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Gustav Landauer (Karlsruhe 1870-München 1919) fu, insieme a Pëtr Kropotkin, esponente di spicco di un socialismo libertario e anarchico, radicalmente pacifista, che rifiutava ogni «propaganda del fatto». Diresse il periodico «Der Sozialist». Fu autore di racconti e di opere teatrali, e tradusse in tedesco moderno gli scritti di Meister Eckhart. La sua concezione della relazione organica di tutti gli esseri trovò espressione in Skepsis und Mystik (1903). Come filosofo sociale si oppose al marxismo teorizzando nel suo scritto più noto, Die Revolution (1907), e in Aufruf zum Sozialismus (1911) una «rigenerazione sociale» in virtù della quale gli individui come tali, piuttosto che il proletariato, avrebbero modellato un nuovo tipo di associazioni cooperative, capaci di rimpiazzare gradualmente gli Stati e l’economia capitalistica. Ferruccio Andolfi, docente di Filosofia della storia all’Università di Parma, si occupa dei rapporti tra umanesimo e individualismo, con particolare riguardo alla storia del secolo XIX. Dirige «La società degli individui», quadrimestrale di teoria sociale e storia delle idee. Recentemente è apparsa una sua raccolta di saggi su Stirner, Il non uomo non è un mostro (2009). Per queste edizioni ha pubblicato Lavoro e libertà. Marx Marcuse Arendt (2004) e curato i due volumi: Friedrich Nietzsche filosofo morale di Georg Simmel (2008) e Abbozzo di una morale senza obbligo né sanzione di Jean-Marie Guyau (2009). DIABASIS la ginestra 10,00 Gustav Landauer LA RIVOLUZIONE DIABASIS 7 «O giungerà presto su di noi lo spirito che non si chiama rivoluzione, ma rigenerazione; o dovremo ancora una volta e più di una volta immergerci nel bagno della rivoluzione» Gustav Landauer LA RIVOLUZIONE A cura di Ferruccio Andolfi DIABASIS la ginestra Ne La rivoluzione (1907) Landauer ricostruisce un processo che attraversa i tempi moderni, aperto a esiti imprevedibili. In esso è sempre attiva la forza dell'utopia, ma i termini “utopia” e “rivoluzione” non si corrispondono pienamente. Se la prima rimanda al ruolo attivo dell’impossibile nel determinare realtà nuove in ogni tempo, la rivoluzione in senso proprio appartiene solo all’epoca moderna dell’individualismo. E di questo mantiene l’ambivalenza. Essa si serve di strumenti politici e quindi non è in grado, come tale, di risolvere la questione sociale. Può conseguire risultati duraturi e non essere esposta a involuzioni oppressive a condizione che abbia luogo parallelamente, nella vita sociale, una «rigenerazione», ovvero la ricostituzione di una comunità spirituale in cui si conservi il ricordo di precedenti comunità. L’appendice di questo volume contiene un discorso tenuto nel 1919 da Martin Buber, discepolo di Landauer, per commemorare l’amico trucidato a Monaco dai «corpi franchi» dopo la breve esperienza della Repubblica dei Consigli. landauer_stampa9mm.indd 1 landauer_stampa9mm.indd 1 16-12-2009 10:27:12 16-12-2009 10:27:12

La Rivoluzione

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Ne La rivoluzione (1907) Landauer ricostruisce un processo che attraversa i tempi moderni, aperto a esiti imprevedibili. In esso è sempre attiva la forza dell'utopia, ma i termini 'utopia' e 'rivoluzione' non si corrispondono pienamente. Se la prima rimanda al ruolo attivo dell'impossibile nel determinare realtà nuove in ogni tempo, la rivoluzione in senso proprio appartiene solo all'epoca moderna dell'individualismo. E di questo mantiene l'ambivalenza. Essa si serve di strumenti politici e quindi non è in grado, come tale, di risolvere la questione sociale.

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Gustav Landauer (Karlsruhe 1870-München 1919)

fu, insieme a Pëtr Kropotkin, esponente di spicco di

un socialismo libertario e anarchico, radicalmente

pacifi sta, che rifi utava ogni «propaganda del fatto».

Diresse il periodico «Der Sozialist». Fu autore di racconti

e di opere teatrali, e tradusse in tedesco moderno

gli scritti di Meister Eckhart. La sua concezione della

relazione organica di tutti gli esseri trovò espressione

in Skepsis und Mystik (1903). Come fi losofo sociale si

oppose al marxismo teorizzando – nel suo scritto più

noto, Die Revolution (1907), e in Aufruf zum Sozialismus

(1911) – una «rigenerazione sociale» in virtù della quale

gli individui come tali, piuttosto che il proletariato,

avrebbero modellato un nuovo tipo di associazioni

cooperative, capaci di rimpiazzare gradual mente gli

Stati e l’economia capitalistica.

Ferruccio Andolfi, docente di Filosofia della storia

all’Università di Parma, si occupa dei rapporti tra

umanesimo e individualismo, con particolare riguardo alla

storia del secolo XIX. Dirige «La società degli individui»,

quadrimestrale di teoria sociale e storia delle idee.

Recentemente è apparsa una sua raccolta di saggi su Stirner,

Il non uomo non è un mostro (2009). Per queste edizioni ha

pubblicato Lavoro e libertà. Marx Marcuse Arendt (2004) e

curato i due volumi: Friedrich Nietzsche fi losofo morale di

Georg Simmel (2008) e Abbozzo di una morale senza obbligo

né sanzione di Jean-Marie Guyau (2009).

D I A B A S I S l a g i n e s t r a

€ 10,00

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7

«O giungerà presto

su di noi lo spirito

che non si chiama

rivoluzione,

ma rigenerazione;

o dovremo

ancora una volta

e più di una volta

immergerci

nel bagno

della rivoluzione»

Gustav LandauerLA RIVOLUZIONEA cura di Ferruccio Andolfi

D I A B A S I S l a g i n e s t r a

Ne La rivoluzione (1907) Landauer ricostruisce un

processo che attraversa i tempi moderni, aperto a

esiti imprevedibili. In esso è sempre attiva la forza

dell'utopia, ma i termini “utopia” e “rivoluzione” non si

corrispondono pienamente. Se la prima rimanda al ruolo

attivo dell’impossibile nel determinare realtà nuove in

ogni tempo, la rivoluzione in senso proprio appartiene

solo all’epoca moderna dell’individualismo. E di questo

mantiene l’ambivalenza. Essa si serve di strumenti

politici e quindi non è in grado, come tale, di risolvere

la questione sociale. Può conseguire risultati duraturi e

non essere esposta a involuzioni oppressive a condizione

che abbia luogo parallelamente, nella vita sociale, una

«rigenerazione», ovvero la ricostituzione di una comunità

spirituale in cui si conservi il ricordo di precedenti

comunità. L’appendice di questo volume contiene un

discorso tenuto nel 1919 da Martin Buber, discepolo di

Landauer, per comme morare l’amico trucidato a Monaco

dai «corpi franchi» dopo la breve esperienza della

Repubblica dei Consigli.

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LaGinestra

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Collana diretta da Ferruccio Andolfi e Italo Testa

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Il volume è stato pubblicato con il contributodella Fondazione Cariparma

Si ringraziano

Anna Zaniboni e l’Archivio Carlo Mattioli di Parma

per la gentile collaborazione

In copertinaGinestre di Carlo Mattioli

Die RevolutionTraduzione di Barbara Bacchi

Landauer und die RevolutionTraduzione di Barbara Bordato

ISBN 978 88 8103 643 1

© 2009 Edizioni Diabasisvia Emilia S. Stefano 54 42100 Reggio Emilia Italiatelefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047

www.diabasis.it

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Gustav Landauer

LA RIVOLUZIONE

A cura di Ferruccio Andolfi

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Gustav Landauer: la rivoluzione e il suo oltre,Ferruccio Andolfi

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Appendice

Landauer e la rivoluzione, Martin Buber

Questo volume

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Gustav Landauer

La rivoluzione

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Un’opera di psicologia sociale

Lo scritto di Gustav Landauer Die Revolution (1907) non è, co-me il ti tolo sembra suggerire, un pamphlet agitatorio. È un sag-gio di analisi storica condotta con molta lucidità e disin canto, purnell’attesa che qual cosa di nuovo possa prodursi. Esso non nac-que nel fervore di eventi rivo luzionari – quegli eventi presto so -prag giunti nel corso dei quali Landauer, dive nuto uno dei prota-gonisti della repubblica dei consigli di Monaco, avrebbe sacrifi-cato la pro pria vita – bensì in una fase di sospensione, in una‘pausa’ di quel processo rivoluzionario che, dopo la Comune diParigi, restava aperto, a suo parere, a esiti imprevedibili: dipen-denti dalla volontà degli uomini piuttosto che da lo giche suppo-ste inarrestabili delle cose. Anche nella biografia personale del-l’autore la stesura dell’opera è prece duta da anni, tra il 1902 e il1907, di abbandono forzato di ogni attività pubblica. Solo piùtardi egli sarebbe tornato a un impegno attivo: per un pacifismoradicale contro le tentazioni interventiste del movimento socia -lista nel periodo anteriore alla prima guerra mondiale, e poi, neldopo guer ra, per la realizzazione della repubblica consiliare1.

Il saggio fu pubblicato in una collana di «psicologia sociale»diretta da Martin Buber. Quanto l’opera corrispondesse agli in-tenti di Buber lo chia risce Landauer nelle pagine iniziali. La psi-cologia sociale, spiega, non è una scienza neutrale come la scien-za della natura: essa riconduce i feno meni alle relazioni elemen-tari tra individui da cui si originano, secondo un ap proccio ‘indi-vidualistico’, e con questa decostruzione (Auflösung) di istitu zioni

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sacre e formazioni sovraindividuali produce effetti pratico-rivo -lu zionari. Sotto questo profilo Landauer dichiara il suo debitodi ricono scenza verso Voltaire, Rousseau e Stirner e, prima an-cora, verso Etienne de la Böetie, che nei Discorsi sulla servitù vo-

lontaria aveva mostrato come il potere dei tiranni non provieneda costrizioni esterne ma dalla «psico logia del cortigiano» e puòessere rimosso dalla volontà di essere liberi.

In un discorso commemorativo pronunciato nel 1919, pocodopo la morte del suo amico, Buber affermò che Landaueravrebbe dovuto insi stere nell’opera di rischiaramento teoricoche aveva intrapreso anziché gettarsi, sia pure con grande pu-rezza e generosità d’animo, nella rivolu zione tedesca del dopo-guerra, che secondo i suoi stessi presupposti non poteva che ri-solversi in un fallimento2.

Strumento dell’utopia

Il tema della rivoluzione viene introdotto in riferimento aquello dell’utopia, che domina la parte introduttiva del saggio.La rivoluzione è presentata appunto come lo strumento di rea-lizzazione dell’utopia o di rottura di quella situazione di relativoequilibrio «autoritario» che Landauer designa con il termine «to -pia». La storia, a un certo livello di generalizzazione, può essererappre sentata come un continuo alternarsi di topie e utopie, oanche come un succedersi di rivoluzioni che rompono gli equi-libri stabiliti per approdare sempre a nuove forme di stabilitàautoritaria. Questo però non è il punto di vista che Landauer in-tende proporre come proprio. Tanto è vero che di chiara, primadi intraprendere l’esperimento di riportare il fenomeno a ‘leggi’della natura umana, che esso «si sottrae a una trattazione scien -tifica»3. La visione scientifica delle cose si lascia sfuggire la real-tà vissuta di un processo nel quale siamo immersi e del qualenon riusciamo a pre figurare gli esiti.

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La rivoluzione si riferisce alla convivenza umana (Mitleben)nella sua totalità. Investe e sovverte l’insieme delle forme di con-vivenza: istituzioni sociali politiche economiche e insieme la vi-ta culturale e spirituale. Per indicare l’equilibrio e la relativa sta-bilità in cui queste forme di convivenza si trovano in un certoperiodo di tempo – ma una stabilità autoritaria, otte nuta cioè conmezzi coattivi – Landauer conia il termine «topia», eviden -temente pensato in funzione del suo contrario, l’utopia, cioè delmovimen to che interviene a rompere quell’equilibrio4.

La topia copre la totalità dei fenomeni della convivenza chesono per corsi da un principio culturale comune. Finché esso do-mina, gli individui sono relativamente adattati alle loro condi-zioni di esistenza anche quando non ne siano beneficiari. Nontroppo diversamente Marx aveva descritto, nell’Ideologia tedesca,una condizione di relativo equilibrio che domina «finché in unsistema non è apparsa la contraddizione», ricorrendo al concet-to di «individuo personale»5. Ma la contraddizione è in veritàsem pre latente anche se non dispiegata. La topia crea benesseree fame, sviluppa spirito e stupidità, crea fortuna e sventura. An-che qui può essere opportuno un rimando ai Manoscritti mar-xiani del 1844, che segnalano dramma ticamente questi differen-ti effetti del processo di produzione mo derno, utilizzando per-sino gli stessi termini (spirito e stupidità)6. La vita privata e fami-liare in questa fase è regolata dagli stessi principi su cui si reggel’intero sistema e così non entra in tensione ma anzi assicura lapace sociale, non si saprebbe dire con quanto giovamento perl’espressione del l’individualità. Se queste contraddizioni attra-versano la topia, è facile pre vedere che essa raggiunga un puntodi equilibrio instabile. La stabilità e sicurezza della topia è messaa questo punto in crisi dall’utopia.

L’utopia sovverte il dominio della convivenza ma non appar-tiene ad esso, si origina sul terreno della vita individuale e dellesue aspirazioni sempre singole ed eterogenee7. Questa osserva-

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zione è preziosa perché sot trae, almeno in linea di principio, l’u-topia in quanto aspirazione indivi duale al sospetto, per lo piùavanzato dai suoi critici, che essa comporti un appiattimento del-le diversità individuali intorno a una visione del mondo livella-trice. Tuttavia questo pericolo è messo nel conto da Landauerquan do afferma che le aspirazioni dei singoli individui, in mo-menti di crisi, si uniscono in virtù di un’ebbrezza entusiasta e siorganizzano di nuovo nella ricerca di una totalità e di una formadi convivenza. Il sociale prende allora il sopravvento e ci si avviaa dar forma a una nuova topia, dalla quale ci si attende che nonracchiuda in sé «niente di nocivo e ingiusto». Qualunque sia la fi-gura della nuova topia essa resta pur sempre una topia, cioè unasituazione che si pretende priva di contraddizioni8. La rigidità diquesto stato sarà tuttavia spezzata dallo spirito vivente dell’uto-pia che so pravvive sotterraneo ed è sempre pronto a riaffiorare,nutrendosi del «ri cordo» di tutte le precedenti utopie9.

La tesi di un’alternanza di topie e utopie viene considerata daLandauer scientifica mente fondata solo in uno specifico senso:in quanto non fa ri ferimento, induttivamente, ai dati più o menoricchi dell’esperien za, da cui non è le cito trarre conclusioni ge-nerali, e si basa invece sul «senti men to intu itivo del l’universalenatura umana», che, possiamo intendere, mira sem pre a qual chetotalità compiuta e sempre la rimette in questione per il suo ca-rattere coattivo. Su questo terreno ‘antropologico’ si può affer -mare che è sempre stato l’impossibile (das Unmögliche) a crearerealtà nuo ve10.

Gli interpreti che, a partire da Mannheim, hanno creduto dipoter riassu mere il senso della teoria di Landauer in quest’idea,per la verità sugge stiva, dell’alternanza di topie e utopie non col-gono nel segno11. Questo è solo un punto di vista subordinato,che vale rispetto ad alcune costanti antropologiche ma prescin-de dalla diversità delle basi sociali della con vivenza. Se si tieneconto di questa diversità è impossibile fissare una legge costan-

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te di sviluppo attraverso contraddizioni, sul genere di quella for-mulata dal materialismo storico.

Finché rimane su questo terreno, l’utopia appare come un’a-spirazione contraddittoria, infelice, che manca continuamente ilproprio fine perché si ribalta in una nuova topia. Niente lasciapensare che Landauer intendesse giustificare questi esiti, piutto-sto sembra voler denunciare, non meno severamente dei criticidell’utopia, la sua involuzione reazionaria. Anche la strada eroicadella rivoluzione, strumento dell’utopia, è destinata a con durre aun nuovo regime di stabilità, è appunto soltanto «via». Ambiguisono i mezzi con cui la rivoluzione si afferma: «caos», «rivolta» e«indi vidualismo». Quest’ultimo comprende i due poli dell’eroi-smo e della be stialità, la solitudine del grande uomo ma anche l’i-solamento dell’indi viduo atomizzato della società di massa12.

Ci sono poi da considerare – e qui Landauer ha certo avutoin mente le circostanze della Rivoluzione francese – le esigenzepratiche entro cui la rivoluzione si afferma, che spingono, perfronteggiare necessità econo miche o nemici esterni, ad affidareil potere a qualcuno nella forma di una dittatura, di una tiranni-de o di un governo provvisorio. Ciò significa un rinnegamentodelle esigenze di liberazione da cui la rivoluzione è mossa. Le fi-gure di autorità che dovrebbero salvare l’utopia segnano la sua fi-ne. Quando le topie delle nazioni vicine minacciate ricorrono al-le armi la rivo luzione degenera in guerra13.

Queste diagnosi, che tendono a rimarcare la degenerazioneinevitabile delle rivoluzioni e dei sogni utopici, apportatori, mal-grado ogni intenzione contraria, di governi autoritari o dispoti-ci, sono divenute, specialmente dopo l’esperienza dei totalitari-smi novecenteschi, fin troppo comuni. Ma esse approdano perlo più alla conclusione che tanto vale abbandonare quei sogni elimitarsi a cercare qualche miglioramento entro la società datacon i mezzi del diritto e della democrazia. Le conclusioni di Lan-dauer sono diverse: pur nella chiara consapevolezza degli esiti

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involutivi a cui la rivoluzione e l’utopia sono esposte egli prendeatto del carattere vivente del l’istanza utopica e rivoluzionaria chesempre si ripropone attraverso la suc cessione delle topie. Ognisituazione autoritaria solleva sentimenti di oppo sizione e questisi corroborano nel ricordo di precedenti slanci utopici. «Ogniutopia racchiude in sé il momento intenso del ricordo entusia-stico di tutte le precedenti utopie» e «sopravvive sotterranea an-che in periodi di topie relativamente stabili». Il complesso di que-sti ricordi volontà e senti menti legati al movimento dell’utopiaformano un’unità che può essere designata «rivoluzione». La ri-voluzione, in questa accezione, non indica nessun particolareevento circoscritto a un tempo particolare, né il sem plice confi-ne (Grenze) tra due topie, ma «un principio che avanza sempre dipiù superando ampi spazi temporali»14.

La rivoluzione non è una legge storica

Sarebbe però un errore, lo abbiamo detto, far risiedere il sen-so prin ci pale della lettura landaueriana della rivoluzione nel ri-trovamento di u na qual che legge generale di sviluppo del corsostorico. Non possiamo dimenti care l’avvertenza iniziale per cuiil tentativo di ana li si scienti fica che si sta per intraprendere è vo-tato all’insuccesso. E neppu re che il socia lismo di Landauer sidefinisce in opposizione a quello di ma tri ce marxista come unsocialismo che rifiuta di collegare la trasforma zio ne sociale aqualche ipotetica legge deterministica della realtà storica. Se nel -lo scritto sulla rivoluzione la polemica con il marxismo è solo ta-cita, in Aufruf zum Socialismus (1911) va al nodo del contrasto:«Che cosa ci in se gna la scienza del marxismo? Che cosa affer-ma? Afferma di conoscere il futuro; pretende di avere una visio-ne così profonda delle eterne leggi di svi luppo e dei fattori con-dizionanti della storia umana da sapere come van no le cose, co-me procede la storia e che cosa deriverà dalle nostre condi zioni,

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forme di produzione e di organizzazione»15. E il socialismo vie-ne de finito «una tendenza della volontà di uomini uniti a crearequalcosa di nuo vo per amo re di un ideale»16, con un’accentua-zione del momento del vo le re che la cri tica marx-engelsiana delsocialismo utopistico aveva scredi ta to17.

Per lunghi decenni l’affermazione del marxismo come ideo-logia di riferimento per la trasformazione sociale ha delegitti-mato tutte le teorie rivali e fatto considerare con sufficienza latradizione minoritaria (social- utopistica ma anche anarchica) cheenfatizzava al contrario il carattere aperto della rivoluzione e lasua connessione con la volontà degli uomini che la pongono inessere. Già nel 1946 in Sentieri in utopia Martin Buber, che di Lan-dauer era stato discepolo e amico, lamentava la estromissionedal socialismo della corrente calda dell’utopia e raccomandavaun nuovo passaggio «dalla scienza all’utopia». Da allora, e so-prattutto in questi ulti mi decenni, la crisi del marxismo e dei si-stemi politici che ad esso face vano riferimento rende nuova-mente pensabile e forse necessario questo ritorno. In questoquadro la voce di Landauer può trovare di nuovo ascolto.

Lo scoglio fondamentale, conclude l’autore al termine dell’e-speri mento di una analisi scientifica del fenomeno rivoluziona-rio, è rappresen tato dal futuro, «di cui non sappiamo nulla». Male ipotetiche leggi della rivolu zione non illuminano neppure granparte della storia umana passata. Anche se si prescinde dalle cen-tinaia di migliaia di anni in cui si è com piuto il processo evoluti-vo dell’umanità e si restringe lo sguardo ai pochi millenni di cuiabbiamo testimonianze storiche, questo più ridotto arco di tem-po non può comunque essere letto sotto il segno della rivolu-zione ma piut tosto sotto quello della formazione di culture cheentrano recipro camente in contatto e si sostituiscono più o me-no violentemente l’una all’altra. La grande svolta epocale che siè compiuta nella fase di decaden za dell’an tichità classica, di av-vento del cristianesimo e di sua penetra zione tra i popoli delle

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grandi migrazioni rappresenta appunto un feno meno di que -st’or dine, di contaminazione culturale. Su di esso Landauer sidiffonde particolarmente, perché, come vedremo, il Medioevocristiano rappresenta per lui un orizzonte valoriale a cui i socia-listi dovrebbero ispirarsi per un mutamento spirituale. Ma più ingenerale l’intera vicenda dell’incon tro/scontro delle culture vie-ne considerata più «grandiosa» di quanto lo siano i pochi eventidei tempi moderni che possono essere contrassegnati dal termi-ne rivoluzione. Ecco appunto, per Landauer la rivoluzione è unevento, o un processo, che si realizza a partire dalla Riforma e sisviluppa con la guerra dei contadini, la rivoluzione inglese e ame-ricana fino al grande sommovimento della rivoluzione francese,che continua ad agire in Europa fino al 1871.

Il Medioevo cristiano: sintesi di libertà e legame

Prima di rivolgerci a considerare questa fase eminentementerivolu zionaria della storia umana dobbiamo far cenno al periodoche imme diatamente la precede, al Medioevo cristiano, entro ilquale Landauer vede costituirsi non pochi degli elementi a cui ilsocialismo deve rifarsi se vuole assumere un carattere spiritualeche gli permetta di sfuggire alle aporie della modernità. Questorichiamo al mondo religioso può apparire strano in un anarchi-co sempre pronto a denunciare il cristallizzarsi di forme di au-torità che mettono in ceppi la libertà degli individui. Il Medioe-vo non è stato proprio un mondo di istituzioni forti e repressive,a cominciare dal feudalesimo e dalla Chiesa? Landauer lo sa, macrede che la storia debba essere capace di condensare il signifi-cato essenziale di un’epoca anche a costo di tralasciare alcunisuoi elementi18.

Ciò che di essenziale resta di quell’epoca e di quella cultura emerita di essere recuperato è la sintesi che in essa si è realizzata dilibertà e legame (Gebundenheit) – una sintesi che contrassegna

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ogni vera fioritura culturale. La modernità avanza rompendo, nelRinascimento, questa armonia ed esaltando il momento della li-bertà dell’uomo di genio a scapito delle appartenenze. Landauerdiffida dell’interpretazione illuministica, ra zio nalista e scettica,del Medioevo, che è incapace di intendere nel suo lato positivol’amore o lo spirito comune, la «follia» (Wahn) da cui esso è com -penetrato (durchgedrungen). «È sempre stata solo la follia a orga-nizzare gli individui in forme superiori di organizzazione e di col-lettività». Questa nostalgia di una nuova follia dà una particolarecoloritura al socialismo di Landauer, che peraltro non dimenticadi aggiungere, da uomo che non vuole rinnegare l’insegnamen-to critico della modernità e dei suoi «spiriti liberi», che, diversa-mente dagli uomini del mondo cristiano, i socialisti si riservanodi opporsi a ogni follia quand’essa minacci di soggiogarli19.

Qualche anno prima del saggio sulla rivoluzione egli aveva giàmesso a fuoco, in termini teorici ma riferendosi anche alla mi-stica medievale di Meister Eckhart, l’equilibrio da ricercare tra«separazione» e «comunità» in Durch Absonderung zur Gemeinschaft

(1900). «La comunità a cui aspi riamo – scrive – la troviamo solose ci separiamo dalle antiche comunità». È nella profondità dinoi stessi che «troviamo alla fine la comunità più originaria e ge-nerale: con il genere umano e con l’universo»20. Chi fa valere co-me realtà il suo sentimento dell’individualità isolata sacrifica sen-za scampo tutte le altre realtà. A questa strategia individualistaLand auer oppone la via mistica, che lascia che il mondo ci pene-tri per giungere alla comunione con esso o essere mondo noistessi. I nominalisti, dal Me dioevo a Stirner, hanno svolto, am-mette, un lavoro necessario, di togliere agli universali il loro ca-rattere sacro e repressivo, ma ora s’impone un compito contra-rio e complementare, di mostrare la nullità dell’individuo isola-to, di riconoscere che non c’è individuo ma solo appartenenze ecomunità e che una sola potente catena lega l’individuo che sia-mo con i nostri progenitori e i nostri posteri21. Questo parados-

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so della posizione dell’individuo che rientrando in se stesso at-tinge la vita universale giusti fica anche la strategia politica cheLandauer propone in questo saggio alle avanguardie «progredi-te», di separarsi dalle masse per cominciare a costi tuire una pro-pria vita comunitaria, senza perdere comunque mai il senso diuna comune appartenenza umana anche con coloro che sfigu-rano la loro uma nità22.

Il saggio sulla rivoluzione riprende sia il tema degli individuicome forme fenomeniche e punti di passaggio di una catena del-la vita che scorre in loro protendendosi all’infinito verso il pas-sato e il futuro, sia la critica della modernità, ossessionata dal va-lore sacro dell’individuo, in nome di un modello culturale «co-munitario», in cui l’unità delle forme organizza tive non è un vin-colo imposto bensì «uno spirito che alberga negli indi vidui»23.Landauer contesta che l’immissione del cristianesimo tra i po-poli «riposati e pieni di energia» (ausgeruhten) delle grandi migra-zioni possa essere inteso intellettuali sticamente come la sovrap-posizione alle loro for me di convivenza di una dottrina ostile al-la vita. «La cosa prima e più evidente di ogni nuovo inizio è la vi-ta». Il cristianesimo interviene solo a trasfigurare forme di con-vivenza che proseguono con nuova energia. Le molteplici for-mazioni sociali della civiltà medievale, compenetrate di spi ritounitario «rappresentano un complesso di entità autonome libe-ra mente associate». Landauer definisce questo principio carat-teristico del Medio evo, in opposizione al principio accentratoredel potere statale, «prin cipio di stratificazione». E conclude: «Laforma del Medioevo non era lo Stato, ma la società, la societàdelle società»24. Si può facilmente im maginare quale interesse ri-vestisse un simile modello sociale per un pensatore orientatoverso una autoorganizzazione della vita sociale25.

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La crisi dei tempi moderni

La rottura di questo clima, che già si annuncia negli individuigeniali e spregiudicati del Rinascimento, è evidente anche neiprotagonisti della Riforma, a partire da quel personaggio «in-quietante» e disarmonico che fu Lutero. Da qui prende avvio unanuova epoca, priva di spirito comune e che nel suo complesso sipuò definire ‘individualistica’, con tutta l’ambi valenza che Lan-dauer attribuisce a questo termine. In essa la forza accen tratricedello Stato supplisce alla mancanza di spirito ma insieme le aspi-razioni alla libertà danno luogo a periodiche rivoluzioni26. Lenuove intuizioni filosofiche e scientifiche dei pensatori moder-ni rimangono patrimonio di una piccola cerchia di dotti e resta-no prive di efficacia per le masse ignoranti27. Il cristianesimo daprincipio vitale collettivo si riduce a strumento di salvezza pri-vata, mentre, con Lutero, si ristabilisce il cesari smo, ovvero l’al-lenza del trono e dell’altare.

Da qui in poi Landauer ricostruisce le vicende della rivolu-zione poli tica, che si presenta in una prima fase come lotta per loStato moderno, in Inghilterra dapprima e poi in Olanda e inFrancia. La «qualità unificatri ce», per questi pionieri della rivo-luzione, è lo Stato e la legge. Una lotta così indirizzata però rea-lizza il paradosso che non appena è cessata ripren de vigore ciòche è stato combattuto: la violenza esterna28. La ricostruzioneprocede ad analizzare minuziosamente episodi e personaggi, no-ti e meno noti, di questo processo. Un momento cruciale, in que-sto percorso, è dato dalla formazione, nel XVIII secolo, della so-cietà civile e dalla nascita del l’economia politica. Qui viene allaluce una forma di appartenenza (Zu sammengehörigkeit) che non èStato ma neppure una semplice somma di individui. Essa costi-tuisce un’anticipazione di quell’organizzazione su per individualeche il socialismo intende essere, ricollegandosi all’esistente. Es-so infatti «non è una invenzione del nuovo»29. Con una proiezio-ne in avanti Landauer delinea a partire da questa novità tre prin-

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cipali tendenze che si confronteranno in futuro: una correnteche inserisce nello Stato gli ambiti della vita econo mica; una se-conda corrente (quella ‘anarchica’ in cui Landauer si rico nosce)che assegna a questa «scoperta della società» tutto il suo rilievocercando di creare forme di convivenza sue proprie; e infine unaterza tendenza, nella quale non è difficile riconoscere i tratti delsocialismo marxista, che, assecondando movimenti storici chestanno di fatto avve nendo, mira all’estinzione dello Stato pas-sando attraverso «lo Stato eco nomico democratico assoluto»30.L’obbiezione di fondo verso questa terza via è che nessuna me-ta è raggiungibile se non si adottano mezzi che le sono conformio in cui essa già vive.

Il punto culminante del moto liberatorio dei tempi moderni èdato dalla Rivoluzione francese, di cui Landauer percepisce il si-gnificato paradig matico31. Mai come allora i combattenti sonostati mossi dal sentimento di «dover allontanare in uno slancio inavanti tutti gli ostacoli, rimuovere tutti i mali, risolvere tutte lequestioni, creare tutta la felicità». Uno spirito di gioia e di frater-nità si effonde su di loro32. Eppure anche essa non sfugge al de-stino delle rivoluzioni: «ciò che la rivoluzione raggiunge è pro-prio la sua fine» – benché con questa osservazione Landauer nonintenda dire, come gli storici revisionisti dei nostri tempi, che es-sa non sia riuscita a ottenere nulla di effettivo e di duraturo33.

L’arresto della rivoluzione avviene non tanto per una parti-colare nequi zia dei capi o per circostanze esterne sfavorevoli; ciòche pregiudica i suoi risultati e la fa degenerare, fino agli estremidel sospetto e del terrore, è qualcosa di insito nella sua natura.«Essa non contiene in sé forze positive e la sua forza sta nella ri-bellione e nella negazione». Impeto, esistenza di sogno, entusia-smo, questi sono i suoi tratti, che la spingono a risolvere proble-mi sociali, innanzitutto la questione della proprietà, coi mezzidella rivoluzione politica34. Ma se l’abolizione della proprietà pri-vata del suolo è un passo preliminare che richiede decisioni po-

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litiche, Landauer è poi convinto che in generale la confusione trala politica e il sociale che si è verificata nella grande rivoluzione enelle lotte del secolo XIX sia stata letale35.

Rivoluzione politica e rigenerazione sociale

Una «grande decisione s’impone»: tra lo Stato, che è un sur-rogato della comunità e si regge sul potere e la violenza, e la so-cietà, che è un’unità basata sul legame spirituale. Ripetendo le pa-role di Proudhon, Landauer dichiara che la rivoluzione socialenon assomiglia affatto alla rivoluzione politica: essa «non può di-venire vitale e acquisire stabilità senza rivolu zioni politiche diogni genere», ma in sé è «una costruzione pacifica, un’organiz-zazione originata da un nuovo spirito e rivolta verso uno spiritonuovo». Non bisogna immaginare però una politica dei due tem-pi, quasi che la rivoluzione politica sia un momento propedeuti-co a quella sociale. Una volta che si adottino per la trasformazio-ne mezzi politici si resta inevi tabilmente condizionati dalla lorologica. Si tratta invece di agire sulla stessa istituzione statale rico -noscendo in essa in primo luogo uno stato o una condizione, na-ta sulla base di certi rapporti statalizzati o coercitivi tra gli uomi-ni, che può essere modificata adottando rapporti alternativi36.

La scelta di questa strategia, che ricorda la delegittimazione deldispo tismo da parte di Etienne de la Böetie, inventore di quella«psicologia so ciale» che per Landauer è essa stessa rivoluzione,ha diverse importanti conseguenze. In primo luogo essa rendesuperflua la violenza, perché non si tratta di abbattere un nemicoesterno ma di instaurare in positivo, negli spazi della vita sociale,comportamenti e relazioni che sostituiscono le istituzioni statalicoercitive. In secondo luogo è possibile realizzare questi obietti-vi da subito, parzialmente e con gradualità. Su ciò insiste, inter-pre tando Landauer ma verisimilmente andando oltre la lettera diquanto egli dice, Martin Buber. «Se lo Stato – egli commenta – è

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un rapporto che si di strugge soltanto contraendone un altro, lo sidistrugge di volta in volta ap punto nella misura in cui se ne adottauno diverso»37. L’alternativa non è dun que «Stato o non-Stato».La comunità ha una capacità di autorga niz za zione assai maggio-re di quella che le viene abitualmente riconosciuta e tut ta via nonassoluta. Ora «la misura dell’incapacità a mantenere sponta nea -mente un ordine giusto determina la misura della coercizione le-gitti ma». Lo sfera statale supera però, e di solito in modo rilevan-te, la misura della coercizione legittima. A questa differenza tra lacoercizione a cui lo Stato è legittimato in un certo momento sto-rico e quella effettivamente esercitata Buber dà il nome di «Statoin eccesso», attribuendo ai socialisti il compito di «far arretrare lalinea di fatto dello Stato a quella di princi pio»38.

Se questa interpretazione è attendibile, la collocazione dell’u-topia di Landauer da parte di Mannheim nella sfera dell’utopi-smo che egli ha denominato «chiliastico» appare problematica.Mannheim traccia una linea di continuità tra l’universo religiosodi Meister Eckhart e degli anabattisti e le utopie in fondo resi-duali degli anarchici, caratterizzando queste pro spettive comeirrazionalistiche e prive di una prospettiva temporale che non siaquella dell’assoluta presenzialità o dell’attesa del momento op-por tuno. Il chiliasmo rappresenterebbe la matrice più remotadell’utopia, de stinata ad evolvere nelle forme dell’utopia libera-le, di quella conservatrice e infine di quella socialista, le quali co-stituirebbero, pur nella loro idealità, momenti di avvicinamentoprogressivo alla realtà storica e alle sue esi genze. L’anarchismo,e con esso la posizione di Landauer, è presentato in vece comeuna posizione radicale che non viene a patti con la realtà e cheindividua in ogni «topia» o forma istituzionale il male stesso39.

Ora la questione mi sembra meno semplice di come viene pro-spettata da Mannheim. La specifica forma di anarchismo elabo-rata da Landauer contiene sì alcuni tratti del modello chiliastico il-lustrato dal sociologo (ad esempio il riferimento alla mistica me-

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dievale e la spiritualizzazione della politica ed anche la mancanzadi una fede nel progresso), ma certamente di essa non si può di-re che esprima energie di tipo estatico e orgiastico piuttosto cheidee né che «consideri la rivoluzione come un valore in sé».

Bisognerà considerare perciò più attentamente come si ag-gregano i singoli tratti della visione delle cose di Landauer, checertamente, lo abbiamo visto, rappresenta un mondo mentaleassai diverso da quello di altri pensatori anarchici – ad esempioBakunin, richiamato da Mannheim – e non indulge ad alcunaidealiz zazione della distruzione come fonte di creazione. Buberpuò forse aiutarci di nuovo ad operare delle distinzioni. Egli par-te dall’assunto che le utopie sociali moderne abbiano ereditato laforza dell’escatologia religiosa. Ma proprio per questo si pre-sentano, al pari dell’escatologia, in due diverse forme: una «apo-calittica», che Buber vede ope rante soprattutto nel marxismo,per cui il processo di redenzione si compie «attraverso il balzodell’umanità dal regno della necessità a quello della libertà», e una«profetica», che «in ogni momento pone la pre pa razio ne dellaredenzione alla portata di ciascun individuo». Questa ul tima for-ma sarebbe propria di alcuni sistemi utopistici tra i quali Buberin clu de in primo luogo quello di Landauer40. Se è vero che la tra-sfor mazione sociale si compie nell’attimo, ciò non implica che sicompia catasto ficamente o palingeneticamente in un «momen-to propizio» (kai ros), bensì solo che è possibile ed effettiva in ogni

attimo e non deve essere riman data al futuro41.

Conclusioni

La caratterizzazione scientifico-sociologica che Landauer cidà del passaggio topia-utopia-topia con il medio della rivoluzio-ne non è priva di effetti conoscitivi. Essa si situa sul piano dell’a-nalisi antropologica e, come l’autore stesso ammette in una let-tera, non è del tutto vana. Cerchiamo di precisare quali sono gli

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elementi che si possono acquisire per questa via. Innanzitutto l’i-dea che l’utopia rappresenti un’esigenza ineliminabile del l’animoumano, che si ripropone continuamente, a sovvertire gli ordinista biliti. Vale la pena notare come essa venga rappresentata, conun’inver sio ne rispetto al concetto corrente di utopia, come un’i-stanza squilibrante in opposizione alla topia, che è il momento,potremmo dire distopico, in cui la realtà sociale pretende di co-stituirsi come una totalità che non contiene contraddizioni(«niente di nocivo e di ingiusto»). La rivoluzione in quanto purostrumento atemporale (principio) di trasformazione dell’esi -stente se condo le esigenze dell’utopia ha la stessa generalità e, inquesto senso generalissimo, lo stesso fondamento antropologico.

Che cosa intende allora Landauer quando osserva che l’espe-rimento di una rappresentazione scientifica della rivoluzione èdestinato al falli men to? Con questa osservazione egli adotta unaprospettiva diversa, sto rica, e su questo piano la rivoluzione in-dica per lui un processo che abbraccia solo i tempi moderni in cuisiamo immersi, aperto a esiti im prevedibili. In esso è sempre at-tiva la forza dell’utopia. Potremmo quindi cominciare a notareche i due termini ‘utopia’ e ‘rivoluzione’ non si corrispondonopie namente, se non in un’analisi antropologica generale. Se la pri-ma ri manda al ruolo attivo dell’impossibile nel determinare real-tà nuove in ogni tempo, la rivoluzione in senso proprio appartie-ne solo all’epoca moderna dell’in di vidualismo. E di questo man-tiene la stessa ambivalenza. Essa si serve di strumenti essenzial-mente politici e quindi non è in grado, come tale, di risolvere laquestione sociale. Si può dire che può conseguire risultati dura turie non rovesciabili a condizione che abbia luogo, parallelamente,nella vita sociale una «rigenerazione» o la rico stituzione di una co-munità spiri tuale, in cui si conservi il ricordo e l’espe rienza di pre-cedenti comunità. Ma quando la rigenerazione si compie sem-brerebbe che la stessa rivolu zione divenga superflua. I tempicompressi della rivoluzione, che di un colpo dà realtà ai sogni di

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individui a loro volta a lungo «compressi», si alternano a lunghiperiodi di depressione e scoraggiamento. Ciò è da met te re nelconto, almeno fino a che «giunge uno spirito che permane nel po -sitivo» e non vive più nell’aggressione e nella distruzione42.

L’imagine di uno spirito che permane nel positivo sembrareintrodurre però l’idea di una condizione atemporale di felicitàraggiunta e oziosa, su cui si sono invariabilmente appuntate lecritiche degli avversari dell’utopia delle più diverse tendenze.Tuttavia ciò che Landauer ha in mente quando allude a un per-manere nel positivo (ein Bleiben im Positiven) non è affatto una con-dizione di appagamento e di definitiva assenza di contraddizio-ni che succeda temporalmente alla «vittoria della rivoluzione».Egli sa benis simo che questo genere di convinzioni è diffuso nonsolo tra i socialisti ‘autoritari’ ma anche tra i suoi stessi compagnidi strada, che pongono e rinviano la fraternità tra gli uomini almomento in cui gli ostacoli e le autorità siano stati messi da par-te. «In verità essi sono fratelli – obietta – solo durante il periodoin cui lottano contro gli ostacoli e le autorità e le rimuovono».Non c’è da attendersi che lo spirito (l’amore, la fraternità) vengaalla luce attraverso (durch) la rivoluzione, esso vive in essa, e do-po di essa non vive più. Ciò non significa tuttavia che esso siesaurisca nella rivoluzione, la quale, nella realtà come nel con-cetto, è essenzialmente provvisoria, come una «febbre di salute»tra due malattie, preceduta da debolezza e seguita da uno stato dispossatezza. «È necessario – conclude – qualcosa di completa-mente diverso e qualcosa di più della rivoluzione perché sulle co-struzioni degli uomini sopraggiunga qualcosa che permanga eche permanendo proceda sempre oltre».

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Note1. Per una ricostruzione dell’intera vicenda intellettuale e politica di Lan-

dauer è preziosa la mono grafia di Gianfranco Ragona, Socialismo e anarchismo

nella Germania guglielmina. Il percorso poli tico e intellettuale di Gustav Landauer (Trau-ben, Torino 2003), che l’autore sta per riproporre in una versione notevol-mente modificata e arricchita. Si veda inoltre di Siegbert Wolf, Gustav Landauer

zur Einführung, Junius, Hannover 1988, e l’ampia Gustav Landauers Bibliographie,Trotzdem Verlag, Grafenau 1992. Tratta più specificamente il tema dell’utopiail saggio di Bernhard Braun, Die Utopie des Geistes. Zur Funktion der Utopie in der

politischen Theorie Gustav Landauers, Schulz-Kirchner, Idstein 1991. Per una col-locazione di Landauer all’interno della tradizione del «socialismo utopistico»resta fondamentale il capitolo a lui dedicato da Martin Buber in Netivot be Uto-

pia, Gerusa lemme 1946 (ed. ted. Pfade in Utopia, Lambert Schneider, Heidel-berg 1950, trad. it. Sentieri in Utopia, Edizioni di Comunità, Milano 1967).

2. M. Buber, Landauer und die Revolution, in «Masken», Halbmonatschrift desDüsseldorfer Schauspielhauses, Jg. XIV, 1918/19, H. 18/19, pp. 282-291, rist.in Id., Pfade in Utopie – Ueber Gemeinschaft und deren Verwirklichung, L. Schneider,Heidelberg 1985, pp. 315-330. Secondo Buber Landauer era talmente persua-so della tragicità di tutte le rivoluzioni finora avvenute – una tragicità basata sulfatto che esse non erano sostenute da una rigenerazione sociale e dovevanopertanto degenerare in burocraticismo ed azione violenta – che decise di par-tecipare in prima linea alla rivoluzione tedesca per un dovere di solidarietà, perfare ciò che gli toccava fare, nel tentativo di scongiurare gli esiti che pure le suestesse teorie gli permettevano di anticipare, con la coscienza cioè di essere unavittima sacrificale. – La traduzione di questo saggio appare in appendice a que-sto volume.

3. G. Landauer, Die Revolution, a cura di S. Wolf, Unrast Verlag, Münster2003, p. 27.

4. G. Landauer, Die Revolution, cit., p. 31 s.5. K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, in Opere, V, Editori Riuniti, Roma

1972, p. 68.6. K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, a cura di F. Andolfi, New-

ton Compton, Roma 1976, p. 126.7. G. Landauer, Die Revolution, cit., p. 32.8. Ibidem.9. Ibidem, p. 34.10. Ibidem, p. 109.11. In Ideologia e utopia (1929) Karl Mannheim imputa a Landauer, come in

generale agli anarchici, una concezione totalmente astorica dell’utopia in base

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alla quale solo nell’utopia e nella rivoluzione si darebbe una vita autentica, men-tre l’ordine istituzionale (topia) non rappresenterebbe altro che il cattivo resi-duo delle rivoluzioni e delle utopie in fase di declino. Egli riconosce tuttavia aquesta concezione il merito di mantenere una trascendenza rispetto all’ordinestabilito, impedendo così alla realtà esistente di tramutarsi in assoluta (il Muli-no, Bologna 19652, p. 199 s.).

12. G. Landauer, Die Revolution, cit., p. 33.13. Ibidem, p. 35.14. Ibidem, p. 36. In un’epoca come la nostra che, con tutta la sua inquietu-

dine, sembra però acquietata nell’escludere come insana e pericolosa ogni pro-spettiva utopica può valere la pena tornare a chiedersi se essa non sopravvivasotto la superficie (unterirdisch). La vita sotterranea dell’utopia spiega il caratte-re improvviso e imprevedibile delle sue manifestazioni.

15. G. Landauer, Aufruf zum Sozialismus, Oppo Verlag, Berlin 1998, p. 38.16. Ibidem, p. 18.17. Oltre al Manifesto del partito comunista deve essere qui ricordato F. Engels,

Die Entwicklung des Sozialismus von der Utopie zur Wissenschaft, 1880.18. G. Landauer, Die Revolution, cit., p. 63.19. Ibidem, p. 52.20. G. Landauer, Durch Absonderung zur Gemeinschaft, in Id., Die Botschaft der

Titanic. Ausgewählte Essays, Context Verlag, Berlin 1994, p. 9 s.21. Ibidem, p. 17 s. L’idea degli individui come punti di concrezione del flus-

so vitale è rintracciabile anche nella coeva filosofia della vita di Simmel (cfr. adesempio Das individuelle Gesetz, 1913, trad it. La legge individuale, Armando, Ro-ma 2001, p. 81 ss.).

22. Ibidem, p. 27.23. G. Landauer, Die Revolution, cit., p. 54. Per contro «alle epoche di disso-

luzione, decadenza e transi zione è stato riservato il diritto di creare qualcosacome singole persone isolate e atomizzate: emar ginate e prive di appartenza»(p. 60).

24. Ibidem, p. 56 s.25. Thorsten Hinz ha dedicato una monografia al significato della mistica

cristiana (ma anche ebraica) e in particolare di Meister Eckhart per il pensierodi Landauer. L’autore sottolinea il disinteresse di Landauer per le forme istitu-zionalizzate della religione e la sua esclusiva attenzione per la «com -penetrazione» di credenti che vivono la loro religiosità al di fuori di ogni me-diazione gerarchico-autoritaria. I contenuti della sua «religiosità comunitaria»sono «mistici, vitali e antigerarchici». La sua mistica è anarchia ma anche vice-versa. Nel Medioevo Landauer ha visto un tempo che «non aveva bi sogno di ri-

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voluzioni, perché disponeva largamente di ciò che dovrebbe essere lo scopo diogni sforzo rivoluzionario: creare o essere spirito comune». Il critico contestache da un punto di vista storiografico ci si possa attenere alle generalizzazioniper cui l’età moderna equivarrebbe a Ungeist e il medioevo a Gemeingeist, e rac-comanda un atteggiamento storico più aderente alle realtà differenziate dell’e-poca medievale, in cui le strutture ecclesiastiche di autorità non hanno menopeso della Durchdrungenheit. Trova anche semplicistico liquidare la cultura del-le ultime società precristiane come una cultura inconsistente piuttosto che co-me una diversa concezione del senso della vita, centrata, in alternativa a quellacristiana, sulla maestà del cosmo. Certo, riconosce Hinz, in questa sua parzia-lità (o visione condensata) Landauer persegue un proprio ideale anarchico dimancanza di dominio, emancipazione, tolleranza e solidarietà, ma la sua «va-lutazione restaurativo-utopica» e «romantica» del Medioevo rischia di entrarein contraddizione con la grande forza morale del suo pensiero libertario, fi-nendo per trascurare le vittime di strutture oppressive di cui si sottovaluta ilpeso (Mystik und Anarchie. Meister Eckhart und seine Bedeutung im Denken Gustav

Landauers, Karin Kramer Verlag, Berlin 2000, pp.173-200, passim)26. G. Landauer, Die Revolution, cit., p. 64.27. Ibidem, cit., p. 70. A questo proposito Landauer si chiede quali meravi-

gliosi effetti si sarebbero prodotti se, in analogia a quanto era già accaduto agliinizi del Medioevo, quelle intuizioni avessero preso piede tra popoli nuovi, que-sta volta nei paesi extra europei di recente scoperta.

28. Ibidem, cit., p. 84.29. Ibidem, cit., p. 105 s.30. Ibidem, cit., p. 107 s.31. L’interesse costante di Landauer per la rivoluzione francese è testimo-

niato anche dalle sue traduzioni in tedesco dell’opera di P. Kropotkin, Die fran-

zösische Revolution, 1789-1793, 2 voll., Theodor Thomas Verlag, Leipzig 1909, edei Briefe aus der französischen Revolution, 2 voll., Rütten und Loening, Frankfurta. M. 1918.

32. Die Revolution, cit., p. 110 s.33. Landauer si richiama, approvandolo, a un giudizio assai sfumato pro-

nunciato da Camille Desmou lins in una lettera al padre nel 1793. Pur avendouna chiara percezione delle ambizioni e dell’avidità che offuscano l’intellettodei capi rivoluzionari, Desmoulins apprezza i vantaggi della libertà di stampacapace di stigmatizzare i comportamenti degli sciocchi e degli ignoranti, e co-sì conclude: «Lo stato delle cose è ora incomparabilmente migliore di primadello scoppio della rivoluzione, perché c’è una speranza di poterlo migliorare,che non esisteva sotto il dispotismo». Landauer nota come ai farabutti non toc-

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chi più la stessa sorte di allora ma si compiace dell’evoluzione del costume chefa sì che almeno venga ghigliottinato un minor numero di valorosi e coraggio-si, e vede anch’egli come un risultato dura turo della rivoluzione la libertà d’o-pinione grazie a cui nulla è più «intangibilmente sacro» (ibidem, p. 116 s.).

34. Ibidem, cit., p. 112.35. Anche Hannah Arendt, nel suo On Revolution (Viking Press, New York

1963), contesta la pretesa del le rivoluzioni, in particolare di quella francese, didare soluzione a questioni sociali, ma da questo rilievo fa seguire la conclusio-ne che solo le rivoluzioni che si sono poste obiettivi politici (come quella ame-ricana) possono ottenere risultati liberatori ed evitare rischi totalitari. Landauermantiene invece la centralità della questione sociale e si limita ad osservare chedeve essere risolta sul proprio terreno con mezzi prevalentemente non politi-ci. Malgrado queste profonde dissonanze è possibile trovare qualche punto dicontatto tra i due pensatori nella coscienza che hanno dei rischi involutivi del-le rivoluzioni e nel comune apprezzamento del sistema dei consigli, cioè di unaforma impolitica di politica (su questo cfr. B. Braun, op. cit., p. 96 s.). Per la po-sizione di Arendt rispetto alle utopie rinvio al mio Hannah Arendt e la critica del-

l’utopia sociale, in M. Durst, A Meccariello, a cura di, Hannah Arendt. Percorsi di ri-

cerca tra passato e futuro 1975-2005, La Giuntina, Firenze 2006, pp. 33-44.36. «Lo Stato – scrive Landauer in Vom Wahn und vom Staat – è un rapporto,

è una relazione tra gli uomini, è un modo in cui gli uomini si rapportano tra diloro; e lo si distrugge adottando altre relazioni, comportandosi l’uno con l’al-tro in maniera diversa» («Der Sozialist», 15 giugno 1910). Questo tema è giu-stamente valorizzato da Buber (Sentieri in Utopia, cit., p. 59).

37. M. Buber, Sentieri in Utopia, cit., p. 60. Corsivo mio.38. Ibidem, p. 60 s. La distinzione di Buber presenta una singolare somi-

glianza con quella che Marcuse avrebbe introdotto tra «repressione fonda-mentale» e «repressione addizionale» in Eros and Civilization (Beacon Press, Bo-ston 1955).

39. Riassumo qui con molta libertà le tesi sviluppate da Mannheim nel ca-pitolo di Ideologia e utopia dedicato alla «mentalità utopica».

40. M. Buber, Sentieri in Utopia, cit., p. 19 s.41. Parafrasando Landauer Buber afferma che «il socialismo può essere at-

tuato in qualsiasi momento, purché lo voglia un numero sufficiente di persone»e che lungi dall’attenderne l’avvento «bisogna cominciare» (ibidem, p. 60 e p. 69).

42. G. Landauer, Die Revolution, p. 88.

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Qui vedi solo la via della passione, che tu chiamitramonto e che giudichi secondo la via di quelliche vi sono già passati, io invece vedo la salvezzaperché giudico secondo la schiera di quanti vigiungeranno.

Massimo di Tiro

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33La sociologia non è una scienza; e, anche se lo fosse, la rivo-

luzione per motivi particolari si sottrarrebbe a una trattazionescientifica.

La scienza esatta si costituisce in questo modo: l’intelletto del-l’uomo combinato con i sensi esperisce vissuti che trasforma incostruzioni del l’essere. Intervengono quindi la memoria e il lin-guaggio che continuano a lavorare nella stessa direzione: vieneinnalzato così un nuovo piano di co struzioni dell’essere. Abbia-mo pertanto elementi stabili isolati che fungono da supporti econtenitori di tutto ciò che accade, agisce e si modifica, op pureche si presentano anche come nuove entità autonome, concetti,astra zioni, ecc. Il compito della scienza esatta è ora quello di re-stituire la forma del divenire a questo essere, che è stato creatoda noi per i nostri sensi e il nostro intelletto. I concetti vengonofrantumati e fluidificati, sotto la pres sione del confronto e dellariflessione le cose si disperdono come pul viscolo alla luce del so-le: ed ecco che tutto ha assunto un aspetto diverso da quello di cuiavevano favoleggiato le parole e gli occhi degli uomini. La scien-za esatta è dunque raccolta e descrizione di tutti i dati dei sensi,cri tica periodicamente rinnovata delle astrazioni e delle genera-lizzazioni e, su questa base, critica complessiva del nostro illuso-rio mondo dell’essere, creazione del divenire, il quale, in accordocon la nostra esperienza inte riore, viene posto a spiegazione del-l’affermazione di entità sostanziali del nostro intelletto sensibile.

Il discorso è un altro per quell’ambito che chiamo storia nelsenso più ampio. In essa infatti come sostrato elementare non

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esistono sostanze, ma terie, né cose di alcun genere: si prescindecompletamente dai portatori di ogni storia, dai corpi degli uo-mini, che vengono presi in considerazione tutt’al più quandovengono maltrattati o decapitati. Del resto i dati della storia so-no avvenimenti, azioni, sofferenze, relazioni. Ciò che per lascien za di cui abbiamo parlato rappresenta dunque l’ultimo ri-sultato faticosa mente raggiunto – il divenire, è qui il primo pun-to di partenza in assoluto. Comunque, per poter parlare di que-sto divenire, dobbiamo agire nello stes so modo in cui operano isensi e lo spirito dell’uomo nella percezione: si erigono delle co-struzioni dell’essere, e così parliamo di Medioevo o di età mo-derna, di Stato e società, di popolo tedesco o francese, come sefossero cose o entità. Ogni descrizione o indagine approfondi-ta ci riconduce però sempre da queste costruzioni alla realtà, al-la realtà elementare della nostra esperienza primitiva, nella qua-le anche noi ci troviamo immersi: all’accadere fra gli uomini, del-l’uomo con l’uomo, di gruppi umani più o meno grandi, soli dalio in contrasto fra loro, all’accadere di unioni in vista di determi-nati scopi ecc. In breve, la scienza esatta provvede a correggerel’esperienza; ci allontana dall’esperienza portandoci verso leastrazioni dello spirito. La cosiddetta scienza storica, quanto piùdiventa sottile e raffinata, non può invece far altro che ricondur-ci continuamente proprio ai primi dati dell’e sperienza. E l’ultimaforma della scienza storica, la nostra psicologia so ciale appun-to, rappresenta il modo per ora più raffinato per dissolvere le co-struzioni ausiliarie della memoria nella materia grezza dell’espe-rienza, cioè nelle relazioni elementari dell’uomo con l’uomo.

Poiché la storia non crea dunque alcun teorema dello spirito,non è una scienza; essa crea tuttavia qualcosa di diverso: le forzedella prassi. Le co struzioni ausiliarie della storia: la Chiesa, lo Sta-to, l’ordinamento in ceti, le classi, il popolo ecc., non sono sol-tanto strumenti di comprensione, bensì soprattutto creazione dinuove realtà, comunità, forme finalistiche, or ganismi di ordine

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superiore. Nella storia lo spirito creatore non crea cono scenzeteoretiche; quindi è anche assolutamente corretto e significativoche le espressioni ‘storia’ e ‘politica’ indichino allo stesso modol’accadere e l’agire, che è attività, come l’osservazione, che inten-de essere passiva o neutrale, ma che nella maggior parte dei casiè solo un volere e un agire latente. Per questa concentrazione econtemplazione abbiamo in tedesco un termine appropriato: at-tualizzazione. In effetti in ogni storia il passato vie ne attualizza-to, reso presente; anche l’inglese ha per questo un termine ap -propriato, to realise, che significa contemporaneamente realizza-re e pren dere coscienza: in questa realizzazione sono riunite larappresentazione e la volontà, la conoscenza e la potenza crea-trice. Ogni sguardo nel passato o nel presente dei raggruppa-menti umani è un fare e un costruire proiettato nel futuro. Eugualmente la direzione opposta, che dissolve di nuovo le co-struzioni esistenti e perduranti della storia negli elementi di ori-gine psichica e quindi nell’individualismo, non è critica, dissol-vente e di struttiva solo dal punto di vista teoretico, ma è distrut-tiva anche nella prassi. Così in questo primissimo approccio in-troduttivo siamo di colpo giunti al cuore del nostro tema. Il no-stro compito è quello di osservare il fenomeno della rivoluzionedal punto di vista della psicologia sociale. E ora noi troviamo chela psicologia sociale stessa non è altro che la ri voluzione. Rivolu-zione e psicologia sociale sono definizioni diverse, e cer to anchesfumature diverse, della stessa e identica cosa. Dissolvimento efrantumazione delle forme della totalità, delle strutture idealiz-zate attraverso l’individualismo: questo è psicologia sociale, que -sto è rivoluzione. La decapitazione di Carlo I e la presa della Ba-stiglia fu rono psicologia sociale applicata; e ogni indagine e ana-lisi delle istituzioni sacre e delle formazioni sovraindividuali è ri-voluzionaria. Le due direzioni della scienza storica si rivelanodunque come le due tendenze della prassi storica: da un lato co-struzione di strutture sovraindividuali e di forme supe riori di or-

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ganizzazione, che danno senso e sacralità alla vita degli indi vi dui;dall’altro distruzione e abolizione di queste forme quando sonodi ventate intollerabili per la libertà e il benessere degli individui.In quanto psicologi sociali Rousseau, Voltaire, Stirner sono sta-ti dei rivoluzionari; e così il primo aspro confronto con il tema ciha già condotto a trattarlo esaurientemente e a superarlo: poichéil compito di questa indagine non deve essere quello di fare la ri-voluzione, ma di scrivere su di essa.

***

Iniziamo dunque dal principio. Ci eravamo ripromessi di mo-strare che anche se storia e sociologia potessero essere scienzapura, per motivi par ticolari la rivoluzione non potrebbe essereoggetto di una trattazione scientifica. Per dimostrarlo ci accin-giamo dunque ad affrontare la que stione per la seconda volta.La dimostrazione che qualcosa non può ve nir trattato in una de-terminata forma, sembra essere condotta al meglio fa cendo untentativo sincero e onesto in questo senso e portandolo avantifin ché non si può andare oltre. Nelle pagine seguenti inizieròquindi a parlare della rivoluzione in modo rigorosamente scien-tifico e deduttivo, e il lettore è pregato di verificare con atten-zione che tutto si svolga correttamente, poiché io riconosco findall’inizio di essere convinto della mancanza di prospettive diquesto tentativo. Spero mi si vorrà risparmiare di dimostrare chepuò esistere solo una scienza deduttiva, e non una induttiva, seb-bene non si possa negare che la maggior parte dei cosiddetti la-vori che hanno la pretesa di essere scientifici, non solo dei no-stri tempi, siano un intollerabile ammasso di materiali e senti-menti. Quindi senza ulteriore dimostrazione possiamo affer-mare: la scienza autentica è deduttiva perché è intuitiva; l’indu-zione e la meticolosità collezionista di coloro che non hanno unana tura sintetica e che perciò non sanno far altro che addiziona-

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LA GINESTRABiblioteca per un individualismo solidale

Da due secoli, di fronte alla crisi delle rassicuranti comunità naturali eall’accelerazione dei processi di individualizzazione, filosofi e pensa-tori sociali si sono posti il compito di costruire teorie nelle quali la co-esione della società non confligge ma va di pari passo con la cura di sédi individui emancipati. La collana La ginestra documenta l’esistenza diquesta tradizione di individualismo solidale attraverso i testi di autoriclassici e contemporanei.

Titoli pubblicati

Georg SimmelFriedrich Nietzsche filosofo moralea cura di Ferruccio Andolfi

Ralph Waldo EmersonSocietà e solitudinea cura di Nadia Urbinati

Pierre LerouxIndividualismo e socialismoa cura di Bruno Viard

Zygmunt BaumanIndividualmente insiemea cura di Carmen Leccardi

Ágnes HellerLa bellezza della persona buonaa cura di Brenda Biagiotti

Harry G. FrankfurtCatturati dall’amorea cura di Gianfranco Pellegrino

Gustav LandauerLa rivoluzionea cura di Ferruccio Andolfi

Titoli in preparazione

Theodor W. AdornoLa crisi dell’individuo

Friedrich E.D. SchleiermacherMonologhi

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Questo libro

di Gustav Landauer

settimo della collana La Ginestra

nata dall’amicizia e dal lavoro comune

individuale e solidale

tra l’Associazione omonima

e le Edizioni Diabasis

viene stampato nel carattere Garamond

su carta Arcoprint delle cartiere Fedrigoni

dalla tipografia SAGI di Reggio Emilia

nel dicembre dell’anno

duemila

nove

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