della proprietà privata [Schlager e Ostrom 1992: 251].
Diritti di proprietà sulla terra che non implichino il possesso esclusivo delle cinque dimensioni
individuate da Schlager e Ostrom possono dare origine a delle esternalità negative nei confronti
dell'occupante temporaneo. Le terze parti, in quanto dotate di diritti di accesso sulla terra, possono
intraprendere attività dannose per l'occupante, ma vantaggiose per loro. Tali attività possono andare
65
Le dimensioni dell'accesso, sfruttamento e gestione, nel rapporto di tenure feudale erano condizionali al rapporto di
omaggio nei confronti del proprio signore, e non assoluti (si veda il paragrafo 2.1 del capitolo II). L'individualità del
possesso, invece, salvo casi particolari, era una caratteristica preminente del sistema feudale inglese [Pollock e Maitland
2010b: 259-260].
Tabella 1.6 Dimensioni della proprietà privata assoluta e relativi indicatori
Schlager-Ostrom Blackstone-Ellickson Indicatori
Accesso
Utilizzo
individuale
perpetuo
Ereditabilità
Sfruttamento
Gestione
Esclusione Esclusione Alienazione
Alienazione Alienazione
Disponibilità
testamentaria
35
dal semplice danneggiamento del valore della proprietà, a un'appropriazione del reddito da questa
derivante, fino alla confisca più o meno arbitraria della stessa66
. In mancanza di diritti di proprietà
ben definiti su tali attività, e in assenza di un'autorità in grado di garantirne l'applicazione (quindi, in
assenza della possibilità effettiva di garantire l'esclusività nell'utilizzo della risorsa), l'occupazione
di un appezzamento di terreno è soggetta all'emissione di effetti esterni negativi da parte di terze
parti [Ellickson 1993: 1326]. La possibilità di tali effetti negativi contribuisce a creare incertezza
nel possesso dell'occupante. L'incertezza, però, è a sua volta funzione della scarsità della risorsa in
questione. Nel momento in cui una risorsa è disponibile in abbondanza a tutti secondo gli stessi
termini, gli effetti esterni negativi derivanti dal suo utilizzo concorrente da parte di terzi sono
limitati, in quanto è sempre possibile trovare una fonte della stessa risorsa altrove, senza che vi sia
rivalità nel consumo. Solo nel momento in cui si determini una scarsità della stessa gli effetti esterni
negativi diventano rilevanti: se non è possibile trovare facilmente approvvigionamenti della stessa
risorsa, allora il suo possesso avrà un valore inferiore laddove terze parti tentino di utilizzarla nello
stesso tempo [Pipes 1999: 81; Anderson e McChesney 2003: 60-61]. Questa situazione di scarsità,
creando competizione nell'utilizzo della risorsa, e quindi incertezza riguardo al suo possibile valore,
crea un incentivo allo stabilire dei diritti di proprietà privata sulla stessa, in modo da far
internalizzare a tutte le parti in causa gli effetti esterni derivanti dalla competizione per il suo
utilizzo [Libecap 1978: 341]. L'incertezza può, di per sé, causare una diminuzione dell'utilità
individuale, se si assume una preferenza degli individui, a parità di altre condizioni, per condizioni
di vita meno incerte67
[Friedman et al. 1994: 381-382]. Per generalizzare l'ipotesi, è più opportuno
assumere che, per individui avversi al rischio, l'incertezza tenda a ridurre l'utilità attesa delle proprie
attività, cioè le aspettative sul valore da queste ottenibile68
[Friedman 2007: 282]. Con incertezza si
intende qui la variabilità dei possibili risultati del corso delle proprie azioni. Tale concetto è
catturato dalla varianza statistica di una distribuzione di probabilità69
[Gibbons 1992: 26].
66
Riguardo al primo tipo di esternalità, nel feudalesimo inglese il signore aveva la custodia del terreno dell'erede
minorenne del proprio vassallo alla morte di quest'ultimo. Questo spesso si risolveva in uno sfruttamento intensivo della
proprietà, tanto da danneggiarne il valore patrimoniale [Hatcher 1981: 12-13]. Rispetto al secondo tipo, il signore aveva
diritto a diverse forme di esazione nei confronti del proprio uomo, derivanti dal rapporto di vassallaggio, ma che in
definitiva si risolvevano in un trasferimento di risorse dal terreno del vassallo alle casse del signore (si veda il discorso
relativo ai "sette frutti della cavalleria", paragrafo 2.2.3, capitolo II). Infine, i diritti di occupazione della terra, nel primo
feudalesimo, venivano creati e distrutti nella corte signorile, dove il lord aveva un maggiore margine di manovra nel
promuovere i propri interessi terrieri a scapito del proprio tenutario (si veda il paragrafo 2.2.1, capitolo II). 67
Michael Hechter, ad esempio, considera la riduzione dell'incertezza un valore immanente, cioè un valore considerato
desiderabile in sé stesso. Ai valori immanenti sono contrapposti i valori strumentali, cioè quei valori ricercati in quanto
fungibili, a loro volta utilizzabili nel perseguire altri fini, immanenti o strumentali [Friedman et al. 1994: 377]. 68
Questo equivale a considerare la riduzione dell'incertezza come un valore strumentale, atto ad aumentare il valore
atteso dei risultati delle proprie azioni. 69
Una distribuzione di probabilità è una funzione matematica che associa a ogni valore possibile di una variabile
casuale una probabilità relativa al suo accadimento. La distribuzione è definita dal suo valore atteso (o media), e dalla
sua varianza. Il valore atteso di una variabile casuale 𝑌 indica la media dei risultati possibili di una variabile, ponderata
per la probabilità del loro accadimento, e, nel caso di variabile casuale discreta, è dato da
36
L'avversione al rischio, detta anche preferenza per la certezza, indica una regolarità
comportamentale secondo cui un individuo, tra due attività con identico valore atteso, ma con
differente variabilità dei possibili risultati, sceglie l'attività più sicura (cioè, con varianza inferiore)
[Cheung 1969: 26]. Nei termini del modello di attore razionale delineato nel paragrafo 1, questo
significa che, in presenza di incertezza (cioè, in presenza di diversi possibili risultati delle proprie
azioni), e a parità di altre condizioni, gli individui scelgono l'attività che massimizza la propria
utilità attesa [Friedman e Savage 1948: 287-288]. L'utilità attesa, 𝑈 (𝐵), per un individuo, di una
lotteria B (cioè, di una situazione in cui ogni evento 𝐼𝑖 accade con una probabilità 𝑝𝑖 , con 𝑖 =
1, … , 𝑘), è data da
𝑈 𝐵 = 𝑈(𝐼𝑖)𝑝𝑖
𝑘
𝑖=1
dove 𝑈(𝐼𝑖) indica l'utilità per l'individuo derivante dal risultato (certo) 𝐼𝑖 [Friedman 2007: 77].
La figura 1.3 illustra geometricamente l'ipotesi. La curva in grassetto rappresenta la funzione di
utilità di un individuo avverso al rischio. L'asse delle ordinate indica l'utilità associata a diversi stati
del mondo possibili, riportati sulle ascisse (interpretabili, ad esempio, come il reddito disponibile in
caso sussista un particolare stato). Nella figura 1.3a, 𝐼 indica il valore atteso di una lotteria 𝐵, con
due eventi possibili (𝐼1e 𝐼2, con probabilità 𝑝1e 𝑝2). L'utilità attesa della lotteria è pari a 𝑈 𝐵 . 𝐼′
indica invece un evento certo, in grado di conferire all'individuo un'utilità pari alla lotteria 𝐵. La
differenza 𝐼 − 𝐼′ indica l'ammontare di reddito a cui l'individuo è disposto a rinunciare per
trasformare la lotteria 𝐵 (che può conferire un reddito minore 𝐼1 con una probabilità 𝑝1, ma anche
un reddito maggiore 𝐼2 con una probabilità 𝑝2), in un livello di reddito certo pari a 𝐼′ . 𝐼′ può quindi
essere considerato il reddito (certo) equivalente alla lotteria B (incerta) di un individuo avverso al
rischio [Friedman e Savage 1948: 289]. La figura 1.3b mostra invece l'utilità per un individuo
avverso al rischio di due lotterie con valore atteso identico ma diversa varianza: la lotteria con una
minore varianza conferisce una soddisfazione maggiore. La figura illustra come un aumento
𝜇𝑌 = 𝑦𝑖𝑝𝑖
𝑘
𝑖=1
dove 𝑘 indica il numero di stati possibili della variabile 𝑌, 𝑦𝑖 indica il valore assunto da 𝑌 nello stato 𝑖, e 𝑝𝑖 indica la
probabilità dell'accadimento dello stato 𝑦𝑖 . La varianza di una variabile casuale indica la sua dispersione intorno alla
media, ed è una misura dell'incertezza che circonda l'accadimento di un insieme di eventi possibili. Nel caso discreto è
data da
𝜎𝑌2 = 𝑦𝑖 − 𝜇𝑌
2𝑝𝑖
𝑘
𝑖=1
dove 𝜇𝑌𝑖 indica il valore atteso della variabile casuale 𝑌 [Stock e Watson 2009: 16-22].
37
dell'incertezza può creare un'esternalità. Ad esempio, passando da una situazione di relativa
abbondanza di una determinata risorsa, rappresentata dalla lotteria 𝐵3,4, a una situazione in cui la
risorsa diventa scarsa e in cui si crea competizione per il suo utilizzo concorrente, rappresentata
dalla lotteria 𝐵1,2 , l'utilità dell'individuo interessato allo sfruttamento della risorsa passerà da
𝑈 (𝐵3,4) a 𝑈 (𝐵1,2)70. La differenza tra i redditi equivalenti alle due lotterie indica l'ammontare
massimo di risorse, crescente al crescere dell'incertezza, che l'individuo sarà disposto a investire nel
riportare la situazione a uno stato di cose almeno equivalente alla situazione originaria, ad esempio
stabilendo un diritto di proprietà privata esclusiva, in grado di conferire maggiore certezza
nell'utilizzo, relativo allo sfruttamento della risorsa [Dahlman 1980: 82].
Come già illustrato, il sistema istituzionale alla base di un sistema di diritti può essere di natura
informale o formale, a seconda che il principale meccanismo sanzionatorio risieda nel potenziale
coercitivo della struttura sociale o dello stato. Max Weber, a questo proposito, distingue tra
convenzione e diritto71. Un ordinamento può essere chiamato:
70
Si può pensare alla lotteria 𝐵3,4 come a una situazione in cui, data l'abbondanza della risorsa, le possibilità di trarne
un reddito siano simili per tutti (𝐼3 e 𝐼4 , quindi, sono valori relativamente vicini). Nella situazione 𝐵1,2 , invece, la
scarsità della risorsa ne determina un aumento di valore (crescita del maggiore reddito possibile, 𝐼2), ma ne diminuisce
la reperibilità (calo del minore reddito possibile, 𝐼1). 71
Analogamente, Georg Simmel distingueva tra costume e diritto, notando inoltre una correlazione del primo con i
gruppi sociali di dimensioni ristrette, e del secondo con le cerchie di dimensioni più ampie [Simmel 1998: 54]. Edella
Figura 1.3 a) Utilità attesa e reddito equivalente; b) Utilità attesa di due lotterie con identico
valore atteso ma differente varianza
38
a) convenzione, quando la sua validità è garantita dall'esterno, mediante la possibilità di andare incontro, in caso di
deviazione, ad una disapprovazione generale, e praticamente sensibile, entro un dato ambito di uomini;
b) diritto, quando la sua validità è garantita dall'esterno, mediante la possibilità di una coercizione (fisica o psichica) da
parte dell'agire, diretto a ottenerne l'osservanza o a punire l'infrazione, di un apparato di uomini espressamente disposto
a tale scopo [Weber 1980: 31].
Diritti di proprietà privata possono sorgere all'interno di una società senza stato72
, sulla base dei
meccanismi sanzionatori informali (le convenzioni di Weber) descritti nel paragrafo 2.1. In questo
caso si può parlare di "diritti di proprietà informali". David Hume spiegava l'origine dell'istituzione
della proprietà, in assenza di stato, adottando un modello identico al dilemma del prigioniero iterato
sopra descritto, fondato su un meccanismo di altruismo reciproco:
osservo che è nel mio interesse lasciare a un altro il possesso dei suoi beni, a patto che si comporti allo stesso modo nei
miei riguardi. Anch'egli nutre un interesse simile nel regolare la sua condotta. Quando questo comune senso di interesse
viene reciprocamente espresso, ed è quindi noto a entrambi, produce una risoluzione e un comportamento adeguato. E
questa la si potrebbe chiamare abbastanza a buon diritto una convenzione o un accordo tra noi, sebbene privo di
promesse; poiché le nostre azioni si riferiscono a quelle degli altri, e vengono compiute in base alla supposizione che
dall'altra parte ne vengano compiute delle altre [...]. Né la regola sulla stabilità del possesso deriva soltanto dalle
convenzioni umane, ma sorge gradualmente, e acquisisce forza progredendo lentamente, e grazie alla ripetuta
esperienza degli inconvenienti che sorgono trasgredendola [Hume 2001: 969].
Un equilibrio di questo tipo è possibile in caso di eguaglianza relativa tra gli individui, nel caso in
cui, cioè, nessun attore sia dotato di mezzi coercitivi più efficienti dell'altro. E' possibile però
ottenere un equilibrio costituito dal mutuo rispetto della proprietà, per quanto caratterizzato da una
maggiore diseguaglianza negli esiti rispetto al modello ispirato a Hume, anche nel caso in cui due
attori, nel corso di una serie di interazioni di durata indeterminata, abbiano un potenziale di
coercizione differente. In un contesto senza stato, due giocatori si trovano a decidere se investire le
proprie risorse in attività produttive (ad esempio, coltivazione dei campi), o in attività non
direttamente produttive, ma in grado di procurare un reddito tramite attività di predazione (ad
esempio, tecnologia militare). In caso di disuguaglianza delle condizioni di partenza, il primo
giocatore possiede tecnologie militari poco produttive, ma migliori capacità agricole, mentre per il
secondo le potenzialità sono invertite. Se la tecnologia militare disponibile al secondo giocatore non
è troppo efficiente (non da garantire, cioè, la vittoria in uno scontro eventuale nella stragrande
maggioranza dei casi), il primo giocatore investirà interamente le sue risorse in attività produttive,
Schlager ed Elinor Ostrom distinguono invece tra diritti di proprietà de jure e de facto, i primi riconosciuti e garantiti
dallo stato, i secondi da sistemi di sanzioni informali [Schlager e Ostrom 1992: 254]. 72
Da intendersi in assenza di una forma di stato moderno, centralizzato e dotato del monopolio della violenza.
39
mentre il secondo utilizzerà una parte delle stesse per aumentare il suo potenziale coercitivo.
Quest'ultimo investirà in risorse militari solo finché il guadagno ottenibile da un ulteriore
investimento in attività predatorie non eguaglierà quello in attività agricole73
[Skaperdas 1992:
727]. Il risultato sarà un equilibrio parzialmente cooperativo, cioè con una componente di
soggiogazione: l'individuo più esperto in tecniche agricole, ma meno abile alla tecnica militare, si
specializzerà nella prima attività, rinunciando alla possibilità di difendersi. L'individuo più abile
all'utilizzo delle armi dividerà le sue attività tra l'estrazione di risorse al primo individuo, e l'attività
agricola in proprio. Questo equivale allo stabilirsi di un complesso di diritti di proprietà diseguali,
ma rispettati all'interno della propria sfera74
. Tale equilibrio può non risultare stabile nel caso in cui
il maggiore reddito resosi disponibile, a seguito delle attività di predazione, al secondo giocatore
venga utilizzato nel migliorare il potenziale coercitivo delle proprie armi: in tal caso l'equilibrio si
spezzerebbe tendendo verso una forma di sottomissione totale del primo giocatore [ivi: 732]. La
stabilità pertanto dipende dall'allocazione del reddito del secondo giocatore tra consumo e diverse
attività in grado di migliorarne le capacità di estrazione ai danni del primo giocatore75
[Haddock
2003: 181].
La struttura del gruppo di riferimento può subire mutazioni, a causa del cambiamento delle
condizioni esterne o interne, tali da compromettere le potenzialità di enforcement informale
riassunte nella tabella 1.3. Nel caso in cui il gruppo diventi più disperso può perdere i vantaggi
associati ai network chiusi. Può inoltre aumentare l'eterogeneità tra i soggetti interagenti, sia in
termini di preferenze, sia in termini di disparità nel potenziale coercitivo, in una misura tale per cui
il rispetto della proprietà, anche in termini diseguali, diventa impossibile [Ellickson 1993: 1320-
73
Al crescere del controllo del giocatore 2 sul giocatore 1, per il primo cresceranno anche i costi di monitoraggio
necessari ad assicurare l'estrazione delle risorse, così da renderla un'attività meno economica. Il costo opportunità di
attività produttive alternative permette che l'attività coercitiva si fermi prima di una forma di soggiogazione totale senza
una suddivisione tra i due giocatori dei diritti di proprietà sulla terra [Haddock 2003: 179-180]. 74
Questo semplice modello rende conto della struttura di diritti di proprietà esistente all'interno dell'organizzazione
agricola manoriale riscontrabile durante il medioevo inglese. I contadini erano specializzati nella produzione agricola,
ma non nelle attività di difesa. Erano soggetti a un signore militare, a cui dovevano parte della propria produzione,
mentre quest'ultimo viveva in parte della produzione loro estratta, e in parta della produzione agricola effettuata in
proprio. Ciò non implicava un'assenza di diritti sulla terra, per quanto diseguali, da parte dei contadini, o un
comportamento del tutto arbitrario da parte del signore (per un resoconto più dettagliato si rimanda al capitolo II,
paragrafo 2.2.5). Come indicato nel paragrafo 2.1 del capitolo II, la diseguaglianza iniziale, in grado di precipitare tale
equilibrio, può essere stata prodotta dall'evoluzione della tecnica militare, che avrebbe privilegiato innanzitutto i
maggiori signori militari. 75
L'investimento del maggiore reddito in attività agricole, in assenza di progresso tecnico, può abbassarne il prodotto
marginale, rendendo conveniente un aumento relativo delle risorse dedicate alle attività coercitive [North e Thomas
1973: 35-36]. Il modello aiuta a rendere conto del maggiore sfruttamento ai danni dei contadini inglesi determinato
dalla crescita demografica del XIII secolo: il calo del prodotto marginale del lavoro agricolo, dovuto alla crescente
popolazione e all'investimento dei signori in terre marginali sempre meno produttive, tornò a rendere conveniente
l'investimento in risorse estrattive (si veda il paragrafo 1.1. del capitolo III) [Postan 1966: 608]. La relativa stabilità
storica dell'equilibrio nel lungo periodo, invece, può essere spiegata dall'ampia allocazione al consumo, anche in
funzione di un redditizio incremento dello status sociale, da parte dei signori, delle risorse derivanti dalle proprietà
fondiarie nel medioevo inglese [Postan e Hatcher 1978: 36-37].
40
1321]. In questo caso l'incertezza derivante dall'avere a che fare con individui i cui comportamenti
passati sono meno osservabili, e, data la minore possibilità di interazioni future, dotati di maggiori
incentivi alla defezione, crea un incentivo alla creazione di strutture specializzate all'enforcement
delle regole:
l'insufficienza dei giochi ripetuti e della reputazione nel prevenire la sottrazione agli impegni fornisce un ruolo alle
istituzioni politiche [...]. E' importante osservare come queste istituzioni non sostituiscono la costruzione della
reputazione e le strategie di punizione associate, ma le complementano. Istituzioni scelte in modo appropriato possono
incrementare l'efficacia dei meccanismi reputazionali agendo come vincolo esattamente in quelle circostanze dove la
reputazione, da sola, è insufficiente nel'assicurare il rispetto degli impegni [North e Weingast 1989: 807-808].
L'agenzia protettiva dominante, o lo stato, è il risultato organizzativo del gruppo interessato
all'applicazione di una determinata norma. Lo stato assume il ruolo di terza parte a ogni interazione
sociale tra due (o più) individui, in forza del suo monopolio della violenza e del suo maggiore
potenziale coercitivo [North 1994: 92]. In un contesto istituzionale così definito, anche in caso di
interazioni singole i guadagni della defezione andranno pesati per la possibilità di essere puntiti per
la violazione. Se lo stato è in grado di garantire una punizione, in caso di violazione, con una
probabilità sufficientemente elevata, gli incentivi a defezionare possono venire drasticamente
ridotti, assicurando cooperazione e rispetto dei diritti di proprietà anche laddove non vi sia una
struttura sociale in grado di garantire autonomamente il rispetto delle regole. Nel caso di diritti
garantiti dallo stato, o da analoga istituzione coercitiva, è lecito parlare di "diritti di proprietà
moderni". La loro specificità, rispetto ai diritti di proprietà informali, risiede nella maggiore
garanzia nel possesso, e nella relativa indipendenza della loro sicurezza dalle specificità della
struttura sociale [Carruthers e Ariovich 2004: 29-30]. Come riassunto da Robert Palmer, nel caso
dei diritti di proprietà moderna sulla terra,
la proprietà come fenomeno legale si manifesta solo quando la rivendicazione di un individuo a una porzione di terra
non dipende dalla sua forza o da una relazione personale, ma quando il titolo è protetto da un'autorità burocratica
secondo regole stabilite. La proprietà deriva dallo stato; non può esistere prima dello stato [Palmer 1985: 7].
2.3. Cambiamento istituzionale
Come ripetuto più volte, un sistema normativo è l'emanazione di un gruppo beneficiario interessato
al suo mantenimento. Il sistema di diritti di proprietà da questo derivante non beneficerà, pertanto,
tutte le parti in causa allo stesso modo. Nel caso di diritti di proprietà formali lo stato costituisce la
garanzia del possesso. Diviene rilevante in questo caso il gruppo di riferimento a cui l'azione
coercitiva dello stato risponde: lo stato «incoraggerà e specificherà diritti di proprietà efficienti solo
41
nella misura in cui essi sono coerenti con gli obbiettivi di massimizzazione del benessere dei
soggetti che controllano lo stato» [North 1981: 34]. Questo implica una visione del cambiamento
istituzionale incentrata sul conflitto tra gruppi sociali interessati al controllo dell'agenzia protettiva
dominante. La tabella 1.7 sintetizza il modello di cambiamento istituzionale proposto da Daron
Acemoglu e collaboratori [Acemoglu et al. 2005: 389-396]. Le istituzioni politiche costituiscono le
istituzioni formali che determinano l'accesso all'utilizzo dell'apparato coercitivo statale. Queste
determinano il potere politico de jure, cioè la capacità giuridica di portare avanti i propri obbiettivi.
La distribuzione delle risorse rappresenta la distribuzione dei mezzi di produzione, e implica un
potere politico de facto, cioè una capacità di portare avanti i propri obbiettivi non necessariamente
congruente con quanto previsto dalle istituzioni politiche formali (e quindi determinante la forma
delle istituzioni, politiche o economiche, informali). Il potere politico (de jure e de facto) determina
la forma delle istituzioni politiche nei periodi successivi, e disegna le istituzioni economiche, cioè le
regole entro cui può svolgersi la produzione [North 1986: 60]. Un esempio eminente di istituzioni
economiche sono i diritti di proprietà, cioè le regole che determinano gli utilizzi leciti o illeciti delle
risorse della società [Barzel 2003: 51]. Le istituzioni economiche, a loro volta, influenzano la
performance economica del sistema, e quindi la distribuzione delle risorse aggiuntive da questo
prodotte [De Alessi 2003: 90].
Il concetto di potere è qui utilizzato secondo la definizione di Weber: «per potere si deve intendere
la possibilità di trovare obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia un determinato
contenuto» [Weber 1980: 52]. Il potere di un attore consiste nella probabilità con cui è in grado, in
una situazione conflittuale, di far prevalere i propri obbiettivi [Skaperdas 1992: 721]. Il potere è una
proprietà delle relazioni sociali (ad esempio, un potere specifico di A su B), e non una caratteristica
intrinseca dei singoli attori, e consiste nel controllo da parte di A di risorse di interesse per B. Se A
controlla delle risorse (o azioni) di particolare interesse per B, quest'ultimo si troverà in una
Tabella 1.7 Rappresentazione schematica del modello di cambiamento istituzionale
Istituzioni
politiche𝑡 →
Potere politico
𝑑𝑒 𝑗𝑢𝑟𝑒𝑡 →
Istituzioni
economiche𝑡 →
Performance
economica𝑡
& &
Distribuzione
delle risorse𝑡 →
Potere politico
𝑑𝑒 𝑓𝑎𝑐𝑡𝑜𝑡 →
Istituzioni
politiche𝑡+1
Distribuzione
delle risorse𝑡+1
Fonte: Acemoglu et al. 2005: 392.
42
relazione di dipendenza nei confronti di A, determinata dall'intensità dell'interesse in quel
particolare tipo di risorsa, e dalla possibilità di ottenere le stesse risorse da altri soggetti rispetto ad
A. Il livello di dipendenza così definito determina il potere di A su B: «il potere dell'attore A
sull'attore B consiste nella resistenza da parte di B che può potenzialmente essere superata da parte
di A» [Emerson 1962: 32]. Al crescere dell'interesse di soggetti terzi nei confronti delle risorse
detenute da A, e al crescere del suo controllo effettivo nell'utilizzo di queste, le possibilità per A di
raggiungere i propri obbiettivi superando la resistenza di terzi crescono76
[Coleman 1962: 627].
Allo stesso modo, il potere di un gruppo consiste nelle sue possibilità di controllo di insiemi di
risorse. Il potere di un gruppo, contrariamente al potere individuale, deriva, oltre che dalla somma
del valore delle risorse controllate dai suoi membri, pesato per il grado di controllo individuale sulle
stesse, anche dalla sua capacità di organizzarsi per agire efficacemente77
. Un gruppo costituito da
individui singolarmente potenti avrà più potere se in grado di organizzare efficacemente l'utilizzo
delle risorse individuali. Senza tale organizzazione efficace, il grado di controllo collettivo sulle
risorse individuali tenderà a calare, e così il suo potere [Acemoglu et al. 2005: 448]. Come spiegato
nel paragrafo 2.2, gruppi di dimensioni minori, se costituiti da interessi omogenei e da una
maggiore osservabilità dei comportamenti altrui, incontrano minori costi di organizzazione, e sono,
potenzialmente, meglio in grado di organizzare l'azione collettiva [Olson 1974: 43-44].
Seguendo lo schema riportato nella tabella 1.7, la distribuzione delle risorse è un potente
determinante della distribuzione del potere nella società. Cambiamenti radicali nella distribuzione
delle risorse, pertanto, possono determinare cambiamenti radicali nella distribuzione del potere
politico de facto, e quindi nel cambiamento delle istituzioni politiche ed economiche formali. Una
fonte di cambiamento nella distribuzione delle risorse è dato dal cambiamento dei prezzi relativi
delle stesse78
[North 1994: 123]. Tale cambiamento può essere dato da uno shock considerabile
come esogeno, cioè indipendente dalle variabili considerate nel modello [Eggertsson 1990: 281-
282]. Un esempio, di fondamentale importanza nella spiegazione della nascita dei diritti di proprietà
moderni in Inghilterra, è dato dalla crescita demografica ininterrotta sperimentata tra il XII e XIII
secolo, così come dal crollo della popolazione nel XIV e XV [Hatcher 1977: 71]. Dal momento in
76
Ad esempio, un potere assoluto consiste nel controllo effettivo della totalità delle risorse per cui gli altri individui
abbiano un interesse. Questo si traduce in una probabilità vicina a uno del far prevalere i propri obbiettivi in ogni
situazione. Una probabilità vicina a zero di raggiungere i propri obbiettivi implica una sostanziale assenza di potere,
cioè, o un controllo completo di risorse con un valore nullo, o un controllo nullo su risorse di un qualche valore per gli
altri [Coleman 1962: 627]. 77
Ad esempio, nonostante le risorse controllate dai contadini nell'Europa del XIII secolo fossero probabilmente
maggiori di quelle controllate dall'aristocrazia terriera, le differenti capacità organizzative dei due gruppi implicavano
un diverso potere relativo delle parti [Brenner 1976: 56]. 78
Con "prezzo relativo" si intende il rapporto tra il prezzo di due beni, cioè il prezzo di un bene nei termini di un
secondo [Friedman 2007: 43].
43
cui la terra, in assenza di continuo progresso tecnologico, può essere considerato un fattore di
produzione con un'offerta relativamente costante, la crescita (o decrescita) demografica può
implicare un cambiamento nel prezzo relativo tra lavoro e terra (a favore della terra), determinando
così un cambiamento nel potere relativo dei detentori del controllo sulle due risorse [North e
Thomas 1973: 12; Postan e Hatcher 1978: 29]. Un aumento dei prezzi della terra e dei suoi prodotti
determina due effetti79
. Da una parte si ha una crescita delle rendite potenzialmente catturabili da
parte degli individui in possesso di un appezzamento. Dall'altra si determina un aumento della
concorrenza nello sfruttamento della risorsa, in ragione del suo aumentato valore. In assenza di
diritti di proprietà privata sulla risorsa, l'aumentare della concorrenza nel suo utilizzo determina
un'esternalità nei confronti degli occupanti di fatto, che vedono aumentare l'incertezza delle
accresciute rendite potenzialmente ottenibili. Questo fa sì che un aumento del prezzo relativo della
terra, tramite l'aumento dell'incertezza delle rendite catturabili, crei un incentivo allo stabilire un
diritto di utilizzo esclusivo sulla risorsa, come illustrato tramite la figura 1.3 [Demsetz 1967: 350-
352]. Lo specificare norme definite sull'utilizzo esclusivo delle risorse ha il fine di accrescere la
sicurezza del titolo, cioè la probabilità che un proprietario mantenga il controllo dello sfruttamento
della risorsa. La domanda di nuove norme sui diritti di utilizzo sulla risorsa, però, può essere
soddisfatta solo nel caso in cui i costi nell'assicurare l'esclusività nell'utilizzo non superino i benefici
potenzialmente ottenibili [Libecap 1978: 341]. Di particolare importanza risultano i costi di
transazione derivanti dallo stabilire confini precisi alla proprietà, dal monitorare i confini e
individuare eventuali intrusioni, e dal punire le violazioni, cioè i costi di esclusione80
[Ellickson
1993: 1327-1328]. Le risorse potenzialmente dedicate all'enforcement cresceranno al crescere del
valore delle risorse di cui il gruppo di interessati vuole garantirsi un utilizzo esclusivo [Posner 1973:
419; Becker e Stigler 1974: 3]. La figura 1.4 schematizza la discussione81
. Sull'asse delle ordinate è
indicato il costo o il beneficio di un particolare livello di esclusività nell'utilizzo di una risorsa,
espresso in una unità comune. L'asse delle ascisse riporta il livello di esclusività dei diritti di
proprietà, dove 0 indica una totale assenza (i beni pubblici e comuni della tabella 1.4), mentre 1
indica la proprietà privata assoluta (beni privati e di club). Valori intermedi indicano diversi gradi di
esclusività, secondo la scala utilizzata nella tabella 1.5. La curva 𝐵𝑀𝑒 indica il beneficio marginale
derivante da un aumento del livello di esclusività (in termini di minori esternalità subite
dall'occupante, positivo e decrescente al crescere del livello di esclusività), mentre la curva 𝐶𝑀𝑒
indica il costo marginale dell'aumentare il livello di esclusività (in termini di maggiore necessità di
79
Visto il tema del presente lavoro ci si concentra qui sull'esempio della proprietà privata sulla terra. Il modello resta
comunque applicabile a differenti tipi di risorse. 80
Questi includono anche i costi associati allo stabilire, se necessario, e gestire un'organizzazione in grado di occuparsi
di tali compiti, oltre ai costi necessari ad assicurare la contribuzione di tutti i soggetti beneficiati dalla norma. 81
Il modello è riadattato da Field [1989: 325] e McChesney [2003: 232].
44 delimitazione dei confini, controllo e punizione delle trasgressioni, positivo e crescente al crescere
del livello di esclusività) [Haddock e Kiesling 2002: 568]. L'incrocio delle due curve determina un
livello di esclusività di partenza pari a 𝑒, vicino alla proprietà comune. In caso di uno shock esterno
che determini un aumento del valore della risorsa (ad esempio dei prezzi del prodotto agricolo della
terra, in caso di crescita demografica), la curva dei benefici marginali si sposta verso l'alto,
diventando 𝐵𝑀𝑒′ . In questo caso sarà conveniente al singolo occupante investire più risorse nel
garantire l'esclusività della risorsa, portandola al livello 𝑒′ , più vicino a un livello di esclusività
completo. Infine, se il costo del garantire l'esclusività della risorsa si riduce (ad esempio perché il
governo rende disponibile il suo potenziale coercitivo nella protezione dei diritti di proprietà, più
efficiente dell'enforcement privato), la curva dei costi marginali si abbassa, diventando 𝐶𝑀𝑒′ , così
determinando un livello di esclusività pari a 𝑒′′ , nei pressi della proprietà privata assoluta. La
ridefinizione dei diritti di proprietà è pertanto sensibile sia ai cambiamenti nel valore della risorsa in
questione, sia ai cambiamenti nelle tecnologie, e quindi nei costi, disponibili nel garantire tale
ridefinizione [Demsetz 1967: 350].
Se lo stato è più efficiente nel definire e garantire i diritti di proprietà, esiste la possibilità di uno
scambio tra gli individui interessati alla definizione di tali diritti e gli individui che rappresentano lo
stato. Una parte delle potenziali rendite catturabili dalla ridefinizione di diritti di proprietà privata
Figura 1.4 Livello di esclusività dei diritti di proprietà in equilibrio
45
sulla terra possono essere utilizzate nel compensare lo stato per l'utilizzo del suo potenziale
coercitivo. Se la ridefinizione dei diritti di proprietà comporta un guadagno per un gruppo (ad
esempio, l'aristocrazia terriera), e una perdita per un altro (ad esempio, la famiglia del sovrano, sotto
il nuovo regime meno in grado di estrarre arbitrariamente risorse dai suoi soggetti), parte delle
risorse catturate dal cambiamento nella struttura dei diritti di proprietà possono essere utilizzate per
compensare il gruppo svantaggiato, assicurandosi la sua cooperazione nella ridefinizione dei diritti
[Glaeser e Shleifer 2002: 1208]. L'ammontare delle risorse investibili a tal fine crescerà al crescere
della rendita potenzialmente catturabile, quindi al crescere del valore della risorsa in questione
[Anderson e Hill 2003: 122]. Se lo stato sarà disposto a definire e proteggere i diritti di proprietà
come richiesto, però, dipenderà dalla sua personale valutazione della desiderabilità relativa dello
status quo rispetto al cambiamento istituzionale82
[North 1981: 43]. Anche nel caso in cui il
cambiamento istituzionale sia socialmente vantaggioso, cioè sia in grado di produrre un numero di
nuove risorse tale da compensare i perdenti (il sovrano) e lasciare ciò nonostante il gruppo dei
beneficiari (l'aristocrazia) in una situazione migliore rispetto alla precedente [De Scitovszky 1941:
88], lo scambio, e quindi il cambiamento, potrebbe non avvenire, a causa di problemi relativi alla
garanzia di mantenimento degli impegni. Nel caso di uno scambio politico, non è difatti possibile
contrarre accordi senz'altro vincolanti tra le due parti. Il sovrano potrebbe accettare una
compensazione da parte dell'aristocrazia senza poi, dalla sua posizione di potere, agire per ridefinire
la struttura dei diritti di proprietà. Allo stesso modo l'aristocrazia potrebbe veder cambiare i diritti di
proprietà a proprio favore, e quindi, dalla acquisita nuova posizione di potere, potrebbe voler negare
la compensazione pattuita al sovrano. Nel caso dello scambio politico non esiste una terza parte
esterna in grado di garantire l'applicazione dei patti, come nel caso dello stato con le due parti a un
contratto: le due parti non sono in grado di prendere impegni sufficientemente credibili l'una nei
confronti dell'altra [Acemoglu et al. 2005: 429-436]. Il sovrano, o il gruppo di potere a capo dello
stato, potrebbe pertanto preferire una struttura istituzionale socialmente svantaggiosa, ma
privatamente conveniente [Eggertsson 1990: 324].
Il modello rappresentato in figura 1.4, quindi, prescinde dalla struttura istituzionale e politica
esistente prima del cambiamento del prezzo relativo della terra [ivi: 260; McChesney 2003: 231]. Il
cambiamento dei prezzi relativi, della distribuzione delle risorse, e quindi del potere politico de
facto può portare a situazioni differenti se il sistema istituzionale di partenza, e quindi i rapporti di
potere tra i soggetti interessati, è differente. La struttura istituzionale può essere modificata al
mutare delle condizioni economiche, ma i cambiamenti in termini di potere relativo determinati dal
82
Il fatto che nel medioevo europeo lo stato fosse identificato con la persona del sovrano rende più facile comprendere
la relativa convenienza delle due situazioni.
46
cambiamento economico è a sua volta in parte determinato dalla struttura sociale (formale e
informale) preesistente [Brenner 1976: 31]. La valutazione della convenienza del cambiamento terrà
conto non soltanto della possibile redistribuzione delle risorse derivante dalle nuove istituzioni, ma
anche del suo effetto sulla ridefinizione del potere relativo, de jure e de facto, delle parti,
determinante per la struttura istituzionale e per la distribuzione futura delle risorse [Acemoglu e
Robinson 2012: 84]. Il cambiamento istituzionale pertanto è più probabile se il cambiamento dei
prezzi relativi è in grado di aumentare il potere di una parte a scapito di quello dell'altra. Il concetto
di potere è qui identificato con quello di dipendenza. Se i cambiamenti esogeni determinano una
crescita del valore delle risorse di un gruppo A, da cui un gruppo B dipende, il potere politico de
facto del gruppo A crescerà, aumentando la probabilità di ottenere concessioni da parte del gruppo
B. In questo caso il gruppo B potrebbe essere costretto ad acconsentire al cambiamento
istituzionale, anche senza una certezza assoluta di rispetto dei patti da parte del gruppo A: «un
cambio nei prezzi relativi che migliori il potere contrattuale di un gruppo di costituenti può portare
all'alterazione delle regole al fine di conferire a quel gruppo maggiore reddito, o, alternativamente, i
costituenti possono forzare il governante a rinunciare a parte del suo potere di governo» [North
1981: 29-30]. La nuova situazione istituzionale risulterebbe così effettivamente stabile grazie alla
sua logica interna, cioè ai mutati rapporti di forza, e non semplicemente in forza di un accordo
compensatorio non impugnabile83
[North e Weingast 1989: 806; Bates et al. 1998: 8]. Il
cambiamento istituzionale dipenderà altresì dalla capacità organizzativa degli individui interessati a
una ridefinizione dei diritti di proprietà. Nel caso di interessi molto dispersi, individualmente piccoli
ma collettivamente grandi, la possibilità di compensazione del sovrano, e pressione sullo stesso, può
venire drasticamente ridotta, in quanto i costi di organizzazione potrebbero facilmente superare i
benefici potenzialmente ottenibili. In caso di interessi meno dispersi, le possibilità di organizzazione
crescono, quindi lo scambio diventa maggiormente praticabile, e la relazione di dipendenza più
marcata. Se l'aggregazione di interessi dispersi richiede maggiore tempo e maggiori risorse, è
possibile ipotizzare che una ridefinizione dei diritti di proprietà sia raggiunta inizialmente dai
gruppi meglio organizzati, e solo in seguito dai gruppi più dispersi ed eterogenei, meno in grado di
agire all'unisono [Olson 1982: 41]. Se il gruppo interessato al cambiamento è di dimensioni piccole,
83
Non è un caso che molti dei cambiamenti istituzionali della storia inglese siano derivati da situazioni di accresciuta
dipendenza del sovrano dai propri soggetti. Molti statuti, a partire dalla Magna Carta, furono garantiti in procinto di
entrare in guerra, a seguito di un'aperta ribellione, o nel mezzo di una crisi fiscale, cioè in situazioni in cui la tenuta del
potere da parte della famiglia reale dipendeva in massimo grado dalle risorse dei propri soggetti [Bean 1968: 77-78;
Pipes 1999: 147; King 2009: 100]. In cambio degli statuti e delle ordinanze a favore dell'aristocrazia, era comunque di
norma richiesta una compensazione per il sovrano [North e Thomas 1973: 83-84]. Non era, del resto, infrequente che
stipulazioni col sovrano venissero da quest'ultimo disattese, in caso i rapporti di forza sottostanti non fossero sufficienti
a mantenerle in vigore [King 2009: 33].
47
a parità di risorse, è probabile che l'azione collettiva sia organizzata più rapidamente ed
efficacemente84
[McCarthy e Zald 1977: 1225; North 1981: 32].
Il modello di cambiamento istituzionale qui adottato non implica che la struttura istituzionale
risponda a ogni mutazione, per quanto piccola, dei prezzi relativi. Implica, anzi, una certa
persistenza dei sistemi istituzionali [Becker 1992: 340]. Il modello di attore razionale implica che al
cambiare delle condizioni esterne gli individui orientino le proprie decisioni tenendo conto dei
nuovi vincoli, ma non istantaneamente, e non per qualsiasi dimensione del loro cambiamento:
prendere delle decisioni è costoso, e non semplicemente perché si tratta di un'attività che alcune persone trovano
spiacevole. Per prendere una decisione un individuo necessita di informazione, e l'informazione va analizzata. I costi
della ricerca delle informazioni e dell'applicazione delle informazioni alla nuova situazione sono tali che l'abitudine è
spesso un modo più efficiente nel fare i conti con cambiamenti moderati o temporanei dell'ambiente, piuttosto che una
decisione pienamente e, apparentemente, tesa a massimizzare l'utilità [Stigler e Becker 1977: 82].
L'esistenza di un sistema istituzionale implica che gli attori abbiano investito risorse nell'apprendere
le sue regole, e sviluppare le proprie capacità per agire in conformità ad esso in modo ottimale. Se
le istituzioni cambiassero ad ogni piccolo mutamento delle condizioni esterne, sarebbe necessario
investire continuamente risorse nell'apprendere la struttura della nuova situazione e sviluppare in
risposta regole di comportamento ottimali. E' pertanto più probabile che gli individui sviluppino
nuove regole e strutture istituzionali in risposta a shock di dimensioni rilevanti [ivi: 83]. Allo stesso
modo, siccome il cambiamento istituzionale non avviene senza costi, sia di transazione,
nell'organizzare il cambiamento, sia in capitale specifico, nel creare le strutture specifiche alla base
del nuovo sistema istituzionale, il cambiamento istituzionale risulterà conveniente sono nel caso in
cui i cambiamenti esterni siano percepiti come di lunga durata, cioè almeno tali da ripagare
l'investimento nelle nuove istituzioni [Eggertsson 1990: 78-79]. Lo stesso investimento nelle
istituzioni precedenti determinerà una persistenza delle stesse in caso di cambiamenti dell'ambiente
esterno tali da non garantire la convenienza dell'abbandono del vecchio sistema85
[Haddock e
Kiesling 2002: 569]. La risposta ai cambiamenti dell'ambiente interno, inoltre, richiede un periodo
di apprendimento, e quindi di adattamento, prima che un nuovo equilibrio venga raggiunto. Le
informazioni relative ai nuovi vincoli esistenti e le aspettative sulle condizioni future verranno
84
In Inghilterra la definizione di diritti di proprietà assoluta sulla terra venne raggiunta prima dall'aristocrazia terriera, e
solo in seguito dalla totalità dei contadini. 85
Si vedrà nel capitolo III come i due cambiamenti istituzionali di maggior rilievo della storia inglese, cioè la crescita
delle regole di Common law relative alla proprietà terriera, e la fine del servaggio, avvennero in periodi caratterizzati da
cambiamenti nei prezzi relativi di durata prolungata e di livello consistente. Nel primo caso, durante l'ininterrotta
crescita demografica e il conseguente aumento dei prezzi agricoli nel XII e XIII secolo. Nel secondo caso, durante il
massiccio crollo e quindi il ristagno demografico del XIV e XV secolo causato dalla Morte nera.
48
aggiornate col passare del tempo, fino a raggiungere il nuovo punto di equilibrio istituzionale86
più
adatto alle mutate condizioni esterne [Lucas 1986: 419].
86
Secondo Douglass North, «per equilibrio istituzionale si intende una situazione in cui, data la forza contrattuale dei
giocatori e un insieme di contrattazioni che rappresentano l'intera gamma degli scambi economici, nessuno potrà trarre
vantaggio dall'impegnare ulteriori risorse al fine di modificare gli accordi» [North 1994: 127].
49
CAPITOLO II
DIRITTI DI PROPRIETA' NEL
FEUDALESIMO INGLESE
(XI-XII sec.)
1. PROFILO GENERALE DEL SISTEMA GIUDIZIARIO
DELL'INGHILTERRA POST-CONQUISTA
Essendo i diritti di proprietà stabiliti all'interno di una struttura di autorità in grado di garantirli è
importante delineare una struttura degli organi giurisdizionali deputati all'accoglimento e
determinazione delle dispute tra individui in relazione alle cause di natura proprietaria o
possessoria. Si presenterà pertanto un profilo delle principali corti di giustizia come esistenti in
Inghilterra a seguito della conquista normanna (1066). Di particolare importanza in relazione alla
tesi qui sostenuta risultano i meccanismi relativi ai costi e all'efficacia dell'enforcement delle
decisioni raggiunte nelle corti comunali e feudali, oltre all'incertezza relativa all'ottenimento di un
giudizio attinente alla realtà dei fatti tramite i metodi di prova disponibili all'epoca (ordalia, duello
giudiziario o wager of law). Verrà innanzitutto dato risalto alle questioni relative alla giurisdizione
civile, per quanto in questa fase non del tutto separata dalla giurisdizione penale. Si è altresì
preferito non dedicare uno spazio specifico alle giurisdizioni ecclesiastiche (per quanto avessero
poteri tutt'altro che secondari in relazione alle questioni matrimoniali e alle disposizioni
testamentarie, legate a doppio filo col possesso della terra) per non appesantire eccessivamente il
profilo. Il sistema di giurisdizioni risulta complicato a causa dell'interazione, successiva alla
conquista, tra le corti comunali funzionanti nel precedente periodo anglo-sassone con le nuove
modalità di giustizia signorile tipicamente feudali e la nascente giustizia regia (che fornirà le basi
della Common law). La conquista normanna non solo accelerò e formalizzò le relazioni
giurisdizionali feudali, ma, parallelamente, tramite la centralizzazione crescente della giustizia nelle
50
mani del sovrano, pose le basi per il loro superamento innescando quella transizione dai diritti di
proprietà tipicamente feudali ai moderni diritti di proprietà astratti tipici della Common law. Il
funzionamento della giustizia civile verrà pertanto illustrato in relazione alle giustizie comunali
(corti di contea e di centena) nel paragrafo 1.1, rispetto alla giustizia signorile (corti manoriali e
franchigie) nel paragrafo 1.2, e riguardo alla giustizia regia nel 1.3.
1.1. Le giustizie comunali
Entro il X secolo si aveva un singolo regno inglese, e da questo periodo è possibile distinguere una
precisa divisione amministrativa relativa al governo locale. Il regno era diviso, a un primo livello, in
contee (counties o shires), ciascuna assegnata a un conte (earldorman o earl). Le contee erano a
loro volta divise in centene (hundreds), sotto la responsabilità di un hundredman. Infine le centene
erano divise in decine (tithings), in origine intese come gruppi di dieci famiglie, sotto la
responsabilità di un tithingman [Baker 2007: 6-7]. Le divisioni amministrative non rappresentavano
un semplice territorio: «la "contea" [o la centena] non è un mero tratto di terra, un distretto
governativo; è un corpo organizzato di uomini; è una communitas» [Pollock e Maitland 2010a:
563]. I distretti erano rappresentati da un'assemblea (moot): le assemblee costituivano le comunità
del regno e ne formavano la base. L'assemblea non era solo una corte di giustizia: nella stessa
venivano condotti tutti gli affari del distretto. In epoca medievale non vi era ancora una definita
dottrina costituzionale relativa alla separazione dei poteri. La stessa assemblea racchiudeva in sé
poteri amministrativi e governativi, legislativi e giudiziari [Maitland 1908: 105]. Prima dell'avvento
della Common law (intesa come legge comune del regno) i diversi distretti sottostavano a differenti
costumi, interpuntati dai tentativi centralizzatori dei re che emanavano di tanto in tanto ordinanze o
codici applicabili all'intero reame [Baker 2007: 3]. La differenza tra i costumi delle corti medioevali
e la successiva legge comune del regno è così riassunta da John Baker:
al tempo della conquista normanna, l'Inghilterra non aveva né un ordinamento giudiziario nazionale né un corpo
legislativo in alcun senso moderno. Vi erano corpi decisionali, dal consiglio del re fino all'assemblea di villaggio; ma le
decisioni potevano essere prese senza spiegazioni ponderate, senza seguire o stabilire regole vincolanti, e in queste
antiche assemblee nessuna distinzione si sarebbe potuta avere tra processo di giudicatura, amministrazione e
legislazione. Le decisioni sistemavano il problema in questione e non ci si aspettava facessero altro; non erano costrette
dal passato e non stabilivano regole per il futuro. Questo non equivale a suggerire che la legge fu immediatamente
preceduta da dispotismo o anarchia. Buone decisioni sono guidate dal costume e saggia consultazione riguardo a cosa
sia ragionevole. Il costume può infatti esercitare una forza considerevole, e la sua osservanza può essere una scelta
deliberata. Anche così però, buon ordine, costume e debita deliberazione non sono la stessa cosa che "legge" come
considerata in tempi più recenti [ivi: 1].
51
Tali assemblee si tenevano regolarmente, e l'obbligo di partecipazione era un gravame ricadente
sulla terra: gli uomini liberi e i proprietari di terra in condizioni non servili appartenenti al distretto
erano obbligati alla partecipazione. Esistevano inoltre particolari convocazioni in cui anche gli
uomini in condizione servile dovevano partecipare. Lungi dall'essere un privilegio, la frequenza
delle corti era un gravame economicamente rilevante. Si trattava di abbandonare i propri affari di
frequente, intraprendendo lunghi viaggi per raggiungere il luogo d'incontro per occuparsi di
giudicare questioni di terze parti in interminabili sessioni giudiziarie. La fornitura di giustizia era un
vero e proprio servizio pubblico, a spese proprie, reso alla comunità e ricadente sulla terra occupata
[Pollock e Maitland 2010a: 566-574].
La giurisdizione comunale, in origine, era sia civile che penale [Maitland 1908: 106]. Nell'alto
medioevo non esisteva uno stato centralizzato che reclamasse per sé il diritto a punire tutti i misfatti
commessi nel proprio regno. Esisteva il concetto di "pace", che apparteneva a diversi soggetti:
«ogni uomo ha la sua pace particolare e se la rompi lo danneggi. Così se assassini A nella casa di B,
non solo devi pagare il prezzo o la wergild1 di A al suo parentado, ma hai rotto la pace di B e dovrai
a B una somma di denaro, l'ammontare della quale varierà col rango di B» [ivi: 108]. Pur non
esistendo una idea astratta di stato, i delitti contro un individuo erano considerati allo stesso tempo
delitti contro la comunità. Questo significava non solo che l'offensore dovesse risarcire la vittima o
la sua famiglia, ma che dovesse ricompensare anche la comunità in generale, o il suo rappresentante
in particolare, di cui aveva rotto la pace (questo avveniva, prima dello sviluppo del concetto di
crimine non emendabile o felony, punito con la morte o la mutilazione, tramite un sistema di
compensazioni: la famiglia otteneva il prezzo dell'uomo, o wergild, mentre la comunità una
sanzione pecuniaria, o wite). Le corti comunali proteggevano la pace generale. Il re aveva una pace
personale, che copriva particolari giorni dell'anno (come i giorni della sua coronazione, o alcune
feste come natale e pasqua), particolari luoghi (come le grandi strade reali), e particolari crimini.
Tale pace, e la giurisdizione che implicava, poteva essere concessa dal re a particolari individui
[Pollock e Maitland 2010a: 50-51]. La "pace del re", da giurisdizione residuale quale era, già in
periodo anglo-sassone prese ad allargarsi, fino ad arrivare a costituire la principale giurisdizione
penale su tutto il regno entro la fine del XII secolo [Maitland 1908: 108]. Con la conquista
normanna le corti comunali vennero pertanto a esercitare quasi esclusivamente una giurisdizione
civile (accanto al rimanere il luogo deputato alle fasi preliminari dei procedimenti penali). La
giurisdizione relativa alle dispute sui possedimenti terrieri venne a essergli sottratta con
1 La wergild, o wer, era il "prezzo dell'uomo", cioè il valore monetario che veniva messo in gioco nei suoi rapporti con
la giustizia. Se l'uomo veniva ucciso, l'uccisore doveva pagare tale valore alla sua famiglia. Se egli stesso commetteva
un'infrazione dell'ordine pubblico, era il prezzo che doveva pagare a compensazione. Uomini di diverso rango avevano
prezzi diversi [Pollock e Maitland 2010a: 53-54].
52
l'introduzione del sistema feudale normanno, delegandola in prima istanza alle corti signorili
[Adams 1924: 126].
L'assemblea comunale era presieduta o dal signore eminente del territorio (solitamente il conte nel
caso delle contee, o il vescovo) o, in seguito, dallo sceriffo di contea in qualità di rappresentante
regio (per quanto il diritto a presiedere l'assemblea, che costituiva una rilevante fonte d'introito,
fosse materia di concessione regia dietro pagamento, e poteva essere affidato a diversi soggetti). La
presidenza dell'assemblea non aveva però direttamente carattere giudiziario: i giudici delle cause
erano i componenti dell'assemblea (doomsmen) che dichiaravano la legge e rendevano i giudizi.
Non esisteva ancora una sviluppata professione legale, e pertanto il giudizio dell'assemblea
costituiva il giudizio diretto della comunità [Maitland e Montague 1998: 16-17]. Il presidente «è, si
può dire, il magistrato che presiede; convoca la corte, "conduce la corte", "ascolta le cause", regola
l'intera procedura, emette i mandati; ma non emette i giudizi: quando è arrivato il momento per un
giudizio lo chiede ai convocati [suitors]» [Pollock e Maitland 2010a: 577]. I convocati (detti
suitors, termine che indicava coloro tenuti a partecipare alle convocazioni) erano tanto giudici di
diritto quanto di fatto, se è possibile prendere a prestito tali termini moderni per un'epoca in cui la
parte più rilevante dello stabilire i fatti era ancora lasciata all'ordalia [ivi: 579]. Qualora le decisioni
non fossero prese all'unanimità la decisione poteva venire presa a maggioranza, o a maggioranza
"degli uomini migliori"; in altri casi ancora il presidente accoglieva il giudizio dell'assemblea che
riteneva più adatto al caso. I casi venivano ascoltati dall'intera assemblea, ma il giudizio poteva
essere dato solo dai pari delle parti in causa: il "piccolo" non poteva giudicare il "grande", né un non
residente nel distretto in causa poteva giudicare un suo componente [ivi: 581].
County court. La giurisdizione delle contee, nel periodo anglo-normanno, era per la maggior parte
civile. Accoglieva inoltre, in seconda istanza, le cause relative ai possedimenti terrieri, in caso la
corte signorile deputata in prima istanza al loro accoglimento non avesse reso giustizia ai
contendenti (sia in caso di mancanza di volontà di ascoltare il caso, sia in caso di reclamo per
ingiusto giudizio). La sua occupazione principale risiedeva nell'accoglimento delle azioni
contrattuali e personali, come le cause per debiti o richieste di danni [Pollock e Maitland 2010a:
558]. Si incontrava con frequenza mensile in forma ristretta, dove venivano svolte le fasi
preliminari e interlocutorie del procedimento, mentre una volta ogni sei mesi si aveva una
convocazione particolarmente solenne a cui tutti i liberi tenutari di terra dovevano partecipare [ivi:
568-569]. Di norma era presieduta dallo sceriffo. Lo sceriffo (shire-reeve, o sovrintendente di
contea) dell'epoca anglo-normanna era un potente ufficiale regio a cui era affidata la gestione
amministrativa di una contea (il distretto su cui aveva giurisdizione era detto balivato, o bailiwick),
53
nominato dal re e rimanente in servizio a volontà del sovrano, revocabile in qualsiasi momento.
Aveva rango baronale, aveva cioè ampi possedimenti terrieri ricevuti direttamente dal sovrano, e in
funzione di questo faceva parte del consiglio reale [Morris 1918: 151-152]. Le funzioni dello
sceriffo anglo-normanno si espansero, venendo a coincidere e quindi superare quelle del conte
(earl) anglo-sassone, nell'epoca pre-conquista l'uomo rappresentante del potere e della giustizia
locale2 [Denman 1958: 51]. Le sue funzioni erano ampie e di rilievo. Oltre alla presidenza delle
corti comunali di giustizia, a lui era affidata la convocazione della milizia regolare, un esercito
complementare e parallelo all'armata feudale propriamente detta (composta dai tenutari in servizio
militare di cavalleria), e formata da tutti gli uomini liberi e abili alle armi del reame [Morris 1918:
161; Maitland 1908: 276]. Aveva compiti fiscali di cui rispondeva al sovrano, occupandosi della
raccolta dei proventi della tassazione nella contea a lui assegnata [Morris 1918: 169]. Inoltre gli era
assegnata la gestione di larga parte dei manieri posseduti direttamente dal re e ricadenti nel balivato,
di cui raccoglieva i profitti versandoli nelle casse reali [ivi: 157]. Per la gestione della contea lo
sceriffo doveva pagare una somma annuale, grosso modo fissa, nelle casse dello scacchiere regio.
Questa somma era detta il farm3 dello sceriffo. Una parte della somma doveva essere utilizzata in
loco (per soddisfare alcune spese di carattere pubblico, civili e militari). La differenza tra quanto
veniva raccolto nella contea e quanto doveva essere reso al re veniva trattenuta dallo sceriffo
[Turner 1898: 117]. Il farm comprendeva diverse voci di entrata, in particolare i profitti dei manieri
reali della contea, gli affitti raccolti dai borghi e i profitti delle corti di giustizia comunali ricadenti
nella giurisdizione del balivato. Queste voci erano per loro natura variabili, mentre la somma dovuta
allo scacchiere era sostanzialmente fissa. In questo modo il re si assicurava una fonte di entrata
stabile e prevedibile, lasciando i rischi dovuti alle variazioni negli introiti allo sceriffo che, da parte
sua, aveva ogni incentivo a taglieggiare e vessare il distretto affidatogli [ivi: 131; Cheung 1969: 28].
Infine, di grande importanza nel successivo sviluppo della Common law nel XII e XIII secolo, lo
sceriffo rappresentava il potere esecutivo reale nelle contee. A lui erano inviati i mandati esecutivi
dal re e dai giudici reali, sia quelli relativi all'inizio di un procedimento nelle corti di giustizia regie,
sia quelli relativi all'esecuzione delle sentenze ivi emesse. In particolare eseguiva e garantiva la
2 Il rango di conte, dopo la conquista, assunse carattere per lo più onorifico, conferendo il diritto a ricevere un terzo dei
profitti della giustizia locale, essendo i compiti giudiziari e amministrativi delegati, a seguito della crescente
centralizzazione del potere avvenuta coi sovrani normanni, al luogotenente regio, lo sceriffo [Pollock e Maitland 2010a:
561-562]. Poteri giudiziari più ampi, comprendenti la presidenza dell'assemblea giudiziaria locale, o addirittura la
possibilità di intrattenere cause riservate alla giustizia regia (i pleas of the crown), potevano però derivare da una
concessione regia dietro pagamento. In ogni caso non erano associati direttamente al rango [Denman 1958: 94-95]. 3 Il termine inglese farm, che può essere fatto risalire all'inglese antico feorm (che indicava il pagamento dovuto al re
durante la sua residenza in un particolare territorio), indicava un qualsiasi corrispettivo con natura di affitto di valore
fisso [Pollock e Maitland 2010a: 310]. In relazione alla terra, le tenure che implicavano un corrispettivo fissato in
denaro in luogo di un servizio personale erano considerate generalmente in farm (ad firmam in latino), stando a indicare
la fissità della somma pagata [Homans 1970: 202]. In generale, qualsiasi tipo di servizio o ufficio poteva essere
delegato a terzi in farm.
54
messa in possesso del vincitore nelle cause relative alla terra decise nelle corti di alta giustizia del
sovrano [Morris 1918: 164].
Hundred court. La corte di centena (conosciuta anche come wapentake e ward, a seconda del
costume locale), aveva giurisdizione eminentemente civile, ma escludeva qualsiasi azione relativa
alla terra. Qui si svolgevano, inoltre, le fasi preliminari dei procedimenti penali. Non era in alcun
modo subordinata gerarchicamente alla corte di contea: entrambe le corti erano sovrane entro i
propri confini geografici, nel senso che seguivano i propri costumi senza interferenze [Baker 2007:
7]. Veniva tenuta con una maggiore frequenza rispetto alle corti di contea (a seconda del periodo
storico una volta al mese, oppure ogni due o tre settimane). Era presidiata, qualora non fosse caduta
in mani private a seguito di una concessione reale, dallo sceriffo, per quanto più spesso quest'ultimo
ne affidasse il controllo a un proprio ufficiale giudiziario o balivo (bailiff). Due volte l'anno lo
sceriffo era tenuto a presiedere a una convocazione plenaria, conosciuta come sheriff's turn. In
questa particolare circostanza era suo compito raccogliere informazioni relative alla commissioni di
reati nei sei mesi precedenti, assicurarsi che i sospettati fossero prodotti davanti alla corte, e istruire
i procedimenti penali (che, essendo prerogativa regia, sarebbero continuati davanti ai giudici reali -
tranne nei casi di piccole infrazioni, che venivano punite con una multa tramite giudizio dello
sceriffo) [Pollock e Maitland 2010a: 585-589]. Questo era ottenuto tramite la particolare istituzione
della view of frankpledge. Ogni uomo maggiore di dodici anni, libero o servo che fosse, doveva
essere in frankpledge e in una tithing (decina). Questo significava che ogni uomo era tenuto a un
buon comportamento, garantito dall'entrare a far parte di un gruppo composto da una decina di
persone sue vicine, che sarebbe stato responsabile di presentare sue eventuali malefatte e produrlo
davanti alla convocazione della centena presieduta dallo sceriffo. La decina veniva multata nel caso
si fosse fatta sfuggire un proprio membro sospettato di un crimine. Il villaggio, invece, veniva
multato durante lo sheriff's turn in caso il sospettato fosse sfuggito perché non lo si era fatto entrare
in una decina. I tenutari liberi di terra, i magnati, i cavalieri e il clero non erano tenuti a far parte di
una tithing. La loro posizione, così come i loro possedimenti terrieri, erano considerati una garanzia
sufficiente, e valevano come frankpledge. La possibilità di sequestrare i loro beni personali, e la
minore probabilità di fuga dovuta al fatto che le loro terre erano fonte di grande ricchezza, erano
considerati pegni sufficienti rispetto a un comportamento corretto e alla comparizione davanti alle
convocazioni delle corti. La view of frankpledge, cioè il controllo del funzionamento
dell'organizzazione per decine, riguardava pertanto quasi esclusivamente lo strato di contadini non
liberi residenti nei villaggi [ivi: 597-601]. In un'epoca carente di raffinate armi investigative e
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informative, l'organizzazione della view of frankpledge sfruttava le potenzialità del capitale sociale4
accumulato dai gruppi di vicinato nei villaggi nell'assicurare il controllo sociale. La giustizia regia
imponeva una responsabilità collettiva per il comportamento dei singoli individui, affidandola a
piccoli gruppi di vicinato [Homans 1970: 324]. La decina così costituita era caratterizzata da un alto
grado di vicinanza e coesione, o closure (con questo intendendo un network dove ogni nodo è
collegato direttamente, o indirettamente ma con pochi gradi di separazione, con tutti gli altri [Burt
2005: 25]). In particolare i «network chiusi - cioè quei network in cui le persone sono connesse in
tal modo che nessun comportamento passi inosservato - creano un vantaggio diminuendo rischi che
altrimenti inibirebbero la fiducia» [ivi: 95]. Sapendo di essere osservati nella maggior parte delle
attività quotidiane gli individui avevano un incentivo a non avere comportamenti irresponsabili, che
sarebbero stati colti e sanzionati immediatamente. Questo meccanismo era in grado, tra l'altro, di
creare un clima di fiducia, inteso come aspettative positive relative al comportamento dei propri
vicini [ivi: 93]. La responsabilità collettiva faceva sì che ogni membro di una tithing avesse un vivo
interesse relativo al buon comportamento dei propri vicini: in caso di cattivo comportamento
avrebbe dovuto contribuire alla loro comparsa davanti alla giustizia, e in caso di fallimento sarebbe
stato costretto a pagare una multa. Il monitoraggio delle attività dei propri vicini poteva essere
condotto con costi irrilevanti durante le attività di interazione giornaliera: informazioni rilevanti per
la view potevano essere ottenute senza costi aggiuntivi semplicemente all'interno degli incontri
relativi alla quotidiana attività agricola [Coleman 1990: 310]. Sanzioni personali contro
comportamenti sconvenienti, viste le limitate dimensioni del gruppo, potevano essere altresì messe
in pratica senza rilevanti costi di organizzazione. Il sistema di mutue obbligazioni che solitamente
viene a crearsi nelle piccole comunità poteva essere mobilitato nel garantire il supporto dei propri
vicini nel sanzionare scorrettezze di altri vicini, evitando che si presentassero conseguenze più gravi
da portare davanti alla giustizia [ivi: 318-319]. Tale sistema appare evidente per la sua mancanza di
privacy individuale implicata dal controllo collettivo. In assenza di uno sviluppato sistema
investigativo e di una giustizia centralizzata sufficientemente forte in grado di raggiungere gli
angoli più remoti delle campagne inglesi, il sistema fondato sulle tithing costituiva indubbiamente
un sistema efficiente nell'assicurare il controllo sociale nei villaggi contadini [Posner 1980: 6].
Il sistema di corti di giustizia ereditato dal periodo anglo-sassone non brillava però, in generale, per
la sua efficacia. Uno dei principali difetti riguardava la carenza di potere esecutivo sia per quanto
4 Col concetto di capitale sociale si accoglie qui la definizione di James Coleman [1990: 300-321]. Il capitale sociale
risiede nelle relazioni tra le persone risiedenti in una determinata comunità che ne definiscono la struttura: «la funzione
identificata dal concetto di "capitale sociale" è il valore di quegli aspetti della struttura sociale per gli attori come risorse
che possono essere usate dagli attori nel realizzare i propri interessi» [ivi: 305].
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riguarda la procedura, in particolare la capacità di portare gli accusati in giudizio, sia per quanto
riguarda l'esecuzione delle sentenze. Il sistema è così riassunto da Frederick Pollock:
rigida e gravosa com'era la giustizia anglo-sassone in ciò a cui provvedeva, era, a occhi moderni, curiosamente
mancante nella sua mancanza di potere esecutivo. Tra le funzioni più importanti delle corti come le conosciamo è
obbligare la frequenza delle parti e far rispettare l'attuazione sia del giudizio finale che degli ordini interlocutori relativi
alla condotta del procedimento e simili. Tali cose sono oggi fatte automaticamente sotto l'autorità ordinaria della corte,
e con i mezzi necessari costantemente a sua disposizione [...]. Ma questo regno della legge non arrivò naturalmente; è
stato raggiunto lentamente e laboriosamente. La giurisdizione cominciò, così sembra, con l'essere meramente
volontaria, derivante non dall'autorità dello stato ma dal consenso delle parti. Le persone potevano attendere alla corte
per una decisione se così erano d'accordo di fare. Erano tenute in onore ad accettare il risultato; avrebbero potuto
perdere il pegno depositato alla corte; ma la corte non poteva esigere la loro obbedienza più di quanto un tribunale
arbitrale nominato oggi sotto un trattato tra stati sovrani possa obbligare i capi di questi stati ad adempiere al proprio
verdetto. Le corti anglo-sassoni erano andate oltre questo stadio precoce, ma non molto oltre. L'unico modo per portare
un avversario riluttante davanti alla corte era prendere qualcosa di suo come pegno finché avesse atteso alla richiesta; e
in pratica la sola cosa che poteva essere presa senza violenza personale era il bestiame. Il sequestro in questa forma era
praticato e anche regolato fin da tempo immemore. Era vietato sequestrare finché giustizia fosse stata formalmente
richiesta [...] e rifiutata. Quindi era richiesto l'assenso della corte, ma il querelante doveva agire in proprio al meglio che
poteva. Se il sequestro falliva nel far apparire il querelato, la sola risorsa rimasta era negare la protezione della legge
all'uomo ostinato che non compariva per essere giudicato dalla legge. Poteva essere messo fuori legge, e questo doveva
essere abbastanza per forzare la maggior parte degli uomini che avevano qualcosa da perdere e non erano
sufficientemente forti per vivere in ribellione; ma, ancora, nessuna giustizia poteva essere fatta al querelante senza la
sua comparsa. Lo strumento del giudizio in contumacia, che ci è sufficientemente familiare, era sconosciuto, e
probabilmente non sarebbe stato compreso. Il giudizio finale, quando ottenuto, poteva allo stesso modo non essere
eseguito. La parte vittoriosa doveva raccogliere i cosiddetti "frutti del giudizio" da sé. In caso di continuo rifiuto a
sottomettersi al giudizio secondo la sentenza della corte, poteva prendere la legge nelle sue stesse mani, di fatto
muovendo guerra al suo ostinato opponente. L'aiuto del conte, e infine quello del re, poteva essere invocato in tali casi
estremi come quello di un uomo di sostanza, o uno coperto da una famiglia potente, sfidando apertamente la legge. Ma
questa era una misura straordinaria, che non trova pari in nulla nel regolare processo di legge moderno [Maitland e
Montague 1998: 11-13].
I tempi della giustizia, in assenza di adeguate possibilità di enforcement, erano di conseguenza
molto lunghi. Prima che potessero essere presi provvedimenti in modo da assicurare la comparsa
del querelato davanti all'assemblea di giustizia questi doveva essere convocato più volte. Oltre a
questo erano ammesse diverse scuse legittime per la mancata apparizione. Data la bassa frequenza
con cui erano tenute le sessioni plenarie di giustizia a livello comunale, potevano passare diversi
anni prima che fosse deliberata la possibilità per il querelante di sequestrare le proprietà personali
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del querelato, o prima che l'imputato potesse essere dichiarato fuorilegge5 dalla corte di contea
[Pollock e Maitland 2010a: 568]. E, anche in caso, dopo un lungo processo, di giudizio positivo per
il querelante, le sentenze erano difficilmente applicabili senza il consenso della parte avversa:
«battibeccare di questioni importanti nelle corti locali era spesso una perdita di tempo senza scopo,
in quanto anche se fosse stata ottenuta un'udienza equa, il giudizio poteva essere inapplicabile»
[Baker 2007: 15].
L'efficacia e i tempi del giudizio non erano i soli problemi del sistema giudiziario. Una rilevante
incertezza era costituita dal metodo della prova. La prima società feudale non aveva un sistema di
polizia composto da investigatori professionisti supportati dal potere coercitivo di un forte stato
centralizzato. L'utilizzo della scrittura nel registrare atti e contratti non era largamente diffuso, se
non tra le istituzioni religiose e parte dell'aristocrazia più elevata. Lo stato delle conoscenze
scientifiche sul funzionamento del mondo era al più rudimentale, lasciando ampio spazio al
sovrannaturale come forza scatenante di larga parte degli eventi terreni altrimenti inspiegabili. Gli
spostamenti e le comunicazioni erano lente e costose, il che impediva una rapida diffusione delle
informazioni relative ai fatti, e quindi indagini tempestive quando la memoria del fatto era ancora
fresca [Posner 1980: 6-7]. Date queste condizioni non si può non concludere che i costi di
informazione erano molto elevati. Raccogliere prove ed effettuare indagini in modo da stabilire la
realtà dei fatti aveva, il più delle volte, costi proibitivi, e non a caso le grandi inchieste relative ai
grandi possedimenti terrieri erano prerogativa regia e si applicavano solo in dispute relative ai
rapporti tra i grandi magnati e il re [Pollock e Maitland 2010a: 152-153]. Nella maggior parte dei
casi, pertanto, in luogo di un processo investigativo preliminare teso all'accertamento dei fatti, altri
metodi venivano utilizzati nello stabilire a quale parte in causa il giudizio dovesse essere favorevole
[Posner: 1980: 30]. Nell'Inghilterra anglo-normanna i metodi di prova più diffusi erano tre:
giuramento personale e del proprio seguito (che, con lo sviluppo della Common law, prenderà il
nome di wager of law), ordalia e processo tramite duello. Tutti questi metodi di prova si
richiamavano al giudizio divino: chi avesse completato la prova con successo aveva Dio dalla
propria parte. Dio aveva testimoniato a suo favore [Hyams 1981: 92]. La peculiarità del tipo di
5 Una sentenza che dichiarava un uomo fuorilegge lo metteva, letteralmente, al di fuori della protezione della legge. Era
dovere di ogni uomo catturarlo, e fornirgli protezione era considerato crimine capitale. Mentre in antichità era legittimo
ucciderlo senza conseguenze, entro il XIII secolo la sua uccisione era legittima solo in caso di resistenza alla cattura.
Veniva altresì privato di capacità contrattuale, proprietaria e possessoria. Le sue terre venivano date in possesso al suo
signore, mentre i suoi beni venivano confiscati dal re [Pollock e Maitland 2010a: 503]. Rimaneva comunque aperta la
possibilità di tornare a far parte della comunità pagando una multa [Baker 2007: 65]. Tipicamente il fuorilegge era un
imputato contumace accusato di un grave crimine, ma nel XII e XIII secolo venne ammessa la possibilità di dichiarare
fuorilegge convenuti in azioni civili. La procedura passò così dal costituire una condanna a morte emessa da uno stato
debole incapace di eseguirla, a una procedura di routine tesa ad assicurare la comparsa dell'imputato o del querelato
davanti alla giustizia [Pollock e Maitland 2010b: 609-610].
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prova è suggerita dalla sua collocazione cronologica nel procedimento giudiziario: la prova seguiva
al giudizio. Una volta che i motivi della causa fossero stati portati all'attenzione della corte e
discussi, questa innanzitutto emetteva la sentenza. Questa stabiliva se e a quale tipo di prova
dovesse essere sottoposto l'accusato, e il destino dello stesso veniva segnato dal suo esito [Maitland
e Montague 1998: 47]. Il ricorso alla prova nella decisione di un caso, l'interrogazione diretta della
divinità, costituiva in realtà l'extrema ratio una volta che altri metodi di accomodazione del caso
fossero falliti. Le corti dell'epoca non funzionavano come astratti e imparziali meccanismi di
giudizio, ma erano piuttosto uno strumento della comunità, rozzamente democratico, che gestiva gli
affari locali. La discussione durante il processo avveniva internamente ed esternamente
all'assemblea, e si svolgeva con lo scopo principale di trovare un accordo tra le parti, o forzare
tramite un sistema di pressioni la confessione e la capitolazione dell'accusato, per il bene della
pacifica convivenza della comunità [Hyams 1981: 98]. Un giudizio seguito da una prova era
solitamente riservato ai contendenti più ostinati: «se tra due litiganti uno contraddice palesemente
l'altro, se il chiaro "tu hai fatto" dell'uno è replicato dallo schietto "tu menti" dell'altro, qui sorge un
problema che l'uomo non può risolvere» [Maitland e Montague 1998: 47]. Le dispute senza
apparente soluzione necessitavano, per evitare ulteriori conflitti tra le parti e preservare la pace e la
cooperazione sociale, di una soluzione recisa e definitiva, ottenuta facendo appello a un'autorità che
nessun membro del distretto avrebbe osato mettere in dubbio. Il richiamo alla divinità appariva
pertanto come il metodo più razionale, dati i vincoli tecnologici relativi alla produzione di
informazioni affidabili, una volta esaurite le altre possibilità di risoluzione pacifica della disputa
[Hyams 1981: 95-96]. Spesso il solo prospettare un giudizio che conducesse a una soluzione
estremamente incerta basata sull'ordalia o sul duello era sufficiente a incentivare le parti a trovare
un accordo. I metodi di prova avevano anche l'importante funzione di deterrente, sia nell'incentivare
un comportamento corretto nei confronti dei propri vicini, sia nell'evitare che venissero portate
davanti alla giustizia accuse manifestamente inconsistenti [Hudson 2000: 102].
Profferte al presidente dell'assemblea, tese a persuadere la corte a condannare l'imputato a una
prova più leggera (come un semplice giuramento in luogo di un'ordalia), lungi dall'essere
considerate una forma di corruzione moralmente e legalmente vietata, facevano parte del gioco, in
primo luogo teso a ottenere una composizione. I rapporti intra-comunitari, e il rango personale entro
la stessa comunità, erano elementi rilevanti nella scelta del giudizio almeno quanto la cruda realtà
dei fatti [Hyams 1981: 94]. Le decisioni si basavano su un difficile equilibrio tra giustizia e politica,
non da ultimo perché, all'interno della stessa cerchia di riferimento costituita dall'assemblea del
distretto, i giudici di oggi sarebbero stati con ogni probabilità i ricorrenti di domani. Difficilmente
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decisioni esclusivamente politiche avrebbero permesso lo stabilirsi di un equilibrio di lungo termine
nei rapporti dei membri della comunità [Hyams 1987: 432]. Come scrive Paul Hyams,
l'obbiettivo è tanto "ottenere un equilibrio" e ristabilire una pace praticabile entro la comunità quanto rimediare a una
qualsiasi lamentela. Le strategie variano rispetto agli obbiettivi desiderati. Possono puntare a ottenere un compromesso
tra i disputanti secondo termini onorevoli, a esempio, o anche a eliminare un piantagrane da futuri calcoli tramite
deprivazione dei diritti civili, espulsione, mutilazione, o morte [...]. Le passioni sono più aperte, la partecipazione del
pubblico più vicina, di quanto la maggior parte dei giudici moderni permetterebbe. Il giudice presidente qui non può
forzare il suo giudizio prescelto nella gola della corte [Hyams 1981: 97].
Non che fatti e testimonianze non giocassero alcun ruolo all'interno del procedimento [Hudson
2000: 102]. Ma, quando non dotati di una forza decisiva, solitamente erano sottoposti alla
discussione della corte sempre con lo scopo di ottenere un compromesso o una capitolazione,
subordinando l'eventuale giudizio sempre alle considerazioni sopra esposte. Il produrre una carta di
infeudazione in una corte, e il leggerla pubblicamente al cospetto dell'intera comunità (che si
trattasse di una corte signorile o di una corte comunale), doveva avere più lo scopo di spingere
l'accusato a riconoscerne la bontà, e quindi accordarsi prima del giudizio evitando di stabilire una
cattiva reputazione pubblica nella comunità di riferimento dell'accusato, più che chiudere
formalmente il processo sulle basi della prova addotta [Hyams 1987: 461]. Anche una prova tramite
il giuramento di testimoni al fatto poteva essere garantita dalla corte, per quanto questo accadesse
piuttosto di rado [Pollock e Maitland 2010b: 631]. I testimoni non erano convocati per essere
esaminati dalla corte su questioni fattuali: se il giudizio garantiva una prova tramite testimoni questi
avrebbero dovuto giurare su quanto sostenevano. Questo, però, avveniva a seguito del giudizio: la
loro funzione non era quella di presentarsi alla corte per essere interrogati, e quindi costituire
elemento di prova ai fini di un giudizio. Erano, ancora una volta, un metodo di prova che seguiva il
giudizio vero e proprio, del tutto analogo agli altri [Mailtand 1908: 118-119]. La presentazione dei
fatti su cui era fondata la causa rientrava formalmente nella recitazione dei capi d'accusa da parte
del ricorrente, a cui solitamente la difesa replicava con una negazione complessiva dei fatti
addebitati. L'accusa veniva però accettata o rigettata in toto tramite il giudizio divino, senza che i
fatti venissero effettivamente esaminati e quindi accertati [Milsom 1967: 3]. Il problema della prova
si faceva invece meno pressante per gli individui colti in flagranza di reato, in particolare i ladri
catturati ancora in possesso della refurtiva, che venivano di norma processati sommariamente senza
possibilità di discolparsi tramite giuramento o ordalia, venendo impiccati o gettati da una scogliera
immediatamente dopo l'arresto [Pollock e Maitland 2010b: 607-608]. E' possibile ora meglio
dettagliare le tecniche di prova sopra accennate.
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Wager of law. Tale metodo di prova consisteva nel richiedere al querelato o all'imputato di giurare
solennemente, in una formula prestabilita, la sua estraneità ai fatti contestatigli. Se avesse espresso
un giuramento formalmente corretto, utilizzando esattamente le parole richieste dalla consuetudine
senza il minimo errore, la sua innocenza sarebbe stata provata. Un giuramento formalmente corretto
implicava avere Dio dalla propria parte, e l'innocenza era pertanto sostenuta da forze ultraterrene.
Solitamente all'accusato non veniva permesso di purgarsi dalle accuse tramite il suo solo
giuramento. Egli doveva essere accompagnato da un seguito costituito dai suoi vicini o parenti
(detti compurgators o oath-helpers), il cui numero poteva dipendere dalla gravità del caso o dalle
dimensioni del seguito del suo accusatore, che avrebbero dovuto a loro volta giurare. Non giuravano
in relazione alla realtà o meno del fatto, ma piuttosto giuravano di credere nel giuramento espresso
dall'accusato [Maitland 1908: 115-116]. Spesso un giuramento corretto da parte di tutto il seguito
era sufficiente a risolvere la questione, ma in casi di particolare gravità, o nel caso in cui la parola
del querelato fosse considerata notoriamente inaffidabile, a seguito del giuramento poteva essere
richiestogli di sottoporsi all'ordalia [Baker 2007: 5]. La stessa accusa doveva essere supportata da
un giuramento, a meno che i fatti non fossero manifesti. A procedure di giuramento più complesse
da parte dell'accusa seguivano prove più difficili accordate alla difesa, soprattutto se l'individuo
accusato era dotato di cattiva reputazione [Pollock e Maitland 2010a: 44-45] Non c'è dubbio che
tale procedura di rado stabilisse la realtà dei fatti. Dal momento che il seguito delle parti era
composto da amici e parenti dell'accusa e dell'accusato, il sospetto che giurasse in loro favore a
prescindere era ben presente. Non di meno, la posizione entro la comunità di chi fosse portato in
giudizio, come detto, era un fatto rilevante, come era rilevante che le accuse più gravi andassero
presentate tramite procedure di giuramento più complesse. Avere un seguito numeroso, pronto e
capace di giurare sotto la minaccia di essere accusato di spergiuro, segnalava l'importanza sociale
dell'accusato, il numero e la statura dei membri della cerchia sociale pronti a garantire, e forse
combattere, per lui. La buona o cattiva reputazione del convenuto influenzava la corte, che in questo
aveva ampio margine di manovra, nello scegliere un metodo di prova più o meno pesante: «la storia
ha poco senso finché non realizziamo che l'affare era tanto un episodio quasi-politico quanto
un'inchiesta giudiziaria» [Hyams: 1981: 94]. La wager of law è reminiscente di un passato ancora
vicino in cui le principali dispute tra famiglie e clan venivano risolte tramite faida. Il richiedere
all'accusato di essere accompagnato da un seguito, se non serviva a stabilire in definitiva la
commissione o meno di un fatto, serviva non di meno a mostrare al ricorrente se l'accusato aveva il
supporto della sua famiglia e dei suoi sodali. In caso avesse avuto il supporto di un vasto seguito
questo serviva a veicolare l'informazione che, in caso una faida fosse scoppiata, la famiglia avrebbe
difeso con la forza delle armi la causa del proprio congiunto. In caso l'accusato non fosse riuscito a
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farsi accompagnare da un seguito sufficiente, invece, si avrebbe avuto un indizio relativo alla
mancanza di supporto in suo favore da parte del proprio seguito. L'obbiettivo della pace pubblica
veniva pertanto perseguito misurando i rapporti di forza in una fase preliminare, purgando dalle
accuse un accusato con un seguito sufficientemente agguerrito, e condannandolo in caso non fosse
riuscito a convincere delle proprie ragioni nemmeno il proprio parentado. Purgare dalle accuse un
membro della propria famiglia poteva evitare che la faida si rivolgesse all'intero gruppo familiare
[Pollock e Maitland 2010b: 630]. Non di meno, almeno in casi particolari, l'accusato poteva essere
abbandonato dal suo gruppo per evitare conseguenze ritenute più gravi rispetto alla condanna o
all'uccisione del proprio congiunto [Posner 1980: 44].
Ordalia. L'ordalia, probabilmente strumento di origini pagane ma adottata anche dalla chiesa fino a
inizio XIII secolo, costituisce il "giudizio di Dio" per eccellenza [Maitland e Montague 1998: 48].
Era riservata principalmente alle accuse più gravi di carattere criminale, in cui il semplice
giuramento non era sufficiente a scagionare l'imputato, e costituiva una prova di carattere fisico, che
avrebbe dovuto sollecitare un giudizio divino a favore o contro l'imputato [Hyams 1981: 112]. Ne
erano diffusi principalmente quattro tipi. L'ordalia del ferro rovente richiedeva che l'accusato
facesse nove passi tenendo in mano un oggetto di ferro arroventato. L'ustione veniva quindi bendata
e sigillata, e dopo tre giorni veniva esaminata: se la ferita si fosse infettata l'imputato sarebbe stato
ritenuto colpevole, in caso contrario innocente. Analoga era l'ordalia dell'acqua bollente, dove
l'ustione veniva provocata immergendo il braccio in un calderone ribollente: se il crimine era molto
grave era necessario immergerlo fino al gomito, se era meno grave fino al polso. L'ordalia
dell'acqua fredda richiedeva che l'accusato fosse gettato nell'acqua di un fiume o un lago: gli
innocenti affondavano, mentre i colpevoli galleggiavano. Infine l'ordalia del boccone richiedeva che
fosse inghiottito un pezzo di pane o formaggio del peso di un'oncia (pari a 28,35 grammi): se il
boccone si fosse bloccato in gola l'uomo sarebbe stato considerato colpevole [Maitland 1908: 119-
120]. L'uso dell'ordalia era comunque guardato con sospetto dai re normanni e angevini: il clero,
che officiava alla cerimonia, aveva una certa discrezione nell'interpretare i risultati della prova,
favorendo soluzioni più in linea con la propria politica locale che con la giustizia propriamente detta
o con la politica reale [Hyams 1981: 116]. La prova dell'ordalia venne abbandonata a partire dal
1215, quando il Concilio Laterano proibì ai componenti del clero di assistere alla cerimonia
[Pollock e Maitland 2010b: 628].
Duello. Il trial by battle era un'istituzione originariamente normanna, sconosciuta nell'Inghilterra
anglo-sassone, introdotta da William I il conquistatore. Era una forma di ordalia bilaterale, essendo
entrambe le parti in causa partecipanti alla prova (contrariamente alla normale ordalia unilaterale, in
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cui la parte sottoposta a prova era una sola). Il duello giudiziario era considerato un appello al Dio
degli eserciti, e non un mero esercizio di forza bruta: questo manteneva la sua sacralità e, quindi, la
sua validità come metodo di prova. Le due controparti alla causa giuravano solennemente della
bontà delle loro ragioni, e quindi iniziavano il duello. L'obbiettivo non era l'uccisione
dell'avversario, ma il farlo ritirare con ignominia dal combattimento. Se l'accusato non si era arreso
prima che fossero comparse le stelle, vinceva. Il duello era utilizzato nel caso di una accusa privata6
relativa a un crimine non emendabile (felony): accusato e accusatore, se in grado di combattere, si
affrontavano direttamente [Maitland e Montague 1998: 49]. L'altra azione legale associata al duello
era l'azione proprietaria relativa alla terra, il writ of right, di cui si parlerà nel capitolo III: in questo
caso, qualora la difesa non avesse richiesto di evitare il duello convocando una giuria, non
combatteva il ricorrente, ma un suo campione. In entrambi i casi l'onere della prova ricadeva sulla
parte che combatteva a favore di un'affermazione positiva, in generale l'accusatore o il ricorrente
[Pollock e Maitland 2010b: 662-664]. Contrariamente all'ordalia unilaterale, tale tipo di prova
continuò a essere utilizzato anche a seguito del Concilio Laterano del 1215, non avendo il carattere
specificamente ecclesiastico della prima [Milsom 1967: 2].
1.2. Le giustizie signorili
Le corti signorili corrispondevano alle corti cadute in mani private, perdendo così il loro carattere
comunale (anche la corte del re, prima della sua costituzione come giurisdizione ordinaria del
regno, poteva essere considerata una corte privata - per quanto nelle mani del signore più potente
d'Inghilterra). Erano di due tipi: a) corti derivanti da una delega dei diritti di giurisdizione da parte
del re; b) corti tipicamente feudali derivanti dal rapporto tra signore e suoi tenutari [Pollock e
Maitland 2010a: 601].
Le corti del primo tipo costituivano un particolare tipo di franchigia (franchise), o di libertà
(liberty), consistente nella possibilità di escludere poteri esterni a quello signorile nella gestione
degli affari del distretto. Le immunità potevano essere di diverso tipo, non necessariamente legate al
funzionamento della giustizia. Poteva essere garantita l'immunità da qualsiasi forma di tassazione
esterna; immunità dall'esecuzione di un determinato servizio (come quello di cavalleria, o l'obbligo
di partecipare alle corti comunali); immunità dalle draconiane leggi forestali, che limitavano
ampiamente l'uso delle foreste reali; delega di poteri fiscali sui soggetti residenti nel luogo
(derivante dall'immunità dalla tassazione reale: in pratica i tributi abdicati dal re potevano
6 Nel medioevo il re, che era quanto più si avvicinava all'odierna idea di stato, non era il solo soggetto deputato al
perseguimento dei crimini. I singoli individui potevano lanciare un'accusa privata a una specifica persona relativa a un
reato direttamente davanti alla corte, senza l'intermediazione di una pubblica accusa [Maitland 1908: 128].
63
continuare a essere esatti a beneficio del signore titolare della franchigia); immunità dalla giustizia
esterna, che implicava il conferimento di un potere giurisdizionale diretto da parte del signore a cui
era accordata l'immunità. Quest'ultima franchigia era alla base della costituzione delle corti signorili
del primo tipo propriamente dette [ivi: 604:607]. Molte delle libertà sopra elencate erano in essere e
gestite privatamente già nel periodo anglo-sassone. In tale epoca donazioni in terra dal re a un
grande signore, registrate con atto scritto (la cosiddetta book-land), solitamente comportavano
anche il passaggio di una giurisdizione relativa al territorio implicato. I diritti giurisdizionali più
comuni, implicati di norma nelle concessioni reali garantite da una carta, si riferivano al
conferimento del potere di sake and soke, toll, team, e infangenetheof. Nell'XI secolo il potere di
sake and soke non denotava più che il generale diritto di intrattenere una corte. Il toll permetteva a
un signore di esigere un pagamento a titolo di imposta dalle vendite di bestiame e altri beni
avvenute nel suo territorio. Il diritto di team garantiva al signore la possibilità di determinare nella
sua corte quelle cause relative a un supposto furto di bestiame, in cui l'imputato poteva portare
testimoni che garantissero il regolare acquisto, e non il furto, del bene trovato in suo possesso.
Infine, l'infangenetheof permetteva al signore di giudicare, e giustiziare, i ladri colti in flagranza di
reato [Stenton 1932: 99-101]. Molti di questi diritti erano relativi a una giurisdizione penale:
anticamente concessioni di questo tipo implicavano il conferimento di una larga, quanto vaga,
giurisdizione su crimini considerati prerogativa regia. Solo con la centralizzazione della giustizia
regale, e la costituzione della pace del re come giurisdizione ordinaria di carattere penale, in epoca
normanna, tali diritti acquistarono un carattere sempre più residuale, e le carte di infeudazione
accompagnate da diritti di giurisdizione vennero a prendere una forma ben precisa, specificando i
particolari diritti che venivano trasmessi a scapito della giustizia regia [Pollock e Maitland 2010a:
606-607]. Tra i diritti più comunemente concessi successivamente all'invasione normanna si
possono notare: il diritto a percepire gli introiti derivanti dalle multe inflitte dalla giustizia reale agli
uomini residenti nella signoria; il diritto ai beni personali di detti uomini se condannati di crimini
non emendabili (felonies), di norma appartenenti al sovrano; il diritto a eseguire i mandati reali nel
proprio territorio, in luogo dello sceriffo; diritto a escludere i giudici reali nella presidenza delle
corti, che diventavano meri supervisori; il diritto alla giurisdizione civile entro il proprio territorio,
anche per azioni iniziate nella corte del re; il diritto a gestire la view of frankpledge nel proprio
distretto [ivi: 613-614]. E' immediato notare come molte delle prerogative implicassero
principalmente la possibilità di partecipare ai profitti della giustizia che venivano sempre più
sottratti dalle corti locali da parte del sovrano. Come già accennato non era raro che l'intera
giurisdizione di una corte di centena cadesse in mani private. Laddove il re infeudasse un tenutario
con territori corrispondenti a una o più hundreds, in certi casi gli veniva assegnata anche la
64
presidenza della corte, escludendone lo sceriffo. Più spesso venivano assegnati semplicemente i
profitti derivanti dall'esercizio della giustizia [Denman 1958: 95]. In questo caso gli affari del
distretto venivano gestiti dal signore assieme a quelli relativi alla propria giurisdizione feudale. La
corte comunale così gestita privatamente era detta court leet [Maitland 1908: 46].
Il secondo tipo di corte signorile derivava la propria legittimità dal rapporto tra il signore e i suoi
tenutari, liberi o in condizioni servili. Il diritto di sake and soke (il primo termine stante a indicare il
diritto a convocare una corte, il secondo il diritto ad aggiudicarne le dispute) sopra i propri tenutari,
secondo la teoria feudale importata con la conquista normanna, era in possesso di un qualsiasi
signore avesse un numero sufficiente di tenutari per intrattenere una corte di giustizia7 [Denman
1958: 95-97]. Questa giurisdizione, tipica dell'ordine feudale, era indipendente da una qualsiasi
concessione reale, e derivava la sua legittimità dal rapporto, strettamente personale, lord - tenant
[Stenton 1932: 50-54]. Ogni signore che avesse sotto di sé degli uomini aveva diritto a due tipi di
corte analiticamente distinte: una per i propri tenutari liberi (conosciuta come court baron); una per
i propri tenutari in condizioni servili (conosciuta come corte consuetudinaria, o customary court).
Nella court baron, analogamente alle corti comunali, i componenti della corte, cioè i tenutari liberi
(i freeholders), erano i giudici dell'assemblea. Loro erano i componenti della piccola comunità
feudale, loro erano a conoscenza dei fatti rilevanti accaduti sul territorio, loro erano i depositari
delle regole e del costume della comunità signorile [Maitland 1908: 48-49]. Tale corte aveva una
giurisdizione esclusivamente civile. Innanzitutto si occupava delle dispute personali tra tenutari,
quando di valore contenuto8, a esempio delle azioni per debiti, sconfinamento o contratto. Si
occupava anche delle dispute tra signore e tenutario, per quanto non di quelle iniziate dal tenutario
nei confronti del proprio signore, che si sarebbero svolte nella corte del lord superiore a entrambi9.
La giurisdizione più rilevante, dal punto di vista dei diritti di proprietà, era quella relativa alle cause
per il possesso di terra. Essendo i tenutari in disputa in possesso di terra data in concessione da un
signore comune, quest'ultimo era il naturale giudice di prima istanza in caso problemi relativi al
possesso fossero sorti tra i suoi uomini (questo punto verrà ampliato nel paragrafo 2.2.1) [Pollock e
Maitland 2010a: 617-620].
7 Due tenutari obbligati alla frequenza della corte erano considerati sufficienti, per quanto solitamente un numero tanto
esiguo difficilmente sarebbe stato considerato, in termini pratici, utile a organizzare un'assemblea di giustizia [Pollock e
Maitland 2010a: 623]. 8 Entro il XIII secolo fu definitivamente stabilito il principio per cui le giustizie più basse, signorili e comunali, non
avrebbero dovuto intrattenere cause civili di valore superiore ai quaranta scellini, riservate al re [Baker 2007: 22]. 9 Il signore non era considerato essere giudice nella propria causa: i giudici erano i componenti della corte, pari del
tenutario in causa. Il signore presiedeva la corte e autorizzava i mandati esecutivi. D'altronde, il signore non poteva
essere accusato nella sua corte in quanto aveva poco senso che emettesse provvedimenti di sequestro delle proprietà, di
norma utilizzati per far giungere a più miti consigli le parti più ostinate, contro sé stesso. Una corte signorile
sovraordinata alle due parti in causa era, pertanto, considerata il luogo più appropriato dove risolvere la disputa [Pollock
e Maitland 2010a: 617-618].
65
Per quanto riguarda i tenutari consuetudinari, quelli, cioè, titolari di tenure servili, la corte signorile
consuetudinaria era l'unica disponibile [ivi: 619]. Gli appezzamenti di terra secondo queste
condizioni erano concessi ad arbitrio del lord, e quindi ogni questione di diritto era risolvibile
tramite la sua volontà. Secondo la teoria legale il signore, o meglio il suo sovrintendente (steward),
era l'unico giudice in tali cause [Maitland 1908: 49]. Nonostante questo era tipico
dell'organizzazione delle corti manoriali (conosciute anche come halimoot) imitare i costumi delle
corti superiori: la corte era comunque composta dai contadini in condizioni servili, che erano
testimoni dei costumi del maniero e a cui poteva essere richiesto un giudizio in relazione a questi
[Homans 1970: 311]. La corte manoriale era in grado di stabilire una legislazione locale, relativa al
coordinamento dell'attività agricola e alle norme di buon comportamento della comunità. In questi
casi era anche competente a punire le infrazioni del costume del maniero, solitamente tramite una
sanzione pecuniaria dovuta al signore [Pollock e Maitland 2010a: 620-621].
Per quanto riguarda la procedura di queste corti, non si distanziava da quella delle corti comunali
già descritte. Alcune specificità relative alla tenure feudale verranno esposte nel paragrafo 2.2.3,
mentre le particolarità delle tenure servili e dell'organizzazione manoriale saranno tema del
paragrafo 2.2.5.
1.3. La giustizia regia
Il re, in quanto signore preminente di tutto il regno, aveva una giurisdizione personale. Come già
detto, in campo penale esisteva una "pace del re", all'epoca della conquista normanna di estensione
ancora ridotta, e oltretutto condivisa coi signori detentori di concessioni reali di giurisdizione
[Baker 2007: 13]. La giustizia regia era parte del sistema amministrativo in capo al re. In quanto
primo signore feudale di tutto il regno, il re intratteneva una corte plenaria, a cui attendevano tutti i
grandi magnati che possedevano terra concessa direttamente dal re, oltre al clero maggiore10
. Tale
organismo, come le corti inferiori sopra descritte, racchiudeva in sé la triplice funzione di
organismo amministrativo, legislativo e giudiziario. I grandi affari del regno venivano qui discussi,
e le ordinanze di carattere legislativo venivano emesse di norma col consenso della corte11
. Tale
assemblea era, inoltre, la più alta corte di giudicatura del regno, riservata per i grandi casi e per i
grandi uomini [Maitland 1908: 62-63]. Oltre a questa assemblea plenaria, nota come magnum
10
Gli arcivescovi, i vescovi e gli abati facevano parte della corte in funzione della loro supposta saggezza e preminenza
spirituale. La quasi totalità di questi, però, erano anche grandi magnati tenutari della corona. Se dovessero la loro
frequenza alle corti reali a causa del loro ruolo spirituale o a causa della loro posizione nella catena feudale presto venne
ad avere poca importanza pratica [Maitland 1908: 62]. 11
Tale consiglio generale del regno, con l'aggiunta della regolare frequenza dei commons, cioè i rappresentanti dei
borghi e i cavalieri di minori sostanze rappresentanti delle contee, a partire dal 1295, diventerà il parlamento inglese.
66
concilium, esisteva una cerchia più ristretta di consiglieri del re: questa era nota come curia regis.
Era composta dai più alti ufficiali del regno, come il chief-justiciar, o giudice supremo, che
svolgeva la funzione di vice-re e luogotenente reale quando questi era lontano dai domini inglesi, o
come il cancelliere, a capo della cancelleria regia, cioè del corpo di funzionari che si peritava di
registrare gli affari dell'amministrazione del regno e della giustizia regale.
I componenti della curia regis, lungo un processo culminato nel regno di Henry II (1154-1189),
assunsero sempre più stabilmente il ruolo di giudici del re, venendo incaricati di fare giustizia in suo
nome nelle cause che erano di sua pertinenza12
, e venendo a sostituire in buona parte la funzione
giudiziaria del magnum concilium [ivi: 136]. La corte di giustizia reale, plenaria e ristretta, aveva
una giurisdizione che può essere fatta risalire a tre fonti. Innanzitutto, secondo la teoria feudale, il re
aveva diritto alla convocazione di una corte signorile composta dai suoi feudatari diretti, i grandi
magnati del regno. In secondo ordine, la giustizia regia si occupava dei casi che turbassero la "pace
del re", come più sopra definita, intrattenendo i pleas of the crown, cioè i procedimenti riservati alla
corona. Questi erano, nel periodo immediatamente successivo alla conquista, intrattenuti sotto la
presidenza dello sceriffo nella corte di contea13
, il tesoro reale ricevendone i profitti. Infine il re,
tradizionalmente, come fonte di giustizia su tutto il regno, aveva diritto a una giurisdizione di ultima
istanza in caso di errori o mancanze giudiziarie nelle corti inferiori [Maitland 1908: 106]. La
giurisdizione reale, nel periodo normanno, era ancora straordinaria: a pagamento casi ordinari
potevano ivi essere revocati, ma questa opzione era disponibile esclusivamente a un esiguo numero
di uomini di grandi sostanze e alto rango [Pollock e Maitland 2010a: 116].
La giustizia reale, pur rappresentata nelle contee dagli sceriffi, prese a estendersi materialmente
sull'intero regno grazie al suo carattere itinerante. Il controllo del regno appena conquistato da
William I poteva essere assicurato tramite una costante peregrinazione del re e del suo consiglio tra
le contee [Baker 2007: 17]. Sotto Henry I (1100-1135) furono nominati dei giudici di contea,
rappresentanti locali del sovrano, in carico degli affari fiscali e giudiziari della corona, atti a
mantenere il potere regio e assicurarsi che gli introiti della corona fossero debitamente raccolti.
Accanto a questo esperimento di breve durata vennero istituiti dei giudici itineranti, che avrebbero
visitato le diverse contee e condotto gli affari giudiziari e fiscali sul posto sottraendo, tra l'altro, agli
sceriffi il potere di giudicare i crimini contro la pace del re. Questo sistema, inizialmente irregolare
e inefficiente, fu sviluppato da Henry II (1154-1189), che istituì dei circuiti regolari di giudici
12
Fino al XIV secolo non era un evento inconsueto che il re facesse giustizia in persona. Con lo sviluppo di una casta di
giudici professionisti, però, il ruolo giudiziario personale del re venne a scomparire, venendo interamente delegato ai
propri giudici, suoi diretti rappresentanti [Maitland 1908: 134]. 13
Tale funzione gli verrà sottratta, per essere affidata ai giudici reali, de facto con lo stabilimento dei giudici itineranti,
e de jure con la Magna Carta del 1215 [Baker 2007: 23].
67
erranti (justiciarii in itinere, o justices in eyre, di regola componenti della curia regis),
regolarizzando la presenza della giustizia reale nelle contee [ivi: 15-16]. In questa fase i giudici reali
assumevano la presidenza delle assemblee di contea, richiedendo, secondo l'antica procedura, un
giudizio da parte dei convocati. Il potere di discrezione nella scelta di un giudizio valido, in caso di
disaccordo nella comunità (si veda il paragrafo 1.1), permise una crescente influenza della
giurisprudenza regia sulle regole di legge, uniformando i costumi locali e ponendo le basi della
Common law [Adams 1924: 118-120]. Nello stesso periodo veniva stabilito un corpo di giudici
professionisti stabilmente residente a Westminster, con il compito di processare i procedimenti lì
diretti da un mandato reale [Pollock e Maitland 2010a: 164-165]. La giustizia regia non era un
meccanismo giudiziario disinteressato: le cause ivi ricadenti erano fonte di lauti profitti. Le cause
penali portavano introiti sotto forma di sanzioni pecuniarie e confische di terre e beni dei criminali
condannati. Molte azioni civili per danni avevano un parziale profilo penale (bastava che, da parte
del ricorrente, venisse ventilato in qualche modo l'uso della forza), e ricadevano pertanto sotto la
giurisdizione regia. Questi casi, di natura penale o mista civile-penale, ricadranno sotto la
giurisdizione della Court of King's Bench14
, la corte che, seguendo il re nelle sue peregrinazioni per
il regno, venne a sostituire il sistema dei giudici erranti15
. Lo scacchiere (exchequer), costituito sotto
il regno di Henry I, era non solo il tesoro della corona, ma una vera e propria corte di giustizia
residente a Westminster che processava i casi di natura civile in cui fossero implicati i diritti fiscali
e proprietari del re. Infine, la giustizia regia accoglieva anche cause civili tra terzi in cui il sovrano e
i suoi diritti non fossero implicati: anche qui, il privilegio di accedere all'alta giustizia per dispute
non concernenti direttamente il sovrano, richiedeva che una parte tutt'altro che insignificante della
somma recuperata venisse versata ai giudici16
. Le cause civili diverranno di competenza di quella
che diverrà la Court of Common Pleas [Baker 2007: 38-39].
La procedura relativa al metodo della prova e i meccanismi di enforcement descritti nel paragrafo
1.1 erano, nell'immediato post-conquista, sostanzialmente comuni a tutti i livelli di giustizia [ivi:
13]. L'invasione normanna, però, portò con sé due strumenti di procedura innovativi che, riservati
alla circoscritta giurisdizione regia, verranno a estendersi come procedura standard del regno,
costituendo i pilastri e la specificità della Common law [Adams 1924: 117-118]. Il primo strumento
procedurale fu quello degli original writs. Un mandato reale (writ), in origine, era un comando
14
Entro il XIII secolo la giustizia regale, da corpo indistinto qual era, si scinderà in tre corti di alta giustizia (le corti di
Common law) formalmente distinte: Court of King's Bench, Court of Common Pleas e Exchequer of Pleas [Baker 2007:
38]. 15
Nel XIV secolo la corte diverrà sedentaria presso Westminster [Baker 2007: 39] 16
Ancora nel XIII secolo, per avere accesso a un'azione per debito davanti alla giustizia reale il ricorrente poteva essere
tenuto a promettere al re da un quarto a un terzo della somma eventualmente recuperata [Pollock e Maitland 2010b:
214].
68
scritto del re indirizzato a un qualunque suo soggetto, un suo ufficiale come un suo suddito, con cui
gli veniva ordinato di compiere un qualsiasi corso d'azione [ivi: 123]. In particolare,
la forza inoppugnabile e direttiva che sta dietro al mandato è evidente. E' l'autorità reale, il potere assoluto del re. Il
mandato è il particolare strumento formale che, prima della formazione dell'assolutismo costituzionale che fu il risultato
del suo utilizzo, era impiegato dal re come strumento della sua autorità. Era una questione gravosa disobbedire a un
mandato formale del re [ivi: 124].
Sotto il regno di Henry I, il sistema dei mandati reali cominciò a essere sistematizzato, diventando
un potente strumento esecutivo nel far apparire gli accusati davanti alla giustizia regia, farne
rispettare le sentenze ed eseguire le misure cautelari durante i processi. I mandati venivano
compilati dalla cancelleria regia, e potevano essere acquistati dai litiganti in modo da avere il
potenziale coercitivo del re alla base della propria azione legale. In particolare nella giustizia civile i
mandati reali permettevano al ricorrente di avere un'azione più efficace, in parte rimediando alle
lungaggini e alla imperfetta esecutività dei giudizi ottenuti nelle corti comunali e feudali [Pollock e
Maitland 2010a: 159-160]. I mandati reali, da ordini perentori quali formalmente erano, si
trasformarono nel primo passo procedurale teso a intraprendere un'azione legale. Inizialmente erano
inviati dalla cancelleria reale all'autorità locale, comandando che relativamente a una questione
legale sollevata da un ricorrente si facesse giustizia, solitamente nella corte dove inizialmente la
causa era sorta (a esempio in una corte signorile dove il lord si rifiutava di rendere giustizia, cioè
intrattenere la causa, di un tenutario che affermava di essere ingiustamente escluso dal suo
possedimento). In altri casi erano inviati allo sceriffo, che doveva assicurarsi che vi fosse un
regolare processo, e che, in caso di latitanza della corte locale, avrebbe dovuto assicurarsi che
giustizia fosse fatta. Presto, nel XII secolo, a questo comando perentorio venne a sostituirsi una
forma condizionale: lo sceriffo veniva istruito di comandare all'accusato di rendere giustizia al
ricorrente, e, in caso non fosse stato intenzionato a obbedire, sarebbe dovuto comparire davanti alla
corte di giustizia regia e spiegarne il motivo, di fatto istruendo un processo. In questo modo, i
cosiddetti original writs, iniziarono quel cammino che portò il processo di legge a essere sostenuto
da un potenziale coercitivo efficiente. Non rispettare un mandato reale era una questione seria, e
costituiva esso stesso un plea of the crown [Baker 2007: 54]. Un oltraggio alla corte, costituito dalla
mancata esecuzione di un mandato regale, rimetteva la parte in causa alla misericordia della
giustizia del re [Adams 1924: 124]. La costituzione della disobbedienza agli original writs come
causa riservata alla giurisdizione regia costituì un ulteriore passo nella costituzione di questa come
giurisdizione generale del regno: dal momento in cui lo scopo dei mandati poteva, potenzialmente,
essere illimitato, qualsiasi richiesta sostenuta da un comando del re tendeva ad ampliarne il dominio
[Baker 2007: 54].
69
La seconda grande innovazione procedurale portata dai conquistatori normanni, questa volta
relativa al metodo di prova, fu lo strumento dell'inchiesta. Questa era un'istituzione tipicamente
franca, e consisteva nell'utilizzo di un'indagine, eseguita da testimoni giurati, relativa a determinate
questioni di fatto. Questa era una tipica prerogativa regia, particolarmente utile quando il sovrano
avesse necessitato di informazioni dettagliate relative ai suoi possedimenti terrieri o ai suoi diritti, di
qualunque genere, in un particolare distretto: «[il re] ordina che un gruppo di uomini, i migliori e
più degni di fiducia di un distretto, giurino di dichiarare quali terre, quali diritti, ha o dovrebbe avere
nel loro distretto» [Pollock e Maitland 2010a: 150]. Il più impressionante esempio dell'utilizzo
dell'inchiesta franca su suolo inglese è dato dalla compilazione del Domesday Book su comando di
William I nel 1086. Tramite il metodo dell'inchiesta giurata, il conquistatore fece compilare un
censimento di tutte le terre del regno, raccogliendo informazioni sulla posizione di signori,
contadini ed ecclesiastici, sui propri, e loro, diritti sulla terra, sulle proprietà personali e sugli
uomini a ogni livello della gerarchia sociale [Denman 1958: 76]. Questo particolare metodo di
ricerca dei fatti si rivelerà estremamente versatile, costituendo, con l'estensione della Common law,
il principale metodo di prova nelle azioni civili e penali, a scapito dei vecchi metodi fondati sulla
composizione e sul giudizio divino. Da prerogativa regia qual era, il diritto ad avere un'inchiesta
fattuale verrà venduto con crescente frequenza dal sovrano ai litiganti per essere utilizzato nelle loro
dispute personali [Pollock e Maitland 2010a: 150]. L'inchiesta si trasformerà così nel processo
tramite giuria: la giuria, corpo composto da dodici uomini giurati, verrà sempre più ad assumere il
ruolo di giudice di fatto, lasciando al presidente della corte, posto sempre più occupato da un
giudice reale, il ruolo di giudice di diritto. Prima di assumere il ruolo di giudice distaccato di fatti
portati davanti alla corte da testimoni chiamati dalle parti17
, la giuria era di necessità composta da
uomini del distretto in cui fosse avvenuto il fatto oggetto della causa, proprio perché i suoi
componenti erano meglio informati degli affari locali, e potevano così dare un giudizio relativo a
cosa fosse effettivamente successo [Maitland e Montague 1998: 56]. Lo sviluppo del processo
tramite giuria sarà particolarmente importante nel XII e XIII secolo, con l'esplosione delle assisi
possessorie, e dei nuovi metodi processuali nello stabilire i diritti di proprietà, relative alle azioni
per terra, di cui si parlerà nel capitolo III [Baker 2007: 73].
17
Tale ruolo, fondamento della moderna giuria, non sarà assunto prima del XV secolo [Maitland e Montague 1998: 57].
70
2. IL SISTEMA FEUDALE INGLESE
2.1. Definizione e origine del sistema feudale
Si è soliti collocare l'età di maturazione del feudalesimo europeo tra l'XI e il XII secolo, a seguito di
un processo iniziato in concomitanza delle ultime invasioni scandinave nel IX e X secolo, ma già in
via di costituzione con l'Impero Carolingio [Duby 2004: 199]. Per quanto riguarda l'Inghilterra la
definitiva maturazione del sistema avvenne con la conquista normanna (completata con la battaglia
di Hastings e la successione al trono di William I il conquistatore - fino ad allora Duca di
Normandia - nel 1066). Si può parlare in questo caso di "feudalesimo d'importazione", introdotto
dai conquistatori normanni che portarono con sé le istituzioni tipiche della madrepatria,
caratterizzato da una migliore sistematizzazione rispetto ai luoghi in cui il processo era avvenuto in
modo spontaneo [Bloch 1949: 217].
La società feudale, è noto, era una società eminentemente piramidale, costituita da ordini e da
gerarchie, tra di essi e interne agli stessi. L'ideologia prevalente considerava la società come
composta da tre ordini: la Chiesa, i guerrieri e i lavoratori [Duby 2004: 209-213]. Nelle parole
dell'abate Aelfric di Eynsham, scritte due generazioni prima della conquista normanna:
il trono si regge su tre supporti: laboratores, bellatores, oratores. I laboratores sono coloro che ci forniscono il
sostentamento, aratori e agricoltori devoti esclusivamente a tale compito. Gli oratores sono coloro che intercedono per
noi con Dio e promuovono la cristianità tra le genti cristiane al servizio di Dio, come fatica spirituale devoti
esclusivamente a tale compito per il beneficio di tutti. I bellatores sono coloro che montano la guardia ai nostri borghi e
alla nostra terra, combattendo in armi contro le armate nemiche [cit. in Miller e Hatcher 1978: xiii].
Ma, dal punto di vista dei rapporti sociali che strutturavano la società feudale, più che la mera
distinzione in ordini risulta interessante la strutturazione gerarchica all'interno degli stessi (oltre alle
particolarità dei punti di contatto tra di essi). Per il tema di cui si sta discutendo la società feudale
risulta di particolare interesse, in quanto il suo collante risiedeva nei rapporti personali tra i membri
della stessa, e non in astratti diritti ai quali ognuno avesse titolo ad appellarsi. La divisione in ordini
aveva eminentemente carattere funzionale (oltre che di diverso prestigio). Non che l'appartenenza a
un ordine non avesse conseguenze rispetto allo status legale di una persona: ogni ordine aveva
precisi diritti e precisi doveri. Ma il modo in cui venivano a strutturarsi i rapporti interpersonali tra i
membri della società comportava diversi risultati, a livello individuale e di società.
E' necessario ora tentare di dare una definizione di feudalesimo utile ai fini del presente studio.
Come ogni definizione non può che risultare in un tipo ideale, costrutto che sacrifica specificità e
71
variabilità empirica all'univocità e astrattezza di un modello puro [Weber 1980: 17-18]. Non solo
l'Europa conobbe forme di feudalesimo estremamente diverse nei dettagli, ma anche un singolo
paese, come l'Inghilterra, difficilmente poteva essere considerato una struttura invariabile non
soggetta a eccezioni e particolarità (non solo in senso statico, ma anche in senso di continua
evoluzione). Dal punto di vista della struttura legale generale a cui si trovò soggetta l'Inghilterra a
seguito della conquista normanna è utile citare per intero la definizione data dallo storico legale
inglese Frederic W. Maitland:
[Con feudalesimo si intende lo] stato di una società in cui il principale legame sociale è la relazione tra signore [lord] e
uomo [man], relazione implicante dalla parte del signore protezione e difesa; dalla parte dell'uomo protezione, servizio
e riverenza, il servizio includendo servizio in armi. Tale relazione personale è inseparabilmente connessa a una
relazione di proprietà, il godimento in concessione [tenure] della terra - l'uomo ha titolo alla terra per mezzo del signore,
il servizio dell'uomo è un gravame incidente sulla terra, il signore ha importanti diritti sulla terra, e (si può dire) il pieno
possesso della terra è diviso tra l'uomo e il signore. Il signore ha giurisdizione sui suoi uomini, organizza una corte per
loro, alla quale devono attendere. La giurisdizione è considerata una proprietà, come un diritto privato del signore sulla
terra. L'organizzazione nazionale è un sistema di queste relazioni: alla testa è posto il re come signore di tutti, sotto di
lui stanno i suoi vassalli immediati, o tenutari della corona [tenants in chief], che a loro volta sono signori e tenutari
[tenants], i quali a loro volta posso essere signori di tenutari, e così via giù fino al più basso possessore di terra. Infine,
in quanto ogni altra corte consiste dei tenutari del signore, la corte del re consiste dei suoi tenants in chief, e nella
misura in cui esiste un qualsiasi controllo costituzionale sul re viene esercitato dal corpo di questi tenutari [Maitland
1908: 143-144].
Come riassunto da Richard Pipes, il «sistema di signoria e sottomissione che prevalse nell'Europa
occidentale tra, approssimativamente, il 900 e il 1250 d.C., fu caratterizzato da una fusione di
sovranità e possesso, della sfera pubblica e privata, del tutto unica» [Pipes 1999: 105]. Il legame
fondamentale a base della società perciò è il legame personale tra individui, l'essere "l'uomo di un
altro uomo" [Bloch 1949: 171]: esso implica sia un legame di tipo giuridico (giurisdizione sopra il
proprio uomo) che economico (possesso delle terra derivante dall'accettazione del proprio signore e
scambio di servizi tra i due soggetti). Vediamo come nozioni oggi distinte in diritto pubblico e
diritto privato formino in realtà un tutt'uno: il possesso della terra (oggi diritto di proprietà privata) è
condizionale a un obbligo di servizio e di fedeltà, tra l'aristocrazia solitamente inteso come servizio
militare (sfera, oggi, del diritto pubblico). Come nota Maitland, «il feudalesimo, si può dire, è una
negazione di tale distinzione. Laddove un feudalesimo ideale sia perfettamente realizzato, tutto ciò
che chiamiamo diritto pubblico [public law] è fuso nel diritto privato [private law]: la giurisdizione
è proprietà, l'ufficio è proprietà, la corona stessa è proprietà; lo stesso termine dominium significa in
certi casi proprietà [ownership] e in altri signoria [lordship]» [Pollock e Maitland 2010a: 244]. La
giurisdizione legale relativa al possesso e all'utilizzo della principale fonte di capitale produttivo (la
72
terra), inoltre, deriva dalla concessione della terra stessa: un rapporto economico implica
necessariamente un rapporto giurisdizionale asimmetrico tra due individui.
Il sistema della signoria, inteso come sistema giurisdizionale in mani private che si esercita su
soggetti considerati subordinati, costituisce indubbiamente carattere necessario ma non sufficiente a
definire il sistema feudale. Il sistema di giustizie personali ha storia molto più antica e precede
l'instaurazione della struttura feudale idealtipica delineata più sopra con le parole di Maitland. La
storia della signoria può essere fatta risalire fino al basso impero romano, il suo utilizzo trovando
come principale forza causale la crisi dell'autorità centrale, in particolare in concomitanza delle
invasioni barbariche [Bloch 1966: 258]. La devoluzione dei poteri fino ad allora gelosamente
custoditi dallo stato centrale ai grandi signori sottostanti (tassazione, convocazione delle truppe,
mantenimento dell'ordine e amministrazione della giustizia), meglio in grado di amministrare
direttamente il territorio, e la garanzia di particolari immunità dalla giurisdizione regia, proseguì
gradualmente nei nuovi grandi regni barbarici, impossibilitati a governare territori tanto ampi
tramite una singola autorità centrale:
tramite una serie di privilegi, nello stato franco chiamati "immunità", che trovano paralleli con diversi nomi quasi
ovunque e specialmente nella Britannia anglo-sassone, i re garantiscono a determinati signori diritti di giurisdizione
sulle loro terre e gli uomini ivi residenti, anche quando liberi [...]. Le concessioni reali, andrebbe aggiunto, non erano di
giurisdizione assoluta [...]. Solo, come accadde, dal momento in cui lo stato divenne sempre più debole - sul continente,
dopo il collasso dell'Impero Carolingio; in Inghilterra al tempo delle invasioni danesi - il signore trattenne quei poteri
che gli erano stati consegnati e usurpò tutti o parte dei rimanenti, per quanto l'estensione di dette usurpazioni variò
considerevolmente da paese a paese [ivi: 261-262].
Tali signorie avevano una giurisdizione prevalentemente territoriale. Ai signori locali veniva
garantita l'esenzione dalle tasse regie e la possibilità di godere personalmente dei tributi raccolti,
oltre all'immunità dall'intrusione degli ufficiali regi nei propri territori. Nel Regno franco questo era
garantito accanto alla concessione del diritto di banno (potere di emettere e far rispettare
ordinanze), di norma prerogativa regia [ibidem; Duby 2004: 217-218]. Nell'Inghilterra anglo-
sassone i re, concedendo i propri terreni ai grandi magnati, garantivano il diritto al feorm, tributo di
norma dovuto direttamente al re per il suo sostentamento durante i costanti spostamenti da una parte
all'altra del regno, oltre agli altri introiti derivanti dal territorio [Denman 1958: 66-67]. Accanto a
tale concessione spesso veniva garantito un ampio diritto di giurisdizione sul possedimento,
chiamato sake and soke [ivi: 93-95; Stenton 1932: 99-100]. I detentori del potere regio delegato
potevano così sfruttare più intensamente gli altri tipi di diritti signorili in via di costituzione.
73
Parallelamente al proliferare delle signorie corre il processo di crescente soggezione degli uomini,
in tutti gli strati sociali, a un signore, in particolare crescita a seguito della caduta dell'Impero
Romano. Il rapporti di soggezione erano indubbiamente simili al rapporto di patronaggio già diffuso
nell'Impero [Bloch 1966: 264] ma, in un periodo di disordine, invasioni e scorrerie in cui né stato né
famiglia potevano fornire una protezione sufficiente, guadagnò nuova forza, dando vita a un sistema
di vassallaggio su larga scala: «il debole provava ovunque il bisogno di affidarsi a chi fosse più
potente di lui. Il potente, a sua volta, non poteva mantenere il proprio prestigio o la propria
ricchezza, né conservare la propria sicurezza, se non procurandosi, con la persuasione o la
costrizione, l'appoggio di inferiori obbligati ad aiutarlo» [Bloch 1949: 174]. Tra l'epoca merovingia
e quella carolingia possiamo vedere il processo diffondersi in ogni strato della società, dando
origine ai due ordini principali della società feudale: i guerrieri e lavoratori. Le necessità militari
impellenti, vera e propria fonte di profitto per le classi elevate, e lo sviluppo delle tecniche di guerra
(in particolare il passaggio dalla fanteria alla cavalleria come forza principale), crearono un'ampia
domanda per una classe di guerrieri professionisti. Dal momento che la debolezza dello stato
impediva di organizzare una leva generale per le necessità di guerra a tale bisogno sopperirono i
signori, tramite il seguito dei propri guerrieri domestici, i loro vassalli [ivi: 178-182]. Stante i costi
di equipaggiamento e la necessità di un addestramento professionale, solo alcuni individui potevano
pensare di poter fornire un servizio sufficientemente prezioso per un signore: è così che viene a
crearsi una coincidenza tra il rapporto vassallatico e il servizio militare. Chi non era in grado di
portare le armi finiva così per rimanere legato alla coltivazione della terra, e il rapporto di
patronaggio a cui si sottometteva scivolava verso la condizione di agricoltore dipendente da un
signore [Duby 2004: 56]. Tale disuguaglianza crescente e persistente, indotta dal cambiamento
tecnologico nelle operazioni militari, può aver rotto l'equilibrio precedente fondato su un largo
strato di piccoli e medi contadini liberi, conferendo un premio agli uomini in grado di accedere alle
fila della cavalleria (sotto forma di maggiori profitti della guerra, considerati come saltuario bottino
e nuove acquisizioni terriere). In mancanza di uno sviluppato mercato dei prodotti di consumo, e in
mancanza di rilevanti possibilità di accumulazione di tale rendita (consistendo in larga parte di
rendita in natura, soggetta a rapido deperimento), la creazione di un seguito armato in grado di
aumentare il proprio potere politico poteva essere la scelta più razionale da parte dei signori:
un uomo che aveva un surplus alimentare anno dopo anno - un uomo ricco - sarebbe un obiettivo invitante per gli altri
membri della società. Poteva usare la sua ricchezza per assumere seguaci per proteggerlo, scambiando parte del suo
surplus per la loro lealtà. Ma altri membri della società potevano tentare di scalzare la lealtà dei seguaci promettendogli
una quota maggiore del suo surplus se si fossero rivoltati contro di lui. Nel risultante scontro, sia il ricco signore che
qualcun altro potrebbe emergere con un tale seguito da poter intimidire gli altri individui e famiglie nella società - da
poter, in breve, stabilire uno stato con sé stesso a capo [Posner 1980: 19].
74
Il risultato fu il sistema del vassallaggio e, in seguito, la società feudale, intesa come sistema di
relazioni tra un mosaico signorie nella loro sfera in larga parte autonome e sovrane.
Il rapporto di subordinazione si fondava sulla cerimonia di "omaggio". Il signore accoglieva la
subordinazione del suo uomo, il quale giurava fedeltà e soggezione: il legame era strettamente
personale, e durava finché fossero durate le vite che congiungeva [Bloch 1949: 172-173]. Tale rito,
inizialmente tipico della casta militare, si estenderà alle altre relazioni feudali tra uomini liberi.
Ottenere l'omaggio di un uomo in condizioni servili poteva essere rischioso, in quanto avrebbe
costituito il riconoscimento ufficiale del soggetto come libero, di fatto affrancandolo dalla sua
condizione servile [Pollock e Maitland 2010a: 323]. I guerrieri porgevano omaggio e giuravano
fedeltà a un signore, da cui ricevevano protezione in cambio di supporto e servizio militare. I
contadini, o gli uomini non più in grado di mantenere la propria indipendenza economica,
accomandavano la loro persona a un signore fornendo quanto avevano, cioè forza lavoro o una
rendita in moneta o in natura, in cambio di protezione e sostentamento. Un formulario merovingio
dell'VIII secolo descrive l'atto di sottomissione di un uomo libero in difficoltà al suo signore:
poiché è a tutti ben noto che non ho di che nutrirmi e vestirmi, ho supplicato la tua pietà, e il tuo volere me l'ha
accordato, di lasciare che mi consegni e mi rimetta alla tua protezione. Questo ho fatto alle seguenti condizioni: tu devi
aiutarmi e mantenermi, sia riguardo al cibo sia riguardo al vestiario, secondo che io sarò in grado di servirti e ben
meritare di te. Finché vivrò, ti dovrò quel servizio e quell'obbedienza che sono compatibili con la libertà, e per il resto
dei miei giorni non avrò diritto di sottrarmi al tuo potere o alla tua protezione [cit. in Duby 2004: 57].
La classe dei contadini liberi, spesso proprietari di terreni allodiali (esenti da qualsiasi tipo di
servizio signorile e pertanto simili a una proprietà assoluta), spinta dalle difficoltà economiche
(dovute in particolare ai servizi militari, sempre più costosi) finì per entrare nel meccanismo della
raccomandazione vassallatica, rinunciando alla propria indipendenza per avere la protezione di un
signore potente nei confronti dei signori vicini, delle frequenti scorrerie o delle richieste del
sovrano. Il processo tipico consisteva nel consegnare al signore il proprio possedimento libero,
ricevendolo indietro sotto condizione di uno specificato servizio da rendere al signore e all'obbligo
di fedeltà [Bloch 1966: 266]. Accanto ai contadini liberi vi erano i contadini in condizione servile:
questi, quando l'accettazione della condizione servile non discendeva da una sottomissione sì
volontaria ma spinta dalla necessità, discendevano principalmente dalle famiglie di schiavi
possedute dai proprietari terrieri, che venivano gradualmente accasati sui possessi signorili come
piccoli concessionari dipendenti, a partire dal basso impero romano fino all'epoca di massima
espansione del movimento nei secoli VI e VII. Il privilegio di possedere maggiore autonomia
veniva pagato con esazioni servili, come pesanti obblighi di lavoro settimanali sulla proprietà del
75
signore [Duby 2004: 50-51; Bloch 1966: 251-252]. Pur essendo in principio lo status giuridico di
queste due categorie differente (da una parte gli uomini liberi, dall'altra i non-liberi), le loro
condizioni vennero sempre più ad amalgamarsi, fondendosi infine in quello strato di popolazione in
condizioni servili costituente l'ordine dei laboratores durante la maturità del sistema feudale [Duby
2004: 119].
L'anello mancante nel passaggio dalla signoria e dal vassallaggio al feudalesimo risiede nelle
modalità di possesso della terra. Nella società pre-feudale il complicato sistema di giurisdizioni
signorili e di legami personali alla base del vassallaggio non implicava necessariamente un possesso
condizionale delle terre tramite il consenso di un signore. Per quanto riguarda il caso dell'Inghilterra
anglo-sassone, l'obbligo di servizio militare gravava su ogni uomo libero, di alto come di basso
rango, e costituiva una leva generale nazionale (fyrd). I grandi signori (nella società anglo-sassone
conosciuti col termine di thegn) possedevano terra garantita dal re (book-land) sulla quale gravava
un obbligo generale di servizio pubblico nell'esercito (oltre ad altre prestazioni, sempre di natura
pubblica, come la manutenzione dei ponti o delle mura a difesa dei borghi). Tale obbligo gravava su
tutti i residenti del possedimento (dal loro punto di vista detto folk-land). Il thegn era soggetto a un
obbligo di servizio militare personale derivante esclusivamente dal suo rango, al quale si
accompagnava l'obbligo di garantire che i servizi pubblici gravanti sul territorio fossero eseguiti
dagli uomini ivi residenti. Tra gli obblighi gravanti sul thegn vi era quello di organizzare la leva
contadina per l'esercito [Stenton 1932: 116-118]. Il contadino libero (i componenti più agiati erano
conosciuti col nome di ceorl) era parimenti gravato da un obbligo di servizio, che ricadeva però per
consuetudine sulla terra che occupava, e, al pari del thegn, non derivava da una forma di tenure
condizionale:
i servizi venivano resi al possessore di book-land in virtù del diritto consuetudinario [folkright] e, così, la stessa identica
terra che per il possessore di book-land era considerata book-land rimaneva folk-land dal punto di vista dei residenti
responsabili personalmente dell'esecuzione dei servizi. Anche in questo caso non si può dire che coloro che detenevano
folk-land in queste circostanze la detenessero "in concessione" dal possessore di book-land; l'avrebbero tenuta, forse,
"sotto" di lui, ma non "in concessione" da lui. Non è stabilito nulla di simile alla tenure feudale [Denman 1958: 67-68].
Una forte spinta nella direzione della tenure feudale venne data dalla necessità di mantenere i
vassalli. I guerrieri domestici e più in generale i seguaci che si accomandavano a un signore
venivano solitamente mantenuti dallo stesso: tutto quanto dovevano era servizio e fedeltà per la
durata della loro vita. Dal IX secolo prevalse invece l'abitudine, in luogo del mantenere il vassallo
nella casa signorile, di fornirgli un terreno da cui potesse ottenere il suo sostentamento, in cambio
del quale avrebbe dovuto fornire i servizi stabiliti. Tale concessione condizionale di terra prese il
76
nome di feudo (nome all'epoca designante genericamente i beni mobili, del tipo utilizzato per
remunerare i vassalli a servizio nella casa padronale: con la trasformazione della retribuzione del
vassallo in terra venne così a designare un possedimento terriero) [Bloch 1949: 190-196]. In luogo
di un legame tra uomini indipendente dal possesso della terra, interviene un sistema in cui le due
cose diventano inestricabilmente legate. Il beneficiario (feudatario) occupa la terra del suo signore e
sotto la sua giurisdizione: «colui che in precedenza era un proprietario terriero personalmente legato
a un signore, diventa un tenutario in possesso di terra concessa dal signore» [Maitland 1908: 156].
Come nota Marc Bloch sarebbe più corretto chiamare il sistema feudale «il sistema del vassallaggio
e del feudo» [Bloch 1966: 266], rendendo espliciti i due componenti della relazione: fedeltà e
servizio e terra in concessione. Della stessa opinione è Frederic Maitland: «ciò che è caratteristico
del "periodo feudale" non è la relazione tra locatore e locatario, o tra prestatore e creditore di terra,
ma la relazione tra signore e vassallo, o piuttosto l'unione di queste due relazioni. Se fossimo liberi
di inventare nuovi termini, potremmo trovare feudo-vassallismo più utile di feudalesimo» [Pollock e
Maitland 2010a: 73]. La convergenza e l'interazione dei tre tipi di signoria sopra delineati (chiamate
da Georges Duby, rispettivamente, signoria bannale, domestica e fondiaria [Duby 2004: 221-224])
costituirono il sostrato giuridico della società feudale, al di sopra del quale, nei paesi che
mantennero più degli altri un forte stato centralizzato come l'Inghilterra («il più centralizzato degli
stati feudali», secondo Frank M. Stenton [1932: 5]), svettava la giustizia regia.
2.2. Il feudalesimo inglese
Avendo delineato gli aspetti più generali del sistema feudale è possibile ora scendere nel dettaglio
della sua struttura di base. Il periodo più segnatamente feudale della storia inglese è costituito
dall'XI e dal XII secolo, cominciando, dalla seconda metà del XII e nel XIII, quel declino costituito
dallo sviluppo della giurisprudenza regia e della Common law. Il periodo feudale verrà pertanto
considerato la base di partenza dell'analisi oggetto di questo capitolo, mentre nel prossimo verrà
affrontato il passaggio alla nuova struttura di diritti di proprietà. Nel paragrafo 2.2.1 verrà delineata
la struttura dei diritti di proprietà come intesa nel sistema feudale inglese. Nel paragrafo 2.2.2 si
affronterà il concetto di tenure feudale, e si renderà conto delle principali tipologie di possesso
libero diffuse nel periodo in esame. Nel 2.2.3 verranno descritti i diritti signorili sulla terra e sugli
uomini derivanti dall'instaurazione del rapporto di base lord - tenant. Nel paragrafo 2.2.4 oggetto di
analisi saranno i limiti a cui era soggetto ogni possedimento terriero secondo la struttura di diritti di
proprietà inerente ai costumi feudali, e la sua differenza rispetto ai moderni diritti di proprietà. Nel
2.2.5, infine, verranno analizzate le tenure servili, assieme all'organizzazione economica manoriale
a esse intimamente associata.
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2.2.1. Feudalesimo e diritti di proprietà
Essendo l'oggetto dello studio l'evoluzione dei diritti di proprietà nel basso medioevo inglese l'unità
di analisi sarà il feudalesimo come manifestatosi nell'Inghilterra dell'XI e XII secolo con le sue
peculiarità. Fin dalla conquista normanna fu stabilito recisamente come l'intera terra del regno fosse
sotto la sovranità del re, William I, e tutte le concessioni inferiori, dalle più corpose alle più umili,
derivassero la propria sanzione a partire dalla corona [Baker 2007: 224]. Tale non poteva che essere
l'esito della riorganizzazione dello stato a seguito dell'occupazione di una terra straniera da parte di
un gruppo di conquistatori. La terra conquistata fu sottratta alle grandi famiglie indigene, per essere
riallocata ai compagni d'armi e ai familiari di William I a compensazione del servizio prestato
durante la conquista [King 2009: 12]. Agli uomini più vicini al re vennero concessi gli "onori" più
grandi: questi magnati erano conosciuti come tenants in chief, cioè tenutari della corona, dal
momento che la loro concessione derivava direttamente dal re in cambio di un definito ammontare
di servizio militare [Stenton 1932: 55-56]. I grandi tenutari a loro volta concedevano porzioni dei
loro immensi territori ai loro seguaci, in cambio dell'obbligo di fedeltà e della fornitura di un certo
numero di cavalieri per sostenere il servizio dovuto al re. Questo avveniva tramite il processo di
sub-infeudazione (sub-infeudation), tramite cui un tenutario A accoglieva un altro uomo B come
suo diretto concessionario. Il tenutario A assumeva così la posizione di lord rispetto al tenant B,
rimanendo tenant rispetto al lord C immediatamente superiore a lui (che, per i tenants in chief, era il
re) da cui aveva originariamente ottenuto la terra tramite infeudazione (enfeoffment): così, tramite
un processo di «successive sub-infeudazioni, una catena di concessioni condizionali [tenures] fu
creata dal re fino agli uomini che effettivamente occupavano la terra» [Baker 2007: 225]. La terra
trattenuta da un qualsiasi signore per il suo uso personale era detta terra tenuta in demesne. La terra
concessa a un tenutario conferiva invece una signoria (lordship) sul tenutario diretto e un possesso
rispetto ai suoi servizi. Un qualsiasi signore che si trovasse in una posizione intermedia (tra un lord
superiore e un tenant inferiore) veniva genericamente chiamato mesne lord [ivi: 226].
Dalla struttura di autorità così definita derivava quella che può essere definita la struttura di diritti di
proprietà feudali. Seguendo il modello proposto da James Coleman, prima di una qualsiasi struttura
di diritti di autorità e di proprietà ben definita esiste solo il diritto degli individui a controllare le
proprie azioni. Tali diritti di controllo possono essere scambiati, definendo un sistema di autorità
entro il quale il controllo delle singole azioni può essere concesso ad altri rispetto al possessore
originale: «tra quelle risorse sulle quali gli individui hanno un controllo vi sono le loro azioni. Gli
individui possono, sotto minaccia o promessa o altrimenti perché lo vedono nel loro migliore
interesse farlo, abbandonare il diritto a controllare certe loro azioni [...]. Un attore possiede
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un'autorità sopra un altro in un certo dominio di azioni quando il primo possiede il diritto a dirigere
le azioni del secondo in quel dominio» [Coleman 1990: 66]. In tal modo la relazione di base lord -
tenant può essere considerata come derivante da uno scambio di diritti: al lord A viene concessa
l'autorità di comandare il proprio tenant B secondo i termini di servizio stabiliti, mentre al tenant B,
in cambio della rinuncia al diritto di poter controllare una classe delle proprie azioni, viene concesso
il godimento di un territorio. B può a sua volta entrare in un successivo scambio con C, D o E (che
possono essere sia nella posizione di lord che di tenant nei confronti di B), aggiungendo un nuovo
livello nella struttura di autorità feudale. In un mondo in cui la guerra e la conquista costituivano le
principali fonti di profitto lo scambio di fedeltà e servizi era il modo più efficiente per garantire gli
interessi delle parti interessate, costituendo così il collante a fondamento dell'ordine feudale.
In generale la raccomandazione a un signore sembra essere stata piuttosto conveniente. Non solo
era possibile, tra le fila dell'aristocrazia, dedicarsi professionalmente al servizio militare e ottenere
in cambio una notevole fonte di ricchezza costituita dalla terra. Tra gli uomini liberi di minori
sostanze in una società non ancora pienamente feudalizzata questo significava essere sgravati da un
notevole carico amministrativo, dal momento che la frequenza alle corti pubbliche (organismi tanto
giudiziari quanto amministrativi) era obbligatoria. Tramite il processo di raccomandazione e
l'instaurazione di concessioni di terra dipendenti tali obblighi venivano svolti dal signore in vece del
suo uomo:
la presenza alle corti è un doloroso gravame per gli uomini più poveri; vi avrebbero atteso senza particolare beneficio,
meramente per vedere le cose decise per loro dalla gente più ricca; mentre per quanto riguarda i loro diritti personali se
ne sarebbe occupato il signore, essendo implicati con i suoi stessi diritti [...]. Nessuna legge aveva trasformato i più
piccoli proprietari in concessionari di terra di altri uomini o costretto gli stessi ad avere un signore - il cambiamento
venne portato a compimento da atti privati di individui [Maitland 1908: 149-150].
Tale schema volontaristico, pur in larga parte valido, non rende conto di tutte le relazioni di
dipendenza alla base della società feudale. Per quanto da un punto di vista formale tale modello
risulti sempre da uno scambio volontario di diritti di controllo, da un punto di vista sostanziale la
soggezione a un'autorità esterna può avere origine involontaria, a esempio nel momento in cui
rispetto a un soggetto in condizioni di svantaggio «l'altro autoritario detiene risorse sufficientemente
estese ed è sufficientemente votato a usarle che l'alternativa [alla soggezione] porterebbe a
conseguenze seriamente negative» [Coleman 1990: 71]. Mentre, per diversi aspetti, è certamente
vero che «doveva essere conveniente avere un signore» [Maitland 1908: 149], è altrettanto vero che
spesso l'autorità signorile si impose tramite aperta coercizione. Questo in particolare accadeva agli
strati più bassi della popolazione, a esempio nei villaggi contadini, mancanti della forza militare
79
necessaria per resistere all'imposizione di una signoria sulle proprie persone e sulle proprie terre.
Come ha scritto Stefano Fenoaltea,
quando lo stato è troppo debole (o non disposto) nel proteggere i contadini contro i magnati, e la tecnologia militare è
tale che una forza contadina risulti marcatamente inferiore a una forza professionale, lo sfruttamento del villaggio da
parte della classe militare può essere inevitabile; e se un contadino agisce nel proprio interesse nel raccomandarsi a un
protettore, lo fa in stretta analogia col negoziante contemporaneo che agisce nel proprio interesse nel comprare la
"protezione" che un'autorità extra-legale può offrirgli [Fenoaltea 1975a: 390].
Le signorie di fatto non nacquero e si estesero dal nulla, ma costituirono uno sviluppo di lungo
termine di espansione di centri di potere esistenti a scapito dei più piccoli centri ancora
indipendenti. Come nota Marc Bloch i contratti di soggezione sottolineavano regolarmente come
fossero ispirati alla libera volontà delle parti: «ma c'erano molte altre forze al lavoro nel rendere il
piccolo uomo arrendevole; dalla fame - a volte causa dichiarata, più generalmente nel caso di
lavoratori senza terra - al desiderio di condividere quei diritti comuni che il signore riservava ai suoi
dipendenti; fino alla bruta oppressione, sulla quale i contratti scritti ovviamente sono
innocentemente silenti, ma che molte altre fonti rivelano» [Bloch 1966: 268]. Difficilmente,
pertanto, la catena di rapporti dipendenti può essere descritta esclusivamente in termini contrattuali
neutri, come in un primo momento suggerito da Douglass North e Robert Thomas («il servaggio
nell'Europa occidentale fu essenzialmente un arrangiamento contrattuale dove servizi lavorativi
venivano scambiati per i beni pubblici di protezione e giustizia» [North e Thomas 1971: 778]): le
risorse a disposizione e il potere militare conseguente giocarono indubbiamente un ruolo nel portare
a risultati diversi, pur in presenza di rapporti di soggezione formalmente comuni all'intera struttura
sociale, a seconda del potere contrattuale delle parti (come riconosciuto, più tardi, dallo stesso
North [1981: 129-130]). La struttura di autorità, e il sistema di diritti di proprietà conseguenti,
furono plasmati principalmente sulle necessità di un'aristocrazia militare e terriera.
Il rapporto fondamentale della società feudale inglese era quindi il rapporto tra signore e tenutario,
che si estendeva partendo dal re fino a raggiungere l'ultimo contadino, legando l'intera società in un
sistema interconnesso di signoria e dipendenza. La transazione di base, a tutti i livelli sociali, era
costituita dalla concessione di terra in cambio di un servizio, che poteva essere dei generi più
disparati: militare, il più delle volte, tra la classe dei cavalieri; lavorativo tra la classe dei lavoratori
(agricoli, artigianali o mercantili). Tra l'aristocrazia degli uomini liberi (si parlerà più sotto delle
tenure contadine) assume particolare rilievo il concetto di seisin. La seisin era considerata il
possesso effettivo: di beni mobili, immobili, o di diritti rispetto a una particolare prestazione o a un
particolare corso d'azioni riservato. Sotto lo stesso concetto di seisin rientravano i diritti di
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disposizione più vari, come il possesso di bestiame, il possesso di un feudo in demesne, il possesso
dei servizi dovuti dal proprio tenutario, il possesso del diritto a maritare l'erede del proprio tenant se
minore, o il diritto a nominare il parroco della parrocchia costruita sul proprio possedimento: «il
termine "seisin" era utilizzato in relazione a ogni genere di cosa e ogni genere di diritto permanente
che poteva essere considerato come una cosa» [Pollock e Maitland 2010b: 33]. Anche i contadini in
condizioni servili erano considerati in seisin del loro appezzamento di terra, per quanto secondo i
costumi del maniero [ivi: 38]. In relazione al possesso del feudo, in un'epoca che non conosceva
astratti diritti di proprietà assoluta sulla terra, costituiva un mero stato di fatto: il signore metteva in
possesso un tenutario di un terreno, e il riconoscimento di questo fatto costituiva l'unica garanzia
per l'occupante del feudo [Baker 2007: 229]. La particolarità dell'atto è conservata nell'uso
grammaticale del concetto nella prima età feudale: to seise (mettere in possesso) era utilizzato come
verbo transitivo, stante a indicare, appunto, un'azione transitiva. Il signore metteva in possesso il
tenutario (the lord seised the tenant): «la seisin connota non solo un possesso fattuale ma
quell'accettazione signorile che costituisce l'unico titolo che può esistere» [Milsom 1976: 40].
L'uomo considerato in possesso era l'uomo che effettivamente stava occupando il terreno: l'atto di
metterlo in possesso era l'atto di metterlo in occupazione effettiva del suolo [Pollock e Maitland
2010b: 31]. Solo in futuro, con lo sviluppo di diritti di proprietà astratti, cambierà l'uso linguistico:
il tenutario verrà considerato semplicemente in seisin (in possesso), il verbo transitivo venendo
sostituito prima da una forma passiva (to be seised) e infine da un sostantivo (to be in seisin). In
questa accezione «essere in possesso [seised] denota una condizione piuttosto che un evento, una
relazione tra una persona e la terra che può essere discussa senza una referenza necessaria al
signore» [Milsom 1976: 40].
La differenza tra seisin e diritto di proprietà non potrebbe essere più radicale: mentre un diritto è
riconosciuto in astratto e la sua garanzia risiede nel potere coercitivo dello stato, la seisin è fondata
su un rapporto intimamente personale e la sua unica garanzia risiede nei termini di quel particolare
rapporto. Secondo Marc Bloch è
assai raro, in tutta l'era feudale, che si parli di proprietà, sia di una terra che di un potere di comando; ancor più raro [...]
che un processo verta su questa proprietà. Ciò che le parti rivendicano è, quasi uniformemente, la saisine o "presa di
possesso" [...]. Non era precisamente un possesso, che la semplice occupazione del suolo o del diritto fosse bastata a
creare; ma un possesso reso venerabile dal tempo [...]. Similmente la parola "proprietà", applicata a un immobile, per
altri motivi ancora sarebbe stata press'a poco priva di senso. O, almeno, sarebbe stato necessario dire [...] proprietà o
presa di possesso del tale o talaltro diritto sul fondo. Su quasi tutta la terra infatti, e su molti uomini, gravava in quel
tempo una molteplicità di diritti, diversi per natura, ma ciascuno dei quali tuttavia, nella propria sfera, appariva
81
egualmente rispettabile. Nessuno presentava la rigida esclusività caratteristica della proprietà di tipo romano [Bloch
1949: 135-136].
Relativamente all'Inghilterra anglo-normanna Robert Palmer mette in luce chiaramente la
derivazione del possesso, e la sua protezione, da un legame personale di servizio:
la situazione iniziale era quella del "vero mondo feudale", caratterizzato da obbligazione, semplicità del titolo alla terra,
discrezione, e un controllo signorile quasi assoluto. La vera società feudale non aveva nozione del diritto alla proprietà,
solo di mutue obbligazioni. La terra era goduta - non posseduta - in cambio di servizi. Se i servizi non erano forniti il
tenutario sarebbe stato espulso: la terra sarebbe tornata nelle mani del signore [escheat]. Se il tenutario avesse subito
una minaccia esterna era obbligo del signore, non dello stato, mantenerlo in possesso. Il diritto del tenutario era così un
diritto nei confronti di un individuo, non un diritto di proprietà valido nei confronti del resto del mondo. Il "titolo" alla
terra del tenutario, se così può essere chiamato, derivava solo dall'accettazione del signore. Tale accettazione era
mostrata da parte del signore accettando l'omaggio dell'uomo mettendolo in possesso della terra. Di lì in avanti erano
strettamente legati l'uno all'altro; nessun intervento esterno ordinario poteva rompere tale legame [Palmer 1981: 1134-
1135].
L'omaggio, in termini di proprietà feudale, assume pertanto rilevanza legale. Non sanciva soltanto
un vincolo di fedeltà tra due individui, ma costituiva l'unico titolo valido al possesso del tenutario.
Tramite l'omaggio, a meno che diversamente specificato, il signore era tenuto implicitamente (cioè
in assenza di una carta di infeudazione contenente una esplicita clausola di garanzia) a garantire il
possedimento del proprio tenutario [Bailey 1945: 278-279]. Secondo Bracton18
l'omaggio è un legame di diritto (vinculum iuris) tramite il quale una persona è tenuta e obbligata a garantire [warrant],
difendere e assolvere il tenutario nel suo possesso [in his seisin] rispetto a tutti gli altri, in cambio di un certo servizio
(per certum servicium) nominato ed espresso nel dono, e vice versa col quale il tenutario è "realmente" obbligato (re
obligatur) a rispettare la fedeltà al suo signore e rendere il servizio dovuto; e tale è il legame di omaggio tra un signore e
un tenutario che il signore deve tanto al tenutario quanto il tenutario deve al signore, salva la sola reverenza [Pollock e
Maitland 2010a: 318].
La differenza con un diritto di proprietà astratto risiede nel fatto che tale garanzia, prima dello
sviluppo e l'estensione della giustizia regia e dei suoi rimedi, era valida nella corte del proprio
signore. Non solo tale corte era l'unica corte disponibile per far valere il proprio titolo a un
possedimento (tranne nei casi in cui la causa fosse rivolta contro il signore stesso, nel qual caso la
corte competente sarebbe stata quella del lord superiore a entrambi [ivi: 620]), ma i propri giudizi
erano finali. Quello che contava era se il signore e la sua corte, in caso di disputa, avrebbero
garantito effettivamente il titolo. Pur contando il costume e il precedente nei pronunciamenti
18
Henry de Bracton è il giudice, attivo negli anni '40 e '50 del XIII secolo, a cui è attribuito il trattato De legibus et
consuetudinibus Angliae, raccolta della giurisprudenza della corte di giustizia regia dell'epoca e cioè della nascente
Common law [Baker 2007: 176].
82
giudiziari, il possesso, la seisin, l'accettazione del tenutario da parte del signore era l'unico fatto che
contasse realmente [Baker 2007: 231]. La signoria era un ordine autonomo e sovrano all'interno
della propria sfera: «in tale mondo, è nella corte del signore che i diritti sono creati, esistono, e
possono essere terminati; e una decisione di tale corte, relativa all'ammissione di un erede o alla
sanzione di un passaggio di proprietà o alla decisione relativa a una disputa, sarà finale» [Milsom
1976: 183]. I signori e le proprie corti avevano poteri intrinseci, ma, essendo sovrane, non esisteva
alcuna sanzione esterna in caso questi fossero stati esercitati senza soddisfare i requisiti
consuetudinari [ivi: 36]. Se lo stato, oggi, costituisce la sanzione finale di ogni diritto di proprietà,
laddove la sovranità era delegata a una corte signorile tale corte forniva l'unica sanzione dei diritti
di proprietà che potesse esistere, e pertanto tali diritti erano modellati sugli interessi e i rapporti di
forza sottostanti alle relazioni tra i membri della stessa. La garanzia del possesso derivava non
soltanto dal rapporto di fedeltà bilaterale, essendo dovere del signore la difesa del possesso del
tenutario, ma, essendo il rapporto l'unica garanzia nei confronti del resto del mondo, anche dal
potere relativo del lord. Anche in questo senso "doveva essere conveniente avere un signore", se
inteso nel senso di avere un signore in grado, fisicamente, di garantire il possesso: «felice era
dunque il tenutario che poteva dire a qualsiasi ricorrente avverso: -"Intentami causa se vuoi, ma
ricorda che dietro di me troverai il conte o l'abate". Una simile risposta sarebbe stata spesso
conclusiva» [Pollock e Maitland 2010a: 324].
Il passaggio di possesso, da lord a tenant, prima della generalizzazione dell'atto scritto verso la fine
del XII secolo e soprattutto per i possedimenti laici, era di norma orale [Hyams 1987: 455]. La
cerimonia di omaggio era importante soprattutto perché costituiva un atto pubblico: alla stessa
attendeva l'intera corte del signore. La sicurezza del titolo derivava dalla memoria dell'evento
diffusa nella comunità signorile o, più in generale, nella comunità circostante, la centena e la
contea. Un passaggio di terra da A a B richiedeva due elementi distinti. Da una parte doveva essere
resa esplicita ai testimoni (di solito i vicini delle parti in causa, appartenenti allo stesso distretto,
centena o contea che fosse) la volontà del donatore di concedere un possedimento al donatario:
questo poteva avvenire a voce, o essere registrato in un documento scritto. Dall'altra, era necessario
che il donatario prendesse effettivamente possesso della terra donata: la semplice testimonianza
della volontà del donatore senza presa di possesso effettivo costituiva il passaggio di un diritto
incompleto [Thorne 1936: 345]. Il passaggio effettivo avveniva tramite la cerimonia di livery of
seisin ("consegna della seisin", cioè del possesso): anticamente questo comportava che le due parti
alla transazione si trovassero sul terreno in questione, attorniati da testimoni, e che il donatore
simboleggiasse il passaggio di possesso tramite la consegna al donatario di un oggetto appartenente
al terreno, come una zolla di terra [Pollock e Maitland 2010b: 86-87]. Entro il XII secolo tale
83
cerimonia "reale" fu sostituita da una cerimonia fittizia, non necessariamente svolta sul
possedimento o in vista dello stesso, e implicante uno scambio di oggetti simbolici, non
necessariamente appartenenti al terreno in questione [Thorne 1936: 364]. Con lo sviluppo delle corti
feudali e la crescente giurisdizione delle stesse sulle transazioni in terra, la comunità rilevante ai fini
della prova del possesso di un tenutario diventava quindi quella signorile: «un trasferimento di terra
pubblico e simbolico a conoscenza di tutti i testimoni all'atto, e che, se contestato, verrebbe vagliato
nella corte signorile alla presenza dei membri della stessa [suitors] che erano stati testimoni,
considererebbe superflua la richiesta che il dono fosse accompagnato dall'effettivo trasferimento di
possesso» [ivi: 356].
Il costume feudale si aspettava che un signore, conferendo un possesso di terra a un tenutario, fosse
moralmente obbligato a garantirlo. Tale garanzia implicava due impegni: uno positivo, relativo alla
protezione del proprio tenutario rispetto a eventuali rivendicazioni del possedimento da parte di
terze parti; uno negativo, relativo alla possibilità di un futuro ripensamento da parte del signore
stesso [Hyams 1987: 440]. La promessa di garanzia però, scritta od orale che fosse, semplicemente
esprimeva un impegno da parte del signore e non già un obbligo legale [ivi: 451]. Fino a XII secolo
inoltrato, in un'era così dipendente dalla memoria orale, i signori e la loro corte avevano maggiore
spazio di manovra nell'interpretare, o modificare, le proprie promesse:
credere che gli uomini si sentissero irrevocabilmente obbligati da ogni concessione di terra fatta in passato è credere in
un mondo senza peccato. Renderebbe la garanzia un'obbligazione fin troppo meccanica rispetto alla dura società del XII
secolo con la sua memoria largamente orale. La complessa politica del mondo signorile senza ombra di dubbio
accettava l'estromissione di un tenutario accettato in passato per ogni tipo di ragione, senza escludere la necessità di fare
nuove concessioni della terra precedentemente data a uomini ora caduti in disfavore [ivi: 464].
Un comportamento capriccioso da parte del signore non era, salvo in periodi di disordine in cui le
alleanze e la scelta dei seguaci erano quanto mai precarie e soggette a cambiamento, la regola. Un
comportamento corretto tra signore e tenutario era punto di onore del rapporto e costituiva, come
già rimarcato, il legame alla base dell'ordine sociale. Dispute relative al possesso sorgevano però
senza dubbio laddove i signori accettavano, inavvertitamente o disonestamente, l'omaggio di uomini
diversi per lo stesso possedimento di terra [Baker 2007: 229]. Il più delle volte la questione veniva
risolta all'interno della corte signorile (che era una unità politica oltre che giurisdizionale: le
considerazioni alla base della decisione potevano essere fondate tanto su questioni di convenienza
quanto di costume o diritto), offrendo al tenutario che aveva effettuato l'omaggio per un
possedimento già assegnato un possedimento di pari valore preso dalla riserva signorile
(escambium). Anche qui, però, la compensazione non costituiva un obbligo legale (per quanto, a
84
seconda dei casi, la consuetudine poteva risultare vincolante in maggiore o minore forza), quanto
piuttosto una rivendicazione morale tesa a sollecitare la garanzia fornita dal lord all'atto di
conferimento del possedimento [Hyams 1987: 465]. Tale tipo di dispute costituiranno l'oggetto
della crescente interferenza della giustizia regia e della Common law nella giurisdizione signorile
nel XII e XIII secolo, da cui sorgeranno i diritti di proprietà astratti moderni, oggetto di trattazione
del capitolo III.
2.2.2. La tenure feudale
E' necessario ora chiarire meglio i termini del contratto feudale standard tramite il quale l'intera
terra del regno era distribuita tra i diversi soggetti. La lunga catena feudale che dal re portava fino
all'ultimo tenutario creava una serie di anelli, dove ogni anello era costituito da una relazione
personale tra due individui. Il signore che concede terra a un tenutario è detto detenerla in servizio
(in service): la concessione di terra gli conferisce dei diritti sulla stessa, ma ne viene a cadere il
possesso diretto. Ciò che effettivamente il signore viene a possedere sono i servizi forniti del
tenutario stipulati all'atto della concessione. Come già accennato, chi possiede invece terra
direttamente (cioè, non la concede a terzi in cambio di un determinato servizio) è detto detenere tale
terra in demesne: i diritti relativi a tale porzione ammontano a un diritto generale a utilizzarla
secondo i propri desideri [Pollock e Maitland 2010a: 247-251]. Il contratto feudale costituisce
pertanto un complesso interscambio di diritti personali e diritti reali: «da una parte, il signore ha
diritti nei confronti del suo tenutario, il tenutario diritti nei confronti del suo signore: il tenutario
deve servizio al suo signore, il signore, almeno di regola, deve difesa e garanzia al suo tenutario.
Dall'altra parte, sia il signore che il tenutario hanno diritti sulla terra, sul possedimento, l'oggetto
della tenure» [ivi: 251]. Sullo stesso appezzamento di terra gravano una serie di diritti derivanti
dall'intrecciarsi delle diverse relazioni feudali: si può dire che più persone possiedono lo stesso
tratto di terra, se inteso nel senso che più persone possono far valere dei diritti su una parte dei
servizi o profitti derivanti da una singola porzione di territorio. A esempio, se il re (K) concede una
grossa baronia a un tenutario della corona A in cambio del servizio di quaranta cavalieri, tale è
l'ammontare del servizio associato al possedimento. A può, però, entrare in successivi rapporti di
scambio con B (il quale può entrare a sua volta in rapporti di scambio con C, D e così via), e i
contratti di infeudazione possono essere fatti per tipologie di servizio differenti rispetto alla
originaria fornitura di cavalieri (a esempio A può sub-infeudare B in cambio di una rendita
monetaria, o in cambio di una rendita e di una porzione dei cavalieri dovuti a K). Resta, però, il
dovere da parte di A di garantire il servizio inizialmente pattuito a K. Il servizio stipulato in un
qualsiasi contratto feudale tra A e B era detto intrinseco (intrinsic), e i suoi termini erano materia di
85
contrattazione diretta tra le parti. Il servizio dovuto a K e gravante sul possedimento di A, invece,
era, rispetto al servizio pattuito tra A e B, detto estrinseco (forinsec): era, cioè, esterno al rapporto
tra A e B (gravava sull'intero possedimento di A), ma interno al rapporto tra A e K. Nondimeno, si
trattava di una parte dello stesso servizio che in definitiva andava reso a K. Lo stesso possedimento,
pertanto, era gravato da una catena di diritti: la somma del valore dei successivi contratti di servizio
intrinseci doveva, almeno in teoria, eguagliare il servizio intrinseco del tenutario A nei confronti di
K. Le modalità con cui il servizio complessivo era reso non erano importanti, finché fosse stato reso
nella sua interezza. In caso di mancanze da parte di A era diritto di K prendere provvedimenti per
assicurarsi il pattuito, a esempio requisendo le proprietà personali presenti sul possedimento
garantito ad A: in tale possedimento, però, si sarebbero trovate di norma le proprietà personali di B,
C e D. Questi avrebbero dovuto rivalersi su A, e non su K, dal momento che quest'ultimo aveva
tutto il diritto di difendere i termini del proprio contratto nei confronti di A, indipendentemente dai
rapporti di A con B, C e D [ivi: 252-253]. L'esclusività e personalità dei diritti della proprietà
assoluta resta pressoché sconosciuta alla struttura dei diritti di proprietà feudale.
Il contratto di «tenure non era in origine, in alcun modo, un concetto legale, ma un fatto sociale, o
un insieme di assunti comuni: uno stato di cose oltre ogni precisa definizione legale» [Baker 2007:
224]. La volontà continuativa delle parti ne costituiva il fondamento e così, come il più antico
rapporto di omaggio, secondo i costumi feudali il contratto restava valido finché durava la vita (e la
fedeltà) delle due controparti. Come riassunto da Samuel Thorne,
secondo la teoria feudale, un feudo era conferito a un vassallo in cambio del suo omaggio e del suo servizio. Doveva
provvedere al suo mantenimento e dargli i mezzi per fornire il suo signore dei servizi dovuti. Così, era suo non per un
termine prestabilito, ma solo finché la relazione personale di vassallaggio, il legame di omaggio tra signore e uomo, che
costituiva il suo titolo, fosse continuata. Quando fosse arrivata a un termine, come succedeva alla morte di una delle due
parti in causa, il suo feudo giungeva a un termine con questo [Thorne 1959: 196].
Essendo l'intero sistema dei diritti di proprietà sulla terra derivante da un rapporto di tenure
condizionale, esprimibile, a tutti i livelli, nella formula "A detiene terra tramite B" (A tenet terram
de B, nella formula latina [Maitland 1908: 153]), il sistema della tenure cercava di accomodare i
molteplici bisogni di servizio alla base della società (economici, giuridici, di difesa, preghiera,
etc...). La terra, in una società non ancora pienamente commercializzata, costituiva la principale
fonte di retribuzione. Le concessioni di terra, pertanto, non potevano che essere relative a servizi
piuttosto diversificati. Verranno quindi descritte le principali forme di concessione libera, mentre le
concessioni servili (che, chiaramente, erano relative alla maggior parte della popolazione, legata
alla coltivazione diretta della terra) verranno analizzate nel paragrafo 2.2.5, distinguendone gli
86
aspetti giuridici ed economici. La classificazione impiegata è il risultato di un lungo percorso di
formalizzazione culminato nella giurisprudenza regia nel XIII secolo (ed è, pertanto, anacronistica
rispetto ai primi due secoli del feudalesimo inglese), ma è utile non di meno per cogliere le
differenze sostanziali (per quanto, in principio, non così nette) tra le diverse tenure venute in essere
dopo la conquista normanna [Denman 1958: 84].
Frankalmoin. La terra detenuta in libera elemosina (questo il significato di Frankalmoin) costituiva
i possedimenti propriamente ecclesiastici. Non era l'unica tenure disponibile agli uomini di chiesa,
che potevano, in quanto individui, o in quanto alla testa di una casa religiosa come un monastero,
occupare terra tramite qualsiasi altro tipo di tenure (i vescovi, a esempio, erano alcuni dei principali
tenutari della corona in Knight's service) [Maitland 1908: 25]. La sua particolarità risiede nel tipo di
servizio incombente sul possedimento, costituito da servizi di carattere eminentemente spirituale
[Denman 1958: 86-87]. Questi potevano essere specificati all'atto del trasferimento, come con
l'obbligo di celebrare una messa in giorni prestabiliti a favore del donatore, o la promessa di
occuparsi in sua vece del sostegno ai poveri: in tal caso la tenure era detta in "servizio divino"
(divine service). I servizi, in alternativa, potevano non essere specificati, semplicemente affermando
all'atto del dono che la terra veniva donata genericamente per la salvezza dell'anima del concedente
(in questo caso si aveva la tenure in frankalmoin vera e propria). Quando un possedimento veniva
accordato in libera elemosina il servizio religioso poteva essere il solo servizio richiesto con l'atto di
trasferimento: in questo caso il dono veniva effettuato in "libere, pure e perpetue elemosine" (free,
pure and perpetual alms). In altri casi il servizio spirituale costituiva la componente principale
dell'accordo, e servizi secolari minori potevano essere stipulati tra il lord secolare e il tenant
spirituale. Chi dovesse occuparsi del servizio estrinseco gravante sul possedimento era materia di
contrattazione tra le parti al dono, e una parte dello stesso poteva venire eseguita dagli uomini di
chiesa beneficiari della concessione (in tal caso si sarebbe parlato semplicemente di dono in "libere
e perpetue elemosine", free and perpetual alms) [Pollock e Maitland 2010a: 254-266]. Il dono del
possedimento non veniva conferito a un individuo specifico, ma solitamente era un dono diretto a
Dio, a un particolare santo o a una particolare chiesa (in altri casi il dono poteva essere fatto a una
categoria non meglio definita, come per i doni agli «zoppi, i ciechi e i lebbrosi» [Denman 1958:
86]). Questo dava origine a una particolarità di non poco conto relativa ai possedimenti
ecclesiastici: essendo la terra detenuta formalmente da un'entità spirituale (o da un ordine religioso,
o da un generico gruppo di uomini bisognoso d'aiuto), e non da un uomo mortale, il suo possesso
non poteva terminare per definizione. Mentre, come verrà approfondito nel paragrafo 2.2.3, alla
morte di un tenutario il signore poteva assicurarsi importanti privilegi economici relativi al suo
possedimento, finché l'erede legittimo non avesse raggiunto la maggiore età, nel caso della terra
87
detenuta in libera elemosina questo non poteva succedere. Il possesso era continuo, e il succedersi
nel tempo dei diversi ecclesiastici alla guida del possedimento non provocava quelle interruzioni
nell'occupazione del suolo fonte di lauti profitti nel caso delle tenure laiche [Bean 1968: 43]. Nel
caso dei doni a entità ecclesiastiche troviamo in nuce il concetto di corporazione, dotata in qualche
modo di personalità giuridica: il possesso era attribuito alla corporazione e non ai singoli
componenti, ed era il suo carattere di persona fittizia (persona ficta) che le conferiva l'attributo
dell'immortalità, in grado di proteggerla dalle esazioni che ricadevano sui comuni mortali all'atto
del loro trapasso. Da questo derivavano i privilegi unici che finirono per definire la tipica proprietà
ecclesiastica: «i doni alle corporazioni - per la maggior parte case religiose - sono sempre stati
dannosi per i signori feudali, dal momento in cui le corporazioni erano immortali e non avevano
eredi. Un dono a una corporazione significava mettere la proprietà in una mano morta, una
"alienazione in manomorta" [mortmain]» [Baker 2007: 241].
Knight's service. Le tenure militari costituivano la maggior parte delle terre detenute in concessione
dal re, e, pertanto, al primo livello della catena feudale, costituivano la maggior parte delle terre
inglesi [Maitland 1908: 26]. Come già detto, nel primo secolo del feudalesimo inglese (1066-1166)
costituivano la riserva da cui veniva reclutata l'armata feudale propriamente detta. I tenants in chief
di norma detenevano i loro possedimenti tramite tale tipo di servizio. In generale, chiunque fosse
soggetto a tale tipo di tenure doveva provvedere al proprio signore (che fosse il re o un mesne lord)
un determinato numero di cavalieri, il cui ammontare variava a seconda delle dimensioni del
possedimento e alle specifiche contrattate tra le parti (non esistendo una stretta equivalenza tra
estensione e valore dei possedimenti e un certo numero di unità di cavalleria). L'unità di base era
costituita dal servizio di un cavaliere: questo implicava la fornitura di un soldato a cavallo
interamente armato, pronto a servire nell'armata del re per un periodo di quaranta giorni in un anno,
interamente a spese del tenutario (in caso il servizio fosse durato per un periodo maggiore, come
spesso accadeva, sarebbe stato compito del re coprire le spese aggiuntive) [Pollock e Maitland
2010a: 266-270]. I diversi feudi sopportavano diversi carichi: esistevano feudi tenuti a fornire un
grande numero di cavalieri, mentre esistevano feudi più piccoli obbligati a fornirne solo una
frazione (il frazionamento in sub-unità più piccole derivante dal processo di sub-infeudazione). A
esempio, un feudo da mezzo cavaliere poteva essere tenuto a fornire un sergente o coadiuvante (due
sergenti costituendo l'equivalente di un cavaliere), oppure due tenant assegnatari di un feudo da
mezzo cavaliere l'uno dallo stesso lord erano tenuti a cooperare alla fornitura di un cavaliere intero
[Stenton 1932: 170]. Esistevano anche suddivisioni più minute, a esempio feudi da un terzo, un
sesto o addirittura un ventesimo di cavaliere. Questa apparente stranezza deriva dal fatto che le
concessioni militari più piccole vedevano di fatto commutata la frazione di servizio dovuto in una
88
esazione in denaro corrispondente alla frazione del costo di un cavaliere nell'armata reale: tale
pagamento era detto scutage [Pollock e Maitland 2010a: 271-272]. I tenutari della corona dotati di
ampi possedimenti, solitamente tenuti alla fornitura di un ingente numero di cavalieri, invece, erano
detti in possesso di un "onore" o di una "baronia". La loro terra era tenuta a produrre il numero di
cavalieri richiesti, comunque raccolti (per quanto di norma tramite sub-infeudazione in Knight's
service), e lo stesso barone era tenuto, salvo particolari eccezioni, a servire in persona (il suo
servizio contando come quello di un cavaliere) [ivi: 275-278]. I doveri di un cavaliere tra l'XI e XII
secolo erano in realtà più ampi di quanto la netta classificazione di Bracton del XIII secolo potrebbe
far credere. Un filo rosso collega lo status del thegn anglo-sassone, e il suo carico di doveri pubblici
(a cui si è accennato nel paragrafo 2.1), alla tenure in knight's service propriamente detta. Un
signore si aspettava dal suo cavaliere una serie di servizi pertinenti alla sua posizione: servizio
nell'esercito, servizio di guardia al castello, scutage, scorta armata per gli spostamenti del signore e
servizi e opere pubbliche varie pertinenti al dovere di soldato, come le opere di riparazione dei
castelli sotto il controllo del lord (exercitu et warda et scutagio et equitatione et opere et omni
servitio quod ad militem pertinet), di cui solo i primi due, strettamente parlando, costituivano la
specificità della concessione di terra in servizio militare [Stenton 1932: 171]. Tale tenure era perciò
un contratto flessibile, tramite cui il signore poteva accomodare al meglio i propri bisogni: «al di là
dell'expeditio [il servizio militare nell'armata reale], tutti i servizi della lista potevano essere
combinati nel XII secolo a discrezione del signore, che era perfettamente libero di associare ognuno
di questi a una infeudazione per la quale il principale ritorno era una rendita in moneta» [ibidem].
Pur essendo la cavalleria la base politica e militare del sistema feudale, e pur essendo l'armata
feudale ancora nel XIII secolo una armata effettiva a disposizione del re, la sua convocazione e il
suo utilizzo erano tutt'altro che semplici, soprattutto laddove le necessità militari erano durature nel
tempo. Dalla fine dell'XI secolo si diffuse perciò l'utilizzo saltuario dello scutage come
commutazione monetaria del servizio militare personale anche al livello dei tenants in chief
[Stenton 1932: 177-179], dando origine, di fatto, a una forma di feudalesimo più lontana
dall'idealtipo originario (conosciuto come "feudalesimo bastardo" [Baker 2007: 228]), e più simile a
un sistema fiscale moderno, tramite il quale il re poteva ottenere le risorse con cui assoldare
un'armata composta in larga parte da mercenari19
[Bean 1968: 6].
Serjeanty. La tenure in serjeanty (termine implicante genericamente la fornitura di un servizio) era
utilizzata per accomodare diverse situazioni che non corrispondessero chiaramente al servizio di
cavalleria o alla tenure in socage. La varietà di servizi dovuti sotto tale concessione era ampia: «la
19
La Guerra dei cent'anni, combattuta a cavallo tra il XIV e il XV secolo tra i sovrani inglesi e francesi, fu di grande
importanza nel passaggio a un esercito composto da professionisti [Postan 1942: 7].
89
tenure in serjeanty, come alla fine venne a svilupparsi, includeva molte differenze sociali. Una
dicotomia divise i tenutari effettivamente militari, che erano detti detenere terra in grand serjeanty,
da altri sergenti che, rendendo servizi personali di grande varietà, detenevano terra in petty
serjeanty» [Denman 1958: 85]. Le concessioni in grand serjeanty erano concessioni ottenute
direttamente dal re, e implicavano generi di servizio che, pur di carattere militare, differivano dal
servizio di cavalleria vero e proprio: «il tenutario, in luogo dell'essere tenuto a servire come
cavaliere per quaranta giorni in guerra, era tenuto a provvedere qualche particolare servizio per il re
- portare il suo stendardo, o la sua spada, condurre l'avanguardia o la retroguardia, essere il suo
campione, il luogotenente o il maresciallo della sua armata o simili» [Maitland 1908: 30]. Al di là
degli obblighi prettamente militari, altri serjeant costituivano il personale al servizio della casa
reale. L'ufficio di maggiordomo, di cappellano o di ciambellano erano uffici, spesso ereditari,
accomodati con questo tipo di tenure [Pollock e Maitland 2010a: 299-300]. Gli altri servizi
necessari al buon funzionamento dell'amministrazione regia, svolti direttamente per il re, erano
considerati di petty serjeanty: i tenutari così accomodati «possono essere tenuti a provvedere cose,
come cavalli, frecce o armature per uso militare, vino o cibo per il palazzo del re, pergamena o cera
per la sua burocrazia» [Baker 2007: 227]. Tenures in serjeanty non erano esclusive dei tenutari della
corona e potevano essere concesse anche dai mesne lords: ogni signoria, in qualità di piccolo stato
autonomo, aveva necessità di mantenere una burocrazia funzionante, oltre a un seguito di servitori
che si occupasse delle magioni signorili. Così, per esempio, un tenutario «poteva essere infeudato
come "rodknight", tenuto a cavalcare col suo signore, o poteva essere obbligato a giudicare le cause
pertinenti alla corte del signore, o a portare le sue lettere, o a nutrire i suoi segugi, o a trovare archi e
frecce, o a trasportarli» [Pollock e Maitland 2010a: 302]. Allo stesso modo sergenti di signori
minori potevano essere tenuti a servire direttamente per il re, assolvendo quel servizio estrinseco
che, tramite successive sub-infeudazioni, continuava a gravare sulla terra [ibidem]. Le mansioni
così delineate erano considerate in qualche modo servili, ma, essendo mansioni affidate a uomini
liberi e da svolgersi sotto grandi signori o addirittura per il re, avevano un carattere onorifico: «la
nozione di servitù, libera servitù, opposta a ogni forma di servaggio, sembra essere la nozione che
porta le diverse serjeanties sotto il nome di un'unica classe, e punta a una delle varie fonti di quello
che, nel senso più lato del termine, possiamo chiamare sistema feudale» [Pollock e Maitland 2010a:
304].
Socage. Le tenures in socage costituiscono le concessioni residuali dopo aver tenuto conto delle tre
precedenti: «qualsiasi tenure che da una parte è libera e dall'altra non è spirituale, militare, o "di
servizio", è detta tenure in free socage» [ivi: 308]. Il carattere residuale della concessione copriva
pertanto un ampio numero di situazioni. Un primo tipo di concessione in Socage poteva riservare al
90
signore un servizio semplicemente nominale: non veniva stabilita nessuna rendita o servizio in
favore del concedente, e il legame lord - tenant rimaneva in essere stipulando un servizio simbolico,
come la consegna di una rosa una volta all'anno. In questo modo era possibile stabilire relazioni non
onerose: a esempio, questo poteva essere il modo di donare un terreno a una figlia, retribuire un
compagno per i suoi servizi passati, o mascherare una vera e propria vendita di un terreno in cui una
somma veniva pagata per intero all'atto del trasferimento, liberando la terra da ulteriori servizi. A
questi casi si affiancava un secondo tipo, in cui la terra veniva concessa a un tenutario in cambio di
una rendita monetaria prestabilita. Un terzo tipo di Socage era costituito da contratti misti, in cui il
tenutario, accanto alla rendita monetaria, era tenuto a effettuare alcuni servizi per il signore, di
solito di tipo agricolo (per quanto solitamente non di persona, ma tramite i contadini residenti che
acquisiva col passaggio di proprietà). Infine, troviamo quel tipo di tenure in socage che sfumava
nelle concessioni contadine servili: questo quarto tipo di Socage implicava servizi lavorativi agricoli
personali, solitamente limitati nell'ammontare, accanto a una rendita monetaria e in natura. Detti
tenutari erano conosciuti come sokemen [Pollock e Maitland 2010a: 308-310]. Della stessa radice
della tenure in socage è la tenure in burgage. Questa era tipica dei cittadini residenti nei borghi, che
pagavano al signore della terra una rendita per gli edifici e gli spazi occupati, tipici di un contesto
urbano, analoga a un vero e proprio affitto (per quanto poteva essere accompagnata da lievi servizi
personali) [Denman 1958: 168-170]. La particolarità del burgage risiedeva nel fatto che, oltre al
contratto di tenure costituito da un mero affitto, in genere il signore garantiva ai residenti del borgo
i suoi diritti giurisdizionali e i profitti da questi derivanti. Accanto ad altre concessioni regie, come
il diritto dei borghesi a non essere processati se non nelle proprie corti o il diritto a tenere
regolarmente un mercato o una fiera, queste particolarità resero possibile la nascita dei borghi come
centri autonomi e in larga parte sovrani, entrando a far parte di diritto delle comunità del reame, con
tutti i privilegi che questo comportava (a esempio, oltre a un lato potere di auto-governo, la
possibilità di inviare dei rappresentanti al parlamento, specchio delle communities of the realm)
[Pollock e Maitland 2010a: 312].
2.2.3. Diritti sulla terra e sugli uomini
Il contratto di tenure feudale, in quanto implicante sia un rapporto economico che personale, creava
in capo al signore una serie di diritti nei confronti del proprio tenutario e del suo possedimento.
Questo avveniva a tutti i livelli della società, sia tra i contadini in condizioni servili che tra la
nobiltà e la cavalleria, dal piccolo cavaliere di contea al grande tenutario della corona: «la
dipendenza di un uomo da un altro uomo era una caratteristica centrale del medio evo [...], non vi
era alcun possesso libero [freehold] nel senso in cui lo conosciamo oggi. Il possesso di terra a tutti i
91
livelli della società comportava obbligazioni nei confronti del proprietario terriero e limiti alla
libertà dell'occupante della terra» [Hatcher 1981: 12]. Per quanto riguarda le tenure militari
(Knight's service e Serjeanty), il signore della terra godeva dei cosiddetti sette frutti della cavalleria
(seven fruits of chivalry) [Pollock e Maitland 2010a: 325]. Questi «formavano un corpo di diritti
legali goduti dal signore sulle terre detenute in concessione da lui, rendendogli in una serie di
occasioni una quota delle entrate provenienti dalle terre del suo tenutario» [Bean 1968: 7]. Detti
frutti venivano raccolti, per la maggior parte, alla morte dell'occupante diretto del terreno. Il
servizio principale dovuto al signore restava quello militare, mentre questi diritti, per loro natura,
venivano esercitati solo incidentalmente20
, non costituivano, cioè, la parte essenziale della relazione
feudale, che restava il rapporto di servizio. Ciò non di meno configuravano una lauta fonte di
profitto a favore del signore, oltre a un serio impedimento al godimento di una forma di proprietà
assoluta da parte del tenutario [ivi: 2, 7-8]. In origine costituivano una garanzia per il signore, in
caso di morte del proprio tentant, ai profitti della terra, con cui provvedere personalmente al
servizio dovuto dal possedimento ora vacante: «gli incident sorsero in un mondo in cui il lord era il
compratore. Stava pagando i servizi desiderati tramite un'allocazione di terra; e gli incident
facevano semplicemente sì che la paga fosse a sua disposizione se non vi fosse stato nessuno
immediatamente disponibile a rendere i servizi» [Milsom 1976: 112].
I sette frutti della cavalleria erano composti da escheat, aid, wardship, marriage, tassa di
alienazione, relief e primer seisin. Il diritto all'escheat consisteva nella possibilità, da parte del
signore, di prendere i terreni del proprio tenutario, ed eventualmente aggiungerli alla propria
demesne, in caso questi non avesse lasciato eredi legittimi. Lo stesso accadeva nel caso in cui il
tenutario si fosse reso colpevole di un grave crimine o di tradimento [Bean 1968: 8]. L'aid
consisteva nel diritto consuetudinario a chiedere assistenza al proprio tenant in caso di necessità.
Esazioni di questo tipo occorrevano in situazioni di emergenza, come nel tipico caso in cui il
signore fosse caduto in prigionia durante una campagna militare all'estero, in modo da pagarne il
riscatto, ma anche in situazioni più mondane, a esempio per l'investitura a cavaliere del figlio del
lord o per il matrimonio della sua figlia21
[Denman 1958: 112]. Il diritto di custodia (wardship) e di
matrimonio (marriage) costituivano i due incident più remunerativi per il signore, e più seccanti per
il tenutario e la sua famiglia. Alla morte del tenutario il proprio signore otteneva la custodia della
sua terra e del corpo del suo erede legittimo, fino a che questi non avesse raggiunto la maggiore età
(21 anni per gli uomini, 16 per le donne - a meno che non fossero già state promesse in matrimonio,
20
Sono pertanto conosciuti come incidents of feudal tenure [Bean 1968: 7]. 21
Le esazioni legittime vennero ristrette a questi tre casi con la Magna Carta del 1215. Precedentemente le esazioni
avevano natura più discrezionale e vessatoria [Baker 2007: 238].
92
nel qual caso la custodia durava fino ai 14 anni). Il controllo temporaneo del signore sulla terra era
assoluto: i profitti da questa derivanti erano suoi di diritto, a sostituzione del servizio che avrebbe
dovuto svolgere il tenutario deceduto. La custodia dell'erede e della terra poteva inoltre essere
venduta al migliore offerente, capitalizzando immediatamente i profitti che sarebbero stati raccolti
solo nel tempo22
[Bean 1968: 8]. Il signore otteneva anche il diritto a organizzare il matrimonio
dell'erede minore. Visto che ogni arrangiamento familiare comportava grossi trasferimenti e fusioni
di ricchezze tra i due rami della famiglia, anche tale potere poteva essere lautamente monetizzato,
vendendo il diritto al matrimonio. L'erede poteva rifiutare un matrimonio adeguato, ma in tal caso
avrebbe dovuto compensare il proprio signore dell'occasione di profitto così perduta [Baker 2007:
240]. Data la natura del legame feudale, poi, il signore aveva diritto a richiedere un pagamento dal
proprio tenutario in caso questi avesse richiesto la licenza di alienare il proprio possedimento
tramite sostituzione23
[ivi: 239]. Infine, il lord aveva due diritti più strettamente collegati al rapporto
di omaggio vassallatico, cioè relief e primer seisin. Il relief era un pagamento effettuato dall'erede
legittimo all'atto del suo accesso al possedimento di famiglia [Pollock e Maitland 2010a: 326]. Nel
periodo del primo feudalesimo, quando l'ereditarietà del possedimento non era ancora regola di
legge, il relief costituiva una profferta da parte dell'erede al signore del proprio antenato, atta a
persuaderlo nell'accettarlo come nuovo tenutario. L'esistenza di tale costume rafforza l'ipotesi che
originariamente il feudo era considerato come conferito al proprio vassallo solo per la durata della
sua vita [Thorne 1959: 197; Bean 1968: 10]. Finché tale pagamento non fosse stato effettuato il
signore avrebbe goduto dei profitti della terra, impedendo l'ingresso dell'erede e rimandandone
l'omaggio: non era escluso che la somma richiesta fosse artificiosamente alta in modo da impedire
la successione di un erede considerato inadatto [Baker 2007: 239]. Il diritto di primer seisin, invece,
era esclusivamente prerogativa regia. Conferiva al re il diritto di occupare le terre dei propri tenutari
per il periodo intercorrente tra la morte del proprio tenutario e l'accesso e l'omaggio del suo erede.
Tale diritto risultava particolarmente profittevole in caso l'identità dell'erede fosse stata in disputa, o
nei casi in cui le formalità relative alla livery of seisin avessero subito dei ritardi [Denman 1958:
112].
Le tenures in socage non erano soggette a tutte le limitazioni gravanti sui possedimenti militari. In
quanto non erano concessioni tese a supportare il servizio di un cavaliere o di un sergente erano
22
Il re godeva di un diritto di custodia speciale, la prerogative wardship, che gli consentiva di gestire non solo le terre
conferite ai propri tenants in chief, ma anche le terre che questi avessero eventualmente detenuto in concessione da altri
signori [Bean 1968: 9]. 23
Sulle modalità di alienazione si veda il paragrafo 2.2.4.
93
considerate di inferiore dignità24
: quanto perdevano in dignità, però, guadagnavano in libertà del
possesso. Il tenutario in Socage era libero dallo scutage, esatto nei feudi militari. Inoltre era libero,
in larga parte, dagli aspetti più oppressivi della tenure in cavalleria, cioè dal diritto di wardship e
marriage [Pollock e Maitland 2010a: 311; Denman 1958: 87]. Le tenure spirituali, invece, essendo
conferite a corporazioni che per definizione non cessavano mai di esistere, privavano il signore di
tutti gli incident che di norma gli sarebbero spettati di diritto alla morte del proprio tenutario.
Accanto ai frutti della cavalleria, e in modo che questi potessero essere esatti, i possessori di una
signoria godevano di un ulteriore importante diritto, cioè del potere disciplinare sopra i propri
tenutari. Essendo il feudo concesso in cambio di servizi, il rapporto era valido solo finché tali
servizi venivano forniti. In caso di mancanze da parte del tenutario il lord poteva convocarlo
dinnanzi alla propria corte (costituita dagli altri suoi tenutari liberi): veniva, il costume così
imponeva, convocato tre volte. Alla quarta convocazione il signore aveva diritto a prendere in
cauzione le proprietà personali (chattels) presenti sulla terra del tenutario (distraint). A questo
facevano seguito ulteriori convocazioni e, in caso di ulteriore latitanza, la corte poteva dichiarare il
feudo confiscato (forfeited), con la perdita di tutti i diritti derivanti dalla sua concessione (per
quanto, il più delle volte, in quanto i servizi costituivano un bene prezioso, la confisca era utilizzata
come mezzo per costringere il tenutario a fornire quanto stabilito dal rapporto di vassallaggio in
successive convocazioni della corte). In tal caso il feudo poteva venire riassegnato a un nuovo
feudatario, instaurando una nuova relazione lord - tenant [Milsom 1976: 9]. Il possedimento, entro
la giurisdizione disciplinare, poteva venire confiscato anche per altri motivi: commissione di un
reato (felony), invasione dei terreni personali del signore (purpresture), violenza nei confronti del
lord e quindi rottura del vincolo di fedeltà, mancanze rispetto ai diritti feudali incidenti sulla terra
(incident), incontinenza dell'erede femmina del tenutario o sua concessione in sposa senza consenso
del signore25
[ivi: 11-12, 26; Palmer 1985: 9-10, 21-22].
2.2.4. Limiti alla proprietà assoluta
La proprietà feudale, se intesa in senso puro come presente agli albori del feudalesimo, era ben
lontana dalla proprietà assoluta. Si trattava di un possesso condizionale, condiviso tra signore e
tenutario, e sul quale gravavano diversi diritti appartenenti a diversi soggetti. Verranno quindi
delineate le principali disabilità che differenziavano la tenure feudale dalla moderna proprietà
assoluta, in particolare i limiti all'ereditarietà del feudo, quelli alla possibilità di alienazione, e infine
24
Il possesso in socage derivava di fatto da modalità di tenure inizialmente riscontrabili nei possedimenti contadini più
privilegiati [Pollock e Maitland 2010a: 311]. 25
In questo consisteva, più dettagliatamente, il diritto di escheat.
94
i limiti alla possibilità di dare disposizioni testamentarie in relazione alle proprietà fondiarie. Si farà
riferimento in particolare ai vincoli gravanti sui possedimenti militari, il rapporto di tenure
prevalente nel sistema feudale puro, tralasciando i costumi particolari o tipicamente regionali26
.
Ereditabilità. Alla base del costume feudale, come già ampiamente illustrato, il feudo non era
patrimonio personale del vassallo se non per la durata della sua vita e della sua fedeltà al proprio
signore. In questo senso, nel feudalesimo originario il possedimento del tenutario non discendeva
alla sua morte, di diritto, automaticamente al proprio o ai propri eredi [Bloch 1949: 219]. Essendo
oggetto di scambio nella relazione personale di vassallaggio tra due parti, il feudo, alla morte del
vassallo, tornava nelle mani del signore, per essere riassegnato a un altro vassallo a discrezione del
lord, in modo da suggellare un nuovo rapporto di fedeltà tra signore e tenutario. Il feudo, in origine,
altro non era che un possedimento conferito limitatamente alla durata della vita delle due parti
[Thorne 1959: 196]. L'erede del tenutario
non aveva alcun diritto sulla terra ma meramente una rivendicazione a succedere al proprio predecessore come uomo
feudale del signore, cioè, a che il signore accettasse il suo omaggio e gli riconsegnasse il feudo che aveva sostenuto il
servizio del suo antenato e poteva ora sostenere il suo. Questa era una relazione in cui il signore non era tenuto a
entrare, così come non era obbligato alla concessione del feudo del suo predecessore all'erede [ivi: 196-197].
La stessa cosa valeva in caso di morte del signore durante la vita del tenutario: l'omaggio tra i due
veniva a un termine, e il nuovo signore della terra (accettato discrezionalmente, a sua volta, dal
proprio signore) non era tenuto ad accettare il vassallo precedente come proprio uomo [ivi: 197].
Nonostante questo, e pur non essendo una regola di legge, «il signore, comunque, di norma voleva
l'erede ad ogni modo: era disponibile, leale e familiare. La lealtà può essere trasmessa tra le
generazione facilmente quanto può esserlo la terra» [Palmer 1985: 6]. Era una consuetudine
vantaggiosa l'accettare un membro della famiglia come nuovo tenutario alla morte del precedente
vassallo. Solitamente il prescelto era il primogenito: ciononostante, il candidato doveva apparire in
grado di soddisfare le necessità, militari e di servizio, del signore. Un fratello più giovane poteva
essere preferito al primogenito senza ulteriori discussioni, se considerato più adatto [ibidem]. Allo
stesso modo, prima che le stringenti regole della Common law stabilissero, in linea generale27
, il
prevalente diritto del primogenito maschio alla successione, all'interno della comunità signorile non
26
A esempio il costume Borough english, che conferiva l'eredità all'ultimogenito, o il Gavelkind, diffuso nel Kent e
nell'Inghilterra orientale, che permetteva una ripartizione dell'eredità tra i figli [Pollock e Maitland 2010b: 284-293], o i
vari costumi dei borghi, che lasciavano una certa libertà di alienazione, nomina dell'erede e possibilità di lasciare
disposizioni testamentarie relative alle proprietà fondiarie [Pollock e Maitland 2010a: 678-679]. 27
Le regole di Common law relative alla successione entravano in gioco in caso non fosse possibile far valere un
costume locale stabilito da tempo immemore. Se, però, l'esistenza di un costume particolare fosse stata accertata, tale
costume veniva garantito e applicato dalle corti regali [Baker 2007: 255-256].
95
era escluso che il vassallo potesse scegliere il proprio erede. Finché la corte feudale era l'unico
tribunale disponibile, arrangiamenti di questo tipo erano possibili: il consenso delle parti in causa,
del signore e della sua corte, era, in definitiva, quanto contava realmente [Milsom 1976: 109]. Le
prime carte di infeudazione di epoca normanna non contenevano parole che indicassero un diritto, o
un'obbligazione personale, relativa alla successione dell'erede del vassallo [Thorne 1959: 196].
Entro la prima metà del XII secolo, però, divenne consuetudine conferire un feudo non al solo
vassallo per la durata della vita, ma al vassallo e ai suoi eredi, specificando la clausola nella carta di
infeudazione. Lungi dal conferire una forma di proprietà assoluta, quindi ereditabile,
«l'interpretazione originale di tali parole non era che il lord stava conferendo una forma di proprietà
perpetua al tenant [...], ma che stava promettendo, per proprio conto e dei suoi eredi, un obbligo ad
ammettere l'erede del tenutario (e forse gli eredi dell'erede, a loro volta) a rendere omaggio e
succedere alla terra» [Baker 2007: 260]. Il possedimento non discendeva perciò all'erede
direttamente dal proprio predecessore come patrimonio familiare, anche nel caso in cui il signore
era tenuto secondo i termini della carta di infeudazione ad accettarlo, ma da un nuovo dono, o da
una conferma della situazione in essere prima della morte del precedente vassallo da parte del
signore. Questo conferiva un diritto semi-proprietario all'erede, valido però, come spiegato nel
paragrafo 2.2.1, all'interno della corte signorile di riferimento, in caso fosse disposta a mantenerlo
[Thorne 1959: 198-200]. La messa in seisin e l'accettazione dell'omaggio dell'erede, atti
inestricabilmente connessi, erano sempre alla base di un dono di terra, e non di un passaggio di un
titolo astratto di proprietà regolato da principi legali generali: «per quanto regolare la successione
sia stata di fatto, e per quanto potente il costume vincolante il signore a fare una nuova concessione,
era sempre solo tramite una concessione da parte del signore che ogni erede aveva accesso. Prima
che fosse fatta, l'erede non poteva pensare sé stesso come "proprietario"» [Milsom 1976: 170]. In
ogni caso, dal momento che il riconoscimento del signore costituiva la garanzia più valida al
possesso, come nota Frank Stenton, «anche se la quasi totalità delle più antiche carte di
infeudazione che possediamo erano conferite a un tenutario e ai suoi eredi, era evidentemente
saggio per un erede, all'atto della sua successione, ottenere dal suo signore una nuova carta che gli
restituiva o confermava la terra di suo padre» [Stenton 1932: 161].
Alienabilità. Il sistema feudale come tipo puro non permetteva la possibilità di alienazione dei
propri possedimenti senza riserve. La catena feudale, costituita da successive sub-infeudazioni a
partire dal sovrano, definiva innanzitutto una gerarchia militare, mobilitabile a richiesta del re, che
implicava stretti rapporti di fedeltà tra le due parti costituenti i diversi anelli, fondati su un rapporto
di servizio rigido, le quali obbligazioni reciproche potevano essere fatte valere in momenti di
necessità e urgenza (a esempio, nel caso di una campagna militare, o nel caso di necessità di
96
protezione e assistenza da parte dei propri uomini o del proprio signore). Prima della tramutazione
del sistema feudale, a carattere prevalentemente militare, in un sistema principalmente fiscale, era
naturale che la relazione lord - tenant implicasse una scelta accurata del proprio uomo da parte del
signore. L'alienazione libera del feudo avrebbe implicato l'imposizione al lord di un nuovo tenant
che, pur gravato dagli stessi obblighi di servizio del precedente, era estraneo alla relazione
originaria intimamente personale e fondata sulla fedeltà tra uomo e uomo: «certamente sarebbe
andato contro l'essenza dello spirito del legame feudale il permettere unilateralmente a un tenutario
di sostituire qualcun'altro al suo posto; il beneficiario sarebbe stato un completo estraneo per il
signore, e non avrebbe potuto diventare un tenutario senza che il signore l'avesse ricevuto come suo
uomo» [Baker 2007: 260]. La comunità signorile, di conseguenza, era una comunità chiusa, dove i
legami forti (implicati dall'omaggio vassallatico) dominavano sui legami deboli (implicati dagli
scambi di mercato)28
. Una simile struttura di diritti di proprietà può derivare dalla necessità, dettata
dagli obblighi di servizio militare, di evitare che i legami forti, costituenti l'ordine all'interno delle
cellule signorili, venissero sostituiti da quelli deboli in caso di ripetuto scambio dei possedimenti
tendente a spezzare i vincoli di omaggio e fedeltà [Ellickson 1993: 1376]. Il mantenimento di
questo tipo di ordine
richiede l'escludere gli estranei dall'azione collettiva e aiuta a spiegare i limiti alla trasferibilità dei diritti di proprietà. I
diritti di usufrutto [di cui la tenure feudale può essere un esempio] possono essere razionalizzati in questo contesto.
Questi diritti danno al possessore il diritto a usare una risorsa e coglierne gli introiti, ma non ne permettono la
trasferibilità a membri al di fuori del collettivo. In una società che dipende da valori condivisi e interazioni ripetute
come meccanismo di mantenimento dell'ordine, sarebbe dannoso il permettere ai membri di quella società di trasferire
diritti a volontà. Tale trasferimento potrebbe permettere a nuove persone di diventare membri del gruppo senza un
condizionamento sociale appropriato e potrebbe distruggere il consenso sociale riguardante la giusta distribuzione dei
diritti [Anderson e Hill 2003: 137].
Il costume feudale implicava che la struttura dei diritti relativi alla terra fosse costituita e mantenuta
all'interno della corte signorile: «qualsiasi riassetto dei diritti richiedeva l'accettazione del signore e
della comunità entro cui tali diritti esistevano» [Milsom 1976: 105]. Questo, non di meno, anche nel
feudalesimo originario, non implicava una assoluta assenza di scambi di terra. Implicava, invece, un
controllo signorile piuttosto ampio sulle possibilità di alienazione dei propri tenutari. I principali
metodi di alienazioni esistenti erano due: sub-infeudazione e sostituzione. Sub-infeudare un nuovo
tenutario, diventandone il signore, così aggiungendo un nuovo anello alla catena feudale,
equivaleva all'alienazione a terzi di una parte del proprio possedimento, in cambio di un
28
Seguendo Mark Granovetter, «la forza di un legame è una combinazione (probabilmente lineare) dell'ammontare di
tempo, dell'intensità emozionale, dell'intimità (fiducia reciproca), e dei servizi reciproci che caratterizzano il legame»
[Granovetter 1973: 1361].
97
corrispettivo (in servizi, in natura, in moneta, in preghiera, ecc...). Non è chiaro se il consenso del
signore A fosse strettamente necessario laddove il tenutario B volesse sub-infeudare il tenutario C:
sembra, anzi, che questo tipo di alienazione fosse per la maggior parte libero. La relazione
personale tra A e B non veniva infatti toccata in questo caso: i servizi dovuti da B restavano gli
stessi, ed era cura di B organizzare il proprio possedimento in modo che fossero resi al meglio,
anche dotandosi di una corte di propri tenutari secondo determinati obblighi di servizio [Baker
2007: 261]. Non sembra vi fosse un principio generale che regolasse le alienazioni tramite sub-
infeudazione: casi particolari, che davano origine a particolari problemi, venivano gestiti nella corte
del signore A. In particolare, le sub-infeudazioni alle casate religiose erano guardate con sospetto,
dal momento in cui, essendo il servizio concordato di natura eminentemente spirituale, questo
riduceva la capacità del tenutario B nel rendere appieno i propri servizi ad A. In questo caso il
consenso alla sub-infeudazione della corte del lord A era considerato necessario [Milsom 1976:
117-119].
Diverso è il discorso per le alienazioni tramite sostituzione. Il metodo della sostituzione richiedeva
che il tenant B, detentore della propria concessione di terra tramite il signore A, conferisse il
proprio possedimento (o parte dello stesso) al tenant C, che a sua volta avrebbe detenuto la propria
concessione dal signore A. Questo equivaleva al separarsi definitivamente, da parte di B, dal
proprio possedimento. Il tenutario C veniva ad assumere quindi la posizione di B, subentrando allo
stesso rapporto di servizio: cambiava l'occupante della terra, ma i termini del rapporto feudale
rimanevano gli stessi. C sostituiva B come tenutario di A [Bean 1968: 40]. E' evidente come tale
tipo di trasferimento fosse possibile solo una volta ottenuto l'assenso del signore e quindi il suo
impegno ad accettare come proprio uomo il nuovo tenutario. Una libera alienazione del feudo
poteva risultare seriamente pregiudizievole per gli interessi signorili:
se un nuovo tenutario è sostituito per uno vecchio, un povero può prendere il posto di un ricco, un disonesto quello di
un onesto, un nemico quello di un amico, e il solenne legame di omaggio sarà ben flebile se il vassallo possiede
liberamente il potere di mettere un altro uomo al suo posto. Se la sostituzione riguarda solo una parte del possedimento,
il signore può soffrire in un altro modo, e difficilmente si può supporre che possa essere obbligato a una suddivisione
del servizio effettuato senza il suo concorso, così che invece di essere in grado di badare a un uomo e sei hides29
per il
suo scutage o affitto, possa essere costretto a badare a un uomo e quattro hides per due terzi dello stesso, a un altro
uomo e due hides per il residuo [Pollock e Maitland 2010a: 349].
Dal momento che il legame feudale era bilaterale, non era considerato legittimo da parte di un
signore l'alienare la propria signoria costringendo il vassallo a presentare omaggio a un nuovo lord.
29
La hide era una unità di misura consuetudinaria che corrispondeva a 120 acri (un acro corrispondendo a 4.046,86
metri quadrati o a 0,4 ettari) [Homans 1970: 73-75].
98
Ma, mentre il vassallo non poteva essere obbligato a rendere omaggio, in caso avesse presentato
validi motivi per non farlo (a esempio ventilando l'inimicizia del nuovo signore, o la sua povertà e
quindi minore capacità di garanzia del possedimento), i suoi servizi erano trasmissibili al suo nuovo
signore [Baker 2007: 261]. L'omaggio era analiticamente distinto dal possesso, dalla seisin, per
quanto nel tipo puro di feudalesimo questi fossero inestricabilmente connessi: il possesso dei servizi
del tenutario C (inizialmente detenuto da B) poteva essere garantito al lord A da parte del lord B,
pur in assenza di un esplicito omaggio di C nei confronti di A. Questo processo era detto
attornment, stante a indicare il passaggio di un tenutario dal vincolo feudale con un signore a quello
con un altro [Pollock e Maitland 2010a: 367-368].
Oltre alle restrizioni riguardo alle modalità del trasferimento, dall'immediato post-conquista fino ai
tempi di Glanville30
vi era una distinzione importante tra le porzioni di terra componenti il possesso
di un vassallo. I suoi possedimenti venivano considerati diversamente, a seconda che fossero
costituiti da un possesso ereditato (considerato patrimonio familiare), oppure da terreni ottenuti
tramite acquisizione (a esempio territori conquistati o ricevuti durante la vita del vassallo). Mentre
le acquisizioni, pur entro i limiti di cui sopra, potevano essere alienate secondo la volontà del
vassallo, i patrimoni ereditati erano considerati de facto proprietà di famiglia. In questo caso una
loro eventuale alienazione poteva risultare più sicura se effettuata col consenso dell'erede
designato31
[Holt 1972: 12-13]. Il possesso di un feudo trasmissibile, in principio, agli eredi, veniva
spesso creato all'atto del primo passaggio dello stesso a un erede: questo creava un precedente, che
di norma veniva riconosciuto e confermato nella carta di infeudazione, specificando così la natura
ereditabile del possedimento. Le terre del genitore che discendevano al successore, che si trattasse
di patrimonio o acquisizione, si trasformavano in un patrimonio unificato, a sua volta interamente
soggetto al consenso dell'erede in caso di alienazione [ivi: 40]. Allo stesso modo non era
considerato lecito, da parte di un vassallo, separarsi interamente dalla totalità dei suoi possedimenti,
di fatto diseredando l'erede legittimo, nel caso i propri possessi fossero costituiti interamente da
acquisizioni [Pollock e Maitland 2010b: 323].
Si è già parlato del costume di inserire clausole relative all'ereditabilità dei feudi nelle carte di
infeudazione. Un altro caso tipico consisteva nell'inserire nella carta termini relativi all'alienabilità
dello stesso. In questo caso il possedimento non veniva semplicemente conferito "ad A e ai suoi
eredi", ma "ad A, ai suoi eredi e ai suoi assegnatari". Questo implicava che il lord si ritenesse
30
Ranulf de Glanville, giudice reale, è considerato l'autore del trattato omonimo, scritto intorno al 1187-1189, raccolta
della giurisprudenza della corte regale dell'epoca [Baker 2007: 175-176]. 31
Il consenso dell'erede designato, da costume inteso ad assicurare una certa stabilità del possesso in caso di morte del
concedente originario, tenderà a divenire obbligatorio con lo sviluppo e l'interferenza della prima giurisprudenza regia
sotto Henry II, rivolta sempre più favorevolmente ai diritti dell'erede legittimo [Milsom 1976: 109].
99
obbligato a garantire non soltanto la successione degli eredi di A, ma anche il possesso di eventuali
concessionari a cui A avesse deciso di conferire il possedimento tramite sostituzione [Baker 2007:
260]. Anche in questo caso, però, lungi dal conferire una proprietà assoluta, il signore si assumeva
un obbligo nei confronti del proprio tenutario, e cioè di accettare come proprio uomo chiunque
avesse ricevuto il proprio possedimento tramite sostituzione da A. All'atto del trasferimento il
signore si garantiva la possibilità di approvare e confermare l'alienazione nella propria corte
[Milsom 1976: 107]. In linea generale, per concludere, gli scambi di terra nell'XI e nella prima metà
del XII secolo conferivano possedimenti per la durata della vita delle controparti allo scambio. Le
concessioni dovevano essere riconfermate alla morte o del concedente o del concessionario
originario. Questo non avveniva automaticamente. L'erede di un signore
doveva obbligarsi personalmente rispetto alle alienazioni del suo antenato; il semplice essere l'erede del concedente non
creava alcuna obbligazione. Similmente, gli eredi di un concessionario non potevano beneficiare automaticamente delle
promesse personali fatte al loro antenato. Un nuovo impegno era necessario per obbligare di nuovo nei loro confronti il
concedente dell'antenato (o il suo erede) [Hyams 1987: 468].
Prima dello sviluppo della giustizia del re, e l'estensione della sua giurisdizione nell'area della real
property, la corte signorile rimaneva il luogo in cui i diritti proprietari venivano creati o distrutti.
Siccome l'erede non acquisiva il proprio possedimento direttamente dal proprio antenato, ma dal
suo lord, riceveva la terra libera dalle alienazioni precedentemente fatte. Per far sì che continuassero
a essere valide era richiesta, almeno formalmente, una nuova alienazione da parte dell'erede. Questo
avveniva più o meno automaticamente per le concessioni militari, mentre per le donazioni per
diverso tipo di servizio, in particolare alle casate religiose (in cui la terra veniva privata dei profitti
necessari per prestare il proprio servizio), la precedente alienazione poteva essere messa in
discussione, a esempio chiamando in causa l'irragionevolezza della stessa. L'erede, succedendo
come uomo feudale del proprio signore, doveva essere messo in grado di sostenere lo stesso
servizio sostenuto dal proprio genitore. Se il patrimonio fosse stato ridotto da questi al punto di non
consentire un pieno servizio, era nell'interesse della comunità signorile far sì che il possedimento
venisse reintegrato, annullando le precedenti concessioni che ne avessero eventualmente ridotto,
economicamente, le possibilità di servizio [Thorne 1959: 205]. In questo senso, lungi dall'avere una
struttura di diritti di proprietà astratta fondata sulla sicurezza del titolo, l'intero edificio della prima
età feudale si basava su un complesso di nodi e di relazioni personali vivente.
Disponibilità testamentaria. Nel periodo successivo alla conquista normanna i terreni del vassallo
erano considerati alienabili, dopo la sua morte, tramite testamento (last will). Era generalmente
ammessa la possibilità di doni in terra post obitum al di fuori della famiglia, per esempio a favore di
100
casate religiose [Pollock e Maitland 2010b: 339]. Questo era possibile grazie alla differenza, sopra
introdotta, tra patrimonio e acquisizioni. Le acquisizioni, essendo soggette a minori restrizioni
rispetto al patrimonio, potevano più facilmente essere oggetto di trasferimento tramite testamento,
senza che l'erede avesse voce in capitolo. Il carattere simbolico della livery of seisin, stabilito nella
prima età feudale, tramite cui un possedimento poteva essere trasferito con il passaggio di un
oggetto di proprietà del concedente (si veda il paragrafo 2.2.1), faceva sì che un trasferimento
valido potesse essere perfezionato sul letto di morte32
. Nelle prime generazioni post-conquista ciò
rendeva piuttosto ampia la libera disposizione testamentaria: la quasi totalità delle terre ottenute
dalla nobiltà normanna tramite conquista erano, infatti, pure acquisizioni, ottenute tramite lo sforzo
militare. Solo col passare del tempo, e col loro passaggio tramite linea ereditaria, si trasformarono
in patrimonio tramandato tra le generazioni, soggetto a regole più stringenti sia per le transazioni
inter vivos, che post obitum [Holt 1972: 12-13]. Il divieto di disposizione dei propri possessi dopo
la morte non è da considerarsi una caratteristica tipica del sistema feudale: «dal punto di vista del
signore feudale un dono post obit non è più discutibile che un dono vero e proprio. Non possiamo
trovare nel feudalesimo puro una qualsiasi ragione del perché il proprietario di terra non dovrebbe
fare un dono post obit col consenso del signore, e senza il consenso del suo signore è in effetti
dubbio se possa affatto fare un dono in generale» [Pollock e Maitland 2010b: 342]. Il consenso del
lord rimaneva preminente anche in relazione alle disposizioni testamentarie date sul proprio letto di
morte, per le quali il tenutario cercava consiglio e assenso dal proprio signore. Furono le regole
della nascente Common law che, entro l'ultimo quarto del XII secolo, formalizzarono lo stato di
cose fluido esistente nelle diverse corti signorili. Entro l'epoca di Glanville la giustizia regale
intraprese il compito di proteggere l'erede naturale. Non solo venne introdotta (o, meglio, resa
rigidamente vincolante) la regola della primogenitura maschile33
ai fini della successione (in luogo
della maggiore discrezionalità disponibile nelle corti feudali), ma, allo stesso tempo, venne vietata
del tutto la possibilità di trasferimenti di terra post obitum. La distinzione tra patrimonio e
acquisizione venne a sparire, assoggettando alle stesse regole l'intero possedimento del vassallo. La
possibilità da parte dell'erede di acconsentire alle transazioni inter vivos del proprio antenato venne
a cadere: in cambio della sicurezza della successione venne a scomparire la sua capacità di
32
La Common law, con lo sviluppo del metodo di prova tramite giuria, tornerà a richiedere che la livery of seisin sia
perfezionata tramite una cerimonia reale eseguita sul terreno in questione, di modo che l'intero distretto (da cui
venivano selezionati i giurati) potesse testimoniarvi, in modo da essere a parte dei fatti rilevanti in caso di un'inchiesta
giudiziaria [Thorne 1936: 356-359]. 33
Mentre l'impartibilità del feudo (stabilita in modo vincolante da Henry II [Holt 1972: 10]), inteso come singola unità
militare di supporto a un cavaliere, può essere considerata una regola in principio feudale, la primogenitura, cioè il
passaggio dell'intero patrimonio (che poteva essere composto da più feudi) al primogenito maschio, non lo è
necessariamente. Finché i singoli feudi passavano intatti, potevano essere divisi tra tutti i figli del vassallo. I costumi
normanni, precedenti alla Common law, come già illustrato, non implicavano una visione dei possedimenti del vassallo
come unitari e tendenzialmente impartibili [Pollock e Maitland 2010b: 279-280].
101
interferire con le transazioni in terra del proprio genitore [Holt 1972: 42-43]. Quindi, mentre la
disponibilità testamentaria rientra pienamente nelle caratteristiche del tipo puro di feudalesimo,
laddove fosse debitamente soggetta alla giurisdizione delle corti signorili, la primogenitura e
l'impossibilità di disposizione rientrano già nel clima proprietario che si svilupperà dalla seconda
metà del XII secolo e, più pienamente, nel XIII secolo. La libertà di disposizione testamentaria dei
propri possedimenti, questa volta depurata dalle sue componenti feudali, tornerà a comparire
legalmente solo nel XVI secolo. Ma la possibilità de facto di disporre liberamente del proprio
patrimonio in terra dopo la propria morte verrà gradualmente stabilita per vie extra legali già a
partire dal XII secolo, nello stesso periodo in cui si osserva il passaggio dalle concezioni
possessorie feudali alla moderna proprietà garantita dalla Common law [Bean 1968: 107, 293].
2.2.5. Il maniero e l'economia manoriale
A) Aspetti giuridici
Il maniero (manor in inglese, manerium in latino) era l'unità amministrativa più bassa del sistema
feudale. Indicava un'area geografica comprendente una parte definita dei possedimenti di un
signore. Il termine non è chiaramente definibile, non essendo un termine né giuridico né utilizzato
univocamente nei secoli XI-XIII. Non indicava necessariamente un'area geografica omogenea o
composta da possedimenti contigui. Ciò non di meno è possibile considerare un tipo ideale di
maniero, soggetto nella realtà dei fatti a numerose variazioni. Il maniero tipico coincideva con un
villaggio contadino (vill o township). Il signore del maniero era il signore feudale del possedimento
(l'intero possedimento poteva essere costituito da più manieri), e i residenti del villaggio, in
condizioni libere o servili, erano i tenutari del lord of the manor, e, nella quasi totalità, coltivavano
direttamente la terra [Pollock e Maitland 2010a: 625-628]. Come già detto nel paragrafo 1.2. il
maniero costituiva l'unità più bassa di giurisdizione signorile, e ospitava una corte di giustizia per i
tenutari, liberi e servili, del signore. Il maniero e la vill configuravano, pertanto, una unità di diritto
pubblico34
, polizia e giurisdizione fiscale; una unità economica nella conduzione degli affari
agricoli; una unità di gestione dei diritti di proprietà sulla terra; e una unità giurisdizionale [ivi:
628].
Nei paragrafi precedenti si è parlato dei diritti di proprietà e delle loro limitazioni in relazione ai
possedimenti liberi, in mano a loro volta a uomini liberi. Lo stato di libertà personale e la tenure
feudale erano concetti analiticamente distinti, per quanto libertà personale e tenure libera, così come
34
Si veda il discorso relativo alla view of frankpledge nel paragrafo 1.2.
102
servitù personale e tenure non libera, si trovassero di norma associate. Prima del XIII secolo e dello
sviluppo delle regole di Common law relative al villeinage, cioè allo status giuridico del contadino
non libero, non vi erano distinzioni astratte di legge relative alla libertà o meno delle persone
[Hyams 1974: 722]. In generale il titolo di uomo libero non indicava una classe di uomini ben
definita, e tendeva a indicare una classe in qualche modo privilegiata, che poteva corrispondere alla
nobiltà, ma che, a seconda del contesto, si allargava fino a includere gli strati più elevati dei
contadini. Soprattutto tra le classi più basse la libertà era un concetto relativo, e si riferiva alla
libertà da un certo numero di obbligazioni personali: nello stesso villaggio esistevano diverse
gradazioni di libertà tra la popolazione contadina, a seconda del servizio consuetudinario da loro
fornito al signore del maniero35
[Hilton 1965: 3-4, 11]. Quando la Common law intervenne a
stabilire precisi criteri di classificazione atti a determinare lo stato libero o meno degli uomini, stato
che implicava differenti gradazioni di capacità giuridica, intervenne comunque a consolidare uno
stato di cose di fatto già esistente, accogliendo nelle proprie regole di legge rapporti sociali ad esse
preesistenti [Hatcher e Bailey 2001: 203-204]. Pur tenendo a mente il carattere fluido della nozione
di libertà nei secoli XI-XII, se si considera la libertà personale come la proprietà assoluta della
propria persona, bisogna constatare come la maggior parte della popolazione inglese nel periodo
considerato rientrava di fatto nella classe di uomini non liberi, come definita in seguito dalla
Common law [Baker 2007: 468]. La mancanza di libertà personale si configurava come sostanziale
mancanza di autonomia. Non solo il contadino non libero svolgeva buona parte del suo lavoro per
conto del proprio signore, ma era colpito da numerose disabilità personali nella conduzione dei
propri affari domestici. La classe degli uomini non liberi era costituita dagli schiavi veri e propri e
dai contadini in condizioni servili, quei contadini, cioè, che dovevano al proprio signore pesanti
servizi lavorativi personali [Hilton 1965: 13]. La schiavitù non era sconosciuta nell'Inghilterra
all'epoca del Domesday Book, ma costituiva comunque una condizione in via di estinzione, alla
conclusione di un declino di lungo periodo, che vedeva le condizioni di schiavitù personale fondersi
nella più ampia e crescente classe dei contadini dipendenti [Miller e Hatcher 1978: 24-25; Postan
1966: 605]. La condizione di servaggio, invece, era un rapporto strettamente personale tra signore e
tenutario, che si tramandava alla prole [Pollock e Maitland 2010a: 446]. Il rapporto personale di
servaggio faceva sì che il villein fosse considerato non libero nei confronti del proprio signore, ma
libero nei confronti del resto del mondo [Bloch 1949: 307; Baker 2007: 468]. Questo rapporto
veniva a configurare una situazione in cui il contadino era sostanzialmente senza diritti nei confronti
35
Strettamente parlando l'intera catena feudale, fino agli anelli più alti, era soggetta a rapporti di servizio: la
discriminante dello status di una persona non poteva pertanto che risiedere nella posizione relativa della stessa rispetto
al tipo e all'ammontare di servizio richiesto [Hilton 1965: 11].
103
del proprio signore36
, mentre nei confronti di terzi aveva gli stessi diritti appartenenti agli uomini
liberi. Il villano era considerato, entro certi limiti, una proprietà personale del lord37
, di cui poteva
disporre liberamente, e non era escluso che potesse essere venduto e comprato congiuntamente al
proprio possedimento, per quanto questo accadesse di rado [Miller e Hatcher 1978: 114; Pollock e
Maitland 2010a: 437]. Nelle relazioni con soggetti diversi dal proprio signore, al contrario, il servo
era considerato, nella maggior parte dei casi, alla stregua di un uomo libero. Non poteva sedere
come giudice di un free man nelle assemblee comunali, ma poteva intentare causa in relazione alle
proprie libere proprietà, in beni personali o in terra, in caso ne avesse possedute [Pollock e Maitland
2010a: 443]. Tali proprietà, però, rimanevano in suo pieno possesso solo ad arbitrio del suo lord. A
quest'ultimo era concesso espropriarle, per quanto fossero considerate di diritto del villano se e
finché questo non fosse accaduto [ivi: 439-440].
I contadini in condizione servile, accasati su un piccolo appezzamento concesso dal signore del
maniero, seppur non in condizioni di schiavitù, erano soggetti a pesanti disabilità relative alla
propria libertà personale. La loro mobilità era limitata dall'amministrazione manoriale. In caso il
villano avesse voluto allontanarsi dalla propria vill, in cerca di lavoro e opportunità, doveva ricevere
l'assenso del signore e pagare una tassa, oltre a un pagamento annuale per il periodo di assenza,
detto chevage [Homans 1970: 229]. Allo stesso modo, se i propri figli avessero voluto accedere
all'istruzione o prendere gli ordini sacri, era richiesta una licenza signorile dietro compenso. Il
signore aveva inoltre diritto a una serie di pagamenti consuetudinari relativi a certi avvenimenti
nella vita del contadino servile. Per il matrimonio di una figlia doveva essere richiesta una licenza e
pagata una tassa detta merchet, mentre era tipico colpire il villano con una sanzione (leyrwite) in
caso di comportamenti sconvenienti delle proprie figlie. Alla morte del villano il signore poteva
prelevare il suo migliore capo di bestiame (heriot), mentre al parroco del distretto andava il secondo
capo. Il contadino era tenuto anche a ottenere, dietro pagamento, una licenza per vendere il proprio
bestiame (tolnetum). Spesso il signore deteneva dei diritti di monopolio, ad esempio poteva
obbligare i tenutari servili a servirsi solo del proprio mulino, pagando una tassa. La parrocchia del
distretto prelevava una decima (tithe), cioè un decimo del reddito annuale, di qualunque tipo,
guadagnato dal contadino, oltre a una serie di tributi per il mantenimento dei mobili e immobili
dell'edificio. Infine, annualmente era soggetto a diverse forme di tassazione signorile, come l'aid e
la taglia (tallage), di ammontare in principio arbitrario, ma più generalmente regolato dal costume
36
Al signore era concesso infliggere punizioni corporali o anche di imprigionare il proprio villein, per quanto uccisione
e mutilazione gli fossero vietate, restando crimini punibili secondo legge [Pollock e Maitland 2010a: 439]. 37
Storicamente, la classe dei concessionari contadini in condizioni servili fu il risultato del graduale accasamento, da
parte dei signori, dei loro schiavi personali sui propri appezzamenti. Pur così avvicinandosi alla classe dei concessionari
liberi, rimaneva il loro carattere di servitù personale nei confronti del proprio signore, che configurava una forma di
proprietà sull’uomo [Duby 2004: 51].
104
[Pollock e Maitland 2010a: 389; Hilton 1965: 9; Homans 1970: 109, 385; Baker 2007: 470; Miller e
Hatcher 1978: 117].
Accanto allo status personale del villano, la seconda forma di servitù a cui era soggetto derivava dal
tipo di tenure tramite cui occupava la terra. Mentre le tenure militari e spirituali erano considerate
libere in funzione del tipo di servizio che dovevano fornire, i contadini, nella maggior parte dei casi,
occupavano i propri appezzamenti secondo termini consuetudinari. Tali concessioni di terra erano
conosciute, nella Common law, come tenures in villeinage38
[Baker 2007: 307]. Status e tenure non
coincidevano necessariamente. Un uomo libero poteva ottenere una concessione in villeinage
rimanendo personalmente libero, così come un villano poteva acquisire una concessione di terra
secondo termini liberi (a esempio, in Socage). Ciò non di meno tenure e status tendevano a essere
associati [Pollock e Maitland 2010a: 405]. In un mondo in cui la posizione nella gerarchia sociale
era strettamente legata al tipo di possesso e di servizio dovuto, la tenure non poteva che tendere a
determinare strettamente lo status personale: «il villeinage può essere un virus residente nel suolo,
che tende a contaminare l'uomo libero che diventi tenutario sullo stesso» [Denman 1958: 120]. La
tenure in villeinage era considerata at will, cioè esisteva solo secondo la volontà del lord. Il villano
giurava fedeltà (ma non porgeva omaggio, riservato ai legami feudali tra uomini liberi), e otteneva
in concessione il proprio appezzamento di terra, oltre alla protezione del signore [Homans 1970:
109]. Il possedimento non passava tramite un titolo che legava le due parti per la vita, e poteva
essere revocato, in principio, in qualsiasi momento. Le tenure servili erano considerate parte della
demesne del lord: uno sconfinamento sulle stesse da parte di terzi abilitava il signore a cercare un
rimedio legale, e non già i contadini residenti sul suolo. Il danno era subito dal signore, e non dagli
occupanti diretti della terra [Baker 2007: 307].
La caratteristica più importante del villeinage, che definiva più propriamente la tenure come non
libera, risiedeva nel fatto che i servizi richiesti per la concessione servile, contrariamente alle libere
concessioni, erano considerati incerti, venendo dettati, pur entro termini consuetudinari, dalla
volontà del signore39
. L'incertezza non era relativa tanto all'ammontare del servizio richiesto al
villano: questi deteneva il proprio appezzamento di terra a volontà del signore, ma comunque entro
una cornice di regole consuetudinarie costituite dal costume del maniero, che entro la piccola
38
Anche rispetto alle modalità di tenure servili vi era una larga variabilità a seconda dell'area geografica [Miller e
Hatcher 1978: 118-120]. Ci si soffermerà, pertanto, sulle caratteristiche più generali riscontrabili nell'Inghilterra
centrale. 39
Nell'originario feudalesimo normanno questa non poteva essere una reale discriminante rispetto alla libertà o meno
della tenure. Come illustrato nel paragrafo 2.2.4 anche la tenure in knight's service era, in principio, tutt'altro che certa e
stabile, ed era sottoposta a un ampio controllo signorile. La linea relativa alla libertà personale, come indicato a inizio
paragrafo, era ancora tracciata in modo impreciso, e tese a irrigidirsi tra i secoli XI e XIII [Denman 1958: 88].
105
comunità avevano valore di legge. I termini e l'ammontare di servizio, per quanto in teoria stabiliti
ad arbitrio dal lord, erano specificati con meticolosa precisione e di norma fissati a un valore
tramandato dalla consuetudine, e, laddove esistevano dei registri manoriali40
, venivano messi per
iscritto, non da ultimo per assicurarne una riscossione completa [Maitland 1908: 33; Homans 1970:
236]. L'incertezza riguardava il fatto che il contadino a tenure servile, pur conoscendo l'ammontare
di servizio a cui era soggetto, non aveva alcuna libertà nel determinare le modalità, i tempi e il
luogo di esecuzione. I villani
avevano una vasta conoscenza riguardo all'ammontare di lavoro che avrebbero dovuto eseguire ogni anno, ogni
settimana, ogni giorno; sapevano, per esempio, che il costume richiede loro tre, e non di più, "lavori" ogni settimana,
che martedì non è un giorno lavorativo, che se sono tenuti a scavare devono scavare un determinato numero di pertiche
[perches] prima che il "lavoro" sia concluso, che guidare un carro in un determinato posto conta come "un lavoro", in
un altro posto "due lavori"; sanno, se tenuti a trebbiare, se possono fermarsi alla nona [nones]41
o se devono andare
avanti fino al vespero42
. Ciò nonostante vi è un ampio elemento di incertezza reale; la volontà del signore conta molto;
quando vanno a dormire la domenica sera non sanno quale sarà il lavoro del lunedì: può essere di trebbiatura, di scavo,
di trasporto; non possono saperlo [Pollock e Maitland 2010a: 392].
I servizi a cui erano soggetti i tenutari in villeinage erano generalmente costituiti da lavori manuali
di carattere agricolo, da svolgersi sulla demesne signorile, cioè quella porzione di terra che non
veniva data in concessione, e che veniva coltivata dal signore in proprio. Aratura, falciatura e
mietitura, accanto a erpicatura, accovonatura e trebbiatura erano servizi tipici, come comuni erano il
trasporto merci o i servizi di riparazione. I servizi si dividevano in lavoro settimanale (week-work) e
lavoro omaggio (boon-work) [Denman 1958: 121]. Il week-work indicava il numero di giorni
lavorativi settimanali da rendere al signore, mentre il boon-work indicava un numero di giorni
lavorativi, comunque fisso, che, durante l'anno, poteva essere richiesto a piacere dal lord, in caso di
necessità [Homans 1970: 257-260, 264]. Accanto al servizio lavorativo personale veniva
solitamente richiesto al tenutario consuetudinario il pagamento di un affitto [Denman 1958: 121].
Lavoro e affitto costituivano la parte primaria della rendita signorile: in che proporzione il singolo
tenutario dovesse l'uno o l'altro determinava in larga misura il suo livello di libertà personale.
Mentre un affitto pagato interamente in servizi lavorativi lo degradava allo stato di servo vero e
proprio, un affitto pagato per la maggior parte in moneta o in natura lo elevava al limite della classe
dei liberi affittuari in Socage. L'ammontare complessivo dell'affitto variava in proporzione, per
quanto non sempre in modo regolare, alle dimensioni del possedimento occupato [Miller e Hatcher
40
La diffusione dei registri relativi alle attività delle corti manoriali risale ai primi decenni del XIII secolo [Smith 1983:
101]. 41
La nona ora dopo il sorgere del sole. 42
La decima ora dopo il sorgere del sole.
106
1978: 122]. Nonostante il lavoro sulla demesne signorile fosse eseguito in comune dai contadini, le
obbligazioni di servizio erano strettamente personali, e a queste doveva rispondere il singolo
tenutario secondo i termini della sua concessione [Denman 1958: 128]. Il week-work era eseguito
personalmente dal contadino a cui era affidata la concessione, e non dai membri della sua famiglia,
che potevano rimanere a occuparsi del podere famigliare. Mancanze rispetto all'esecuzione del
servizio venivano multate nella corte manoriale, e solo in caso di prolungata latitanza del villano dai
propri doveri questi poteva perdere la propria concessione, che veniva riassegnata a chi fosse stato
in grado di eseguire regolarmente il servizio consuetudinario [Homans 1970: 272-273; Pollock e
Maitland 2010a: 399]. Accanto al diritto a un possedimento da coltivare in proprio, il tenutario in
villeinage otteneva altri diritti, a cui corrispondevano altrettante obbligazioni che concorrevano a
costituire l'affitto dovuto. Di particolare importanza erano i diritti di common, cioè diritti a
particolari utilizzi del territorio del villaggio in comune con gli altri contadini. Il villano acquisiva il
diritto a usufruire delle foreste circostanti, prelevandone legname, torba e altri materiali, e
dell'incolto, utilizzato per la raccolta del fieno e per il pascolo [Denman 1958: 125, 130; Thirsk
1964: 3]. Questi tratti di terreno erano parte della proprietà del signore, il quale ne concedeva il
diritto di utilizzo in comune ai propri tenutari: «tutti i diritti di common erano diritti derivanti dalla
tenure, cioè non erano diritti goduti da chiunque, ma diritti acquisiti tramite l'accesso a un
possedimento» [Titow 1965: 91]. I common non costituivano un bene open access, cioè un bene
comune il cui accesso era disponibile a tutti i tenutari a volontà, senza restrizioni. Il diritto ai
common era limitato dalle dimensioni del possedimento individuale, ed eventuali sconfinamenti o
prelevamenti in eccesso a quanto stabilito potevano essere puniti nella corte manoriale [Dahlman
1980: 23]. Inoltre, la reciprocità del rapporto di tenure faceva sì che tali benefici fossero disponibili
solo finché i tenutari ne avessero pagato il prezzo: in caso contrario, il diritto a singoli benefici
goduti ma non pagati poteva essere fatto cadere [Homans 1970: 260].
I possedimenti in villeinage, pur formalmente concessi ad arbitrio del lord, erano soggetti alle
regole consuetudinarie raccolte nel costume del maniero. La corte manoriale era il luogo,
analogamente alle corti signorili per i freeholders feudali, dove i diritti di proprietà erano creati e
fatti rispettare. Il costume e la tradizione, diffusi nella comunità del villaggio, erano un potente
limite all'arbitrio del signore: «era, in ogni caso, nell'interesse del signore mantenere una forza
lavoro produttiva. Trattare i villani malamente, tramite una eccessiva tassazione o portandogli via i
mezzi di sussistenza, era una cattiva conduzione degli affari agricoli» [Baker 2007: 470]. Le corti
manoriali per i tenutari non liberi tramandavano i costumi della comunità, e, solitamente,
nell'accertare quali fossero i costumi vigenti, la corte interrogava i membri del villaggio [Pollock e
Maitland 2010a: 382]. Anche gli ufficiali del maniero, che si occupavano di controllare il lavoro dei
107
contadini e svolgevano compiti di polizia, venivano reclutati tra le fila dei componenti del villaggio.
Le regole di condotta relative all'ordine pubblico locale, in particolare quelle attinenti alla
conduzione degli affari agricoli, delle bylaw, venivano decise dalla comunità del villaggio
(composta sia dagli uomini liberi che in condizioni servili), con l'assenso del signore e dei suoi
ufficiali durante le sessioni della corte manoriale. Tali regole risultavano vincolanti, e permettevano
alla corte del maniero di infliggere multe ai trasgressori, le quali venivano a costituire una ulteriore
componente della rendita signorile complessiva [Homans 1970: 104].
Il costume del maniero, che regolava i diritti di possesso degli appezzamenti di terreno, poneva una
serie di limiti alla proprietà assoluta, in analogia con quanto già discusso rispetto alla tenure feudale
libera43
. La variabilità dei costumi locali era molto ampia, e regole diverse vigevano in manieri
diversi, il che tendeva a creare un mosaico variegato di regole consuetudinarie. Per quanto riguarda
l'ereditarietà, essendo il possedimento concesso ad arbitrio del lord, vigeva la regola che un
contadino non avesse altro erede se non il proprio signore. Ciò non di meno, così come le tenure
militari accettavano il primogenito maschio come successore del padre, nel costume prima ancora
che nelle regole di legge, i costumi del maniero facevano sì che, pur non avendo il villano diritto
all'eredità del padre, aveva non di meno una rivendicazione, che solitamente veniva accettata dalla
corte manoriale. In questo caso il possedimento tornava nelle disponibilità del signore, per venire
riassegnato ai discendenti del villano [Pollock e Maitland 2010a: 402]. Nell'Inghilterra centrale
prevaleva il costume del passaggio dell'intero possedimento dal genitore al primogenito maschio,
mentre nel Kent e nell'East Anglia prevaleva il costume del Gavelkind44
, che prevedeva la
partizione del terreno tra tutti i figli del precedente occupante45
[Homans 1953: 33-35]. In altre zone
dell'Inghilterra orientale prevaleva invece il costume del Borough english, dove il possedimento
discendeva all'ultimogenito, solitamente il figlio maschio più giovane [Faith 1966: 82]. La natura
del possedimento servile impediva al tenutario di dare disposizioni testamentarie riguardo alla
discendenza dell'appezzamento di terra. Ciò non di meno, il costume di alcuni manieri permetteva
ai contadini servili di lasciare un testamento che disponeva del proprio podere post mortem, che
sarebbe stato riconosciuto ed eseguito nella corte manoriale [Denman 1958: 125].
Per quanto riguarda la libertà di alienazione, al villano era concesso di separarsi dal proprio
possedimento a favore di un terzo solo col consenso del signore. In questo caso il possedimento
43
I limiti alla proprietà assoluta delle tenure servili erano molto simili ai costumi del primo feudalesimo già discussi nel
paragrafo 2.2.4. La differenza risiede nei diversi periodi in cui i costumi vennero formalizzati in astratte regole di legge
vincolanti. 44
A cui si è già accennato nel paragrafo 2.2.4. 45
I figli potevano ereditare congiuntamente il possedimento detenendolo e coltivandolo in comune, oppure potevano
richiedere che lo stesso fosse ripartito tra di essi, creando dei possedimenti individuali [Homans 1937: 49-50].
108
tornava nelle mani del lord, per essere riassegnato al nuovo tenutario, analogamente a quanto
accadeva per i possedimenti militari in caso di alienazione tramite sostituzione. La vendita del
possedimento servile senza il consenso del lord o del suo steward poteva causare al cedente la
confisca dei suoi possedimenti residui [Pollock e Maitland 2010a: 404]. Al villano era anche
concesso dare in locazione (lease) parte del proprio appezzamento in autonomia, in cambio di un
affitto, in moneta o in natura [Hyams 1970: 29]. Tale pratica era simile a una subinfeudazione a
termine, e richiedeva anch'essa il consenso del lord. Procedere senza il consenso signorile, in questo
caso, era considerato un torto meno grave rispetto a un'alienazione vera e propria, e il fatto poteva
essere punito con una semplice multa [Pollock e Maitland 2010a: 404].
Contrariamente ai possedimenti militari, i possedimenti in villeinage erano in buona parte liberi
dagli incident feudali. Il signore non godeva personalmente del diritto di wardship, in caso di morte
di un tenutario durante la minore età dell'erede, e quindi un tutore veniva nominato all'interno della
famiglia, che raccoglieva i profitti della terra durante la minorità. Per quanto riguarda il diritto di
marriage, mentre era richiesto il merchet all'atto di sposare una figlia, il lord non tentava di
indirizzare il matrimonio in una direzione particolare [Hatcher 1981: 13]. Un importante diritto
signorile, analogo al relief cavalleresco, era invece costituito dalla possibilità di richiedere una tassa
di ingresso (entry fine) all'accesso di un tenutario al proprio possedimento. Spesso, secondo una
consuetudine diffusa, il pagamento corrispondeva al valore dei profitti di un anno
dell'appezzamento, ma il suo valore poteva variare a piacere del lord, e tendeva a variare rispetto al
valore di mercato della terra [Pollock e Maitland 2010a: 404; Postan e Hatcher 1978: 34].
B) Aspetti economici
Si è soliti ricondurre l'economia feudale a un tipo ideale costituito dai seguenti elementi:
predominio schiacciante dell'agricoltura nell'economia; la terra non è considerata alla stregua di una
merce; ripartizione esclusiva delle forze di produzione agricole tra poderi contadini e riserva
signorile (demesne); barriere istituzionali alla mobilità sociale e geografica; servizi richiesti dai
contadini forniti esclusivamente sotto forma di manodopera; assenza di rapporti regolari di
compravendita dei contadini col mercato (prevalenza dell'economia naturale46
); attività artigianali e
commerciali svolte nel contesto della grande proprietà terriera signorile e delle corporazioni;
tendenza al consumo di beni di lusso tramite il prodotto eccedente la sussistenza nelle riserve
signorili (assenza di accumulazione in capitale) [Kula 1970: 21-22, 75]. Tali tratti possono essere
46
Seguendo Weber, «si parla di economia monetaria per indicare una economia con uso tipico del denaro, e quindi con
orientamento in base a situazioni di mercato valutate monetariamente; si parla di economia naturale per indicare
un'economia senza uso del denaro [con o senza scambio]» [Weber 1980: 95-96].
109
considerati validi in linea di massima (se intesi in senso relativo rispetto alle condizioni
dell'economia contemporanea) per quanto riguarda la prima età feudale, ma difficilmente possono
corrispondere, se presi letteralmente, all'economia inglese del periodo compreso tra il XII e il XII
secolo. L'economia feudale inglese era molto più dinamica e diversificata dell'immagine statica
delineata da Kula [Postan 1977: 74]. Per quanto, effettivamente, l'agricoltura occupasse la più
grande parte della popolazione lavoratrice, e costituisse la prevalente fonte di reddito a tutti i livelli
della società47
, gli altri punti possono risultare validi, come detto, in senso relativo, e solo se
sottoposti a importanti qualificazioni. Il mercato, sia nella sua forma locale all’interno dei villaggi
contadini, sia nella sua forma nazionale e internazionale, era largamente diffuso48
, e in forte crescita
tra il secolo XII e XIII. Le manifatture, accanto alle città49
che le ospitavano, erano in forte crescita
nello stesso periodo, e, come per i mercati, venivano svolte sempre più slegate dal controllo
signorile, che si limitava a trarne una rendita tramite tassazione50
[Bailey 1998: 298, 306-307].
Lungi dal prevalere rapporti economici fondati su un'economia prevalentemente naturale, la
monetizzazione degli scambi e il commercio delle eccedenze agricole e dei prodotti artigianali
erano quasi universali, per quanto fossero diffusi con diversa intensità a seconda dell'area
geografica, e venivano svolti, oltre che nelle campagne, in centri cittadini in larga parte indipendenti
dal controllo del lord feudale [Miller e Hatcher 1978: 70; Postan 1944: 33-37]. I signori, lungi dello
sperperare interamente le proprie eccedenze in consumi di lusso, erano attenti a cogliere eventuali
opportunità di investimento, per quanto si risolvessero nella maggior parte dei casi, dati i limiti
tecnologici, nell'acquisizione estensiva del più redditizio capitale disponibile, cioè la terra [Miller
1971: 7, 12; Miller e Hatcher 1978: 233]. L'economia contadina, per quanto solo tra gli strati più
benestanti dei villani, era sviluppata oltre la sussistenza, e il lavoro salariato tra i contadini con
47
Nel tardo medioevo, in Europa occidentale, l'agricoltura costituiva circa il 90% del reddito nazionale [Postan 1973b:
22]. 48
Nel Derbyshire e nel Cambridgshire, contee dell'Inghilterra centrale, la distanza tra un mercato e l'altro variava tra
uno e sette miglia nel XII secolo. Sei miglia e due terzi era considerata da Bracton una distanza percorribile, andata e
ritorno e con una pausa nel mezzo per condurre i propri affari, nell'arco di una giornata [Miller e Hatcher 1978: 77]. 49
L'epoca d'oro della crescita dei centri urbani inglesi, che svolgevano funzioni commerciali e industriali su scala
locale, è collocata proprio nei secoli XI-XIII [Postan 1978: 266]. La costituzione di tale rete di città forniva l'architettura
istituzionale in grado di supportare correnti commerciali nazionali e anche internazionali [Miller e Hatcher 1978: 75-
76]. Si stima che la popolazione urbana costituisse il 10% del totale nel 1100, mentre il 15-20% nel 1300 [Bailey 1998:
298]. 50
Come scrive Georges Duby, in relazione all'economia europea continentale, «il ruolo iniziale dei "borghi" era di
approvvigionare la corte del signore per mezzo dell'artigianato e del commercio [...]. Tuttavia, è manifestamente nel XII
secolo che dobbiamo porre, nella storia dell'artigianato urbano, la fase di rapido sviluppo, il momento in cui i lavoratori
si sganciarono dalla domesticità signorile» [Duby 2004: 300]. Allo stesso modo, «gli specialisti del commercio a lunga
distanza, i mercatores, come gli artigiani, uscivano dalle case aristocratiche. La loro prima funzione era di
approvvigionare le corti signorili di merci straniere, alcune delle quali, come le spezie, venivano da molto lontano» [ivi:
304].
110
poderi troppo piccoli per mantenerli era tutto fuorché sconosciuto51
[Postan 1978: 252-254]. I
servizi lavorativi dovuti dai villani in condizioni servili ai signori non venivano necessariamente
forniti sotto forma di manodopera agricola, e, anzi, nel XII secolo è collocabile la prima grande
ondata di commutazione dei servizi manuali consuetudinari in pagamenti monetari [Postan 1937:
178-179]. Il mercato dei poderi agricoli, come si vedrà più approfonditamente nel capitolo III, subì
un forte sviluppo nel XII e XIII secolo, sia tra i contadini che tra le classi aristocratiche, accanto alla
nascita di moderni diritti di proprietà sulla terra [Macfarlane 1978: 118; King 1970: 50]. La
popolazione contadina, poi, era tutt'altro che immobile: il pericolo di fuga dei contadini servili,
durante il periodo di espansione agricola dei secoli XI-XII, era fortemente sentito dai signori, che
spesso dovevano accondiscendere a condizioni servili meno vessatorie e che implicassero una certa
libertà di movimento [Hatcher 1981: 29-33]. Inoltre, nel XIII secolo, l'espansione demografica e la
carenza di terra non potevano che contribuire a sviluppare una tendenza all'emigrazione da parte dei
membri più giovani delle famiglie contadine che non avrebbero ereditato il podere paterno [Homans
1970: 136]. Questo non significa che l’Inghilterra tra il XII e XIII secolo fosse una società già
interamente commercializzata e socialmente mobile. Larga parte della popolazione continuava a
essere legata a un’economia di sussistenza52
, e le manifatture costituivano ancora la minor parte del
prodotto nazionale. Inoltre, gli sviluppi commerciali, per quanto estesi all’intero territorio
nazionale, raggiunsero con diversa intensità le diverse contee e le diverse classi sociali: «tra il 1050
e il 1330 il principale beneficio sociale della commercializzazione era stato il supportare un
crescente numero di persone, e gli effetti sugli standard di vita erano stati confinati ai ranghi
superiori della società e a una minoranza dei contadini» [Bailey 1998: 309]. Allo stesso tempo,
però, è importante evitare l'errore di dipingere le istituzioni economiche, politiche e sociali del
feudalesimo inglese come un sistema statico e incapace di adattarsi rapidamente ai cambiamenti
nelle condizioni materiali sottostanti.
Delineati gli aspetti principali dell'economia feudale inglese nel periodo sotto esame è possibile
scendere più nel dettaglio dell'organizzazione economica di base, come riscontrabile nelle singole
unità manoriali. Di particolare interesse risultano quegli aspetti dell'organizzazione economica
agricola che più concorrevano a costituire un limite a una forma di proprietà assoluta nei singoli
poderi contadini. L'Inghilterra era sottoposta a un'ampia varietà di sistemi per la conduzione
51
Michael Postan ha calcolato come, su un campione casuale di 104 manieri, tra il tardo XII secolo e il XIII secolo,
metà dei tenutari contadini erano impiegati, part-time o full-time, come lavoratori salariati per conto dei contadini più
benestanti [Postan 1966: 622]. 52
Un esempio pregnante di come lo sviluppo del mercato potesse accompagnarsi a un'economia di sussistenza
sottoposta a strutture sociali feudali è costituito dall'utilizzo dei contadini meno benestanti dei mercati di villaggio nel
monetizzare la propria produzione agricola, in modo da pagare in denaro gli affitti e le altre esazioni signorili [Postan
1937: 193; Kula 1970: 69; Miller e Hatcher 1978: 242; Bailey 1998: 309].
111
dell'economia agricola. Il sistema dominante era il cosiddetto sistema open field. Come illustrato in
figura 2.153
, tale sistema copriva la maggior parte dell'Inghilterra, a eccezione della parte
occidentale (contee del Devon e della Conwall, oltre al Galles), e di quella orientale (in particolare
Kent ed East Anglia, l'area comprendente Norfolk, Suffolk, Essex e Cambridgeshire) [ivi: 21]. In
questi territori prevalevano sistemi differenti, come il regime di enclosure, il sistema infield-
outfield, o il regime a campi irregolari [Miller e Hatcher 1978: 91-92]. Nel tentare di delineare un
53
La figura è tratta da Homans [1969: 21].
Figura 2.1 I confini del sistema open field
112
tipo ideale della conduzione degli affari agricoli all'interno delle unità economiche di base, si farà
qui riferimento solo al regime dominante di open field54
. Seguendo Joan Thirsk, tale sistema
risultava caratterizzato da quattro aspetti interdipendenti:
in primo luogo, l'arabile e il prativo sono divisi in strisce tra i coltivatori, ognuno dei quali può occupare un numero di
strisce sparse tra i campi. In secondo luogo, sia l'arabile che il prativo sono aperti per il pascolo comune del bestiame di
tutti i contadini dopo il raccolto e durante le stagioni di maggese [...]. In terzo luogo, vi è un pascolo e un tratto di
incolto comune, dove i coltivatori delle strisce godono del diritto di pascolare il bestiame e raccogliere legname, torba e
altri beni, quando disponibili, come pietra e carbone. Infine, l'organizzazione di queste attività è regolata da
un'assemblea di coltivatori - la corte manoriale, nella maggior parte dei luoghi nel medio evo, o, quando più di un
maniero era presente in un villaggio contadino, un'assemblea di villaggio [Thirsk 1964: 3].
Nell'area di open field i possedimenti contadini non erano costituiti da un tratto di terra unitario e
omogeneo, recintato e coltivato individualmente durante tutte le fasi del processo. Il podere era
suddiviso in strisce sparse per tutta l'area dei campi del villaggio, confinanti con le strisce dei propri
vicini55
[Homans 1970: 97]. Questo implicava che una parte dei lavori agricoli dovessero essere
svolti in comune tra i coltivatori. Per quanto riguarda il lavoro strettamente agricolo, l'aratura, la
mietitura, la spigolatura e il raccolto erano attività svolte in comune, sull'intera area dei campi
costituiti dalle singole strisce [Dahlman 1980: 27]. Ogni contadino contribuiva al lavoro agricolo
comune in proporzione al proprio possedimento, fornendo buoi per l'aratro o lavoro manuale
[Denman 1958: 127]. Il lavoro individuale sul proprio possedimento, invece, si riduceva alle attività
di semina e sarchiatura. Una volta completato il raccolto, il prodotto delle singole strisce andava
interamente al proprietario delle stesse. Allo stesso modo il pascolo del bestiame veniva effettuato
in comune. Le aree disponibili all'uopo erano l'area dei campi comuni lasciata a maggese, l'area
coltivata immediatamente dopo il raccolto, e le aree su cui i contadini godevano del diritto di
common di pascolo. Spesso il villaggio assumeva un membro dello stesso come pastore o
mandriano, in carica del pascolo del bestiame di tutta la township, per quanto l'attività potesse
essere condotta individualmente. Il carattere comunale del lavoro derivava, perciò, dalla possibilità
di utilizzare i possedimenti di tutti i contadini come pascolo comune. In particolare, le attività
condotte in comune sull'intera area del villaggio, invece che individualmente sul proprio
appezzamento, coincidevano con quelle in cui era possibile catturare delle economie di scala
svolgendo le stesse operazioni su un territorio più ampio [Dahlman 1980: 27-28; Homans 1970: 63-
64; Thirsk 1966: 144]. E' importante rimarcare come il sistema dell'open field non implicava una
54
Sinteticamente, il regime a enclosure prevedeva una coltivazione individuale di appezzamenti di terra singoli, sottratti
al controllo comunale. Il sistema infield-outfield prevedeva una coltivazione intensiva della parte centrale dell'arabile
(infield), e una coltivazione saltuaria e irregolare dei territori circostanti lasciati di norma incolti (outfield). I regimi
irregolari costituivano un misto tra il sistema delle enclosure e gli altri sistemi [Miller e Hatcher 1978: 92-93]. 55
Per un'illustrazione di un tipico villaggio open field si veda la figura 2.2, tratta da Ellickson [1993: 1389].
114
proprietà comunitaria, da parte dei contadini, dell'intera area dei campi. I singoli poderi, pur con
tutte le limitazioni relative alla tenure in villeinage o in socage, erano posseduti da singoli individui,
e vi era una stretta relazione tra il posseduto, i diritti goduti e il dovuto (al signore o al lavoro
comune). Piuttosto, il sistema open field costituiva una elaborata organizzazione tesa a una
ripartizione efficiente dei diritti d'uso sul terreno disponibile [Titow 1981: 211].
L'organizzazione agricola comunitaria implicava che il tipo di coltura, e le tempistiche della
rotazione, dovessero essere concordati tra i membri del villaggio tramite meccanismi di decisione
comune. Tranne che per i piccoli orti adiacenti alle abitazioni contadine, i singoli contadini non
avevano la libertà di scegliere individualmente la composizione del proprio raccolto [Miller e
Hatcher 1978: 88]. Le questioni relative alla programmazione agricola dei campi del villaggio
venivano prese in assemblea, solitamente all'interno della corte manoriale [Homans 1970: 84]. I
campi e i raccolti erano soggetti tipicamente a rotazione biennale o triennale, più raramente
quadriennale. Nel caso della rotazione triennale i campi erano divisi in tre settori. Un terzo veniva
arato in autunno e quindi seminato, solitamente con frumento e segale (la coltura invernale, winter
crop). Un altro terzo veniva arato una volta conclusa la semina del campo precedente, e seminato
con avena, orzo e legumi (la coltura primaverile, spring crop). Infine, l'ultimo terzo veniva lasciato
a maggese, aperto per il pascolo in modo da ristabilirne la fertilità. L'anno seguente i raccolti e il
maggese avrebbero rotato, spostando la coltura primaverile su quella precedentemente invernale,
ponendo la coltura primaverile a maggese, e seminando il maggese dell'anno precedente con
sementi invernali. Per quanto riguarda la rotazione biennale, i campi venivano divisi in due settori,
uno a maggese e l'altro seminato per metà con colture invernali e per l'altra metà con colture
primaverili. L'anno seguente i campi sarebbero stati invertiti, mentre in quello seguente ancora,
oltre all'inversione tra maggese e seminato, si sarebbero scambiate le posizioni delle semine
primaverili e invernali. L'estate era il periodo del raccolto e quindi del pascolo in comune sui campi
[ivi: 55-59].
La particolare configurazione degli open field, in particolare la divisione dei singoli possedimenti in
strisce non contigue sparse per tutta l'estensione dei campi, poneva dei limiti alla proprietà assoluta
sul podere contadino, dal momento che le decisioni relative alla conduzione agricola del
possedimento individuale erano soggette al controllo della comunità di villaggio. Diverse
spiegazioni sono state avanzate nel rendere conto di questo stato di cose e della sua persistenza nel
tempo, prima del consolidamento delle strisce in appezzamenti unitari e della loro recinzione
(enclosure), concluso nel XIX secolo. Secondo Donald McCloskey, nonostante la supposta
115
maggiore produttività dell'organizzazione agricola individuale56
su un possedimento unitario
recintato e sottratto dal controllo comunitario57
, la divisione dei possedimenti su tutta l'area dei
campi permetteva al singolo contadino, supposto avverso al rischio, di avere terreni di qualità
diversa, meno sottoposti ad accidenti, climatici o di altro genere, localizzati58
. Stante
l'inaccessibilità a sistemi diversi di assicurazione, la dispersione del singolo podere su un'area più
vasta costituiva un valido strumento assicurativo contro gli accidenti del tempo e le eventuali cattive
annate localizzate in particolari settori del terreno59
[McCloskey 1972: 19]. Stefano Fenoaltea ha
criticato questa impostazione, sostenendo come meccanismi assicurativi, costituiti da prestiti, in
natura o in denaro, tra contadini, erano non solo disponibili, ma effettivamente utilizzati. In luogo
della dispersione dei poderi, il meccanismo assicurativo prevalente risiedeva
nell'immagazzinamento delle eccedenze agricole nelle buone annate, così da non dover ridurre il
consumo in quelle cattive60
. Se tali ipotesi fossero valide non vi sarebbe alcuna necessità di
disperdere per i campi i singoli poderi, e la spiegazione andrebbe cercata altrove. La dispersione
delle strisce, secondo Fenoaltea, risulterebbe dalla necessità di monitorare il lavoro nei campi dei
lavoratori salariati da parte dei contadini più benestanti: coltivare piccole strisce, una per volta,
permetteva di abbassare i costi di supervisione (ben più ingenti nel caso di possedimenti unitari più
grandi), aumentando la produttività del lavoro. In luogo di supervisionare una forza lavoro più
56
E' ancora oggi fonte di dibattito tra gli storici economici se e quanto l'organizzazione a enclosure fosse più produttiva
dell'open field. Secondo Robert Allen, uno dei maggiori sostenitori della relativa efficienza dell'open field, a parità di
condizioni di terreno e di mercato «la coltivazione tramite enclosure aveva solitamente un vantaggio rispetto
all'agricoltura open field, sia in termini di innovatività dei metodi introdotti, che di rendite dei raccolti, o di affitti pagati.
Vi sono perciò alcune prove a favore della visione secondo cui le enclosure aumentavano l'efficienza. Il punto
principale, però, è che il vantaggio in termini di efficienza della coltivazione tramite enclosure era piccolo» [Allen
2001: 49-50]. 57
Secondo McCloskey la dispersione del singolo possedimento configurava quattro tipi di costo: da una parte il singolo
contadino doveva muoversi per tutta l'estensione dei campi del villaggio nel condurre i compiti agricoli eseguibili
individualmente, sprecando del tempo altrimenti utilizzabile produttivamente; dall'altro, la vicinanza con le strisce di
altri vicini esponevano il proprio terreno alla loro malizia o trascuratezza, potenziale fonte di danni. Inoltre, la decisione
comunitaria rispetto al tipo di semina facevano sì che eventuali vantaggi comparati dei singoli appezzamenti contadini
rispetto alla coltivazione di determinati tipi di semina non venissero sfruttati. Allo stesso modo, fonte di inefficienza
poteva essere il pascolo comune, che determinava un utilizzo eccessivo dello stesso [McCloskey 1972: 17]. Riguardo
all'ultimo punto, come già indicato più sopra, il pascolo, pur essendo comune, era strettamente regolato dalla corte
manoriale, e il numero di capi che ogni tenutario poteva pascolare fissato. Oltre all'appunto giuridico, anche la ricerca
cliometrica ha confermato come non esistessero problemi di sfruttamento eccesivo dei pascoli comuni [Allen 2001: 48]. 58
I possedimenti, difatti, non erano dispersi tra i campi in modo casuale, ma alcune regole consuetudinarie ne dettavano
la disposizione. Ogni metà (nel caso dei villaggio con rotazione su due campi) od ogni terzo (nel caso della rotazione su
tre campi) di ogni podere doveva essere locato in un campo differente. Inoltre la dispersione doveva essere tale che ogni
podere fosse equamente distribuito tra qualità di suolo differenti [Homans 1970: 90]. 59
Come riassunto da Robert Allen, «la terra non era uniforme, così la produttività di parti differenti del terreno del
villaggio rispondeva differentemente alle variazioni del tempo. In annate con pesanti precipitazioni, le terre più basse
avrebbero potuto essere inondate dall'acqua, mentre le terre più alte avrebbero potuto essere produttive. Al contrario,
quando le precipitazioni erano scarse, le terre alte avrebbero potuto essere troppo secche per produrre bene, mentre i
rendimenti avrebbero potuto essere alti nelle terre basse» [Allen 2001: 43]. 60
Fenoaltea contesta anche che i motivi addotti da McCloskey nello spiegare la minore produttività dell'open field siano
effettivamente validi: le regolazioni comunitarie garantite dalle corti manoriali potevano tenere a bada l'eventuale
malizia o trascuratezza dei vicini, ed era possibile organizzare il lavoro in strisce separate senza implicare costosi
spostamenti non necessari [Fenoaltea 1975: 141-142].
116
ampia impegnata su un possedimento estensivo, la suddivisione in strisce permetteva di coltivare il
terreno con squadre più piccole, così prestando alle particolarità di ogni tipo di terreno tutte le
attenzioni necessarie, coltivandolo di conseguenza più intensivamente [Fenoaltea 1976: 141-144].
Una spiegazione più completa, che prende in considerazione sia gli aspetti economici che quelli
politici della comunità di villaggio, è fornita da Carl Dahlman. Si è già indicato come la decisione
di arare e pascolare il bestiame in comune fosse suggerita dalla possibilità di ottenere economie di
scala tramite l'utilizzo dell'intera area arabile del villaggio come unità economica in luogo delle
singole strisce61
. La rotazione delle colture e del maggese, inoltre, costituiva un mezzo per
massimizzare la produzione sia dei prodotti cerealicoli e leguminosi che del bestiame62
. La
dispersione dei singoli possedimenti, invece, svolgeva un ruolo di controllo dei componenti della
comunità di villaggio: faceva sì che il potere contrattuale dei singoli contadini, rispetto ai propri
vicini, fosse seriamente ridotto. Mentre il proprietario di un ampio possedimento unitario poteva
minacciare di sottrarsi alla rotazione agricola comune, sottraendo al resto del villaggio la possibilità
di godere delle economie di scala derivanti dal lavoro agricolo su larga scala, tale minaccia sarebbe
stata meno credibile da parte di un singolo contadino il cui possedimento era disperso e mescolato
con quello degli altri. In caso di sottrazione alla conduzione agricola di villaggio avrebbe dovuto
recintare e sorvegliare ogni singola striscia, con costi relativamente alti: costi che sarebbero stati
significativamente ridotti in caso di un possedimento unitario. La norma sociale che dettava la
dispersione dei possedimenti era un potente strumento per evitare che singoli contadini free rider si
sottraessero al meccanismo di decisione comunale, danneggiando le prospettive dei vicini63
:
«richiedendo a ogni tenutario di dividere la sua terra in porzioni disperse, sono raggiunti due
importanti risultati: primo, i benefici per ogni tenutario del sottrarsi al pascolo collettivo su larga
scala sono radicalmente ridotti; secondo, i costi dell'organizzare un pascolo separato sulle porzioni
individuali diventano significativamente maggiori» [Dahlman 1980: 124-125]. In altre parole, «la
61
Anche Dahlman critica l'ipotesi di minore produttività dell'open field di McCloskey: secondo l'autore, i benefici delle
economie di scala del lavoro agricolo comune erano tali da superare i costi, in termini di ridotta produzione, derivanti
dalla dispersione dei possedimenti [Dahlman 1980: 127]. 62
Il modello di Dahlman assume che, in mancanza di un esteso mercato dei prodotti agricoli, la specializzazione nella
produzione di un singolo output (grano o bestiame) risulti preclusa. La debolezza del mercato implica che, per ragioni
di sussistenza, il villaggio debba produrre entrambi i beni, a prescindere dal vantaggio comparato nella produzione di
uno o dell'altro [Dahlman 1980: 111]. 63
Un'indicazione a supporto della bontà dell'ipotesi è fornita, per analogia, dal fatto che anche i possedimenti dei
tenants in chief erano solitamente costituiti da feudi dispersi tra i territori del regno, in modo da fornire un'assicurazione
al sovrano contro la costituzione di potenti principati unificati meglio in grado di metterne in discussione la supremazia
[Stenton 1932: 63-64]. Georg Simmel, nell'analizzare il fenomeno sociologico del divide et impera, notava: «la
monarchia anglo-normanna aveva cura che le corti signorili nell'epoca feudale fossero il più possibile disperse: alcuni
dei vassalli più potenti erano insediati in diciassette fino a ventuno shires. In virtù di questo principio di separazione
locale le signorie dei vassalli della corona non potevano consolidarsi, come sul continente, in grandi corti sovrane»
[Simmel 1998: 104].
117
dispersione costituisce il modo meno costoso di assicurare l'attività decisionale collettiva necessaria
a realizzare i ritorni di scala nell'allevamento del bestiame» [ivi: 129].
La comunità contadina del villaggio non era costituita esclusivamente dai tenutari in condizioni
servili. I campi del villaggio appartenevano a tutti i ceti sociali che formavano l'unità manoriale: le
strisce dei possedimenti degli uomini liberi in socage, dei villein servili e del signore del maniero
giacevano una accanto all'altra, ed erano parimenti soggette all'organizzazione agricola comune. Gli
uomini del maniero non differivano solo in relazione al loro status giuridico e rispetto ai termini di
servizio relativi alla propria tenuta, ma anche rispetto alle dimensioni dei propri possedimenti. La
reale distinzione nelle condizioni di vita personali derivava più dall'ampiezza del proprio podere che
dallo status, e pertanto i confini tra le classi sociali nella comunità di villaggio tagliavano
trasversalmente le demarcazioni di ceto64
. Ciò non di meno, la situazione di ceto del libero
contadino implicava un ammontare complessivamente inferiore di servizi personali e affitti dovuti
al signore:
tale era, di fatto, il peso puramente economico dello status di contadino servile che, comparando la ricchezza economica
di un villein con quella di un contadino libero, dobbiamo assumere che, per mantenere lo stesso standard di vita, il
villein necessitava di un possedimento più largo, a volte molto più largo, di quello di un libero tenutario nello stesso
villaggio. Ciò non significa, tuttavia, che i liberi tenutari considerati in aggregato fossero necessariamente più ricchi dei
tenutari consuetudinari similmente considerati [Postan 1966: 611].
Nella comunità di villaggio non vigeva, pertanto, una condizione di eguaglianza tra i contadini, né
in termini di ceto né in termini di classe. Il villaggio era stratificato in classi differenti per quanto
riguarda le dimensioni dei possedimenti, per quanto all'interno della stessa classe i poderi
tendessero a essere di dimensioni analoghe [Homans 1970: 73]. Michael Postan ha calcolato, su un
campione casuale di 104 manieri, nel periodo tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIII, la
distribuzione dei poderi tra le diverse classi. Il 33% dei tenutari appartenevano a una classe
intermedia, possedendo mediamente poderi della dimensione di 12-15 acri. Questa era considerata
una dimensione sufficiente per praticare un'agricoltura di sussistenza, senza un largo utilizzo di
lavoro salariato, e sufficiente a mantenere una famiglia senza rendere necessario il ricorso ad altre
fonti di reddito. Il 22% comprendeva i tenutari più ricchi, in grado di coltivare i propri
64
Si accoglie qui la distinzione delineata da Weber: «per "situazione di classe" si deve intendere la possibilità tipica del
modo di procurarsi i beni, della condotta esteriore di vita e dello stato interiore, che consegue dalla misura e dalla specie
del potere di disposizione (o dalla mancanza di esso) sui beni o sulle qualificazioni di prestazione, e dalla loro
utilizzabilità per conseguire un reddito o delle entrate nell'ambito di un certo ordinamento economico [...]. Per
situazione di ceto si deve intendere un effettivo privilegiamento positivo o negativo nella considerazione sociale,
fondato sul modo di condotta della vita, e perciò sulla specie di educazione formale - sia essa un insegnamento empirico
oppure razionale, con il possesso delle forme di vita corrispondenti - e sul prestigio derivante dalla nascita o dalla
professione» [Weber 1980: 299, 303].
118
appezzamenti tramite l'assunzione di manodopera salariata. Infine, il 45% della popolazione dei
manieri includeva i contadini più poveri, accasati su appezzamenti di terra di dimensioni
insufficienti per il mantenimento della propria famiglia, e obbligati, pertanto, a offrire il proprio
lavoro ai contadini più benestanti, o al proprio signore, in cambio di un salario [Postan 1966: 618-
628]. I numeri forniti da Postan si riferiscono a un periodo collocato alla metà di un sentiero di
ininterrotta crescita demografica tra il secolo XI e la metà del secolo XIV, e quindi non sono del
tutto rappresentativi del periodo tra l'XI e il XII secolo. La dimensione media dei possedimenti calò
tra il Domesday Book (1086) e la fine del XII secolo, e la proporzione dei piccoli tenutari con poca
terra, al di sotto del livello di sussistenza, venne sempre più a ingrossarsi [Miller 1971: 5; Miller e
Hatcher 1978: 145]. Ciò non di meno l'immagine delineata contribuisce a definire uno spaccato
della società contadina inglese all'alba delle grandi innovazioni legali introdotte tra la seconda metà
del XII secolo e il XIII.
119
CAPITOLO III
DAL POSSESSO ALLA
PROPRIETA'
(XII-XVI sec.)
1. L'ARISTOCRAZIA
Lo sviluppo della Common law nel campo della real property durante i secoli XII e XIII gettò le
basi per il successivo sviluppo di diritti di proprietà sulla terra garantiti dallo stato, sottratti dalla
garanzia personale fornita dalle relazioni lord - tenant tipiche della prima età feudale. Tale processo
fu graduale, e cominciò con le riforme di Henry II tese a ripristinare l'ordine nel regno dopo il
periodo di anarchia e rivolta sperimentato durante il regno di re Stephen (1135-1154) [King 2009:
57]. La ratio originaria delle riforme di Henry non era quella di sconvolgere i fondamenti della
società feudale, bensì di restaurare tale ordine e assicurarne il funzionamento secondo i suoi stessi
principi. Le conseguenze non volute delle riforme portarono invece alla morte il sistema feudale di
proprietà della terra, dando i natali alla proprietà moderna [Palmer 1985: 2]. La perdita di controllo
dei signori feudali sulle proprietà dei propri tenutari, avviato con le riforme del XII secolo, rientra
quindi nel novero delle "conseguenze non previste dell'azione sociale intenzionata", fenomeno
concettualizzato, tra gli altri, da Robert Merton [1936]. Nonostante i risultati a lungo termine dello
sviluppo della Common law della real property furono un epifenomeno rispetto ai reali obbiettivi di
Henry II, ciò non significa furono anche casuali, e che quindi la teoria sviluppata nel capitolo I non
sia applicabile. La teoria tenta di spiegare le cause della nascita e della persistenza delle istituzioni,
non le particolarità e le contingenze relative al loro venire in essere [Dahlman 1980: 144]. Mentre
Henry II fornì uno stato forte e centralizzato, congeniale alle proprie esigenze politiche, i giudici
reali svilupparono le regole giuridiche che risposero alle esigenze proprietarie dell'aristocrazia
terriera, utilizzando e sviluppando l'ordine istituzionale inizialmente previsto, adattandolo alle
mutate condizioni sociali. Il presente paragrafo tratterà il percorso di sviluppo del fee simple, cioè
della proprietà assoluta sulla terra, una volta patrimonio precario del vassallo. Il paragrafo 2 tratterà
120
invece lo sviluppo della proprietà assoluta tra i contadini nella forma del copyhold, una volta mero
possesso servile in villeinage.
1.1. Economia e società nei secoli XII-XIII
Il XII e XIII secolo furono caratterizzati da un periodo di ininterrotta crescita demografica,
interrottosi all'inizio del XIV secolo, e seguito da un periodo di drammatico declino dovuto alla
Morte nera, quindi da una stagnazione protrattasi fino a tutto il XV secolo. La figura 3.1, tratta da
Hatcher [1977: 71], mostra un'interpolazione delle diverse stime della dimensione assoluta della
popolazione inglese tra il XII e il XV secolo, e ne illustra il trend di lungo periodo. Mentre vi è una
considerevole differenza tra le stime massime e minime presenti in letteratura relative ai valori
assoluti raggiunti dalla popolazione, il trend rimane inequivocabile. Alla fine del XIV secolo la
popolazione era quasi triplicata rispetto all'inizio del XII [Titow 1961: 220]. Questo comportò,
accanto a un maggiore affollamento delle aree di insediamento storico, una continua estensione
delle aree abitate e quindi di colonizzazione e conversione in area agricola di aree precedentemente
non coltivate [Miller e Hatcher 1978: 33]. Il periodo di espansione demografica venne ad arrestarsi
all'inizio del XIV secolo, a causa di una serie di carestie consecutive [Hatcher e Bailey 2001: 28].
All'arresto fece seguito un drammatico calo, che, in un arco di tempo della durata di pochi anni,
arrivò a quasi dimezzare la popolazione inglese [Hatcher 1977: 25]. La causa scatenante di tale calo
fu l'improvvisa diffusione di una serie di ondate di pestilenza, che colpirono consecutivamente
l'Inghilterra (e l'Europa) a partire dal 1348, protraendosi per buona parte del XIV secolo. L'ondata
di pestilenza del 1348-49, che con più violenza colpì la popolazione, è ricordata col nome di Morte
nera [King 2009: 205-206]. Il livello della popolazione, a seguito delle ondate di peste bubbonica,
ristagnò per tutti il XV secolo, tornando ad assumere un trend crescente solo all'inizio del XVI, e
arrivando a toccare le vette raggiunte nel XIII secolo solo a XVIII secolo inoltrato [Hatcher 1977:
71].
La crescita demografica costituisce un fattore importante nello spiegare la nascita dei diritti di
proprietà moderni sulla terra per due motivi. Il primo motivo ha a che vedere con gli effetti sul
valore dei prodotti agricoli e su quello della terra derivanti dal trend crescente, durato
ininterrottamente per due secoli, del livello della popolazione. La società agricola medioevale
conosceva una capacità di innovazione tecnica, seppur non del tutto assente, comunque limitata
[Postan 1951: 82]. L'offerta della principale fonte di capitale, cioè la terra, una volta occupate le
terre fertili esterne all'area di insediamento storico, era data in misura relativamente fissa. Questo
implicava che, al crescere della popolazione, e in particolare della popolazione abile al lavoro, il
121
prodotto marginale del lavoro tendeva a calare1 [North e Thomas 1973: 35-36]. Il movimento di
colonizzazione delle terre vergini, inoltre, faceva sì che sempre più terre di qualità inferiore,
precedentemente lasciate incolte in ragione della loro minore qualità, venissero portate a
coltivazione. Questo contribuì a far sì che anche il prodotto marginale della terra tendesse a calare,
diminuendo la produttività generale dell'economia agricola, e quindi il prodotto medio pro capite
[Postan 1966: 551; Bailey 1989: 14]. La crescita della popolazione fece sì che in aggregato la
domanda per i beni agricoli di sussistenza aumentò costantemente, mentre lo stock relativamente
fisso di terre di buona qualità, la bassa produttività delle terre marginali messe a coltura, e l'assenza
di sostenuto progresso tecnologico nelle tecniche agricole, fecero sì che l'offerta di tali beni non
riuscisse a espandersi allo stesso ritmo della domanda. Questo provocò un trend di crescita dei
prezzi dei prodotti agricoli per tutto il periodo considerato ben maggiore rispetto agli altri beni di
consumo [Postan 1978: 303-304]. La figura 3.2, basata sui dati raccolti da Farmer [1957: 212],
mostra l'andamento del prezzo medio nazionale di vendita del frumento durante il XIII secolo e
l'inizio del XIV2. Il suo prezzo arrivò quasi a triplicare nell'arco di poco più di un secolo. L'aumento
1 Con prodotto marginale decrescente si intende la regolarità secondo cui il prodotto aggiuntivo di un fattore variabile
applicato a un fattore il cui stock è invece fisso, superato un certo ammontare tende a calare per ogni successiva unità
del fattore variabile aggiunta. Con prodotto marginale del lavoro decrescente, in particolare, si intende la diminuzione
del prodotto aggiuntivo del lavoro applicato a uno stock di capitale fisso (ad esempio, un singolo appezzamento
terriero), per ogni successiva unità di lavoro aggiunta [Stigler 1946: 116]. 2 I prezzi degli altri cereali di largo consumo (avena, segale e orzo), del bestiame (buoi e pecore) e dei loro prodotti
(lana, formaggio), subirono un andamento del tutto analogo [Farmer 1957: 214; Postan 1978: 303; Miller e Hatcher
1978: 66]. E' riportata la media mobile a sette anni (costituita dall'anno in questione e dai tre anni precedenti e i tre
Figura 3.1 Trend di crescita della popolazione inglese, XII-XV sec.
122
dei prezzi agricoli permise agli strati sociali che vivevano al di sopra del livello della sussistenza,
cioè la grande aristocrazia terriera e i contadini più benestanti, di riuscire a catturare una rendita
maggiore dai propri terreni vendendo la propria produzione in eccesso [Postan 1978: 212-213].
L'aumento del valore del prodotto agricolo dei singoli appezzamenti, inoltre, permise che crescesse
il valore dei terreni, e quindi la rendita ottenibile dalla loro vendita o dal loro affitto [Miller 1964:
36; North e Thomas 1973: 12]. La rendita dei signori non aumentò solo a causa dell'aumento del
prezzo dei beni land-intensive. L'aumento di popolazione provocò anche un mutamento dei rapporti
di potere tra la classe dei contadini e quella dei signori terrieri. La crescita assoluta del numero di
contadini sviluppò, nel lungo periodo, una crescente "fame di terra", disponibile sempre più in
quantità minore e di minore qualità [Postan 1966: 552]. Questo implicava una crescente
concorrenza interna allo strato contadino nel tentare di accaparrarsi tenure, per quanto di carattere
servile, necessarie alla sopravvivenza. L'offerta inelastica di terra fece sì che i rapporti di
dipendenza dei contadini nei confronti dei signori crescessero, e quindi che i rapporti di potere
volgessero a favore dei secondi, rafforzando la preesistente istituzione del servaggio. Questo
significava che i signori potevano estrarre maggiori risorse dalla propria popolazione servile.
L'aumento dei tenutari in ogni maniero, accasati su poderi di dimensioni sempre minori, permetteva
che le diverse esazioni venissero raccolte su una base imponibile più ampia. L'ammontare delle
successivi), così da catturare il trend di lungo periodo dei prezzi e non le loro oscillazioni annuali. Il break nella serie è
dovuto alla mancanza di dati consecutivi per il periodo.
Figura 3.2 Prezzo medio nazionale del frumento, 1208-1325. Media mobile a sette anni.
Numeri indice (100=1208).
0
50
100
150
200
250
300
350
400
1208 1218 1228 1238 1248 1258 1268 1278 1288 1298 1308 1318
Frumento
123
singole esazioni relative alle concessioni terriere vennero inoltre ad aumentare, così da riflettere il
maggiore valore della terra: servizi di lavoro, tasse di ingresso, affitti e pagamenti per i diritti di
pascolo subirono un incremento costante durante il XIII secolo [Postan 1937: 186; Miller 1964: 33;
Smith 1983: 117; Hatcher e Bailey 2001: 46]. Allo stesso tempo l'aumento del rapporto
popolazione/terra fece sì che il prezzo del lavoro salariato venisse a calare, permettendo un proficuo
impiego di lavoro a basso prezzo sulle demesne signorili, organizzate per la produzione per il
mercato [Miller e Hatcher 1978: 219-221]. Un'altra fonte di entrata dell'aristocrazia terriera era
costituita dalle entrate derivanti dall'amministrazione della giustizia locale. Le multe per singola
infrazione delle bylaw, cioè delle regole del maniero, non vennero a crescere, anzi spesso
diminuirono. La sovrappopolazione dei villaggi portò a una diminuzione della ricchezza dei
contadini appartenenti agli strati più bassi, che semplicemente non potevano permettersi di pagare
multe in ammontare pari agli anni precedenti. Ciò non di meno, l'aumento dei tenutari servili
provocò una crescita del numero assoluto delle infrazioni, che permise di mantenere la rendita
giudiziaria nominale dei signori a livelli comparabili con quelli ottenuti precedentemente [May
1973: 390].
Il secondo motivo per cui l'esplosione della crescita demografica nei secoli XII e XIII ha a che
vedere con la riorganizzazione dei diritti di proprietà risiede nel mutamento della struttura sociale a
cui furono sottoposte le campagne inglesi nei secoli considerati. Il costume feudale nelle relazioni
proprietarie sulla terra era un costume informale, fortemente dipendente da rapporti personali
continuativi tra i soggetti costituenti gli anelli della catena feudale. La norma della proprietà feudale
era garantita da meccanismi informali simili a quelli descritti nel paragrafo 1.1 del capitolo I,
dipendenti da interazioni ripetitive e dai rapporti di forza tra le parti [Pollock e Maitland 2010a: 74-
75]. L'espansione demografica continuativa, con l'aumento della dimensione media e
dell'eterogeneità dei gruppi sociali, può aver rotto gli equilibri venutisi a stabilire in precedenza, sia
al livello del villaggio contadino, sia al livello dell'aristocrazia. La sovrappopolazione nei villaggi
portò a una crescente emigrazione dei contadini, soprattutto tra i più giovani non destinati a
ereditare il podere familiare, alla ricerca di terra tra i nuovi insediamenti marginali, o di lavoro
salariato [Macfarlane 1978: 152-153]. Questo può aver portato alla rottura dei meccanismi
informali alla base delle regole proprietarie all'interno delle singole unità manoriali, provocando una
maggiore incertezza nel possesso delle tenure in villeinage. Nel XIII secolo le infrazioni dei
costumi manoriali vennero a crescere, a indicare una maggiore concorrenza tra i componenti del
villaggio nell'utilizzo delle risorse terriere, disponibili sempre più in quantità ridotta. L'aumento del
lavoro delle corti di giustizia manoriali nel periodo testimonia come «la propensità al "crimine"
[inteso come infrazione del costume del maniero] potesse essere accresciuta dal generale
124
impoverimento e dalla pressione sulle risorse. Se un acro può significare la differenza tra la felicità
e la miseria, dispute su quell'acro saranno più probabili» [May 1973: 397]. Non le sole terre
occupate dai contadini furono soggette a maggiore concorrenza nell'utilizzo. I feudi in mano
all'aristocrazia terriera vennero a ospitare un crescente numero di vassalli, tramite successive
subinfeudazioni, così diminuendo l'area della demesne signorile gestita direttamente dai grandi
magnati o dal re, a favore della classe dei piccoli e medi cavalieri [Miller e Hatcher 1978: 270-271].
La maggiore redditività dei terreni implicava non solo una accresciuta concorrenza tra signori di
pari grado per accedere a una tenure cavalleresca, ma anche una crescente concorrenza tra signore e
tenutario nel controllo dello stesso appezzamento di terreno, il cui controllo era condiviso tra i due
secondo le regole della tenure feudale. La pressione della popolazione sulle risorse controllate
dall'aristocrazia terriera può aver contribuito a rompere gli equilibri informali del costume feudale,
creando un incentivo alla costituzione di rapporti di tenure più stabili e meno soggetti alle
incertezze prodotte dall'arbitrio di un signore interessato allo sfruttamento del crescente valore della
terra almeno quanto i suoi tenutari [King 1970: 46].
1.2. Nuovi diritti di proprietà sulla terra
1.2.1. Ereditabilità
Come anticipato nella tabella 1.6 del capitolo I, la comparsa della dimensione dell'ereditabilità delle
proprietà terriere dalla struttura di diritti di proprietà feudale è in grado di catturare le dimensioni
dell'utilizzo individuale perpetuo e della capacità di esclusione. La possibilità, garantita di diritto, di
trasmettere il proprio possedimento ai propri discendenti da parte dei vassalli, significava infatti
arrivare a considerare il feudo, da beneficio precario con carattere vitalizio, patrimonio personale
del vassallo. Il riconoscimento di tale diritto implicava per il vassallo la possibilità di impugnare
concessioni fraudolente del proprio feudo a favore di terzi da parte del proprio signore. Implicava,
cioè, riconoscere al tenutario un titolo al proprio possedimento, valido ed esigibile
indipendentemente dagli umori, o dalle sviste, del proprio lord. Le radici di tale cambiamento
affondano nel periodo di guerra civile conosciuto dal regno di re Stephen, eletto sovrano nel 11353.
L'elezione venne contestata da sua cugina, figlia di Henry I e da questi designata erede al trono,
l'imperatrice Matilda4 [King 2009: 49]. La spaccatura nella successione precipitò il regno in un
periodo di guerra civile, combattuto tra baroni e magnati fedeli all'una o all'altra parte. Il periodo di
3 Fino all'incoronazione di Henry II, che stabilì definitivamente il carattere ereditario della monarchia inglese [Davis
1964:6], erano vigenti diverse teorie, non necessariamente mutualmente esclusive, riguardo alla successione al trono:
elezione dalla comunità politica del regno; designazione da parte del re precedente; accesso per eredità tramandata per
linea di sangue [King 2009: 49-50]. 4 Moglie di Enrico V, imperatore del Sacro romano impero.
125
anarchia vide la costituzione di principali territoriali autonomi, sottratti dall'autorità e dalla legge
regale, che interruppero il processo di centralizzazione avviatosi nel regno di Henry I [King 1984:
134-135]. L'anarchia del regno di re Stephen non fu sono un conflitto politico tra fazioni. Piuttosto,
la stabilizzazione e la crescita economica e demografica seguita alla conquista portarono a crescenti
lotte inter- e intra-familiari per l'accesso alle proprietà fondiarie. Le fazioni che si allinearono dietro
ai due contendenti al trono altro non furono che fazioni distinte che lottavano per l'accesso a
proprietà stabili ed ereditabili, fino ad allora contendibili entro la struttura feudale di diritti di
proprietà sulla terra5 [Davis 1964: 9]. Come riassunto da Ralph Davis, le fazioni baronali che
presero parte alla contesa «stavano reagendo alla nozione secondo cui le loro terre erano mere
tenute che detenevano a piacere del re. Volevano che i loro possedimenti fossero effettivamente
loro [...]. Chiedevano che il re riconoscesse i loro diritti ereditari in termini specifici e non ambigui»
[ivi: 12]. La soluzione alla guerra civile, ottenuta con il Trattato di Westminster del 1153, che
designò Henry II, figlio di Matilda e nipote di Henry I, alla corona d'Inghilterra, sancì il
cambiamento dei rapporti di potere de facto tra i contendenti al trono e i propri magnati, che si
tradusse nelle riforme legali successivamente attuate da Henry II [Palmer 1985: 8].
La prima ondata di riforme attuate tra la seconda metà del XII secolo e il XIII aveva come elemento
comune il fatto che per la prima volta in modo consistente una terza parte si inseriva nel rapporto
informale tra signore e tenutario: segnatamente la giustizia reale e il suo potenziale di enforcement.
Il sistema dei writ reali, a cui si è accennato nel paragrafo 1.3 del capitolo II, comportava che la
preminenza del re si facesse sentire in ogni fase delle procedure messe a disposizione in caso di
dispute sulla proprietà della terra: dall'accoglimento della causa, alla conduzione del processo (in
particolare nel far sì che la parte citata comparisse fisicamente all'udienza), fino all'esecuzione dei
giudizi tramite la consegna del possedimento alla parte vincente da parte dello sceriffo [Baker 2007:
64; Pollock e Maitland 2010b: 108]. Questo fece sì che a poco a poco la figura del signore,
concedente il possedimento terriero al proprio tenutario, venisse a svanire nelle dispute tra i vassalli
a lui sottoposti. Questi poterono cominciare a disputare la validità del proprio titolo alla terra in sé,
a prescindere dal potere arbitrale e dal favore del lord. Allo stesso tempo i signori vennero
obbligati, tramite la sanzione della giustizia reale, a onorare i propri impegni. Questo significava la
trasformazione delle obbligazioni tra lord e tenant, tipiche del costume feudale, in tioli di proprietà
validi nei confronti del resto del mondo, compreso il proprio signore [Palmer 1985: 18]. La giustizia
regia, relativamente alle dispute sulla real property, si dimostrò più efficiente delle forme di
5 Accanto alle proprietà terriere, il titolo di conte o hundredman, a cui spesso erano associate, oltre alle eventuali
concessioni reali relative alla raccolta delle tasse locali, avevano altresì una rilevanza economica consistente [King
1984: 138-139].
126
giustizia dispensate nelle corti comunali e feudali. Non solo era in grado di garantire un processo
più limitato nei tempi, ma faceva sì che i giudizi diventassero esecutivi con una maggiore efficacia.
Inoltre, grazie all'introduzione degli strumenti dell'inchiesta e della giuria, che meglio si adattavano
all'accertamento dei fatti rispetto alle ordalie, ai giuramenti o ai compromessi che costituivano il
metodo di prova e composizione delle dispute nel periodo precedente, la sicurezza del possedimento
venne a crescere, dando efficacia e stabilità reale ai titoli sulla terra. La preferenza dei tenutari per
la giustizia reale, e quindi la sua maggiore efficienza, è dimostrata dal crescente ricorso volontario a
quest'ultima [Varian 2006: 100]. I writ non erano forniti gratuitamente dal sovrano, ma andavano
acquistati. La giustizia del re non era ancora un bene pubblico, bensì un bene privato disponibile a
chi fosse disposto a pagarne il prezzo:
prima della fine del regno di Henry [II] bisogna pensare alla giustizia reale - che stava diventando di gran lunga il
genere più importante di giustizia - come consistente di molte e varie merci [...]. Tra queste il litigante deve fare una
scelta; deve scegliere il writ appropriato e con questo la forma di azione legale appropriata. Queste merci sono esposte
per la vendita; forse alcune di queste potevano già essere acquistate a un prezzo fisso, per altre un accordo sul prezzo
andava ancora raggiunto [Pollock e Maitland 2010a: 160].
L'iniziale natura privata della giustizia reale, disponibile solo a chi avesse contribuito ai suoi costi,
permise di superare alcuni degli ostacoli relativi alla fornitura di beni pubblici e comuni descritti nel
paragrafo 2.1 del capitolo I. Tra il XII e il XIII secolo l'aristocrazia fu disposta a spendere maggiori
risorse nella giustizia regia per garantire l'effettività del proprio titolo a proprietà terriere crescenti
nel valore e sottoposte a una maggiore concorrenza nell'utilizzo. Oltre a questo nuove risorse
vennero investite nel registrare titoli e transazioni con maggiore precisione, innanzitutto
generalizzando, almeno per le grandi proprietà, l'utilizzo della scrittura su pergamena, e inoltre
assumendo per attendere a tale compito personale altamente qualificato e retribuito [Hatcher e
Bailey 1978: 192]. Allo stesso tempo lo stato (il re), essendo più efficiente nel garantire la sicurezza
del titolo, era in grado di fornire una protezione ai tenutari con costi complessivamente minori
rispetto alle farraginose e incerte procedure presenti nelle corti comunali e feudali. Secondo il
modello illustrato nella figura 1.4 del capitolo I, entrambi questi cambiamenti avrebbero dovuto
portare a un livello di esclusività nelle proprietà terriere, come effettivamente avvenne, più vicino
alla proprietà assoluta [Anderson e Hill 2003: 126]. La disponibilità dei magnati, e dei loro seguaci,
a rivoltarsi, rese necessario un compromesso politico che riconoscesse una maggiore sicurezza nel
titolo alla proprietà anche tra i baroni nei confronti del sovrano [Davis 1964: 11]. L'aumento del
potere politico de facto dell'aristocrazia cospirò a introdurre nuovi rapporti di potere de jure, e
quindi a una ridefinizione dei diritti di proprietà sulla terra.
127
Writ of right. Il compromesso raggiunto col Trattato di Westminster del 1153 pose le prime
fondamenta perché le proprietà terriere cominciassero a essere considerate proprietà di diritto e non
semplicemente concessioni garantite da un'obbligazione personale. Il compromesso richiedeva che i
tenutari entrati in possesso di feudi durante l'anarchia del regno di re Stephen, a scapito degli allora
legittimi occupanti (spesso espulsi a seconda delle appartenenze di fazione), sarebbero rimasti
tenutari per la durata della loro vita ma, alla loro morte, al possedimento non sarebbero succeduti i
loro eredi, bensì gli eredi del legittimo occupante ai tempi del regno di Henry I, ultimo periodo di
pace prima degli sconvolgimenti causati dall'anarchia di re Stephen. Nell'assicurarsi che i lord
mettessero in atto i termini del compromesso, accettando gli eredi del precedente tenutario
legittimo, Henry II fornì un potente strumento, cioè il writ of right. Tale mandato reale poteva
essere richiesto alla cancelleria regia dal legittimo erede secondo i termini del compromesso, in
caso gli fosse stato impedito di accedere al possedimento del proprio avo. Il mandato chiedeva che
il lord rendesse pieno diritto all'erede, e in caso questo non fosse accaduto, il caso poteva essere
rimosso nella corte di contea e quindi davanti alla giustizia del re. La formula standard del writ of
right così recitava:
il re al conte W., saluti. Vi ordino di rendere pieno diritto senza esitare a N., rispetto a dieci carucates di terra locati a
Middleton, che N. asserisce di detenere da voi per il libero servizio di un cavaliere in tutto, e da cui R., figlio di W., gli
impedisce l'ingresso. E se non provvederà, provvederà lo sceriffo di Nottingham, in modo che io non senta future
lamentele in quanto a questo per mancanza di giustizia [cit. in Palmer 1985: 11].
Tale strumento era inizialmente di portata limitata: si riferiva alle parti che avevano subito un torto
durante l'anarchia, e quindi copriva un limitato numero di situazioni. Ciò non di meno costituiva un
primo vincolo esterno che veniva imposto al potere disciplinare dei lord nei confronti dei propri
tenutari6 [Palmer 1985: 9-11]. Tale principio, solidificandosi, venne a compiere una rivoluzione nei
rapporti proprietari feudali: un importante risultato di questo cambiamento
fu di dare al richiedente legittimo della terra più che una semplice rivendicazione morale o contrattuale nei confronti del
proprio lord [...]. L'effetto del writ of right fu di conferirgli una rivendicazione proprietaria [...]. L'autorità del lord stava
cominciando a evaporare nel processo. A questo punto si può addirittura dire che la legge ha cominciato a riconoscere
qualcosa come la proprietà del tenutario legittimo; dal momento che il "diritto" a essere in seisin diventa ora un titolo
legale astratto che trascende la seisin effettivamente in essere, e può essere invocato nel sostituirla [Baker 2007: 232].
Il cambiamento nel rapporto di omaggio feudale consiste nel fatto che, mentre il consenso del
signore rimaneva la parte costitutiva del rapporto di tenure feudale, ora tale consenso poteva venire
imposto da una fonte di autorità esterna, segnatamente dal re [Milsom 1976: 105, 172-174]. Questo
6 Si veda il paragrafo 2.2.3 del capitolo II.
128
conferiva all'erede legittimo un diritto di proprietà formale nel possedimento familiare, a
prescindere dalla discrezione del signore. L'erede poteva portare un'azione legale atta a espellere il
tenutario attualmente in possesso e accettato dal signore, per essere accettato a sua volta come
tenutario legittimo. Inizialmente, il metodo per risolvere una rivendicazione proprietaria tramite il
writ of right era il duello giudiziario: la parte vincente avrebbe stabilito il miglior diritto al
possedimento. Tale metodo venne affiancato nel 1179, sotto Henry II, dal metodo dell'inchiesta:
una giuria convocata dalla corte reale avrebbe esaminato la genealogia del possedimento, e avrebbe
dichiarato quale parte era in possesso del migliore diritto ad accedervi [Baker 2007: 233]. Il
ricorrente offriva di risolvere la questione tramite duello presentando un campione in sua vece,
mentre al convenuto era data la scelta se accettare il duello o porre la questione a una giuria (detta
grand assize) [Pollock e Maitland 2010b: 66]. Nel caso la scelta fosse ricaduta sulla giuria, se il
richiedente fosse riuscito a tracciare una linea di discendenza valida da un proprio antenato
legittimamente in possesso della tenuta, avrebbe ottenuto di diritto il possedimento, eliminando per
sempre future rivendicazioni della parte sconfitta e dei suoi discendenti. Rimanevano aperte
possibili rivendicazioni da parte di terzi, che potevano vantare un migliore diritto. La giuria
stabiliva il migliore diritto disponibile tra le parti in causa, e non un diritto assoluto valido nei
confronti di terzi, al momento sconosciuti, che avrebbero in futuro potuto vantare un diritto migliore
della parte vincente [Pollock e Maitland 2010b: 79].
Tra la fine del XII e il XIII secolo vennero presi altri provvedimenti nel limitare il potere
discrezionale dei signori. Grazie alle riforme iniziate col compromesso del 1153, entro il primo
lustro del XIII secolo era considerata una regola di Common law che nessun tenutario, proprietario
di un possedimento libero, potesse essere chiamato a rispondere di questioni a questo relative nella
corte del suo signore senza un writ reale [Palmer 1985: 19]. La giurisdizione del lord rimaneva in
teoria intatta nei procedimenti disciplinari (ad esempio, nei confronti di un tenutario che si rifiutava
di adempiere ai servizi derivanti dalla sua tenure), ma veniva a essere fortemente limitata nei
procedimenti proprietari [Milsom 1976: 25]. Dal momento che questioni disciplinari e proprietarie
erano intimamente collegate nel costume feudale (il servizio era inseparabile dalla concessione
terriera), la giustizia regia venne a estendersi anche ai rapporti personali di vassallaggio tra signore
e soggetto [ivi: 30-31]. Ad esempio, il costume feudale permetteva alla corte signorile la confisca
dei beni di un tenutario che non avesse reso i dovuti servigi, col principale scopo di indurlo a
rendere il dovuto. Se il tenutario, però, riteneva che il signore stesse richiedendo servizi non previsti
dal rapporto di tenure, poteva rivolgersi alla giustizia reale, sostenendo che il proprio signore stesse
invadendo ingiustamente la propria libera proprietà. Questo fece sì che anche il potere disciplinare
del lord venisse sottoposto al controllo esterno della giustizia del re, e con questo il suo potere di
129
incrementare in modo arbitrario i servizi, e gli incident, anticamente stabiliti, che a seguito del
processo inflattivo del XIII secolo venivano sempre più a ridursi in termini reali7 [Bean 1968: 13;
Baker 2007: 237-238]. La crescente intrusione della giustizia regia accelerò la nascita di diritti di
proprietà assoluta «togliendo ai signori il controllo ultimo sopra le terre costituenti la propria
signoria, lasciandoli con i soli diritti economici fissati [...]. I tenutari divennero proprietari, soggetti
solo a quei diritti fissati, in quanto i signori e le loro corti persero il loro potere di emettere giudizi
finali» [Milsom 1976: 66]. Entro la fine del XIII secolo lo sviluppo legale, e il crescente accesso
alla giustizia del re, fecero sì che il tenutario diventasse il reale proprietario della terra, a scapito del
signore8. Gli ampi diritti del signore feudale, una volta garantiti dalla propria corte, vennero a
restringersi grazie alla supervisione di una giustizia esterna, che trasformò i diritti signorili sui
propri uomini in una rendita estratta dal tenutario ora proprietario, sempre più esatti in moneta
anziché in servizi militari o personali di altro genere [Baker 2007: 229, 237]. Come ha scritto Marx,
la posizione del possesso fondiario [feudale] nei riguardi [dei tenutari è] immediatamente politica ed ha pure un lato
affettivo [...]. E' necessario che questa apparenza venga soppressa, che la proprietà fondiaria, la radice della proprietà
privata, venga attratta interamente nel movimento della proprietà privata e si trasformi in merce, che la signoria del
proprietario appaia come la signoria pura e semplice della proprietà privata, del capitale, spogliata di ogni valore
politico [...], che ogni rapporto personale del proprietario con la sua proprietà venga meno e questa si trasformi in
ricchezza puramente reale, materiale [Marx 1949: 60-61].
Petty assizes. Il writ of right era uno strumento teso a stabilire rivendicazioni di carattere
proprietario. Istruiva un processo lungo, che tramite lo strumento dell'inchiesta stabiliva la
genealogia, spesso lontana nel tempo, dei diritti reclamati. Stabilire il diritto al titolo, in un processo
che poteva durare anni, era sì importante, ma non era, di per sé, uno strumento efficace nel
difendere speditamente la proprietà in essere da eventuali intrusioni avallate dal proprio signore
[Pollock e Maitland 2010b: 66]. Un diritto formale alla proprietà sanzionato dallo stato può difatti
essere definito tramite la compresenza di due rimedi: un rimedio che stabilisca il titolo valido a un
possedimento; e un rimedio che scoraggi invasioni nel godimento del titolo alla proprietà [Palmer
1985: 13]. Nell'aumentare il livello di esclusività nell'utilizzo, pertanto, accanto all'azione
proprietaria del writ of right, vennero approntati altri rimedi di carattere possessorio tesi, cioè, a
garantire il possesso e l'occupazione attuale più che il diritto a questi derivante da un diritto
acquisito lontano nel tempo. L'utilità di un titolo legale astratto è ben poca cosa se non esistono gli
7 Allo stesso modo un signore poteva rivolgersi alla giustizia reale in caso non fosse riuscito col solo aiuto della propria
corte a ottenere servizi dovuti effettivamente non resi dal proprio tenutario [Milsom 1976: 31]. 8 Questa affermazione va attenuata nel caso dei grandi magnati che avevano come signore immediatamente superiore il
re. Nonostante la Magna Carta stabilisse che il re si sarebbe comportato coi propri tenutari secondo le stesse regole
disponibili al resto dell'aristocrazia, questo dipendeva comunque dalla volontà del re, in quanto in tal caso non era
disponibile il ricorso a un ulteriore livello di giustizia esterno [Milsom 1976: 163; Palmer 1981: 1163].
130
strumenti per far sì che il possedimento concreto possa venire occupato effettivamente senza
impedimenti determinati ad arbitrio di terzi. Gli strumenti a garanzia del possesso effettivo vennero
a essere conosciti come petty assizes: «laddove il writ of right era disegnato per stabilire un diritto
ultimo [...], le "petty assizes" di Herny II erano mirate a produrre una rapida inchiesta da parte dei
vicini su questioni di fatto più prontamente accertabili. Le assize non scavavano nel diritto, ma
proteggevano lo status quo da eventuali torti» [Baker 2007: 233]. Lo strumento più importante tra
queste fu l'assize of novel disseisin, probabilmente introdotta col consenso dei baroni a seguito
dell'Assize of Clarendon9 nel 1166, e standardizzata e regolarmente resa disponibile entro il 1188
[Palmer 1985: 22; Pollock e Maitland 2010a: 166]. Tale strumento era teso a riportare in possesso
del proprio appezzamento quei tenutari che reclamavano di esserne stati espulsi ingiustamente, cioè
senza un regolare giudizio entro la corte del proprio lord. La ratio era di proteggere la seisin in
essere, ed assicurare al tenutario un giusto processo [Palmer 1981: 1137]. La forma del writ of novel
disseisin era la seguente:
il re allo sceriffo: Thomas ha reclamato che Ralph lo ha spossessato [disseised] ingiustamente e senza giudizio del suo
libero possedimento locato in tale posto da tale data. Perciò, se Thomas fornisce pegno per dare seguito al suo reclamo,
dovrai ristorare la tenuta dei beni che da questa erano stati confiscati, e controllare che la tenuta coi suoi beni resti
indisturbata fino a tale data, quando dovrai portare dodici uomini onesti di fronte ai nostri giudici perché si pronuncino
sulla questione; e dovrai far sì che Ralph sia lì per ascoltarci, o, se non è disponibile, il suo balivo [cit. in Milsom 1976:
11].
Un qualsiasi tenutario che fosse stato allontanato dal proprio possedimento senza un regolare
giudizio della corte del proprio signore poteva perciò accedere alla giustizia reale, che, a sua volta,
avrebbe lasciato la questione a una giuria composta da dodici cavalieri della contea in questione.
Questi avrebbero stabilito se il richiedente era effettivamente stato in possesso del terreno reclamato
(indagando se avesse goduto effettivamente per un certo periodo dei profitti del terreno, e se i vicini
residenti nel distretto avesse assistito a una livery of seisin10
in suo favore), e se da questo era stato
espulso senza un regolare giudizio della corte signorile [Milsom 2002: 573; Pollock e Maitland
2010b: 50-51]. L'assize of novel disseisin introdusse perciò un ulteriore elemento di controllo
esterno sulla giurisdizione disciplinare signorile. Il fatto di essere in possesso cominciò a separarsi
dall'attiva accettazione del lord: se il signore A aveva spossessato ingiustamente il tenutario B,
consegnando il possedimento a C, in caso di giudizio favorevole a B il signore avrebbe dovuto
9 Col termine assize (assise, assemblea), nel XII secolo si intendeva un'assemblea, presieduta dal sovrano e composta
dai magnati del regno, e le sue deliberazioni. Era a tutti gli effetti un'assemblea legislativa [King 2009: 68]. 10
Si veda il paragrafo 2.2.1 del capitolo II.
131
permettere il possesso a B, anche se le sue preferenze personali inclinavano per C11
[Palmer 1981:
1138-1139]. Nemmeno il tenutario C fu lasciato senza protezione: se A aveva garantito
personalmente il possedimento a C tramite il passaggio di un titolo scritto (per quanto
ingiustamente, tramite espulsione di B), C poteva chiamarlo in causa, chiedendo, e ottenendo, che
gli venisse consegnato un possedimento di pari valore [Bailey 1945: 285]. L'azione disponibile a
tale scopo, che trova le sue radici nelle riforme legali di Henry II, sarà conosciuta nel XIII secolo
come writ de warantia carte, mandato reale che obbligava il signore A a garantire il titolo trasferito
a C, trasferendogli una porzione di terra di valore equivalente (procedura detta escambium) [Hyams
1987: 483]. Il novel disseisin fu affiancato da azioni legali analoghe. Di particolare importanza fu
l'assize of mort d'ancestor12
, introdotta con l'Assize of Northampton nel 1176. Tale azione era tesa a
stabilire se il padre o il parente più prossimo di un erede, escluso dall'occupazione della terra, fosse
morto mentre era in possesso di una tenuta. Se la giuria avesse risposto affermativamente alla
domanda, l'erede legittimo avrebbe dovuto essere messo in possesso della tenuta, a scapito di
eventuali tenutari messi arbitrariamente in possesso dal lord senza rispettare i canoni ereditari. La
discrezione signorile nella scelta del successore a un feudo venne quindi ancora più limitata,
venendo il signore costretto ad accettare il possesso dell'erede legittimo ancora prima del diritto
(regolato dal writ of right) [Baker 2007: 234]. La rottura più forte col costume feudale prodotta
dalle petty assizes fu la rottura dell'intimo rapporto tra seisin e omaggio. Mentre nel feudalesimo
delle origini la messa in possesso era inestricabilmente legata all'accettazione dell'omaggio e della
fedeltà da parte di un proprio seguace, le assize ruppero la connessione, enucleando due momenti
distinti. La seisin (e il diritto, tramite il writ of right) veniva garantita dalla giustizia reale,
indipendentemente dall'accettazione da parte del signore del rapporto di omaggio vassallatico. Un
tenutario poteva ora entrare in possesso senza essere accettato come proprio uomo da parte del
signore, per quanto quest'ultimo non avrebbe potuto reclamare i suoi servizi e gli incident feudali se
si fosse rifiutato ostinatamente di riconoscere il fatto compiuto [Milsom 1976: 171-173]. In
particolare fu protetta la situazione dell'erede, che entro la fine del XIII secolo era considerato
immediatamente in seisin alla morte del proprio genitore, e non già a seguito dell'accettazione
dell'omaggio da parte del lord. Se questo non gli fosse stato permesso era disponibile l'assize of
mort d'ancestor [Thorne 1959: 202-203; Milsom 2002: 573].
11
Il novel disseisin era disponibile anche per i signori nel caso fossero stati dispossessati ingiustamente dai propri
tenutari [Baker 2007: 233]. 12
Le altre due petty assizes erano l'assize of darrein presentment e l'assize utrum [Pollock e Maitland 2010b: 597]. La
prima costituiva un rimedio possessorio in caso di dispute relative alla possibilità di nominare un parroco. La seconda
era tesa a stabilire la natura ecclesiastica o laica di un possedimento [Pollock e Maitland 2010a: 154-158].
132
Writ of entry. Le petty assizes erano rimedi interessati a indagare eventi recenti: la morte di un
antenato durante la sua legittima occupazione di un possedimento o l'ingiusta espulsione di un
tenutario dalla propria tenuta. Dall'inizio del XIII secolo cominciò a venire sviluppata un'ulteriore
azione, a metà strada tra i rimedi proprietari e possessori già discussi, chiamata writ of entry.
Contrariamente alle assize si occupava anche di fatti meno recenti, ma lo faceva senza gli
inconvenienti del writ of right, il quale doveva essere inizialmente portato nella corte del proprio
signore e infine rimosso nella corte reale, dove all'accusato rimaneva la scelta tra l'accettare il
verdetto di una giuria o scegliere di risolvere la questione tramite duello giudiziario [Baker 2007:
234-235]. Le azioni ammesse tramite il writ of entry erano di diverso tipo, ma tutte si focalizzavano
sullo stabilire, ponendo la questione a una giuria convocata all'uopo, in che modo il tenutario
attualmente in possesso era entrato nel suo possedimento. L'obbiettivo del ricorrente era di
dimostrare che l'ingresso del convenuto era in qualche modo illegale, e quindi che egli aveva un
diritto valido per accedervi al suo posto. L'azione indagava sul diritto al possedimento più di quanto
facessero le assize, ma il risultato era meno definito del writ of right: mentre quest'ultimo stabiliva
la validità di un diritto una volta per tutti, il writ of entry poteva essere appellato tramite un writ of
right [Palmer 1985: 24-25]. Un esempio di un writ of entry del genere sur disseisin (tramite
spossessamento)13
, teso a recuperare l'eredità di un genitore che era stata data a un terzo dal signore,
e che era discesa al figlio di quest'ultimo, era così formulato:
il re allo sceriffo, saluti. Ordini a D che giustamente e senza esitazione renda ad A dieci acri di terra con relative
pertinenze locati presso Whilton, a cui non ha accesso se non per tramite di C, a cui furono consegnati da B,
spossessando ingiustamente A, come afferma. E se non lo fa convochi D, etc... [cit. in Palmer 1985: 32].
In questo modo era possibile per A recuperare l'eredità del padre, anche se non vi era stato uno
spossessamento recente da parte di D nei confronti di A (novel disseisin), e anche se il padre di A
(che poteva essere stato tenuto ingiustamente fuori dal possedimento da parte del signore B) non era
morto effettivamente in possesso della tenuta (mort d'ancestor), il tutto senza dover sottoporsi alla
lunga e complicata procedura del writ of right14
. La struttura del writ è ancora intrisa dello spirito
feudale: nei mandati così formulati il lord (B, nella figura 3.3) e la sua volontà, per quanto sempre
13
Alcune esempi delle altre azioni a cui il writ of right forniva rimedio sono i seguenti: ad terminum qui preteriit
(mancata restituzione all'erede legittimo di un terreno affittato dal padre a terzi, e trattenuto oltre il termine prestabilito);
cui in vita (reclamo della porzione dovuta per legge da parte di una vedova, in caso il marito avesse alienato l'intero
possedimento); dum fuit infra etatem (recupero di un terreno alienato da un soggetto durante la minore età, entro cui
non aveva capacità di agire); dum fuit non compos mentis (recupero di un terreno alienato da un soggetto non nella
piena capacità delle proprie facoltà mentali) [Palmer 1985: 26-36]. 14
In questo come negli altri casi di azioni per il recupero di real property, la parte uscente sconfitta dal procedimento
(in questo esempio D) poteva chiamare in causa B, se in possesso di un titolo di trasferimento valido, per essere
compensato con un possedimento del valore pari a quello ingiustamente assegnato e ora restituito al legittimo
proprietario [Bailey 1945: 292].
133
più messi in discussione, fungevano ancora simbolicamente da anello di congiunzione nella
struttura piramidale dei rapporti tra tenutari minori nella prima parte del XIII secolo. Anche tale
ruolo venne però a sparire, con lo stabilirsi del diritto di libera alienazione (discusso nel paragrafo
1.2.2) entro la fine del XIII secolo, trasformando i rapporti verticali tra signore e tenutari in rapporti
orizzontali, che potevano prescindere dalla struttura verticale con il lord posto al vertice, illustrata
nella figura 3.3 [Palmer 1985: 47].
1.2.2. Alienabilità e disponibilità testamentaria
Seguendo le dimensioni riassunte nella definizione Blackstone-Ellickson di proprietà assoluta
riportata nella tabella 1.6 del capitolo I, non è ancora possibile parlare di proprietà assoluta nel caso
in cui non esista la libera possibilità di trasferire a terzi i propri diritti di controllo di una risorsa. Gli
indicatori qui utilizzati nell'identificare tale dimensione consistono nella possibilità di alienare
liberamente parte o la totalità dei propri possedimenti, e nella possibilità di dare disposizioni
testamentarie relative alla loro devoluzione dopo la morte.
Alienabilità. Gli scambi di terra nella prima età feudale erano costituiti principalmente da due
modalità, cioè la sub-infeudazione e la sostituzione15
. La sub-infeudazione era il metodo dominante,
data la struttura istituzionale feudale: accettare un nuovo tenutario implicava infatti il diritto alla
riscossione di profittevoli diversi diritti signorili, cioè gli incident. Tramite la modalità della
sostituzione, invece, era necessario separarsi definitivamente dal possedimento trasferito, con la
conseguente impossibilità di godere dei diritti signorili implicati dalla sub-infeudazione. Ciò
nonostante, non era nell'interesse dei grandi proprietari terrieri (coloro che avevano molti tenutari
15
Si veda il paragrafo 2.2.4 del capitolo II.
Figura 3.3 Struttura di un Writ of entry sur disseisin
134
sotto di sé) che i propri tenutari sub-infeudassero a loro volta. Un grande signore A riceveva da un
tenutario B i servizi stabiliti, oltre agli incident feudali. Se B a sua volta sub-infeudava C e D, pur
rimanendo responsabile della fornitura dei servizi stabiliti, poteva provocare al signore A ingenti
svantaggi. Innanzitutto il possedimento sotto il diretto controllo di B veniva ridotto di dimensioni, a
causa delle successive sub-infeudazioni: questo significava che alla morte di B gli incident
derivabili dal terreno sotto il suo controllo venivano a ridursi. Ad esempio, il diritto di wardship
sull'erede, che permetteva al lord di appropriarsi dei profitti della terra del proprio tenutario finché
l'erede legittimo non avesse raggiunto la maggiore età, era esercitabile su una porzione di terreno
più ridotta, essendo ora altre parti occupate dai tenutari C e D. In secondo luogo la crescita dei
tenutari infeudati da B rendeva più difficile per quest'ultimo assicurarsi che tutti i tenutari a lui
sottoposti rendessero la loro parte di servizi stipulati a favore di A. Infine, se il tenutario B avesse
sub-infeudato a favore di un'istituzione ecclesiastica, A poteva essere ulteriormente danneggiato, in
quanto spesso i servizi richiesti dalle corporazioni religiose erano di carattere spirituale: questo
rendeva ancora più difficile da parte di B il rendere i servizi dovuti ad A, visto che parte del proprio
patrimonio era impegnato in cambio di servizi prevalentemente immateriali [Bean 1968: 40-42]. Per
quanto riguarda i piccoli e medi tenutari, che non avevano una lunga catena feudale sotto di loro, la
possibilità di alienare liberamente, per sostituzione o sub-infeudazione, senza il consenso dei propri
signori, era da considerarsi vantaggiosa. Al crescere della redditività, e della relativa scarsità, della
terra, il diritto alla libera alienazione, senza l'accettazione preventiva ottenuta tramite il pagamento
di una licenza di alienazione a favore del proprio signore, avrebbe permesso agli occupanti di
capitalizzare, tramite lo scambio sul mercato, i futuri profitti da questa derivanti [De Alessi 2003:
103]. La crescita demografica dei secoli XII e XIII, con il conseguente allungamento della catena
feudale, portò a rompere l'equilibrio fondato sulla prevalenza della sub-infeudazione, in quanto
sempre meno conveniente per i grandi magnati. La perdita degli incident, in particolare del diritto
più profittevole, quello di wardship16
, in un periodo di crescita delle rendite agrarie, rendeva la
persistenza della possibilità di sub-infeudazione particolarmente svantaggiosa [North e Thomas
1971: 801]. Nel corso del XIII secolo vennero presi diversi provvedimenti nel tentare di difendere i
magnati (compreso il re) dalle perdite così configuratesi [North e Thomas 1973: 67]. A seguito di
una sollevazione baronale, la conferma della Magna Carta del 1217 vietava a ogni tenutario di
alienare una parte dei propri possedimenti tale da impedirgli di rendere i servizi dovuti al proprio
signore. Un'ordinanza reale del 1256 proibiva ai tenutari diretti della corona di effettuare sub-
infeudazioni senza la previa acquisizione di una licenza reale. Le Provisions of Westminster del
16
Contrariamente agli altri incident, fissati dalla tradizione e dalla common law a un ammontare monetario fisso che
perdeva di valore alla crescita dei prezzi, la wardship, venendo raccolta in risorse materiali (i frutti della terra),
manteneva il suo valore reale anche in un ambito inflazionistico.
135
1259 proibivano alle corporazioni religiose di prendere possesso di un feudo senza l'esplicita
approvazione del lord superiore. Nel 1279 lo Statute of Mortmain proibiva qualsiasi ulteriore
acquisizione da parte di enti religiosi [Bean 1968: 42, 51-53, 67; King 2009: 103-104].
A seguito delle crescenti pressioni provenienti da un'aristocrazia i cui possedimenti aumentavano
rapidamente di valore, e grazie alla disponibilità dei grandi magnati e del loro seguito a rivoltarsi
(una seconda guerra baronale scoppiò tra il 1264 e il 1267), una soluzione alle richieste congiunte di
magnati e aristocrazia venne raggiunta con lo statuto Quia emptores del 1290 [Maitland 1908: 72-
73]. Con le seguenti parole veniva stabilito definitivamente il diritto per i liberi tenutari, a
esclusione dei tenants in chief, alla libera alienazione:
il nostro signore il re [...] su richiesta dei grandi signori del regno concesse, provvide e ordinò che in avvenire sarà
legittimo per ogni libero uomo il vendere a proprio piacere le proprie terre o tenute o parte di queste, in modo che il
cessionario detenga la medesima terra o tenuta dallo stesso signore superiore dello stesso feudo, per tali servizi e
consuetudini tramite cui il concedente aveva detenuto precedentemente [cit. in Bean 1968: 79].
Lo statuto raggiungeva due obbiettivi: innanzitutto veniva riconosciuta la possibilità per tutti i
tenutari che non detenevano terra direttamente dalla corona la possibilità di alienare liberamente i
propri possedimenti senza il consenso del proprio signore, e senza necessità di pagare una tassa di
alienazione; in secondo luogo, l'unica modalità di trasferimento d'ora in avanti accettata diventava
quella della sostituzione. La modalità della sub-infeudazione veniva abolita [Bean 1968: 79-80]. Lo
statuto costituiva un compromesso, che comportava vantaggi per le fila più elevate dell'aristocrazia
come per quelle più basse: «i grandi signori dovevano concedere ai loro tenutari una piena libertà di
alienazione tramite sostituzione - sostituzione anche di molti tenutari al posto di uno - e così
incorrere nel pericolo di perdere i loro servizi tramite il processo di ripartizione; d'altro lato, la sub-
infeudazione, con il conseguente deprezzamento dei diritti di escheat, wardship e marriage, fu
abolita» [Pollock e Maitland 2010a: 356-357]. L'accordo, che garantiva libertà di alienazione
all'aristocrazia minore ma non a quella maggiore, fu il risultato anche di un crescente potere politico
de facto esercitato dall'aristocrazia minore nei confronti dell'aristocrazia maggiore e della corona,
che cominciava a venire riconosciuto anche de jure [Bean 1968: 94]. Fin dall'inizio del XIII secolo i
cavalieri di contea venivano infatti utilizzati con compiti di amministrazione locale, in particolare
nella valutazione e nella raccolta delle tasse garantite da lord e prelati. Durante una delle frequenti
crisi fiscali, nel 1254 vennero convocati quattro cavalieri per ogni contea non solo per essere istruiti
al fine di gestire la raccolta delle tasse, ma, per la prima volta, per garantire personalmente al re una
136
parte delle stesse17
[Maitland 1908: 71-72]. Accanto alla crescita del valore delle terre, l'aristocrazia
minore poté giovarsi anche della crescente dipendenza della corona e dei magnati su di essa
nell'adempiere, come funzionari e come contribuenti, ai sempre più esigenti bisogni fiscali del
tesoro. La corona, pertanto, fu spinta a concedere una importante modifica nella struttura dei diritti
di proprietà in ragione della sua crescente dipendenza, fiscale e amministrativa, da un ceto sociale
sempre più interessato alla possibilità di ottenere la libera alienazione delle terre18
[North e Thomas
1973: 69]. Una maggiore libertà di alienazione da parte dei tenutari della corona fu infine
conquistata grazie a uno statuto del 1327 di Edward III, alla vigilia dello spartiacque rappresentato
dalla Morte nera, e pochi anni dopo l'ennesima sollevazione baronale del 1321-1322 [King 2009:
181-181]. Lo statuto non aboliva il diritto del re a controllare, dietro pagamento, le alienazioni, ma
stabiliva che le alienazioni eseguite senza una licenza reale non avrebbero comportato una confisca
permanente del terreno, ma sarebbero state restituite e regolarizzate dietro il pagamento di una
multa, che doveva comunque essere di ammontare "ragionevole". Nonostante le differenze tra le
categorie, entro il 1327 la totalità dell'aristocrazia si vedeva garantito il diritto alla libera alienazione
dei possedimenti terrieri [Bean 1968: 100-101].
La crescente perdita di controllo da parte dei signori sulle alienazioni dei propri tenutari venne
riconosciuta nelle corti di giustizia reali nel corso del XIII secolo [Bailey 1945: 274]. Nelle cause
relative alla real property il ruolo del signore, una volta figura preminente nei rapporti proprietari,
divenne via via più evanescente. Un esempio della scomparsa della figura del lord è fornito da un
writ of entry causa matrimonii prelocuti (in ragione di un matrimonio arrangiato) della fine del XIII
secolo, schematizzato in figura 3.4, che così recitava:
ordini a D che [...] renda ad A dieci acri [...], ai quali ha accesso tramite C, a cui furono consegnati da A in ragione di un
matrimonio tra di loro arrangiato, tramite il quale avrebbe dovuto averla per moglie, mentre ciò non è ancora accaduto,
come ella afferma, etc... [cit. in Palmer 1985: 33].
In questo esempio una donna A aveva alienato il proprio possedimento tramite sostituzione a un
promesso sposo C, che a sua volta aveva messo in possesso D. A seguito del mancato matrimonio la
donna reclamavi il proprio possedimento. In questo writ è omessa la posizione di B, che doveva
essere il signore di A (e quindi di C, per sostituzione). Quella che viene dipinta è più una
transazione orizzontale tra A e C, piuttosto che una sequenza di transazioni verticali (A con B, e B
17
La convocazione, sempre più regolare di qui in avanti, dei cavalieri di contea, e quindi dei rappresentanti dei borghi,
verrà a formare la camera dei commons del parlamento inglese. 18
La parte più povera del ceto cavalleresco minore poteva essere più interessato a ottenere la possibilità di libera
alienazione non per incrementare i propri guadagni, ma spinta dalla necessità nel tentare di pagare i propri debiti.
Mentre molte famiglie di piccoli cavalieri videro incrementare le proprie fortune tra il XII e il XIII secolo, molte altre
vennero a sparire, lasciando i loro possedimenti a famiglie più ricche [King 1970: 47-48; Postan 1978: 205].
137
con C), come nel mandato schematizzato nella figura 3.3. Mentre fino all'inizio del XIII secolo il
lord, pur sotto il controllo della giustizia regia, rimaneva una parte fondamentale allo scambio, dalla
metà del XIII secolo e fino allo statuto Quia emptores la sua posizione si era talmente assottigliata
da poter essere omessa dal testo del mandato e dalle preoccupazioni delle parti allo scambio
[Palmer 1985: 34-35].
Disponibilità testamentaria. Come si è visto nel paragrafo 2.2.4 del capitolo II la disponibilità
testamentaria dei possedimenti terrieri era fortemente limitata nei secoli XI e XII, inizialmente dal
costume feudale, che imponeva una compartecipazione dell'erede e del proprio signore, sia dalla
nascente Common law, che arrivò a eliminare la possibilità di trasferimenti post obitum. L'unica
possibilità di libera disponibilità testamentaria, riconosciuta dalle corti regali, riguardava i beni
personali (chattel)19
. Se il deceduto non aveva moglie o figli poteva disporre tramite testamento
della totalità dei propri beni mobili. Se aveva una moglie vivente, o dei figli, poteva disporre
liberamente di metà dei propri beni, l'altra metà essendo destinata di diritto alla vedova o ai figli.
Infine, se aveva sia moglie che figli, poteva disporre di un terzo dei beni, mentre un terzo veniva
suddiviso tra i figli, e il restante terzo veniva aggiudicato alla vedova [Pollock e Maitland 2010b:
365]. Il divieto di disponibilità testamentaria delle proprietà reali era teso a proteggere il patrimonio
familiare a favore dell'erede legittimo, così da rafforzarne le rivendicazioni proprietarie [ivi: 344-
345]. Ciò non di meno tale divieto implicava un serio limite alla libertà di disposizione delle
proprietà immobiliari secondo la volontà dell'occupante. La regola, inoltre, era tesa ad assicurare al
lord la possibilità di godere dell'incident più profittevole, cioè quello di wardship. Mentre
proteggeva la posizione patrimoniale dell'erede, garantiva lo sfruttamento dello stesso patrimonio al
signore fino alla sua maggiore età, sottoponendo il possesso a pesanti limitazioni nella proprietà
[Bean 1968: 24]. Il diritto di wardship era protetto a tal punto che era vietato agli esecutori
testamentari, nel pagare i debiti lasciati dal tenutario deceduto, di attingere ai profitti derivanti dalla
19
Ai fini testamentari, erano trattati analogamente alle proprietà personali anche oggetti intermedi tra la proprietà reale
e mobile (i cosiddetti chattel real), come i diritti incorporei di marriage e wardship, o l'occupazione di un terreno per un
periodo di tempo prestabilito [Pollock e Maitland 2010b: 347].
Figura 3.4 Struttura di un Writ of entry causa matrimonii prelocuti
138
terra: i debiti andavano saldati attingendo alle proprietà personali del deceduto, senza così diminuire
la rendita del signore in possesso della custodia dell'erede. Questo metteva in difficoltà la persona a
cui la terra discendeva, che veniva privata dei beni mobili lasciatigli in eredità. Inoltre in questo
modo venivano distorte le disposizioni testamentarie in quanto a proprietà personali del parente
deceduto [ivi: 31-34].
I limiti imposti, dal costume e dalla Common law, alla disponibilità testamentaria, portarono a una
reazione da parte dei tenutari da questi colpiti, tesa a progettare meccanismi informali tramite cui
godere di una disponibilità de facto, in grado di evadere gli incident più profittevoli per i lord e più
svantaggiosi per gli eredi. Il metodo utilizzato era conosciuto come use. Come illustrato nella figura
3.5, questo consisteva in un passaggio di proprietà da A a B ad uso di C20
. Secondo la Common law,
una volta avvenuto il passaggio la proprietà effettiva del possedimento era di B. Ciò nonostante, A
si assicurava, tramite accordi privati, che la proprietà fosse gestita a vantaggio di C, che rimaneva
così de facto, per quanto non de jure, il reale proprietario, mentre B assumeva il ruolo di
amministratore fiduciario [Pollock e Maitland 2010b: 240-241]. Una sistemazione di questo tipo
permetteva di evadere diritti onerosi come quello di wardship o marriage. Al momento del decesso
di A il proprietario legittimo era considerato B, che gestiva la proprietà a vantaggio di C, a cui il
possedimento avrebbe potuto essere eventualmente trasferito in un secondo momento. In questo
modo il possedimento non tornava in custodia al signore di A, che non poteva così appropriarsi dei
profitti della terra. Tramite la relazione personale tra A e B, il primo poteva dare al secondo
dettagliate istruzioni sull'utilizzo del possedimento dopo la sua morte (ad esempio in materia di
trasferimento di proprietà, o di utilizzo dei profitti), godendo così della possibilità de facto di
disporre delle proprie proprietà reali a fini testamentari [Bean 1968: 104-105].
Il ricorso a trasferimenti di proprietà ad uso di terzi tramite rapporti fiduciari, non era sconosciuto
nella prima età feudale. L'intero sistema di trasferimenti si basava, per definizione, su un rapporto
20
A poteva anche trasferire il proprio possedimento perché fosse utilizzato a proprio beneficio.
Figura 3.5 Struttura di un Use
139
fiduciario tra lord e tenutario: un trasferimento per sostituzione, prima dello statuto Quia emptores,
richiedeva che il tenutario lasciasse il proprio possedimento nelle mani del proprio signore ad uso di
un terzo, conferendogli così il ruolo di amministratore fiduciario in vista del trasferimento. Entro la
prima metà del XIII secolo però lo strumento aveva raggiunto una certa diffusione, tanto che nel
1267 venne promulgato lo Statute of Marlborough, teso a proibire trasferimenti simili
esplicitamente tesi a deprivare il signore degli incident feudali che gli spettavano di diritto (in
particolare le infeudazioni di eredi minori, e, successivamente, trasferimenti che esplicitamente
richiedevano che l'erede rientrasse in possesso della proprietà una volta raggiunta la maggiore età)
[ivi: 109]. La successiva dottrina di Common law fu sviluppata per rimediare ai trasferimenti
collusivi, cioè effettuati con l'esplicito scopo di deprivare il proprio signore degli incident, ma non
apportò reali benefici per i signori. Le condizioni necessarie perché un trasferimento fosse
considerato collusivo vennero interpretate in modo restrittivo, chiedendo che le istruzioni
testamentarie lasciate all'amministratore fiduciario fossero citate come esplicita condizione all'atto
del passaggio di proprietà. Questo permise un ampio margine di manovra nel lasciare disposizioni
testamentarie informali agli amministratori fiduciari, sfruttando il tacito assenso delle corti di
giustizia reali [ivi: 187-188]. Lo sviluppo di meccanismi informali lasciava però i beneficiari dei
testamenti senza reali protezioni legali nelle corti di giustizia. L'amministratore fiduciario era il
proprietario secondo la legge, ed esisteva quindi la possibilità che trattenesse i terreni per sé, senza
dare seguito alle disposizioni testamentarie fornitegli. In mancanza di regole di legge in grado di
garantire l'enforcement delle disposizioni testamentarie, i testatori ricorsero a meccanismi diversi
atti a rendere più facile, per quanto non certo, un comportamento corretto da parte dei fiduciari. Un
metodo particolarmente utile era costituito dal trasferire la proprietà congiuntamente a una serie di
fiduciari. In questo modo se avessero voluto disattendere le richieste del testatore avrebbero dovuto
essere unanimemente d'accordo: la molteplicità dei fiduciari rendeva più difficile che un accordo
fosse raggiunto, rispetto a una situazione costituita da un fiduciario singolo. Accanto al
trasferimento congiunto, e nel tentare di rafforzarne l'efficacia, tra il gruppo di fiduciari era norma
inserire persone di comprovata fiducia, ad esempio parenti stretti (come la moglie) o uomini di
chiesa (a loro volta controllati, per quanto informalmente, da un'organizzazione ecclesiastica più
ampia) [ivi: 153-154]. L'utilizzo di più amministratori fiduciari permetteva di creare una proprietà
simile alla manomorta tipica delle corporazioni ecclesiastiche, che non discendeva mai, e che quindi
privava il signore dei diritti feudali derivanti dal passaggio ereditario all'erede legittimo. La
proprietà sarebbe discesa solo alla morte di tutti i fiduciari: questo poteva essere evitato sostituendo
i fiduciari deceduti con altri, in modo che il possedimento non rimanesse mai vacante, e così da non
140
dover mai essere soggetto alle regole di discendenza e agli incident a queste connessi [Baker 2007:
252].
La tolleranza dimostrata dai giudici reali nei confronti degli use non trovò una radicale opposizione
da parte della maggior parte dell'aristocrazia: ogni signore era a sua volta un tenutario, e pertanto la
perdita degli incident veniva recuperata tramite l'evasione degli stessi nei confronti del superiore
gradino della scala feudale [ivi: 197]. Inoltre, l'introduzione della libertà di alienazione nel 1290
costituì un importante cambiamento delle istituzioni economiche tale da fornire una base per un
ulteriore cambiamento nei rapporti di potere, e quindi per una ulteriore evoluzione istituzionale a
favore delle rivendicazioni proprietarie dell'aristocrazia terriera. Il fatto che le proprietà potessero
essere alienate liberamente rendeva più facile per i tenutari ricorrere agli use, senza che la
supervisione del lord agisse preventivamente nell'impedire trasferimenti collusivi. I signori
dovevano ora agire a seguito del fatto compiuto, tramite gli strumenti spuntati che, in questo caso,
la Common law metteva loro a disposizione. La struttura feudale veniva così ulteriormente
indebolita: i tenutari secondo la legge erano sempre più amministratori fiduciari delle proprietà,
mentre il beneficiario diventava un semplice occupante de facto, senza relazioni immediate col
signore originario [ivi: 220-221]. In questo caso l'evoluzione dei diritti di proprietà procedette
tramite lo sviluppo informale delle istituzioni, grazie all'acquiescenza delle istituzioni formali,
ponendo però così un sostrato extra-legale su cui fu in seguito possibile ergere una struttura formale
di diritti [North 1994: 78]. La tensione tra i due livelli verrà sanata in un processo graduale nei
secoli successivi. Il primo riconoscimento esplicito del valore legale delle disposizioni testamentarie
relative alle proprietà reali venne dalla cancelleria reale e dalla sua corte di equità21
, a partire dalla
seconda metà del XIV secolo [Baker 2007: 251]. La cancelleria assunse gradualmente una
giurisdizione specifica nell'assicurare l'enforcement delle disposizioni testamentarie fondate sul
rapporto di fiducia tra testatore e amministratore fiduciario, fornendo un sistema di sanzioni,
garantito dall'apparato coercitivo della giustizia reale, teso a punire la mancata esecuzione delle
volontà testamentarie da parte dell'esecutore [Maitland e Montague 1998: 123-124]. Il
riconoscimento definitivo anche da parte delle corti di Common law sarebbe invece giunto, a
seguito dei tentativi da parte della corona di resuscitare a fini fiscali la raccolta dei propri diritti
feudali22
, con lo Statute of Wills del 1540, che conferì la possibilità legale di effettuare disposizioni
21
La corte di equità (Court of Equity) della cancelleria reale non funzionava secondo i principi consuetudinari della
Common law, ma conformava le proprie decisione a criteri di equità, fondati su principi di coscienza, ragione e legge
naturale [Gray 1963: 157]. La sua giurisdizione, parallela alle altre corti di giustizia reale, venne a stabilirsi
nell'accogliere, lamentele che non avevano una soluzione secondo la Common law, o portate da uomini troppo poveri
per sperare di avere un giudizio equo nelle altre corti di giustizia [Maitland e Montague 1998: 120-122]. 22
Il controllo degli abusi negli use da parte della corona sui propri tenutari fu più stringente della sostanziale libertà
lasciata ai signori di rango inferiore. Il periodo di ritorno a un maggiore controllo del re sui propri tenutari, e la puntuale
141
testamentarie relative alle proprietà terriere, purché un terzo della proprietà in knight's service
discendessero all'erede legittimo (salvaguardando, per questa porzione, gli incident dovuti al
signore) [Baker 2007: 256]. Come molte delle innovazioni legali relative alla real property già
discusse, anche lo Statute of Wills venne approvato in un periodo di forte ascesa delle rendite
agricole, cominciato all'inizio del XVI secolo a conclusione del periodo di stagnazione degli introiti
dei signori terrieri sperimentato tra il XIV e XV secolo [North e Thomas 1973: 15].
La crescente diffusione degli use, al culmine del processo di ridefinizione dei diritti di proprietà
sulla terra tra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV, portò di fatto alla morte il sistema di diritti di
proprietà feudale, assicurando ai tenutari una forma di proprietà vicina all'assolutezza. Gli use, oltre
a fornire ai proprietari terrieri un meccanismo di disponibilità testamentaria garantito de facto,
innescarono altresì un processo che culminò, entro l'inizio del XVI secolo, nella scomparsa degli
ultimi caratteri propriamente feudali dei rapporti proprietari tra lord e tenant, cioè degli incident.
Che i trasferimenti inter vivos ad uso terzi fossero eseguiti con la volontà di evadere i diritti
spettanti al signore o meno, il risultato fu la graduale erosione di questi ultimi: «il macchinario degli
use subentrò alle regole ereditarie e, così, rimosse gli incident a queste connessi [...]. Conferendo la
proprietà della terra a terzi [il tenutario] paradossalmente divenne un proprietario più assoluto di
quanto la Common law permettesse: veniva liberato dagli incident più gravosi del feudalesimo, e
dalle regole inflessibili dell'ereditarietà» [ivi: 252-253]. Gli use fecero sì che i diritti di relief,
wardship e marriage, i più profittevoli tra i frutti della cavalleria, fossero sottratti dalla disponibilità
del signore. Dal momento che l'erede diveniva beneficiario dei profitti della terra formalmente
posseduta da terzi, non doveva più pagare il relief per accedere al possedimento. I diritti di
wardship e marriage divenivano senza valore, dal momento che l'erede non subentrava ad alcun
possedimento, e quindi la sua custodia non portava più alcun profitto [Bean 1968: 220-221]. La
tassa di alienazione era invece scomparsa nel 1290 per i mesne lord, e fortemente attenuata nelle
sue implicazioni per i tenant in chief nel 1327. Il diritto di escheat venne altresì fortemente limitato
grazie alla pratica di alienare ad uso terzi ad amministratori fiduciari multipli: difficilmente il lord
sarebbe così rientrato in possesso del terreno in mancanza di un erede legittimo [ivi: 152]. Per
quanto riguarda gli aid, con uno statuto del 1275 vennero fissati in valore, e vennero limitate le
occasioni in cui un lord poteva legittimamente esigerne la riscossione. Mentre il loro valore reale
veniva rapidamente eroso dall'inflazione nel caso dei signori minori, da parte della corona vennero
invece completamente abbandonati, per essere sostituiti da nuove forme di tassazione sulle
proprietà mobili [ivi: 14].
esazione degli incident feudali dovuti, tra la fine del XV e il XVI secolo è conosciuto come "feudalesimo fiscale"
[Baker 2007: 253-254].
142
Molti degli altri caratteri di servitù personale impliciti al sistema feudale vennero a cadere nel XIII
secolo. Il crescente controllo reale sulle corti signorili, e il declino nell'utilizzo dell'armata feudale,
resero i servizi militari personali sempre meno importanti per i signori. Molte delle tenure in
knight's service e delle tenure in serjeanty videro commutare il servizio personale dovuto in una
rendita monetaria fissa, che venne via via erosa tramite la crescita dei prezzi [Baker 2007: 228-229].
La perdita di controllo signorile fece sì che molte delle tenure militari venissero convertite in tenure
in socage, la forma di tenure più vicina a una proprietà assoluta [Pollock e Maitland 2010a: 376-
377]. Nonostante il crollo di fatto dell'ordine feudale a cavallo del XIII e XIV secolo, e la comparsa
della proprietà assoluta sulla terra tra le fila dell'aristocrazia, conosciuta come fee simple, le tenure
militari, e gli incident a queste connesse, verranno formalmente abolite solo nel 1660 tramite il
Military tenures abolition act, a seguito della restaurazione della monarchia sotto Charles II [Baker
2007: 257].
143
2. I CONTADINI
L'avvicinamento alla proprietà assoluta sulla terra da parte della categoria più numerosa della
popolazione inglese, cioè i contadini, avvenne in parte in analogia al percorso seguito
dall'aristocrazia, e in parte in divergenza. L'unità amministrativa più prossima alla vita della
popolazione contadina servile era ancora il maniero con i suoi costumi, e non la giustizia del re e la
Common law, che, per quanto riguardava la real property, erano disponibili di norma agli uomini
liberi e alle tenure non servili. Ciò non di meno, così come molti dei diritti di proprietà che nello
stesso periodo venivano conquistati dalle fila dell'aristocrazia nei confronti dei propri signori,
l'espansione agricola del XIII secolo permise un'accresciuta difesa dei diritti di proprietà anche al
livello delle tenute servili a livello manoriale. Contrariamente a quanto avvenuto nel caso degli
uomini liberi, però, i mutamenti economici e sociali non portarono a un progressivo cambiamento
dei rapporti di potere tale da innescare un processo di mutamento sociale analogo al crollo della
struttura istituzionale feudale. Nel XIII secolo i diritti di proprietà tra i contadini vennero meglio
specificati, come previsto dal modello qui adottato, ma solo nel limite in cui non mettevano in
discussione l'ordine fondato sul rapporto servile della maggior parte della popolazione agricola nei
confronti dei propri signori. Perché questo rapporto venisse messo in discussione si sarebbe dovuto
attendere il periodo seguente alla Morte nera, evento che portò a un cambiamento epocale dei
rapporti di forza de facto, e a cui fece seguito il mutamento delle strutture giuridiche, in particolare
la fine del servaggio e la protezione da parte della giustizia reale dei possedimenti contadini contro
l'arbitrio di signori terrieri.
2.1. Economia e società nei secoli XIII-XV
Le fortune della classe dei lavoratori tra il XIII e XIV secolo possono essere riassunte tramite la
figura 3.6, che riporta l'andamento del salario medio nazionale reale (al netto dell'inflazione) dei
lavoratori specializzati nel campo delle costruzioni e nel campo dei lavori agricoli23
. La figura
enuclea chiaramente due periodi distinti, e cioè il XIII secolo, che vide un calo nelle condizioni di
vita della classe contadina e lavoratrice, e il periodo compreso tra il XIV e il XV, che vide invece
un suo sostenuto accrescimento nella ricchezza. L'andamento dei salari reali segue strettamente
l'andamento della popolazione (già illustrato nella figura 3.1). Da una parte, la crescita delle
retribuzioni reali è fortemente correlata positivamente alla scarsità relativa del fattore lavoro (alta in
periodi di calo demografico, bassa in periodi di crescita) [Hatcher 1977: 71]. Dall'altra le serie
indicano la sostanziale assenza di progresso tecnologico nel periodo considerato. Nei periodi di
23
Le serie si basano sulle stime del salario medio nazionale giornaliero di Clark [2005: 1324-1325; 2007: 130-134].
144
elevata disponibilità del fattore lavoro in relazione allo stock fisso di terra il prodotto marginale del
lavoro era relativamente basso, mentre in periodi di forte scarsità il prodotto marginale tendeva a
salire. Entrambi questi movimenti erano riflessi nell'andamento dei salari reali, che fino alla prima
metà del XVII secolo saranno correlati negativamente con la crescita demografica. Il numero di
lavoratori contemporaneamente occupati su un appezzamento di terra sembra infatti in grado di
spiegare il livello del prodotto marginale del lavoro, e quindi del salario a questo associato [Clark
2005: 1211-1212]. Gli indici dei salari reali riportati si riferiscono a quei lavoratori che vendevano
la propria opera sul mercato, e pertanto non sono in grado di catturare direttamente il valore
implicito del lavoro svolto nell'ambito di quella parte di economia naturale che ancora si svolgeva
nell'ambito dell'organizzazione manoriale [Kula 1970: 36]. Gli andamenti del salario reale e delle
rendite agricole, però, sono anche indicatori del diverso rapporto del prodotto marginale tra i due
principali fattori di produzione, cioè terra e lavoro. Per quanto riguarda il XIII secolo, questo vide
una crescita del prodotto marginale della terra rispetto a quello del lavoro, dovuto alla crescita dei
prezzi agricoli e alla crescente densità di contadini occupati su ogni appezzamento (che rendeva di
particolare valore ogni acro vergine aggiunto all'unità agricola manoriale). Il calo del salario reale,
pertanto, è perfettamente compatibile con un minore prodotto marginale del lavoro comunque
occupato. Il calo della retribuzione dei lavoratori salariati è difatti riflesso nelle documentate
condizioni meno favorevoli che si trovarono ad affrontare i contadini consuetudinari durante il XIII
secolo già descritte nel paragrafo 1.1. La crescita dei prezzi agricoli del XIII secolo e l'aumento
della popolazione non provocò solo una diminuzione del reddito pro-capite dei contadini. I
Figura 3.6 Salari reali medi nazionali dei lavoratori agricoli e delle costruzioni, 1200-1599.
Media decennale. Numeri indice (100=1200-1209).
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
2001
20
01
21
01
22
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23
01
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01
25
01
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01
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01
28
01
29
01
30
01
31
01
32
01
33
01
34
01
35
01
36
01
37
01
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01
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40
01
41
01
42
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01
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01
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01
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01
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01
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01
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50
01
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01
55
01
56
01
57
01
58
01
59
0
Salari lavoratori costruzioni Salari lavoratori agricoli
145
contadini più benestanti, costituenti uno strato di proto-yeomen, poterono giovarsi dell'aumento dei
prezzi agricoli sul mercato, incrementando il valore delle risorse a disposizione e, in alcuni casi,
incrementando la dimensione dei propri appezzamenti acquistando le terre dei contadini non più in
grado di mantenerle [Miller 1964: 26]. Il secondo periodo individuato, costituito dai secoli XIV e
XV, vide un ribaltamento del trend sperimentato nel XIII secolo. Il cambiamento nella direzione del
trend avvenne all'inizio del XIV secolo, a causa delle prime pesanti carestie che tra il 1315 e il 1322
interruppero, e invertirono, il percorso di crescita della popolazione, che venne a calare almeno del
10% [Hatcher e Bailey 2001: 55]. L'accelerazione del cambiamento venne quindi definitivamente
precipitata dalla Morte nera del 1348-1349 che, falcidiando in una volta sola circa il 30% della
popolazione, determinò una drammatica scarsità del fattore lavoro. La tendenza venne ulteriormente
accentuata dalle successive ondate di pestilenza, che contribuirono a ridurre ulteriormente il livello
della popolazione, e che ne determinarono quindi una stagnazione durata per tutto il XV secolo
[Hatcher 1994: 10-11; Clark 2005: 124]. La straordinaria mortalità sperimentata nel periodo fece sì
che il lavoro dei contadini fosse ora disponibile in misura scarsa rispetto alla terra. La classe dei
contadini e dei lavoratori venne perciò a trovarsi in una condizione di forza relativa e crescente nel
tempo, in grado di aumentarne il reddito pro-capite, che nel XIII secolo aveva raggiunto il punto più
basso della storia inglese [Bailey 1989: 14]. Allo stesso tempo i signori terrieri videro le proprie
rendite calare. Innanzitutto a seguito della Morte nera la caduta del rapporto popolazione/terra
determinò un calo, e quindi una stagnazione lungo tutto il XV secolo, dei prezzi dei beni agricoli. In
secondo luogo, il prodotto marginale della terra venne a calare: ogni ulteriore unità di terra messa a
coltivazione poteva rendere ben poco in mancanza di contadini che la coltivassero [Postan 1950:
227; North e Thomas 1973: 13]. In terzo luogo ogni signore vide calare, a causa dell'eccezionale
livello di mortalità, il numero di contadini accasati sui propri terreni in grado di rendere servizi di
lavoro e affitti, o multe entro la corte manoriale. Infine, a causa della cronica carenza di
manodopera i signori dovettero competere maggiormente per assicurarsi il lavoro dei contadini. La
crescente competizione per la manodopera fece sì che ogni singolo tenutario rendesse meno, in
termini di minori tasse di ingresso, ammontare degli affitti e pagamenti consuetudinari, voci che
vennero a ridursi nel tentare di attrarre il fattore ora disponibile in misura sempre più scarsa, cioè il
lavoro [Postan 1939: 161-162]. Anche nel secondo periodo, mentre le condizioni dei contadini
servili secondo termini consuetudinari non vengono catturate dal movimento dell'indice dei salari, il
calo delle rendite signorili implica termini più favorevoli per il lavoro contadino, cioè una minore
estrazione di risorse da parte dei proprietari terrieri, e quindi una crescita del prodotto disponibile ai
piccoli coltivatori consuetudinari [Postan 1950: 228; Hatcher 1994: 30-31]. La figura 3.6 pertanto
completa il quadro in parte delineato nel paragrafo 1.1: per tutto il XIII secolo i salari reali
146
diminuirono, a indicare una situazione di sovrappopolazione, e quindi una condizione di svantaggio
relativo della classe dei contadini nei confronti dei signori. Il crollo della popolazione a partire
dall'inizio del XIV secolo e i cambiamenti economici conseguenti, estesi a tutto il XV secolo,
costituirono un periodo sufficientemente lungo e adatto a fornire la base per i cambiamenti
istituzionali di seguito considerati [North e Thomas 1973: 79]. Tale movimento, della durata di due
secoli, verrà invertito nuovamente solo nel corso del XVI secolo.
2.2. Diritti di proprietà tra i contadini
2.2.1. Titolo ai possedimenti servili
Nonostante il differente, e successivo, punto di arrivo alla proprietà assoluta dei contadini in
condizioni servili sulla terra rispetto all'aristocrazia degli uomini liberi, le radici di una maggiore
sicurezza nel titolo per la maggior parte della popolazione inglese affondano anch'esse nel XIII
secolo. Come già notato la crescita delle rendite agricole venne a beneficiare anche quei contadini
servili in grado di ottenere un surplus agricolo oltre le proprie spese di sussistenza, che di
conseguenza, e in analogia con l'aristocrazia terriera, svilupparono un crescente interesse per una
maggiore sicurezza del titolo alla proprietà. L'aumento incessante della popolazione fece però sì che
il valore della terra crescesse anche per i contadini meno abbienti. La concorrenza per l'accesso a un
appezzamento di terra, per quanto disponibile sotto una tenure di carattere servile, vide aumentare
l'utilità marginale per i contadini dell'accesso a un appezzamento. Il sovraffollamento dei villaggi
aveva teso a ridurre le dimensioni medie degli appezzamenti, lasciando sempre più contadini con
poca o nessuna terra [Titow 1962: 3]. Pertanto, l'accesso a un appezzamento, per quanto piccolo,
diventava di importanza vitale per i senza terra, che erano quindi disposti ad assumerne il possesso
secondo condizioni sempre più dure, e a dedicare un maggior numero di risorse nel difenderne la
proprietà: uno dei principali effetti di una «tale scarsità di terra fu di rendere tale terra, quando
disponibile, estremamente costosa da ottenere. Siccome non vi era più terra da colonizzare, era
estremamente difficile acquisire un possedimento, e la competizione per le tenute vacanti divenne
così feroce che i signori poterono ritoccare le tasse d'ingresso (e anche gli affitti) a livelli sempre
più alti ogni volta» [ivi: 4]. Allo stesso tempo, a causa della forte crescita demografica, per la
maggior parte dei contadini meno benestanti venne a crescere l'incertezza nel possesso: «dal
momento che vi era una tale abbondanza di uomini e una tale scarsità di terra, il normale accesso
ereditario degli uomini ai possedimenti fu negato a molti - forse alla maggior parte - dei giovani. In
molti posti le code di uomini in attesa di una possibilità di acquisizione della terra divennero
talmente lunghe che l'intera routine tradizionale di successione da padre a figlio fu interrotta»
147
[Postan 1966: 564]. Anche tra le fila più modeste della popolazione contadina, pertanto, la domanda
per una maggiore certezza del titolo venne a crescere. Il crescente affollamento dei villaggi innescò
inoltre un periodo di crescente mobilità geografica. I membri delle famiglie non in grado di
mantenersi nel villaggio di nascita, perché non in grado di ereditare o perché il possedimento dei
propri genitori non era sufficientemente esteso per mantenerli, furono di necessità costretti a cercar
fortuna in altri villaggi, sperando di intercettare un possedimento vacante, sposare una vedova
dotata di terra, o partecipare alle sempre più scarse possibilità di colonizzazione di nuovi terreni. La
mobilità nelle campagne inglesi, all'avanzare del XIII secolo, crebbe fino a che una percentuale tra
il 40% e il 50% dei membri adulti di ogni unità manoriale veniva ad abbandonarla nel corso della
propria vita nel tentare di migliorare le proprie fortune altrove [Macfarlane 1978: 125-153]. La
conseguente crescita numerica dei componenti dei villaggi contadini, la crescente eterogeneità della
popolazione di ogni unità manoriale causata dal movimento migratorio, e la crescente concorrenza
nell'accesso ai possedimenti, misero in forte difficoltà la garanzia del titolo fornita dalle stabilite
consuetudini manoriali [Postan 1966: 564]. Tutti questi elementi fornirono la causa scatenante per
una ridefinizione dei diritti di proprietà, in grado di accomodare le nuove condizioni sociali venutesi
a stabilire.
La ridefinizione dei diritti di proprietà, viste le condizioni di minore potere relativo degli strati
contadini nei confronti dei signori, non poteva causare un cambiamento sociale analogo a quello
sperimentato nei rapporti feudali dall'aristocrazia descritto nel paragrafo 1. La ridefinizione dei
diritti avvenne difatti entro i limiti fissati dalla capacità, da parte dei signori terrieri, di mantenere la
posizione di preminenza economica e giuridica nei confronti dei propri tenutari in condizioni
servili. Tale posizione di preminenza fu addirittura accentuata, non solo dalla concorrenza tra i
contadini per l'accesso ai possedimenti, ma anche della crescente influenza degli interessi
dell'aristocrazia terriera sullo sviluppo della Common law. Dal momento in cui le corti reali
cominciarono a difendere gli interessi proprietari dei signori terrieri fornirono anche la possibilità di
accertare il carattere eventualmente servile dei tenutari contadini, in modo da far valere
effettivamente anche in giudizio le differenze di status prima stabilite solo su base consuetudinaria.
In particolare la procedura di suit of kin, sviluppata dalle corti reali nel XIII secolo, permetteva di
stabilire, entro una causa in cui fosse implicato un soggetto il cui status di libertà o servitù era in
dubbio, grazie all'efficiente utilizzo dello strumento della giuria e all'esame di testimoni imparentati
con la persona in questione, il suo effettivo status personale, stabilendo le previste conseguenze in
merito alla sua capacità di agire in giudizio [Hyams 1974: 721]. Questo faceva sì che le distinzioni
di status e le loro conseguenze nei rapporti interpersonali, una volta riconosciute in una corte di
Common law, tendessero a diventare più rigide. In un periodo di crescente migrazione i matrimoni
148
tra persone di status diverso rendevano difficile per i signori stabilire lo status della prole, e quindi
esigere eventuali servizi di carattere servile. La Common law, stabilendo regole precise e vincolanti,
diminuì tale incertezza, rendendo maggiormente esigibili i servizi dovuti dai contadini dichiarati di
stato servile da una giuria24
[ivi: 730]. Ma, al di là dell'interesse signorile per una maggiore garanzia
nell'esigibilità dei servigi dei contadini di rango servile, la richiesta per una maggiore sicurezza del
titolo alla terra all'interno dell'unità manoriale non andava direttamente contro gli interessi del
signore terriero. Contrariamente ai rapporti tra l'aristocrazia feudale, dove i rapporti proprietari
implicavano a loro volta rapporti di carattere politico e militare, il rapporto del lord di un maniero
nei confronti dei propri tenutari servili non aveva ragione di essere necessariamente arbitrario:
finché i contadini pagavano gli affitti e rendevano i dovuti servizi, non vi era ragione di preferire un
tenutario a un altro, e pertanto vi era uno spazio aperto anche ai contadini nel reclamare una
maggiore sicurezza del titolo nel contesto dei cambiamenti della struttura sociale sperimentati nel
corso del XIII secolo [Hatcher 1981: 9-10].
Una delle principali innovazioni legali tra i tenutari contadini nel XIII secolo fu l'acquisizione degli
stessi di un titolo scritto al loro possedimento. Mentre precedentemente i rapporti proprietari relativi
alle tenute servili all'interno dell'unità manoriale erano regolati oralmente e sulla base della
consuetudine all'interno della corte signorile, almeno dalla seconda metà del XIII secolo i
procedimenti vennero tenuti in forma scritta entro un registro delle attività della corte [Smith 1983:
98]. Questo permetteva un'organizzazione più razionale della gestione delle proprietà del signore,
crescenti in valore, oltre a una maggiore definizione e certezza dei servigi richiesti ai contadini in
cambio delle piccole concessioni terriere. La corte manoriale registrava ora con precisione, nelle
sue sedute, i servizi richiesti ai contadini all'atto del loro accesso al possedimento. Se da una parte
questo migliorava l'esigibilità dei servizi da parte dei signori, allo stesso tempo introduceva un
importante elemento di sicurezza nel lavoro dei contadini. Una volta registrati, i servizi erano più
difficilmente modificabili ad arbitrio, e per i contadini veniva quindi a stemperarsi la natura servile
delle proprie obbligazioni, una volta a mero arbitrio del signore (per quanto regolate dal costume
del maniero), e ora sempre più definite in forma scritta [Hatcher 1981: 23]. Inoltre, a conseguenza
della comparsa dei registri manoriali, ai contadini venne permesso di ottenere una copia scritta dei
procedimenti della corte tramite cui venivano ammessi, recitante i termini del servizio pattuito.
Questo permetteva al singolo contadino di entrare in possesso di un titolo, pur sempre valido
24
Questo permise anche, però, che i tenutari considerati di condizioni non servili potessero ora essere definitivamente
considerati a tutti gli effetti come uomini liberi. Mentre per i contadini trovati di status servile il rapporto si irrigidiva in
questo senso, per i contadini trovati di status libero le condizioni si irrigidivano nel senso opposto, garantendo una
maggiore libertà. La nuova procedura di Common law non comportò pertanto esclusivamente un rafforzamento delle
condizioni servili.
149
esclusivamente entro la corte manoriale, ma meno dipendente dal solo costume e basato su termini
fissati per iscritto [Pollock e Maitland 2010a: 396-367]. Con lo sviluppo della scrittura i tenutari in
condizioni servili vennero quindi a entrare in possesso di un copyhold: divennero, cioè, "tenutari
tramite copia del registro della corte" (tenant by copy of court roll). La terra, anziché essere
concessa ai contadini e ai loro eredi tramite rapporti consuetudinari tramandati oralmente, cominciò
a venire conferita stabilendo un titolo scritto, che garantiva l'accesso al tenutario e ai suoi eredi. Il
titolo divenne formalmente simile a un fee simple. La differenza risiedeva nel fatto che le proprietà
libere venivano concesse tramite atto di trasferimento scritto o carta di infeudazione, riconosciute e
garantite dalle corti di giustizia reali, mentre le proprietà servili venivano conferite tramite copia del
registro manoriale, e nel XIII secolo erano riconosciute e garantite solo all'interno della stessa corte
del maniero [Gray 1963: 9].
Lungo il XIII secolo, accanto a un sistema di registrazione dei titoli alla terra, vennero sviluppati
anche relativi meccanismi di enforcement più efficaci all'interno delle unità manoriali, che resero il
mero possesso di un titolo più vicino a un interesse di tipo proprietario. Le corti manoriali vennero a
imitare i più efficienti sistemi di risoluzione delle dispute adottate nello stesso periodo dalle corti di
Common law, in particolare il processo tramite giuria o inchiesta. Per quanto riguarda le dispute
relative alla terra, venne adottato sia il metodo della giuria, composta dai tenutari, liberi o in
condizioni servili, del maniero entro cui sorgeva la disputa, sia il metodo dell'inchiesta giurata, in
maniera analoga a quanto utilizzato tra i liberi proprietari con il Writ of right. Metodi quali la wager
of law, precedentemente utilizzata anche nella risoluzione delle dispute terriere contadine all'interno
delle corti manoriali, caddero in disuso [Smith 1983: 99-100]. L'accresciuto valore della terra, e la
maggiore incertezza derivante dalla sovrappopolazione, spinsero anche la popolazione contadina a
cercare metodi migliori nella risoluzione delle dispute. L'inchiesta giurata, unita ai nuovi metodi
della prova legati all'esistenza di un titolo scritto al possesso, permise una migliore attinenza ai fatti
del giudizio, oltre a una migliore sicurezza del possesso da parte dei detentori di titoli rilasciati dalla
corte manoriale. Analogamente al caso delle proprietà libere, anche la nuova giustizia manoriale
non veniva dispensata gratuitamente. La possibilità di accedere a un'inchiesta giurata, incaricata
dello stabilire i fatti relativi alle dispute sulla terra, era un privilegio che veniva garantito dalla corte
del signore dietro pagamento. Un esempio di un procedimento per il recupero di terra è il seguente,
tratto da un procedimento di una halimoot, o corte manoriale, del 1285:
Robert, figlio di Robert l'impagliatore, che qui compare, viene e offre al signore 2 scellini per ottenere un'inchiesta
riguardo la domanda di una mezza yardland con relative pertinenze nel maniero di Newington, alla quale terra sostiene
di avere diritto a seguito della morte di Robert, suo padre, tenutario diretto del signore il Priore. Ed egli accetta di
rendere i servizi e le consuetudini a questa relativi, secondo gli usi del detto maniero [... Un'inchiesta è quindi condotta
150
da sedici giurati]. Questi riferiscono sotto giuramento che il detto Robert, figlio di Robert l'impagliatore, non ha diritto
alla suddetta mezza yardland e pertinenze, mentre Agnes, moglie di Robert, padre del suddetto Robert, è ancora viva.
Ciò nondimeno il detto Robert riceverà annualmente dalla suddetta terra mezzo quarter di grano duro, metà di grano
invernale e l'altra metà di grano quaresimale, durante la vita della detta Agnes, sua matrigna [cit. in Homans 1970: 183].
Il procedimento riportato mette in luce la somiglianza col procedimento concesso dal Writ of right.
L'erede a un possedimento chiede infatti a una giuria di stabilire il suo diritto ad accedere al
possedimento paterno, al momento occupato da una terza parte (in questo caso dalla matrigna). Il
giudizio sarà contrario all'erede in quanto nel maniero considerato, come in molti altri manieri,
vigeva il costume di lasciare a una vedova l'occupazione del terreno del defunto marito per la durata
della propria vita, facendolo discendere all'erede solo alla sua morte [ivi: 180]. Ciò non di meno il
passaggio mette in luce le analogie tra i procedimenti delle corti manoriali e le corti reali nelle
dispute relative alla terra, e dimostra come il costume del maniero avesse una forza vincolante tra i
tenutari servili ora fatta rispettare tramite l'utilizzo di giurie e inchieste. Mentre il costume e
l'innovazione legale vennero a migliorare le rivendicazioni proprietarie tra i contadini membri del
maniero, questi ultimi rimanevano meno difesi nei confronti del proprio signore. Strettamente
parlando, i possedimenti servili erano concessi ad arbitrio del lord, e non erano proprietà del
contadino: una qualsiasi causa nei confronti del proprio signore sarebbe stata senza significato, dal
momento che le concessioni servili erano de jure sue proprietà, e quindi utilizzabili a suo arbitrio.
Ciò non di meno i signori spesso lasciavano che le dispute tra loro e i propri tenutari servili
venissero decise entro la corte manoriale, tramite il giudizio di una giuria e della corte [ivi: 320-
321]. In questi casi, però, l'imparzialità della corte era meno forte rispetto alle dispute tra contadini,
essendo in gioco gli interessi del signore. Il presidente della corte, lo stewart, era un rappresentante
degli interessi del signore, che poteva rigettare il verdetto della giuria. Lo stesso fatto di
sottomettersi al giudizio era una scelta deliberata del lord, a cui non era in alcun modo legalmente
tenuto a sottoporsi [ivi: 319]. Ad ogni modo il tenant in villeinage, e in seguito il copyholder, non
aveva modo di appellarsi ad alcuna corte esterna alla corte signorile, come veniva parallelamente
concesso all'aristocrazia terriera con la giustizia reale. Secondo la Common law il proprietario dei
possedimenti servili rimaneva il signore, nei confronti del quale i contadini non avevano possibilità
di appello [Baker 2007: 308]. Nonostante i passi avanti nella sicurezza del titolo compiuti dai
contadini nel XIII secolo, soprattutto nelle dispute interne al loro strato sociale, questi si fermarono
entro il limite imposto dall'organizzazione manoriale fondata sul lavoro servile. La maggiore
sicurezza nel titolo, però, pose le basi per la possibilità di un successivo mutamento sociale,
interagendo coi cambiamenti di potere relativo innescati dalla Morte nera nei due secoli successivi,
151
che portarono alla fine del servaggio e all'acquisizione di rimedi legali esterni alla giustizia
manoriale da parte dei copyholder [Acemoglu e Robinson 2012: 101].
2.2.2. Mercato della terra
Le tendenze descritte nel paragrafo 1.2.2 che portarono a un maggiore interesse nell'alienabilità
della terra tra le file dell'aristocrazia nel XIII secolo sono riscontrabili anche all'interno dello strato
dei contadini servili. Nello stesso periodo il valore crescente della terra portò di fatto a uno sviluppo
di un mercato delle terre, libere e detenute in villeinage, all'interno dei villaggi contadini. Ma,
mentre l'aristocrazia terriera ottenne crescenti diritti di alienazione garantiti dalla Common law, le
possibilità di alienazione per il ceto della popolazione non libera vennero a stabilirsi sempre entro la
cornice delle regole manoriali, sotto la giurisdizione del lord. Tra il XII e XIII secolo
il villaggio era aperto alle pressioni e agli incentivi in grado di stimolare la vendita e l'affitto di terra. Alcuni degli
incentivi erano puramente economici; potrebbero essere descritti come commerciali. In quanto la terra di buona qualità
stava divenendo scarsa, e le rendite e i valori della terra stavano crescendo, molti dei contadini benestanti potevano
essere tentati dal trarre profitto dalla crescita del mercato e quindi a offrire la propria terra in vendita a lotti [Postan
1960: 114].
Il costume del maniero non vietava scambi di terra tra i contadini in condizioni servili, ma
richiedeva che avvenissero solo a seguito del consenso del signore, e a seguito del pagamento di
una tassa che garantiva la possibilità di alienare o sub-affittare [ivi: 119]. Non avendo il contadino,
strettamente parlando, alcun diritto alla propria terra, che era concessa ad arbitrio del lord, il
passaggio di proprietà poteva avvenire solo tramite cessione e ammissione (surrender and
admittance). Il contadino che voleva vendere una parte o la totalità del proprio podere doveva
presentarsi nella corte signorile, e cedere il proprio possedimento al signore. Il signore, su
indicazione del cedente, ammetteva quindi il nuovo tenutario al possedimento ora vacante [Gray
1963: 14]. Il trasferimento avveniva perciò nella sua totalità sotto la supervisione e il controllo del
signore. In altri casi il lord poteva vendere una licenza al contadino cedente, che lo dotava del
privilegio di alienare a piacimento il proprio possedimento, senza passare per il processo di cessione
e ammissione, creando una sotto-tenuta con un procedimento analogo alla sub-infeudazione [Postan
1960: 125-126]. Il controllo signorile divenne particolarmente forte lungo il XIII secolo. La crescita
dei valori terrieri creava un interesse nel controllare il processo di scambio da parte del signore del
maniero. Dal momento in cui era necessario pagare una tassa di alienazione, mentre il nuovo
tenutario era tenuto al pagamento di una entry fine all'atto del suo accesso, il signore poteva
aumentare tali pagamenti in parallelo all'aumento del valore della terra, e il momento migliore in
152
cui trarre profitto era l'atto del passaggio di mano di una concessione servile [Hyams 1970: 27].
Questo implicava che la crescita di un mercato della terra all'interno del maniero non era
direttamente in opposizione agli interessi del lord, che invece poteva trarre un lauto profitto dalla
crescita delle transazioni [Smith 1983: 116-117]. La frammentazione dei possedimenti creava un
crescente numero di occasioni perché l'amministrazione manoriale potesse richiedere dei pagamenti
aggiuntivi rispetto alla rendite consuetudinarie, di norma di ammontare fissato dal costume del
maniero e così mantenuto dalla corte manoriale, in modo che le rendite complessive della terra
potessero adattarsi con maggiore rapidità al crescente valore di mercato [Watts 1967: 544]. Mentre i
possedimenti servili rimasero de jure di proprietà del lord e concessi ad arbitrio, lungo il XIII
secolo e l'inizio del XIV secolo i contadini vennero a conquistare un'alienabilità de facto dei propri
possedimenti.
Il mercato della terra si sviluppò inizialmente tramite l'affitto (lease) di porzioni dei poderi a
contadini con poca terra. Il lease tra contadini era del tutto analogo alla pratica della sub-
infeudazione tra le fila dell'aristocrazia terriera. L'affittuario si trovava infatti in una posizione
analoga al tenutario in possesso di un feudo cavalleresco. Molti tenutari servili, detti undersettle,
potevano pertanto detenere terra non direttamente dal signore del maniero, ma tramite altri
contadini in condizioni servili [Postan 1960: 117]. Le affittanze di breve durata, di solito inferiore a
un anno, non cadevano sotto il controllo del signore, e potevano essere concesse in relativa
autonomia [Gray 1963: 15]. I lease di più lunga durata dovevano invece venire approvati nella corte
manoriale, e richiedevano il pagamento di una tassa [Smith 1983: 108]. Lo sviluppo del mercato
delle sub-affittanze permise al crescente numero di contadini nei villaggi di avere accesso a una
porzione di terra da cui trarre un reddito, che spesso veniva reinvestito nell'acquisto di un
possedimento consuetudinario, solitamente lo stesso appezzamento occupato in affitto, detenuto
regolarmente sotto l'autorità di un signore [Hyams 1970: 28]. Lo sviluppo delle transazioni in terra
venne altresì facilitato da una crescita del mercato del credito all'interno dei villaggi. I contadini più
benestanti, che potevano contare su un elevato tasso di risparmio, cominciarono a finanziare gli
acquisti di terra da parte dei contadini non provvisti di appezzamenti tali da conferire un reddito
superiore alla sussistenza, dando così liquidità al mercato della terra coinvolgendo il crescente
numero di contadini con mezzi non altrimenti sufficienti a partecipare nel ruolo di compratori [ivi:
20].
Il meccanismo di transazioni fondato sul surrender and admittance, unito alla natura at will dei
possedimenti contadini consuetudinari, faceva si che il titolo passato nelle compravendite tra gli
abitanti del villaggio valesse, di norma, per la durata della vita dell'acquirente. Alla sua morte
153
sarebbe tornato nelle mani del signore per essere nuovamente riassegnato. Nella seconda metà del
XIII secolo, però, cominciarono ad apparire transazioni tra contadini servili, registrate nella corte
manoriale, che iniziarono ad adottare un linguaggio simile a quello utilizzato nel trasferimento di un
fee simple. Ad esempio, venne a diffondersi la pratica, da parte di un contadino A, di cedere il
proprio possedimento al proprio signore, "a uso di B e dei suoi eredi". Il signore, pertanto,
nell'ammettere B (che aveva acquistato l'appezzamento da A), e nel registrare il passaggio di
proprietà così formulato sui registri della corte, riconosceva il fatto che B ottenesse non una
semplice concessione at will, ma un patrimonio che poteva discendere ai suoi eredi dopo la sua
morte [Smith 1983: 108]. Il titolo così acquisito era valido esclusivamente nella corte manoriale, e
non vi erano ancora corti esterne in grado di garantire il titolo anche nei confronti del proprio
signore. Ciò non di meno, finché il costume del maniero fosse stato applicato e finché gli interessi
signorili non fossero stati messi in gioco, i poderi contadini servili cominciarono non solo a essere
considerati come patrimonio di famiglia (questo era il costume non scritto della maggior parte delle
unità manoriali da tempo immemore), ma tale caratteristica cominciò a essere riconosciuta per
iscritto, conferendo una maggiore sicurezza del titolo e della sua possibilità di discendere solo
all'erede legittimo. Eventuali eredi risultavano così più protetti non solo nei confronti del proprio
signore, ma anche nei confronti di rami collaterali della famiglia che potevano voler accedere al
possedimento del parente deceduto spiazzando l'erede legittimo [ivi: 110]. Accanto allo sviluppo
del mercato della terra, l'evoluzione legale a livello manoriale venne così a dotare i contadini in
condizioni servili di un titolo al proprio possedimento registrato nella corte signorile, ereditabile e
in grado di essere trasferito mantenendo buona parte delle proprie caratteristiche. In particolare, così
come il fee simple, una volta trasferito, entrava nella disponibilità assoluta dell'acquirente, dei suoi
eredi e dei suoi assegnatari, così il copyhold verso la fine del XIII secolo veniva ad assumere
caratteristiche analoghe. Non bisogna, comunque, esagerare le analogie tra i due titoli alla terra
tralasciando le differenze. Mentre il fee simple diventava sempre più un titolo astratto e assoluto alla
terra, garantito dalla giustizia reale e sempre più libero dalle esazioni personali legate alla sua antica
concessione da parte di un signore (in particolare incident, tasse di alienazione e relativo consenso),
il copyhold manteneva tutte quelle caratteristiche che ancora ne demarcavano la natura servile: tasse
di alienazione e di ingresso, servizi personali a favore del signore, pagamenti consuetudinari di
carattere servile (taglia, merchet e heriot). Il passaggio di proprietà, inoltre, spesso comportava una
rinegoziazione dei termini del servizio tra signore e nuovo tenutario, che poteva portare a una
radicale trasformazione del titolo di proprietà al possedimento trasferito, in particolare quando il
titolo non discendeva tramite eredità ma costituiva una transazione inter vivos [Postan 1960: 129].
Mentre si può affermare che, fintanto che il costume del maniero veniva debitamente applicato, il
154
contadino in condizioni servili vide rafforzarsi il titolo al proprio possedimento (in particolare nei
confronti dei propri vicini e familiari), ciò non di meno tale sicurezza dipendeva ancora dalla
volontà del signore, e dalla sua disponibilità ad assicurare che il costume venisse correttamente
applicato all'interno della propria corte.
Ereditabilità e alienabilità non furono le uniche caratteristiche dei possedimenti consuetudinari che
vennero rafforzate lungo il XIII secolo. Per quanto la tendenza non fosse generalizzata, in molti
manieri vennero a crescere anche le possibilità di disposizione testamentaria della terra. Tale diritto
poteva essere acquisito nella corte manoriale a seguito dell'acquisto di una licenza che permetteva al
testatore di disporre liberamente di una parte dei propri possedimenti dopo la propria morte. In tal
caso il testamento del contadino veniva inserito nei registri della corte manoriale e quindi alla sua
morte eseguito [Denman 1958: 125; Postan 1968: 282]. Al di fuori di questi casi, dove la
disponibilità testamentaria derivava da un privilegio acquistato dal signore e riconosciuto nella corte
manoriale, il metodo prevalente di trasferimento post obitum consisteva nella cessione del
possedimento a favore del signore prima della morte e nella nomina di un successore, che il lord
avrebbe in autonomia deciso se ammettere o meno [Denman 1958: 125]. Mentre tra il ceto
aristocratico nello stesso periodo venivano ristrette le possibilità di disponibilità testamentaria dei
possedimenti, tale diritto veniva frequentemente concesso nei villaggi [Hatcher 1981: 9]. Mentre la
libera alienazione post obitum tra le fila della cavalleria era avversata dai grandi signori, in quanto
tendeva a deprivarli degli incident più profittevoli o rischiava di far cadere i possedimenti dei propri
tenutari in una sterile manomorta ecclesiastica, gli stessi scrupoli non erano necessari nei rapporti
tra signore e contadini servili. Il diritto di wardship non veniva esercitato direttamente dal lord, ma
era lasciato alla famiglia dell'erede. In cambio il signore godeva in ogni caso del diritto all'esazione
dell'heriot alla morte di un tenutario, oltre alla riscossione di una tassa d'ingresso all'atto di
riassegnazione della tenuta. Tale tassa veniva pagata da chiunque accedesse, familiare o meno e a
prescindere dall'età, e pertanto eventuali disposizioni testamentarie difficilmente potevano privare il
lord del reddito dovutogli come nel caso dell'aristocrazia terriera [Macfarlane 1978: 118]. Inoltre, i
contadini non erano il più delle volte dotati di terra sufficiente per lasciare una parte dei propri
possedimenti alla chiesa così da deprivare il proprio signore dei profitti derivanti da successivi
passaggi di proprietà esclusi dalla natura della manomorta. Ciò non di meno, licenze di alienazione
o di disponibilità testamentaria, dal momento che conferivano una maggiore libertà di alienazione
rispetto alla procedura di surrender and admittance, venivano spesso garantite specificando
esplicitamente il divieto a trasferire l'appezzamento a una qualsiasi corporazione ecclesiastica
[Postan 1960: 147].
155
2.2.3. La fine del servaggio
Una delle caratteristiche delle tenure contadine che ancora nel XIII secolo le rendeva differenti
dalle proprietà libere era l'obbligo di fornitura di servizi lavorativi al signore del maniero, come
contropartita per la concessione terriera e la garanzia del possesso. Il lavoro contadino sulla
demesne signorile, cioè sulla parte di terra che il signore coltivava in proprio, era ancora
ampiamente diffuso. Come illustrato nella figura 3.7, nella prima metà del XIV secolo, nel periodo
antecedente la Morte nera, in circa l'80% dei manieri inglesi i contadini servili fornivano tra la metà
e la totalità della forza lavoro necessaria per la coltivazione dei terreni del signore25
. Il lavoro
diretto contadino aveva un'importante funzione per l'economia della riserva signorile. Nei periodi di
intensa attività agricola, dove il lavoro manuale era più necessario, quest'ultima poteva contare su
una fornitura di lavoro assicurata, a prescindere dall'offerta e dal prezzo del lavoro salariato.
Nonostante il lavoro contadino svolto per conto del lord fosse meno efficiente rispetto al lavoro
degli stessi applicato sui loro possedimenti [Fenoaltea 1975a: 391-392], costituiva un'importante
riserva da cui attingere nei momenti di elevata domanda di lavoro:
il valore principale del servaggio per un signore, comunque, risiedeva nel fatto che provvedeva una riserva per quelle
crisi stagionale dell'anno agricolo che, a causa della variabilità del tempo in Inghilterra, richiedeva una mobilizzazione
flessibile di un ampio ammontare di lavoro per le principali opere di aratura in autunno e primavera, erpicatura e
fienagione, raccolto ed eventualmente trebbiatura, il trasporto dei prodotti dei campi del signore alla sua residenza o sui
mercati. Era, per così dire, il fattore di sicurezza nell'organizzazione del lavoro nel maniero, a supplemento dei
lavoratori manoriali regolari e delle braccia occasionalmente assunte in quei periodi in cui la domanda di lavoro era al
suo massimo nelle campagne inglesi [Miller e Hatcher 1978: 221-222].
In periodi di relativa stabilità, grazie al servaggio il signore poteva mantenere la scelta ultima degli
input di lavoro: in caso di raccolto particolarmente buono avrebbe richiamato l'intera forza
lavorativa dei propri contadini sulla demesne; in caso di cattivo raccolto poteva utilizzare il lavoro
necessario e commutare i servizi in eccesso comunque dovuti dai contadini, ma non indispensabili
alla coltivazioni, in un pagamento monetario o in natura. Anno per anno, difatti, il signore poteva
scegliere se esigere da ogni villein il lavoro manuale consuetudinario, o un equivalente in moneta:
nel secondo caso il signore effettivamente vendeva al contadino il diritto a controllare il proprio
lavoro, che diventava così libero di utilizzarlo a propria discrezione [Denman 1958: 137]. In questo
modo il signore raggiungeva un duplice obbiettivo: salvaguardava la rendita dovuta dai propri
tenutari (che veniva estratta nella sua totalità, tramite lavoro o tramite commutazione monetaria
25
I dati, tratti da Page [1900: 333-334, 348-352, 366-370], sono basati su un campione rappresentativo di manieri
inglesi. Per il periodo 1325-1350 il campione è costituito da 81 manieri, per il periodo 1350-1380 da 124, e per il
periodo 1380-1440 da 182. Per ogni maniero è stato riportata la categoria modale del periodo considerato.
156
qualora il lavoro non fosse del tutto necessario); e si assicurava contro la scarsità di lavoro durante i
picchi stagionali e durante le annate particolarmente buone [Fenoaltea 1975b: 709]. In un periodo di
crescente inflazione come il XIII secolo, inoltre, i signori potevano voler tutelarsi dal generale e
volatile aumento dei prezzi acquisendo input in natura (cioè, servizi lavorativi fissati
nell'ammontare), in luogo di servirsi di lavoro salariato: il rapido aumento dei prezzi faceva sì che il
compenso per il lavoro salariato dovesse essere rinegoziato frequentemente, così facendo aumentare
i costi di transazione, mentre il lavoro obbligatorio dei contadini servili, essendo fissato in termini
di ore lavorative e disponibile at will, poteva essere mobilitato senza particolari contrattazioni
[Cheung 1969: 31].
I servizi lavorativi obbligatori a discrezione del signore non erano considerati una caratteristica
immutabile del servaggio. Lungo il XII secolo vi fu una prima ondata di commutazione dei servizi
lavorativi in rendita monetaria o in natura. Tale prima ondata può essere stata provocata
dall'incertezza del periodo, caratterizzato dall'anarchia del regno di re Stephen e dalle turbolenze
conseguenti. In periodi di guerra civile i signori potevano perdere la loro capacità di esercitare
un'autorità effettiva sulla massa contadina a loro soggetta: in questo caso una rendita fissa, in luogo
di servizi lavorativi che andavano non solo esatti, ma supervisionati nel loro svolgimento, poteva
essere considerata l'unica alternativa alla perdita di autorità, e quindi di produzione, derivante dagli
sconvolgimenti nelle campagne [Postan 1944: 133]. Tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIV
l'Inghilterra conobbe un periodo di relativa stabilità interna, e vide quindi un'inversione di tendenza
della prima ondata di commutazione dei servizi lavorativi. I signori tornarono a sfruttare la demesne
Figura 3.7 Proporzione dei manieri per quota di lavoro servile sulla demesne signorile per
periodo storico
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
0,8
0,9
1
1325-1350 1350-1380 1380-1440
Totalità Metà Insignificante Nessuno (abolito)
157
in proprio, servendosi del lavoro diretto dei propri contadini, annullando le precedenti
commutazioni in moneta o in natura e spesso aumentando il servizio dovuto. Sovrappopolazione e
stabilità permisero che l'autorità signorile si facesse sentire più forte, e i servizi tornarono a venire
esatti con una maggiore discrezione da parte del signore [Postan 1966: 581]. La tenure servile,
fondata su uno scambio di servizi lavoratori in cambio di terra, era preferita da parte
dell'aristocrazia terriera in luogo di una semplice rendita monetaria in quanto conferiva un maggiore
controllo e una maggiore autorità sul lavoro della classe dei contadini in condizioni servili. Un
movimento di commutazione su larga scala e persistente nel tempo avrebbe avvicinato la posizione
della classe contadina a quella dei freeholder protetta dalla giustizia reale. Questo avrebbe potuto
mettere in pericolo, sul lungo periodo, la posizione di preminenza dei signori terrieri, e la loro
capacità di ottenere una rendita consistente dai propri possedimenti terrieri. Così come i signori di
più alto rango nel periodo stavano perdendo autorità e rendita sui terreni anticamente concessi ai
propri tenutari liberi, allo stesso modo se il movimento di commutazione fosse andato oltre i signori
dei manieri avrebbero potuto trovarsi faccia a faccia con una popolazione contadina libera non più
disposta a fornire le rendite precedentemente estratte [Fenoaltea 1975b: 715]. Finché le condizioni
lo permisero i signori continuarono perciò a sfruttare la demesne in proprio, tramite il lavoro
obbligatorio dei contadini, in luogo di trasformarsi in semplici rentier. Come si vedrà, saranno gli
eventi del XIV e XV secolo a mettere in crisi le fonti di autorità signorile e a innescare quel
movimento di cambiamento sociale iniziato nel XII secolo e interrotto nel XIII.
L'avvento della Morte nera, nel 1348-1349 e nelle successive ondate, costituisce un punto di svolta
radicale nella storia dei rapporti tra la grande massa dei contadini in condizioni servili e i signori
terrieri a loro sovraordinati. Come riassunto da Jan Titow,
per lo studio della classe contadina inglese nel Basso Medioevo, il XIV secolo è estremamente importante, in quanto fu
in quel secolo che le due cose migliori che potessero accadere alla classe contadina ebbero luogo. La prima metà del
secolo vide le grandi carestie del 1315-1317, e la seconda metà fu messa in secondo piano dalla grande pestilenza del
1349 e dalle sue ricorrenze. Può apparire brutale il chiamare disastri di una tale portata "una buona cosa". In termini di
umana sofferenza e miseria esse furono indubbiamente grandi tragedie, ma viste in una prospettiva storica emergono
chiaramente come i punti di svolta in cui la tendenza negativa nella prosperità della classe contadina fu prima arrestata e
quindi definitivamente invertita [Titow 1962: 1].
L'improvvisa ed elevatissima mortalità precipitò le campagne inglesi da uno stato di
sovrappopolazione e sovrabbondanza di manodopera a una condizione in cui l'offerta di lavoro
contadino, in forma salariata o secondo termini consuetudinari, divenne estremamente scarsa. Come
anticipato nel paragrafo 2.1, questo stato di cose determinò immediatamente due conseguenze. Da
158
una parte la pressione sulla terra venne ad allentarsi: le terre meno fertili, in mancanza di braccia
che le coltivassero, vennero abbandonate, e venne quindi applicato un numero inferiore di lavoratori
per acro di terra, ora di necessità sfruttata meno intensivamente. In questo modo il prodotto
marginale del lavoro venne a salire. Dall'altra, la radicale scarsità di lavoratori determinata dal
dimezzamento della popolazione inglese nell'arco di un quarto di secolo provocò un'accresciuta
concorrenza da parte dei signori nel tentare di attirare contadini che coltivassero i propri terreni
ormai depopolati e, in assenza di manodopera, improduttivi [North e Thomas 1973: 79]. Come già
illustrato nella figura 3.6 il salario reale dei lavoratori agricoli, dopo un secolo di calo, tornò a salire
in coincidenza delle carestie del primo quarto del secolo, accelerando di passo in coincidenza della
prima esplosione epidemica della Morte nera, e imboccando un percorso di crescita persistente fino
alle fasi finali del XV secolo. La preoccupazione dei signori per l'improvvisa carenza di
manodopera, e per il crescente costo del lavoro, è riflessa in due atti legislativi adottati
tempestivamente dal re e dal parlamento al dispiegarsi della Morte nera:
il re e il suo consiglio erano convinti, ben prima che la Morte nera facesse il suo corso, che il paese stava sperimentando
una catastrofica carenza di manodopera, pesantemente esacerbata dal rifiuto dei sopravvissuti a lavorare, a meno che
non gli venissero riconosciuti compensi eccessivi, e con notevole velocità la Ordinance of Labourers fu promulgata nel
giugno del 1349. Era espressamente indirizzata nei confronti di quei lavoratori che, "nel vedere la necessità dei signori e
la scarsità dei servitori, non vogliano servire a meno di ricevere salari eccessivi", mentre lo Statute of Labourers fu
passato due anni dopo in quanto "detti servitori hanno completamente disatteso la suddetta ordinanza nell'interesse del
loro agio e della loro avidità e [...] rifiutano il loro servizio ai magnati e agli altri a meno di non ricevere pagamenti in
cibo o moneta due o tre volte più grandi di quanto fossero abituati a ricevere nel ventesimo anno di Edward III [1346-7]
e prima ancora" [Hatcher 1994: 10-11].
I due atti erano indirizzati a porre un tetto ai salari richiesti dai lavoratori ora in condizioni di forza
relativa. Ma, come i dati sui salari e come le documentazioni manoriali rivelano, gli atti furono
pressoché completamente disattesi. Tale era la scarsità di manodopera, e tale era il bisogno dei
signori di attrarre lavoratori salariati e tenutari al lavoro sui loro campi, che l'unico modo per non
far sì di ritrovarsi senza manodopera era pagare un salario di mercato, e non già il salario fissato
dall'ordinanza e poi dallo statuto: «prevedibilmente, i datori di lavoro come classe risposero
cercando di negare ed eludere le forze di mercato, ma sebbene come corpo supportassero la
promulgazione della legislazione sul lavoro, mancavano della solidarietà necessaria per
assicurarsene il rispetto» [ivi: 19].
La concorrenza tra i signori nel tentare di attrarre la forza lavoro ora scarseggiante, riflessa nel
movimento dei salari, è indicativa dei nuovi rapporti di forza che vennero a crearsi tra signori e
contadini durante il periodo di crollo delle dimensioni assolute della popolazione. Ma, accanto al
159
miglioramento delle retribuzioni dei lavoratori salariati, il cambiamento di proporzioni epocali
precipitato dagli eventi "positivi" menzionati da Titow fu la scomparsa del servaggio come
conosciuto dalla maggior parte della popolazione nei secoli precedenti alla Morte nera. Il servaggio
persisteva ancora come duplice condizione, cioè status personale e tenure servile. La tenure in
villeinage, che stava lentamente muovendosi verso il copyhold a partire dal XIII secolo, implicava
ancora due elementi che la contraddistinguevano come tenure servile. Da una parte contemplava,
come contropartita per la concessione terriera, servizi lavorativi personali da rendere al signore che,
per quanto fissati nell'ammontare, e sempre più spesso specificati per iscritto nei registri della corte
manoriale, restavano mobilitabili a suo arbitrio [Gray 1963: 5-6]. Dall'altra il tipo di concessione
era valido entro i costumi del maniero ma, nondimeno, ad arbitrio del lord: formalmente il signore
aveva l'autorità, per quanto temperata dal costume, di apportare modifiche ai termini della tenure o
addirittura di terminarla a piacere [Hatcher 1981: 9-10]. Il crollo e la stagnazione della popolazione
contadina modificò in profondità tale stato di cose. Non solo i signori si trovarono a corto di
manodopera salariata. Le loro terre si trovarono anche senza tenutari che coltivassero i terreni e che
pagassero una rendita. Lo stesso processo competitivo che si esercitò tra i signori nel tentare di
attrarre lavoro salariato sulle proprie demsne venne a innescare una altrettanto forte competizione
nell'attrarre nuovi contadini che assumessero la coltivazione diretta delle terre. Il modo migliore per
attrarre nuovi tenutari e ripopolare le terre incolte era quello di offrire termini più favorevoli a
eventuali nuovi occupanti. Si diffuse perciò la pratica, tra i contadini, di lasciare i propri terreni
cercando fortuna presso altri manieri, dove i signori si dimostrarono ben contenti di offrire terreni,
pur sempre secondo termini servili, a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle invalse nel XIII
secolo [Page 1900: 344; Bailey 1989: 9]. Mentre la sovrappopolazione del secolo precedente
contribuì a determinare una migrazione spinta dalla mancanza di terra, dove i contadini fuggitivi
non potevano sperare di trovare termini migliori altrove rispetto al villaggio di nascita, dopo la
Morte nera la migrazione divenne considerevolmente profittevole: il crollo della popolazione
contadina nelle campagne fece sì che i contadini potessero guadagnare in migliori termini di tenure
dalla migrazione, a scapito delle rendite terriere guadagnate dai signori [Postan 1939: 166].
L'aspetto più gravido di conseguenze dei nuovi termini consuetudinari che venivano gradualmente
strappati dai signori fu la quasi totale scomparsa dei servizi lavorativi personali in cambio delle
concessioni terriere. La figura 3.7 illustra il processo. Mentre nel periodo immediatamente
precedente alla Morte nera circa nell'80% dei manieri del campione considerato i contadini in
condizioni servili provvedevano ad almeno più della metà del lavoro impiegato sulla riserva
signorile, nel secolo successivo tale percentuale venne a calare drasticamente. Nel periodo 1350-
1380 la percentuale calò al 38,7%, per arrivare al 19,8% nel 1380-1440. In quest'ultimo periodo
160
nell'80,2% dei manieri del campione non vi era alcun lavoro servile sulla riserva signorile (50,5%
dei casi) o l'ammontare di tale lavoro era insignificante (29,7% dei casi).
Il principale metodo tramite cui i servizi lavorativi vennero ad essere aboliti o drasticamente ridotti
fu la commutazione degli stessi in una rendita monetaria dovuta al signore. Questo presentava un
grande vantaggio per i contadini: questi potevano ora occuparsi a tempo pieno della conduzione
degli affari agricoli sul proprio possedimento, essendo ora tenuti al solo pagamento di una rendita
monetaria. Tale rendita venne inoltre a calare, riflettendo la sovrabbondanza di terra rispetto alla
popolazione ora disponibile a coltivarla [Postan 1939: 166; Miller e Hatcher 2001: 115]. Inoltre
divennero sempre più rari e infruttuosi i tentativi da parte dei signori nel modificare a loro
vantaggio i termini della tenure: contrariamente alla situazione del XIII secolo, ora un trattamento
svantaggioso nei confronti del contadino ne avrebbe determinato la fuga verso condizioni più
favorevoli nelle vicinanze [Page 1900: 384]. La crescita dei salari, la carenza di manodopera e il
crollo delle rendite, oltre alla diminuzione conseguente dei valori della terra, spinsero perciò i
signori a ridurre le terre messe a coltivazione, incrementando gli utilizzi della terra che richiedevano
una minore dipendenza dal lavoro contadino: in particolare vennero aumentate le aree lasciate al
pascolo, al prativo e alla raccolta del legname [Haddock e Kiesling 2002: 575-576]. I copyhold
garantiti nel periodo seguente alla Morte nera vennero a somigliare sempre di più alle concessioni
terriere libere. In luogo di essere concessi ad arbitrio del lord e secondo gli antichi costumi del
maniero (che implicavano un possesso di fatto ereditario), i termini del tipo di tenure concesso
venivano meglio specificati: in particolare le concessioni potevano venire garantite per un termine
di tempo prefissato, per la durata della vita del tenutario, al tenutario e ai suoi eredi, o al tenutario
per la sua vita e successivamente, alla sua morte, a terzi esplicitamente nominati all'atto della
concessione [Ashley 1891: 416-417; Gray 1963: 9]. Ciò nonostante rimaneva la loro natura di
possedimento servile. Le concessioni di copyhold, anche quando concesse secondo termini analoghi
alle terre libere, rimanevano sottoposte all'arbitrio del lord. In caso il signore non avesse rispettato i
termini della concessione come registrati, la sua corte rimaneva l'unico luogo entro cui chiedere
rimedio: la giustizia del re non era ancora giunta a esercitare una supervisione della giustizia
dispensata nella corte manoriale, così come aveva fatto con le tenure libere. Le tenure at will,
secondo la Common law, rimanevano di diritto sotto la piena giurisdizione signorile [Ashley 1891:
420]. Il passaggio dai servizi lavorativi consuetudinari ai pagamenti monetari registrati entro la
corte manoriale costituiva un importante cambiamento nei costumi del maniero. Questo implicava
che l'arbitrio del lord diventasse ora meno vincolato dal costume secolare: la commutazione dei
servizi, nella sua estensione, costituiva un evento nuovo, e pertanto l'arbitrio diveniva meno
vincolato dal precedente e più legato alla lettera della concessione. Molte delle concessioni del
161
periodo seguente la Morte nera enfatizzavano l'elemento di arbitrio signorile. Inizialmente i signori
videro le commutazioni dei servizi come evento temporaneo, in attesa che le condizioni agricole
volgessero al meglio, così da poter tornare a imporre i vecchi termini consuetudinari. Un esempio di
questo atteggiamento è riportato nella registrazione di una nuova ammissione presso la corte
manoriale di Stevenage nel 1361:
è concesso dal signore che J. C. abbia e detenga per la durata della sua vita un messuage con mezzo virgate26
di terra
che J. F. una volta deteneva dal signore, pagando così annualmente dieci scellini per tutti i servizi. E se altri venisse
entro il suddetto termine, volendo prestare al signore in cambio della suddetta terra i servizi precedentemente debiti e
consueti, che sia ammesso secondo la volontà del signore [cit. in Page 1900: 372-373].
Condizioni più favorevoli ai signori terrieri non si presentarono però prima della seconda metà del
XVI secolo, e pertanto le tenure concesse ad arbitrio del signore acquisirono un carattere di
sicurezza, stabilità e minore onerosità dettata più dalla persistenza delle condizioni sociali ed
economiche precipitate dalla Morte nera che dalla lettera della concessione. Nessuno si presentò a
riscattare i possedimenti, ora concessi secondo termini più vantaggiosi per i contadini, secondo gli
antichi termini consuetudinari, e la commutazione dei servizi assunse pertanto carattere permanente
[Page 1900: 375]. Così come nei secoli XI e XII i contadini in condizioni servili avevano goduto di
un possesso de facto ereditabile, a maggior ragione dalla seconda metà del XIV secolo e fino
all'inizio del XVI i copyhold, con qualunque formula fossero concessi, erano considerati dai
possessori, entro la cornice di regole costituita dalla comunità manoriale, dei possessi ereditabili la
cui occupazione era sicura: «nel XV e nel primo XVI secolo non vi era una distinzione effettiva tra
copyhold per la durata di una o più vite o ereditabile: c'era solo il copyhold (che in pratica
concedeva un diritto di successione). La formula esatta utilizzata nella copia [del registro manoriale
con cui il possedimento era concesso] era indifferente: in ogni caso il possedimento concesso era
ereditabile de facto in quanto, durante il periodo di carenza di tenutari, i signori vedevano con
favore la successione» [Hoyle 1990: 8].
Il servaggio come status personale seguì un percorso analogo a quello delle tenure servili. Diversi
erano i metodi tramite cui un individuo in condizioni servili poteva venire ad acquisire la libertà.
Innanzitutto il servo poteva venire manomesso dal proprio signore, solitamente in cambio di un
pagamento. In secondo luogo le corti di giustizia reale potevano considerare una manomissione
implicita il fatto che un signore si comportasse con il proprio servo come con un uomo libero, ad
esempio stipulando contratti, conferendogli possedimenti liberi o richiedendo la sua presenza in una
26
Con messuage era indicato lo spazio di terreno in cui era locata l'abitazione del contadino, formalmente separato dal
terreno detenuto nei campi e soggetto a coltivazione. Il virgate era un'unità di misura consuetudinaria pari a 30 acri
(121.405,69 metri quadrati o 12,14 ettari).
162
corte di giustizia reale per una funzione riservata agli uomini liberi (ad esempio come
compurgator). In terzo luogo il servo che avesse soggiornato in un borgo reale per un anno e un
giorno veniva considerato definitivamente libero. In quarto luogo la manomissione veniva implicata
tramite il matrimonio di un villano con un uomo o una donna libera. Nel XIV secolo, infine, le corti
di giustizia reali vennero a considerare i figli di genitori non sposati come liberi. Lo status personale
era considerato una forma di proprietà, in quanto tale ereditabile: nel caso dei figli di genitori non
sposati la discendenza dello status veniva messa in dubbio, e le corti reali, col supporto dello
strumento del verdetto tramite giuria, risposero a favore della libertà [Baker 2007: 471-472; Pollock
e Maitland 2010a: 442, 451]. Le condizioni economiche e sociali seguenti alla Morte nera
costituirono il sostrato adatto perché un numero crescente di contadini acquisisse la libertà. In caso
di disputa in relazione allo status personale di un contadino era importante, per un signore,
garantirsi a conferma la testimonianza di suoi vicini e parenti. Ma l'olocausto precipitato dalla
Morte nera rese sempre più difficile assicurare tale testimonianza: una grossa parte dei tenutari era
perita nella pestilenza, e i tenutari rimasti in vita stavano migrando dai luoghi di origine per
assicurarsi migliori condizioni altrove. La massa contadina non era più sotto il diretto controllo dei
signori determinato dalle condizioni di sovrappopolazione del XIII secolo: questo rendeva difficile
per i signori garantirsi le testimonianze necessarie per provare lo status servile dei propri contadini
che, in mancanza di queste, dovevano essere considerati liberi. Inoltre, dal momento in cui lo stato
di contadino servile era considerato tale solo nei confronti del suo signore diretto, la fuga dal
maniero di origine permetteva di acquisire una libertà di fatto sotto un signore differente. Gli
ufficiali manoriali erano ora incapaci di impedire la fuga, così come erano impossibilitati dal
catturare tempestivamente i contadini fuggitivi o esigerne il pagamento dello chevage, cioè la tassa
pagata durante i periodi di assenza dal maniero di origine [Page 1900: 356, 381; Miller e Hatcher
2001: 116-117]. Le condizioni cambiarono anche per quei contadini che rimasero di condizioni
servili. Una delle principali disabilità derivanti dal servaggio personale era l'appartenenza per legge
al signore di tutti i beni in possesso del contadino, personali e reali, che potevano essergli sottratti
potenzialmente ad arbitrio. La stessa persona del contadino servile era di proprietà del signore. Così
come gli effetti della tenure servile vennero di fatto ad attenuarsi, anche le caratteristiche di
soggezione personale subirono un drastico ridimensionamento. Il reale e crescente pericolo di fuga
fece sì che gli aspetti più arbitrari, come la confisca delle proprietà contadine, l'imprigionamento
arbitrario, o le esazioni più detestate come l'heriot o il merchet, vennero di fatto ad attenuarsi: anche
quello strato di contadini che non raggiunse lo status di uomo libero vide accrescersi la sicurezza
dei propri possedimenti e la libertà della propria persona grazie a una limitazione dell'arbitrio
signorile [Page 1900: 385-386; Miller e Hatcher 2001: 115].
163
Nei termini del modello introdotto nel capitolo I la persona del contadino in condizioni servili era
una forma di proprietà comune: la sua proprietà era condivisa col signore, che poteva, in un ampio
numero di casi, sfruttarla a piacimento. Così come le tenure militari feudali costituivano una forma
di proprietà comune, ai cui servizi avevano diritto sia il vassallo che il suo signore, allo stesso modo
la persona del servo era aperta allo sfruttamento altrui, e cioè del proprio lord. La Morte nera causò
un'impressionante crescita del valore del lavoro contadino, e quindi della persona del servo. La
soggezione all'arbitrio signorile determinava una condizione di incertezza per il contadino
sull'utilizzo del proprio lavoro o delle sue proprietà personali o reali. Al crescere del valore del
proprio lavoro tale incertezza diventava particolarmente debilitante, e la dissipazione delle risorse in
possesso dei contadini particolarmente grave. Il modello implica pertanto che «per mitigare tale
forma di dissipazione alcuni individui avrebbero dedicato risorse nel rafforzare le rivendicazioni
sopra quella risorsa il cui valore unitario stava crescendo. La congettura è che i legami tradizionali
sul lavoro feudale si sarebbero allentati e i lavoratori avrebbero guadagnato una capacità crescente
nel negoziare i livelli salariali e nel cambiare i termini non pecuniari delle relazioni lavorative»
[Haddock e Kiesling 2002: 582]. Tale fu l'effetto del crollo e della stagnazione della popolazione
nella seconda metà del XIV secolo e nel XV. I contadini impegnarono un crescente numero di
risorse nel tentare di scappare ai propri signori e negoziare una nuova struttura dei diritti di
proprietà sul lavoro servile con un'aristocrazia terriera incapace di mantenere i vecchi rapporti di
lavoro fondati sulla servitù personale. Tale processo non fu improvviso: «per quanto immensa sia
stata la significatività del declino del servaggio per la storia inglese, si svolse in un modo prosaico
tramite il passaggio del tempo e una serie di migliaia e migliaia piccole contrattazioni. Il lungo XV
secolo fu caratterizzato più da un'infinità di piccoli accordi individuali e accomodazioni tra tenutari
e signori terrieri [...] che da un'aperta lotta di classe» [Miller e Hatcher 2001: 115]. Costituì
nondimeno un processo in grado, nell'arco di un secolo, di mutare i rapporti di forza de facto
presenti nella società inglese: entro la fine del XV secolo era impossibile identificare in modo
univoco uno strato sociale corrispondente a quello dei contadini in condizioni servili del XII e XIII
secolo. Come si vedrà nel paragrafo seguente tale cambiamento dei rapporti di potere si tradusse
lentamente in una modificazione dei rapporti de jure che permise, entro il XVII secolo, di
considerare il servaggio un'istituzione definitivamente tramontata a tutti gli effetti pratici [Baker
2007: 471-472].
2.2.4. Copyhold e giustizia reale
Il cambiamento nei rapporti di potere tra lo strato dei contadini in condizioni servili e l'aristocrazia
terriera permise ai primi di ottenere il controllo di un crescente numero di risorse. Tali risorse
164
permisero un iniziale aggiustamento delle condizioni giuridiche dei contadini entro l'organizzazione
manoriale. L'aggiustamento, però non si limitò esclusivamente al costume del maniero: a partire dal
XV secolo si avviò un processo di trasformazione dei diritti di proprietà relativi ai possedimenti
contadini non liberi all'interno della giurisprudenza delle corti di giustizia reali. Per la prima volta le
corti del re si decisero a fornire una supervisione esterna dell'applicazione dei costumi manoriali. Lo
stato diventava quindi terza parte esterna ai rapporti informali tra contadini e signori, tre secoli dopo
l'inizio dello stesso processo nei confronti dei rapporti interni all'aristocrazia degli uomini liberi. Le
nuove regole relative al Copyhold cominciarono a configurarsi come "diritti di proprietà moderna",
secondo la definizione data nel paragrafo 2.2. del capitolo I.
Le origini della protezione dei copyholder da parte della giustizia reale vanno ricercate nella
protezione fornita dalla corte di equità della cancelleria. Per la Common law il proprietario legale
dei terreni su cui si trovavano dei copyholder era il signore, che concedeva, strettamente parlando,
tenure at will, cioè possedimenti facenti parte della libera proprietà del lord e quindi revocabili a
suo insindacabile arbitrio. Ciò non di meno le tenure at will, per quanto riguardava le regole di
successione, ingresso, stabilità nel possesso o alienazione, sottostavano alle regole costituite dal
costume del maniero. Il costume della comunità manoriale, pur non avendo valore legale al di fuori
di essa, comportava non di meno un obbligo morale, da parte del signore, al suo rispetto. Mentre
tale tipo di obbligo non aveva valore entro le corti di Common law, aveva una potenziale rilevanza
per le corti di equità [ivi: 308]. La corte della cancelleria decideva infatti di eventuali petizioni
portate alla sua attenzione non secondo le strette regole di legge della giurisprudenza delle altri corti
reali, ma secondo regole di equità, che potevano da queste distaccarsi [Gray 1963: 157]. Le
circostanze economiche e sociali, la natura del copyhold e i particolari criteri di giudizio della
cancelleria reale permisero che, a partire dalla seconda metà del XV secolo, contadini titolari di
copyhold cominciassero a esporre le loro lamentele per ingiusto trattamento entro la corte di equità
della cancelleria regia [ivi: 34; Baker 2007: 308]. Nonostante la corte manoriale fosse la corte
deputata a decidere questioni relative alle tenure consuetudinarie, i contadini potevano chiedere che
le loro lamentele in cancelleria fossero ascoltate sulla base di alcune difficoltà oggettive. Ad
esempio il piccolo proprietario poteva lamentare che il proprio signore fosse grande e potente, e che
pertanto la corte del maniero fosse sbilanciata a suo favore; oppure poteva lamentare che la corte
non si peritasse di ascoltare debitamente il suo caso; infine poteva sostenere che a causa della sua
povertà non poteva accedere alle regolari corti di Common law [Gray 1963: 160]. La protezione che
la cancelleria venne a fornire era basata sul tentativo di far rispettare il costume del maniero. Le
regole di Common law che, a partire dal XII secolo, cominciarono a interferire ne rapporti feudali
lord - tenant, erano un tentativo di far rispettare, col supporto di un'autorità esterna, patti e relazioni
165
già in essere che, per qualche motivo, non erano state rispettate. Allo stesso modo, la cancelleria
cominciò a fornire uno strumento esterno di revisione dei rapporti tra signore e tenutario all'interno
dell'organizzazione manoriale. In particolare, la protezione che la cancelleria forniva era atta a far sì
che il costume dei singoli manieri venisse rispettato, e non fosse indebitamente ignorato dal signore,
obbligato invece in coscienza a rispettarlo e farlo applicare.
Le petizioni alla cancelleria erano incentrate su diversi aspetti della sicurezza nel possesso del
copyholder che l'arbitrio signorile poteva far sì che venissero a mancare. Ad esempio vi era la
possibilità che il signore espellesse dal possedimento un tenutario a cui era stato garantito un
possesso continuativo. Vi era il rischio che il lord concedesse il possedimento al momento occupato
da A a B, e che B provvedesse a espellere A. Viva era la possibilità che il signore si rifiutasse di
ammettere l'erede o l'assegnatario di un copyholder che deteneva un possedimento alienabile o
ereditabile. Infine vi era il rischio persistente che il signore si rifiutasse di rendere giustizia a un
reclamo di un tenutario, cioè che si rifiutasse di intrattenere una corte che ascoltasse e decidesse dei
meriti dello stesso, o che si rifiutasse di dare un giudizio in linea col costume del maniero [ivi: 24].
La cancelleria si risolse a concedere udienza a tali reclami su due basi. Da una parte il signore del
maniero, accettando una tassa d'ingresso da parte del proprio tenutari, dava una garanzia implicita
riguardo alla continuatività del possedimento conferito, garanzia che poteva essere disattesa solo
commettendo un'iniquità [ivi: 36]. Dall'altra, il titolo che veniva conferito al copyholer costituiva, in
qualche modo, un titolo legale. Il costume del maniero, vigente da tempo immemore, svolgeva
comunque un ruolo nella protezione dei diritti di proprietà delle terre contadine, e in quanto tale
risultava degno di una protezione esterna [Leadam 1893: 687]. Riguardo al primo punto, molte delle
petizioni che vedevano tenutari consuetudinari contrapposti al proprio signore, o a suoi assegnatari,
venivano aggiudicate su basi di equità, qualora il tenutario avesse dimostrato di aver pagato una
consistente tassa d'ingresso, o di essere incorso in consistenti spese per il miglioramento del terreno
a lui conferito. In questi casi, più che essere difeso il titolo consuetudinario, erano puniti
comportamenti fraudolenti o estorsori da parte del lord. Rispetto al secondo punto, molte petizioni
richiedevano che fosse imposto al signore il rispetto delle consuetudini del maniero. In questo caso
andava provata l'esistenza di un particolare costume, e in tal caso il cancelliere ne avrebbe imposto
il rispetto. In questo modo la sicurezza di fatto che molti tenutari consuetudinari avevano
sperimentato grazie alla forza delle regole seguite da tempo immemore all'interno della comunità
manoriale venne rafforzata, grazie alla supervisione fornita dalla giustizia reale [Gray 1963: 36-49].
La protezione della giustizia regia del copyholder, come sviluppata tra la seconda metà del XV
secolo e l'inizio del XVI, non ebbe lo stesso carattere sistematico della giurisprudenza delle
166
proprietà libere. Piuttosto, diverse corti di giustizia, spesso con una cronologia differente e secondo
differenti principi, accettarono gradualmente di proteggere diversi aspetti dell'occupante di un
copyhold. Mentre la natura dei possedimenti consuetudinari rimarrà distinta dalla natura del
freehold, la giurisprudenza si adattò gradualmente, fino ad arrivare a fornire agli occupanti una
sicurezza nel possesso analoga a quella dei possedimenti liberi. Entro il 1400 le corti di Common
law decisero di ammettere un'azione per trespass, atta a ottenere un risarcimento danni per
violazione di domicilio, da parte di un copyholder, nei confronti di terzi che l'avessero
ingiustamente espulso dal suo possedimento [Baker 2007: 308]. Nel 1506 una sentenza della Court
of Common Pleas stabiliva che un tenutario consuetudinario non era perseguibile per trespass se
occupava un copyhold contro la volontà del proprio signore [Gray 1963: 59]. Ciò non di meno, le
corti di Common law, contrariamente alla cancelleria, furono inizialmente inclini a riconoscere ai
copyholder solo azioni per risarcimento dei danni, piuttosto che rimedi possessori tesi a proteggere
l'occupazione della terra. Tale dottrina cominciò a essere modificata nella prima metà del XVI
secolo, a seguito delle decisioni della cancelleria che cominciavano a fornire una protezione del
possesso degli occupanti consuetudinari. Nel 1566 una sentenza estendeva ai copyholder il rimedio
di trespass anche nei confronti del lord del maniero. Un riconoscimento definitivo secondo la
Common law del copyhold come titolo legale avverrà solo negli ultimi vent'anni del XVI secolo.
Venne infatti ammessa la possibilità per i copyholder di utilizzare, sia nei confronti di terzi che nei
confronti del proprio signore, l'azione di ejectment, un tipo di azione che veniva utilizzata, nel
recuperare l'accesso a un terreno, sempre più spesso anche dai liberi proprietari in luogo delle
antiche azioni proprietarie e possessorie [Baker 2007: 308]. L'azione era tesa a stabilire il titolo a un
possedimento da cui il richiedente dichiarava di essere stato ingiustamente espulso, ed era preferita
in quanto dava luogo a procedimenti più spediti dei vecchi writ of right e writ of entry o delle petty
assizes [ivi: 236]. Anche le azioni di Common law erano tese a determinare il rispetto del costume
del maniero, rimuovendo così la precarietà dei possedimenti formalmente at will [Hoyle 1990: 8].
Le corti si preoccupavano di difendere il costume quando presente da tempo immemore, ma il
periodo di accertata persistenza di un costume, per essere considerato legalmente valido, poteva in
realtà essere relativamente breve [ivi: 4]. In questo modo venne riconosciuta la legalità del possesso
delle tenute consuetudinarie, anche contro la volontà del lord, che si trovò costretto al rispetto del
costume e, quindi, della proprietà dei propri tenutari.
Altre decisioni vennero a ridurre la precarietà dei possedimenti consuetudinari. In particolare,
all'atto di ingresso in un possedimento i copyholder, sia che entrassero per acquisto o per eredità,
dovevano pagare una entry fine, il cui ammontare, in principio, era fissato ad arbitrio dal signore,
ma in realtà veniva determinato dalla consuetudine del maniero. Esisteva comunque la possibilità
167
che la tassa di ingresso venisse elevata considerevolmente, senza lasciare alcuna possibilità di difesa
al potenziale concessionario. Le corti di giustizia del re arrivarono a occuparsi anche di questo
aspetto. La Court of Requests27
, in una decisione del 1529, giudicò a favore di un gruppo di
copyholder, che lamentavano la richiesta di una tassa di ingresso eccessiva da parte del proprio
signore. La sentenza stabiliva che la tassa d'ingresso avrebbe dovuto essere "ragionevole", con
questo implicando che avrebbe dovuto essere in linea con quanto la consuetudine del maniero aveva
stabilito in passato [Leadam 1893: 694]. Richieste analoghe, relative alla ragionevolezza della entry
fine, vennero portate presso la cancelleria almeno a partire dalla metà del XVI secolo, per quanto
non è possibile stabilire quali decisioni furono prese in tali circostanze. Ciò non di meno è
dimostrato che la questione venne intrattenuta, e a volte decisa, nelle corti di giustizia reali, che non
si dimostrarono sorde ai reclami rivolti a trattamenti arbitrari da parte dei signori terrieri. Una
dottrina più definita sula ragionevolezza delle tasse di ingresso cominciò a svilupparsi nell'ultimo
ventennio del XVI secolo [Hoyle 1990: 5]. Il processo di crescita della sicurezza legale del
copyhold non fu lineare come quello del freehold, ma non di meno contribuì a creare, a partire dalla
seconda metà del XV secolo, una garanzia esterna dello stato sul possesso dei contadini
consuetudinari. Con questo, entro il XVI secolo la definizione dei diritti di proprietà moderna sulla
terra poteva dirsi completata.
27
La Court of Requests, creata nel 1483, costituiva, prima di formalizzarsi come corte autonoma, una sezione del
Consiglio del re, e si occupava di esaminare, analogamente alla cancelleria, le petizioni di quei soggetti che non
trovavano rimedio presso le corti di Common law, o che erano troppo poveri per accedervi [Baker 2007: 120].
168
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