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Effigies Le mostre della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna

Leonardo's Automata

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Effigies

Le mostre della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna

Bononia University Press

Gli Automi di Leonardo

Leonardo’s Automata

di

Luca Garai

Bononia University PressVia Zamboni 25 – 40126 Bolognatel. (+39) 051 232 882fax (+39) 051 221 019

www.buponline.comemail: [email protected]

© 2007 Bononia University Press© 2007 Luca Garai

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

ISBN: 978-88-7395-278-7

Grafica: Alessio BonizzatoFotografie: Lucio Mondini (pp. 13, 15, 16, 18, 19, 30, 32, 38, 39, 40, 52, 53)

Traduzioni: Susannah UnderwoodRevisioni: William Bromwich

Stampa: Officine Grafiche Litosei

Prima edizione: novembre 2007

Sommario

7 PresentazioneFabio Roversi-Monaco

9 IntroduzionePaolo Galluzzi

11 Il leone semovente

29 L’automa musicista o il suonatore di viola

37 La Festa del Paradiso di Leonardo da Vinci

51 Bibiliografia essenziale

Questo interessante volume contiene una inedita interpretazione del meccanismo leonardesco della Festa del Paradiso (1490), basata su di un disegno autografo di Leonardo.Inoltre contiene due scritti chiari, garbati e puntuali su due automi di Leonardo che a quell’epoca, per pri-mo, individuò e spiegò gli strumenti concettuali idonei a gettare le basi dell’automazione delle macchine.Con questa bella pubblicazione la Fondazione Carisbo in Bologna intende dare inizio a una serie di ri-flessioni idonee a sviluppare gli studi sul Rinascimento a Bologna con attenzione rivolta anche a vicende e profili meno conosciuti.è da rilevare che Leonardo visitò più volte Bologna, tra il 1503 e il 1515, e che fu ospite dei Bentivoglio, i quali assistettero alla rappresentazione della Festa del Paradiso. Inoltre nel 1515 Leonardo esibì probabil-mente anche a Bologna il suo celebre automa del leone meccanico, predisposto per l’incontro che Egli ebbe con il Papa e con il re di Francia, Francesco I.La Festa del Paradiso utilizza tutti gli elementi espressivi di cui la società dell’epoca disponeva e da tut-ti Leonardo era affascinato e attratto. Non stupisca pertanto il fatto che Egli si presentò al cospetto di Ludovico il Moro (per il cui volere era stata ideata la Festa) come ingegnere militare e civile, ancor prima che come scultore e pittore. Non vi può essere migliore punto di partenza per intraprendere un viaggio in quell’epoca di ardore culturale senza pari che fu il Rinascimento.

Fabio Roversi-MonacoPresidente Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna

Presentazione

Introduzione

Questo volume segna, per così dire, il debut-to di Luca Garai nell’animato mondo de-gli studi vinciani. Debutto, invero, denso

di favorevoli auspici, anche perché caratterizzato da un’impronta di estrema concretezza. Evitando enfa-tici preamboli teorici e sottraendosi alla tentazione di spiegarci chi fosse veramente Leonardo, Garai concen-tra infatti la propria attenzione sull’analisi e sull’inter-pretazione di tre precisi progetti vinciani. Anzitutto, il leone semovente, che le fonti attestano concepito da Leonardo nel 1515 per incarico della Nazione Fiorentina di Lione come omaggio eclatante per il solenne ingresso del re di Francia Francesco I nella città posta alla confluenza tra il Rodano e la Saône. In secondo luogo, il progetto di suonatore automatico di viola, delineato in un foglio del Codice di Madrid II assegnabile ai primi anni del Cinquecento, per il qua-le Garai propone plausibilmente un’interpretazione diversa da quella suggerita da Mark Rosheim nel suo recente volume Leonardo’s lost robots. E, infine, la rico-struzione in ogni dettaglio del complesso meccanismo ideato da Leonardo per la scenografia del grandioso spettacolo, “La festa del Paradiso”, allestito nel 1490 alla Corte sforzesca per celebrare le nozze tra Galeazzo Maria Sforza e Isabella d’Aragona.In tutti e tre i casi l’intento di Garai è quello di pro-porre, sulla base di un’attenta ispezione dei disegni e delle note vinciane, ricostruzioni puntuali ed esau-rienti dei meccanismi e dei treni di movimento esco-gitati da Leonardo per realizzare questi straordinari dispositivi. E difatti l’analisi che Garai sviluppa, inte-grando efficacemente descrizioni testuali e schematiz-zazioni grafiche, permette di seguire analiticamente il ragionamento di Leonardo e di visualizzare i risultati ai quali pervenne attraverso sapienti catene cinemati-che alimentate da un’unica sorgente di movimento, in modo da generare effetti capaci di suscitare quella straordinaria stupefazione che è riecheggiata e ampli-

di Paolo Galluzzi

ficata dalle testimonianze contemporanee e delle ge-nerazioni successive.Garai ha già dato prova della robusta tenuta delle sue interpretazioni alla verifica della traduzione in modelli in carne ed ossa perfettamente funzionanti, nella mo-stra “La mente di Leonardo. Nel laboratorio del Genio Universale”, organizzata nella Galleria degli Uffizi nel 2006. Garai ha infatti coordinato l’équipe di tecnici che ha realizzato, sulla base della sua puntuale rico-struzione, un modello del leone semovente capace di compiere la complessa sequenza di azioni cinematiche descritta con ammirazione dalle fonti. Grande succes-so, quello del leone semovente di Garai, non solo a Firenze, ma anche a Tokyo, dove la mostra è stata suc-cessivamente allestita. Oggi un esemplare del modello funzionante del leone semovente, corredato da sug-gestivi sussidi multimediali per favorire l’esplorazio-ne dei suoi meccanismi e visualizzarne le prestazioni dinamiche, è depositato presso la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, che lo ha acquistato per volontà del suo Presidente, Fabio Roversi-Monaco, impegnato nella benemerita iniziativa della creazione a Bologna di un centro per lo studio e la divulgazione della cultura del Rinascimento, un settore di ricerca per il quale le tematiche vinciane costituiscono uno dei nuclei essenziali.Comune ai tre progetti vinciani oggetto dello studio di Garai è il Leonardo “profeta dell’automazione”: l’uomo accanitamente impegnato nello sforzo di im-padronirsi dei principi che governano il funzionamen-to delle macchine – di tutte le macchine – in modo da fondare su regole precise e con l’impiego dei metodi rigorosi della geometria la progettazione di congegni straordinariamente ardimentosi. Leonardo finiva così per trasformare radicalmente il modo di operare e la professionalità stessa degli ingegneri, che avevano fat-to fino ad allora affidamento nelle loro attività proget-tuali esclusivamente sull’esperienza pratica.

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La tensione verso l’automazione e lo sforzo di gene-ralizzazione rappresentano dimensioni essenziali della personalità di Leonardo. Lo attestano gli innumerevoli progetti di ambiziosi dispositivi meccanici conservati nei suoi manoscritti, che attendono ancora di essere convincentemente decifrati. E lo confermano le testi-monianze dei contemporanei, che esaltarono spesso proprio la sua inimitabile ingegnosità meccanica e il suo spirito archimedeo, giungendo a rappresentarlo in certi casi quasi con i tratti del mago, per la sua inar-rivabile capacità di piegare la natura ai propri voleri.Merito di Garai è quello di aver contribuito a dis-sodare e illuminare aspetti importanti del lavoro

vinciano sul tema dell’automazione. L’auspicio è che Garai metta le capacità delle quali ha dato prova al servizio di ulteriori esplorazioni delle meraviglie meccaniche conservate nei manoscritti vinciani. E converrà, fin da adesso, pensare a una mostra – che riscuoterebbe peraltro graditissimo successo a scala internazionale – per presentare al pubblico più vasto quali meraviglie la mente di Leonardo ardì concepi-re grazie al proprio metodo squisitamente razionale di progettazione, assistito dal ricorso sistematico alla modellizzazione grafica e alla schematizzazione geo-metrica.

1. Il leone semovente

Leonardo costruì un leone meccanico semovente che fu presentato in segno di omaggio al nuovo re di Francia Francesco I, in occasione del suo

solenne ingresso a Lione nel 1515. Un documento a stampa segnalato in una lettera di Iacopo Morelli a Giuseppe Bossi nel 1807 e passato inosservato per oltre un secolo (ad eccezione di un accenno da parte di Giovanni Galbiati nel 1920), consente di far luce sull’occasione della committenza. Si tratta della de-scrizione fatta da Michelangelo Buonarroti il Giovane di un banchetto per le nozze di Maria de’ Medici con Enrico IV, pubblicato a Firenze nel 1600, dove si ri-corda il momento in cui ai convitati apparve un fiero

leone che “prendendo moto, e sollevandosi in due, aprirsi il seno si vide, e pieno di gigli mostrarlo”1. Il Buonarroti si prendeva cura di precisare che si trat-tava di: “concetto simile a quello, il quale Lionardo da Vinci nella Città di Lione nella venuta del Re Francesco, mise in opera per la nazion’ fiorentina”. Il Buonarroti, scrivendo “per la nazion fiorentina”, intende dire che il committente di Leonardo era il governatore di Firenze, Lorenzo di Piero de’ Medici, nipote di papa Leone X e di Giuliano de’ Medici, fra-tello del papa. Il 9 gennaio 1515, giorno della morte di Luigi XII, Giuliano partiva da Roma, come ricorda lo stesso

Fig. 1. Il leone meccanico di Maillard, 1733.

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Leonardo, suo ospite in Vaticano, per andare a sposare Filiberta di Savoia, zia del futuro re Francesco I. Era il primo atto della politica di avvicinamento del papa mediceo alla Francia, che avrebbe portato all’incontro fra il papa e Francesco I a Bologna nel dicembre dello stesso anno. Nel luglio del 1515, il nuovo re faceva il proprio ingresso trionfale a Lione, calorosamente ac-colto in particolare dalla cospicua comunità fiorentina di banchieri e mercanti. Si spiega così l’intervento del governatore di Firenze, Lorenzo di Piero de’ Medici, che era patrono della comunità fiorentina a Lione, e per il quale Leonardo, proprio nel 1515, stava proget-tando un grandioso palazzo a Firenze, di fronte a quello di Cosimo il Vecchio, oggi Palazzo Medici-Riccardi. Il capolavoro tecnologico di Leonardo fu concepito e realizzato a Firenze e successivamente spedito a Lione.

Nessun accenno allo straordinario evento si è conser-vato, tuttavia, nei manoscritti di Leonardo che ci sono pervenuti. Le approfondite ricerche da me condotte presso l’Archivio Municipale di Lione non consento-no, peraltro, di stabilire se l’automa fu presentato in occasione del primo ingresso del re a Lione, il 12 luglio 1515, più avanti nello stesso anno, sempre a Lione o a Bologna, oppure nel 1517, nel contesto della entrata solenne a Lione della moglie di Francesco I, Claudia di Francia. Secondo documenti pubblicati dal Solmi nel 19042, un leone meccanico, probabilmente lo stesso di Leonardo, apparve di nuovo il 30 settembre 1517 in occasione dell’ingresso di Francesco I ad Argentan, e ancora ad Amboise nel 1518. La designazione di “me-schanicien d’estat”, meccanico del re, nell’atto d’inu-mazione di Leonardo del 12 agosto 1519 è certamente

Manovella per l’apertura degli sportelli

Eccentrico per il movimento della bocca

Canna per il movimento della testa

Scappamento per il controllo della velocità del meccanismo

Camera per il movimento della coda

Settori dentari sfalsati per azionare i tre meccanismi

Molla (il motore)

Fig. 2. Ricostruzione del leone meccanico.Pagina a fianco – Fig. 3. Modello funzionante del leone in carapesta, legno e ferro.

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un riconoscimento anche alla sua ultima meraviglia tecnologica in onore della Francia.Sul leone meccanico di Leonardo si hanno altre testi-monianze storiche che però non precisano l’occasione per la quale fu costruito. A parte la curiosa menzione del Vasari3, il Lomazzo riporta nel 1584 quanto gli aveva riferito Francesco Melzi, l’allievo che avreb-be seguito Leonardo in Francia: “una volta dinanzi a Francesco primo re di Francia fece camminare da sua posta in una sala, un Leone, fatto con mirabile artificio, e da poi fermare aprendosi il petto, tutto ri-pieno di gigli e diversi fiori”4. E lo stesso Lomazzo ricorda ancora (1590), fra le virtuosità tecnologiche di Leonardo, “il modo di far andare i Leoni per forza di ruote”5, cioè con un sistema di ingranaggi.Questa, che qui presento, è la prima ricostruzione congetturale del leone vinciano. Essa si basa sullo studio dei meccanismi di antichi automi francesi, nei quali si può supporre che sia stata registrata la me-moria del celeberrimo automa di Leonardo, la cui fortuna si può seguire nella realizzazione in Francia di macchine semoventi fino alla fine del Settecento. In particolare la nostra attenzione si è concentrata sul meccanismo del cavallo di Maillard del 1733 (Fig. 1). Tutti gli ingranaggi impiegati in quella realizzazione erano conosciuti benissimo già alla fine del 1400 e molti di essi si trovano disegnati nei manoscritti di Leonardo (Fig. 2).

Negli ultimi tre mesi del 1513 Leonardo era a Firenze dove, dietro il Palazzo della Signoria, si trovava il ser-raglio dei leoni. Per questo la strada da Piazza San Firenze alle Logge del Grano si chiama ancora oggi via dei Leoni. In un foglio del periodo francese nel Codice Atlantico, il 249 r-a [673 r], accanto a una piccola planimetria, si legge: “stanza dei leoni di Firenze”. È dunque a Firenze che con ogni probabilità Leonardo ha potuto studiare da vicino i movimenti del leone per emularli meccanicamente in maniera efficace (Fig. 3).È possibile ricostruire precisamente il tragitto della processione di Francesco I a Lione, culminato con la presentazione a sorpresa del leone meccanico. All’estremità nord si trova la Porta del Vaso, quella che si apre al corteo reale che arriva da nord. Su di essa è scolpito un leone araldico, e per questo a volte la si trova indicata come Porta del Leone. Sul frontone reca il motto dell’inizio del 1500 “un Dio, un re, una fede, una legge”. Le armi della Francia su questa por-ta furono dipinte nel 1490 da Jean Perreal, il celebre pittore noto anche per i suoi rapporti con Leonardo. Mentre Nicolas Leclerc avrebbe scolpito, intorno allo scudo, tre angeli e un leone (Archives Municipales de Lyon, cote BB 19 e BB 20). Il corteo reale procedé lungo una delle due vie principali che attraversano la città da nord a sud6 (Fig. 4). La prima strada si svi-luppa sulla riva destra della Saòne, lungo Bourgneuf,

Fig. 4. Mappa di Lione con il percorso del corteo regale.

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tra la collina e il fiume, per poi attraversare i quartieri più ampi di Saint-Paul e di Saint-Jean; il corteo poi si riunisce in rue Mercière, prosegue per rue Confort, e superata la piazza Saint-Nizier e rue Grenette punta verso il vicino centro, grazie al ponte sul Rodano, ove il corteo reale si ferma nella seconda strada principa-le, l’attuale Cours Lafayette. Il corteo era aperto dal re con la regina Claudia, il Connestabile, Renato di Francia, e il maresciallo Trivulzio, preceduti da una lunga processione di vescovi, abati mitrati, il siniscal-co, i dodici consiglieri di Lione, il procuratore, i no-tabili e infine i borghesi, tra cui i mercanti fiorentini vestiti di cremisi con doni di valore per il re, fra cui probabilmente il leone meccanico leonardesco.L’orefice Jehan Lèpere realizzò il leone d’oro offerto nel 1515 a Francesco I e le coppe d’oro donate alla regina Claudia e alla regina reggente (Archives Municipales de Lyon, cote BB, 35-cc. 638-663g). Il leone aureo era seduto e teneva tra le zampe lo scudo della città di Lione.Sembra che Jean Perreal (Fig. 5), pittore ufficiale di corte, abbia giocato un ruolo marginale nell’ingresso solenne di Francesco I. Solo un anno più tardi, tut-tavia, il 30 ottobre del 1516, il comitato eletto per organizzare l’ingresso della regina, composto da molti fiorentini e chiamato Consolato, lo incarica della de-corazione e dell’allestimento scenografico per l’entrata solenne della regina Claudia, il 2 marzo 1517, attra-verso il ponte sul Rodano.Gravi difficoltà finanziarie resero arduo il compito della città di Lione di preparare un ingresso di adegua-ta solennità per Francesco I nel 1515. La volontà di conservare i privilegi assegnati alla città da Carlo VIII, indussero tuttavia la comunità lionese a compiere uno sforzo straordinario. Le decorazioni furono affidate a Jean Yvonnet e Jean Richier. Si trattava di sette decori grandi e di otto piccoli, mentre ben cinquanta atto-ri vennero impegnati nella processione. Tra gli artisti che parteciparono all’ingresso, vi fu anche Guillaume Le Roy, probabile autore delle miniature del mano-scritto L’entrèe de Francois I, Roy de France, en la citè de Lyon le 12 julliet 1515. Il manoscritto, conservato nella Herzog August Bibliothek di Wolfenbüttel7, e mancante di alcune pagine, ha miniature che illustra-no i momenti più salienti dell’entrata del re. Non vi si trova purtroppo l’immagine del leone di Leonardo.Il leone semovente con le sue complesse evoluzioni (Fig. 6) (camminava, si sedeva sulle zampe posteriori, apriva il petto facendo fuoriuscire i gigli) destò grande impressione sui contemporanei. Il ruolo della colo-nia fiorentina nell’organizzazione dei festeggiamenti per Francesco I spiega la scelta del leone, in quanto esplicito riferimento alla madre patria: il leone – il Marzocco – è infatti il simbolo di Firenze, reso celebre

dalla scultura di Donatello. Neppure la scelta dei gigli era casuale, trattandosi del fiore che orna sia lo stem-ma di Francia, sia quello di Firenze. L’impegno della colonia fiorentina nei festeggiamenti per Francesco I aveva anche un preciso significato politico. Era un omaggio al potente monarca col quale il papa medi-ceo, Leone X, puntava ad allearsi. Non è dunque un caso che la celebrazione lionese si collochi – come già ricordato – tra il matrimonio del fratello del papa, Giuliano de’ Medici, con la zia del re, all’inizio del 1515, e l’incontro del papa con Francesco I a Bologna alla fine dello stesso anno.Probabilmente, nel momento in cui venne azionato il leone semovente dinanzi al re, fu recitata una po-esia per l’occasione, sul genere di quella che si trova riportata:

Forte fu la saggezza,per mettere su un Rampantegiacché amore che lo circondal’aveva scelto a parte,tratto nell’età più convenienteche poteva avere tra cento.(Fort fut la sagesse / Pour percer ung rampart / Car amour qui la gesse / L’avoit choysie à part, / Traict a l’age plus décent / Avoit entre cent.)8

Oltre alla sua natura di Wunderkammer, il leone in-ventato da Leonardo è importante nella storia della scienza per due motivi: il meccanismo a contrappeso dell’automa, e il suo “scappamento”, le due invenzio-

Fig. 5. Jean Perreal, miniatura del Petit Livre d’Amour di Pierre Sala.

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ni necessarie per poterlo fare funzionare. Entrambi i dispositivi sono disegnati nei codici di Leonardo (Figg. 7 e 8): potevano essere stati da lui impiegati per realizzare il suo leone, così come io ipotizzo nella mia ricostruzione.Queste soluzioni tecniche suggeriscono di predatare e attribuire a Leonardo l’invenzione dell’orologio a pen-dolo, il quale per funzionare necessita del suo scappa-mento e del contrappeso, e di sottolineare il decisivo contributo di Leonardo. L’invenzione dell’orologio a pendolo viene tradizionalmente attribuita a Christian Huygens, che l’avrebbe messo a punto nel 1673 (Fig. 9).Bisogna tuttavia riconoscere che non abbiamo di-segni di Leonardo che mostrino l’uso accoppiato di un meccanismo a contrappesi e di uno scappamento finalizzati alla realizzazione di un orologio a pendo-lo. D’altra parte anche per la nostra ricostruzione del leone abbiamo utilizzato separatamente (in due dif-ferenti ordini di sistemi) lo scappamento e l’idea del contrappeso.Il Padre Boffito, in Gli strumenti della scienza, o la scienza degli strumenti, è stato tra i primi ad attribuire a Leonardo meriti rilevanti nel perfezionamento degli orologi meccanici:

Una divisione del tempo, a parere di Leonardo, più conveniente ed una misura più esatta che non permettessero gli orologi a polvere, ad acqua ed a ruote allora in uso, furono assiduo scopo delle sue ricerche: egli ben s’avvide che se i vecchi metodi di scappamento valevano a moderare quegli oggetti, cosicché non si scaricassero con soverchia solleci-tudine, non li regolavano; insegnò come potessero evitarsi le scosse ed applicò il bilanciere; anzi per un momento, come ne fanno fede alcuni schizzi del Codice Atlantico, ebbe la felicissima intuizione di giovarsi del pendolo; e poiché altrove ritorna su certe relazioni tra questo e gli orologi, non devesi escludere del tutto che, sotto qualche forma, egli siasi spinto più in là.

Recentemente, nel gennaio 2006, Jill Burke ha pub-blicato un articolo9 nel quale esamina un documento da lui ritrovato alla Biblioteca Nazionale di Firenze su di un leone meccanico che Leonardo realizzò nel 1509 per l’ingresso del re Luigi XII a Milano. Ecco il testo del documento (Fondo Principale II.IV.171):

In sulentrata del Re in milano, oltre ad altre ghale, Lionardo da Vinci, pictor famoso e nostro fioren-tino excogitò una tale intromesse. Figurò un lione,

Fig. 6. Treno dei movimenti della camminata.

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sopra la porta, el quale giacendo, alle venute del re si levò in pie: e colla brancha s’appersi il pecto e di quello trasse palle azzurre piene di gigli d’oro; quali gittò e seminò per terra. Dipoi si trasse il cuore e premendolo n’uscire mediamente gigli d’oro. A di-mostratione come marzoccho dei fiorentini figurato per tale animale haveano piene le viscere di gigli: fermòssi oltre ad tale spectacolo piaqueli e molto se ne allegrò.

Questa sembra la descrizione di un altro leone inven-tato precedentemente da Leonardo, che non cammi-nava, ed era probabilmente dotato di un meccanismo più semplice. Dalla posizione a quattro zampe il leone si elevava sulle due posteriori, grazie ad un’asta a ci-lindro che si alzava dal livello del piano, spostando in alto la parte anteriore del corpo. Un meccanismo simile è illustrato dalla figura successiva di un automa del 1600 conservato in un museo inglese (Fig. 10).Quando il re entrò a Milano, dopo la vittoria di Agnadello, tutta la città si riempì di speranze e di entusiasmo. Luigi XII fece il suo ingresso il 1° luglio del 1509. Oltre al leone, la città gli offrì ricostruzioni pittoriche della vittoriosa impresa bellica sui venezia-ni, nemici dei milanesi. Storie dipinte, palazzi e vie apparecchiate a festa, con il determinante contributo

di Leonardo, come l’Oltrocchi ha dedotto dalla insi-stenza sulla straordinaria qualità delle storie descritte dal testo latino di Bernardino Arluno, nella Storia de Bello Veneto10:

Erecti quippe triumphales arcus recolendum ma-iestate sua Ludovicum, rerumque magnificentia gestarum admirabilem, dum sese Jovis in arcem ex delubro Virginali recipit triviis compitisque pro-gressum excipiebant: ibi totius belli series disposta, effigiataeque levibus penicillis imagines intervive-bant: digesta membratim per tabulas forosque con glutinati belli materia discernebatur: reflorescebant vegeti spiritus redivivaque Ludovico ferocitas inso-lescebat, cum sese tanto apparatu totque legionibus oppositum hosti terra marique potentissimo pictura planiore relegeret: […] Suos inibi Proceres de re bel-lica disserentes omnemque suscepti finiendique bel-li rationem diligentius explicantes admirabatur: se quoque medium inter eos sedentem exigentemque de re dubia singolorum opinionem […]. Incredibili voluptate spectabat: nec procul insertis pontis compage fluminisque traiectu restrictos hostes at-tonitosque proruentium impetu Gallorum con-spicabantur horrentem Livianum immitique pic-turae vultu praeferocem cunctatorem Petilianum, prudentesque togatos inter bellatores ducturesque fortissimos agentes cernebat […]. Ludovico vero consiliis eorum insultabundus adversabatur, in ip-saque picturati staminis lecitone cuneis omnibus impulsis suaque ad mota acie diffusam hostilem militiam imprimebat, scindebat, sternebat: artifi-cum praedoctae manus tantoque opere exaequando laboriosae suspensas miris modis lineas inducebant, conflectebant, dirrigebant: tum vivis coloribus et spirante fuco diversarum formarum imagines spe-ciesque rerum mollissimas in ipsos motus palpitan-tibus venis ac membris connitentibus animabant; crederes equos tinnire, plangere solum, sanguinem fluere; praecipites hinc Gallos, ruentes illinc vene-tos, distentis telis, excitisque viribus concorrere, permisceri, confligere: adeo exacta omnia, suisque finibus terminata, insuflato coloribus spiritu fervens pictura vegetabat […]. At in ipsa spetaculorum se-rie praeculto pollice digesta omnia viventibusque li-neis effigiata multo lumine corruscabant longo esa-mine spaciosisque marginibus illustria viri facinora censebantur et cum admiranda omnia spectatores olim audissent nunc omnia cominus admirabilio-ra cernebant, atque cum singula magni Ducis acta prospicerent, tantoque sudore, ac sanguine madido set irrorantes artus intuerentur captivum protinus

Fig. 7. Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, f. 388 v-a (1077 r) (particolare). Schema di orologio a contrappeso.

Alle pagine seguenti – Fig. 8. Leonardo da Vinci, Codice Madrid I, f. 9r. Scappamenti.

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et ad pedes Regis stantem Livianum suspiciebant […] exinde profugi milites confusaeque omnium bellatorum turmae tanti viri captura, tantoque abis-so Duce ex ipsis picturae claustris amentes alienique protinus erumpebant […]. Harum tali erat rerum species talique adumbratae artificis ministerio fi-gurae colribus infusis viventes agebant: allectabat animos voluptate titillantes miraculorum speciosa lectio. Sed inter omnes Rex ipse magno singulis spectaculorum intersticiis affectu distinebatur: tum vero laetitiis omnibus incessit extimuitque pleno dilatatus impetu, cum ad ipsam Jovis arcem de-ventum est. Ibi caelo moles educta stabat, arcuque conflexa triplici fornicabatur: bipartenti capacissi-moque Regem adita gratanter excipiens universus terrarum orbis axe commuto tremefactisque cardi-nibus adventanti Ludovico patebat, imperantique praecelso troni sui fastigio parere reverenter acclina-rique cuncta videbantur. […] Haec variis impressa praescriptaque figuris Ludovicus seriatim perlegens, omnemque summa cum voluptate picturam ex alto perlustrans flaccidi set inanibus oculos nutrimenti pascebat.

Segue la prima traduzione in italiano:

In verità gli archi trionfali che erano stati eretti acco-glievano Ludovico, uomo da onorare per la sua ma-està e ammirevole per la magnificenza delle imprese compiute, che avanzava attraverso trivi e crocicchi mentre si dirige dal tempio della Vergine alla rocca di Giove: qui prendeva vita la sequenza ben ordinata degli episodi di tutta quanta la guerra, e le immagini rappresentate con fini pennelli: trattato pezzo dopo pezzo, attraverso le tavole e le celle era diviso l’argo-mento della guerra racchiusa nel suo insieme: rifio-rivano i vigorosi spiriti e insuperbiva in Ludovico la rediviva fierezza rivedendo in una rappresentazione assai chiara se stesso opposto con tanto grande appa-rato e tante legioni al nemico potentissimo per terra e per mare: [...] sempre lì ammirava i suoi nobili che discutevano di questioni belliche e che con gran-de diligenza esponevano tutti i motivi per iniziare o cessare la guerra [...] e guardava con incredibile piacere anche se stesso che sedeva in mezzo a loro e su una questione dubbia richiedeva l’opinione di ognuno [...]; e non lontano osservavano i nemici oppressi dalla struttura del ponte inserito e dalla traversata del fiume, e attoniti per l’assalto dei Galli che si scagliavano contro, l’agghiacciato Liviano e il circospetto Petiliano fierissimo nell’espressione del dipinto, e scorgeva i prudenti uomini di legge che operavano tra guerrieri e valorosissimi comandanti [...] Ludovico invero insolente si opponeva alle loro decisioni, e nella lettura stessa della fibra dipinta Fig. 9. L’orologio a pendolo di Huygens, 1673.

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dopo aver spinto in avanti tutti i cunei [scil. dispo-sizione di battaglia a forma di cuneo] e aver messo in movimento la sua schiera schiacciava, divideva e prostrava l’estesa milizia dei nemici; le mani degli ar-tisti assai esperte e laboriose nell’eguagliare un’opera tanto grande tracciavano, incurvavano, stendevano linee leggere; allora con colori vivi e col soffio vitale della tintura animavano le immagini delle diverse figure e le aggraziatissime rappresentazioni delle cose con le vene palpitanti e le membra sotto sforzo in vista dei movimenti stessi; avresti creduto che i cavalli nitrissero, che il suolo piangesse, il sangue scorresse; da un lato i Galli a capofitto, dall’altro i Veneti stramazzanti, le armi scagliate, gli uomini eccitati correre, mescolarsi, combattere; a tal punto, fervente dello spirito vitale infuso dai colori, la pit-tura animava tutte le cose, che erano complete e ben fissate entro i propri confini […]. Ma nella sequenza stessa delle rappresentazioni tutte le cose, ripartite dalle dita raffinatissime e raffigurate con linee che sembravano vive, brillavano per la molta luce: le il-lustri imprese dell’uomo erano computate dalla lun-ga schiera e dagli ampi margini, e mentre un tempo gli spettatori avevano udito con le orecchie tutte le cose ammirevoli, ora loro vedevano da vicino cose tutte ancora più ammirevoli, e osservando i singoli atti del grande comandante, e scorgendo le membra madide e bagnate di così tanto sudore e sangue, am-miravano da vicino Liviano fatto prigioniero e fer-mo ai piedi del re […] e dopo di ciò soldati in fuga e le torme di tutti i guerrieri allo sbaraglio a causa del-la cattura di così grande uomo. E avendo perso un comandante così grande, subito dopo si scagliavano fuori dalla prigionia stessa della pittura, fuori di sé e alienati […]. L’aspetto di queste cose era tale, e le figure, tracciate da tale esecuzione dell’artista, grazie all’infusione dei colori si comportavano come fosse-ro vive; la magnifica lettura affascinava gli animi che si dilettavano col piacere delle meraviglie. Ma fra tutti il re stesso era trattenuto con grande commo-zione da ciascun intervallo delle rappresentazioni; in verità si levò da ogni letizia ed ebbe paura allarga-to da un pesante impeto quando pervenne alla rocca stessa di Giove. Lì se ne stava la mole condotta giù dal cielo, e fornicava piegata in arco triplice; tutto quanto il mondo accogliendo con gioia il re, dopo che si era smosso lo spaziosissimo asse a due battenti e si erano scossi i cardini, si apriva al sopraggiungere di Ludovico, e tutte le cose sembravano obbedire con reverenza e inchinarsi all’imperatore, altissimo per il fastigio del suo trono […] Ludovico esami-nando in sequenza queste cose impresse e delineate in varie figure e guardando dall’alto con attenzione ogni pittura nutriva con grande piacere gli occhi con alimenti languidi e incorporei.

Note al testo

1 Michelangelo Buonarroti il Giovane, Descrizione delle feli-cissime nozze Della cristianissima Maestà di Madama Maria Medici Regina di Francia e di Navarra, Firenze, Giorgio Marescotti, 1600, p. 10.2 E. Solmi, Documenti inediti sulla dimora di Leonardo da Vinci in Francia nel 1517 e 1518, in Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, 1904-1905, parte II. E an-cora, Firenze, La Voce, 1924.3 G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti Pittori, Scultori e Architetti, Firenze, Giunta, 1568: “onde pregato Leonardo di far qual-che cosa bizzarra, fece un lione, che caminò parecchi passi, poi s’aperse il petto e mostrò tutto pien di gigli”.4 G.P. Lomazzo, Trattato dell’Arte della Pittura, Scultura et Architettura… diviso in sette libri, Milano, Gottardo dal Ponte, 1584.5 Id., Idea del Tempio della Pittura, 1590.6 Le due vie principali che attraversano la città sono già evi-denti nella carta di Lione del 1547, conservata all’Archivio Municipale di Lione, e sono molto più antiche.7 Ms. 86.4 extravagantium, Biblioteque Ducale de Wolfenbuttel.8 G. Guigue, L’Entree de Francois Premier… en la cité de Lyon, Lyon, 1899.9 J. Burke, Meaning and Crisis in the Early Sixteenth Century: Interpreting Leonardo’s Lion, in «Oxford Art Journal», 29 gen-naio 2006, pp. 77-91.10 S. Ritter, Baldassarre Oltrocchi e le sue memorie storiche su la vita di Leonardo da Vinci, Roma, Loescher, 1925, pp. 33-35.

Fig. 10. Leone meccanico che si eleva, scudo snodabile, XVII se-colo.

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The automatic lion

Leonardo built an automatic me-chanical lion that was presented in homage to the new King Francis I of France on the occasion of his solemn entry into Lyon in 1515. A printed document mentioned in a letter from Iacopo Morelli to Giuseppe Bossi in 1807, unnoticed for over a century (with the exception of a reference by Galbiati in 1920), enables us to shed light on the circumstances of the com-mission. This document was a descrip-tion by Michelangelo Buonarroti the Younger of a banquet for the marriage of Maria de’ Medici and King Henri IV of France, published in Florence in 1600. It describes the moment when a fierce lion appeared to guests: “as it moved, and rose in two parts, the chest opened and one could see that it was full of lilies”1. Buonarroti took care to specify that it was “a similar concept to that which Leonardo da Vinci pro-duced for the Florentine nation in the City of Lyon for the arrival of King Francis”. Buonarroti, writing “for the Florentine nation”, would have been well aware that Leonardo’s client was the governor of Florence, Lorenzo di Piero de’ Medici, the nephew of Pope Leo X and Giuliano de’ Medici, the Pope’s brother. On 9 January 1515, the day of Louis XII’s death, Giuliano left Rome, as noted by Leonardo, who had been his guest at the Vatican. Giuliano was on his way to marry Filiberta of Savoy, the aunt of the fu-ture King Francis I. It was the first step in a policy of getting closer to France by the Medici Pope, that was later to lead to a meeting between the Pope and Francis I in Bologna in December the same year. In July 1515, the new King made his triumphal entry into the city of Lyon, and was warmly wel-comed, particularly by the substantial Florentine community of bankers and merchants. This explains the inter-vention of the governor of Florence, Lorenzo di Piero de’ Medici, who was a financial backer of the Florentine community in Lyon, and for whom Leonardo, again in 1515, designed a magnificent palace in Florence, oppo-site that of Cosimo the Elder, the old Palazzo Medici.

Leonardo’s technological masterpiece was devised and created in Florence, and later sent to Lyon. No reference to this extraordinary event remains, how-ever, in Leonardo’s manuscripts. The in-depth research that I carried out in the Municipal Archive of Lyon does not enable us to establish whether the automatic device was presented on the occasion of the King’s first entry into Lyon, on 12 July 1515, or later the same year in Lyon or Bologna, or even in 1517, in connection with the solemn entry into the city of Francis I’s wife, Claude of France. According to docu-ments published by Solmi in 19042, a mechanical lion, probably Leonardo’s, appeared again on 30 September 1517 on the occasion of Francis I’s entry into Argentan, and again when he entered Amboise in 1518. The appointment of “meschanicien d’estat”, the King’s mechanic, when Leonardo was buried on 12 August 1519, was surely also a recognition of his recent technological marvel in honour of France.There is more historical evidence of Leonardo’s mechanical lion, but none of it specifies the occasion for which it was built. Besides the curious men-tion by Vasari3 (1550 and 1568), Lomazzo recalled in 1584 what he had heard from Francesco Melzi, the pu-pil who followed Leonardo to France: “once, in front of Francis I, the King of France, he made a Lion, made with a marvellous mechanism, walk from its place in a room, and then it stopped and opened its chest, which was completely full of lilies and other flowers”.4 Lomazzo also recalls (1590), among the technological virtuosi-ties of Leonardo, “the way of making Lions move using wheels”,5 or rather a system of cogs.

This study is the first conjectural re-construction of Leonardo da Vinci’s lion. It is based on the study of the mechanisms of French automatons from the period, when it may be sup-posed that the memory of Leonardo’s renowned automaton was still fresh. Its destiny can be followed in the crea-tion of automatic machines in France, up to the end of the eighteenth centu-ry. In particular, our attention focuses on the mechanism of Maillard’s horse of 1733 (plate 1). All the cogs used in

that device were already well known at the end of the fifteenth century, and many of them can be found in draw-ings in Leonardo’s manuscripts (plate 2).

During the last three months of 1513, Leonardo was in Florence, where a menagerie of lions was located behind Palazzo della Signoria. For this rea-son, the road leading from Piazza San Firenze to the Logge del Grano is still called Via dei Leoni. On a sheet of pa-per from the French period, in Codex Atlanticus, 249 r-a (673 r), next to a small plan, the words “room of the li-ons of Florence” appear. It is therefore extremely likely that it was in Florence that Leonardo was able to study the movements of lions closely, in order to emulate them mechanically in an ef-fective way (plate 3).It is possible to reconstruct precisely the route of Francis I’s procession to Lyon, culminating in the surprise presentation of the mechanical lion. In the far north of the city stood the “Vase Gate”, which opened to let in the royal procession as it arrived from the North of France. A heraldic lion was sculpted on the gate, and for this reason it is sometimes referred to as the “Lion’s Gate”. The pediment bears the motto from the beginning of the sixteenth century: “One God, one king, one faith, one law”. The arms of France were painted on this gate in 1490 by Jean Perreal, the famous painter who was also well known for his friendship with Leonardo. The three angels and a lion, carved around the shield, were sculpted by Nicolas Leclerc (Archives Municipales de Lyon, cote BB 19 and BB 20). The royal procession continued along one of the main roads that crossed the city from North to South (plate 4)6. The first road ran along the right bank of the River Saône, along Borgneuf, between the hill and the river, before cutting through the larger neighbour-hoods of Saint-Paul and Saint-Jean. The procession was then reunited in Rue Mercière, before going along rue Confort, and across Saint-Nizier square and rue Grenette towards the near centre, thanks to the bridge over the Rhône, where the royal procession stopped on the second main road, to-

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create his lion, as I conjecture in my reconstruction.

Conceptually, this shifts backwards, and attributes Leonardo with the in-vention of the pendulum clock, which needs an escapement and counterbal-ance in order to work. The invention of the pendulum clock is traditionally attributed to Christian Huygens, in 1673 (see Ernst Mach, The Science of Mechanics).It is also true that we have no surviv-ing drawings by Leonardo showing the combined use of a counterbalance mechanism and an escapement for the creation of a pendulum clock. Also for our reconstruction of the lion, we used the escapement and the idea of counterbalance separately (in two dif-ferent systems).Padre Boffito in Gli strumenti della sci-enza o la scienza degli strumenti (The instruments of science or the science of instruments), writes: “In Leonardo’s opinion, the constant aim of his re-search was to achieve a more suitable division of time, and a more accurate measurement, neither of which were permitted by the clocks which were then in use, which functioned using sand, water or wheels. He realised that if the old methods of escapement were used to moderate those objects, so that they did not run down excessively quickly, they did not set the time. He showed how it was possible to avoid jars and applied a balance wheel. Or rather, for a moment, as vari-ous sketches in the Codex Atlanticus show, he had the fortunate intuition of making use of a pendulum. Since elsewhere he returns to certain links between these and other clocks, we must not rule out the possibility that, in some way, he went further”.

Recently, in January 2006, Jill Burke published an article9 (Oxford Art Journal, 29 January 2006, pp. 77-91), in which she examined a document found in the Biblioteca Nazionale (National Library) in Florence about a mechanical lion which Leonardo created in 1509 for the entry of King Louis XII into Milan. The document says (Fondo Principale II.IV.171):“For the King’s entry into Milan, as well as other performances, Leonardo

The automatic lion with its complex functions (plate 6) (it walked, sat on its hind legs, and opened its chest with lilies coming out of it) made a great impression on its contemporaries. The role of the Florentine colony in the organisation of the celebrations for Francis I explains the choice of the lion, as an explicit reference to the mother-land: the lion, known as “il Marzocco” is the symbol of Florence, and it was made famous by Donatello’s sculpture. The choice of lilies, or fleur-de-lis, was not incidental either, as the flower was the coat of arms both of France and of Florence. The involvement of the Florentine colony in the celebra-tions for Francis I also had a specific political significance. They were pay-ing homage to the powerful monarch, with whom the Medici Pope, Leo X, hoped to form an alliance. It was not by chance that the Lyonese celebration took place, as has been mentioned, between the marriage of the Pope’s brother, Giuliano de’ Medici to the King’s aunt, at the beginning of 1515, and the Pope’s meeting with Francis I in Bologna at the end of the same year. Probably, when the automatic lion was set in motion in front of the King, the following poem was recited for the occasion, based on what has been reported:8

It was very wise,To set up a Rampant Lion,Since the love which surrounded itHad been chosen separately,A gesture in the most suitable ageWhich it could have had among one hundred.(Fort fut la sagesse / Pour percer ung rampant / Car amour qui la gesse / L’avoit choysie à part, / Traict a l’age plus décent / Avoit entre cent.)

As well as inducing wonder and amazement, the lion invented by Leonardo is also important in the his-tory of science for two reasons. These are: the counterbalance mechanism of the automaton, and its “escapement”, the two inventions necessary for mak-ing it work. Both are drawn in sepa-rate figures in the codes of Leonardo. (plate 7 and 8). Therefore they were known to Leonardo and may have been used by him together in order to

day known as Cours Lafayette. The procession consisted of the King with Queen Claude, the Constable, René of France, and the Marshal of France, Trivulzio. They were preceded by a long procession of bishops, mitred ab-bots, the seneschal, the 12 councillors of Lyon, the procurator, the notables and lastly the bourgeois bearing gifts for the King, including the Florentine merchants dressed in crimson with precious gifts, probably including Leonardo’s mechanical lion.The goldsmith Jehan Lèpere created the golden lion presented to Francis I in 1515, as well as the golden cups given to Queen Claude and the Queen Regent (Archives Municipales de Lyon, cote BB, 35, cc 638-63g). The golden lion was seated and held the shield of the city of Lyon in its paws.It seems that Jean Perreal (plate 5), the official court painter, played a mar-ginal role in Francis I’s solemn entry into the city of Lyon in 1515. Only a year later, however, on 30 October 1516, the Council elected to organise the entry of the Queen, that included many Florentines and was known as the Consulate, entrusted Perreal with the task of producing the decoration and stage design for the solemn entry of Queen Claude, on 2 March 1517, across the bridge over the Rhône.

Serious financial difficulties made it hard for the city of Lyon to prepare a suitable solemn entry for Francis I in 1515. However, the desire to pre-serve the privileges given to the city by Charles VIII led the Lyonese commu-nity to make a great effort. The deco-rations were entrusted to Jean Yvonnet and Jean Richier. There were seven big decorations and eight smaller ones, while around 50 actors were involved in the procession. Guillaume Le Roy, who is in all probability the author of the miniatures in the manuscript L’entrée de François I, Roy de France, en la cité de Lyon le 12 juillet 1515, was among the artists who took part in the entry. The manuscript, housed in the Herzog August Bibliothek in Wolfenbüttel,7 has a few pages miss-ing, but it includes miniatures illus-trating the most salient moments of the King’s entry. Unfortunately there is no image of Leonardo’s lion.

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da Vinci, the famous Florentine paint-er, devised an intervention. He created a lion, above the gate, which was ly-ing down, and then stood up as the King entered the city: with its claws it opened its chest and drew out some blue spheres full of golden lilies, which it then threw down and scattered on the ground. Then it dragged out its heart and pressing it, made more golden lilies come out. The Marzocco of the Florentines symbolised by that animal had its innards full of lilies: the King stopped in front of this perform-ance, which he found very pleasing, and it made him very cheerful”.This appears to be the description of an earlier, different lion, invented by Leonardo, that did not walk, and that was probably equipped with a simpler mechanism. From a lying down posi-tion, the lion appeared to rise up on its hind legs, thanks to a cylinder-shaped rod that rose from the ground level, and moved the front part of the lion’s body upwards. A similar mechanism is illustrated in the plate 10 of an au-tomaton from 1600, preserved in an English museum.When the King entered Milan, the entire city was full of hope and enthu-siasm for the man who had conquered the Venetians, who had been the un-defeated enemies of the Milanese for a long time. After his victory at Agnadello, Louis XII made his entry on 1 July 1509. In addition to the lion, he also saw painted stories and build-ings and roads which were decorated for a feast. It seems that these decora-tions were carried out by Leonardo, as Oltrocchi concluded from the follow-ing Latin text by Bernardino Arluno, in the Storia de Bello Veneto (History of the Venetian War):10 “Erecti quippe triumphales arcus recolendum maies-tate sua Ludovicum, rerumque mag-nificentia gestarum admirabilem, dum sese Jovis in arcem ex delubro Virginali recipit triviis compitisque progressum excipiebant: ibi totius belli series dis-posta, effigiataeque levibus penicillis imagines intervivebant: digesta mem-bratim per tabulas forosque con glu-tinati belli materia discernebatur: re-florescebant vegeti spiritus redivivaque Ludovico ferocitas insolescebat, cum sese tanto apparatu totque legionibus oppositum hosti terra marique poten-

tissimo pictura planiore relegeret: […] Suos inibi Proceres de re bellica disser-entes omnemque suscepti finiendique belli rationem diligentius explicantes admirabatur: se quoque medium in-ter eos sedentem exigentemque de re dubia singolorum opinionem […]. Incredibili voluptate spectabat: nec procul insertis pontis compage flu-minisque traiectu restrictos hostes attonitosque proruentium impetu Gallorum conspicabantur horrentem Livianum immitique picturae vultu praeferocem cunctatorem Petilianum, prudentesque togatos inter bella-tores ducturesque fortissimos agentes cernebat […] Ludovico vero consiliis eorum insultabundus adversabatur, in ipsaque picturati staminis lecitone cuneis omnibus impulsis suaque ad mota acie diffusam hostilem militiam imprimebat, scindebat, sternebat: ar-tificum praedoctae manus tantoque opere exaequando laboriosae suspen-sas miris modis lineas inducebant, conflectebant, dirrigebant: tum vivis coloribus et spirante fuco diversarum formarum imagines speciesque rerum mollissimas in ipsos motus palpitan-tibus venis ac membris connitentibus animabant; crederes equos tinnire, plangere solum, sanguinem fluere ; praecipites hinc Gallos, ruentes illinc venetos, distentis telis, excitisque viri-bus concorrere, permisceri, confligere: adeo exacta omnia, suisque finibus terminata, insuflato coloribus spiritu fervens pictura vegetabat […]. At in ipsa spetaculorum serie praeculto pol-lice digesta omnia viventibusque lineis effigiata multo lumine corruscabant .longo esamine spaciosisque margini-bus illustria viri facinora censebantur et cum admiranda omnia spectatores olim audissent nunc omnia cominus admirabiliora cernebant, atque cum singula magni Ducis acta prospicer-ent, tantoque sudore, ac sanguine ma-dido set irrorantes artus intuerentur captivum protinus et ad pedes Regis stantem Livianum suspiciebant […] exinde profugi milites confusaeque omnium bellatorum turmae tanti viri captura, tantoque abisso Duce ex ipsis picturae claustris amentes alienique protinus erumpebant […]. Harum tali erat rerum species talique adumbratae artificis ministerio figurae colribus in-fusis viventes agebant: allectabat ani-

mos voluptate titillantes miraculorum speciosa lectio. Sed inter omnes Rex ipse magno singulis spectaculorum in-tersticiis affectu distinebatur: tum vero laetitiis omnibus incessit extimuitque pleno dilatatus impetu, cum ad ipsam Jovis arcem deventum est. Ibi caelo moles educta stabat, arcuque conflexa triplici fornicabatur: bipartenti ca-pacissimoque Regem adita gratanter excipiens universus terrarum orbis axe commuto tremefactisque cardinibus adventanti Ludovico patebat, imper-antique praecelso troni sui fastigio parere reverenter acclinarique cuncta videbantur. […] Haec variis impressa praescriptaque figuris Ludovicus se-riatim perlegens, omnemque summa cum voluptate picturam ex alto per-lustrans flaccidi set inanibus oculos nutrimenti pascebat”.

Translation“In actual fact the triumphal arches that had been constructed were intend-ed to welcome Ludovico, who was to be honoured for his dignity and who could be admired for the magnificence of his achievements, which proceeded through crossroads and junctions on their way from the temple of the Virgin to the fortress of Jupiter. Here a care-fully ordered sequence of the events of the whole of the war took shape, with the images depicted using fine brush-es. Piece after piece, using the panels and the cells, the topic of the war as a whole was divided. The determined attitude flourished and Ludovico was proud of the restored dignity, seeing once more a very clear representation of himself facing the extremely power-ful enemy on land and sea with lots of war machines and many legions … He is shown admiring his nobles who were discussing the issues of the war and carefully explaining all the reasons for starting or stopping the war […] and he watches with great pleasure as he himself sits in their midst and asks each one for their opinion on a doubtful point […] Not far away, the horrified Liviano and the wary Petiliano with a very proud expression in the painting observe the enemies oppressed by the structure of the con-nected bridge and by the crossing of the river, as they are dumbfounded by the attack of the Gauls who are hurl-

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ing themselves against them. Petiliano caught a glimpse of the wise lawyers who worked amongst warriors and very courageous commanders… In truth Ludovico was very insolent and opposed their decisions, and in the same interpretation of the painted panel, after having pushed forwards all the wedges (battle formations in the form of wedges), and having put his crushing formation into action, he di-vided and laid low the vast army of the enemies. The expert and industrious hands of the artists showed great abil-ity when it came to producing such a big work, as they drew, curved and drafted fine lines. Then with bright shades and the crucial inspiration of colour they gave life to the images of the various figures and the extremely graceful depictions of things with throbbing veins and tense limbs show-ing real movement. You can almost hear the horses neighing, and see the land suffering and the blood flowing. On one side the Gauls throw them-selves into battle, and on the other side the army of Veneto collapses, as weapons are hurled, and elated men run as they mingle and fight. At a cer-tain point, blazing with the vital spirit inspired by the colours, the painting gives life to all the things that are com-plete and set within its boundaries […]. However in the same sequence of the depictions, everything, start-ing with the very elegant fingers that are portrayed using lines that make them seem real, gleams because of all the light. The great achievements of the man were carried out by the long formations and wide margins, and while once the spectators had heard all these admirable things with their own ears, now they were given a close-up view of even more admirable things. Observing the individual actions of the great commander, and discerning the limbs which were drenched with so much sweat and blood, close-up they admired Liviano who had been taken prisoner and who stood at the king’s feet […] After that they saw the soldiers fleeing and the swarms of warriors who were certain of defeat af-ter the capture of such a great man. Having lost such a great commander, straight afterwards they hurled them-selves out of the prison of the painting

itself, beside themselves with rage and deranged […]. All these things looked beautiful, and the figures, depicted with great skill by the artist, looked as if they were real thanks to the in-fusion of colours. The marvellous interpretation captivated the minds of those who delighted in the won-ders with great pleasure. However, of all of them, the kind himself was entertained with great emotion by each interval of the performance. In actual fact he avoided any happiness and was afraid, with his fear increased by a great force when he came to the fortress of Jupiter itself. The massive structure was there, led down from the heavens, and formed a triple arch. Everybody welcomed the king with great joy, after the very large axis of the double door had been moved and the hinges had been shaken, it opened and Ludovico appeared. Everything seemed to obey with respect and bow to the emperor, who was very high due to the pediment of his throne […]. Ludovico examined this succession of engraved and depicted things in vari-ous figures and looked up carefully at each painting, with great pleasure in his eyes and with languid and incor-poreal nourishment”.

End Notes1 Michelangelo Buonarroti the younger, Descrizione delle felicissime nozze Della cristianissima Maestà di Madama Maria Medici Regina di Francia e di Navarra (Description of the wedding celebrations of Her Christian Majesty Maria Medici Queen of France and Navarre), Florence, Giorgio Marescotti, 1600, p. 10.2 E. Solmi, Documenti inediti sulla di-mora di Leonardo da Vinci in Francia nel 1517 e 1518 (Unpublished documents on Leonardo da Vinci’s stay in France in 1517 and 1518), in the Acts of the Veneto Royal Institute of Sciences, Letters and Arts, 1904-1905, Part II. And also in Florence, La Voce, 1924.3 Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti Pittori, Scultori e Architetti (Lives of the Most Excellent Painters, Sculptors and Architects), Florence, Giunta, 1568: “Leonardo was asked to make something fanciful, and therefore he made a lion, which walked several steps, and then opened its chest and showed that it was full of lilies”.4 G.P. Lomazzo, Trattato dell’Arte della Pittura, Scultura et Architettura… diviso in

sette libri, (Treatise on the Art of Painting, Sculture and Architecture… divided into seven books), Milan, Gottardo dal Ponte, 1584.5 Id., Idea del Tempio della Pittura (The Idea of the Temple of Painting), 1590.6 The two main roads which cross the city were already evident on the map of Lyon in 1547, preserved in the Municipal Archive of Lyon, and they are much older.7 Ms. 86.4 extravagantium, Biblioteque Ducale de Wolfenbuttel.8 G. Guigue, L’Entrée de François Premier… en la cité de Lyon, Lyon, 1899.9 J. Burke, Meaning and Crisis in the Early Sixteenth Century: Interpreting Leonardo’s Lion, published in the «Oxford Art Journal», 29 January 2006, pp. 77-91.10 S. Ritter, Baldassare Oltrocchi e le sue memorie storiche su la vita di Leonardo da Vinci (Baldassare Oltrocchi and his his-torical memoirs of the life of Leonardo da Vinci), Rome, Loescher, 1925, pp. 33-35.

Gli automi di Leonardo

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Appendice al capitolo 1

Appendix chapter 1

Il leone meccanico compie in sequenza tre movimenti diversi comandati da un’unica molla, che viene cari-cata preventivamente e posizionata in stato di fermo da un freno ad asta.Il leone viene posto su un piano levigato. Spostando una levetta che elimina il freno, l’automa inizia a muoversi.

Primo movimento Attraverso ingranaggi dentati la molla aziona una coppia di manovelle disposte tra-sversalmente al corpo. Le due manovelle uniscono tra loro le zampe anteriori e quelle posteriori. Esse sono disegnate per generare una camminata alternata, in modo simile al movimento del pendolo dell’orologio. Dopo qualche passo, un cambio innesca il secondo treno di movimento.

Secondo movimento Il secondo ingranaggio fa piegare di novanta gradi verso il petto le zampe poste-riori, con la conseguenza che il leone si “siede” sulle zampe posteriori. L’ingranaggio, che permette questo movimento, a forma di quarto di cerchio, collegato alla coda, è unito ad una molla che lo fa ritornare nella sua sede originale.

Terzo movimento Altre molle sul petto, connes-se alla precedente, costringono il leone seduto sulle zampe portanti ad alzare la coda e ad aprire lo sportel-lo a due ante posto all’altezza del petto dell’automa.La molla che opera l’apertura dello sportello aziona anche un perno che fuoriesce lateralmente, facendo muovere le zampe anteriori verso il petto. Il leone sembra aprire con le zampe il petto all’altezza del cuo-re, provocando la fuoriuscita dei gigli.

The movement of the mechanical lion is subdivided into three parts and controlled by a single spring, which is loaded in advance and kept still by a rod act-ing as a brake.Shortly before making the movement of the lion be-gin, it is placed on the ground on a smooth surface, and with the movement of a small lever that releases the brake, the automaton begins to move.

1st movement using toothed cogs, the spring trig-gers off the movement of a pair of handles that are arranged across the lion’s body. Each handle connects the front paws to the back ones, and they are designed to create the movement of walking with alternate legs, in a similar way to the movement of the pendulum clock. After a few steps a gear sets off the movement of a second cog instead of the first one that caused the legs to move.

2nd movement the second cog bends the hind legs, thus rotating them by 90°, towards the chest. The ef-fect is that first the lion stops, and then “sits” on its hind legs. The cog turns a quarter of a circle, attached to the tail, allowing this part of the body to move, and it is connected to a spring that makes it return to its original position.

3rd movement This spring has other springs at-tached to it on the lion’s chest. The effect is that after the lion stops and “kneels down”, it lifts its tail and opens its chest. This involves the opening of a door with two panels, placed at the height of the chest of the automaton. The movement of this final spring is coordinated by a pin which comes out sideways and brings the paws in front of the chest. The intended effect is that the lion seems to be bringing its paws to its chest, and then opening its chest at the level of its heart. Inside, the lion’s chest is full of lilies made of flexible material, which burst out when the chest is opened.

Gli automi di Leonardo

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Fig. 11. Leonardo da Vinci, Ritratto di musico, Brera.

In un foglio del Codice di Madrid di Leonardo, riscoperto nel 1967, ho rintracciato il disegno per un automa musicista, ovvero il suonatore di viola,

disegno ritenuto fino ad ora semplicemente lo schizzo di un musico.La ricostruzione del primo automa umanoide di Leonardo si deve a Mark Elling Rosheim nel 19941. Non è chiaro quale sequenza di movimenti compia il robot di Rosheim. A me è parso di vedervi un guerrie-ro simile all’amazzone robot che il nipote di Grolier, il famoso bibliofilo libraio amico di Leonardo, esibiva nella sua collezione particolare in Francia, nel 1589. Si legge infatti a pagina 19 del libro del 1719 sulla Raccolta di Mr. Grollier de Serviere:

Su un tavolo qualunque ben pulito, si erge una figu-ra di Amazzone, che si muove in differenti direzioni, che alza la sua spada e il suo scudo, come se volesse combattere, e che gira la testa da tutte le parti2.

Il funzionamento dell’umanoide di Leonardo è sta-to ricostruito da Rosheim nei dettagli nel volume Leonardo’s Lost Robots.La mia ricostruzione dell’automa musico è diversa, fatta eccezione per il funzionamento dei suoi movi-menti azionati da una molla, anzi da due, come l’au-toma di Rosheim, che ha un motore per le gambe e uno per le braccia e la testa.Il musicista automa di Leonardo è delineato piuttosto chiaramente nel foglio 76 recto del Codice di Madrid II (Fig. 1). Si vede nel centro del foglio lo schizzo di un musico che suona un particolare tipo di viola, che può essere definito “viola organista”, della quale tro-viamo la prima ideazione in Leonardo. Più in basso a destra la stessa figura è schematizzata. Ritengo che essa rappresenti lo scheletro dell’automa. Vi sono ap-pena accennati anche gli ingranaggi a rotella all’altez-za delle spalle che muovono le braccia.

L’automa musicistao il suonatore di viola

L’automa musicista ha una molla che muove le dita che suonano i tasti della viola, e una molla che apre e chiude i mantici dello strumento (Fig. 2), per mez-zo della pressione dei gomiti. Sembra che ai gomiti dell’automa fosse collegato un dispositivo che, muo-vendo la manovella a lato della “viola”, aprisse e chiu-desse i mantici, i quali tornano, dopo essere stati aper-ti, nella loro posizione iniziale per mezzo di mollette di ritorno elastiche collegate all’interno dei mantici.Ecco la trascrizione del testo scritto da Leonardo su questo foglio, al centro: “Ovvero viola menatole l’ar-chetto come si mena il mantice colla gomita”. Per Viola, termine che ricorre anche nel foglio 50 verso del mss B, Leonardo intende uno strumento con le capacità polifoniche dell’organo, ma anche con le possibilità timbriche degli archi.L’archetto della viola non ha nulla a che vedere con l’archetto usato per gli strumenti della famiglia dell’at-tuale violino: si tratta piuttosto di una cinghia, più o meno lunga, che ha un movimento alternato nei due sensi. L’archetto è formato da crini cosparsi di pece. Quello di Leonardo viene “tirato” sulle corde da porre in vibrazione. In definitiva la “viola” è un piccolo or-gano da camera portatile (portativo)3.In alto sullo stesso foglio, a fianco del disegno di un piccolo organo Leonardo scrive: “tramezo, canne stiacciate, tasti dell’organo”; poi: “per piva sia fatto il tramezo del mantice fermo ‘a’ alla cintura e ‘b’ sia fermo col braccio, il qual braccio poi movendosi in dietro e in fuori, aprirà e serrerà il mantice al bisogno. Cioè quando il mantice n aprirà, il mantice m serrerà e quando m aprirà, n serrerà, e così il vento sia con-tinuo”.Da questo testo appare evidente che, in un primo momento, Leonardo aveva pensato di far suonare all’automa una piva. Successivamente ha pensato di far oscillare la parte centrale del mantice, mentre le al-tre rimangono fisse. Leonardo traccia questo pensiero

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attraverso il disegno. L’idea del “mantice continuo”, che eviti pause durante l’esecuzione, non è spiegata qui nei dettagli, Leonardo è più interessato al sistema che alle piccole ottimizzazioni successive. Nel secondo disegno in alto a destra, Leonardo traccia un “tramez-zo” azionato da una maniglia e probabilmente dopo aggiunge le “canne stiacciate” e i “tasti dell’organo” in-tuendo la possibilità di applicare la sua idea ad un or-gano da camera particolare, la sua “viola”, appunto.La “viola organista” di Leonardo è appesa con una cin-ghia al collo dell’automa, e ha la tastiera in posizione orizzontale. È il primo strumento suonato con una tastiera ad archetto di cui sia rimasta memoria. L’idea originale di Leonardo è conservata nei suoi taccuini del 1488-1489 e nei disegni del Codice Atlantico, in particolare il 586 recto (Fig. 3). Prevede l’uso di una o più ruote, in rotazione continua, ognuna delle quali muove un archetto a cappio. Simile alla cinghia del ventilatore di un motore per automobile, è perpen-dicolare alle corde dello strumento, le corde vengo-no spinte verso l’archetto per azione dei tasti, il cui sfregamento fa risuonare la corda. Nei vari disegni le corde vengono toccate diversamente dall’archetto.Leonardo non sembra che abbia materialmente co-struito la viola organista. Il primo strumento simile fu il Geigewerk. Nel 1575 da Hans Haiden, un in-ventore tedesco.Una moderna ricostruzione della viola fatta da Akio Obuchi fu usata in un concerto a Genova nel 20044.Akio Obuchi ha spiegato la singolare capacità della viola rispetto agli altri strumenti:

La viola di Leonardo non è uno strumento a corda ma a tastiera. Negli ultimi 400 anni circa 50 artisti

hanno tentato di riprodurla sviluppando il progetto di Leonardo in modo diverso. Chi suona gli stru-menti a tastiera che conosciamo ha una limitata capacità espressiva: una volta che la corda viene sol-lecitata ed emette il suono, non si può più influire su di esso. L’intuizione di Leonardo è stata probabil-mente di voler superare questo limite creando uno strumento che permettesse l’esecuzione di sinfonie complesse senza sacrificare sfumature e modulazio-ni delle singole note, ha dato insomma più rilevanza alla capacità interpretativa del musicista5.

La mia ricostruzione del meccanismo dell’automa (Fig. 4) è basata sugli schizzi di Leonardo nel foglio 76 recto del Codice di Madrid II. All’altezza della spalla un motore a molla muove il dito del braccio destro che suona i tasti. L’altro motore a molla muove una camma sinusoidale, che sposta il busto del musico a destra e a sinistra, in modo da suonare i diversi tasti. Entrambi i meccanismi comandati dai motori a molla sono rappresentati sul foglio 76 recto da Leonardo in due figure schematiche (Fig. 5).A sinistra, sotto le figure precedenti, Leonardo scrive:

Moverassi l’archetto secondo che ssi move il brac-cio destro, da tasto a tasto. E così verrà a diminuire insieme con le note. Qui quando il gomito moverà due dita, la dentatura n moverà ancora lei 2 dita. E farà dare una volta intera alla rocchetta m. E simil-mente, la rota maggiore darà volta intera, che ffia 1/3 di braccio. E così racorrà e llascierà un braccio d’archetto sopra le corde della viola.

Pagina a fianco – Fig. 1. Leonardo da Vinci, Codice Madrid II, f. 76r. Sopra – Fig. 2. Viola a tasti dell’automa musicista.

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Fig. 3. Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, f. 586r.

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Risulta così abbastanza chiaro il funzionamento dell’automa.Ruotando insieme con il busto, il braccio destro agi-sce sui diversi tasti, i quali abbassandosi azionano l’archetto, che sfrega le corde producendo il suono. Quando il gomito gira della misura di due dita anche l’ingranaggio comandato dal cilindro programmabile si è ruotato della stessa misura. Questo spostamento di un terzo di braccio corrisponde ad un giro comple-to dell’ingranaggio maggiore. Il quale costringe l’ar-chetto a sfregare sopra le corde della viola.Il musico di Leonardo è un automa semplice che suona uno strumento sofisticato; destinato a creare meraviglia nel pubblico, era in grado di eseguire di-verse melodie cambiando le piste incise sul cilindro programmabile.Questo tipo di automa verrà ripreso soprattutto in Francia, nei secoli successivi, e realizzato in un’infi-nità di varianti. Ma è anche un precoce esempio di macchina programmabile concepita per l’abbellimen-to della vita delle corti rinascimentali e per esaltare le virtù dell’inventore.

Note al testo

1 M.E. Rosheim, Robot Evolution: The Development of Anthrobotics, New York, Wiley & Sons, 1994, pp. 12-20.2 G. Grollier de Servière, Recueil d’ouvrages curieux de mathematique et de mechanique, ou description du Cabinet de Monsieur Grollier de Servière, Parigi, Antonie Jombert, 1751, p. 19. L’opera descrive la collezione di strumen-ti meccanici e scientifici di Nicolas Grollier de Servière (1593-1686), nonno dell’autore, costruttore di specchi a Lione e discendente del famoso legatore e bibliofilo Jean Grolier, amico di Leonardo.3 Cfr. M. Carpiceci, I meccanismi musicali di Leonardo, Raccolta Vinciana, XXII, 1987, pp. 3-47.4 Il lavoro di Akio Obuchi, dal 1967, è fabbricare modelli storici di strumenti a corda, pianoforte, arpe e clavicembali (Figura 6).5 Riprendo dal testo usato da Obuchi per la presentazione a Genova della viola organista.

Primo motore a molla

Dito

Canna sinusoidale

Secondo motore a molla

Fig. 4. Ricostruzione del meccanismo dell’automa.

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Dito

Spallaprimomotore

Spallasecondomotore

Busto

Mantici

Gomito

Fig. 5. Movimenti dei due motori a molla (da Carpiceci).

Fig. 6. Ricostruzione della viola organista nell’ipotesi di Akio Obuchi.

Leonardo’s Automata

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The automaton musicianOr, the viola organista player

On a sheet of Leonardo da Vinci’s Codex Madrid, a code that came to light in 1967, I found a drawing of an automaton musician, or a viola or-ganista player. This drawing had gone unnoticed for 40 years, since it had been viewed merely as the sketch of a musician.The reconstruction of the first hu-manoid automaton by Leonardo was carried out by Mark Elling Rosheim in 19981. It is not clear what sequence of movements his robot performs. In my opinion it resembled a war-rior, like the Amazon robot that the grandson of Grolier, the famous bib-liophile bookseller who was a friend of Leonardo’s, exhibited in his distinc-tive collection in France, in 1589. On page 19 of the 1719 book about the Collection of Mr Grollier de Servière, it says: “On an ordinary, well-cleaned table, there stood an Amazon figure, which moved in different directions, and raised its sword and its shield, as if it wanted to fight, and it turned its head in all directions”.2

The working of Leonardo’s human-oid was reconstructed by Rosheim in the details of his book Leonardo’s Lost Robots, in 2006. My reconstruction of the present automaton musician is different, except for the working of its movements, set in motion by one spring, instead of two, like Rosheim’s automaton, which has one motor for the legs and one for the arms and head.Leonardo’s automaton musician is outlined very clearly in Sheet 76 recto of Codex Madrid II (plate 1). In the centre of the sheet of paper there is a sketch of a musician playing the viola organista, a musical instrument invented by Leonardo. Lower down, to the right, the same figure is shown schematically and it seems to me to be the drawing of the framework of the automaton. In this figure, the cogs in the machine that move the arms to shoulder height are depicted. They are faintly sketched together with a con-structive detail that is also enlarged, in another sketch, to the left.

The automaton musician has a spring that moves its fingers as they play the keys of the viola organista, and a spring that opens and closes the bel-lows of the instrument (plate 2), using the pressure of the musician’s elbows on the viola organista. Having been opened, the bellows return to their initial position by means of elastic re-turn springs connected to the inside of the bellows.

Here is the transcript of the text writ-ten by Leonardo on this sheet, in the centre: “The viola organista is struck with the bow as the bellows are struck with the elbow”. Using the word “vio-la”, Leonardo intended an instrument with the polyphonic range of the or-gan, but also with the timbre capabil-ity of the bows.The bow of the viola organista bears no relation to the bow used for the instruments of the modern violin family. On the contrary it is a belt, of variable length, that has an alternate movement in both directions, and is made of horsehair covered in pitch. Leonardo’s bow was “pulled” on the strings in order to make them vibrate. In short Leonardo’s “viola” is a small portable chamber organ (portative)3 (see Mauro Carpiteci, I meccanismi musicali di Leonardo, The musical mechanisms of Leonardo), Raccolta Vinciana, fasc. XXII, 1987).

At the top of the same sheet, one can read, next to the drawing of a small organ: “partition, stiacciato (very low-relief ) pipes, organ keys”. Then “the bagpipes are made with a partition of the fixed bellows “a” to the belt and “b” is fixed with an arm. The arm moves in and out, opening and closing the bellows as required. In other words, when bellows “n” are open, bellows “m” will close, and when bellows “m” open, bellows “n” will close, so that the wind is continuous.” From this text it seems clear that Leonardo had initially considered using bagpipes as an in-strument for the automaton to play. Later he must have asked himself, why not make the central part of the bel-lows oscillate, while the others remain fixed? Leonardo outlines this concept in his drawing. The idea of the “con-tinuous bellows”, which would avoid

pauses during the performance, is not explained here in detail. Leonardo was more interested in the system, rather than the tiny subsequent refinements. In the second drawing, on the top right, Leonardo drew a “partition”, set in motion by a handle, and probably later added the stiacciato pipes, and the “organ keys”, having become aware of the possibility of applying his idea to a special chamber organ, or rather his viola organista.The viola organista is the musical in-strument hanging on a belt around the neck of the automaton, and the keyboard is in a horizontal position. It is the earliest remaining instrument in which the keyboard is played with a bow. Leonardo’s original idea is pre-served in his notebooks from 1488-1489, and in the drawings in Codex Atlanticus, in particular 586 recto. In plate 3, it involves the use of one or more wheels, in continuous rota-tion, each of which moves a slip-knot bow. It is similar to the fanbelt of a car engine, and is perpendicular to the strings of the instrument. The strings were intended to be pushed down towards the bow by the action of the keys, and the rubbing of the bow caus-es the sound of the strings. In the vari-ous drawings the strings are touched in different ways by the bow.Apparently Leonardo never actually constructed his instrument. The first similar instrument to be constructed was the Geigewerk in 1575, created by Hans Haiden, a German instrument inventor.A modern reconstruction of the viola organista made by Akio Obuchi was played in a concert in Genoa in 20044. Akio Obuchi explained the peculiar ability of the viola organista compared to other instruments: “Leonardo’s vio-la organista is not a string instrument but a keyboard instrument. In the late fifteenth century about 50 artists had attempted to reproduce it, developing Leonardo’s project in different ways. Those who play the keyboard instru-ments that we know have a limited ex-pressive capacity: once the string has been played and emitted a sound, it is impossible to have any further in-fluence on it. Leonardo’s insight was probably his desire to overcome this limit, by creating an instrument that

Leonardo’s Automata

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allowed the performance of complex symphonies, without sacrificing un-dertones and modulations of single notes. In short he placed more signifi-cance on the interpretative ability of the musician”. And, in this case, on the ability of the robot5 (plate 4).Now I will explain the mechanism of the automaton, which can be seen in the adjoining illustration, based on Leonardo’s sketches, again from Sheet 76 recto of Codex Madrid II. The musician has a spring motor, which moves the fingers of the right hand that play the keys, and another spring motor which moves a programmable cylinder that moves the bust of the musician from right to left, so that the automaton plays different keys. Both the mechanisms driven by spring mo-tors are depicted on the sheet of paper by Leonardo in two schematic figures (plate 5).On the sheet of paper, on the left below the two previous figures, the following note appears: “The bow is moved according to the movement of the right arm, from key to key. And thus it drops, together with the notes. Here when the elbow moves two inch-es, the cog teeth “n” also move two inches. It will give an entire rotation to the sprocket wheel “m”. Similarly, the bigger wheel will rotate once, thereby moving the arm by 1/3. Thus the arm will lift the bow up and down above the strings of the viola organista”. In this passage Leonardo explains quite clearly how the automaton worked.The right arm moves, rotating together with the bust, from key to key. As the keys are lowered they move the bow, which is drawn across the strings, pro-ducing sound. When the elbow turns two inches, the cog teeth controlled by the programmable cylinder also ro-tate two inches. This movement corre-sponds to a complete turn of the larger cog wheel, and a third of the arm. In this way, as it is controlled by this last cog wheel, the bow moves above the strings of the viola organista. In conclusion, Leonardo’s musician is a simple automaton that plays a sophis-ticated instrument. It could charm the audience with its construction, and by changing the tracks engraved on the programmable cylinder, it could per-form different tunes.

This type of automaton was imitated particularly in France, over the follow-ing centuries, and created in an infinite number of variations. The secret of its appeal is due to the fact that it touches our ingenuousness, and astounds us in a childlike way. However, it is also an early example of a programmable ma-chine that was built to make life more enjoyable and satisfy our desires.

Endnotes

1 M.E. Rosheim, Robot Evolution: The Development of Anthrobotics, New York, Wiley, 1994, pp. 12-20.2 G. Grollier de Servière, Recueil d’ouvra-ges curieux de mathematique et de me-chanique, ou description du Cabinet de Monsieur Grollier de Servière (Anthology of the curious works of mathematics and mechanis, or a description of the Cabinet of Mr Grollier de Servière), Paris, Antonie Jombert, 1751, p. 19. The work describes the collection of mechanical and scientific instruments of Nicolas Grollier de Servière (1593-1686), who was the grandfather of the author and a mirror maker in Lyon, as well as being a descendant of the famous book-binder and bibliophile Jean Grolier, a friend of Leonardo’s.3 See Mauro Carpiceci, I meccanismi musi-cali di Leonardo, The musical mechanisms of Leonardo), Raccolta Vinciana, fasc. XXII, 1987, pp. 3-47.4 Since 1967, Akio Obuchi has worked to construct historical models of string in-struments, pianofortes, harps and harpsi-chords (Plate 6).5 This refers to the text used by Obuchi for the presentation of the Viola organista in Genoa.

Leonardo organizzò nel 1490 la scenografia per un portentoso spettacolo, commissionatogli da Ludovico il Moro, chiamato Festa del Paradiso, in occasione delle nozze tra Galeazzo Maria Sforza e Isabella d’Ara-gona. L’ideazione prevedeva fanciulli travestiti da angeli e da pianeti mitologici posti entro nicchie che ruotavano attorno a Giove. Al posto delle stelle sfavil-lavano numerose candele che riflesse da una superficie curvilinea dorata creavano un bagliore accecante. Le qualità che il Giovio attribuisce a Leonardo (“era raro e maestro inventore d’ogni eleganza e singolarmente dei dilettevoli teatrali spettacoli”) perfettamente riful-gevano nella Festa del Paradiso, abilmente concepita da Ludovico il Moro per dare agli infelici sposi l’il-lusione di godere di una piena, usurpata sovranità. Leonardo mise tutta la propria abilità pittorica e mec-canica, per creare effetti di stupefacente suggestione.I complessi dispositivi meccanici che azionavano il Paradiso erano collocati in fondo al grande salone detto Sala Verde (Fig. 1).Lo si desume dalla cronaca del Trotti, il quale afferma che la sala era in capo alla scala del Castello sforze-sco che conduce alla Loggetta superiore di Galeazzo Maria1. Il Paradiso era coperto da un panno di raso (un sipario) che lo nascondeva durante lo spettacolo preliminare di danze e balli. Davanti al sipario c’erano delle panche sulle quali sedevano le maschere in attesa di entrare in scena. Al calar delle tenebre, verso le cin-que di sera, il sipario si abbassa, un puttino vestito a mo’ di angelo pronuncia un prologo avendo alle spalle un velo di copertura; cade a terra anche il velo “e fu sì grande ornamento e splendore che parea vedere nel principio un naturale Paradiso, e così per l’udito, per i soavi sòni e canti che v’erano dentro. Nel mezzo del quale era Jove con gli altri pianeti appresso, secondo il loro grado”. Ogni attore che impersonifica un pianeta è un adolescente, con solo pochi veli addosso, la pelle verniciata di bianco e in mano torce di purissima cera bianca, in modo da rifulgere in modo abbagliante.

La Festa del Paradisodi Leonardo da Vinci

L’esordio è di Giove, in posizione elevata, che ringra-zia Dio per aver creato Isabella “una così bella, leggia-dra, formosa e virtuosa donna”. Apollo, che sta sotto, se ne dimostra geloso, ma il padre degli dèi scende in terra con tutti i pianeti, poi sale in cima a un monte con quel seguito appresso. Da qui spedisce Mercurio da Isabella, per informarla del suo arrivo con le Virtù e le Grazie. Apollo conduce poi queste e anche le sette ninfe a Isabella. La Festa finisce con Apollo che porge ad Isabella un libretto con tutte le parole della rap-presentazione e lodi ai più illustri personaggi presenti alla festa, e Isabella che consegna le copie del libretto ai presenti in sala. Cantano le Grazie, e le Virtù, con le torce, accompagnano la duchessa nelle sue stanze tracciando una scia luminosa, su per la scalinata, al primo piano, dove l’aspetta lo sposo. È il calar della sera e i lumicini delle stelle lentamente si spengono.Della Festa del Paradiso sono giunte a noi solo una cronaca, il libretto con la descrizione dei movimenti e i discorsi degli attori e una descrizione del Segretario del Moro.

Fig. 1. Posizione della Sala Verde nel Castello sforzesco, B. Circa 9 x 18 metri.

B

Gli automi di Leonardo

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Questi tre documenti sono riprodotti per intero in appendice. Essi però sono piuttosto scarni sulla sfar-zosa scenografia di Leonardo e si dilungano piuttosto sui vestiti, sui balli, e sulla parte recitativa.Le informazioni che offrono sul congegno scenogra-fico di Leonardo mi hanno permesso tuttavia di met-tere il progetto della Festa del Paradiso in rapporto con un disegno autografo giovanile di Leonardo, il 956 recto del Codice Atlantico (Fig. 2) che ritengo permetta di ricostruire nei particolari il meccanismo scenico ideato da Leonardo.Vediamo prima di tutto che cosa resta a testimonianza di questo meccanismo nelle fonti citate:1) Scrive Bernardo Bellincioni, autore dei dialoghi della Festa: “Festa ossia Rappresentazione chiamata Paradiso che fece fare il signor Ludovico in lode della Duchessa di Milano, e così chiamasi, perché vi era fabbricato con un grande ingegno ed arte di Maestro Leonardo da Vinci fiorentino il Paradiso con tutte le sfere, pianeti che giravano, ed i pianeti erano rappre-sentati da uomini nella forma ed abito che si descrivo-no dai poeti, e tutti parlavano in lume della anzidetta Duchessa Isabella”.2) Scrive Tristano Chalco, segretario del Moro, testi-mone diretto del memorabile evento del 1490: “per

vedere con i propri occhi quelle terre ove, secondo voci a lui giunte, Giove in persona era disceso l’an-no precedente, accompagnato da tutti gli altri Numi. Alludeva evidentemente a ciò che era accaduto l’in-verno prima (il 23 gennaio 1490), e a ciò che era sta-to fatto, con grandissima risonanza e sfarzo, allorché, grazie a un congegno a forma di mezza sfera costruito con cerchi di ferro, e grazie a tutta una serie di lampa-de sospese e a sette fanciulli fulgidi come e più degli stessi pianeti, e con al centro un trono eretto fra gli Dei assisi, era stata riprodotta l’immagine del cielo in rotazione”.3) Cronaca dell’ambasciatore Jacopo Trotti: “Il Paradiso era fatto a similitudine di un mezzo uovo, il quale dal lato dentro era tutto messo a oro, con grandissimo numero di luci a riscontro delle stelle, con certe fenditure dove stavano tutti i sette piane-ti, secondo il loro grado alti e bassi. Attorno l’orlo del detto mezzo uovo erano i 12 segni, con certi lumi dentro il vetro, che facevano un galante et bel vedere: nel quale Paradiso erano molti canti e suoni molto dolci e soavi”.Da questi documenti si deduce che la scenografia del-lo spettacolo doveva essere approssimativamente simi-le allo schema illustrato nella Figura 3.

Fig. 2. Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, f. 956r. Pagina a fianco – Fig. 3. Ricostruzione della Festa del Paradiso.

Gli automi di Leonardo

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Gli automi di Leonardo

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Fig. 4. Rapporti delle dentature degli ingranaggi.

Fig. 5. Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, f. 956r, particolare ingrandito.

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Il disegno di Leonardo (Cod. Atl. 956 recto, Fig. 2) è probabilmente un documento del meccanismo.Sul foglio si osservano delle note autografe. Accanto alla sezione di un mezzo uovo, o elisse, Leonardo ha vergato “zodiaco”.Sull’altro lato del foglio sono disegnati cerchi den-tati lungo il loro spessore, evidentemente rotanti sul centro, perché azionati da ingranaggi differenziali, anch’essi disegnati, i quali si muovono simultanea-mente, spinti gli uni dal movimento di quello con-tiguo. Dentro i cerchi Leonardo ha scritto “Terra”, al centro, e “Mercurio, Luna, Venere” nei cerchi ester-ni.Un cerchio presenta una larga dentatura, presumi-bilmente destinata a ingranare il cerchio del pianeta successivo.Integrando questo disegno, relativo al movimento di soli tre cerchi per altrettanti pianeti, e usando sempre gli ingranaggi differenziali, si può ricostruire il mo-vimento di tutti e sette pianeti. Al centro uno spazio immobile, sotto al quale gira l’ingranaggio principale che muove tutti gli altri. In quello spazio sono collo-cati Giove, assieme ai pianeti-attori adolescenti, che girano a velocità diverse (a causa dei diversi rapporti delle dentature degli ingranaggi, Fig. 4).Un piccolo schizzo sullo stesso foglio (Fig. 5) indica che il congegno doveva essere inclinato rispetto al pa-vimento della sala. Nello spazio rimanente dietro il Paradiso inclinato stavano i musici, invisibili al pub-blico (Fig. 6).Quando vergò quelle note e produsse quegli schizzi nel foglio 956 recto del Codice Atlantico formulan-

do le prime idee di una rappresentazione della Festa del Paradiso nel 1479, Leonardo aveva certamente tenuto presente come modello la spettacolare messa in scena di soggetti religiosi, con arditi movimenti e giochi di luce, concepita molti anni prima da Filippo Brunelleschi2. È molto probabile che Leonardo conoscesse la visione del paradiso di San Francesco sul monte della Verna3. In questa visione il monte riluce come nell’idea di Leonardo di mettere molte candele accese contro un vetro tirato a specchio con lamine d’oro zecchino.Egli conosceva bene anche l’opera di Erone, che cita, dalle copie manoscritte che circolavano in Italia alla fine del Quattrocento, una delle quali è conservata alla Biblioteca Laurenziana di Firenze.Uno dei congegni di Erone è proprio una giostra, che funziona per mezzo del vapore, in modo che le figure disposte su un piano circolare, protette da un vetro, ruotino intorno al centro (Fig. 7).Il foglio 956 recto è stato datato da Carlo Pedretti intorno al 1479. Esso contiene, a mio avviso, le infor-mazioni essenziali per capire come Leonardo inten-desse concepire il congegno della Festa del Paradiso del 1490.Sappiamo che Leonardo ebbe solo due mesi di tem-po per preparare il complesso dispositivo4. È proba-bile che avesse elaborato il progetto in precedenza a Firenze, e che poté realizzarlo, con alcune modifiche, quando fu invitato dal Moro a proporre una rappre-sentazione di grande effetto. Per esempio, al centro non c’era più la Terra, come previsto nel foglio, ma Giove.

Fig. 6. Veduta della sala, con lo spazio per i musicisti invisibile al pubblico.

Gli automi di Leonardo

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Note al testo

1 Scrive il Trotti: “La Sala dove è stata fatta detta Festa, […] è quella che è in capo alla scala, dove si va anche a cavallo, che è dinanzi alle camere del predetto eccellentissimo Duca di Milano”.2 A Filippo Brunelleschi e agli uomini della sua cerchia si deve lo straordinario progresso scenotecnico nell’ambito delle sacre rappresentazioni che si compì a Firenze nel corso del Quattrocento: dalla struttura statica dei “luoghi depu-tati”, cioè delle diverse edicole che rappresentavano i diversi luoghi dell’azione tipiche del dramma religioso medievale, si passò a un tipo di scena “mobile” che sfruttava in modo

articolato e attivo i vincoli spaziali imposti dagli edifici re-ligiosi che ospitavano le rappresentazioni. L’ideazione di tali macchine – o ingegni, come venivano chiamati allora – fu resa possibile mettendo a frutto le regole della “nuova” scienza prospettica e le conoscenze e la tecnologia acquisite e messe in atto nei cantieri edili.3 Nei Fioretti è scritto che San Francesco in estasi si incam-mina verso il monte della Verna, dove riceverà le stimma-te. Il monte appare agli abitanti tutto illuminato come il Paradiso, per questo il proprietario lo dona al santo.4 Cfr. G. Lopez, La roba e la libertà. Leonardo nella Milano di Ludovico il Moro, Mursia, Milano, 1979, pp. 50-80.

Fig. 7. Giostra di Erone.

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The “Festa del Paradiso”by Leonardo da Vinci

In 1490 Leonardo organised the stage design for a wonderful performance, commissioned by Ludovico il Moro (the Moor), known as the Festa del Paradiso, on the occasion of the mar-riage between Galeazzo Maria Sforza and Isabella of Aragon. There were children dressed as angels and mytho-logical planets placed inside niches rotating around Jupiter, and candles used instead of stars, reflecting on a golden curved surface, thus creating a dazzling sparkle. Giovio wrote that Leonardo “was a rare and masterful inventor of all kinds of elegance and particularly of delightful theatrical performances”. This was shown by the Festa del Paradiso for the wedding of Gian Galeazzo Sforza and Isabella of Aragon. The Festa del Paradiso was one of the ceremonies which the shrewd Ludovico il Moro used to give the unhappy bride and bridegroom an illusion of their sovereignty, with a parade in which everyone bowed to them. Here Leonardo used all his pictorial and mechanical ability to cre-ate amazing scenery. The mechanism of Paradise was placed at the end of the great hall, known as the Sala Verde (the Green Room). (See plate 1).It is safe to assume that this was the hall from the account by Trotti, as it was the only one at the bottom of a double staircase which led to the upper loggia of Galeazzo Maria1. Paradise was cov-ered with a satin cloth (or curtain) by which it was concealed during the pre-liminary dance performance. In front of the curtain there were benches oc-cupied by the stock characters where they waited before coming on stage. When the time came for the perform-ance to start, at dusk, around five in the evening, the curtain fell, and a lit-tle putto dressed like an angel delivered a prologue with a covering veil behind him. Then the veil also fell to the ground and “there was great ornament and splendour which at the beginning looked like a natural Paradise, and also sounded like one, with the sweet sounds and songs that were inside it. In the middle was Jupiter with the other planets behind him, according to their rank.” All the actors who per-

sonified the planets were adolescents, dressed in only a few veils, with their skin painted white and a torch of pure white wax in their hand. They were radiant.Jupiter began by thanking God for creating Isabella, who was “such a beautiful, graceful, shapely and virtu-ous woman”. Apollo, below, seemed to be jealous of this, but the father of the gods came down to earth with all the planets, and then went up to the top of a mountain with his followers be-hind him. From there he sent Mercury to Isabella, to inform her of his arrival with the Virtues and Graces. Apollo then led them, and the seven nymphs, to Isabella. The Feast ended with Apollo giving Isabella a booklet con-taining all the words of the perform-ance and praise for the most famous people present at the feast. Isabella then gave copies of the booklet to all those present in the room. The Graces and the Virtues sang, and ac-companied the Duchess to her rooms with torches, leaving a luminous trail behind them, up the stairs to the first floor, where the groom awaited her. And the dusk and the glimmers of the stars slowly faded away.An account of the Festa del Paradiso, a booklet with the movements and the words of the actors, as well as a de-scription by the Secretary of “il Moro” have been preserved.These three documents are all that remain as evidence of the Festa del Paradiso, and they are reproduced in the appendix. However, they do not give us an adequate account of the sumptuous stage design by Leonardo and they focus at length on the clothes, dances and the recitative part.The information they provide about the stage mechanism by Leonardo has, however, enabled me to compare the Paradise with a design signed by the young Leonardo, 956 recto of the Codex Atlanticus, (plate 2) which, according to my thesis, allows us to reconstruct the details of the stage mechanism created by Leonardo.First we must look at what evidence remains of this mechanism in the quoted sources.Bernardo Bellincioni, the author of the dialogue, wrote of “The Feast or Performance called Paradise which

Ludovico commissioned to praise the Duchess of Milan. It was called in this way, and Paradise was con-structed with great talent and art by the Florentine, Maestro Leonardo da Vinci, with all the globes, the planets which spun round, and the planets were represented by men in the forms and clothes that the poets describe, and everybody spoke of the aforesaid Duchess Isabella”.2 ) Tristano Chalci, Ludovico il Moro’s secretary, recalled what he saw in 1490:“to see with one’s own eyes those lands where, according to voices that came from him, Jupiter himself had descended the previous year, accom-panied by all the other gods. He was evidently referring to what had hap-pened the previous winter (23 January 1490), and what had been done, with great sensation and magnificence when, thanks to a mechanism in the form of half a sphere built with iron rings, and thanks to a series of hanging lights and seven dazzling children who portrayed the planets, with a throne in the centre set up among the seated gods, the image of the rotating heav-ens had been reproduced.”3) An account by the Ambassador Jacopo Trotti: “Paradise was made in the likeness of half an egg, the inner side of which was decorated entirely in gold, with a great number of lights representing the stars, and with cer-tain niches where all the seven planets were placed, high or low according to their rank. Round the edge of the above-mentioned half egg, there were 12 signs, with some lights inside the glass, which made a lovely and beauti-ful sight: in that Paradise there were many songs and very sweet, melodious sounds.”…From these documents we can con-clude that the scenery of the perform-ance must have been roughly as illus-trated in plate 3.The following drawing by Leonardo, Codex Atlanticus 956 recto, in plate 2, is the one I wish to use as surviving evidence of the staging of this event.Some signed writing can be noted on the sheet of paper, and next to the half egg section, or ellipse, the word “zo-diac” appears.

Leonardo’s Automata

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On the other side of the sheet of pa-per there are drawings of toothed cir-cles that are as long as they are thick, clearly rotating around the centre, because they are set in motion by dif-ferential cogs, which are also pictured, and which move simultaneously, each one driven by the movement of the adjoining one. Inside the circles the word “Earth” is written in the centre, and “Mercury, Moon, Venus” in the outer circles. One circle shows large teeth inside it, which must have been used to join the circle of the planet to the adjacent one.By combining this drawing, which refers to the movement of only three circles for the respective three plan-ets, it is possible, once again using the differential cogs like the ones that are drawn, to reconstruct the movement of all the seven planets, with a space in the centre which remains stationary, as under this space the first cog rotates which then moves all the others, where Jupiter is placed in the Performance of the Feast, together with the adolescent planet-actors, who rotate at differ-ent speeds (as a result of the different connections between the teeth of the cogs) (plate 4).The sheet of paper 256 recto was dated by Carlo Pedretti around 1479, and contains everything necessary in order to prepare the mechanism of the Festa del Paradiso of 1490, if this examina-tion is approved.We know that Leonardo had only two months to prepare it (Lopez, La roba e la libertà, quoted). Therefore I assume that Leonardo already had the project ready, and that he brought it with him when he started working for Ludovico il Moro. Only very small modifica-tions were carried out. For example, the centre is no longer occupied by Earth, as noted on the sheet of paper, but Jupiter instead.A little sketch on the sheet of paper (plate 5) shows how the mechanism would have been tilted compared to the floor of the performance hall. The musicians were seated in the remain-ing space behind the tilted Paradise mechanism, so that they could not be seen by the audience.The sketch, and the way of arranging the steps to accommodate the audi-ence, correspond and adapt perfectly

to the measurements of the Green Room of the Sforza castle, where the performance took place.…Leonardo was in Florence in 1479, and he could have drawn inspiration for the creation of the Festa del Paradiso from the travelling Performances of Brunelleschi,2 which he may have seen, or he could have read about St Francis’s vision of paradise on Mount La Verna.3 In this vision the mount shone, reflected in Leonardo’s idea of putting numerous lighted candles against a window that had been pol-ished with gold leaf.He was also familiar with the work of Heron, whom he quotes, from the copies of manuscripts that were in circulation in Italy at the end of the fifteenth century. One of these is pre-served in the Laurentian Library in Florence. One of Heron’s mechanisms was a carousel, powered by steam, in which the figures placed on a circular surface rotated around the centre, and they were protected by glass (plate 7).I will not venture to establish what the source could have been that prompt-ed the young Leonardo to think of the staging of the Festa del Paradiso. However, I will confine myself to suggesting that he came up with the idea around 1479 when he was still in Florence, and he was then given the opportunity to carry out his plan in Milan, together with many other projects that he speaks of in the fa-mous letter to Ludovico il Moro, for whom he went to work.

Endnotes1 Trotti wrote that “The room where the party was held, […] was the one at the bottom of the stairs, in front of the rooms of the above-mentioned most excellent Duke of Milan”.2 Filippo Brunelleschi and the men of his circle were responsible for the extraordi-nary stagecraft progress for the miracle plays that took place in Florence during the course of the fifteenth century: from the static structure of the “appointed places”, namely the various buildings which repre-sented the different locations for the typi-cal activities of the Medieval religious play, to a type of “mobile” stage which made use of the spaces between the religious build-ings that hosted the miracle plays in an ac-tive and structured way. The invention of

these machines – or talents, as they were called at the time – was made possible by exploiting the rules of the “new” science of perspective and the knowledge and tech-nology acquired and put into practice in the builders’ yards.3 In Fioretti, it is written that Saint Francis in ecstasy walked towards Mount La Verna, where he was to receive the stigmata. The mount appeared completely illuminated like Paradise to the inhabitants, and for this reason the owner gave it to the saint.4 Cfr. G. Lopez, La roba e la libertà. Leonardo nella Milano di Ludovico il Moro, Mursia, Milano, 1979, pp. 30-80.

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FESTA OSSIA RAPPRESENTAZIONEchiamata Paradiso che fece fare il signor Ludovico in laude della duchessa di Milano, e così chiamasi, per-ché vi era fabbricato con un grande ingegno ed arte di maestro Leonardo Vinci fiorentino il paradiso con tutte le spere, pianeti che giravano, e li pianeti erano rap-presentati da uomini nella forma ed habito che si descri-vono dai poeti, e tutti parlano in lume della prefata Duchessa Isabella.

L’Angelo prima annunzia:Attenti! Udite tutti, incliti viri,El ciel vostro triunfo par che miri,E ’l gran Monarca le sue spere move.Tace l’inferno, e posansi i martiri:Per vostra festa in terra qui vien Giove;E gran cose vedrete mai vedutePer onor d’Isabella e sue virtute.

Giove in Cielo nella sua spera parla a’ pianeti dicendo che vuoi discendere in terra

Sento sì gran dolcezza nella mente,O figliuoli, o ministri delle spere,Per Isabella, che all’uman genteRisplende sì, che or, per mio piacere,In terra voglio andar personalmentePer onorarla, e farvela vedere:La notte al mondo fa parere el die;Ell’ è l’onor dell’altre opere mie.

Apollo si maraviglia di tanto lume:

O glorioso, o nostro eterno Jiove,Che novo lume è questo onde mi duole,Che virtù tante in grembo a quella piove,Che al mondo ferma, colle sue parole,la superbia de’ fiumi, e’ monti muove?Arestù mai creato un novo Sole?Chi mi fa cieco? ajuta or che bisogna:Se quella onori, a me non fai vergogna.

Giove dice ad Apollo che non si maravigli.

O grato Apollo mio, non ti dolere,Qual fusti sempre a me sarai diletto;Quando ti feci in ciel con le altre spere,Quest’ altro Sole i’ mi ritenni in petto.Piglia, come fo io, di quel piacere,Né di perder tuo stato aver sospetto;Ma sol di ringraziarmi or ti conviene,Che t’ ho fatto vedere un tanto bene.

Giove dice a Mercurio che vada a far conoscere a Madonna la cagione della sua venuta.

Andrai, Mercurio, mio orator degno,A trovar quella diva alma Isabella;E dì, che Giove del superno regnoVenuto è in terra per onor di quella;E pel diletto suo Duca ancor vegno,Per l’alta festa ov’è sì chiara stella:Dirà le, intendi ben, che in terra sono,E come io penso farli un santo dono.Guarda, Mercurio, a non ti far vergogna:Quattro Mercurj a lei saranno a lato,Filomena di Roma; e poi bisognaPensarve a qual fiorito e dolce prato.Quell’altro sacro nome, che cicognaFa Ciceron parere, i’ l’ho donatoA qualla nova Roma per suo bene;Del bel Fior Pandolfin v’è Demostene.

Mercurio va e dice a Madonna:

O specchio, o lume, o lampo, o divin sole,O miracol maggior della Natura,Gloria, fama et onor della tua prole;O bella, o diva, angelica figura,Vero secreto del superno regno,Nel tuo bel viso el ciel or si misura.Quel che vide l’amata farsi in legno,E che divenne per amor pastore,Vergognoso è d’invidia e pien di sdegno,Che vinto resta or qui dal tuo splendore,Unde a Giove n’esclama, e dolsi alquantoChe di perder suo stato ha gran timore.Se non che Giove col suo sacro mantoMi toccò gli occhj: or ben qui diverreiQual Melangro al tizzo in doglia e ’n pianto;Altrimente sguardar non ti potrei,Né dir le laude tue, santa Fenice,Se ’l tuo lume ferisse or gli occhj miei.El dir quanto convien a pochi lice:Se già vinsi Argo con mia dolce cetra,Tu delli Dei triunfi in ver me dice.Ma grazia assai da te per me s’impetra,Che fai silenzio; eh’ io non son sì cauto,Che a tue parole i’ non divenissi pietra.Di Giove scrisse il gran comico PlautoChe venne in terra per amor d’Alemena,Et io feci parer quel Sosia incauto.Ma or per te, lucente alma serena,In propria forma vien col divin trono,E le spere e gli Dei con seco menaPer onorarti; ed io mercurio sonoSuo nuncio, e vuoi che ti dica per sua parte

Appendice al capitolo 3

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Che ’n terra è qui per farti un santo dono.

Mercurio parla a Giove della ambasciata esposta a Madonna:

O Giove eterno, o motor primo, ed altoPrincipio e mezzo e fin, misura vera,Or più che mai te onoro e sempre esalto.Veduto ho la divina primavera,Un Sol, una letizia, un sacro aspettoUno specchio, ove io vidi quel che era.Tacendo, parla e mostra uno intellettoCh’e suoi sembianti dicono a chi guarda:Beato or se’ nel nostro alto soggetto.Ma ben di parlar molto or ti riguarda,Che alle superne cose è sempre intenta;Al mondo fredda, al ciel par che sempre arda.Apollo ha ben ragion se si lamentaChe questa luce spegne lui, come lui in cieloOgni stella lucente ha sempre spenta.Lo spirto glorioso in quel bel velo,In carcer no; ma ben libero e scioltoVa in cielo e torna, e dice: In lei mi celo.Dolce concerto in gran silenzio ascolto,E con Palla Imeneo fanno temperia:Quanto ha di bene el mondo ha in gremboaccolto.Da milla anni cantar da materia;E sua età, di lei degna, è ben quellaAppresso a quattro Soli; e farsi EsperiaPer questi più che mai felice e bellaUn pastor v’è, che fa dolce concento:’N un bel prato fiorito era Isabella.In questa ultima età sicuro armentoJeronimo Donato, e ben DonatoDal ciel, sì che Nettun or n’ è contento.Novo Ermolao che al Mor fu tanto grato:La petra ove Filippo or lieto siedeFrutto del Sol che ’l Lauro n’ ha mostrato.Tanta eccellenzia e gloria in lei si vedeChe penso, o Giove, che tu l’hai creataPer farla del tuo stato, o Giove, erede.O Giove, ho fatto a lei la tua ambasciata;Ma quella venne trepida e umile,Unde si fé più bella, a te più grata.Quando se’ tu cortese, eli’ è gentile;Altro Giove, da te mai più non voglio,Se M mondo e ’l ciel non ha cosa simile,Sì che a più disiar sarebbe orgoglio.O Diana, e tu, o Vener, meco insiemeLaudate or Giove che al mortai scoglioVi fa cose veder tanto supreme.Se di voi desti a lei la meglior parte,Forse dolor d’invidia el cor vi preme;Che fatta è più di voi con maggior arteIppolita: e nel ciel che tanto amate,O biondo Apollo, o vittorioso Marte,con meco el nostro Giove oggi laudate:E tu, Saturno ancor, che qui ne mostriEl vero onor di sue cose create.

Parlato Mercurio. Tutti li pianeti ancora laudano Giove di sua venuta in terra, e prima la Luna parla

O Giove, ben ogni tua forza e ’ngegnoMostrasti a far costei con le tue mani;Ma veramente el mondo or non è degnoSe tanta grazie hai fatto a’ ciechi umani, Fa questa a me, che morte n’ara sdegno,Che farò lieti tutti i corpi insani,Se per serva mi doni ad Isabella,Che mai non vidi in ciel simile stella.

Venere parla.O Giove, el tuo judicio mai non erra:El mondo hai fatto d’ogni ben erede:Grazie ti rendo del venir tuo in terra,Perché quanto puoi dar oggi si vedeIn Isabella, qual asconde e serraFrutto, che al ben d’Esperia si concede;Mie bellezze costei reduce in cenere,Tanto che me non riconosco Venere.

Apollo parla.

I’ sento un gaudio, una letizia drento,O Giove, con questi altri Iddei insieme:Se d’Isabella prima ebbi spavento,Che ’l suo stato ama, sai che dubbio e teme;Ma or di sua virtù son sì contento,Che di star qui con lei desio mi preme.Consentii, Giove, a me, che far lo puoi,Che mai più notte aranno gli occhj suoi.

Marte parla.

Bene ogni cosa, altissima corona,Tua justizia misura e ben comparte: Ringrazio or te, che un chiar Sol d’AragonaE di Sforza mi mostri in questa parte:Ma per me l’arme ormai qui s’abbandona,Poi che ’l mondo suo patre chiama MarteI’ti ringrazio milla volte, o Giove,E chi per onorarla oggi si move.

Saturno parla.

O Giove, poiché ben governi, E le grazie dispensi e’ ben misuri, I’ vo’ che gli anni d’Isabella eterniAl mondo sien, e da mie man sicuri;Che bellezze e virtù par ch’io discerniIn questa sì, che a’ secoli futuriAdorata sarà: te laudo, o Giove, Che oggi mi mostri cose sante e nove.

Giove dice a Mercurio:

Mercurio dolce mio, prudente e bono,

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Andrai per quelle sette mie figlioleChe in compagnia delle mie Grazie sono,Che le vo’ dare a questo divin SoleChe l’amo sempre, et or fogliene un dono:E se più merta, manco or non si vole,Ristorerolla poi, lassato el velo,Con gli altri d’Aragona e Sforza in cielo.

Giove parla alle Virtù e alle Grazie che sono condotte alla sua presenza.

Dilettissime mie figliuole care,Se le ministre fusti sempre e seteDella dolce Isabella singulare,Sino all’ultimo dì la servirete:Ma ora, Grazie e Virtù, vi vo’ donareA quella, unde beate ne sarete.Amatela e servitela con fedeQual Ippolita già, che nel ciel siede.

Parlato Giove, Apollo dimanda di grazia di presentare tal dono.

O magno Giove, o patre delli Dei,Se concedesti a me la luce pura,E per tua grazia gli altri affetti mieiIn gloria e ’n beneficio di Natura,Questa grazia or da te sola vorrei,El don portare a sì bella figura:Se Mercurio sdegnoso a questo sento,Per amor tuo e sua grazia fia contento.

Giove parla ad Apollo, e ammonisce che prima si era dolu-to quando vide Isabella, ed ora desiderava servirla.

Un’altra volta, o dolce Apollo caro,Non ti voler dolere avanti al fine:Quel che or t’ è dolce in prima t’era amaro,Quando vedesti sue luce divine.Così fa il verno, di fioretti avaro,Ma poi le rose nascon da le spine:Spesso si ride dopo un lungo pianto,E l’ cigno anco poi muor nel dolce canto.Onora, e lauda et ama e voler miei,Né si pensi più là, eh’ io veggio el tutto.Sai che fu detto – Mitte Arcana Dei –E tal vuolse alla terra el tempo asciutto,Che dice: Quel ch’io volsi or non vorrei.Non si judica ben nel fiore il frutto:Tu d’Isabella el suo lume temesti,Or chiedi in grazia quel che non volesti.I’ veggo, Apollo, ben a te conviensiQuel che per grazia el tuo disio dimanda;A tre cose nel don par che si pensi:Al dono, a chi fa el dono, a chi si manda.Se ’l primo sé fra luminari immensi,Nelle tue mani il don si raccomanda;E che ’l presenti per mia parte a quella,Primo lume del mondo oggi, Isabella.

Apollo presenta il dono e dice a Madonna:

Salve, diletta, gloriosa e bella,Oggi in tuo grembo tanta grazia piove;O lume d’Aragon, di Sforza stella,A te mi manda il gran tonante Giove,E dice che tu sei la mia sorella,Onde mel mostra per tue dive prove,E che nascesti già con meco in Delo,Tu primo lampo al mondo, io primo in cielo.Colui eh’ e cieli e ’l mondo e ’l cieco infernoHa fatto, e quel che tutto in sé comprende, E move, e guida, e regge et ha in governoOgni cosa, e punisce e premio rende,Senza principio e fin tutto in eterno,Per te dal ciel in propria forma iscende;E non quanto conviensi oggi ti munera,Ma parte d’i tuoi meriti remunera.Per onor del gran sangue d’Aragona,E di quella alta stirpe Sforza degna,Per te si fa tal festa, e ’l ciel ragiona:Se ’l Duca e Ludovico ognun s’ingegnaDi farti onore, e Giove anche in personaÈ qui venuto, è par gli si convegnaCogli altri Dei a sì magno spettaculo,Che pure a veder te gli par miraculo.E vuoi tornarsi in ciel col divin trono:E benché queste donne benedetteA tua custodia sempre avesti, e sono,Queste tre Grazie e l’altre Virtù sette,Te le concede a questa volta in dono: Speranza, Fede e Carità son dette,Justizia, Temperanza con Prudenza, Fortezza. Accetti il dono tua Eccellenza.

Mostra Apollo a una a una le Virtù e le loro proprietà.

Ecco Justizia, quale il tutto regge;Fortezza che al ben far fa l’uom costante; Prudentia ha pie di piombo a chi corregge;Temperanza alle furie un fren pesante;Speranza al ciel salir chi el bene elegge;Fede ove pace tien salde le piante;Ecco la Carità divin tesoro,E le tre Grazie che hai per grazia loro.

Apollo dona a Madonna un libretto, ove erano tutti i versi della festa e dice:

Per ritornar più grato al signor mio,Del magno beneficio ricevutoD’ essere stato delli Dei sol ioCh’ el divin don ti porsi e ben dovuto;Per satisfare al suo e mio disioCh’ i’ ti ringrazi, essendo a più tenuto,Dono a te sol le mie poche faville,versi che di te scrisson le Sibille.

Apollo si volta alle Ninfe e dice:

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O fortunate e care mie sorelle,Venerate ostei con dolce zelo:In compagnia del sol sarete stelle;E quando al mondo lei lasserà il velo,Sarete a Giove allor più grate e belleA render questa, d’onde venne, al cielo:Di vostro tanto ben mio cor ne gaude,Da voi parto; e cantate or le sue laude.

Canzone delle tre grazie

Noi siam tre santeGrazie Elette a tuo onorePer far tue voglie sazie;Ma ben grazia maggioreAbbiàn per tua virtue,Che Giove ci fa tue,A noi maggior coronaO lume d’Aragona.Laudato sempre siaJiove, che ne fé degneDi questa compagnia:Da noi savamo indegneDi star con Isabella.La qual vince ogni stella;E Jiove a lei ci donaO lume d’Aragona.

Canzone delle sette virtù

O summo Jiove, o summo Jiove,Fatto hai il mondo oggi feliceDando a quel questa FeniceLa qual mai si vide altrove.El judicio tuo non erra,Se, per la tua luce altera,Ti degnasti quaggiù in terraVenir sacro in forma veraIsabella è primavera:’N pioggia d’oro né ’n pastore,Tu non vien; ma solo onoreD’Isabella or qui ti muove:Sia laudato el summo Jiove.Quando l’alma tu spirastiNel bel vel qui d’Isabella, Tu sai ben, ci comandasti,Noi l’avessin per sorella;Ma, se or ci doni a quella,Più che pria felici siano,Però sempre ti laldiànoDi tal grazia o summo Giove.Ite, Ninfe, in selve e ’n fiumeVogliàn ir con Isabella:A noi date i vostri numi.

Bernardo Bellincione, Libretto della Festa del Paradiso.

RELAZIONE DELLA FESTA DEL PARADISO(Bibl. Estense, Cod. ital. n. 521, segn. a J. 4, 21)

Trascrizione: Solmi, Edmondo, La festa del Paradiso di Leonardo da Vinci e Bernardo Bellincore (13 Gennaio 1490), «Archivo Storico Lombardo: giornale della Società Storica Lombarda», IV s., vol. I, anno XXXI, 1904, pp. 75-89.

Hordine de la festa et representatione, che ha factto fare lo Ill.mo et Ex.mo S.re m. L[udovico] in honore et glo-ria de la III.ma et Ex.ma M.a duchessa Isabella, consor-te de lo ex.mo et felicissimo S.re Jo: Ghaleaz(zo) Maria sfortia divis[simo], al presente duca di Milano, e per darli solazo et piacere; la quale festa et representatione s’è factta in mercordì a dìxiii de zenaro 1490: la quale è stata tanto bene ordinata et conductta, et con tanto sci-lentio et bono modo, quanto al mondo sia possibile a dire et exprimere con lingua, come evidentemente qui de sotto se vederà per hordine; et prima dirò de la sala et adobamento suo, dove è stata faceta ditta festa et re-presentatione.La sala dove è stata factta ditt[a] festa et representatione è nel Chastello de porta Zobia, è quella che è in capo de la scalla, che se va suso a chavallo, che è dinanzi a le Chamare del preditto ex.mo duca de Milano, et dove è dentro la cappella dove aude messa la sua ex. La quale sala haveva uno dello de sopra, da uno capo all’altro, factto de verdura a feste, et zascuno festo haveva dentro la sua arma, le quale erano tutte I ducale et de quisti III mi S.ri Sfortischi et de la sagra M.tà del Re Ferdinando. Atorno atorno el cielo de ditta sala era una cornise a ver-dura pur con ditte feste et arme. Le mure de sopto da dieta cornixe erano tutte coperto de rasi con certi qua-driti de tella, dove era dopinto certe ystorie antiche et molte cosede qualle che fece lo Ill.mo et Ex.mo S.re duca Francesco.Corno se zungeva dentro in ditta salla, a mano man-ca era uno tasello, el quale tochava terra, che era lungo circa xx braza, et andava sempre montando a modo uno monte fino appresso el tasello, a tanto che se potesse per uno gran homo in cima stare in piedi, et de grado in grado haveva li suoi scalini a fine che li gentilomini, li quali li erano suso, potesseno tutti ben vedere, el quale ponte era benissimo adobato de tapezarie: dinanti al ditto tasello, lontano circa x braza, era una sbara de asse alta circa due braza, in capo de la quale era uno taseletto, dove steva li sonatori, el quale era molto bene adornato. Nel mezo de ditta sala, a mano mancha, era uno tribu-nale de tanta eminentia che se montava a tri scalini: el quale era coperto de tapidi et così li scalini con el suo capocello et sponde a la dovisa ducale de bro-chato d’argento, cioè bianco et morello factto a quar-ti. Apreso al ditto tribunale era scranne et banche de ogni lato per altri S.ri consiglieri et magistrati. Apreso al ditto tribunale era certi cosini, a man mancha, per la III.ma Madre, M.a Biancha et M.a Anna et altre S.re et gran M.e. A rincontro del ditto tribunale era preparato

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de banche et de cosini, dove haveva a stare tutte le altre zentildonne et cortexane.In capo de ditta sala, dove era l’altare, era il Paradixo, el quale haveva dinanti uno panno de razo che non se pote-va vedere cosa alchuna, dinanti al quale panno era alchune banche, dove haveva a stare le livree de le mascare, che comparivano suso la festa. Corno zagesse el Paradixo non ne diro altro, reservando a farne mentione al loucho suo.De tri zorni avanti la sopra ditta festa, questo ex.mo p. du-cade Milano fece invitare circa cento damiselle et gentil-donne de le più belle et più riche de questa città. Et così tutti Horatorì, Consiglieri, Magistrati et Gentilomeni per ozi a hore xx, tutti vestiti de colore honorevolmente: li quali al ditto tempo tutti se recolseno a la Camera de lo Ex.mo S. m. L[udovico], et tutte le donne a la Camera de M.a duchessa Isabella, dove etiam se ridusse la III.ma et Ex.ma M. duchessa Bona, M.a Anna et M.a Biancha.

Recholto le brigate, lo ex.mo S. m. L[udovico] venne fuora del Chamarino suo, vestito a la spagnola, in que-sto modo: uno vestito de veluto piano murelo, fo-drato de gibelini a la spagnola, con una capa de oanno negro a la spagnola, fodrata tutta de brocato de horo in campo bianco et così el capino. Et andò di sopra a la Chamera de lo ex.mo duca de Milano con la sopra ditta compagnia. El quale ex.mo duca era vestito de brochato de horo rizo molto belissimo, in campo cremexino: el quale haveva al collo uno grandissimo balasso et ne la bretta uno gran diamante in puncta con una grossisima perla.Stati così un poco lo ex.mo S. m. L[udovico], lo Ill.mo S. m. Ghaleaz(zo) et alchuni consiglieri andarno a livare de Chamera le preditti Ex.me M.ne duchessa Bona, M.a duchesa Isabella, M.a B[ianca] et M.a Anna, et veneno ne la camera del S.re duca et tutti de compa-gnia andorno in sala, et homini et donne fumo aseptati a li luochi suoi, segondo el loro grado. Nel mezo del tri-bunale a man drita se aseptò M.a duchessa Bona, el duca de Milano apreso: M.a duchessa Isabella et poi lo ex.mo S.re m. L[udovico]: apreso la prefactta M.a duchessa Bona era lo horatore del Papa, lo horatore venetiano, et lo horatore fiorentino: a man mancha apreso lo ex.mo S. m. L[udovico] era lo horatore regio, lo horatore del duca de Chalabria et lo Ill.mo et ex.mo S. m. Ghaleaz(zo) da Sanseverino: le preditte M.e M.a Bianca et M.a Anna se aseptorno a li loro luochi, apreso el tribunale, corno è ditto de sopra ne lo adobamento de la sala.Aseptato ogno homo, se comenzò a sonare per li pifari et tromboni. Sonato un pocho che haveno ditti pifa-ri, fumo factti restare de sonare: et fu comandato a certi sonatori de tamborini, che sonassero certe danze napolitane.La III.ma et Ex.ma M.a duchessa Isabella, per dare prin-cipio a la triumphante sua festa, acompagnata da lo hora-tore regio, discese zoso del tribunale, vestita a la spagnola, con uno mantello di seta biancha sopra la zuba, qua-le era de brochato d’oro in campo bianco, adonixato d’altri coluri, corno se costuma a l’usanza spagnola, con

gran numero de zoglie et perle intorno: la quale era bella et pulita che pareva un sole: et andò’ nel mezo de la sala, dinanti al tribunale, dove venne tre sue Chamarere, et ballò due danze; et retornò al luocho suo: et finì de sonare li tamburini.Stato così un pocho, venne otto maschare vestite a la Spagnola, quattro da homo et quattro da femina, acom-pagnati insieme uno homo et una donna; li quali erano vestiti con cape factte a quarti, mezo brochato d’oro et mezo veluto pian verde; et le donne spagnole erano tutte vestite di seta, con li suoi mantelli de varii coluri, con molte zoglie intorno. Li quali se apresentorno di-nanti a M.a Isabella duchesa, et li disseno alchune parole da parte de la regina et del Re de Spagna, che fumo, in substantia, che havendo inteso le loro Mtà de la triomphante festa, che faceva sua Ex., li havevano man-dati ad honorarla. Ditti tamburini comenzorno a so-nare, et ditti spagnoli et spagnole comenzorno a baiare insieme, et balorno dui balli molto bene et pulitamente. Finito el ballo, fumo posti a sedere, segondo e’ ditto de sopra, e fu poi comandato a li pifari che sonaseno, et le altre mascare, che erano venute suso la festa, balorno uno ballo overo più’ d’uno, come se costuma qui de farne tri e quattro de balli l’uno dreto a l’altro.Finito ditto ballo, venne quattro maschare vestite a la placha, con caviare in testa lunghete arizate, con una gri-landeta d’erba verde in testa, con le pene de scargeto den-tro, con manteliti de raxo negro curti, con calce murele scure et scarpe factte a punta lunga. Et se apresentorno a la III.ma M.a duchessa Isabella, et li feceno l’ambasata de la substantia dieta de sopra, che havendo inteso la M.tà del Re et de la Regina de Polachia de la fama et gloria sua et de la bella festa, che la faceva, li havevano mandati ad honorarla. Fumo posti a sedere apresso li Spagnoli, et se comenzo a sonare, et le maschare balorno uno ballo.Finito el ballo, venne circa sei chioppe de mascare, con dui moriti inanti, che portavano le semitare inanti a dit-te mascare, le quale mascare erano tutte vestiti a la un-garescha molto honorevolmente, con turche de brochato d’oro rizo et de seta, con le caviare in testa, con le grilan-dete d’erba suso li capilli, et parte con le scophie de seta con molte zoglie. Le quale se apresentorno dinanti a la III.ma M.a duchessa Isabela, et li feceno una ambasata da parte del Re et de la regina de Ungaria, corno li ha-vevano mandati ad honorare la festa sua. Fumo messi a sedere apreso a le altre mascare, et se fece baiare le altre mascare uno ballo.

El quale finito, zunse uno horatore del Turcho con com-pagnia a chavallo, vesti segondo a la turchescha, molto honorevolmente, el quale con li compagni smontò di-nanti al tribunale con una maza in mano, et li soi servi, vestiti a la turchescha, menomo via li chavalli, li quali anchora loro erano vestiti a la turchescha, che era uno pulito et bello vedere. El quale ambasatore fece intende-re a la III.ma M.a duchesa Isabella, corno el grande turcho suo S.re non era usitato a mandare ad honorare feste de cristiani et maxime in Italia, ma per havere inteso de la fama, grandeza et gloria sua, et de la triompante festa

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che la faceva fare, lo riaveva mandato ad honorarla. El quale horatore fu posto a sedere in terra suso il cosini, corno se costuma in loro paixi. Fu comisso a li sona-tori che sonaseno, et così se ballò per le maschare più balli.In questo mezo lo ex.mo S. m. L[udovico] se partì de suso la festa, et se mutò de panni, et retornò con una turcha de horo tirata, la quale era molto belissima.Finito li balli, venne uno chavalaro de lo imperatore con el signale suo: el quale noctificò a la preditta ex.ma M.a duchessa Isabella, corno la M.tà de lo imperatore man-dava alchuni de suoi S.ri et baroni ad honorare la sua festa. La quale li disse che venisseno. Et così venne quat-tro chioppe de maschare, vestiti tutti de panno verde, et così le calze con certi mongini facti a la todescha fino a la polpa de la gamba, le quale erano tutte tagliuzate, et sotto v’era brochato d’oro, che faceva uno bello vedere, in testa havevano Chaviare lunghe arizate, corno porta li todischi, con uno retorto sopra ditti chapilli: nel quale dinanzi havevano penne de scargette, con uno balasso dentro ne la fronte, et con le scarpe da le punte lunghe. Et se apresentorno a la preditta III. M.a con el preditto Chavalaro, et li apresentorno una littera, la quale M.a dette al chavalaro, che glie la ligesse, per essere scripta in todesco, et che glie la spianasse in taliano. El quale la spianò. Et ditti S.ri et baroni, per interpreto, li fe-cero intendere, come havendo inteso lo imperatore suo S.re de la bella et magnanima festa, che faceva sua Ex., li havevano mandati ad honorarla et a magnificarla. Finita la ambasata fumo aseptati a sedere suso li scalini del tri-bunale, dinanti a la sua Ex. Tutte le mascare, che erano venute li, li fu comandato balasseno, et così feceno per una grossa hora.Finito el ballo, zunse uno Chavalaro de la M.tà del Re de Fransa, el quale noctificò a la preditta M.a duchessa Isabella, ce la M.tà del Re et de la Reina de Franza mandavano alchune sue damisene et baroni a la sua Ex. Li comisse che venisseno, et, così stando un poco, vene-no che fumo quattro mascare, vestite da homo a la france-se, con turche de veluto piano negro, con cadene d’oro a la traversa, corno e’ quelle da cane, le quale havevano a braze zaschuno di loro una donna, vestita a la francese de veluto piano negro con le code lunghe fodrate de armelini, con alchune putine vestite a la francese, che li portavano la coda. In capo ditte donne havevano pezi de drappo negro, con grandissimo numero de perle intorno grossisime et de gran valuta, con quattro sonatori, inanti da tamborini et staphette, vestiti de tafetto, et tutti co-perti ditti vestiti de trimolanti, li quali sonavano molto bene, et facevano uno bello vedere et audire. Inanti a ditti sonatori era Piero de Sorano con uno vestito et cal-ce, tutti de trimolanti, con due penne negre, che andava baiando et saltando con li suoi salti soliti. Ditti franzosi feceno intendere a la preditta III.ma et ex.ma duchessa Isabella, corno la sagra M.tà del Re et de la Regina de Franza haveva inteso de la nobilissima festa, che la faceva fare, et che per honorarla et exaltarla li haveano mandati a quella. Fumo factti sonare li suoi sonatori, et balor-no dui balli a la francese inseme con le sue donne. Finiti

li balli fumo posti a sedere suso li scalini del tribunale, apreso a li horatori et baroni de lo imperatore.La III.ma M.a Ixabella comando che ogni hom baias-se, et così poi ogni homo baiò mesedatamente inseme spagnoli, polachi, ungari, todischi et franzosi et altre mascare, et così se baiò multi balli.Suso le xxiij hore, venne in suso ditta festa circa otto ma-schare, con cape de raxo, le quale havevano solamente le Chamise suso el cibone, et comenzorno a baiare a la pina: li quali erano actissimi et molto suso la vita, li quali feceno molte partite de cavriole, scambiiti et salti, che per un pezo feceno uno bello vedere.Finito el ballo, la prefactta Ex.ma M.a duchesa Isabella comandò che alchune sue Camarere balasseno, le quale feceno alchuni balli fra loro donne a la napolitana overo spagnola molto gentilmente.Finiti ditti balli lo ex.mo S. m. L[udovico] comandò a li spagnoli che balasseno con le sue donne spagnole, et così balorno dui balli a la spagnola. Di poi comandò a li franzosi che balasseno con le sue donne francese, li quali feceno dui balli a la franzosa, e perché de quisti dui balli glie ne era uno che piaque molto a la sua Ex., quella volse lo facesseno due altre volte.Finito ditti balli se fece restare li soni, che era circa hore xxiiij 1/2, et se de principio a fare la representatione.El Paradixo era factto a la similitudine de uno mezo ovo, el quale dal lato dentro era tutto messo a horo, con grandissi-mo numero de lume ricontro de stelle, con certi fessi dove steva tutti li sette pianiti, segondo el loro grado alti e bassi. A torno l’orlo de sopra del ditto mezo tondo era li xij signi, con certi lumi dentro dal vedro, che facevano un galante et bel vedere: nel quale Paradixo era molti canto et soni molto dolci et suavi.Trete certi schioppi, et ad uno tratto cade zoso el panno de razo, che era dinanti al Paradixo, dinanti al quale remase uno sarzo fino a tanto che uno putino vestito a mo’ de Angelo have annuntiato la ditta representatione. Livro de dire le parole, cade a terra ditto srazo, et fu tanto si grande hornamento et splendore che parse vedere nel principio uno naturale paradixo, et così ne lo audito, per li suavi soni et canti che v’erano dentro. Nel mezo del quale era Jove con li altri pianiti apreso, segondo el loro grado. Cantato et sonato che se have un pezo, se fece pore scilentio ad ogni cosa: et Jove con alchune acomodate et bone parole ren-gratiò el summo Idio che li avesse conceduto de creare al mondo una così bella, legiadra, formosa et virtuosa donna come era la Ill.ma et ex.ma M.a duchesa Isabella.Apollo, che era disopto, se ma(ra)vigliò de le parole che disse Jove, et se dolse che havesse creato al mondo una più bella et formosa creatura di lui; Giove li respose che non se ne doveva maravigliare perché, quando lo creò lui, se reservò de potere creare una più bella et formosa creatura di lui, et che fin qui la haveva reservato per concederlo et donare a la Ex.ma M.a duchesa Ixabella, et che voleva discendere in terra per exaltarla et gloriarla. Et così discese del Paradiso con tutti li altri pianiti, et andò in vetta de uno monte, et de grado in grado ditti pianiti se li pose-no a sedere apreso. Como furno tutti aseptati, mandò per Merchurio a notificare a M.a preditta, como era disceso

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in terra per honorarla et exaltarla et magnificarla et per donarli le tre gratie et acompagnarla da le sette vertù cioè iustitia, temperanza, forteza et altre sue compagne; et così Merchurio andò da sua ex., et con molte bone parole li no-tificò la venuta de Giove in terra; et poi retornò a Giove la risposta. Audito questo li 6 pianiti, et inteso la raxone per-ché era venuto in terra, tutti a uno a uno rengratiorno Jove de la revelatione che li haveva factto de una tanto bella et virtuosa donna che haveva creato al mondo, confermando-lo ne la sua volontà de doni li voleva fare, et zaschuno de loro, per hordine, li offerse la virtù et posanza sua. Giove comandò a Merchurio che andasse per le tre gratie et per le sette virtù. Ne lo andare che el fece, Apollo se dolse a Giove, et concluxe se pur haveva deliberato de farli un tan-to dono che a lui concedesse gratia che el fusse quello che glie le presentase; et Giove li concesse la gratia. Retornò Merchurio con le tre gratie ligate in un capestro con sette nimphe et sette virtù, le quale nimphe havevano zaschuna de loro una torza bianca in mano. Giove comandò Apollo che le menase a la Ill.ma et Ex.ma duchesa Isabella, et per

sua parte gliene facesse un presente. Apolo andò da M.a et con molte parole dolce et suave le apresentò a la sua Ex. per parte de Giove et ditte le parole li donò uno libretto, nel quale contene tutte le parole che se sono ditte in ditta representatione: nel quale libretto era Alchuni soniti factti in laude et gloria de potentati suoi de li horatori, che li erano presenti, et così de loro proprii, et a tutti ditti hora-tori ne fu dato uno per zaschuno da la sua ex. Le tre gratie comenzorno a cantare in laude de la preditta Ill.ma M.a Isabella per rasone. Finito de cantare, cantò le sette virtù in laude pur de sua ex., et acompagnorno quella in camera inseme con le tre gratie. Et fu finito la festa: la quale fu tan-to bella et bene hordinata quanto al mondo sia possibilie a dire: di che tutti quilli che si sono trovati presenti a vedere ditta festa na hanno a refferire gratie al nostro S.re Dio et a lo Ex.mo S. M. L[udovico], che li ha dato tanta gratia et piacere di havere visto una tanta festa così triumphante et bella.

Jacopo Trotti, Relazione della Festa del Paradiso

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