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1 Le persecuzioni antisemite in Europa di G. Deambrogio, B. Mantelli, L. Riberi Introduzione Quando nel 1879 il giornalista tedesco Wilhelm Marr, fondando la Antisemiten Liga (Lega degli Antisemiti), utilizzò per la prima volta il nuovo termine di “antisemitismo”, l’avversione e l’ostilità nei confronti degli ebrei, nonché le persecuzioni che ne erano state conseguenza, presentavano già una storia plurisecolare. Lo scopo che queste brevi note introduttive si prefiggono, quindi, consiste nell’offrire, a fini didattici, una sintesi informativa sul fenomeno antisemita, ricordando alcune delle sue manifestazioni storiche di maggiore rilievo, dalle origini alla seconda metà del XIX secolo. Così facendo, si intende seguire la significativa distinzione, ormai divenuta classica in ambito storiografico, tra un antisemitismo tradizionale, presente pressoché ininterrottamente, in forme e momenti diversi, dall’antichità al secolo scorso (sebbene non acora estinto ai giorni nostri), e un antisemitismo moderno, assai più violento e distruttivo del precedente, fortemente influenzato da dottrine razziste, imperialiste e nazionaliste, apparso nei decenni conclusivi dell’Ottocento e capace di sfociare nel Novecento, durante la seconda guerra mondiale, nel cosiddetto Olocausto, ovvero nello sterminio pianificato del popolo ebraico in Europa, progettato e condotto a compimento dal regime nazionalsocialista tedesco. Queste pagine si occupano dunque della prima forma di antisemitismo, mentre al suo secondo tipo, con le specifiche formulazioni teoriche e le terribili realizzazioni pratiche che gli sono proprie, sono essenzialmente dedicati i successivi due contributi contenuti in queste dispense.

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Le persecuzioni antisemite in Europa

di G. Deambrogio, B. Mantelli, L. Riberi

Introduzione

Quando nel 1879 il giornalista tedesco Wilhelm Marr, fondando la AntisemitenLiga (Lega degli Antisemiti), utilizzò per la prima volta il nuovo termine di“antisemitismo”, l’avversione e l’ostilità nei confronti degli ebrei, nonché le persecuzioniche ne erano state conseguenza, presentavano già una storia plurisecolare.

Lo scopo che queste brevi note introduttive si prefiggono, quindi, consistenell’offrire, a fini didattici, una sintesi informativa sul fenomeno antisemita, ricordandoalcune delle sue manifestazioni storiche di maggiore rilievo, dalle origini alla seconda metàdel XIX secolo.

Così facendo, si intende seguire la significativa distinzione, ormai divenuta classicain ambito storiografico, tra un antisemitismo tradizionale, presente pressochéininterrottamente, in forme e momenti diversi, dall’antichità al secolo scorso (sebbene nonacora estinto ai giorni nostri), e un antisemitismo moderno, assai più violento e distruttivodel precedente, fortemente influenzato da dottrine razziste, imperialiste e nazionaliste,apparso nei decenni conclusivi dell’Ottocento e capace di sfociare nel Novecento, durantela seconda guerra mondiale, nel cosiddetto Olocausto, ovvero nello sterminio pianificatodel popolo ebraico in Europa, progettato e condotto a compimento dal regimenazionalsocialista tedesco.

Queste pagine si occupano dunque della prima forma di antisemitismo, mentre alsuo secondo tipo, con le specifiche formulazioni teoriche e le terribili realizzazioni praticheche gli sono proprie, sono essenzialmente dedicati i successivi due contributi contenuti inqueste dispense.

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1. Brevi cenni storici sul fenomeno dell’antisemitismo dalle origini alXIX secolo

Antichità pagana e cristiana. L’Alto Medioevo

Già nel mondo pre-cristiano è possibile riscontrare testimonianze di unatteggiamento antiebraico, se non a livello popolare, perlomeno negli scritti di intellettualicome Cicerone, Giovenale, Seneca e soprattutto, in forma notevolmente aspra, Tacito.Questa avversione nacque dalla condanna dei caratteri distintivi di un popolo, quelloebraico appunto, dotato di una identità nazionale, e in special modo religiosa, molto forte.Tale consapevolezza della propria unicità, orgogliosamente manifestata dagli ebrei egelosamente difesa dall’esterno, suscitò nei romani timore e preoccupazione. Era presenteinoltre in questi autori il disprezzo per l’attività commerciale, già allora prevalente tra gliebrei, ritenuta antitetica alle tradizioni agricole tipiche della società romana e all’idealearistocratico dell’otium. Gli ebrei dunque furono considerati già in quest’epoca paganacome una minoranza separata e irriducibile all’interno del mondo romano, fonte di sdegnoper i suoi costumi “immorali” e potenziale minaccia per lo Stato in ragione della suainaffidabilità politica.

E’ significativo ricordare che alcuni dei motivi di ostilità presenti negli scritti degliautori latini citati, ad esempio l’attribuzione agli ebrei di un atavico odio verso l’umanità oil riconoscimento di una loro “malattia” e “impurità” naturale, divennero poi ricorrenti neisecoli successivi e furono ripresi con convinzione anche dall’antisemitismo più recente.Un vero e proprio antisemitismo di natura religiosa e teologica fu tuttavia presente inOccidente solo dopo l’affermazione del Cristanesimo, in misura rilevante a partire dal IVsecolo d.C. Fu allora che, basandosi sulla lettura di alcuni passi dei Vangeli (Mt. 27, 25;Gv. 8, 44), il popolo ebraico venne accusato di “deicidio” e di “associazione con ildemonio”. La condanna inappellabile che ne derivò (abbandonata ufficialmente dallaChiesa cattolica solo nel 1962 con il Concilio Vaticano II) segnò profondamente laconsiderazione degli ebrei nel mondo cristiano e motivò la discriminazione nei loroconfronti.

Privati di ogni diritto civile ed emarginati, gli ebrei furono da allora guardati daicristiani con odio e sospetto, e accompagnati dall’accisa infamante di aver ucciso Cristo eaver negato le verità divine. Si diede così ragione della loro diaspora e della esistenzaumiliata e separata cui erano costretti, giustificate in quanto volute da Dio. Nacque inquest’epoca la teoria del “popolo testimone”, espressa assai chiaramente da S. Agostino:l’ebreo era destinato a scontare in eterno la pena per le proprie terribili colpe. Secondo ilfilosofo cristiano, la sua triste condizione di esule perenne, rinnegato dalla società in cuiviveva da straniero, svolgeva tuttavia un ruolo positivo, in quanto prova indubitabile dellaverità del messaggio cristiano. Se dunque era impossibile qualunque assimilazione nellacomunità cristiana, a meno di una sincera conversione, l’ebreo doveva però essere protettodalla Chiesa e la sua presenza nella società tollerata, seppur nel ruolo di paria.

Sulla scorta di una simile concezione, in epoca altomedievale fino all’XI secolo, lasituazione degli ebrei nel mondo cristiano previde sì l’esclusione dai pubblici uffici e dallacarriera militare, nonché la discriminazione assai netta da parte dei cristiani, ma di solitonon fu tuttavia minacciata da atti di aggressione e di persecuzione violenta. Anzi, in questisecoli il ruolo fondamentale degli ebrei in ambito commerciale, come mediatori tra Orientee Occidente, era considerato prezioso per l’Europa cristiana e pertanto sostenuto dalleautorità religiose e politiche.

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Dal Basso Medioevo all’Età Moderna

La situazione di relativa tranquillità degli ebrei nel mondo cristiano altomedievalevenne sconvolta dopo il Mille, in occasione delle Crociate. Quando il papa Urbano II, nel1096, esortò i cristiani alla riconquista della Terra Santa, egli inaugurò infatti un periodoassai lungo di sanguinose persecuzioni degli ebrei, dal momento che nella mentalità deicrociati questi vennero assimilati ai nemici musulmani e considerati meritevoli di morte, inquanto infedeli e deicidi.

Nell’XI secolo i saccheggi e le stragi furono numerosi, soprattutto nella zona delReno, a Rouen, Metz, Colonia e Bamberg, dove gli ebrei uccisi si contarono a decine dimigliaia, inaugurando una lunga sequenza di azioni consimili, con un numero crescente divittime, tutte esplicitamente motivate dai persecutori con ragioni di carattere religioso.Inoltre gli ebrei vennero spesso ritenuti responsabili, di abominevoli profanazioni o indicaticome diffusori volontari di malattie contagiose, rafforzando così la loro fama di “agenti diSatana” e di “odiatori dell’umanità”.

Quasi sempre, in realtà, accanto ai motivi religiosi, le cause delle persecuzioniannoverarono anche ragioni economiche, spesso non esplicitamente dichiarate. Questa fuuna novità di grande importanza e a cui dedicare particolare attenzione nello sviluppostorico del fenomeno antisemita.

Occorre ricordare infatti che, dopo le Crociate e in parte a causa di esse, mentre inEuropa si affermava una potente ripresa economica, con un incremento dei commerci e unacrescente domanda di capitali, la condizione di emarginazione della minoranza ebraicainvece si irrigidì, privando tra l’altro gli ebrei del precedente controllo pressoché esclusivosui traffici commerciali con l’Oriente. In questa mutata situazione, grazie anche allacondanna di tale attività pronunciata dalla Chiesa, per molti ebrei l’usura, interdetta aicristiani, divenne l’occupazione fondamentale, al punto che l’identificazione tra l’ebreo el’usuraio si presentò nella mentalità della gente comune come scontata.

Allo stereotipo dell’ebreo deicida e detestabile per ragioni religiose, si accompagnòcosì d’ora in poi quello dell’ebreo usuraio dedito a una pratica illecita e immorale, anche sequanto mai utile, e considerato un individuo spregevole, che si arricchiva alle spalle deicristiani, speculando sui loro bisogni e approfittando delle loro difficoltà economiche. Daciò a reputare l’usuraio ebreo responsabile della miseria di molti il passo era breve.

Ad una forma di odio, già ben radicato da secoli nel sentire comune, se ne aggiunsedunque un’altra altrettanto coinvolgente e capace di scatenare l’aggressività antiebraicafino alle sue estreme conseguenze distruttive. L’antico antisemitismo teologico pertanto sirafforzò, unendosi ad un nuovo antisemitismo economico.

Aspetti del pregiudizio e forme di discriminazione.

Sembra opportuno, a questo punto, fornire qualche indicazione su ulterioristereotipi che l’antisemitismo costruì nel tempo e ricordare attraverso quali strumenti eprovvedimenti l’emarginazione e la persecuzione delle minoranze ebraiche in Europa sirealizzarono.

In primo luogo si può citare l’inquietante immagine dell’ebreo che tramavasegretamente per colpire il mondo cristiano, complottando nell’ombra con i suoicorreligionari, al fine di arrecare danno ai gentili. Diffuse fin dall’epoca medievale tra glistrati più bassi della popolazione e del clero, le superstizioni e le credenze popolari cheidentificavano nell’ebreo lo stregone dedito a perversi riti satanici persistettero a lungo in

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Europa. Le imputazioni più frequenti a tale proposito riguardarono la profanazionedell’ostia consacrata – quasi una sorta di replica infinita del deicidio originale –, el’assassinio rituale, compiuto soprattutto ai danni di bambini cristiani. Variazioni su questotema avevano per oggetto l’accusa di avvelenare i pozzi o di diffondere la peste. Ingenerale si considerarono gli ebrei responsabili di ogni disgrazia individuale o collettiva dicui era impossibile identificare la causa precisa.

Anche la cospirazione ebraica mondiale per il dominio dell’umanità ha origini moltoantiche ed è attestata come una credenza già presente in Spagna negli ultimi secoli delMedioevo. L’ebreo era considerato il nemico sleale ed oscuro che combatte incessantementeuna guerra cosmica contro la cristianità.

Negli ambienti socialmente e culturalmente più elevati, nonché tra le alte gerarchieecclesiastiche, anche se questi rozzi stereotipi vennero spesso rifiutati e condannati, circolòtuttavia una forte ostilità verso certi testi della cultura ebraica, in special modo il Talmud,considerati portatori di criptici e minacciosi messaggi anticristiani.

Ne conseguirono frequenti roghi di libri sacri ebraici, di cui si resero ripetutamenteresponsabili i sovrani cattolici di Francia e Spagna, a partire dal XIII secolo.

All’archetipo dell’“ebreo errante”, Ahsverus, condannato da Dio per l’eternità, siaccompagnarono le credenze che attribuivano al popolo maledetto un marchio di infamia.Talvolta, a livello popolare, esso si concretizzò nel riconoscimento di un presunto odoresgradevole distintivo, – il famigerato “foetor judaicus” – anticipante di alcuni secoli, incerto qual modo, le concenzioni razziste che attribuirono in seguito all’ebreo caratteri fisiciparticolari ed esclusivi.

Poiché dunque essi rappresentavano una minaccia da cui occorreva proteggersi, ilmondo cristiano ritenne necessario contrassegnare gli ebrei per distinguerli, concentrarli inaree corcoscritte delle città per sorvegliarli meglio ed eventualmente costringerliall’emigrazione o alla conversione forzata, per risolvere alla radice il problemarappresentato dalla loro esistenza.

Il segno distintivo riservato obbligatoriamente agli ebrei (una stoffa colorata suivestiti o un cappello di foggia particolare), poi ripreso nel nostro secolo dalla legislazioneantisemita durante il regime nazionalsocialista, ebbe una lontana origine extraeuropea, dalmomento che era stato utilizzato per la prima volta nel Medio Oriente islamico del VIIsecolo. Il papa Innocenzo III nel 1215 applicò nei suoi domini il provvedimento, subitoimitato dal resto d’Europa, dove per circa sei secoli, sebbene in forme diverse e nondappertutto con la stessa rigidità, la misura del segno distintivo fu ritenuta doverosa erimase in vigore, sanzionando in modo visibile la diversità degli appartenenti alla comunitàebraica rispetto al resto della popolazione.

Un’altra disposizione discriminante fu costituita dall’istituzione, a partire dal XVIIsecolo, dei ghetti, ovvero di quartieri speciali, in un primo tempo cinti da mura esorvegliati, nei quali gli ebrei delle città furono obbligati a risiedere e in cui dovevanoritirarsi al calar del sole per rimanervi rinchiusi durate la notte. In realtà la consuetudine diconcentrarsi in certi quartieri cittadini, noti come “giudecche”, anche per salvaguardare lapropria sicurezza, era stata nel Medioevo una libera scelta di molti ebrei, ma con laControriforma appare evidente che la trasformazione della giudecca nel ghetto assunse ilvalore di un atto ostile e repressivo, destinato a far assumere a questa parola il significatonegativo che ancora oggi noi gli riconosciamo.

Provvedimenti anche più pesanti dei due sopra ricordati, come l’espulsione daiconfini dello Stato o la messa in atto di una politica finalizzata a costringere gli ebrei allascelta forzata fra migrazione e conversione, furono più volte decisi in Europa a partire dal

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XIII secolo. L’Inghilterrra espulse gli ebrei nel 1290, la Francia nel 1306 e nel 1394, laSpagna nel 1492, il Regno di Napoli nel 1510, lo Stato Pontifio nel 1569 e nel 1593, conl’esclusione delle città di Roma ed Ancona. Dovunque in Europa occidentale dal XVIsecolo in poi il peggioramento dei rapporti fra società, istituzioni e minoranze ebraiche fuall’origine di movimenti migratori che condussero centinaia di migliaia di ebrei versoOriente, in Turchia, Russia e soprattutto Polonia, alla ricerca di condizioni di vita menodifficili. Il caso spagnolo offre in proposito numerosi elementi di interesse.

“Conversos” e “ marranos”

Dopo secoli di coesistenza, nella penisola iberica, tra popolazione musulmana,cristiana ed ebraica, il processo di formazione di uno Stato cattolico nel corso del XVsecolo in vaste regioni della Spagna pose all’ordine del giorno il problema dei non cristiani.

Nel 1492 la politica dei sovrani cattolici fu diretta in modo intransigente a colpire leminoranze islamiche ed ebraiche. Mediante un editto di espulsione si cercò una soluzionedrastica della questione. Molti ebrei lasciarono la Spagna, ma numerosi invece siconvertirono formalmente al cristianesimo per restare nei luoghi in cui vivevano da moltegenerazioni. Essi presero tra la gente comune il nome di marranos, ovvero “maiali”,oppure in termini meno spregiativi ma ugualmente discriminanti, di conversos e di nuevoscristianos. Verso di essi il sospetto e l’ostilità dei cristiani non venne tuttavia meno, poichéla conversione fu in genere considerata solo un espediente di comodo. In realtà, per i più,oggetto di avversione era soprattutto la presenza in Spagna di minoranze considerate“impure” dal punto di vista razziale. La “limpidezza di sangue” venne perciò codificata perlegge e coloro, in gran parte ebrei convertititi, che non potevano vantarla, soggetti ad unacampagna di persecuzioni, a una condizione giuridica di inferiorità rispetto ai normalisudditi del regno ed estromessi dalle cariche politiche e amministrative, nonché dallacarriera ecclesiastica.

L’esempio spagnolo è significativo perché, benché all’origine della discriminazioneverso i conversos vi fosse una motivazione religiosa, l’ostilità verso questa minoranzaassunse con il tempo caratteri inequivocabilmente razziali, anticipando atteggiamenti poidiventati consueti in altre parti d’Europa dalla fine del XIX secolo.

Il Settecento

E’ indubbio che il XVIII secolo rappresentò, in relazione al fenomenodell’antisemitismo, un’epoca apportatrice di novità importanti, dopo che nei decenniprecedenti la situazione degli ebrei in Europa e l’ostilità nei loro confronti non erano moltomutate rispetto alle forme assunte in passato. La novità può essere individuata innanzituttonell’affermazione crescente della filosofia illuminista e razionalista. La critica rivolta daqueste correnti di pensiero agli aspetti più irrazionali e superstiziosi della tradizione e lapolemica anticristiana e anticlericale coinvolse anche la considerazione del rapporto con leminoranze ebraiche.

Ciò avvenne in una duplice direzione, con conseguenze opposte rispettoall’antisemitismo. Da un lato l’antica ostilità teologica nei confronti degli ebrei fucondannata e considerata del tutto priva di fondamento, così come i pregiudizi e lecredenze popolari ad essa collegate. Dall’altro però, proprio per la loro forte identitàreligiosa e per il riconosciuto rapporto di filiazione tra ebraismo e cristianesimo, gli ebrei

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osservanti vennero esplicitamente attaccati dalla filosofia dei lumi, che ne stigmatizzò lafede, i riti e lo stile di vita.

Una grande personalità intellettuale che si distinse più volte nel polemizzare controil giudaismo e nel deridere i costumi degli ebrei, considerati rozzi ed incivili, fu Voltaire.Anzi, per certe sue violente espressioni, l’antisemitismo del filosofo francese sembraanticipare addirittura toni razzisti.

Non a caso con l’Illuminismo nacque l’antropologia “scientifica”, che si propose diclassificare gli uomini in base a caratteri come il colore della pelle, le dimensioni e laconformazione dei corpi, la forma e le proporzioni dei crani. Se è vero che all’inizio questistudi servirono da supporto esclusivamente all’affermazione della superiorità dei bianchisui neri, essi in seguito aprirono la strada a nuove costruzioni teoriche, tese ad argomentareuna inferiorità razziale dell’uomo semita rispetto a quello “ariano”, e ad alimentare così unulteriore tipo di antisemitismo.

L’Ottocento

Nella prima metà del XIX secolo la diffusione e il rafforzamento ulteriore disentimenti antisemiti nell’ambito della società europea occidentale furono il risultato dellainterazione tra due processi cronologicamente paralleli, la progressiva affermazione di unamoderna economia capitalistica, e la lenta ma costante tendenza alla emancipazione e allaassimilazione di parte della minoranza ebraica. Con il venir meno delle restrizionitradizionali (la Francia rivoluzionaria emancipò gli ebrei con la Costituzione del 1791 e inseguito il provvedimento si diffuse in gran parte d’Europa), un numero sempre crescente dipersonalità ebraiche, attive in campo economico, politico e culturale, raggiunse indubbieposizioni di successo, dimostrando notevoli capacità.

In quest’epoca si formò in Inghilterra, in Francia e negli Stati Uniti, ma anchealtrove – sebbene in Europa in modo più contrastato –, una élite ebraica di banchieri,imprenditori, scrittori, scienziati e giornalisti. Questa ascesa sociale e l’assunzione diinnegabili posizioni di potere in diversi ambiti suscitarono però numerose reazioni negativee alimentarono un rinnovato antisemitismo. Quest’ultimo di solito fu il risultato di unacommistione tra elementi antichi e moderni: senza abbandonare motivi religiosi, solo inparte ormai anacronistici, esso fece proprie nuove suggestioni nazionalistiche epseudoscientifiche, e si nutrì soprattutto del profondo malcontento derivante dalletraumatiche trasformazioni socioeconomiche in atto in Europa tra la fine del XVIII e laprima metà del XIX secolo. Le nuove dottrine razziste teorizzanti una gerarchia esistenteall’interno della “razza bianca” e la superiorità biologica della sua componente ariana suquella semita fornirono all’antisemitismo moderno un nuovo potente nutrimento.

Nel mondo occidentale, durante la seconda metà dell’Ottocento, mentre ilfenomeno antisemita tese a perdere di intensità nei paesi anglo-sassoni, rimase invecemassicciamente operante in Francia e in Germania, con tratti più tradizionali nel primocontesto – presenti in modo emblematico nel celebre processo al capitano ebreo Dreyfuss –, e con caratteri più moderni ed inediti nel secondo, grazie alla fortuna dell’ideologianazional-patriottica (völkisch) e delle teorie razziste.

Al di là dell’Elba, in Polonia e in Russia, infine, il secolo fu percorso da unendemico antisemitismo di concezione tradizionale, che si rese responsabile di frequentipersecuzioni e massacri, i famigerati pogrom, ai danni delle comunità ebraiche, numerosein quei paesi dopo le massicce emigrazioni dall’Europa occidentale, iniziate nel XVIsecolo.

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2. Antisemitismo e razzismo in Germania e in Austria tra Ottocento eNovecento

Mentre negli ultimi decenni dell’Ottocento la Russia, e l’Europa orientale in genere,continuavano ad essere caratterizzate da un tradizionale antisemitismo di matrice religiosa,nell’Europa centrale e in Francia iniziò a svilupparsi un nuovo tipo di antisemitismo subasi razziali, grazie all’interazione di fattori quali l’elaborazione di specifiche teorie dellarazza, l’emergere di nuove prospettive scientifiche e le trasformazioni economiche e socialicausate dall’industrializzazione. L’antisemitismo razzista non costituì una definitaideologia a sé stante, ma, come il razzismo in generale, si appropriò dei movimenti e delletendenze dell’epoca, oggettivandoli in simboli e stereotipi efficaci.

Occorre comunque tenere presente la persistenza, anche in questi paesi, deltradizionale antisemitismo cristiano, che venne anzi rafforzato dall’ostilità delle Chiese neiconfronti della modernizzazione sociale e politica, della quale gli ebrei venivanoconsiderati tra i principali agenti e fruitori.

L’importanza del pregiudizio religioso sta nella sua giustificazione “filosofica”dell’antisemitismo, che precedette l’elaborazione di teorie razziali “scientifiche”. Anche sel’antisemitismo razziale fu spesso nettamente distinto da quello religioso, quest’ultimocostituì un fertile terreno di coltura per il primo, e i due finirono per sostenersireciprocamente, conservando e rafforzando una temperie sociale ostile agli ebrei. Per ladestra conservatrice l’antisemitismo cristiano, perlopiù non violento, costituiva un mezzoper rafforzare l’ordine tradizionale, e quindi un freno all’esplicita adozione del razzismo;ma la separazione tra antisemitismo “rispettabile” e razzismo attivo poteva esserefacilmente superata. Ciò avvenne in modo particolare in Francia, dove l’antisemitismoreligioso profondamente radicato acquisì spesso atteggiamenti razzisti. Ma è in Austria e,soprattutto, in Germania che l’antisemitismo “moderno” assunse caratteristiche specificheche lo fecero emergere con particolare intensità.

Un altro elemento importante è la presenza sovraproporzionata di ebrei indeterminati settori, quali quello delle libere professioni e delle attività finanziarie eintellettuali; in Germania questo dato di fatto contrastava con le ridotte dimensioni dellapopolazione ebraica (fino al 1933 essa oscillò intorno all’1% della popolazionecomplessiva), nell’Impero austroungarico con l’esistenza di una grande maggioranza diebrei che (soprattutto nelle campagne orientali) viveva in condizioni di grande povertà.

Questa situazione, dovuta alle circostanze storico-sociali della diaspora e rafforzatadai processi di modernizzazione, permise agli ebrei di svolgere un ruolo rilevante nella vitapubblica, ma li collocò anche in una posizione particolarmente esposta. Lo stretto nesso e ilreciproco sostegno tra ebraismo e liberalismo, culminato nella definitiva emancipazionedel 1866-69 ad opera dei liberali al potere sia nella maggioranza degli stati tedeschi che inAustria-Ungheria, costituì inoltre un punto debole, poiché la crisi del liberalismo nelmondo tedesco, che iniziò poco dopo, permise all’antisemitismo di riemergere conparticolare violenza.

I fondamenti teorici

In Germania (ma si può dire lo stesso anche per i tedeschi dell’Impero asburgico)tanto i ripetuti fallimenti dei tentativi di conseguire l’unità nazionale, quanto l’entusiasmoprovocato dalla creazione dell’Impero nel 1870, incoraggiarono il radicamento della

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tradizione völkisch. L’antisemitismo si unì al conservatorismo romantico dal quale era nataquesta tradizione, la concezione metafisica della nazione e del popolo (Volk) tedeschifondata su connotati esclusivamente storico-culturali non concepibili in terminirazionalistici, sull’idea di comunità nazionale “organica” e “spirituale” legata alla terra sucui viveva da secoli. In quanto non appartenenti a questa comunità, sradicati e privi di unapatria (e quindi di una storia), gli ebrei venivano considerati irrimediabilmente estranei alpopolo tedesco.

Con l’industrializzazione una forma già esistente di antisemitismo, l’antica-pitalismo, l’ostilità nei confronti dei banchieri e dei mercanti ebrei, assunse forme nuove epiù virulente. Soprattutto i ceti commercianti e artigiani maggiormente investiti dalletrasformazioni economiche che ne minacciavano l’esistenza furono particolarmentesensibili alla propaganda antisemita. La loro era un’ostilità contro la nuova mobilità socialefondata sulla capacità individuale da parte di chi era inserito in solide gerarchie (lecorporazioni preindustriali); si trattava di un’ideologia che si opponeva al progresso e allamodernizzazione, e si poneva come alternativa al mondo moderno e alla civiltà industrialeurbana, della quale gli ebrei erano ritenuti i principali esponenti. L’ostilità al capitalismo siunì con la tradizione di pensiero völkisch nell’esaltare i valori precapitalistici e ruralistici infunzione antiebraica. Questo atteggiamento fu rafforzato dalla crisi mondiale scoppiata nel1873, che favorì l’ostilità verso gli ambienti bancari e finanziari e verso le grandiconcentrazioni industriali sorte in risposta alla crisi.

Tentativi di unire antisemitismo e razzismo si erano avuti già negli anni Quaranta;ma è dalla fine degli anni Settanta che si intensificarono le contrapposizioni tra semiti eariani su base razziale. L’operazione fu facilitata dalla distinzione, attuata dalla linguisticanei decenni precedenti, tra lingue indogermaniche e semitiche, che fu indebitamentetrasposta sul piano dell’antropologia con la creazione delle presunte razze ariana esemitica; e dalla grande influenza dello scientismo positivista, che si manifestò tramite varicanali.

In un’epoca caratterizzata dall’intensificazione del nazionalismo e dalla nascita deicontrasti imperialistici, l’applicazione ai fenomeni sociali dei concetti darwiniani diselezione naturale e sopravvivenza del più adatto pose le idee di forza e potere al centro deirapporti sociali e politici, facilitando altresì la creazione di una gerarchia di razze e dipopoli; l’eugenetica, mirante al controllo scientifico del patrimonio ereditario della razza,diede una patente di rispettabilità all’igiene razziale e favorì l’insorgere di un misticismodella razza.

Di per sé il darwinismo sociale non era antisemita, ma è indubbio che esso fornì alpensiero razzista due concetti che, ulteriormente semplificati e volgarizzati, divennerocentrali nella pubblicistica antisemita. Il primo fu quello di lotta per la sopravvivenza tral’elemento germanico e quello ebraico. Lo spostamento della lotta sul piano razziale avevail duplice vantaggio di non suscitare sospetti di intolleranza religiosa e di esercitare unamaggiore attrattiva sugli strati popolari indifferenti alla religione; il messaggio razziale(avallato dall’autorità di presunte teorie scientifiche) poteva essere facilmente compreso datutti. Il secondo concetto fu quello di degenerazione, dovuta a immutabili fattori genetici,che tramite discipline come la frenologia e la fisiognomica assunse particolare rilievo nella“razza” ebraica, il cui aspetto fisico fu messo in relazione con i caratteri morali.

Primi esempi di questo nuovo antisemitismo tedesco a base razziale furono i libridel giornalista (presunto inventore del termine “antisemitismo”, e fondatore nel 1879 diuna Lega degli Antisemiti) Wilhelm Marr La vittoria dell’ebraismo sul germanesimo,considerata da un punto di vista non confessionale (1873), e dell’economista e filosofo

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Eugen Dühring La questione ebraica come questione razziale e il suo carattere nocivo perl’esistenza dei popoli, la morale e la civiltà (1881), che attribuiva la depravazione morale eculturale degli ebrei alle loro caratteristiche razziali, e giudicava il “materialismo” ebraicoun ostacolo al dinamismo del Volk tedesco erede dell’antico germanesimo. L’ideadell’incurabile depravazione degli ebrei fu ripresa da Theodor Fritsch, che fino agli annidel nazismo fu un instancabile propagandista dell’antisemitismo razzista.

Oltre che della scienza, il razzismo si appropriò anche della religione: a partire dal1870 l’antisemitismo razzista elaborò una concezione positivistica della religione comeprodotto razziale, e produsse un cristianesimo germanizzato, liberato dalla presenza ebraicae incentrato su un Cristo ariano. Non solo: attraverso la riscoperta dei miti nordici pagani sisviluppò anche un “mistero” della razza, un razzismo a base mistico-religiosa nel quale ilnazionalismo si unì a correnti spiritualistiche per creare una nuova mistica nazionale subasi religiose e razziali.

Qui emersero influenti pensatori come Paul de Lagarde (Scritti tedeschi, 1878) eJulius Langbehn (Rembrandt come educatore, 1890), fautori di una concezionepseudoreligiosa del Volk germanico come mediatore tra l’uomo e le forze cosmiche, cheebbero un ruolo centrale nella diffusione dell’“ideologia germanica”. Questa assunse tonipiù nettamente razzisti in personaggi come Richard Wagner, che nelle sue opere fuse lamitologia della razza germanica con il mito cristiano del sangue di Cristo, e che rese il suocircolo di Bayreuth un centro di diffusione del razzismo antisemita; e come l’inglesegermanizzato (e genero di Wagner) Houston Stewart Chamberlain, che ne I fondamenti delXIX secolo (1899) esaltò l’anima razziale ariana e la missione civilizzatrice della razzagermanica, destinata alla battaglia decisiva della storia contro la razza ebraica,materialistica e immorale. Scienza e metafisica razziste si fusero in Ernst Haeckel, che neGli enigmi dell’universo (1899) definì gli ebrei una razza inferiore sulla base di una“legge” di continuità della razza, giungendo ad una mistica della razza germanica; e nel-l’austriaco (ebreo) Otto Weininger, che in Sesso e carattere (1903) definì il tipo idealeariano sulla base del sesso e della razza, negando agli ebrei e alle donne la capacità diragionamenti superiori.

Il razzismo di impronta biologica e quello mistico-spirituale sarebbero poco piùtardi confluiti, ad un ancora maggiore (se possibile) livello di rozzezza, nell’ideologia delnazionalsocialismo. Vale la pena, infine, osservare che la pseudoscienza della razza, con lacontrapposizione tra razze degenerate e superiori e l’affermazione dell’origine razzialedella morale, permise al razzismo di rafforzare, attribuendoli agli “ariani”, stereotipi comelaboriosità produttiva, onore, pulizia fisica e morale, che corrispondevano alla moralità e aivalori delle classi medie. Queste ultime divennero così ancora più permeabili dallapropaganda antisemita.

Le articolazioni politiche e sociali

Rispetto ad altre manifestazioni di antisemitismo di massa (per esempio i pogrom dicarattere religioso in Russia), l’antisemitismo di fine Ottocento nell’Europa centrale (e inFrancia) presentò un maggiore grado di organizzazione in movimenti e partiti politici, neiquali funse da cemento ideologico di interessi economici e politici diversi. E rispetto alladestra tradizionalista, poco incline al razzismo, questo antisemitismo politico mostròspesso, al fine di ottenere un maggiore appoggio popolare, una tipica unione dirivendicazioni nazionaliste e semisocialiste (i primi casi di “socialismo nazionale”, basatosull’idea di una società fondata su gerarchie e sulla “comunità nazionale” ma aperta a

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riforme in favore dei lavoratori, e ostile al capitalismo finanziario ebraico) chesconfinarono spesso nel razzismo. Unendo le preoccupazioni economiche delle classimedie e inferiori con l’ideologia del Volk, questo antisemitismo divenne il principaleveicolo di diffusione delle idee völkisch.

In Germania il più noto movimento antisemita fu il partito cristiano-sociale fondatonel 1878 dal predicatore di corte Adolf Stoecker; conservatore ostile al liberalismo e alsocialismo, Stoecker ricorse all’antisemitismo per motivi tattici, il che gli permise diguadagnare un certo consenso tra i ceti medi, abbandonando gli originari piani di riforme infavore degli operai. Ma negli anni Ottanta sorsero anche altri gruppi e partiti minori, alcunidei quali apertamente razzisti (e responsabili dei pochi casi di violenze antiebraiche nellaGermania imperiale); tra cui quello di Otto Böckel, il primo deputato apertamenteantisemita e non conservatore, ispiratore di un movimento contadino ostile agli ebreimonopolizzatori di ricchezza.

La stessa divisione si riscontra nell’antisemitismo politico organizzato in Austria,dove però esso assunse articolazioni più complesse a causa della struttura plurinazionaledell’Impero asburgico, e una maggiore solidità a causa dell’assenza in parlamento di unaforza come la socialdemocrazia, che in Germania rappresentò un efficace contraltareall’antisemitismo politico. Il Partito cristiano-sociale (1889) guidato da Karl Lueger (che fuabile sindaco di Vienna dal 1897 al 1914) ottenne un vasto seguito di massa grazie al suoantisemitismo ideologicamente ambiguo ed eterogeneo ma non privo di fanatismo razzista,che sfruttava i conflitti religiosi e razziali causati dalla lenta industrializzazione, la crisieconomica della piccola borghesia e il ruolo preponderante degli ebrei nel capitalismoaustriaco, e godeva del sostegno di esponenti cattolici apertamente antisemiti.

Il movimento pangermanista fondato da Georg von Schönerer alla fine degli anniSettanta propugnava invece sia un radicale antisemitismo biologico fondatosull’opposizione ariani/semiti, che proclamava la guerra agli ebrei al fine del rafforzamentodel Volk, sia un tradizionale antisemitismo anticapitalistico e “riformatore”; ma non acquisìdimensioni di massa anche per la sua netta avversione sia alla monarchia asburgica (suoobiettivo era l’unione alla Germania) che alla Chiesa cattolica. L’antisemitismo comefenomeno organizzato di massa si sviluppò quindi in primo luogo in Austria; e non è uncaso che la formazione intellettuale di Adolf Hitler si svolgesse in buona parte a Vienna,dove egli venne influenzato in misura decisiva sia da Schönerer, del quale ammirava iprincipi, che da Lueger, del quale apprezzava invece la capacità politica.

Nell’Europa centrale l’antisemitismo non riuscì a cancellare gli effettidell’emancipazione, ma conobbe (malgrado il sostanziale fallimento dei partiti emovimenti politici che facevano dell’antisemitismo la loro unica ragione) una crescentepenetrazione nella vita sociale, tramite associazioni e gruppi di pressione di vario genere etramite stereotipi ampiamente diffusi dalla letteratura popolare, dalla pubblicisticapseudoscientifica ed anche dal sistema scolastico. L’antisemitismo si configurò sempre piùcome un codice culturale, che riassumeva un ampio complesso di valori e norme, unavisione del mondo espressa da quelle forze (nazionalismo, militarismo, imperialismo,razzismo) che si opponevano al liberalismo, alla democrazia e al capitalismo in quantoritenuti responsabili dell’emancipazione degli ebrei nell’Ottocento. Quanto più questavisione del mondo penetrava tra la popolazione, tanto meno aveva a che fare con i concretiproblemi dei rapporti tra ebrei e non ebrei, sempre più considerati entità impersonali, etanto più la presunta “questione ebraica” assumeva dimensioni astratte e totalizzanti.

Nei confronti del liberalismo il razzismo antisemita adottò un atteggiamentostrumentale: chiaramente ostile ai suoi valori di tolleranza e morale universale, esso piegò

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alle sue esigenze concetti liberali come l’atteggiamento “scientifico” nei confronti deldiritto e della religione (pur esibendo a volte un irrazionalismo ateo e pagano), e lapartecipazione delle masse alla politica. In questo senso, mentre gli scrittori conservatoritradizionali erano preliberali in quanto difensori della religione cristiana, della monarchia edella vita rurale, gli autori razzisti si possono definire postliberali, intenzionati adaffrontare la nascente società di massa con i suoi stessi strumenti ma allo scopo di negarlaradicalmente. Fino al 1914 minoritario rispetto al tradizionale antisemitismo di ispirazionecristiana, l’antisemitismo razzista (limitato dapprima agli ambienti intellettuali eaccademici) divenne predominante dopo la guerra mondiale. Questo fu il momentodecisivo per il salto qualitativo compiuto dall’antisemitismo tedesco, che subì unaradicalizzazione in senso biologico-razziale.

Gli effetti della guerra mondiale e delle rivoluzioni

Nel quadro di generale esasperazione del nazionalismo provocata dal conflittomondiale, in Germania l’esperienza dei combattimenti e delle trincee stimolò in modoparticolare il senso di cameratismo e lo spirito di violenza e li aprì alla penetrazionerazzista, che si espresse nello stereotipo della bellezza virile “nordica” e nella mistica delloslancio vitale dei “guerrieri” come sublimazione della battaglia; dopo la guerra, questeconcezioni si tramandarono nelle associazioni di ex-combattenti e nelle società segrete che,presentandosi come incarnazione delle tradizioni germaniche, costituirono un importantefocolaio di nazionalismo razzista.

Il trauma della sconfitta militare e del crollo degli Imperi centrali spinse i settoriconservatori del mondo politico e dell’opinione pubblica a cercare un capro espiatorio cuiaddossare le responsabilità della sconfitta. Questo fu facilmente trovato negli ebrei, dato illoro presunto comportamento antipatriottico durante la guerra (che aveva visto invece lagrande maggioranza degli ebrei tedeschi aderire alla causa nazionale), e data la cospicuapresenza ebraica tra i dirigenti del movimento operaio protagonista delle rivoluzioni cheavevano portato alla nascita della repubblica in Germania e in Austria. Gli eventirivoluzionari del 1917-20 in Russia e nell’Europa centrale crearono così un nuovostereotipo antiebraico, l’identità ebraismo-bolscevismo, che si legò senza difficoltà alla giàesistente associazione tra ebreo e capitalista “sfruttatore”.

Nel periodo postbellico si diffuse così nuovamente, e in grado maggiore che inprecedenza, la psicosi della “cospirazione mondiale” ebraica, che raggiunse paesi finoraimmuni come l’Inghilterra e gli Stati Uniti, ma che trovò in Germania il terreno di massimosviluppo grazie alla situazione di grave crisi politica, economica e sociale. Anche se inGermania e in Austria non vi furono aperte violenze (che si verificarono invece in Europaorientale, specialmente in Polonia e nella Russia sconvolta dalla guerra civile),aumentarono i casi di discriminazione sociale e culturale nei confronti degli ebrei.Organizzazioni professionali, studentesche e sportive, lo stesso partito cristiano-socialeaustriaco mostrarono atteggiamenti e programmi pesantemente discriminatori.

In Germania la grande fioritura di una violenta e delirante pubblicistica antisemita(grande successo ebbe in particolare la traduzione, nel 1920, dei Protocolli dei Saggi diSion) e lo sviluppo di associazioni nazionaliste di destra che facevano dell’antisemitismo,unito all’odio per il socialismo e la democrazia, la loro bandiera testimoniano non solo lacontinuità, ma la radicalizzazione dei motivi antisemiti. Se è vero che l’antisemitismorazzista rimase prerogativa perlopiù dell’estrema destra (che ricorse anche all’assassiniodel leader socialista Kurt Eisner e del ministro degli esteri Walther Rathenau, in quanto

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avversari politici ed ebrei), è anche vero che gli ambienti conservatori ostili alla repubblicaparlamentare (da questi chiamata volentieri “repubblica degli ebrei”) trovarono nei gruppidella destra radicale dei comodi alleati, e per rinsaldare questa alleanza non esitarono adappropriarsi dei temi della propaganda antisemita e razzista, che penetrò così anche negliambienti militari. Nel 1924, con la stabilizzazione economica e sociale, l’antisemitismo,insieme all’attività degli estremisti di destra, sembrò attenuarsi; ma ciò riguardava solo gliaspetti più estremi e violenti, dato che gli stereotipi antiebraici continuarono ad avereampia circolazione, soprattutto grazie alla stampa e al sistema scolastico. Con lo scoppio diuna crisi economica molto più grave, nel 1929, l’ostilità antiebraica riprese vigore e sipreparò a compiere un nuovo salto di qualità, dalla teoria alla pratica della “guerra controgli ebrei”. Ciò fu reso possibile grazie alla propaganda da tempo in atto ad opera di Hitler edei nazisti, che negli anni precedenti la presa del potere, malgrado gli aggiustamenti tattici,non persero mai di vista il fondamento razziale della dottrina e degli obiettivi del loromovimento.

3. Il razzismo nella teoria e nella prassi del Terzo Reich

Razzismo biologicista e razzismo spiritualista nella concezione del mondo deinazionalsocialisti

Il regime nazista fece del razzismo (e in primo luogo dell’antisemitismo) un dogmaed un pilastro del proprio agire politico, come si evince dalle teorie razziali di cui si feceportatore e che mise in atto con spietata risolutezza.

Esaminiamo due testi chiave: Mein Kampf (La mia battaglia) (1924) di Adolf Hitlere Il mito del XX secolo (1930) di Alfred Rosenberg, filosofo semiufficiale del movimento.Alla base di Mein Kampf Hitler pose uno schema di carattere biologicista, fondato su unagerarchia di razze differenti, che combattevano per la sopravvivenza e l’autoaffermazione,secondo uno schema preso di peso dal darwinismo; la razza per definizione migliore eraquella ariana, destinata a trionfare purché il popolo tedesco si sottoponesse ad un processodi purificazione fisica e spirituale. Proprio sul piano eugenetico-razziale, quindi, Hitlerindividuava il compito essenziale, la vera ragione d’essere dello stato. Nel Mito del XXsecolo Rosenberg non si poneva, come Hitler, finalità agitatorie, ma mirava ad una sintesistorico-filosofica, fondata sulla storia della razza come «storia naturale e misticaspirituale», «religione del sangue» come metafora di valori e prerogative spiritualicaratteristici della «libera anima nordica» rinata dalle macerie della guerra mondiale.

Nella visione nazista del mondo compaiono dunque due diverse accezioni delrazzismo, una su base biologica, l’altra su base spiritualista e culturalista. E’ possibilerintracciare elementi comuni ad entrambe sul piano dei valori di fondo, strutturati in coppieconcettuali in cui uno dei termini corrisponde al positivo e l’altro al negativo, senza alcunapossibilità di mediazione. Di queste, le principali sono: purezza/mescolanza;natura/cultura; restaurazione/trasformazione; sottomissione delle donne/libertà delle donne.In sostanza, si afferma che la purezza della razza (non importa su quali parametri essavenga definita) è un valore in sé, mentre l’“imbastardimento” è stato ed è foriero didisastri; analogamente, l’unica cultura degna di questo nome è quella che rispecchia lanatura, quindi in quanto tale immutabile e passibile, semmai, di essere “riscoperta” dopo unperiodo di occultamento.

La dimensione più propriamente moderna della cultura come costruzionestoricamente data, come rielaborazione tipicamente umana che contiene in sé la volontà di

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dar senso al mondo, viene negata alla radice. Siamo nel cuore di un pensiero tradizionalistae restauratore, che colloca in un passato non importa quanto mitico una sorta di etàdell’oro. E’ però un tradizionalismo che, a differenza di altri precedenti, non rifiutaglobalmente il moderno, accettandone e valorizzandone invece la dimensione della tecnica,di cui ci si intende servire fino in fondo allo scopo di restaurare l’ordine naturale violato.Va notato che, da questo punto di vista, il nazionalsocialismo anticipa un atteggiamentoche sarà poi, nella seconda metà del XX secolo, tipico di tutti i fondamentalismi: negare ivalori della modernità accettandone la dimensione scientifico-tecnologico-manipolatoria.

Queste ed altre consimili teorie tipiche del nazismo nascevano dal mutamentointervenuto nell’ultimo trentennio dell’Ottocento (in modo particolare nell’Imperoguglielmino e nella parte austriaca di quello asburgico) in seno al nazionalismo: accanto aduna corrente, ancora predominante, il cui obiettivo era la germanizzazione dei gruppi nontedeschi che risiedevano nei territori dei due stati, emerse una tendenza, minoritaria finoalla prima guerra mondiale, che sostenne l’opposto programma di difesa del germanesimodalle contaminazioni. Ad un nazionalismo “imperiale” ed “includente” se ne contrapposeuno “purificatore” ed “escludente”, che si identificò con la tradizione völkisch ed il cuiobiettivo divenne “disassimilare”. Su questo filone l’innesto dell’antisemitismo risultòquanto mai facile; anzi, gli ebrei tedeschi ed austriaci diventarono il primo bersaglio dellapropaganda disassimilatrice.

Con tutte le cautele del caso, mi pare che la forma di nazionalismo che sta in questianni rinascendo in numerose parti d’Europa abbia un’impronta essenzialmente“escludente”, e quindi, benché non esprima un pensiero razzista di tipo biologicista,contenga elementi che la apparentano ad una dimensione völkisch. Questa, come si è detto,fa riferimento a un’idea organicista di popolo-stirpe (il Volk), contrapponendo alla societàindustriale borghese, attraversata da conflitti e contrapposizioni di gruppi e di classi, lacomunità organica. Non a caso una delle architravi del nazionalsocialismo e poidell’impalcatura politico-giuridica del Terzo Reich è il concetto di Volksgemeinschaft,comunità organica di stirpe, ad un tempo criterio per separare gli esseri umani (gli stessitedeschi in primo luogo) in Volksgenossen (membri del popolo) e Gemeinschaftsfremde(estranei alla comunità), e obiettivo da raggiungere utilizzando gli apparati dello stato.

La ricostruzione della Volksgemeinschaft come obiettivo prioritario delnazionalsocialismo: la legislazione del Terzo Reich dal 1933 al 1939

La tradizione politica e culturale völkisch trova la sua più completa (ancorché nonunivoca) espressione nella Germania del primo dopoguerra nella NationalsozialistischeDeutsche Arbeiterpartei (NSDAP – il partito guidato da Adolf Hitler); la sua propaganda,il suo manifesto politico (Mein Kampf), la sua visione del mondo hanno come prospettivacentrale la ricostituzione della Volksgemeinschaft, definita in un’accezione che trasformarazzismo biologicista e razzismo spiritualista in due facce della stessa medaglia.

Chi è razzialmente “impuro” (ebrei, zingari, slavi, e così via) non fa parte dellaVolksgemeinschaft, da cui deve immediatamente essere espulso; ma anche chi si comportain modo “indegno”, violando i valori e le norme propri della stirpe germanica ènecessariamente impuro dal punto di vista razziale, anche se di sano ceppo “ariano”. Delresto, lo avevano scritto sia Hitler sia Rosenberg, compito primario dello stato völkischsarebbe stato restaurare l’originaria purezza del Volk, ripulendolo dalle conntaminazioni edalle degenerazioni.

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Trasformare i tedeschi nel “popolo dei signori” si presenta perciò comeun’operazione né indolore né priva di crudeltà verso quello stesso popolo destinato adominare. Per diventare razza eletta esso deve essere sottoposto ad operazioni di ingegneriaterritoriale, sociale ed eugenetica, dev’essere “purificato”. Il razzismo nazista si rivela cosìun mostruoso Giano bifronte, che agisce tanto verso l’esterno quanto verso l’interno, anchese con tecniche e strumenti diversificati. Ciò appare in tutta evidenza se si considera laproduzione legislativa del Terzo Reich tra la chiamata al potere di Hitler (gennaio 1933) el’attacco alla Polonia, che accende la seconda guerra mondiale (settembre 1939).

Il dispositivo giuridico fondamentale con cui la costituzione democraticaweimariana venne di fatto svuotata e si attuò il passaggio alla modalità totalmente verticaledi produzione del diritto tipica del Terzo Reich fu l’ordinanza del 28 febbraio 1933 «per lasicurezza del popolo e dello stato», che proclamò lo stato di emergenza, che diventò –paradossalmente – la normalità durante i dodici anni di vita del regime nazista.

Con le norme del 28 febbraio fu introdotto l’istituto della detenzione di sicurezza,che permetteva agli organi di polizia di arrestare e detenere senza limiti di tempoqualunque persona qualificata come «nemico dello stato», senza dover sottostare ad alcuncontrollo da parte della magistratura. Il successivo 23 marzo fu emanata la legge che davapieni poteri al governo del Reich (in pratica al suo capo, il Führer della NSDAP, AdolfHitler). Il 7 aprile 1933 venne disposto il licenziamento di tutti i pubblici funzionari “nonariani”. Il 25 aprile fu limitato l’accesso all’istruzione di scolari e studenti ebrei, e il 28dicembre seguente si stabilì che la quota delle ragazze (non ebree!) che ogni anno potevanosostenere gli esami di maturità non doveva superare il 10% del totale.

Il 14 luglio 1934 fu emanata la legge per la prevenzione delle tare ereditarie cheautorizzava la sterilizzazione coatta delle persone potenzialmente portatrici di malattieereditarie. In 12 anni furono sterilizzate in tal modo 360.000 persone, in gran parte donne (icasi di morte furono parecchi). Nei giorni 10-16 settembre 1935 furono promulgate lecosiddette “leggi di Norimberga” che introdussero la divisione tra «cittadini del Reich» (gli“ariani”) e semplici «residenti nel Reich» (gli ebrei e tutti i non “ariani”). Il 18 ottobre 1935entrò in vigore la seconda legge per «la difesa della stirpe tedesca», che vietava ilmatrimonio a coloro che erano affetti da malattie giudicate «pericolose per la stirpe». Nel1936-37 una serie di disposizioni del Ministero degli interni e degli organi di polizia stabilìl’internamento nei campi di concentramento (Konzentrationslager - KL) di diversecategorie di «estranei alla Volksgemeinschaft»: zingari, mendicanti, vagabondi, prostitute,persone senza fissa dimora, «disoccupati abituali», maschi omosessuali (circa 15.000, benpochi sopravvissero), e così via.

Il 25 gennaio 1938 fu emanata una nuova disposizione indirizzata contro icosiddetti «asociali» (i gruppi appena nominati, cui venne aggiunto – almenopotenzialmente – chiunque si comportasse in modo anomalo rispetto alla norma socialedominante). L’8 dicembre 1938 Heinrich Himmler, capo supremo (Reichsführer) della SSe massimo responsabile degli apparati di polizia del Reich, emanò disposizioni per ladiscriminazione e la persecuzione degli zingari (almeno 220.000 di loro vennero uccisientro la fine della guerra). Il 21 settembre 1939 Reinhard Heydrich, capo dei servizi disicurezza della SS e dello stato, ordinò ai gruppi di intervento (Einsatzgruppen, unitàcostituite da agenti dell’apparato poliziesco incaricato del mantenimento dell’ordinepubblico inquadrati da ufficiali SS) che muovevano alla spalle delle truppe tedesche inazione contro la Polonia, di chiudere tutti gli ebrei in ghetti. Nell’ottobre successivo, Hitlerdispose l’operazione «Eutanasia» (Aktion T4), cioè l’eliminazione fisica di malati mentali,anziani incurabili e di tutti coloro che venivano definiti «vite senza valore».

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L’azione T4 fu interrotta il 24 agosto 1941, ma proseguì in modo decentratoconfondendosi con le altre operazioni di sterminio portate avanti dai nazisti. In tutto nefurono vittime circa 90.000 persone. L’operazione «Eutanasia», in cui furono impegnati altiquadri della SS poi attivi nello sterminio degli ebrei (dove misero a frutto l’esperienza iviaccumulata) venne portata avanti sotto lo schermo di nomi e sigle di copertura, esattamentecome poi sarebbe avvenuto per la Shoah.

La logica operativa del Terzo Reich: ghettizzare, isolare, disassimilare

Tutti i provvedimenti legislativi elencati obbedivano ad una logica unitaria difondo. Ciò non significa che non vadano fatte distinzioni, più che altro dal punto di vistadei soggetti e dei gruppi sociali che vennero colpiti da questa o quella disposizione delregime; alcuni di essi, infatti, patirono conseguenze ben più pesanti di altri.

Si può comunque affermare che l’imperativo categorico del nazismo era ladisassimilazione, la rottura dei mille fili, dei legami tessuti dalla quotidianità che univano imembri dei gruppi che le autorità del Terzo Reich intendevano discriminare dai loroconcittadini “ariani”. In tal modo ci si proponeva di agire in profondità sull’immaginariocollettivo e sulla percezione dell’altro; lo dimostra il caso più significativo, quello degliebrei tedeschi, gruppo i cui membri si sentivano – in grande maggioranza – profondamentetedeschi. Le misure vessatorie disposte nei loro confronti ebbero come effetto di ridurre leoccasioni di contatto tra loro e i non ebrei, radicando lentamente nella testa di moltitedeschi lo stereotipo (tanto disincarnato quanto generalizzante) dell’ebreo; ai singoliindividui, ciascuno con un nome, una personalità, un viso, un sesso, si sovrappose in talmodo una categoria astratta. E’ difficile considerare una persona specifica, conosciuta,come l’incarnazione di un male assoluto; ma quando si tratta di poco più di un nome lo sipuò odiare con facilità.

La rete di strutture concentrazionarie di cui, lentamente, la Germania nazista sicoprì era destinata a portare al parossismo questa logica; il recinto, il reticolato, il Lager(letteralmente: deposito, magazzino) divise la società in due campi: al di fuori stavano i“normali”, nello spazio circondato dal filo spinato erano rinchiusi i diversi, che nonavevano più un nome ma solo un numero.

La nascita del “modello di Dachau”

Il primo KL ufficiale fu aperto già nel marzo 1933 a Dachau, nei pressi di Monaco,per ordine di Heinrich Himmler, Reichsführer della SS e allora capo della polizia dellaBaviera; era destinato ad accogliere antinazisti ed oppositori politici di qualunqueorientamento, internati senza processo. Nell’estate successiva entrarono in attività i KL diEsterwegen, Papenburg, Oranienburg (a Sachsenhausen, presso Berlino). Un anno dopoDachau assunse la funzione di scuola per i quadri SS destinati a mansioni direttivenell’apparato concentrazionario e di luogo d’istruzione per i reparti speciali SS a cui i KLerano affidati.

Fino al 1936 l’internamento nei KL fu applicato quasi soltanto agli oppositoripolitici del regime, non coinvolse gli ebrei né altri gruppi. I deportati nei KL erano circa10.000; ad essi era imposto l’obbligo del lavoro, ma in una logica non di carattereproduttivistico, bensì meramente punitivo (si trattava di lavori pesanti, di sterro o in cave dipietra, da svolgere con strumenti primitivi e senza alcun macchinario).

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Una svolta si verificò tra il 1937 ed il 1938, quando nuove categorie di personeentrarono nell’universo concentrazionario: i cosiddetti asociali e gli Arbeitsscheue (più omeno, «gente che non ha voglia di lavorare»). Il numero di deportati salì a questo punto a30.000; la macchina concentrazionaria iniziò ad occuparsi non solo di oppositori politici,ma anche di gruppi sociali dal comportamento non conformista e non allineato coi valoridominanti, ma non necessariamente nemici coscienti del nazismo. Era un salto di qualità;da allora in poi per essere esclusi dalla Volksgemeinschaft non era più necessario schierarsipoliticamente contro il Terzo Reich, bastava trasgredire le sue ferree regole di vita, chepretendevano di fondarsi sulle tradizioni connaturate alla stirpe. Il giro di vite è senz’altroda collegare con la concentrazione degli sforzi in vista dell’attuazione del colossaleprogetto di riarmo previsto dal primo Piano quadriennale, ma anche in questo caso non inuna logica piattamente produttivistica: non si trattava ancora di pianificare lo sfruttamentodel lavoro dei deportati, quanto piuttosto di espellere dal tessuto sociale gli improduttivi,che potevano essere impiegati in attività sgradevoli e faticose che altrimenti rischiavano dinon essere remunerative.

La “notte dei cristalli” e le sue conseguenze

Il 9 novembre 1938, prendendo a pretesto l’uccisione di un diplomatico tedesco a Parigiper mano di un giovane ebreo i cui genitori (assieme ad altri 15.000 ebrei tedeschi diorigine polacca) erano stati espulsi pochi giorni prima dal Reich, la NSDAP e le sue milizie(SS e SA) scatenarono un grande pogrom contro gli ebrei in tutto il territorio del Reich (cuiera stata da poco annessa l’Austria, dove viveva una consistente comunità ebraica). Agliincendi delle sinagoghe, alla distruzione e al saccheggio di negozi e case, ai ferimenti e agliomicidi si aggiunse l’arresto di oltre 20.000 ebrei tedeschi che vennero trasferiti nei KL,portando così a circa 60.000 il numero dei deportati.

A partire da questo momento universo concentrazionario e persecuzione antisemitainiziarono ad incontrarsi, anche se in modo non ancora sistematico; la detenzione di ungran numero di ebrei tedeschi (ed austriaci) mirava per ora ad impadronirsi di tutti i lorobeni, che i malcapitati erano costretti a cedere senza contropartite per poter ottenere unpermesso di espatrio. Le autorità naziste presero così due piccioni con una fava: espulserodal Reich un buon numero di ebrei, e avviarono l’“arianizzazione” delle attivitàimprenditoriali e commerciali fino a quel momento in mano a persone “di razza ebraica”.

All’antisemitismo fu così offerta un’ulteriore possibilità di radicarsi maggiormentetra i non ebrei: non si trattava più di un’opzione solo ideologica o di un mero pregiudizio;per molti borghesi l’arianizzazione forzata dei beni ebraici significò buoni affari e lascomparsa di fastidiosi concorrenti sul mercato.

L’intervento nel corpo vivo della nazione tedesca: sterilizzazione coatta ed eutanasia

Come si è visto, la logica razzista incentrata sull’interpretazione nazista delconcetto di Volksgemeinschaft comportava la “purificazione” dello stesso popolo tedesco;la propaganda del regime sottolineava inoltre che un handicappato consumava risorsepreziose per il Volk; era quindi ragionevole ridurre il più possibile il numero dei“parassiti”.

Uno dei più importanti mezzi per ottenere tale obiettivo fu la sterilizzazione coattadi chi era ritenuto indegno di procreare, perché portatore di malattie ereditarie (o presuntetali) o perché aveva abitudini ritenute dannose per la stirpe (tra le altre, l’etilismo). La

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legge stabilì in dieci anni l’età minima per la sterilizzazione. L’attuazione del programmadi sterilizzazione fu affidata agli uffici sanitari statali, accanto ai quali operavano dei«tribunali per la salute della stirpe». Medici, infermieri, ostetriche erano obbligati dallelegge a segnalare i casi sospetti, su ciascuno dei quali veniva poi avviata un’istruttoria.Attraverso il coinvolgimento delle categorie professionali tradizionalmente consideratecustodi della salute pubblica e privata, oltre che attraverso la propaganda diffusa tramitegiornali, radio, cinema (collocati tutti sotto il controllo assoluto del regime), il nazismopuntava a far sì che la maggioranza della popolazione considerasse normale ciò che stavaavvenendo.

Non troppo diverso il modo in cui fu avviata l’operazione «Eutanasia» (o AktionT4); disposta da Hitler alla fine dell’ottobre 1939, essa intendeva ridurre drasticamente ilnumero delle «bocche inutili e improduttive» (schizofrenici, epilettici, affetti da demenzasenile, persone con gravi deficit mentali, malati di sifilide, portatori di postumi dameningite). A tal fine furono istituite speciali strutture, camuffate da ospizi e cronicari, incui si doveva procedere all’eliminazione di coloro la cui vita aveva «scarso valore». Adospedali, manicomi e analoghe istituzioni giunsero dettagliati questionari in cui si chiedevadi indicare nomi e cifre dei pazienti che soffrissero delle affezioni sopra elencate; neimoduli si richiedeva anche di indicare coloro che, pur senza avere le patologie inquestione, non fossero cittadini tedeschi o avessero «sangue non ariano nelle vene». Levittime erano eliminate col veleno se bambini; per gli adulti si iniziarono ad usare lecosiddette «camere a gas mobili», furgoni con l’interno totalmente sigillato in cui siconvogliavano i gas di scarico del motore.

L’Aktion T4 suscitò notevole malcontento nella popolazione, perché ciò cheaccadeva nei nuovi «cronicari» non poteva essere tenuto nascosto; intervennero anche lechiese cristiane, con proteste pubbliche. Nell’agosto 1941, pressato dalle esigenze dievitare il manifestarsi di qualunque forma di dissenso nel momento in cui veniva sferratol’attacco all’Unione Sovietica, Hitler in persona ordinò l’interruzione dell’azione;l’eliminazione di anziani non autosufficienti e di malati incurabili però proseguì, sia purecon maggior cautela. Il gruppo di funzionari ed alti ufficiali SS che avevano partecipatoall’operazione, accumulando una notevole esperienza nell’assassinio di massa esviluppando la prima forma di camera a gas, mise ben presto a frutto ciò che avevaappreso; saranno costoro, infatti, ad organizzare, subito dopo la brusca fine dell’Aktion T4,lo sterminio sistematico degli ebrei d’Europa negli appena costruiti campi d’annientamentoimmediato (Vernichtungslager).

L’intervento delle Einsatzgruppen nella Polonia occupata

Come si è detto, le Einsatzgruppen (gruppi d’intervento) furono costituite pocoprima dell’attacco alla Polonia; compito specifico di queste unità era di rastrellare ilterritorio occupato dalle truppe regolari durante la loro avanzata, “bonificandolo” da tuttele presenze che il regime nazista riteneva ostili per ciò che facevano (o avrebbero potutofare), o semplicemente per ciò che erano. A quest’ultima categoria appartenevano gli ebrei,contro cui furono scatenate cacce all’uomo tese ad espellerli dai luoghi di residenza e aconcentrarli nei vecchi quartieri ebraici (i ghetti) delle città del Governatorato generale,come era chiamata la regione attorno a Cracovia, retta dagli occupanti tedeschi secondo unmodello coloniale (a differenza delle altre province settentrionali e occidentali dellaPolonia, direttamente annesse al Reich).

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I polacchi dovevano diventare gli schiavi, la nuova manodopera servile agli ordinidel popolo dominatore; perciò occorreva eliminare fisicamente chiunque, per cultura ecollocazione sociale (medico, prete, maestro di scuola, ecc.) poteva diventare un punto diriferimento per un’eventuale opposizione; le terre conquistate dovevano poi essere“deebreizzate”, ripulite di ogni traccia dell’ebraismo. Per ora gli ebrei erano concentrati neighetti; si sarebbe poi visto cosa fare dei sopravvissuti ai rastrellamenti (che diventavanospesso veri e propri pogrom, accompagnati da fucilazioni di massa che non risparmiavanodonne, vecchi, bambini), ai trasferimenti forzati nei ghetti, alla fame, al sovraffollamento,alle epidemie che in essi inevitabilmente regnavano.

L’estensione del sistema dei KL (1939-41)

Con il sorgere dei primi nuclei dei movimenti di resistenza nell’enorme territorio inmano tedesca, i KL divennero uno strumento di repressione verso qualunque tipo diopposizione. Aumentò, fino a superare in breve la soglia dei 100.000, il numero deideportati, tra i quali crebbe in modo esponenziale la percentuale di non tedeschi. Il 7dicembre 1941, quando già le armate tedesche si trovavano di fronte a Mosca, Hitleremanò il decreto “Notte e nebbia”, che prevedeva il trasporto in KL di tutti gli oppositoripolitici nei territori occupati dell’Europa occidentale.

Nuovi nomi si aggiunsero al rosario dei Lager: Groß-Rosen, Neuengamme,Natzweiler (nell’Alsazia francese ora annessa alla Germania), Ravensbrück (riservato alledonne), Majdanek (alla periferia di Lublino, destinato ai polacchi). Contemporaneamente lecondizioni di vita dei deportati conobbero un ulteriore peggioramento; con lo scoppio dellaguerra cadde la possibilità di essere rimessi in libertà (sia pur vigilata) dopo un certoperiodo (non breve, almeno un anno) in KL. Dall’autunno 1939 in avanti dal Lager si potéuscire solo morti. La rete dei KL venne inoltre finalizzata all’eliminazione fisica di tutticoloro che, a giudizio delle autorità di polizia tedesche, avrebbero potuto mettere inpericolo la vittoria, se non addirittura propiziare la sconfitta, delle armi naziste.

La guerra di annientamento sul fronte orientale e la «soluzione finale della questioneebraica» (1941-43)

Per il regime nazista la campagna contro l’URSS, avviata il 22 giugno 1941, eraqualitativamente diversa da quelle precedenti: ad un tempo guerra ideologica e guerra diannientamento, aveva come obiettivo non solo la distruzione dell’apparato militaresovietico e l’occupazione di ricche ed economicamente importanti porzioni del suoterritorio, ma anche la completa eliminazione del bolscevismo e dell’ebraismo, categorieche il nazismo vedeva da sempre strettamente intrecciate, per non dire coincidenti.

Si ricorse nuovamente, in prima istanza, alle Einsatzgruppen, il cui compito questavolta fu puramente e semplicemente il massacro della popolazione civile ebraica el’eliminazione dei commissari politici comunisti e di chiunque potesse essere anchelontanamente sospettato di simpatie comuniste. Nelle lande ucraine, bielorusse e balticheconquistate nella prima travolgente avanzata tedesca le Einsatzgruppen (composte in tuttoda circa 3.000 uomini) massacrarono tra il giugno 1941 e l’aprile 1942 circa 600.000persone, in stragrande maggioranza ebrei: uomini, donne, bambini. Agli occhi del gruppodirigente nazista la situazione apparve estremamente favorevole alla «soluzione finale delproblema ebraico», cioè l’eliminazione fisica di tutti gli ebrei presenti nella sfera di poteretedesca. Il 14 ottobre 1941 fu emanato l’ordine di deportare tutti gli ebrei ancora presenti

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nel territorio del Reich (e non detenuti) nei ghetti costituiti nei territori orientali occupati;negli stessi giorni furono allestiti, in una fascia di territorio polacco a circa 300 chilometriad est di Varsavia, sei Lager di nuovo tipo, di sterminio (Vernichtungslager - VL), il cuiobiettivo era l’eliminazione immediata di masse enormi di esseri umani. Le loro vittimepredestinate erano gli ebrei di tutta Europa. Quattro di loro (Chelmno, Belzec, Treblinka,Sobibor) erano pure macchine di morte costruite ex novo; due (Auschwitz-Birkenau,Majdanek) furono approntate nei pressi di KL già esistenti, di cui divennero sezioniseparate. La decisione di eliminare fisicamente, senza eccezione alcuna, gli ebrei fu poiconfermata il 20 gennaio 1942, alla conferenza di Wannsee (un sobborgo di Berlino dove siradunò un gruppo di alti dignitari del regime), dove il proposito venne operativamentemesso a punto.

Tra l’autunno 1941 e l’estate 1944 oltre tre milioni di persone, quasi tutti ebrei,persero la vita nei VL per mano nazista.

Sterminio di massa e annientamento mediante il lavoro: la funzionalizzazioneproduttiva dei KL nell’ultima fase della guerra (1943-45)

Il progetto di “deebreizzare” il Reich e con esso l’Europa sembrava a buon punto,tanto che il 5 ottobre 1942 Himmler ordinò il trasporto ad Auschwitz di tutti gli ebreidetenuti in KL nel territorio metropolitano tedesco; ma l’andamento della guerra, conl’imprevista ed efficace resistenza dell’Urss e l’impegno militare degli USA, non era piùcosì favorevole alla Germania come nei mesi precedenti. Di fronte alla carenza di braccia ealla necessità di spostare la produzione industriale fuori dalle aree metropolitane, persottrarla almeno parzialmente alle offensive aeree angloamericane, le centinaia di migliaia(ormai quasi mezzo milione) di uomini e donne deportati in KL costituivano una riserva dimanodopera a cui i nazisti furono costretti a ricorrere; allo stesso modo, le esigenzeeconomiche e produttive li costrinsero a non dare più l’assoluta priorità (almenotemporaneamente) allo sterminio immediato di ebrei ed altre “razze inferiori” (zingari inprimo luogo). Tra l’autunno del 1943 e l’estate 1944 furono smantellati i quattro VL diChelmno, Belzec, Treblinka e Sobibor; i convogli che trasportavano ebrei rastrellati in tuttaEuropa vennero ora inviati solo ad Auschwitz e Majdanek, che mantennero la doppiafunzione di VL e KL.

La rete dei KL propriamente detti arrivò a toccare, tra campi principali esottocampi, la cifra di 2.000 installazioni. Questa fase fu denominata dello «sterminiomediante il lavoro», il cui obiettivo era sfruttare al massimo la capacità produttiva deideportati, spremendoli fino al midollo, in un’ottica per cui – in media – la loro possibilitàdi sopravvivenza era calcolata dalle stesse gerarchie della SS in poco più di sei mesi.Soltanto il collasso militare del Terzo Reich di fronte alle parallele avanzate dell’Armatarossa ad est, degli angloamericani ad ovest, pose fine, nella primavera del 1945, aquest’ultima, parossistica fase dell’universo concentrazionario.

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Le persecuzioni antisemite in Italia

di M. Brunazzi e G. Genovese

1. Cenni storici sull’ebraismo italiano

La presenza degli ebrei in Italia risale all’antichità. In Roma le prime notizie sicollocano intorno al 300 a.C. e per circa due secoli la comunità in riva al Tevere si ingrossagrazie all’intensa attività mercantile e alle numerose ambascerie dalla Giudea, poi ancoraaccresciuta con i prigionieri di guerra dopo la conquista di Gerusalemme nel 63 a.C. e gliapporti delle fiorenti comunità di Alessandria d’Egitto e del Vicino Oriente

Poiché gli ebrei rifiutavano, anche se ridotti in schiavitù, di violare il precetto delsabato festivo, i loro padroni romani trovavano più conveniente liberarli dietro compensodel riscatto raccolto dai loro familiari e correligionari, cosicchè molti di loro, divenutiliberti, potevano inserirsi senza problemi nelle attività artigianali o mercantili. GiulioCesare concesse agli ebrei piena libertà di culto, ivi compreso il sabato festivo, riconobbe iloro tribunali, li dispensò dal servizio militare in quanto incompatibile con le regolealimentari rituali della tradizione ebraica. Ben si comprende il sincero cordoglio dellacomunità romana, nel 44 a.C., per l’assassinio del loro generoso protettore.

Dopo la prima distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., ad opera delle legioni diTito, si stima che gli Ebrei in Italia fossero circa 40/50mila su una popolazione di circa 4 o5 milioni di abitanti.

In seguito le loro condizioni generali cominciarono a peggiorare, soprattutto dopo ladefinitiva distruzione di Gerusalemme ad opera di Adriano, che ne deportò dalla Palestinain gran numero, e l’inizio delle persecuzioni contro i cristiani (dapprima non sempredistinguibili dagli ebrei) e i culti orientali ritenuti pericolosi per la sicurezza dell’Impero.

Ma fu soltanto con l’editto di tolleranza di Costantino per i cristiani (313 d.C.) epochi anni dopo con il riconoscimento del Cristianesimo quale religione ufficiale delloStato, che gli ebrei subirono le prime importanti discriminazioni.

Sino ad allora gli ebrei, a parte quelle che apparivano ai Romani come le stranezzeassurde del loro culto, non avevano destato sentimenti ostili. Il loro lavoro di artigiani,mercanti, piccoli banchieri e cambiavalute non suscitava invidie o rancori speciali.

Ma la vittoria del Cristianesimo acuiva inevitabilmente un contrasto teologicoinsanabile con la religione della quale esso si proclamava unico e legittimo erede e chetuttavia si “ostinava”, nella maggior parte dei suoi adepti, a non voler abbandonare la suafede originaria. Con ciò confermando, evidentemente, il rifiuto opposto al riconoscimentodella messianicità e divinità di quel Cristo che, in quanto Dio incarnato, proprio gli ebreiavevano fatto crocifiggere rendendosi in tal modo “deicidi”.

Già Costantino aveva proibito le conversioni all’ebraismo, pena la confisca dei benidel convertito e di chi lo avesse a ciò indotto. Agli ebrei era vietato possedere schiavicristiani e, sotto Costanzo, anche pagani. A pena di morte erano proibiti i matrimoni misti,mentre forme di lavoro obbligatorio e gratuito erano loro frequentemente imposte.

Questa miscela di discriminazioni legislative e di intolleranza religiosa preparavaun clima di ostilità popolare, tanto più facile da attizzare quanto maggiori erano i periodi dicrisi, di guerra, di disordini, di carestie che inducevano a scaricare rabbie e paure su capriespiatori sostanzialmente indifesi e ormai divenuti invisi.

Nel 368 venne incendiata una sinagoga a Roma e poco tempo dopo un’altraad Aquileia. Furono i primi episodi di una lunghissima serie di violenze contro luoghi di

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culto e persone che per secoli, durante il Medioevo (e anche dopo) avrebbero perseguitatogli ebrei in Europa.

Gli ebrei italiani che erano da secoli diffusi, oltre che a Roma soprattutto nelMezzogiorno (Puglie, Campania, Calabria, Sicilia Sardegna) si erano nel frattempo estesinei centri del Nord, (Milano, Torino, Genova, Bologna, Ferrara, Trieste), oltre a moltepiccole località della Pianura Padana.

Relativamente protetti nell’illuminato regno del goto Teodorico, gli ebrei subirono,dopo la conquista bizantina dell’Italia, i rinnovati attacchi delle istituzioni ecclesiastiche edelle plebi fanatizzate.

Dopo l’arrivo dei Longobardi, il potere bizantino perdette gran parte della sua forza,sovente frammentandosi in potentati civili od ecclesiastici, specie nel Mezzogiorno, cosache favorì una relativa tranquillità per gli ebrei, che potevano facilmente spostarsi daicentri più intolleranti verso altri più disponibili ad accoglierli.

In Sicilia poi, dominata dagli Arabi che vi governavano con sapienzaamministrativa e civile tolleranza, la condizione degli Ebrei era ottima. Si stima che ve nefossero ben centomila, soprattutto nella capitale Palermo, ma numerosi anche nelle altrecittà dell’isola.

In generale si può osservare che alle primitive restrizioni di carattere religioso,connesse all’esercizio libero del culto, si venivano aggiungendo altre di carattere civile eamministrativo: divieti di risiedere in prossimità delle chiese e luoghi sacri alla religionecristiana e a poco a poco obbligo di abitare in quartieri determinati (i futuri ghetti), in mododa ridurre al minimo i contatti con i cristiani ed anche da umiliare con vessazioni crescentiuna minoranza disprezzata e insieme, irrazionalmente, temuta.

A Roma il diretto governo dei Papi, benché tendesse spesso ad aggravare lediscriminazioni e restrizioni a danno degli ebrei, era comunque meno violento eimprevedibilmente meno accanito di quello di molti signori sia civili che ecclesiastici.Questo sia per scrupoli etico-teologici, sia per ragioni di convenienza pratica che lafunzione economico-sociale degli ebrei poteva garantire.

La bolla di papa Callisto II del 1120 Constitutio pro Judaeis, pur ribadendo tutte lerestrizioni precedenti e i numerosi obblighi, tutelava – almeno in via di principio – le lorovite e i loro averi. Per quasi quattro secoli questa bolla, pur variamente mitigata opeggiorata e non uniformemente applicata, regolò la condizione degli ebrei non solo neipossedimenti dello Stato della Chiesa, ma anche, almeno indicativamente, nei territori deglialtri signori italiani.

Tra il XIII e XIV secolo le eresie medievali cristiane provocarono la creazione di unsevero e spesso feroce strumento di repressione: l’Inquisizione. Di riflesso peggiorò anchela condizione degli ebrei, specialmente di quelli che, costretti più o meno violentementealla conversione, si sospettava restassero legati alla fede originaria.

Torture, roghi di libri (il Talmud fu proibito ) ed anche di persone furono laconseguenza, mentre il fanatismo sollevato dalle prime Crociate ingigantiva accusesuperstiziose di magia diabolica contro gli ebrei. Per una di queste accuse, il 1° luglio 1298fu condannato al rogo il rabbino di Roma Elia de’ Pomis.

Di gran lunga più serena durò ancora per qualche decennio l’esistenza dei numerosiebrei del Mezzogiorno.

Qui il regno normanno, e soprattutto quello dell’illuminato imperatore Federico II,fu particolarmente benevolo verso una minoranza di cui apprezzava il dinamismoeconomico nel commercio, nel credito, nell’artigianato, nella professione medica.

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Nel corpo di leggi raccolte nel Liber Augustalis e promulgate a Melfi nel 1231,Federico II concesse addirittura agli ebrei la parità dei diritti.

Ma con la caduta degli Svevi, prima gli Angiò e poi gli Aragona introdussero anchenei territori meridionali tutto il rigore dell’Inquisizione, accanendosi al punto che alla finedel XVI secolo non vi erano più ebrei in quelle regioni, in parte forzati alla conversione, inparte espulsi o emigrati.

L’accentuarsi dei divieti e delle restrizioni in particolare quello di possedere terre oimmobili, provocò rapidamente quella “specializzazione” coatta nel campo del prestitousurario, che diventerà uno stigma dello stereotipo dell’ebreo avido e speculatore.

Si noti che la stessa “esosità” da un lato era propria anche dei banchieri cristiani edall’altra era anche commisurata alla estrema rischiosità di garantire crediti spesso nonesigibili; si pensi al famoso fallimento della banca fiorentina dei Bardi e Peruzzi (nonebrei) che si erano esposti con il Re d’Inghilterra senza riuscire poi a rientrare dal prestito.

A ciò si aggiunga che il mestiere di mercante comportava una disponibilitàfrequente di denaro liquido che non si poteva altrimenti investire che nel credito.

Inoltre, quella stessa liquidità era una garanzia nel caso delle frequenti espulsioni econfische, a loro volta determinate dal cinico gioco delle parti che molti signori facevano,utilizzando gli ebrei come esattori delle imposte (compensate con gli aggi, inevitabilmentemolto invisi) e scaricando poi su di loro la collera popolare per il peso fiscaleinsopportabile da loro stessi provocato, magari per finanziare guerre costose e rovinose.

Tra il XII ed il XIV secolo molti ebrei fuggirono dalle violente persecuzionisterminatrici scatenate in occasione delle Crociate in Francia, Germania, Austria e sirifugiarono nell’Italia settentrionale. Nel 1348 una spaventosa epidemia di peste, detta laMorte Nera, devastava l’Europa colpendo anche l’Italia.

Anche della peste vennero accusati gli ebrei e come “untori” trattati, ma in Italia, siaper il più mite costume che per l’influenza moderatrice della suprema autorità della Chiesa,il Papa, vi fu minor fanatismo e minore violenza.

Così, dal Trentino al Veneto, dalla Lombardia al Piemonte e all’Emilia era uncontinuo arrivare di ebrei profughi d’oltralpe, che trovavano in città più aperte ad un climadi relativa tolleranza la loro nuova patria. Torino, Saluzzo, Asti, Casale, per non parlare diVenezia, Ferrara, Mantova, Bologna, Modena ebbero modo di apprezzare il talento el’industriosità dei nuovi venuti che i Principi più avveduti non mancarono di proteggeredalle intemperanze superstiziose delle plebi e dall’accanimento della stessa Inquisizione.

Certo, gli ebrei dovevano pur sempre sottostare a numerose e spesso umiliantidiscriminazioni, da quella di risiedere nei ghetti all’obbligo di portare un segno distintivovariamente colorato, per lo più giallo, al pagamento di tasse straordinarie e suppletive cuinon di rado si aggiungevano cospicue elargizioni personali ai signori e ai loro funzionariper mitigare la durezza di nuove o improvvise disposizioni. legislative o amministrative.

La precarietà dei tale condizione non impedì agli ebrei italiani di dare un contributoimportante allo sviluppo economico, scientifico e culturale nell’età del Rinascimento (sipensi a tipografi come il Soncino).

Alla metà del XV secolo, nel 1442, il papa Eugenio IV promulgò una nuova bollanei confronti degli ebrei, che revocava i precedenti “benefici” e introduceva nuove gravirestrizioni. Vietati i contatti con i cristiani, impedito l’esercizio dell’artigianato, dellamedicina (se non per altri ebrei), dello stesso prestito, chiusi i tribunali rabbinici, vietate lecostruzioni di nuove sinagoghe.

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La bolla ebbe in realtà una solo parziale applicazione, anche grazie alla tassastraordinaria che gli ebrei romani versarono volontariamente alle casse del Pontefice, malasciò aperta la porta ad ogni successivo arbitrio “legale”.

Nel 1492 Ferdinando e Isabella, sovrani della Spagna da loro unificata e liberatadall’ultimo regno moresco di Granada, decisero l’espulsione in massa degli ebrei dai loroterritori, previa confisca dei beni e salvo immediata conversione, della cui autenticitàavrebbe valutato la sospettosa e implacabile Inquisizione.

Ne derivò l’espulsione anche dai possedimenti italiani, Regno di Napoli e Sicilia; sistima che dalla sola isola se ne andarono via per sempre circa 40 mila ebrei.

Già si è detto dell’accusa telogica di “deicidio”, peraltro mai ufficializzata dalmagistero papale, che gravò sin dai primi secoli cristiani sugli ebrei.

Ma alla fine del XII secolo in Inghilterra cominciò a circolare tra le plebi piùsuperstiziose, l’accusa di “omicidio rituale” che gli ebrei avrebbero compiuto su neonaticristiani per mescolarne il sangue alla pasta dei pani azzimi usati per il rito di Pasqua.

Sarebbe fin troppo facile osservare, anche solo sotto il profilo psicanalitico e nonstorico, la vistosa “proiezione” inconscia che vi è sottesa: i credenti di una religione cheprevede un sacrificio cruento (anche se misteriosamente metafisico) con il corpo e ilsangue del proprio Dio consumato nell’ostia eucaristica, lo attribuiscono, in sensoblasfemo e omicida, ai credenti di una fede che, al contrario, ha il tabù del sangue al puntodi imporre regole di macellazione e di alimentazione molto severe per evitarne la presenza!

Nel 1475 a Trento fu mossa agli ebrei un’accusa del genere, benché apparisseinfondata alle stesse autorità civili ed ecclesiastiche, che tuttavia non riuscirono ad evitareil rogo a tredici ebrei né ad impedire il culto del presunto fanciullo martire, Simone, cheperdurò poi per secoli.

Se il quadro della condizione ebraica in Italia appariva, nella prima metà delCinquecento, quanto meno contraddittorio, e comunque migliore di quello di molte partid’Europa, esso peggiorò irreparabilmente con l’avvio della Controriforma.

Il 15 luglio 1555 papa Paolo IV Carafa emanava la bolla Cum nimis absurdum. Puòessere interessante citarne l’inizio: «E’ assurdo e sconvolgente al massimo grado che gliebrei, che per loro colpa sono stati condannati da Dio alla schiavitù eterna, possano, con lascusa di essere protetti dall’amore cristiano e tollerati nella loro coabitazione in mezzo anoi, mostrare tale ingratitudine verso i cristiani da oltraggiarli per la loro misericordia e dapretendere dominio invece di sottomissione... ».

Seguivano poi quattordici ingiunzioni e divieti in parte nuovi in parte ripresi daprecedenti in disuso o dissapplicati, che in sostanza ribadivano il divieto di abitare se nonin ghetti chiusi di vestire in modo e con segni riconoscibili, di non praticare altra attivitàche quella di stracciarolo o cenciaiuolo, di non poter richiedere interessi da prestitosuperiori al 12% (percentuale, dati tempi e i rischi, del tutto insufficiente).

Queste misure si applicarono con lievi oscillazioni, non solo nello Stato dellaChiesa e nei domini spagnoli in Italia, ma condizionarono pesantemente anche i piccoliducati o principati (come Mantova o Ferrara) che non osavano contraddire l’autorità delPapa e del monarca spagnolo. Solo Venezia, entro certi limiti, manifestò una certaautonomia, così come il Duca di Toscana che volle anzi creare una città-porto franco,Livorno, dove gli ebrei, specie di origine spagnola, furono attirati dalle buone condizioniofferte a chiunque ne garantisse lo sviluppo economico-commerciale. Un’analogasituazione fu riservata dagli Asburgo d’Austria agli ebrei che vennero chiamati a Triesteper incoraggiarne la crescita del porto.

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Ma in generale si può dire che nel corso del Seicento e della prima metà delSettecento gli ebrei italiani vissero in condizioni di forte degrado; chiusi in ghettisovraffollati e malsani, confinati in attività marginali, inseguiti dal disprezzo popolare e daipregiudizi di origine religiosa ed economico-sociale che da secoli si accumulavano controdi loro.

Alla vigilia della Rivoluzione francese, mentre già cominciavano a spirare i ventiriformatori dell’Illuminismo, si calcola che vi fossero in Italia circa 30.000 ebrei su di untotale di 17 milioni di abitanti, meno del due per mille. La comunità più numerosa era aRoma e nello Stato della Chiesa (10.000); cui seguiva la Toscana (6.000, di cui ben 5.000 aLivorno); 4.500 nel Regno sabaudo e 3.500 a Venezia; il resto nei ducati padani (Parma,Modena, Mantova) e in altri piccoli centri.

Con l’arrivo delle armate rivoluzionarie e l’instaurazione delle repubblichegiacobine, anche agli ebrei venne garantita libertà di culto ed eguaglianza giuridica. Moltigiovani si arruolarono nella guardia civica ed altri entrarono nelle nuove amministrazionilocali.

Ciò valse peraltro, nella convinzione delle plebi più influenzabili dalla predicazionecontrorivoluzionaria del clero, ad identificare gli ebrei con gli odiati francesi e i loro amicigiacobini e quindi ad accanirsi contro di loro nel breve periodo contrassegnato dal ritirodelle armate francesi.

A Pesaro, Urbino, Pitigliano, Arezzo, Lugo, Senigallia vi furono eccidi di ebrei. ASiena arsero sul rogo, insieme all’albero della libertà, tredici ebrei.

Il ritorno di Napoleone Bonaparte e poi il trionfo dell’egemonia francesegarantirono di nuovo le libertà perdute, pur con qualche limitazione (libertà di culto inprivato; ribadita ufficialità del cattolicesimo come religione di Stato). Alla conferenzapreparatoria del Sinedrio convocato da Napoleone a Parigi nel 1806, quale assise generaledegli ebrei da riorganizzare, riformare e controllare in via amministrativa, parteciparono 29ebrei italiani.

Caduto Napoleone, la Restaurazione provvide a ripristinare l’arsenale didiscriminazioni e divieti antiebraici.

In verità, anche in questo campo, come in altri economico-sociali, il tentativo riuscìsolo parzialmente, frustrato da frequenti e più o meno estese disapplicazioni o compiacenzedi autorità che si rendevano conto di quanto potesse essere controproducente un ritornopuro e semplice al passato.

In generale si può dire che solo a Roma la Restaurazione antiebraica si dispiegassein tutta la sua durezza. Altrove, anche dove si rialzavano i muri dei ghetti, si cercava di noncalcare troppo la mano verso una minoranza del cui apporto economico e civile parevaormai assurdo privarsi.

Non può sorprendere che gli ideali liberali o addirittura democratici dei patriotirisorgimentali trovassero allora sostegno e adesione convinta tra gli ebrei. Nel corso dellecospirazioni rivoluzionarie come delle battaglie negli anni delle guerre d’indipendenza sitrovarono non pochi ebrei accanto a Mazzini e a Cattaneo a Garibaldi e a Cavour.

Fra i tanti, basti citare il nome di Daniele Manin, l’eroe della sfortunata Repubblicadi Venezia nel 1849, o la famiglia Nathan di Pisa, che sosterrà la causa mazziniana sino adare asilo nella propria casa (dove morì) al rivoluzionario, e dalla quale famiglia verràquell’Ernesto Nathan futuro sindaco di Roma.

Del resto, lo Statuto albertino, sin dal 1848 in Piemonte aveva sancito eguaglianzadi diritti anche per i non cattolici e aperto la strada alla piena e definitiva emancipazione

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degli ebrei italiani, realizzata con la nascita del Regno d’Italia nel 1861 ed estesa anche aRoma, dopo l’abbattimento dello Stato pontificio, il 20 settembre 1870.

Quella Roma dove ancora nel 1858 e nel 1864 si erano verificati – come nei secolipiù bui e intolleranti – casi di rapimenti di bambini ebrei, per essere battezzati e avviati poialla vita ecclesiastica, in spregio dei diritti e degli affetti delle famiglie d’origine enonostante l’indignazione che l’opinione pubblica internazionale aveva all’epocamanifestato.

La piena integrazione degli ebrei nella loro patria non più matrigna, dove essi sianofigli legittimi al pari di tutti gli altri, si manifestò anche attraverso il loro straordinariofervore di partecipazione ad ogni aspetto civile, economico, sociale, culturale, politico,artistico, scientifico.

Si può dire che da quel momento, e sino alle sciagurate leggi razziali volute daMussolini e dal regime fascista nel 1938, diventi quasi impossibile percepire unaspecificità civile ebraica (che certo permane come memoria tradizionale e familiare,affettiva, religiosa e culturale) nella vita dell’Italia postunitaria. Gli ebrei si dividono e siuniscono nelle scelte pratiche e ideali come tutti gli altri italiani, non in quanto ebrei.

A ciò certamente contribuiva il particolare clima culturale dell’epoca, segnato dalpositivismo e dal laicismo, incline a guardare alle tradizioni pur onorevoli e care delpassato con la sufficienza di chi è convinto che si è dischiusa un’era nuova, nella qualesoltanto il valore individuale e le conquiste della scienza e della tecnica corrispondonoall’irresistibile progresso della storia umana.

Al contrario sarà proprio la tragedia della prima guerra mondiale, che coinvolseprofondamente gli ebrei italiani al pari di tutti gli altri e poi l’avvento della dittaturafascista che imporranno una riflessione nuova.

L’identità ebraica, mai sentita in opposizione a quella nazionale, porrà l’esigenza diuna ridefinizione alla luce dei nuovi eventi e delle nuove ideologie, soprattutto delleinaudite tragedie che colpiranno due volte gli ebrei italiani: come italiani e come ebrei nellavergogna delle leggi razziali e nell’orrore della persecuzione e dello sterminio nazifascista.

Da questa breve sintesi storica appare evidente come la vicenda degli ebrei italianisi caratterizzi per alcuni aspetti particolari.

Innanzitutto l’antichità dell’insediamento, che ha reso gli ebrei a pieno titolo qualielementi costitutivi, pur nell’esiguità del numero, dell’identità nazionale italiana.

Del pari manifesta è la condizione di relativa tranquillità di convivenza, seconfrontata con quella di altri paesi d’oltralpe.

Questo innegabile dato di fatto non deve però far dimenticare la realtà di unacostante discriminazione, che ha segnato anche gli ebrei italiani, come i loro correligionarieuropei, con tutto il suo carico di violenze più o meno episodiche, di umiliazioni e divessazioni

La natura di tale relazione implica che anche in Italia il pregiudizio antiebraico, purnon così esplicito e virulento come altrove, si sia consolidato e stratificato nella coscienzacollettiva, nutrito essenzialmente di contenuti religiosi e via via rafforzato con quellieconomico-sociali e infine con un razzismo, forse più storico-culturale che biologico, maegualmente attivo e disponibile ad essere amplificato dalle direttive politiche del regimefascista.

Si potrebbe anzi osservare che tale “fondo oscuro”, sedimentato da secoli dipregiudizi opachi, dissimulati spesso da una sorta di cinica bonarietà ma mai veramenteestinti, riveli insospettate capacità di ripresa, non appena le circostanze politiche od unamutata atmosfera culturale glielo consentano.

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In questo senso, parafrasando Gobetti, si può forse affermare che anchel’antisemitismo – così come il fascismo – è stata una triste “rivelazione” della storiaitaliana.

2. La normativa fascista contro gli ebrei

La normativa razziale emanata nel novembre 1938 dal fascismo introduceva, anchenella nostra legislazione, come era già avvenuto nella Germania nazista nel 1935 con le“leggi di Norimberga”, i principi di razza e di razzismo. La difesa di una presuntasupremazia razziale italiana, allora al suo apice di potenza coloniale, su quella dellepopolazioni delle colonie italiane risulta, nella realtà, poco più che un pretesto percostringere i cittadini italiani di razza ebraica in un fitto e insidioso reticolo di norme eregolamenti atto ad individuarli, isolarli e, da ultimo, perseguitarli.

Il regime fascista non aveva aderito – come hanno rivelato alcuni studi recenti – allacrociata antisemita per legittimarsi agli occhi dell’alleato tedesco, tanto da potere parlare diun percorso nazionale al razzismo. Tracce di un sentimento di intolleranza religiosa, se nondi aperto antisemitismo, erano infatti evidenti già nei primi atti del fascismo e addiritturanel programma di San Sepolcro. Mussolini si era mosso in tale direzione spinto da unaricerca di semplificazione e polemica politica che gli aveva fatto giudicare, ad esempio, nel1917, gli eventi della rivoluzione sovietica come «la vendetta dell’ebraismo» contro ilcristianesimo affermando che «la razza non tradisce la razza ... Il bolscevismo è difesodalla plutocrazia internazionale. Questa è la sostanziale verità».

Non si può non porre l’accento sulla consonanza di temi ricorrenti nella successivapropaganda del regime, quali quelli del bolscevismo e delle plutocrazie occidentali, conradicate espressioni razziste che vedevano la luce assieme al fascismo stesso. Così mentrepremesse antiebraiche venivano adottate per interpretare i sommovimenti internazionali, ilfascismo si andava delineando come un regime totalitario di massa che si fondava su unampio e generalizzato consenso. Il richiamo al cattolicesimo come alla religione prevalentedegli italiani – contenuto nei primi documenti del movimento fascista – costituiva, nelleintenzioni di Mussolini, un importante strumento di coesione nazionale intorno al regime.Così facendo il dittatore otteneva di riavvicinare la Chiesa e la maggioranza degli italiani,di fede cattolica, al proprio governo ricucendo lo strappo della breccia di Porta Pia. Nellostesso tempo, però, egli rivestiva la sua azione politica di espressioni di intolleranza,sempre più accentuate, nei riguardi delle minoranze religiose del paese.

Non sfuggiva neppure a personalità come il torinese Ettore Ovazza, fascista edebreo, propugnatore di un fascismo ebraico, come la posizione di Mussolini verso leminoranze religiose fosse – come annotava nel proprio diario – ambigua e tentennante.L’episodio di Ponte Tresa, il 31 marzo 1934, quando alcuni giovani ebrei torinesi, aderentia Giustizia e libertà (Sion Segre Amar, Carlo Levi, Leone Ginzburg) vennero fermati alconfine italo-svizzero con materiale di propaganda antifascista, pone in luce i segni di unadiffusa sensazione di insicurezza tra gli ebrei italiani. L’accaduto aveva dato la stura allastampa di regime e non – in particolare “Il Tevere” di Telesio Interlandi – che subito parlòdi «un complotto ebraico antifascista», spingendo uomini come Ovazza ad affrettarsi – ungiorno prima che la notizia diventasse di pubblico dominio – a deplorare il caso, in untelegramma allo stesso Mussolini, ribadendo, nel contempo, la propria fedeltà e quella deisuoi correligionari al regime. Quello di Ponte Tresa è evidentemente una tappa di un piùampio processo di accerchiamento dei cittadini italiani di razza ebraica, culminato con leleggi del 1938, ma di cui era possibile percepire, seppure in modo indistinto, i contorni.

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Gli anni Trenta, e in particolare quelli a partire dal 1936, furono dominati dacontrastanti prese di posizioni nei confronti degli ebrei italiani. Il regime alternava ampierassicurazioni sulla sorte e la sicurezza degli ebrei a minacce sempre meno velate. E’ ilcaso del viaggio in Libia di Mussolini il quale, incontrando il 25 marzo 1936 il rabbinoLattes di Tripoli, sentì la necessità di dichiarare: «Dica agli ebrei di Tripoli il mio vivocompiacimento per la loro accoglienza. Gli ebrei di Tripoli possono stare tranquilli. IlGoverno fascista ... rispetterà sempre le loro tradizioni». Risulta evidente come espressionicosì rassicuranti fossero determinate da un clima di minaccia che ormai proveniva dalregime. Quella di Mussolini, insieme ad altre affermazioni di analogo tenore, riuscivanoappena a mitigare le invettive sempre più frequenti contro la “minaccia ebraicainternazionale” pubblicate sui più importanti organi di stampa, a partire dallo stessoquotidiano del fascismo “Il Popolo d’Italia”. Le rassicurazioni, da parte del regime, suldestino degli ebrei italiani erano in realtà il prodotto di una campagna antisemitaorchestrata dal fascismo stesso che di gesto isolato in gesto isolato avrebbe condottoall’emarginazione e alle sofferenze patite dagli ebrei italiani tra il 1938 e il 1945: dallapersecuzione all’internamento e allo sterminio.

Michele Sarfatti fa coincidere l’avvio della campagna persecutoria conl’“Informazione diplomatica” n. 14 del 16 febbraio 1938, dove per la prima volta vienefatto riferimento all’esistenza di un “problema” ebraico nazionale con accenni anche alladimensione della presenza ebraica sul territorio italiano. «Dato che anche in Italia –osservava Galeazzo Ciano nella sua relazione a Mussolini – esistono degli ebrei, non neconsegue di necessità che esista un problema ebraico specificatamente italiano. In altripaesi europei gli ebrei si contano a milioni, mentre in Italia, sopra una popolazione cheattinge ormai i 44 milioni di abitanti, la massa degli ebrei oscilla fra le 50-60 mila unità ...Il Governo fascista si riserva tuttavia di vigilare sull’attività degli ebrei venuti di recentenel nostro Paese e di far sì che la parte degli ebrei nella vita complessiva della Nazione nonrisulti sproporzionata ai meriti intrinseci dei singoli e all’importanza numerica della lorocomunità». (Michele Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delleleggi del 1938, Zamorani Editore, Torino 1994, p. 18). Anche se apparentementeinoffensiva l’“Informazione diplomatica” n. 14 introduceva, con ampio anticipo, alcuni epericolosi elementi discriminatori come il principio di proporzionalità all’accesso dellefunzioni direttive o generalmente operative. Negli ambienti ebraici, al contrario, ledichiarazioni contenute nell’“Informazione” vennero addirittura interpretate comeun’ulteriore conferma della volontà di Mussolini di non seguire Hitler sulla strada delrazzismo e della persecuzione.

Quasi nello stesso periodo sulle pagine della “Gazzetta del Popolo” di Torinoappariva, con lo pseudonimo di Arianus, alla cui firma si possono attribuire le prese diposizione più virulente contro gli ebrei alla vigilia delle norme del novembre e anche neglianni a venire, un’Inchiesta sugli ebrei a Torino. Nell’articolo l’autore si mostrava beneinformato sulla vita della Comunità ebraica di Torino, tanto da indicare, con una certaprecisione, la dimensione numerica della gruppo ebraico torinese ma, soprattutto, un’ampiaserie di dati sulla sua composizione professionale e, incidentalmente, sulla sua ricchezza:temi su cui avrebbe fatto leva tutta la propaganda di quegli anni e la normativa emanata dalregime. Arianus aveva avuto accesso a dati riservati ma, soprattutto, raccolti ancor primadel censimento del 22 agosto 1938, segno che il cerchio intorno ai cittadini italiani di razzaebraica aveva cominciato a stringersi di gran lunga prima della promulgazione delle leggirazziali.

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Non può non colpire la completa assonanza di toni tra l’informativa diplomatica diCiano e gli articoli, come quello apparso sul quotidiano torinese, dove si insiste, conossessione, sul numero degli ebrei in Italia ma soprattutto su cosa fanno. L’antisemitismoitaliano, come nel resto d’Europa, si era sempre fondato su un pregiudizio: quello dellaricchezza degli ebrei e della loro espansione demografica: una minaccia per gli italiani nonebrei. Sono emblematiche le parole di Giovanni Preziosi, scritte nel 1920 ma ribaditeancora nel 1944, secondo cui gli ebrei «pur essendo tra noi una minuscola minoranza – nonpiù di cinquantamila – posseggono in Italia una posizione predominante, in quanto sonopreposti alle direttive dei centri nervosi della vita nazionale. Gli ebrei sono, in Italia, allatesta di grandi banche; dànno una percentuale altissima di membri ai Consigli diamministrazione delle nostre Società Anonime; sono numerosi tra i membri del Senato edella Camera dei Deputati; occupano i primi e più importanti posti delle nostreAmministrazioni di Stato. Nel campo dell’insegnamento sono numerosissimi, e alcunedelle facoltà delle nostre Università sono divenute un loro campo chiuso. Hanno nelle maniquasi tutte le Case editrici librarie d’Italia. Molta parte dei giornali quotidiani sono nelleloro mani ... Né si dimentichi, che tutte le iniziative affaristiche, anche quelle a tintapatriottica, hanno alla loro testa un ebreo». (Giovani Preziosi, Giudaismo-bolscevismo-plutocrazia-massoneria, Milano 1944, pp. 46-47).

La promulgazione delle leggi contro gli ebrei ossia i Provvedimenti per la difesadella razza italiana, R.D.L. 17 novembre 1938, n. 1728, era stata anticipata da numeroseiniziative normative e di propaganda. Si intendeva così creare, nell’opinione pubblica, unclima favorevole all’indifferenza se non alla condivisione di quegli atti con cui il regime siprefiggeva di individuare, isolare e colpire i cittadini italiani di razza ebraica. Mussoliniraggiungeva, con la sua iniziativa razzista, il punto più alto di costruzione del consensointorno al regime. Leggi che colpivano numerosi cittadini italiani nei diritti fondamentalialla libertà individuale e alla proprietà, lasciarono indifferente il paese, se si escludono rareprese di posizione personale, raccogliendo anzi entusiastiche approvazioni.

Il dittatore non aveva trascurato neppure di adottare un’impalcatura scientifica asostegno delle proprie iniziative razziste. Abbracciando i principi del razzismo biologico,ampiamente condivisi dal nazismo ma non ancora dal fascismo, il regime promosse lapubblicazione, avvenuta il 14 luglio del 1938, del Manifesto della razza (o Manifesto degli“scienziati” razzisti) che al suo punto 9 proclama: «Gli ebrei non appartengono alla razzaitaliana». Fu questa la prima ed esplicita presa di posizione del regime a sostegno dellasvolta razzista. Il 26 luglio successivo il segretario del partito fascista riceveva isottoscrittori del manifesto, realizzato sotto l’egida del Ministero della cultura popolare –che ne fu in realtà il solo estensore sotto la diretta supervisione di Mussolini – e in cui siponevano le basi della via italiana alla persecuzione razziale. Ad assumersi laresponsabilità del manifesto furono dieci firmatari, resi noti solo ad alcuni giorni didistanza dalla pubblicazione del manifesto, tratti in parte dai ranghi dell’università: degliillustri sconosciuti se si esclude i docenti di specialità mediche Nicola Pende e ArturoDonaggio. Gli altri sottoscrittori erano poi personaggi che nulla avevano a che vedere conla loro presunta “specializzazione” razziale: un giornalista sportivo, un medico pediatralegato alla Pubblica sicurezza, un insegnante della Scuola veterinaria, un insegnante discienza dell’alimentazione e due ignoti, irreperibili anche sui più completi annuari delfascismo.

Il manifesto, pubblicato con ampio rilievo su “Il Secolo d’Italia”, avrebbeconosciuto vasta eco sui più importanti quotidiani nazionali, anzi va osservato come lapubblicazione del manifesto coincise con l’avvio delle pubblicazioni de “La difesa della

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razza” foglio di divulgazione ultra razzista diretto da Telesio Interlandi che divenne benpresto organo ufficiale dei razzisti e degli antisemiti italiani. Interlandi, autore del libelloContra Judaeos, chiamò a ricoprire l’incarico di segretario di redazione Giorgio Almirante,leader dopo la Liberazione e segretario politico fino alla seconda metà degli anni Ottantadel Msi, il partito politico cha ha sempre rappresentato – fino alla sua trasformazione inAlleanza nazionale – i sentimenti fascisti del paese. La pubblicazione del manifesto e lemodalità stesse della sua compilazione, il coro di articoli antisemiti che da quel momentoin poi avrebbero invaso tutti gli organi di informazione, caratterizzarono il razzismoitaliano per la nota dominante di cortigianeria, servilismo e opportunismo. La crudeltà e laferocia dell’antisemitismo nazista non hanno conosciuto, è vero, rivali ma quello prodottodal fascismo è stato, per molti versi, ancor più cinico e servile.

Il fascismo italiano non andava tanto per il sottile, come abbiamo visto, quando sitrattava di trovare argomenti pseudoscientifici a sostegno della sterzata razzista impressa alregime. Il manifesto degli “scienziati” razzisti sarebbe stato infatti assunto come base dellaCarta della razza nella seduta del Gran consiglio del fascismo (6-7 ottobre), ricordata aragione come la “notte dei cristalli” italiana. Il serrato dibattito di quella seduta assume unparticolare rilievo poiché è lì che vennero indicate le linee essenziali della politica e dellalegislazione “razziale” del regime e le cornici culturali e normative a cui quella si sarebbedovuta informare. I deliberati del Gran consiglio, mentre ponevano ancora in rilievo lacorrispondenza di ebraismo e sionismo con l’antifascismo internazionale, ponendo quindiin luce la “motivazione” politica dell’antisemitismo, riconoscevano criteri di grado diversonell’applicazione delle norme ancora da promulgarsi contro gli ebrei. Particolare attenzionevenne riservata alla possibilità di escludere dal rigore della legge razzista, o di mitigarne glieffetti, categorie di cittadini particolarmente meritori: quei discriminati che avrebberoconosciuto un particolare destino negli anni della persecuzione e della deportazione.

Lungo tutto il 1938, e già negli anni precedenti, il regime aveva rivelato appieno lapropria chiara e ferma intenzione di dare corso all’iniziativa razzista e antisemita con cui siandava identificando vieppiù il fascismo e, con quello, l’intero paese. Il Censimento decisodai dirigenti del regime per la mezzanotte del 22 agosto 1938 segna un tornante nellapolitica razzista impressa alla legislazione italiana. Abbiamo visto come il fascismo avesseuna consapevolezza sufficientemente precisa della presenza ebraica in Italia chel’“Informazione diplomatica” n. 14 indicava in 50-60 mila e che il censimento dell’estate1938 avrebbe collocato a 47.252. A sostegno dell’ipotesi che vede il fascismo e l’apparatoburocratico del paese già attivo nel tentativo di definire la dimensione del “problemaebraico” potremmo ricordare, ancora una volta, l’articolo di Arianus dove si parla di 3.786ebrei torinesi che una recente ricerca indica in 3.672, un numero quindi assai vicino aquello rivelato dall’articolista. Il fascismo allora conosceva il numero degli ebrei italianiancor prima di dare corso al censimento, per quali ragioni allora diede avvio alla proceduradi rilevazione demografica? Studi recenti posti dinanzi a questa stessa domanda rilevanocome il vertice fascista «in presenza di misure discriminatorie già decise nelle loro lineeessenziali ... ed avviate con sollecita determinazione ad opera di questo o quel ministeropur senza che fosse ancora stata varata alcuna misura legislativa in proposito» fosseorientato a dare corso ad «un’indagine tempestiva e mirata intesa ad agevolare lo sviluppoulteriore di un processo già in corso. Si rendeva necessaria insomma un’accurata messa afuoco su un gruppo già sommariamente individuato, intesa in primo luogo a delineare conprecisione i connotati dei singoli ebrei – visti nei rispettivi contesti familiari e sociali – e, inseconda istanza, a fare chiarezza nella zona grigia di confine tra israeliti e non, al fine disegnare una netta linea di demarcazione (il corsivo è nostro)». (Fabio Levi, Il censimento

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del 22 agosto 1938, in Id. (a cura di), L’ebreo in oggetto, Zamorani Editore, Torino 1991,p. 17)

Identificare e isolare gli ebrei, fare terra bruciata intorno a loro, innescare unacultura del timore tra i cittadini italiani di razza ebraica e, nello stesso momento, delsospetto da parte dei non ebrei: questi sembrano i compiti primari affidati al censimento del22 di agosto. Determinante fu il ruolo che assunse l’apparato burocratico centrale eperiferico: dalla fase della preparazione della rilevazione, avvolta nel più rigoroso eimpenetrabile segreto, affidata a personale selezionato in base a criteri di fedeltà eaffidabilità, alla realizzazione vera e propria del censimento e all’utilizzo dei dati cosìraccolti. Svolto con rapidità e segretezza il censimento, anticipato dall’“Informazionediplomatica” n. 18 del 5 agosto, precisato nelle sue forme di attuazione l’11 dello stessomese e ulteriormente definito il 20 e il 22, appariva all’esterno in nulla dissimile dai moltialtri censimenti, uno ancora nel 1936, che si erano via via succeduti negli anni. Anzi ilMinistero dell’interno, responsabile dell’operazione, si affrettò a dirottare le attenzionidell’opinione pubblica ricordando, in un telegramma ai prefetti, che al fine di evitarequalunque appiglio, occorreva insistere nel descrivere l’iniziativa come se fosse svolta «adesclusivo fine di studio». Tale spiegazione ebbe come risultato quello di attenuare leresistenze tra gli ebrei e di ottenere la collaborazione della gente comune a cui ilcensimento era stato presentato come un passo necessario per approdare ad unalegislazione discriminatoria di tipo “proporzionalista”. La montante “minaccia” ebraicapoteva così venire imbrigliata in un’equa proporzione tra popolazione ebraica e accesso aiposti di lavoro e alle professioni.

Al di là della facciata statistica si nascondeva, però, un meccanismo che avrebbedato, di lì a poco, i suoi frutti. Gestito come un’indagine estesa e capillare il censimento sicaratterizzava, e sono parole del sottosegretario all’interno Buffarini-Guidi, comeun’operazione «eminentemente politica» atta a isolare gli ebrei dagli “ariani” attraverso unaestensione indiscriminata dei criteri di ebraicità che obbligava i colpiti ad assoggettarsi aduna sequela, spesso umiliante, di passaggi burocratici al solo scopo di dimostrare la proprianon appartenenza alla razza ebraica. Individuati spesso sulla sola base del cognome ipresunti ebrei, che per Torino furono 6.250 contro i 3.672 colpiti poi dalle norme razziali,dovettero affannarsi a raccogliere una documentazione dispersa e lacunosa per poterprendere le distanze dagli ebrei ormai obiettivo di una gabbia normativa finalizzata allaloro emarginazione. Ponendo dei netti distinguo tra ebrei e non ebrei il fascismo otteneva,dagli “ariani”, una diffusa acquiescenza nei confronti di un regime che aveva abituato dalungo tempo la popolazione ad una rassegnata accettazione della prevaricazione. Dagliisraeliti otteneva, invece, una collaborazione fattiva, da un lato per sviare il clima disospetto che si addensava sul loro capo, confortati dal condividere quella stessa condizionedi pericolo con i non ebrei, dall’altro per dimostrare, ancora una volta e per di più in unfrangente minaccioso, la propria fedeltà allo stato e ai suoi ordinamenti.

Il censimento, coordinato dalle prefetture e condotto direttamente dai podestà che siincaricavano della rilevazione, anche porta a porta, venne compiuto con rapidità: due soligiorni di tempo erano stati concessi per la raccolta, da parte dei capi delle province, deidati. La dimostrazione di efficienza andava di pari passo con la pressione che le prefettureesercitavano sulle amministrazioni locali. Il quadro che si può dipingere è quello di unorganismo burocratico ben organizzato e ramificato capace di far raggiungere, anche nellesue periferie, gli indirizzi politici del regime. Sintomatiche furono le direttive a individuaregli ebrei assenti perché in villeggiatura, attivando le amministrazioni comunali delle piùfamose località di vacanza. L’efficienza della burocrazia risulta ancor più evidente se

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consideriamo che gli ideatori del censimento decisero di assumere un concetto di “ebreo”quanto mai estensivo; dovevano infatti essere presi in considerazione alla stessa stregua: gliiscritti alle Comunità israelitiche, gli ebrei residenti temporaneamente in città, gli israelititali anche se professanti altra o nessuna religione, gli ebrei decisisi ad abiurare “in qualsiasiepoca” e gli ebrei avvicinatisi ad altra religione attraverso il matrimonio e, infine, dovevaconsiderarsi ebreo chi discendeva anche da un solo genitore ebreo. Per centinaia di migliaiadi cittadini ha inizio così un calvario fatto di richieste di documenti a questa o a quellaamministrazione, pubblica o ecclesiastica, di solleciti e ricorsi e di attese spesso vane. Solonella sua battaglia contro la burocrazia per salvare in un primo momento i propri diritti e,in seguito, anche la vita, l’ebreo si espone al cinico sospetto e alla pubblica indifferenza,solo di fronte ad uno stato già determinato ad annientarlo.

Non si erano ancora ultimate le operazioni relative al censimento che già altreamministrazioni statali davano corso ai primi atti della normativa antiebraica. Il 1°settembre il Consiglio dei ministri decretava l’espulsione, entro sei mesi, di tutti gli ebreistranieri e ordinava la revoca della cittadinanza quando essa fosse stata conseguita dopo il1° settembre 1919. Il decreto colpiva tutti gli ebrei stranieri rifugiatisi in Italia per sfuggireal nazismo, introducendo quegli elementi di apolidia che collocavano gli ebrei nella “terradi nessuno” dei diritti; una scelta già applicata nella normativa razzista tedesca, primo attodella persecuzione contro gli ebrei in Germania. Il 2 settembre vennero promulgati iProvvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista, R.D.L. 5 settembre 1938, n.1390 in cui si prevedeva l’allontanamento degli insegnanti e degli studenti di razza ebraicadalle scuole italiane di ogni ordine e grado, Università comprese. Veniva vietata, nellostesso tempo, l’adozione di libri di testo di autori ebrei. Unica eccezione era quellariconosciuta agli studenti universitari di concludere gli studi per potersi laureare. Si volevain tal modo colpire gli ebrei nel bene per loro più prezioso, quello della cultura,destinandoli all’estinzione intellettuale ancora prima che fisica, segno di una «bestialeinciviltà e incultura» per usare le parole di Renzo De Felice.

Quando vennero emanati i provvedimenti del novembre del 1938 le linee guida delregime rispetto alla politica razzista erano ormai chiaramente delineate, si trattava solo didarne un’organica sistematicità, demandando a circolari e norme specifiche emanati di lì apochi mesi i necessari approfondimenti. Su alcuni aspetti occorre soffermare la nostraattenzione, quelli relativi al diverso trattamento riservato ad ebrei particolarmentemeritevoli e quelli concernenti le proprietà ebraiche. I discriminati, quanti potevano cioèaspettarsi dal regime un maggior favore per meriti di guerra o per benemerenze fasciste,rappresentavano certo un numero esiguo rispetto al numero degli ebrei colpiti dallanormativa razziale ma la loro presenza assunse, agli occhi del regime, un ruolo per nullamarginale. I loro vani affanni per portare in salvo la famiglia e i beni costituivano, per ilfascismo, un importante elemento di legittimazione della politica razziale appena varata.Che ci fossero ebrei nelle condizioni di poter sperare in un più mite atteggiamento e chequesti stessi si affrettassero a documentare questo loro diritto vale come unriconoscimento, persino da una parte degli stessi ebrei, della fondatezza dell’iniziativarazzista. Il loro esporsi come israeliti per rivendicare un trattamento da “ariano” non varràperò a salvarli, saranno anzi i discriminati quelli che più di altri pagheranno, dopo il 1943,con la deportazione la scelta dell’isolamento e di una più netta visibilità.

Le Norme relative ai limiti di proprietà immobiliare e di attività industriale ecommerciale per i cittadini italiani di razza ebraica, R.D.L. 9 febbraio 1939, n. 126rappresentano l’espressione forse più complessa tra la decretazione di attuazione dellanormativa del novembre 1938. Agli ebrei veniva fatto divieto di possedere proprietà

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immobiliari, di essere esercente di attività commerciali e artigianali, di essereamministratore di società e membro di consigli di amministrazione e, infine, di esercitare lalibera professione, se non per clienti ebrei. Singolare destino quello del decreto sullamateria economica, quello più in sintonia con il pregiudizio generalizzato dell’ebreo riccoma anche quello più disatteso nella sua parte attuativa, un po’ per la complessità dellastruttura finanziaria ma soprattutto per le resistenze a dare attuazione ad una norma cosìilliberale come quella che colpiva il diritto alla proprietà. Una recente ricerca sull’Ente digestione e liquidazione immobiliare (Egeli) di Torino, l’Ente che aveva il compito diamministrare i beni e le proprietà sequestrate e confiscate agli ebrei, mette in luce come ilregime, altrimenti bene informato sugli ebrei, trascuri ampie zone della proprietàimmobiliare a Torino forse perché negli anni della guerra, è il periodo 1943-1945, lamacchina burocratica si era inceppata oppure perché la burocrazia, profilandosi la fine delregime, sentiva un progressivo allentarsi della tensione e aveva considerato maturi i tempiper un cambiamento di insegne.

Con la caduta del fascismo il 25 luglio 1943 e la nascita della Repubblica socialeitaliana a Salò il 23 settembre 1943, la sorte degli ebrei si fece ancor più drammatica. LaCarta di Verona, il documento programmatico con cui si ponevano le basi della nuovo statofascista, dichiarava al punto sette: «Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri.Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica». Al dolore della persecuzione sisomma il dramma di una vera e propria caccia all’uomo qual è l’atteggiamento diMussolini, dal ‘43 in poi, verso gli ebrei; egli in tal modo sfoga tutto il suo rancore controil tradimento dell’8 settembre che imputa all’internazionale ebraica. A sostenere il regimein questo programma persecutorio, che ora giunge anche alla deportazione nei campi diconcentramento tedeschi, e nel primo campo italiano a San Saba, vi è anche la truppa dioccupazione tedesca. Si è molto discusso sull’originalità del razzismo di Salò, interpretatoda molti come una scelta indotta dall’alleato tedesco, con una presenza da comprimari deinostri connazionali. Basta, a questo riguardo, ricordare la particolare ferocia delle SSitaliane macchiatisi di massacri individuali e collettivi di violenza di gran lunga superiore aquella dei commilitoni tedeschi.

L’ampio consenso ottenuto dal regime intorno alla normativa antiebraica ci imponeora una riflessione sulla natura e gli strumenti del razzismo. E’ lecito parlare ancora diquello italiano come di un popolo refrattario al razzismo? E, ancora, la sofferenza e losgomento provati dalla civiltà dell’uomo dinanzi ad Auschwitz ci ha forse immunizzato dalripetersi di certi fenomeni, trattenendoci dal perseguitare un altro uomo solo perché diversoda noi? Quanto accaduto solo all’indomani della guerra ci porta a dire di no. Il razzismo el’antisemitismo sono sopravvissuti al fascismo ed hanno attraversato tutta la storiadell’Italia repubblicana e dell’Europa riaffiorando in anni a noi vicini. La vicenda legataalle restituzioni dei beni sequestrati agli ebrei dall’Egeli, in alcuni casi protrattasi fino aglianni Settanta, è esemplare di un atteggiamento perlomeno di disprezzo nei confronti degliebrei tornati dai campi di concentramento avendo sulle spalle i segni di un’ingiuriainguaribile e che non trovavano, in chi li aveva perseguitati, neppure un’occasione perperdonare e riconciliarsi.

Con il ritorno dai campi di sterminio gli ebrei si trovarono di fronte all’indifferenza,se non all’ostilità, di quanti erano rimasti. Gli autori di una recente ricerca parlano infatti di“ebrei invisibili”, perché tali dovevano restare se si volevano ricostruire le prime tracce diuna convivenza. Per tutti, all’indomani della guerra, la parola d’ordine fu «Dimenticare!».Per chi aveva partecipato alla persecuzione, anche da testimone, ma anche per chi l’avevasubita – per non suscitare astio tra i persecutori – l’unica strada percorribile sembrava

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quella dell’oblio. Non furono pochi gli antifascisti che all’indomani della Liberazione, acui pure avevavno partecipato ebrei come Primo Levi, non trascurò di ricordare agli ebreila loro adesione al fascismo per ribadire, con diversi argomenti, la necessità della loroemarginazione. Vi furono ebrei che, in presenza di questo invito alla cancellazione dellamemoria e in particolare nei paesi dell’Est, preferirono l’emigrazione ad un’esistenzasempre ai margini, accettando l’irreparabilità della frattura che si era procurata nella storiadi intere società. Per quanti decisero di restare si inaugurò un nuovo cinquantennio diemarginazione all’insegna di un antisemitismo rinvigorito da nuovi argomenti, come quellodi essere l’ebraismo la causa degli orrori dei regimi comunisti dell’Europa dell’Est.Troviamo così gli ebrei schiacciati tra il sospetto dei regimi socialisti di essere agentidell’internazionale capitalistica e l’ostilità della gente comune che vede nell’ebreo, animadel comunismo, la causa prima della propria sofferenza, tanto che un movimento come ilpolacco Solidarnosc ha discusso a lungo, nei primi anni Ottanta, sull’ammissibilità o menodi dichiararsi antisemita.

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