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DDD - "La stabilità come fattore di propulsione" di Carlo Bertorello 35 La stabilità come fattore di propulsione Carlo Bertorello Dipartimento di Ingegneria Navale Università di Napoli Federico II [email protected] Abstract Nessuna tra le peculiari caratteristiche della nave connesse alla propulsione eolica ha influenzato le forme di carena ed esaltato le risorse tecnologiche disponibili quanto la stabilità trasversale. Questo perché il legame tra caratteristiche di stabilità, prestazioni e sicurezza è diretto e non eludibile. In particolare la stabilità trasversale ha rappr esentato per molto tempo il fattore limitante per la velocità raggiungibile a vela. In questo lavoro si propone una analisi del problema attraverso una rivista delle soluzioni usate in passato ed oggi per convertire la pressione del vento sulle vele in spinta attraverso il momento raddrizzante dello scafo. Infine si considera il piu' recente approccio per ottenere alte prestazioni a vela dato da attrezzature in grado di convertire in spinta la forza del vento senza produrre momento sbandante. Introduzione La velatura di una imbarcazione è una macchina che utilizza il moto relativo di un fluido, l’aria, per vincere la resistenza che si oppone al moto dell’imbarcazione stessa. Quest’ultima è circondata da due fluidi, l’aria e l’acqua che a loro volta sono in moto relativo. La risultante delle azioni dinamiche sulla velatura, generalmente, è tale da produrre un momento sbandante, che puo’ essere considerato somma di due componenti, uno trasversale e uno longitudinale. Il momento sbandante longitudinale, appruerà l’imbarcazione, ma sarà agevolmente contrastato dalla stabilità longitudinale. Il momento sbandante trasversale dovrà essere contrastato dal momento raddrizzante dello scafo. All’equilibrio di questi due momenti corrisponderà l’equilibrio tra spinta e resistenza. E’ immediato comprendere quindi come la stabilità trasversale sia tra i fattori che piu’ profondamente influenzano le prestazioni di qualsiasi imbarcazione a vela. Fig. 1 – Meccanica dell’imbarcazione a vela. La risultante delle azioni dinamiche sulla velatura è applicata nel centro di pressione. La coppia sbandante è data dalle componenti orizzontali delle azioni dinamiche sulla velatura e sulla carena per la distanza verticale tra i rispettivi punti di applicazione. DDD - Rivista trimestrale di Disegno Digitale e Design edita da Poli.Desing Anno 1 n. 3 - lug/set 2002 Registrazione n. 718 del 18.12.01 Trib. di Milano

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DDD - "La stabilità come fattore di propulsione" di Carlo Bertorello 35

La stabilità come fattore di propulsione Carlo Bertorello

Dipartimento di Ingegneria Navale Università di Napoli Federico II

[email protected]

Abstract Nessuna tra le peculiari caratteristiche della nave connesse alla propulsione eolica ha influenzato le forme di carena ed esaltato le risorse tecnologiche disponibili quanto la stabilità trasversale. Questo perché il legame tra caratteristiche di stabilità, prestazioni e sicurezza è diretto e non eludibile. In particolare la stabilità trasversale ha rappr esentato per molto tempo il fattore limitante per la velocità raggiungibile a vela. In questo lavoro si propone una analisi del problema attraverso una rivista delle soluzioni usate in passato ed oggi per convertire la pressione del vento sulle vele in spinta attraverso il momento raddrizzante dello scafo. Infine si considera il piu' recente approccio per ottenere alte prestazioni a vela dato da attrezzature in grado di convertire in spinta la forza del vento senza produrre momento sbandante.

Introduzione

La velatura di una imbarcazione è una macchina che utilizza il moto relativo di un fluido, l’aria, per vincere la resistenza che si oppone al moto dell’imbarcazione stessa. Quest’ultima è circondata da due fluidi, l’aria e l’acqua che a loro volta sono in moto relativo.

La risultante delle azioni dinamiche sulla velatura, generalmente, è tale da produrre un momento sbandante, che puo’ essere considerato somma di due componenti, uno trasversale e uno longitudinale. Il momento sbandante longitudinale, appruerà l’imbarcazione, ma sarà agevolmente contrastato dalla stabilità longitudinale.

Il momento sbandante trasversale dovrà essere contrastato dal momento raddrizzante dello scafo. All’equilibrio di questi due momenti corrisponderà l’equilibrio tra spinta e resistenza. E’ immediato comprendere quindi come la stabilità trasversale sia tra i fattori che piu’ profondamente influenzano le prestazioni di qualsiasi imbarcazione a vela.

Fig. 1 – Meccanica dell’imbarcazione a vela. La risultante delle azioni dinamiche sulla velatura è applicata nel centro di pressione. La coppia sbandante è data dalle componenti orizzontali delle azioni dinamiche sulla velatura e sulla carena per la distanza verticale tra i rispettivi punti di applicazione.

DDD - Rivista trimestrale di Disegno Digitale e Design edita da Poli.DesingAnno 1 n. 3 - lug/set 2002 Registrazione n. 718 del 18.12.01 Trib. di Milano

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L’equilibrio tra momento sbandante e momento raddrizzante deve essere ottenuto ad un angolo di inclinazione contenuto. Infatti, tranne che in casi particolari, la navigazione della carena sbandata risulta in una asimmetria delle forme immerse, che porta ad un incremento di resistenza.

Ad un momento raddrizzante infinito potrebbero corrispondere superfici veliche infinite e conseguentemente velocità elevatissime. Questo è assurdo in quanto l’aumento del momento raddrizzante è comunque collegato a caratteristiche dello scafo che comportano incrementi di resistenza. Si puo’ però immaginare una risultante delle azioni aerodinamiche con momento nullo, tale cioè da non causare sbandamento. Questa è una delle strade con cui si cercano di raggiungere velocità eccezionali a vela.

Il tempo e i luoghi Pochi problemi della tecnica navale e forse della tecnica in assoluto possono essere

citati per aver trovato soluzioni tanto diverse quanto efficaci. Sia in tempi che in luoghi diversi. Nel tempo le soluzioni del problema sono state influenzate prevalentemente dalle tecnologie disponibili. E per quanto si possano cercare spiegazioni che motivano determinate soluzioni con ragioni tecniche o legate alle circostanze logistiche e d’uso dell’imbarcazione, non è possibile evitare la suddivisione tra un approccio “europeo” basato sul concetto di stabilità di peso e altri piu’ “esotici” basati sulla stabilità di forma o sulla zavorra mobile, tutti nati nelle Indie occidentali, nel Pacifico o in Australia.

La stabilità trasversale di una imbarcazione Il momento raddrizzante M che uno scafo oppone ad un momento sbandante

trasversale è dato da: M = ∆ x GZ dove ∆ è il dislocamento e GZ, detto braccio di raddrizzamento, è la distanza tra la perpendicolare al galleggiamento inclinato passante per il baricentro e la perpendicolare al galleggiamento inclinato passante per il centro di carena.

Fig. 2 - Forze in gioco e loro punti di applicazione nella stabilità trasversale. GZ è il braccio di raddrizzamento, vale a dire il braccio della coppia formata dalla forza peso applicata nel baricentro e dalla spinta idrostatica applicata nel centro di carena.

Quindi per incrementare la stabilità trasversale, per un dato dislocamento, si deve incrementare GZ. Questo risultato puo’ essere ottenuto:

abbassando il più possibile la posizione del centro di gravità (STABILITA’ DI PESO) spostando lateralmente la posizione del centro di carena (STABILITA’DI FORMA)

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Esiste anche la possibilità di incrementare il momento raddrizzante con lo spostamento di pesi a bordo. Questo significa aumentare GZ spostando trasversalmente il centro di gravità. I pesi vanno spostati dal lato da cui proviene l’azione sbandante, in questo caso il vento. Quando si spostano pesi predisposti per questo scopo si parla di ZAVORRA MOBILE. Quando si sposta la posizione dell’equipaggio si parla di ZAVORRA VIVA.

Un momento raddrizzante puo’ essere ottenuto anche sfruttando l’azione dinamica dell’acqua su superfici immerse. In questo caso si parla di STABILITA’ DINAMICA.

Tutti questi concetti sono stati sfruttati piu’ o meno efficacemente con profonde influenze date dal tipo di navigazione e dalle tecnologie di costruzione disponibili.

Fig. 3 – Un catamarano della classe Tornado con equipaggio a trapezio. I concetti di stabilità di forma e di zavorra viva sono sfruttati in modo ottimale. Quando una delle due carene si solleva dall’acqua la distanza tra il centro di carena ed il baricentro dell’imbarcazione diventa massima. L’equipaggio contribuisce con un notevole momento raddrizzante spostando trasversalmente il baricentro e incrementando ulteriormente il braccio di raddrizzamento GZ

La posizione verticale del baricentro ovvero la stabilità di peso Fin dall’antichità all’aumentare delle dimensioni delle navi da trasporto (che erano le

sole propulse prevalentemente a vela) si comprese la necessità di una posizione adeguatamente bassa del baricentro ottenuta con lo stivaggio di materiali pesanti (ZAVORRA) nella parte bassa dello scafo. Anche se la statica della nave e il concetto di centro di gravità sarebbero stati enunciati molto piu’ tardi, il collegamento tra posizione bassa di oggetti pesanti nello scafo e capacità di raddrizzamento era ben noto.

Inizialmente si usarono pietre e poi materiali a piu’ alto peso specifico come pani di piombo o di ghisa.

Questa soluzione provocò numerosi disastri in quanto ad inclinazioni trasversali anomale corrispondeva facilmente uno spostamento della zavorra con conseguenze disastrose sia per la stabilità che per la struttura.

All’inizio del 20° secolo, sulle imbarcazioni da diporto (che anche allora erano tra le costruzioni navali tecnologicamente piu’avanzate) apparve la sistemazione della zavorra, fusa in solo blocco metallico e fissata all’esterno dello scafo così come è usata attualmente.

Da allora ad oggi sono cambiate le tecnologie disponibili per il fissaggio della zavorra. Oggi quest’ultima è posta all’estremità di una appendice che ha funzione di piano di deriva.

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Fig. 4 – Aumento del braccio di raddrizzamento GZ ottenuto abbassando la posizione verticale del centro di gravità.

Il piombo è tradizionalmente considerato il miglior materiale per la zavorra. Infatti il suo elevato peso specifico garantisce un volume contenuto e quindi la minor resistenza al moto per la zavorra esterna. Tuttavia non è il materiale piu’ pesante tra quelli proponibili. L’uranio spento fu usato da Eric Tabarly sul Pen Duick VI e quindi subito proibito dai regolamenti di regata. Rottami di WIDIA, il materiale di costruzione per utensili destinati alla lavorazione dei metalli, possono essere miscelati nelle fusioni di piombo per aumentarne il peso specifico.

La posizione trasversale del baricentro ovvero la zavorra mobile Il valore del braccio di raddrizzamento GZ puo’ essere incrementato anche spostando

trasversalmente la posizione del baricentro, movendo pesi mobili presenti a bordo sul lato sopravvento. Le piccole imbarcazioni da pesca che dovevano essere alate a terra ogni sera non potevano usare la zavorra fissa come fonte di stabilità e l’uso di pesi mobili è comune da moltissimo tempo. Nella baia di Chesapeake sono state in uso imbarcazioni con sola zavorra mobile costituita da sacchi di sabbia e da cio’ chiamate sandybeggar. Ma anche sulle navi militari a vela era uso comune, in caso di necessità, aumentare il momento raddrizzante spostando dei pesi mobili (di solito cannoni o munizioni) sul lato sopravvento. Questa pratica è ben nota anche agli equipaggi delle imbarcazioni da regata di oggi, che spostano sopravvento le vele non usate, all’interno dello scafo o in coperta. Peso dell’equipaggio

Il peso mobile piu’ facilmente manovrabile - non dimentichiamo che la forza del vento e quindi il momento sbandante possono essere estremamente variabili - è quello dell’equipaggio. I moderni dinghy da regata e piu’ ancora imbarcazioni leggere da regata senza limiti nella superficie velica hanno portato questo concetto all’estremo come mostrano le immagini seguenti. Ma il momento raddrizzante fornito dal peso dell’equipaggio è un fattore che non puo’ essere trascurato anche su barche di grandi dimensioni e con chiglia di zavorra.

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Fig. 5 – Skiff da 18’ che sfrutta al massimo il concetto di zavorra mobile “viva”.

Fig. 6 – Yacht da regata d’altura con l’equipaggio seduto sopravvento. Il contributo della zavorra “viva” incrementa in modo non trascurabile le caratteristiche di stabilità di peso e di forma di questo yacht.

Water Ballast Un peso facilmente maneggiabile e facilmente disponibile è costituito da acqua

contenuta in appositi serbatoi posti sui fianchi dello scafo. Quelli dal lato sopravvento possono essere riempiti e quindi provocano un momento raddrizzante che si aggiunge alla stabilità trasversale dello scafo. In questo caso si agisce su entrambi i termini dell’equazione M = ∆ x GZ in quanto anche ∆ viene modificato dal peso dell’acqua imbarcata nelle casse. Questa soluzione è molto usata nelle imbarcazioni da regata oceaniche, sia in solitario che in equipaggio, anche se il quantitativo d’acqua è limitato per motivi di sicurezza.

Oggi si usa questo sistema anche sui grandi yachts da crociera per limitare lo sbandamento trasversale a valori accettabili per il comfort a bordo.

La prima barca da regata progettata per l’uso di questo sistema fu Pen Duick di Eric Tabarly, che vinse la prima regata transpacifica in solitario. Canting keel

La possibilità di spostare l’intera zavorra sopravvento facendo ruotare la pinna di deriva intorno ad un asse longitudinale è estremamente attraente. Infatti mentre il momento raddrizzante dato dal water ballast è massimo a barca dritta e decresce con l’aumento dello sbandamento, una chiglia basculante mette insieme i vantaggi della posizione trasversalmente

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asimmetrica della zavorra con quelli della stabilità di peso, il piu’ importante dei quali è sicuramente avere un andamento crescente del momento raddrizzante con l’aumentare dello sbandamento almeno fino a 40-50 gradi di inclinazione trasversale.

Questa soluzione è oggi usata su molte imbarcazioni da regata e comincia a vedersi anche su barche da crociera. Permette prestazioni eccezionali, ma a prezzo di complicazioni tecniche notevoli e della perdita della superficie di deriva quando la chiglia di zavorra è inclinata. Quest’ultimo aspetto richiede l’uso di derive mobili che ulteriormente complicano la realizzazione.

Fig. 7 – Yacht da crociera equipaggiato con canting keel che mostra, da fermo, il momento prodotto dalla chiglia in posizione asimmetrica.

Subito prima della virata l’imbarcazione con water ballast o canting keel sposta queste ultime sottovento sfruttando la forza di gravità e si trova a subire un momento sbandante e non piu’ raddrizzante che puo’ essere contrastato solo dalla stabilità di forma dello scafo e minimamente dalla residua aliquota di stabilità di peso. Cio’ implica notevoli angoli di sbandamento cui l’imbarcazione deve essere ancora tenuta sotto controllo. La soluzione del doppio timone è, in questo caso imperativa. In compenso subito dopo la virata l’imbarczione sarà pronta per ripartire “sulle nuove mura”con la zavorra in assetto corretto.

Fig. 8 – Imbarcazione da 60’ per regate oceaniche in solitario che sta per virare. Si nota la chiglia basculante già pronta per la navigazione sull’altro bordo. Si nota anche la deriva a baionetta necessaria per la navigazione di bolina quando la chiglia basculante è portata sopravvento.

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L’influenza della posizione del centro di carena ovvero la stabilità di forma L’altra possibilità per incrementare il braccio di raddrizzamento GZ è agire sulla

posizione trasversale del centro di carena. Forme di carena che portino ad un vistoso spostamento laterale del centro di carena già per piccoli angoli di sbanda mento potrebbero sembrare interessanti per produrre forti momenti raddrizzanti e quindi consentire grandi spinte e velocità. Purtroppo a tali forme corrispondono scafi con forti valori di larghezza rispetto alla lunghezza e vistose asimmetrie di carena a barca sbandata. Tutto questo si traduce in aumenti di resistenza al moto che penalizzano tale soluzione.

Il problema è stato risolto, brillantemente, molti secoli fa con l’invenzione dei pluriscafi, catamarani, proas, trimarani. In questo caso si ha una fortissima stabilità di forma non appena uno scafo si alza dall’acqua come evidente dalla Fig. 3.

La stabilità di forma dei monoscafi

Diverse soluzioni sono state proposte per migliorare la stabilità di forma di un monocarena senza produrre eccessivi incrementi di resistenza al moto.

La sezione a “coppa di champagne” e la sezione a spigolo tipo scow sono i due esempi piu’ riusciti.

La prima soluzione è stata usata anche in epoche remote, ma fece tendenza per molti anni nello yachting moderno dopo il successo del “Tina” di Dick Carter nel 1967. La larghezza massima dell’imbarcazione è ben al di sotto del trincarino. In questo modo già ad angoli di sbandamento contenuti si ha un significativo spostamento laterale del centro di carena ed un conseguente forte momento raddrizzante di forma. Inoltre la figura del galleggiamento inclinato, vicina al trincarino è abbastanza simmetrica e stretta in modo da contenere la resistenza d’onda e le resistenze indotte dalla dissimetria tra il lato sopravvento e quello sottovento del galleggiamento a barca sbandata.

Lo scow, che ha una sezione trasversale di forma quasi rettangolare, naviga sempre sbandato per ridurre la larghezza al galleggiamento e la superficie bagnata.

I pluriscafi

Accoppiare due carene molto snelle e quindi a bassissima resistenza è una soluzione proposta fin dall’antichità sia in Mediterraneo (piu’ precisamente sul Nilo) che nelle isole del Pacifico ed in estremo oriente. I vantaggi di questa configurazione di carena sono nella grandissima stabilità iniziale, esclusivamente di forma, e nella bassa resistenza al moto dovuta alla snellezza delle carene. La stabilità di forma è tale da consentire la navigazione a vela senza la necessità di zavorra e quindi in modo estremamente piu’ efficiente che per il monocarena zavorrato. Pluriscafi sono oggi i velieri piu’ veloci in assoluto.

L’inconveniente della soluzione pluriscafo, a parte le dimensioni di ingombro, è legato a problemi di sicurezza. Infatti il diagramma dei bracci di raddrizzamento ha il suo massimo ad angoli molto bassi e poi è sempre decrescente e la configurazione di barca capovolta è stabile contrariamente a quanto generalmente ottenuto per i monocarena zavorrati che possono essere resi autoraddrizzanti.

I pluriscafi si particolarizzano in tre tipi principali che hanno caratteristiche molto diverse sia in generale che per la stabilità.

Il catamarano in cui due carene uguali o speculari sono collegate rigidamente ad una certa distanza è la configurazione pluriscafo piu’ diffusa.

Il trimarano che attualmente è costituito da una carena centrale collegata a due outriggers con volume pari a circa metà e lunghezza quasi uguale alla carena principale. I trimarani a vela piu’ recenti sono in grado di navigare su un solo scafo e rappresentano i velieri oceanici piu’ interessanti in termini di velocità su lunghi percorsi.

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Fig. 9 – Catamarano per regate oceaniche

Fig. 10 –Trimarano per regate oceaniche in solitario.

Il proa, che è uno dei risultati piu’ interessanti dell’elaborazione concettuale e progettuale legata alla propulsione a vela. In questa imbarcazione alla simmetria trasversale peculiare delle forme di carena fin qui considerate, si sostituisce una simmetria longitudinale rispetto alla sezione a metà della lunghezza. Questo svincola la carena dal limite piu’ gravoso subito da pluriscafi e monocarena a vela, la necessità di dover navigare sbandati sia sulla dritta che sulla sinistra, secondo il lato di provenienza del vento. Il proa naviga con lo stesso lato sempre sopravvento e, conseguentemente, quando vira inverte la prua con la poppa. In questa forma il concetto ha trovato una applicazione di notevole successo in “Cheers” disegnato da Dick Nevick e portato al terzo assoluto nella transatlantica in solitario del 1968.

Fig. 11 – Cheers, elegantissimo proa progettato da Dick Nevick, destinato a navigare con l’outrigger sempre sottovento

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Piu’ generalmente il termine proa si riferisce ad un catamarano che ha due scafi diversi come lunghezza e volume e che naviga preferibilmente con lo scafo piu’ piccolo sopravvento o sottovento quello centrale. Il primo caso che è il piu’ interessante, utilizza al massimo sia la stabilità di forma, navigando con lo scafo piu’ piccolo totalmente fuori dall’acqua, sia quella di zavorra mobile e viva spostando l’equipaggio sopravvento nello scafo piccolo. Questa soluzione ottimizza al meglio il concetto generale di stabilità come fattore di propulsione ed è infatti quella piu’ usata dai vari natanti che hanno cercato il record assoluto di velocità a vela.

Fig. 12 – Proa da record di velocità che naviga con l’outrigger sopravvento

Stabilità dinamica Un’imbarcazione che navighi in sostentamento idrodinamico (o come si dice

generalmente, in planata) non segue completamente le leggi dell’idrostatica e l’equazione di stabilità enunciata in precedenza. Il peso è equilibrato sia dalla spinta che da azioni dinamiche dell’acqua. La risultante di queste ultime dipende dalla geometria del fondo e dalla velocità. In questo caso la stabilità trasversale cosiddetta dinamica, puo’ essere sensibilmente superiore a quella statica.

Va detto inoltre che l’azione dinamica sul fondo o su idonee superfici consente una riduzione sostanziale della resistenza d’onda sollevando la carena dall’acqua. Il caso limite di applicazione di questo concetto è l’aliscafo in cui la carena è tutta fuori dall’acqua e il peso della nave è equilibrato solo dalla azione dinamica dell’acqua sulle ali. Non vi è quindi volume immerso di carena nè componente di resistenza dovuta alla formazione di onde.

Fig. 13 – Skiff della classe International 14’ che naviga in completo sostentamento idrodinamico su foils fissati alla deriva e al timone. L’immagine mostra come il momento sbandante della velatura sia equilibrato dal peso dell’equipaggio al trapezio e come l’effetto stabilizzante dei foils sia tale da consentire il controllo dell’imbarcazione.

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Questo concetto è stato sfruttato anche sulle imbarcazioni a vela non appena le velocità sono diventatate tali da consentire azioni dinamiche efficaci attraverso superfici portanti di dimensioni proponibili (i cosiddetti “foils”). Inizialmente sono stati concepiti trimarani per regate oceaniche in cui la stabilità trasversale non era affidata al vo lume degli scafi laterali, che è stato ridotto al minimo, ma a superfici portanti. Il primo esempio di questa applicazione è stato il trimarano Paul Ricard. Attualmente quasi tutti i grandi trimarani usano foils per incrementare la stabilità trasversale. Nel campo delle imbarcazioni da record vi sono numerosi aliscafi e questa soluzione ha preso piede anche su alcune classi di imbarcazioni da regata che consentono l’uso di appendici di carena quali il Moth e lo skiff International 14’.

Fig. 14 – Ipotesi di trimarano destinato a navigare su foils. Sia il sostentamento idrodinamico che la stabilità trasversale sono affidati all’azione dei foils.

Spinta senza sbandamento Abbiamo esaminato diverse tecniche piu’ o meno efficaci per contrastare il momento

sbandante della velatura con un momento raddrizzante. L’approccio concettualmente piu’ interessante per mettere in relazione propulsione eolica e stabilità è cercare di annullare il momento sbandante annullando il braccio della coppia di forze costituita dalle componenti orizzontali della forza aerodinamica e della reazione laterale del piano di deriva (v. Fig. 1). Tale coppia puo’ essere annullata o azzerando le forze (è il caso banale in cui l’imbarcazione è ferma) o annullando il braccio, cioè la distanza tra la direzione della risultante dinamica delle azioni sulla velatura e il centro del piano di deriva. In pratica è molto difficile annullare completamente tale coppia, ma invece numerose sono le soluzioni proposte per ridurla sostanzialmente.

Sono state anche ipotizzate attrezzature con due alberi inclinati che generano un momento opposto a quello sbandante. Questa soluzione è stata proposta su imbarcazioni sperimentali per alte velocità, ma non ha trovato una attuazione efficace e soddisfacente.

Canting Rig

La possibilità di inclinare trasversalmente l’albero, dal lato sopravvento, permette di orientare verso l’alto la risultante delle azioni del vento sulla vela. La tavola a vela è l’imbarcazione che meglio e piu’ efficacemente ha sfruttato questo concetto, ma anche imbarcazioni sperimentali di dimensioni maggiori, come quella mostrata in figura, ne hanno tentato l’applicazione.

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Fig. 15 – Imbarcazione con albero alare orientabile ed inclinabile trasversalmente

Kite sailing

Una velatura che non sia collegata rigidamente allo scafo e che abbia la direzione della risultante dinamica passante per il centro di resistenza laterale non produrrà momento sbandante. Tale schema è realizzabile con un aquilone che abbia la possibilità di essere opportunamente orientato rispetto alla direzione del vento. Il principio è stato applicato in numerose imbarcazioni, sia per la ricerca di velocità elevate (l’assenza di momento sbandante, teoricamente non pone limiti alla superficie velica) sia come velatura di emergenza da usare su battelli di salvataggio.

Fig. 16 – Catamarano per record di velocità con propulsione ad aquilone.

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Conclusioni Il legame tra propulsione e stabilità di una imbarcazione a vela è stato considerato

attraverso l’esame di numerose soluzioni correntemente usate e di qualche ipotesi futuribile. Tutto questo esclusivamente alla luce delle implicazioni in termini di prestazioni dell’imbarcazione. Una valutazione di bontà delle varie soluzioni deve però essere fatta sulla base di un criterio piu’ ampio che tenga in considerazione le fondamentali implicazioni delle caratteristiche di stabilità sulla sicurezza sia dell’imbarcazione che dell’equipaggio. Soltanto un approccio progettuale di tipo multicriteriale che tenga in conto simultaneamente sicurezza e prestazioni puo’ portare ad innovazioni nel campo della stabilità effettivamente significative per il progresso nello sviluppo tecnico dello yacht.

Ringraziamenti

Le immagini fotografiche riportate nel testo sono tratte dalle riviste Seahorse e Yachting World. Bibliografia - Baader J., “Lo sport della vela”, Mursia - Garrett R., “Fisica della Vela”, Zanichelli - Hammitt G., “Technical Yacht Design”, Adlard Coles - Larsson L., Eliasson R., “Priciples of Yacht Design”, Adlard Coles - Marchai C.A., “Aerohydrodynamic of sailing” Mursia

Carlo Bertorello Ingegnere Navale, è progettista e consulente nel campo delle imbarcazioni da diporto e da lavoro da oltre 20 anni. Ha diretto la costruzione di alcuni tra i piu' prestigiosi yachts da regata italiani come Longobarda e il Moro di Venezia III. Nel 1989 ha ricevuto il Media Sea Trophy per il successo del Design italiano nel mondo. Nel 1997 ha conseguito il Dottorato di Ricerca con una tesi sulle strutture navali in materiale composito. Attualmente è ricercatore presso il Dipartimento di Ingegneria Navale dell'Università di Napoli Federico II dove ha un incarico di docenza per il corso di Progetto del Naviglio Minore.