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n. 229 DOMENICA - 27 AGOSTO 2017 Il Sole 24 Ore 21 Scienza e filosofia malattie genetiche Oltre i confini del laboratorio La scienza può rendersi utile se non si isola e se riesce a condividere conquiste e fallimenti L’esperienza della «Còrea di Huntington» di Elena Cattaneo O gni nuova scoperta scientifica trova senso nella sua condivisione e accessibilità. L’immagi- ne dello scienziato incu- rante del mondo ester- no, seppure diffusa, dice ben poco del vero ruolo dello studioso. Oltre il labo- ratorio esistono infatti reti di comuni- cazione e di fiducia, nella scienza e con la società. Sono reti spesso invisibili, difficili da raccontare tanto sono intrec- ciate e tortuose, ma sempre logiche. Reti che possono portare in luoghi della terra mai visitati prima, dove studiosi che non conosciamo ancora sono pronti ad accoglierci solo perché le loro scoperte (o le nostre), diventate pubbliche, han- no fatto nascere un’idea, teso un filo, creato una corrispondenza e alimentato un pensiero su un nuovo possibile svi- luppo di ricerca da mettere a fuoco in- sieme e proiettare nel futuro. Non c’é nessuna garanzia che la strada “giusta” passi da lì, ma intraprendere quel viag- gio è l’unico modo per saperlo. Come fa- re a raccontare lo stupore di queste reti, che si intrecciano, si disfano e si ripara- no, ogni volta con l’obiettivo di un nuo- vo avanzamento della conoscenza? Ci proverò con una storia. Negli anni Ottanta un gruppo di stu- diosi seguirono l’invito pieno di tra- guardi incerti di Nancy Wexler, geneti- sta e professore di neuropsicologia alla Columbia University, che con l’obietti- vo di identificare il gene di una difficile malattia neurologica ereditaria, la Còrea di Huntington, coinvolse e reclu- tò in una impresa mai tentata prima menti brillanti da tutto il mondo. Lo fe- ce con un affettuoso quanto imperioso «Let’s go to Venezuela!». Nancy voleva portare i ricercatori in quella regione del Sud America per uno scopo ben pre- ciso. È nei villaggi intorno al lago Mara- caibo che l’Huntington – che conta ma- lati in tutto il mondo, e a migliaia anche in Italia - raggiunge la sua massima dif- fusione. Molte delle famiglie di quei vil- laggi vi convivono, da sempre, con le sofferenze triplicate dalla povertà e dall’avere più malati nella stessa fami- glia. Tutti “figli” di Maria Concepción Soto, vissuta alla fine del 1800 nel vil- laggio di Lagunetas e considerata una capostipite della malattia. Lei, si è capi- to, ha trasmesso il gene a molti dei suoi 18.000 discendenti. Chi ha quel gene svilupperà la malat- tia, i movimenti scoordinati (che in Ita- lia chiamiamo “ballo di San Vito”) e i di- sturbi psichiatrici, fino a subire l’isola- mento e, nelle realtà più povere, lo stig- ma di essere additato come un “indemoniato”. Non è un caso che con una legge del 1933, il regime nazista im- pose a queste (e altre) persone con ma- lattie genetiche la sterilizzazione obbli- gatoria e più avanti le camere a gas. Ebbene, nel 1975, quel primo viaggio dei ricercatori in Venezuela contribuì a tessere una gigantesca rete che lega an- cora oggi in modo indissolubile gli studi sulle malattie neurodegenerative a quella zona del mondo, povera, politica- mente instabile e defilata rispetto ai grandi accadimenti del pianeta. È stato infatti grazie al sangue di quelle persone e a venti anni di geniale ricerca, che si è scoperto il gene della malattia e le trop- pe “lettere”, CAG (citosina, adenina e guanina) ripetute, che contiene. Intorno a quel gene e a quelle lettere c’è anche un’altra rete, che lega i malati di Huntington di ogni epoca e prove- nienza all’evoluzione della specie uma- na. Il gene la cui mutazione causa la ma- lattia ha quasi un miliardo di anni. Al- l’inizio quelle lettere non c’erano, poi sono comparse e sono sopravvissute nel DNA di tante specie, arrivando fino a noi e aumentando di numero di pari passo con l’aumentare della complessi- tà del cervello. Pensiamo che non sia frutto del caso. Li chiamiamo “malati” ma in realtà potrebbero essere involon- tari protagonisti dell'evoluzione della nostra specie. Ci stiamo lavorando per- ché per curare bisogna capire. E perché la persona malata vuole sapere il moti- vo che ha portato quel gene con quelle troppe lettere fino a lui. La scoperta del gene ha permesso il ri- conoscimento della malattia e l’identifi- cazione di farmaci sintomatici. Queste conquiste hanno raggiunto la parte più fortunata del mondo, l’Europa e il nord America, lasciando per lo più a guardare le popolazioni il cui sangue ha reso pos- sibile tutto ciò. Loro vivono ancora nel nulla, in agglomerati polverosi di ca- panne e baracche, al confine da tutto. Trattati da “indemoniati”. La comunità di studiosi della malattia sa che il mondo ha un grosso debito con loro. E a maggio di quest’anno gli scienziati e le associa- zioni legate alla malattia hanno avviato un percorso per sanarlo. Grazie ai fili tessuti negli anni con i malati e le poche persone intorno a loro nelle zone più disagiate del Venezuela, della Colombia, dell’Argentina e del Brasile oggi esiste una rete internazio- nale che, al grido di “Mai più nascosta”, ha reso possibile l'incontro di questi malati tra di loro e con le associazioni e i medici di tutto il mondo. “Mai più na- scosta” è stato anche l'impegno pro- nunciato da Papa Francesco, lo scorso 18 maggio, il primo Pontefice a dedica- re un’udienza speciale ai malati di Hun- tington e a parlare della loro solitudine ed emarginazione. Migliaia i presenti. Centinaia i malati giunti a Roma da tut- to il mondo. A distanza di mesi è ancora difficile dimenticare Brenda, 15 anni, da Buenos Aires, mentre nel suo vestito bianco si avvicina a Papa Francesco salendo le scale con un passo che sembrava più si- curo di quello che la malattia da tempo le permette, o Yosbely, 35 anni, da Barran- quitas in Venezuela, capace di trasfor- mare la triste Còrea (dal greco “danza”) della malattia, che opprime da sempre la sua famiglia, nello sforzo di eseguire un ballo diverso, musicale, o il sorriso gen- tile di Dilia, 78 anni, che da El Dificil in Colombia ha portato frasi di buon augu- rio a tutti, nonostante la sofferenza che ha accumulato negli anni accudendo il marito e nove dei suoi 11 figli colpiti dal- la malattia. Con un filo di voce ha spie- gato cosa significa per una madre dis- seppellire tre figli, per ricomporli insie- me, perché non si hanno soldi a suffi- cienza per pagare tre tombe. La scienza non ha ancora dato loro una risposta, una cura, ma unendosi alle associazioni e con il contributo delle istituzioni lavora anche fuori dal labo- ratorio per restituire loro e a tutti i mala- ti la dignità che con la malattia sembra- va perduta. Anche io voglio continuare a contribuire ad accrescere questa rete. Una delle tante che dimostrano in quan- ti modi la scienza può rendersi utile se non resta isolata. Bisogna lasciarsi co- noscere, raccontare conquiste e falli- menti e condividere le conoscenze. Co- noscenze che non solo la società ma an- che e prima di tutto la politica può far proprie - un esempio lo ha dato lo scorso maggio il Senato della Repubblica acco- gliendo i malati Huntington -, ascoltan- do ciò che la scienza, la medicina e le as- sociazioni dei familiari possono fare, per arricchire queste reti e non correre il rischio di perderle o spezzarle. – Docente alla Statale di Milano e Senatore a vita © RIPRODUZIONE RISERVATA scienze psicosociali Democrazie personalizzate di  Gilberto Corbellini P er Platone, politica e morale sono due facce della stessa medaglia e il governo giusto è solo quello dei filo- sofi, che sanno cosa è la giustizia. Aristotele, invece, preferisce discutere la po- litica come dimensione dell’esperienza so- ciale indipendente dall’etica. Non tanto per- ché le forme della virtù siano irrilevanti, ma in quanto, se si ha di mira il bene generale, è disfunzionale decidere una forma di governo partendo da doti etiche personali. Meglio chiedersi sotto quale tipo di legge (costitu- zione) sarebbe preferibile vivere. Sono dovu- ti trascorrere quasi due millenni, ed è occorsa la provocazione di Macchiavelli (ma quale etica, è tutto lecito in politica!), per rendersi conto che i valori della convivenza civile si possono stabilire concordemente, per vie de- mocratiche, attraverso leggi nelle quali tutti si riconoscono e che sono uguali per tutti; piuttosto che lasciarli decidere, i valori, dai politici che di volta in volta per le loro perso- nalità/capacità intercettano i favori popola- ri. La selezione naturale non poteva prevede- re che per la convivenza civile nelle innaturali società moderne si dovessero inventare lo stato di diritto, il libero mercato, l’epistemo- logia scientifica, il rispetto degli estranei, i di- ritti umani, etc. Le sensibilità per questi valo- ri non sono innate, come provano le scienze cognitive. Scaturiscono da processi storico- sociali che hanno manipolato, provvisoria- mente, predisposizioni psicologiche indivi- duali polimorfiche, dando luogo a repertori e combinazioni di profili comportamentali, quindi preferenze valoriali e infine orienta- menti politico-ideologici, che si combinano e ricombinano nei gruppi umani per risponde- re a continue e diverse sfide o instabilità det- tate da dinamiche ecologiche in senso lato. La psicologia della personalità è un terreno fertile per studiare e ragionare delle basi com- portamentali della politica e per capire quali forme di organizzazione della convivenza umana sono più congeniali alle disposizioni individuali e sociali umane. In un denso e luci- do libro, Gian Vittorio Caprara e Michele Vec- chione argomentano che la democrazia è un’«impresa morale che si fonda ampiamen- te sulla moralità pubblica dei suoi cittadini», e che la divaricazione ideologica tra destra e si- nistra o tra liberali e conservatori intercetta tratti fondamentali della personalità, che nel- l’evoluzione della cultura politica occidentale si strutturano preferibilmente attraverso questa tipologia di identificazione politica, in ragione dei valori morali e politici associati a questi piani. Non è di personalizzazione della politica nel senso tradizionale che parla il li- bro, cioè delle caratteristiche psicologiche dei leader votati dagli elettori e che sembrano contare sempre più, ma di come i tratti e i valo- ri delle personalità dei cittadini concorrono al funzionamento di un sistema politico. Non- dimeno si parla anche del fatto, corroborato da studi empirici, che le somiglianze di perso- nalità tra politici ed elettori giocano un ruolo nelle scelte di voto. Il libro espone dati, analisi e proposte fon- date su due influenti paradigmi della psicolo- gia della personalità e della psicologia sociale umana: il modello dei Big Five e la tassonomia dei valori umani fondamentali di Shalom H. Schwartz. I cinque “grandi” tratti selezionati nei primi decenni del secondo dopoguerra sulla base di studi lessicali e analisi fattoriali, come noto, sono: apertura mentale (quanto una persona è inventiva e curiosa piuttosto che cauta e conservatrice), amicalità (quanto una persona è fiduciosa, altruista e cordiale, piuttosto che egoista e sospettosa) coscienzio- sità (quanto è efficiente e scrupolosa, piutto- sto che superficiale e disattenta), estroversione (quanto è energica e socievole, piuttosto che solitaria e chiusa) e, infine, stabilità emotiva (quanto è vulnerabile alle emozioni negative come l’ansia o l’angoscia, o tende alla depres- sione, piuttosto che sicura di sé e fiduciosa). Numerosi studi dicono che le personalità ca- ratterizzate da apertura e socievolezza tendo- no a essere progressiste, mentre quelle co- scienziose, sono conservatrici. Qualche ricer- ca trova che le persone che spiccano come amicali tendono a essere di sinistra in econo- mia e di destra nelle politiche sociali, mentre vale il contrario per gli emotivamente instabi- li. L’estroversione non produce effetti prefe- renziali. Esiste anche una letteratura che usa i Big Five per mappare geograficamente i tratti di personalità prevalenti in diverse aree degli Stati Uniti, spiegando in questo modo, cioè come concentrazione di persone con tratti si- mili, gli orientamenti ideologici e i comporta- menti di voto costanti, per i repubblicani o per i democratici, in diversi stati. Non è questa la sede per discutere i limiti del fortunatissimo modello dei Big Five, che non ha una base teorica e trova però alcune conferme a livello neurobiologico, ma non ge- netico. Ora, i tratti non danno informazioni a livello motivazionale: sono differenze indivi- duali dimensionabili per quanto riguarda del- le tendenze a mostrare schemi di azioni, affet- ti e pensiero coerenti. L’israeliano Schwartz ha quindi costruito, partendo dalle ricerche dell’olandese Geert Hofstede sulle dimensio- ni delle differenze culturali e valoriali tran- snazionali, una tassonomia di dieci valori ri- scontrabili nelle principali culture, i quali fun- zionano come credenze, desideri o scopi che hanno effetti motivazionali per la persona: autodirettività, stimolazione, edonismo, realiz- zazione, potere, sicurezza, conformità, tradizio- ne, benevolenza, universalismo. Questi valori strutturano in quattro gruppi che definiscono l’apertura al cambiamento (primi due), l’auto- affermazione (successivi tre), la conservazione (successivi tre) e l’auto-trascendenza (ultimi due), e sono tra loro interconnessi e sovrappo- sti. In che misura le dinamiche relazioni tra i valori correlano con o predicono orientamen- ti ideologici e scelte elettorali? Schwartz, Caprara e Vecchioni hanno suggerito otto “nuclei valoriali politici” che definiscono preferenze socio-economiche e culturali che contano per le persone in quan- to espressione sul piano ideologico della loro visione morale: equità, libera concorrenza, morale tradizionale, legge e ordine, patriotti- smo fanatico, libertà civili, accettazione degli immigrati, interventismo militare. Esami- nando prima due elezioni politiche italiane, 2006 e 2008, e quindi testando le preferenze valoriali e politiche in altri paesi europei, an- che post-comunisti, gli autori hanno trovato che le ideologie tradizionali sono ancora i migliori predittori di voto, anche se i dati consigliano di guardare oltre la divisione de- stra-sinistra e progressisti-conservatori, per cogliere complessivamente i determi- nanti valoriali delle scelte politiche. Infatti, al di là di chiare differenze si notano comunan- ze tra i votanti. Per esempio, autodirettività e universalismo sono apprezzati più che pote- re e realizzazione nella maggior parte dei Pa- esi studiati, non solo come prevedibile da chi è di sinistra/progressista, ma anche per chi è di destra/conservatore. Per quanto riguarda gli atteggiamenti poli- tici, gli elettori di sinistra/progressisti sono per politiche di equa distribuzione delle risor- se e delle opportunità e per le libertà civili (di agire e pensare), mentre quelli di destra/con- servatori preferiscono politiche attente ai va- lori familiari e religiosi tradizionali, all’appli- cazione della legge e liberiste in economia. Ma questi ultimi danno un’importanza a egua- glianza e libertà civili non molto distante da chi è dell’ideologia opposta. Per gli autori «i dati suggeriscono che gli atteggiamenti e le scelte politiche degli elet- tori dipendono meno che in passato dal me- nu offerto loro dai partiti e dai politici. Oggi i cittadini sono agenti proattivi, le cui priorità largamente dettano il tipo di menu che i par- titi politici e i politici dovrebbero servire. Di fatto, più i cittadini sono consapevoli dei loro diritti, specialmente della libertà di esprime- re le loro opinioni, più le rappresentazioni mentali di sé e le visioni del mondo personali dettano le loro scelte individuali». Il che do- vrebbe suscitare ottimismo per il futuro della democrazia nella misura in cui un buon svi- luppo della personalità si trasferisce nel buon funzionamento della democrazia. Ma nonostante le messe di dati e modelli utili che offre alla riflessione, il libro non spiega per- ché si dovrebbe essere ottimisti. © RIPRODUZIONE RISERVATA Gian Vittorio Caprara, Michele Vecchione, Personalizing Politics and Realizing Democracy, Oxford University Press, New York, pagg. 420, $ 58 temperature estreme L’importanza di chiamarsi tardigrado di  Patrizia Caraveo A 30 gradi ci lamentiamo per il caldo, ma se la temperatu- ra scende sotto i 10 gradi ab- biamo freddo. Benchè mol- to adattabili, gli umani hanno richie- ste ben precise sulla temperatura del- l’ambiente che li circonda, cosa che rende la nostra specie potenzialmen- te fragile. Non a caso siamo preoccu- pati delle conseguenze del riscalda- mento globale in atto nel nostro pia- neta e stiamo cercando di combatter- lo con tutti i mezzi. Il nostro corpo è anche sensibile ai danni prodotti dai raggi cosmici, particelle di alta ener- gia, che ci piovono addosso continua- mente. Mentre sulla Terra siamo pro- tetti da un robusto campo magnetico, i raggi cosmici rappresentano uno dei pericoli più grandi per gli astro- nauti che partiranno alla volta di Marte. Dobbiamo anche proteggerci dai raggi ultravioletti prodotti al sole. Dosi eccessive potrebbero avere ef- fetto cancerogeno. Per fortuna l’ozo- no presente negli strati alti dell'at- mosfera è una barriera efficace. Per questo è stato un grande successo riuscire a mettere in atto politiche mondiali per proteggerlo e fermare la crescita del buco dell’ozono. Tuttavia, cosa succederebbe nel caso si verificasse un evento cosmico che alterasse la temperatura sulla Terra, oppure strappasse parte dei gas dell’atmosfera, in particolare l’ozono? Tre astrofisici si sono posti il problema, non tanto per quantificare la nostra probabilità di sopravviven- za sulla Terra, ma per generalizzare il problema alle migliaia di mondi alie- ni che abbiamo scoperto e che conti- nueremo a scoprire (come abbiamo visto domenica scorsa). Gli astrofisici hanno considerato tre tipi di eventi catastrofici: l’impatto di un grande meteorite, in grado di innescare un riscaldamento tale da fare bollire gli oceani, oppure l’esplosione di una supernova così vicina da produrre li- velli intollerabili di radiazioni, ac- compagnati dalla perdita di parte dell’atmosfera, con la possibile va- riante di un lampo gamma, che è sem- pre collegato ad una supernova, ma produce energia molto collimata, quindi potenzialmente più devastan- te anche se non vicinissimo. Dando per scontato che eventi di questo tipo porterebbero rapida- mente all’estinzione della specie umana, i tre ottimisti hanno fatto no- tare che la nostra eventuale scompar- sa non implicherebbe l’estinzione della vita sulla Terra dal momento che esistono esseri viventi che sono dei veri campioni di sopravvivenza e sono praticamente indistruttibili. Si tratta dei tardigradi, piccolissimi animaletti acquatici. Nel corso della loro vita di circa 60 anni, al massimo dello sviluppo arrivano alle dimen- sioni di 0,5 mm. Occorre quindi un microscopio per apprezzare i tratti di questi mini carri armati con zampet- te, decisamente bruttarelli, dai quali, però, avremmo molto da imparare. Tollerano temperature che neanche ci sogniamo: possono passare dal freezer più estremo al bollitore senza fare una piega. Livelli di radiazioni mortali per quasi tutte le forme di vi- ta, a loro fanno il solletico. Possono sopravvivere senza acqua né cibo per oltre 10 anni e poi ritornare vispissi- mi giusto con qualche goccia d'acqua. Sono stati esposti nel vuoto cosmico all’esterno della stazione spaziale in- ternazionale e, tornati sulla Terra, hannoripreso la vita di prima. Niente di eccitante, vita da micro- scopico tardigrado, ma pur sempre vita. Sono proprio esserini come i tar- digradi che fanno sperare i cercatori della vita 2.0 su pianeti in orbita in- torno ad altre stelle. Anche le turbo- lente nane rosse che ogni tanto irro- rano i loro pianeti di radiazione X non sarebbero in grado di nuocere ad es- serini tosti come i tardigradi che non avrebbero problemi a sopravvivere all’impatto devastante di un meteori- te. Il messaggio è forte e chiaro: la vita è dura a morire. © RIPRODUZIONE RISERVATA Questi microscopici animaletti acquatici, simili a carri armati con zampette, sono in grado di sopportare enormi sbalzi termici Per una Costituente della Ricerca Il 3 aprile 2016, nell’articolo «L’innovazione riparta dall’etica», Elena Cattaneo ha sottolineato come solo con la libertà, la competizione, la trasparenza e la responsabilità personale, nel mondo civile, si finanzia e si governa la ricerca che alimenta la conoscenza di base e l’innovazione. www.archiviodomenica.ilsole24ore.com scarabottolo a fano | È in programma fino al 30 settembre a Fano, nella chiesa di San Pietro in Valle, «Mali Minori», la mostra che raccoglie le figure in ferro di Guido Scarabottolo e gli ex voto in ceramica di Luigi Belli. In contemporanea, alla Mediateca Montanari, Scarabottolo espone, nella mostra «Smarrimenti», le sue illustrazioni della prima terzina della Divina Commedia Le «reti» di comunicazione che si sviluppano attorno ai malati e tra gli scienziati permettono di individuare e di sperimentare nuove cure a sarzana il «festival della mente» Venerdì 1 settembre, alle ore 17.45, Elena Cattaneo aprirà la XIV edizione del «Festival della Men- te» con la lectio magi- stralis dal titolo «Le reti che fanno bene alla scienza». La scienziata, esperta di cellule staminali, è a capo di un team che studia la malat- tia di Huntington: al Festival descriverà le reti che si sviluppano attorno ai ma- lati, permettendo loro di vivere al me- glio l’umanità nella malattia, e quelle degli scienziati che in tutto il mondo studiano il gene che la provoca, speri- mentando nuovi trattamenti e farmaci per alleviarne i sintomi e cercano nuove cure efficaci. Il «Festival della Mente», il primo festival in Europa dedicato alla creatività e alla nascita delle idee, è diretto da Benedetta Marietti, con la consulenza scientifica di Gustavo Pietropolli Char- met (www.festivaldellamente.it). Pro- mosso dalla Fondazione Carispezia e dal Comune di Sarzana, si terrà a Sarzana dalll’1 al 3 settembre. In politica non conta solo la psicologia dei leader Anche la personalità dei cittadini concorre al funzionamento del sistema

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n. 229 DOMENICA - 27 AGOSTO 2017 Il Sole 24 Ore 21

Scienza e filosofiamalattie genetiche

Oltre i confini del laboratorio La scienza può rendersiutile se non si isolae se riesce a condividereconquiste e fallimentiL’esperienza della«Còrea di Huntington»

di Elena Cattaneo

O gni nuova scopertascientifica trova sensonella sua condivisione eaccessibilità. L’immagi-ne dello scienziato incu-rante del mondo ester-

no, seppure diffusa, dice ben poco delvero ruolo dello studioso. Oltre il labo-ratorio esistono infatti reti di comuni-cazione e di fiducia, nella scienza e conla società. Sono reti spesso invisibili,difficili da raccontare tanto sono intrec-ciate e tortuose, ma sempre logiche. Retiche possono portare in luoghi della terramai visitati prima, dove studiosi chenon conosciamo ancora sono pronti adaccoglierci solo perché le loro scoperte(o le nostre), diventate pubbliche, han-no fatto nascere un’idea, teso un filo,creato una corrispondenza e alimentatoun pensiero su un nuovo possibile svi-luppo di ricerca da mettere a fuoco in-sieme e proiettare nel futuro. Non c’é

nessuna garanzia che la strada “giusta”passi da lì, ma intraprendere quel viag-gio è l’unico modo per saperlo. Come fa-re a raccontare lo stupore di queste reti,che si intrecciano, si disfano e si ripara-no, ogni volta con l’obiettivo di un nuo-vo avanzamento della conoscenza? Ciproverò con una storia.

Negli anni Ottanta un gruppo di stu-diosi seguirono l’invito pieno di tra-guardi incerti di Nancy Wexler, geneti-sta e professore di neuropsicologia allaColumbia University, che con l’obietti-vo di identificare il gene di una difficilemalattia neurologica ereditaria, laCòrea di Huntington, coinvolse e reclu-tò in una impresa mai tentata primamenti brillanti da tutto il mondo. Lo fe-ce con un affettuoso quanto imperioso

«Let’s go to Venezuela!». Nancy volevaportare i ricercatori in quella regionedel Sud America per uno scopo ben pre-ciso. È nei villaggi intorno al lago Mara-caibo che l’Huntington – che conta ma-lati in tutto il mondo, e a migliaia anchein Italia - raggiunge la sua massima dif-fusione. Molte delle famiglie di quei vil-laggi vi convivono, da sempre, con lesofferenze triplicate dalla povertà edall’avere più malati nella stessa fami-glia. Tutti “figli” di Maria ConcepciónSoto, vissuta alla fine del 1800 nel vil-laggio di Lagunetas e considerata unacapostipite della malattia. Lei, si è capi-to, ha trasmesso il gene a molti dei suoi18.000 discendenti.

Chi ha quel gene svilupperà la malat-tia, i movimenti scoordinati (che in Ita-lia chiamiamo “ballo di San Vito”) e i di-sturbi psichiatrici, fino a subire l’isola-mento e, nelle realtà più povere, lo stig-ma di essere additato come un“indemoniato”. Non è un caso che conuna legge del 1933, il regime nazista im-pose a queste (e altre) persone con ma-lattie genetiche la sterilizzazione obbli-gatoria e più avanti le camere a gas.

Ebbene, nel 1975, quel primo viaggiodei ricercatori in Venezuela contribuì atessere una gigantesca rete che lega an-cora oggi in modo indissolubile gli studisulle malattie neurodegenerative aquella zona del mondo, povera, politica-mente instabile e defilata rispetto aigrandi accadimenti del pianeta. È statoinfatti grazie al sangue di quelle personee a venti anni di geniale ricerca, che si èscoperto il gene della malattia e le trop-pe “lettere”, CAG (citosina, adenina eguanina) ripetute, che contiene.

Intorno a quel gene e a quelle letterec’è anche un’altra rete, che lega i malatidi Huntington di ogni epoca e prove-nienza all’evoluzione della specie uma-na. Il gene la cui mutazione causa la ma-lattia ha quasi un miliardo di anni. Al-l’inizio quelle lettere non c’erano, poisono comparse e sono sopravvissutenel DNA di tante specie, arrivando finoa noi e aumentando di numero di paripasso con l’aumentare della complessi-tà del cervello. Pensiamo che non siafrutto del caso. Li chiamiamo “malati”ma in realtà potrebbero essere involon-tari protagonisti dell'evoluzione dellanostra specie. Ci stiamo lavorando per-ché per curare bisogna capire. E perchéla persona malata vuole sapere il moti-vo che ha portato quel gene con quelletroppe lettere fino a lui.

La scoperta del gene ha permesso il ri-conoscimento della malattia e l’identifi-cazione di farmaci sintomatici. Questeconquiste hanno raggiunto la parte piùfortunata del mondo, l’Europa e il nordAmerica, lasciando per lo più a guardarele popolazioni il cui sangue ha reso pos-sibile tutto ciò. Loro vivono ancora nelnulla, in agglomerati polverosi di ca-

panne e baracche, al confine da tutto.Trattati da “indemoniati”. La comunitàdi studiosi della malattia sa che il mondoha un grosso debito con loro. E a maggiodi quest’anno gli scienziati e le associa-zioni legate alla malattia hanno avviatoun percorso per sanarlo.

Grazie ai fili tessuti negli anni con imalati e le poche persone intorno a loronelle zone più disagiate del Venezuela,della Colombia, dell’Argentina e delBrasile oggi esiste una rete internazio-nale che, al grido di “Mai più nascosta”,ha reso possibile l'incontro di questimalati tra di loro e con le associazioni ei medici di tutto il mondo. “Mai più na-scosta” è stato anche l'impegno pro-nunciato da Papa Francesco, lo scorso18 maggio, il primo Pontefice a dedica-re un’udienza speciale ai malati di Hun-tington e a parlare della loro solitudineed emarginazione. Migliaia i presenti.Centinaia i malati giunti a Roma da tut-to il mondo.

A distanza di mesi è ancora difficiledimenticare Brenda, 15 anni, da BuenosAires, mentre nel suo vestito bianco siavvicina a Papa Francesco salendo lescale con un passo che sembrava più si-curo di quello che la malattia da tempo lepermette, o Yosbely, 35 anni, da Barran-quitas in Venezuela, capace di trasfor-mare la triste Còrea (dal greco “danza”)della malattia, che opprime da sempre lasua famiglia, nello sforzo di eseguire unballo diverso, musicale, o il sorriso gen-tile di Dilia, 78 anni, che da El Dificil inColombia ha portato frasi di buon augu-rio a tutti, nonostante la sofferenza cheha accumulato negli anni accudendo ilmarito e nove dei suoi 11 figli colpiti dal-la malattia. Con un filo di voce ha spie-gato cosa significa per una madre dis-seppellire tre figli, per ricomporli insie-me, perché non si hanno soldi a suffi-cienza per pagare tre tombe.

La scienza non ha ancora dato lorouna risposta, una cura, ma unendosi alleassociazioni e con il contributo delleistituzioni lavora anche fuori dal labo-ratorio per restituire loro e a tutti i mala-ti la dignità che con la malattia sembra-va perduta. Anche io voglio continuare acontribuire ad accrescere questa rete.Una delle tante che dimostrano in quan-ti modi la scienza può rendersi utile senon resta isolata. Bisogna lasciarsi co-noscere, raccontare conquiste e falli-menti e condividere le conoscenze. Co-noscenze che non solo la società ma an-che e prima di tutto la politica può farproprie - un esempio lo ha dato lo scorsomaggio il Senato della Repubblica acco-gliendo i malati Huntington -, ascoltan-do ciò che la scienza, la medicina e le as-sociazioni dei familiari possono fare,per arricchire queste reti e non correre ilrischio di perderle o spezzarle.

– Docente alla Statale di Milano e Senatore a vita

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scienze psicosociali

Democrazie personalizzate di Gilberto Corbellini

Per Platone, politica e morale sonodue facce della stessa medaglia e ilgoverno giusto è solo quello dei filo-sofi, che sanno cosa è la giustizia.

Aristotele, invece, preferisce discutere la po-litica come dimensione dell’esperienza so-ciale indipendente dall’etica. Non tanto per-ché le forme della virtù siano irrilevanti, main quanto, se si ha di mira il bene generale, èdisfunzionale decidere una forma di governopartendo da doti etiche personali. Megliochiedersi sotto quale tipo di legge (costitu-zione) sarebbe preferibile vivere. Sono dovu-ti trascorrere quasi due millenni, ed è occorsala provocazione di Macchiavelli (ma qualeetica, è tutto lecito in politica!), per rendersiconto che i valori della convivenza civile sipossono stabilire concordemente, per vie de-mocratiche, attraverso leggi nelle quali tuttisi riconoscono e che sono uguali per tutti; piuttosto che lasciarli decidere, i valori, dai politici che di volta in volta per le loro perso-nalità/capacità intercettano i favori popola-ri. La selezione naturale non poteva prevede-re che per la convivenza civile nelle innaturalisocietà moderne si dovessero inventare lostato di diritto, il libero mercato, l’epistemo-logia scientifica, il rispetto degli estranei, i di-ritti umani, etc. Le sensibilità per questi valo-ri non sono innate, come provano le scienzecognitive. Scaturiscono da processi storico-sociali che hanno manipolato, provvisoria-mente, predisposizioni psicologiche indivi-duali polimorfiche, dando luogo a repertori ecombinazioni di profili comportamentali,quindi preferenze valoriali e infine orienta-

menti politico-ideologici, che si combinano ericombinano nei gruppi umani per risponde-re a continue e diverse sfide o instabilità det-tate da dinamiche ecologiche in senso lato.

La psicologia della personalità è un terrenofertile per studiare e ragionare delle basi com-portamentali della politica e per capire quali forme di organizzazione della convivenzaumana sono più congeniali alle disposizioniindividuali e sociali umane. In un denso e luci-do libro, Gian Vittorio Caprara e Michele Vec-chione argomentano che la democrazia è un’«impresa morale che si fonda ampiamen-te sulla moralità pubblica dei suoi cittadini», eche la divaricazione ideologica tra destra e si-nistra o tra liberali e conservatori intercetta tratti fondamentali della personalità, che nel-l’evoluzione della cultura politica occidentalesi strutturano preferibilmente attraverso questa tipologia di identificazione politica, in ragione dei valori morali e politici associati a questi piani. Non è di personalizzazione dellapolitica nel senso tradizionale che parla il li-bro, cioè delle caratteristiche psicologiche deileader votati dagli elettori e che sembrano contare sempre più, ma di come i tratti e i valo-ri delle personalità dei cittadini concorrono alfunzionamento di un sistema politico. Non-dimeno si parla anche del fatto, corroboratoda studi empirici, che le somiglianze di perso-nalità tra politici ed elettori giocano un ruolo nelle scelte di voto.

Il libro espone dati, analisi e proposte fon-date su due influenti paradigmi della psicolo-gia della personalità e della psicologia sociale umana: il modello dei Big Five e la tassonomiadei valori umani fondamentali di Shalom H.Schwartz. I cinque “grandi” tratti selezionati nei primi decenni del secondo dopoguerrasulla base di studi lessicali e analisi fattoriali,

come noto, sono: apertura mentale (quanto una persona è inventiva e curiosa piuttostoche cauta e conservatrice), amicalità (quanto una persona è fiduciosa, altruista e cordiale,piuttosto che egoista e sospettosa) coscienzio­sità (quanto è efficiente e scrupolosa, piutto-sto che superficiale e disattenta), estroversione(quanto è energica e socievole, piuttosto che solitaria e chiusa) e, infine, stabilità emotiva (quanto è vulnerabile alle emozioni negative come l’ansia o l’angoscia, o tende alla depres-sione, piuttosto che sicura di sé e fiduciosa). Numerosi studi dicono che le personalità ca-ratterizzate da apertura e socievolezza tendo-no a essere progressiste, mentre quelle co-

scienziose, sono conservatrici. Qualche ricer-ca trova che le persone che spiccano comeamicali tendono a essere di sinistra in econo-mia e di destra nelle politiche sociali, mentrevale il contrario per gli emotivamente instabi-li. L’estroversione non produce effetti prefe-renziali. Esiste anche una letteratura che usa iBig Five per mappare geograficamente i trattidi personalità prevalenti in diverse aree degli Stati Uniti, spiegando in questo modo, cioècome concentrazione di persone con tratti si-mili, gli orientamenti ideologici e i comporta-menti di voto costanti, per i repubblicani o peri democratici, in diversi stati.

Non è questa la sede per discutere i limiti

del fortunatissimo modello dei Big Five, chenon ha una base teorica e trova però alcune conferme a livello neurobiologico, ma non ge-netico. Ora, i tratti non danno informazioni a livello motivazionale: sono differenze indivi-duali dimensionabili per quanto riguarda del-le tendenze a mostrare schemi di azioni, affet-ti e pensiero coerenti. L’israeliano Schwartzha quindi costruito, partendo dalle ricerchedell’olandese Geert Hofstede sulle dimensio-ni delle differenze culturali e valoriali tran-snazionali, una tassonomia di dieci valori ri-scontrabili nelle principali culture, i quali fun-zionano come credenze, desideri o scopi che hanno effetti motivazionali per la persona: autodirettività, stimolazione, edonismo, realiz­zazione, potere, sicurezza, conformità, tradizio­ne, benevolenza, universalismo. Questi valoristrutturano in quattro gruppi che definisconol’apertura al cambiamento (primi due), l’auto­affermazione (successivi tre), la conservazione (successivi tre) e l’auto­trascendenza (ultimi due), e sono tra loro interconnessi e sovrappo-sti. In che misura le dinamiche relazioni tra ivalori correlano con o predicono orientamen-ti ideologici e scelte elettorali?

Schwartz, Caprara e Vecchioni hannosuggerito otto “nuclei valoriali politici” che definiscono preferenze socio-economiche eculturali che contano per le persone in quan-to espressione sul piano ideologico della lorovisione morale: equità,  libera  concorrenza,morale tradizionale, legge e ordine, patriotti­smo fanatico, libertà civili, accettazione degliimmigrati,  interventismo  militare. Esami-nando prima due elezioni politiche italiane,2006 e 2008, e quindi testando le preferenzevaloriali e politiche in altri paesi europei, an-che post-comunisti, gli autori hanno trovatoche le ideologie tradizionali sono ancora i

migliori predittori di voto, anche se i daticonsigliano di guardare oltre la divisione de-stra-sinistra e progressisti-conservatori,per cogliere complessivamente i determi-nanti valoriali delle scelte politiche. Infatti, aldi là di chiare differenze si notano comunan-ze tra i votanti. Per esempio, autodirettività euniversalismo sono apprezzati più che pote-re e realizzazione nella maggior parte dei Pa-esi studiati, non solo come prevedibile da chiè di sinistra/progressista, ma anche per chi èdi destra/conservatore.

Per quanto riguarda gli atteggiamenti poli-tici, gli elettori di sinistra/progressisti sono per politiche di equa distribuzione delle risor-se e delle opportunità e per le libertà civili (diagire e pensare), mentre quelli di destra/con-servatori preferiscono politiche attente ai va-lori familiari e religiosi tradizionali, all’appli-cazione della legge e liberiste in economia. Maquesti ultimi danno un’importanza a egua-glianza e libertà civili non molto distante da chi è dell’ideologia opposta.

Per gli autori «i dati suggeriscono che gliatteggiamenti e le scelte politiche degli elet-tori dipendono meno che in passato dal me-nu offerto loro dai partiti e dai politici. Oggi icittadini sono agenti proattivi, le cui prioritàlargamente dettano il tipo di menu che i par-titi politici e i politici dovrebbero servire. Difatto, più i cittadini sono consapevoli dei lorodiritti, specialmente della libertà di esprime-re le loro opinioni, più le rappresentazionimentali di sé e le visioni del mondo personalidettano le loro scelte individuali». Il che do-vrebbe suscitare ottimismo per il futuro dellademocrazia nella misura in cui un buon svi-luppo della personalità si trasferisce nelbuon funzionamento della democrazia. Manonostante le messe di dati e modelli utili cheoffre alla riflessione, il libro non spiega per-ché si dovrebbe essere ottimisti.

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Gian Vittorio Caprara, Michele Vecchione, Personalizing Politics and Realizing Democracy, Oxford University Press, New York, pagg. 420, $ 58

temperature estreme

L’importanzadi chiamarsitardigrado

di Patrizia Caraveo

A 30 gradi ci lamentiamo peril caldo, ma se la temperatu-ra scende sotto i 10 gradi ab-biamo freddo. Benchè mol-

to adattabili, gli umani hanno richie-ste ben precise sulla temperatura del-l’ambiente che li circonda, cosa cherende la nostra specie potenzialmen-te fragile. Non a caso siamo preoccu-pati delle conseguenze del riscalda-mento globale in atto nel nostro pia-neta e stiamo cercando di combatter-lo con tutti i mezzi. Il nostro corpo èanche sensibile ai danni prodotti dairaggi cosmici, particelle di alta ener-gia, che ci piovono addosso continua-mente. Mentre sulla Terra siamo pro-tetti da un robusto campo magnetico,i raggi cosmici rappresentano unodei pericoli più grandi per gli astro-nauti che partiranno alla volta diMarte. Dobbiamo anche proteggercidai raggi ultravioletti prodotti al sole.Dosi eccessive potrebbero avere ef-fetto cancerogeno. Per fortuna l’ozo-no presente negli strati alti dell'at-mosfera è una barriera efficace. Perquesto è stato un grande successoriuscire a mettere in atto politichemondiali per proteggerlo e fermare lacrescita del buco dell’ozono.

Tuttavia, cosa succederebbe nelcaso si verificasse un evento cosmicoche alterasse la temperatura sullaTerra, oppure strappasse parte dei

gas dell’atmosfera, in particolarel’ozono? Tre astrofisici si sono posti ilproblema, non tanto per quantificarela nostra probabilità di sopravviven-za sulla Terra, ma per generalizzare ilproblema alle migliaia di mondi alie-ni che abbiamo scoperto e che conti-nueremo a scoprire (come abbiamovisto domenica scorsa). Gli astrofisicihanno considerato tre tipi di eventicatastrofici: l’impatto di un grandemeteorite, in grado di innescare unriscaldamento tale da fare bollire glioceani, oppure l’esplosione di unasupernova così vicina da produrre li-velli intollerabili di radiazioni, ac-compagnati dalla perdita di partedell’atmosfera, con la possibile va-riante di un lampo gamma, che è sem-pre collegato ad una supernova, maproduce energia molto collimata,quindi potenzialmente più devastan-te anche se non vicinissimo.

Dando per scontato che eventi diquesto tipo porterebbero rapida-mente all’estinzione della specieumana, i tre ottimisti hanno fatto no-tare che la nostra eventuale scompar-sa non implicherebbe l’estinzionedella vita sulla Terra dal momentoche esistono esseri viventi che sonodei veri campioni di sopravvivenza esono praticamente indistruttibili. Sitratta dei tardigradi, piccolissimianimaletti acquatici. Nel corso dellaloro vita di circa 60 anni, al massimodello sviluppo arrivano alle dimen-sioni di 0,5 mm. Occorre quindi unmicroscopio per apprezzare i tratti diquesti mini carri armati con zampet-te, decisamente bruttarelli, dai quali,però, avremmo molto da imparare.Tollerano temperature che neancheci sogniamo: possono passare dalfreezer più estremo al bollitore senzafare una piega. Livelli di radiazionimortali per quasi tutte le forme di vi-ta, a loro fanno il solletico. Possonosopravvivere senza acqua né cibo peroltre 10 anni e poi ritornare vispissi-mi giusto con qualche goccia d'acqua.Sono stati esposti nel vuoto cosmicoall’esterno della stazione spaziale in-ternazionale e, tornati sulla Terra,hannoripreso la vita di prima.

Niente di eccitante, vita da micro-scopico tardigrado, ma pur semprevita. Sono proprio esserini come i tar-digradi che fanno sperare i cercatoridella vita 2.0 su pianeti in orbita in-torno ad altre stelle. Anche le turbo-lente nane rosse che ogni tanto irro-rano i loro pianeti di radiazione X nonsarebbero in grado di nuocere ad es-serini tosti come i tardigradi che nonavrebbero problemi a sopravvivereall’impatto devastante di un meteori-te. Il messaggio è forte e chiaro: la vitaè dura a morire.

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Questi microscopici animaletti acquatici, similia carri armati con zampette, sono in grado di sopportareenormi sbalzi termici

Per una Costituente della RicercaIl 3 aprile 2016, nell’articolo «L’innovazione riparta dall’etica», Elena Cattaneo ha sottolineato come solo con la libertà,la competizione, la trasparenza e la responsabilità personale, nel mondo civile, si finanzia e si governa la ricerca che alimenta la conoscenza di base e l’innovazione.www.archiviodomenica.ilsole24ore.com

scarabottolo a fano | È in programma fino al 30 settembre a Fano, nella chiesa di San Pietro in Valle, «Mali Minori», la mostra che raccoglie le figure in ferro di Guido Scarabottolo e gli ex voto in ceramica di Luigi Belli. In contemporanea, alla Mediateca Montanari, Scarabottolo espone,nella mostra «Smarrimenti», le sue illustrazioni della prima terzina della Divina Commedia 

Le «reti» di comunicazioneche si sviluppano attornoai malati e tra gli scienziatipermettono di individuaree di sperimentare nuove cure

a sarzana il «festival della mente»

Venerdì 1 settembre,alle ore 17.45, ElenaCattaneo aprirà laXIV edizione del«Festival della Men­te» con la lectio magi­stralis dal titolo «Le

reti che fanno bene alla scienza». La scienziata, esperta di cellule staminali, è a capo di un team che studia la malat­tia di Huntington: al Festival descriverà le reti che si sviluppano attorno ai ma­lati, permettendo loro di vivere al me­glio l’umanità nella malattia, e quelle 

degli scienziati che in tutto il mondo studiano il gene che la provoca, speri­mentando nuovi trattamenti e farmaci per alleviarne i sintomi e cercano nuove cure efficaci.

Il «Festival della Mente», il primo festival in Europa dedicato alla creatività e alla nascita delle idee, è diretto da Benedetta Marietti, con la consulenza scientifica di Gustavo Pietropolli Char­met (www.festivaldellamente.it). Pro­mosso dalla Fondazione Carispezia e dal Comune di Sarzana, si terrà a Sarzana dalll’1 al 3 settembre.

In politica non contasolo la psicologia dei leaderAnche la personalitàdei cittadini concorreal funzionamento del sistema