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Musica Insieme vara le rassegne dedicate all’Ateneo e alla contemporanea The Peasant Girl: Viktoria Mullova e l’anima gitana della musica Un nuovo anno con il piano di Lewis e Colli, gli archi del Belcea e la Franz Liszt Chamber Orchestra gennaio/febbraio 2014 Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (Bologna) - Bimestrale n.1/2014 – anno XXIII/BO - € 2,00

Musica Insieme - SAVE THE DATE 2014

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Musica Insieme - SAVE THE DATE 2014

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Musica Insieme varale rassegne dedicate

all’Ateneo e allacontemporanea

The Peasant Girl: Viktoria Mullovae l’anima gitana della musica

Un nuovo anno con il pianodi Lewis e Colli, gli archi

del Belcea e la Franz LisztChamber Orchestra

gennaio/febbraio 2014

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SOMMARIOn. 1 gennaio - febbraio 2014

EditorialeSave the date di Fabrizio Festa 13

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Per leggereLe pagine multicolori di Bortolotto, Werfel, Bonacchidi Chiara Sirk

Il calendarioI concerti gennaio / febbraio 2014

30Il profiloModest Musorgskij di Giordano Montecchi

32I luoghi della musicaCapolavori in città di Maria Pace Marzocchi

Da ascoltareIncontri sonori: Mullova, Meneses-Pires, Blechaczdi Lucio Mazzi

Musica Insieme in AteneoNote di viaggio di Elisabetta Collina

MICO - Musica Insieme COntemporaneaSerenate e paesaggi vocali di Anastasia Miro

16Imprenditoria e culturaUniversal Music Group - Mirko Gratton

22IntervisteGabor Boldoczki di Bianca RicciardiFederico Colli - Paul Lewis di Cristina FossatiBelcea Quartet di Alessandro Di MarcoViktoria Mullova di Fulvia de Colle

242628

34I viaggi di Musica InsiemeBruxelles - Bruges - Gand27-30 marzo 2014

Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme

In copertina: Viktoria Mullova e The Matthew Barley Ensemble (foto NickWhite)10 IM MUSICA INSIEME

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13IM MUSICA INSIEME

EDITORIALE

SAVE THE DATE

Fabrizio Festa

23 e 28 gennaio, due date da ricordare.Il perché è semplice: prendono il via dueiniziative che per Musica Insieme rap-presentano da sempre la testimonianzadel nostro modo d’intendere l’attività dioperatore culturale. Stiamo parlando diMusica Insieme in Ateneo e diMusica In-sieme COntemporanea, giunte rispetti-vamente alla diciassettesima e alla nonaedizione. Sono numeri che contano. Vo-gliono dire, infatti, che non si è tratta-to di eventi sporadici, di rassegne nate perseguire magari la moda del momento oun’intuizione, oppure sull’onda di unmalinteso senso del marketing. Al con-trario, fin dalla loro progettazione sonostate immaginate come il naturale co-rollario ad un’attività concertistica, I Con-certi di Musica Insieme appunto, che giàdi per sé non volevano essere un merocontenitore, solo un palcoscenico su cuiospitare artisti di chiara fama. E con unoscopo preciso: dare maggior vigore aquell’idea di formazione del pubblico,che riteniamo debba essere uno dei

motori dell’azione culturale, tanto più sequesta va ad inserirsi in un’idea ampia edevoluta di cittadinanza. Di conseguen-za, proprio gli studenti universitari, in unacollaborazione che ci vede ormai partnerconsolidato dell’Università di Bologna,abbiamo sempre pensato dovessero essereal centro dell’attenzione di chi fa dellacultura la propria impresa, guardando pe-raltro al futuro. Lo studente di ieri è ilpubblico di oggi; lo studente di oggi saràil pubblico di domani. Ed un pubblicoformato, consapevole, un pubblico cheabbia maturato una sua coscienza criti-ca è un pubblico che passerà nel tempoil suo testimone, generazione dopo ge-nerazione. D’altronde, la cultura e l’ar-te non possono essere trattate come fos-sero prodotti usa e getta, da consuma-re senza neppur leggere l’etichetta, e poidimenticare. Anzi, parlare di “consumoculturale”, come si fa troppo spesso inquesti nostri anni, già implica una no-zione transeunte e inconsistente dell’artee della cultura stesse. Musica Insiemenon ha mai immaginato di proporsi adun pubblico di meri consumatori.Come invece dimostra l’apprezzamen-to degli artisti che si alternano sul no-stro palcoscenico, abbiamo sempre pen-sato che far musica significasse condi-videre un’esperienza, condivisione chesi sarebbe allargata ad una consapevo-lezza sempre più matura ed ampia per-sino del proprio essere membri di unacomunità. Quindi, gli studenti da unlato, la musica dei nostri giorni dall’al-tro, sono itinerari necessari per arricchiretale esperienza e magari farla diventare,anno dopo anno, un piccolo, ma signi-ficativo, pezzo di storia della nostra cit-tà, sempre guardando al futuro.

L’Oratorio di SanFilippo Neri gremitodurante un concerto

di MICO 2013

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IMPRENDITORIA E CULTURA

16 IM MUSICA INSIEME

niversal Music Group riunisceoggi le principali case discografi-che dedicate alla musica classica,

raccogliendo l’eredità di etichette chehanno collaborato con interpreti leggen-dari, da Karajan a Michelangeli, da DelMonaco alla Tebaldi, e con grandissimicompositori del secolo scorso, come Ber-nstein e Britten. Con il 40% di share delmercato mondiale, lavora con artisti delcalibro di Pierre Boulez, Alfred Brendel,Cecilia Bartoli, Riccardo Chailly, MariaJoão Pires, Stefano Bollani, Lang Lang,solo per citarne alcuni. Attraverso la co-stante attenzione alla qualità, l’ampio spa-zio lasciato a nuovi grandi talenti e il re-cupero di incisioni storiche, UniversalMusic Italia (ramo italiano, appunto, delgruppo) affronta la crisi, registrando ad-dirittura un ampliamento del mercato nelsettore ‘classico’, come ci racconta il Di-rettore della Divisione Classica e Jazz,Mirko Gratton.

Universal Music rappresenta etichetteimportantissime, spesso leggendarieper la storia della discografia, da Ar-chiv a Deutsche Grammophon oDecca, fondate peraltro con grande‘fiuto’ da inventori, imprenditori ecostruttori di strumenti: oggi che idownload e Youtube imperversano,quali sono secondo lei le nuovestrade da percorrere, o viceversa i‘ritorni all’antico’ che premiano?«La musica classica fatica ancora a trovarela sua strada nel mercato del download di-gitale per tante ragioni. Innanzitutto iportali non sono quasi mai studiati ap-positamente per l’appassionato di musicaclassica e presentano spesso problemi ditracciabilità dei brani ricercati; infine c’èun problema di qualità e di velocità deldownload e di necessità di materiale espli-cativo di accompagnamento che non èstato ancora completamente superato. Ciòdetto, lo scarico digitale sta aumentando

UNIVERSAL MUSIC GROUP

a ritmi importanti, ed è presumibile cheentro un paio di anni rappresenterà unapercentuale rilevante nel cosiddetto ‘mer-cato classico’. Inoltre c’è ancora una gran-dissima fetta di appassionati legata al cdcosiddetto ‘fisico’, anche grazie al fattoche i prezzi dei cd di catalogo sono scesinotevolmente. Oggi si possono trovarecofanetti con incisioni anche importanti,che arrivano a costare anche intorno aidue euro a cd, e sono molto apprezzati».Come descriverebbe la situazionedella discografia oggi, in particolarein Italia, e quali sono, nel vostro am-bito, le strategie messe in campo perarginare la crisi economica?«La strada scelta da Decca e DeutscheGrammophon è da sempre quella di ‘in-sistere’: firmare gli artisti migliori, senzacompromessi nella qualità, e svilupparenuovi talenti, investendo risorse notevoliper metterli nelle condizioni di esprimereal meglio il loro talento. A questo, inmolti paesi, ed in particolare in Italia, ab-biamo affiancato una intensa produzionelocale, sia creando un vero e proprio roster(in Italia abbiamo contratti con una tren-tina di artisti, ed abbiamo realizzato, congrande soddisfazione, numerose incisioni,fra cui quelle con Abbado, Chailly, Bol-lani, Bahrami, Prosseda, Cascioli, Baglini,Dego, e tanti altri), sia assemblando cofa-netti con incisioni internazionali a prezzicompetitivi, che stanno incontrando unnotevole gradimento da parte del pub-blico. Quello appena trascorso è stato unanno particolarmente importante per noi,tanto che alla fine di ottobre 2013 il re-pertorio classico è cresciuto dell’80% eoltre rispetto all’anno precedente. Unagrande soddisfazione, in tempi di grandecrisi generale, che ci spinge a fare sempredi più e a migliorarci».Dal suo punto di vista ‘privilegiato’,qual è a suo avviso il profilo del-

Grandi nomi, spazio ai giovani e al panorama italiano: Mirko Gratton, Direttoredella Divisione Classica e Jazz di Universal Music Italia, ci svela le sue carte vincenti

Novità e tradizione

U

Mirko Gratton

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UNIVERSAL MUSIC GROUP

PresidenteLucian Grainge

Universal Music Group è storicamen-te leader nel mercato discograficoclassico con le sue etichette DeutscheGrammophon e Decca (nella quale èconfluito da alcuni anni l’importante ca-talogo Philips Classics), a cui vannoaggiunti marchi ad esse collegati,come Archiv Produktion, L’Oiseau-Lyre, Argo, London, Mercury LivingPresence, fino ai recentissimi Pano-rama e Mercury Classics. È impossi-bile elencare in maniera esaustiva il ro-ster artistico di queste etichette: prati-camente tutti gli artisti più celebri han-no registrato o registrano per le eti-chette Universal. Così Deutsche Gram-mophon è la ‘casa’ di nomi indimenti-cabili del passato come Karajan, Bo-ehm, Fricsay, Kleiber, Bernstein, Mi-chelangeli, Kempff, ma anche di Ab-bado, Pollini, Zimerman, Pires, Ne-trebko, Accardo e tantissimi altri, men-tre Decca, a fianco di nomi storicicome Pavarotti, Del Monaco, Tebaldi,Bergonzi, Simionato, Solti, Bolet, Brit-ten, Richter, Szeryng,Arrau e Carreras,vanta la presenza nelle sue file di ar-tisti come Chailly, Ozawa, Ashkenazy,Hogwood, Bartoli, Fleming, Florez.Fra i talenti recentemente lanciati dal-le due etichette si segnalano Trifonov,Lisiecki, Beczala, Nezet-Seguin, Ka-radaglic, Dudamel e Yuja Wang. At-tente ai giovani artisti, oltre che allegrandi star, Decca e Deutsche Gram-mophon recentemente hanno dedi-cato particolare attenzione al panora-ma italiano (sia ad artisti nati in Italia,che a giovani stranieri che hanno elet-to il nostro paese come luogo principaleper la loro attività): sono stati siglati im-portanti contratti con Prosseda, Ro-manovsky, Dego, Baglini, Cascioli,Ashkar, De Maria, Lifits, Dindo, Tcha-kerian, Carbonare, Griminelli e tanti al-tri. Da segnalare a questo proposito ilparticolare successo delle incisioni diRamin Bahrami, che per 4 volte si è af-facciato nella classifica pop dei dischipiù venduti, e della coppia Chailly-Bollani, che con Rapsodia in blue hastabilito un record di vendite e di per-manenza nelle classifiche, conse-guendo l’ambitissimo Disco di platino.

CARTA D’IDENTITÀ

17IM MUSICA INSIEME

l’ascoltatore medio della classica, ov-vero quali gli orientamenti principalinell’acquisto di musica in Italia?«È difficile dirlo, e gli studi sono molto la-cunosi in proposito. Sicuramente non c’èun unico profilo: c’è uno ‘zoccolo duro’importante, formato da grandi e piccolicollezionisti, a cui va il nostro ringrazia-mento, e che cerchiamo sempre di soddi-sfare con produzioni di alta qualità, maanche una fetta notevole di giovani, emeno giovani, che con piacere scopronoquanto la musica classica in realtà possaessere bella, e addirittura ‘trendy’. L’im-portante è indirizzare questo nuovo pub-blico ed aiutarlo a distinguere la qualità.Il cd non è un pezzo di metallo, ma è ciòche contiene: è come una tela, che hapoco valore in sé, ma che assume valori di-versi se dipinta daTiziano o da un pittoredilettante. Non è molto diverso da quelloche succede per una Stagione concerti-stica, credo».Com’è nata e come si caratterizza lasezione “Crossover”, un ambito a cuianche Musica Insieme sta dando spa-zio nelle ultime Stagioni?«Crossover è un termine che non amomolto, anche perché è stato svuotato delsuo significato originario per metterci ditutto. Di fatto dovrebbe essere un pro-getto che travalica il suo target tipico, o ilsuo ambito di riferimento originale, an-dando in territori diversi: quindi il classicoche deborda nel pop, o viceversa, per fareun esempio, creando commistioni il piùpossibile geniali. Trovo invece che moltospesso sia solo una scorciatoia per inte-grare nell’ambito classico progetti astrusi,o addirittura di pessimo gusto. Bisognastare attenti. Ci sono senz’altro esempi digrandissima qualità: ad esempio Ludo-vico Einaudi, un antesignano nella ricercadi nuovi percorsi, ed è a questi che dob-biamo guardare».Quanto spazio dà oggi Universal aitalenti emergenti?«Tantissimo spazio. È importante peròmantenere una medietas, senza correredietro a meteore. Per fortuna Universal hasaputo mantenere un equilibrio fra nuovoe antico, e i giovani che lanciamo hannosempre cose importanti da dire: mi ven-gono in mente, per fare due recentiesempi, i pianisti Jan Lisiecki o DaniilTrifonov (quest’ultimo di fatto scopertoproprio da noi in Italia, visto che abbiamo

avuto l’onore di ospitare il suo debutto di-scografico con un recital chopiniano perl’etichetta Decca)».Quali sono invece gli artisti ‘storici’ diUniversal? Ha qualche ricordo parti-colare?«Quando si parla di una casa discograficastorica come la nostra ci sono centinaia diartisti da citare, e davvero farei torto ri-cordando qualche nome singolo. Lavoroda ventotto anni per questa azienda e hoavuto la fortuna di incontrarne tanti: forsequesto è il lato più bello del mio lavoro.Mi permetto di citare il solo Georg Solti,avendolo incontrato per la prima volta aBologna, la vostra città, nel 1986, quandofu invitato per i festeggiamenti dell’Uni-versità. Grande uomo: la sua è stata unagenerazione con storie drammatiche allespalle, che mi ha fatto riflettere tantis-simo su concetti come libertà, ricchezza,intelligenza, e che aveva avuto la fortunadi conoscere di persona compositori comeStrauss, Rachmaninov, Bartók. Come di-menticare i racconti di Bolet su Rachma-ninov, o di Solti su Strauss, ad esempio?Di recente mi sono impegnato personal-mente a mantenere vivo il ricordo dell’artedi questi personaggi storici, inaugurandouna linea di cofanetti antologici a prezziaccessibili, che sta ottenendo un grandis-simo successo: sembra incredibile, manomi come Solti, Davis, Bolet, Mengel-berg, Arrau, Ozawa, rischiano di spariredagli scaffali dei negozi di dischi. Sarebbeuna perdita incolmabile per le giovani ge-nerazioni. Abbiamo appena inauguratouna pagina su Facebook, “Classical Col-lections”, che promuoverà proprio questeraccolte storiche».Quali sono i progetti più importanti acui sta lavorando in questo periodo?«Le novità nel periodo natalizio sono tante.Se proprio devo fare una scelta, direi le Sin-fonie di Brahms dirette da Chailly, le In-venzioni e Sinfonie bachiane, interpretateda Bahrami, Tu scendi dalle stelle, il disconatalizio interpretato da un tenore moltoparticolare come Frate Alessandro, il con-certo di Dvorák con laMutter ed il recitaldi debutto su Deutsche Grammophon diDaniil Trifonov. Ci stanno dando enormisoddisfazioni anche duemega-progetti ita-liani: la serie di cd sulla musica sinfonica diNino Rota, diretta da Grazioli, e l’integraledei concerti per violino di Viotti – davverobellissimi – con Rimonda».

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MUSICA INSIEME IN ATENEO

rmai diciassette anni fa, MusicaInsieme varava uno dei primiaccordi in Italia tra una fonda-

zione privata e un’istituzione accade-mica: di concerto, letteralmente in que-sto caso, con l’Università degli Studi diBologna, nasceva cosìMusica Insieme inAteneo, con il preciso scopo di avvicinareall’arte dei suoni il pubblico studentescoattraverso appuntamenti dai programmivari e stimolanti, introdotti da conver-sazioni a carattere divulgativo. Il tutto eramosso dall’intento di offrire un ulterioremomento formativo che andasse ad af-fiancare e arricchire l’esperienza del con-

certo, rivolgendosi per così dire ad unpubblico del futuro, ossia a quegli stu-denti la cui preparazione musicale è sem-pre più affidata all’impegno autodidat-tico, ad una felice casualità familiare, oalla propria passione individuale. La lon-gevità di questo progetto dimostraquanto fu giusta quell’intuizione.Nel 2014 Musica Insieme in Ateneogiunge infatti alla sua diciassettesimaedizione: i cinque concerti che avrannoluogo da gennaio ad aprile (offerti comesempre agli studenti ed al personale del-l’Università di Bologna) all’Auditoriumdel Laboratorio delle Arti di PiazzettaPasolini (ovvero in uno dei molti cuoripulsanti del mondo universitario bolo-gnese) hanno tutti una parola chiave. Sela scorsa edizione era stata dedicata ai mi-gliori frutti dell’alta formazione italiana,il viaggio, geografico quanto temporale,reggerà le fila dei concerti in programmaper il 2014, portandoci dalla Francia al-l’Ungheria, dalla Russia all’Inghilterra,alla Germania, ed esplorando quei re-pertori che hanno caratterizzato dal Sei-cento ad oggi l’evoluzione della musica edel suo strumentario (dalla viola dagamba al clarinetto, dal piano solo alquartetto d’archi, all’ensemble da ca-mera).Ecco quindi l’apertura, giovedì 23 gen-naio, con un programma tutto francese,affidato all’Ensemble Sezione Aurea,compagine che riunisce artisti dediti al-l’esecuzione del repertorio europeo delXVII e XVIII secolo, utilizzando stru-menti musicali e relative messe a puntoper quanto più possibili vicini – nonsolo per età ma anche per territorialità –alla genesi del repertorio indagato. Aguidarlo, uno straordinario violinistacome Luca Giardini, perfezionatosi nellaprassi esecutiva storica e spesso ospite diensemble di rilievo, tra cui AccademiaBizantina, la Venexiana, The Orchestraof the Age of Enlightenment. Accanto al

violino, il clavicembalo di Federica Bian-chi, perfezionatasi con Gordon Murraye premiata in numerosi concorsi nazio-nali ed internazionali, ed uno strumento

La XVII edizione della rassegna che Musica Insieme, in collaborazione con l’Università,dedica agli studenti dell’Ateneo bolognese, visiterà idealmente cinque paesi in cinque

concerti, affidati a straordinari talenti del panorama odierno di Elisabetta Collina

Note di viaggio

gennaio 2014 giovedìEnsemble Sezione AureaMusiche di Rameau, Royer,Couperin, Marais, Leclaire

23

febbraio 2014 martedìOrchestra da Cameradel CollegiumMusicumAlmaeMatrisCarlo Tenan direttoreMusiche di Ferrabosco I e II, Vaughan Williams,Finzi, Warlock, Jacob

4

febbraio 2014 giovedìQuartetto LyskammMusiche di Kurtág, Bartók

20

marzo 2014 giovedìLeonardo Colafelice pianoforteMusiche di Rachmaninov, Prokof’ev, Stravinskij

20

aprile 2014 lunedìAndrea Massimo Grassi clarinettoMichael Flaksman violoncelloAnna Quaranta pianoforteMusiche di Schumann, Brahmsin collaborazione conCentro La Soffitta – Dipartimento delle Arti

7

CALENDARIO 2014

L’ingresso a tutte le manifestazio-ni della rassegna è gratuito per glistudenti ed il personale docente etecnico amministrativo dell’Univer-sità di Bologna; gli inviti posso-no essere ritirati presso la sededell’URP in Largo Trombetti n. 1la settimana precedente ciascunconcerto (Lunedì, Martedì, Mer-coledì e Venerdì dalle 9 alle 12,30;Martedì e Giovedì dalle 14,30alle16,30). Il giorno del concer-to, tutti i cittadini potranno ritiraregli inviti ancora disponibili, recan-dosi all’URP negli orari di apertura.

18 IM MUSICA INSIEME

OLaboratori delle Arti /Auditorium

(Piazzetta Pier Paolo Pasolini 5/b) ore 20,30

Andrea Massimo Grassi

FotoMarcoBorggreve

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affascinante la cui storia è strettamentelegata alla letteratura musicale francese(ed i cui fasti si sono rinnovati nell’ul-timo ventennio anche grazie a star comeJordi Savall ed a pellicole come Tutte lemattine del mondo di Alain Corneau): laviola da gamba, affidata a Rosita Ippo-lito, a sua volta ospite di importanti for-mazioni specializzate nell’esecuzionedella musica antica.Martedì 4 febbraiosi riconfermerà la tradizionale presenzain cartellone della compagine del Colle-gium Musicum Almae Matris, direttaper quest’occasione daCarlo Tenan, conun programma che ci porterà invece inInghilterra, un’Inghilterra che sembra ri-flettere su se stessa, dal Seicento dellepavans o delle variazioni sull’In nominedella liturgia, al Novecento che a suavolta riprende e rilegge con sguardo mo-derno le antiche forme e melodie (comeAlman, o l’intramontabile Greensleeves).Uno sguardo ben riassunto dalle paroledi uno degli autori in programma, PeterWarlock: «La musica non è né modernané antica: c’è tuttavia della buona o dellacattiva musica, ma la data nella quale fuscritta non ha nessun significato. Le dateed i periodi storici hanno senso solo pergli studenti di storia della musica... tuttala musica antica è stata moderna altempo in cui fu scritta… E tutta labuona musica, di qualsiasi periodo, èsenza tempo». Continuiamo a scorrere il

cartellone, ed ecco che il viaggio diMu-sica Insieme in Ateneo prosegue alla voltadell’Ungheria e della Russia, chiamandoa renderne testimonianza altri straordi-nari talenti, al loro debutto a Bologna. InUngheria ci porterà infatti (il 20 feb-braio) il Quartetto Lyskamm, forma-tosi sotto la guida dell’Artemis Quar-tett presso l’Università delle Arti diBerlino, vincitore di numerosipremi, tra cui il Concorso Interna-zionale di musica da camera“Guido Papini” 2009, ed ospitedel Festival Mito come della So-cietà del Quartetto di Milano. Nelsuo impaginato, due autori fonda-mentali per il loro paese, e per il No-vecento musicale tout court: Béla Bar-tók e György Kurtág. In Russia ciguiderà invece (il 20 marzo) uno strabi-liante artista appena diciottenne, quelLeonardo Colafelice che nel 2012 haportato a casa il Primo Premio al Con-corso “Chopin” di Szafarnia, e che nellastagione in corso è già invitato ad esibirsiin Europa e Stati Uniti, con l’Orchestradei Pomeriggi Musicali di Milano e conla Aarhus Symphony Orchestra danese.Per lui pagine di grande impegno tec-nico, come le Variazioni Corelli di Ra-chmaninov, le Visions fugitives di Pro-kof ’ev, e la potenza bruitistica dei TreMovimenti da Petruška di Stravinskij. Ilconcerto conclusivo, lunedì 7 aprile,

sancisce a sua volta una collaborazioneormai consolidata com’è quella con ilCentro La Soffitta – Dipartimento delleArti dell’Università di Bologna, e lo faospitando un ensemble raro quanto af-fascinante come il trio di clarinetto, vio-loncello e pianoforte, rispettivamentecon Andrea Massimo Grassi, MichaelFlaksman e Anna Quaranta, che si al-terneranno in pagine di Schumann eBrahms, per concludere il concerto conil Trio di quest’ultimo per l’insolito or-ganico appunto di clarinetto, violoncelloe pianoforte. Tutti i concerti sarannoaperti, com’è ormai tradizione, da con-versazioni introduttive tenute dai do-centi e dagli stessi artisti sul palco, nellospirito di divulgazione e formazione delpubblico che da sempre contraddistin-gue l’impegno di Musica Insieme.Musica Insieme in Ateneo si realizza gra-zie al fondamentale contributo di Fon-dazione del Monte di Bologna e Ra-venna, cui si aggiunge la partnershiptecnica di SOS Graphics.

Orchestra da Camera del Collegium Musicum Almae Matris

Leonardo Colafelice

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n percorso, dal titolo davverosuggestivo di “Paesaggio voce”,articolato in tre concerti e de-

dicato alla vocalità moderna e con-temporanea, e due concerti-ritratto,due omaggi che ci guideranno negliuniversi sonori di altrettanti composi-tori, certo molto diversi tra loro sianella personalità sia nella produzione,ma entrambi pietre miliari nel cam-mino della musica del secondo Nove-cento. Stiamo parlando di Gérard Gri-sey (scomparso proprio al limitare delsecolo scorso, nel 1998, cui dediche-remo il concerto d’apertura, il 28 gen-naio) e Bruno Maderna, di cui ricor-revano nel 2013 i quarant’anni dallamorte (e che ricorderemo nella serataconclusiva del 16 maggio). Queste lechiavi d’ascolto della nona edizione diMusica Insieme COntemporanea. Lasede quella già rodata dell’Oratorio diSan Filippo Neri, sotto i riflettoriquello che ormai è a tutti gli effettil’ensemble residente della rassegna: ilFontanaMIX.Dunque, è con “Ritratto Grisey” ches’inaugurerà MICO 2014, con ciò pro-seguendo nella serie di “Ritratti” chel’ensemble realizza da ormai diversianni intorno ad importanti composi-

tori del panorama internazionale (ri-cordiamo fra gli altri Wolfgang Rihm,George Crumb, Ivan Fedele, sino a So-fia Gubaidulina e George Aperghis,protagonisti della scorsa edizione2013). Quest’anno la scelta (che rien-tra nell’ambito del progetto “SuonaFrancese”) è caduta dunque su GérardGrisey. Al centro del concerto, intera-mente costituito da sue partiture, unadelle più impegnative composizionidel musicista francese: Vortex Tempo-rum, portato a termine nel 1996. In-

torno a questa, tre pagine particolar-mente idonee a dar testimonianza dellasua poetica: il Prologue per viola sola(1976), Charme per clarinetto (1969)ed infine la sua rilettura dei Lieder diHugo Wolf per voce ed ensemble, ul-timata nel 1997. Solisti il mezzoso-prano Marie Luce Erard, ValentinoCorvino alla viola e Marco Ignoti alclarinetto. A dirigere il FontanaMIXuno dei suoi fondatori: Francesco LaLicata.“Maderna Sérénade” il titolo, poi, del-l’ultimo concerto, un progetto presen-tato lo scorso dicembre alla Cité de laMusique di Strasburgo e che, grazieall’incontro (voluto e sostenuto dal Fe-stival “Suona Francese/Italiano”) fral’Ensemble Accroche Note e il Fon-tanaMIX, vuol mettere in luce il piùautentico spirito maderniano: gioia difare musica insieme, insaziabile curio-sità per i differenti linguaggi musicali eautentica passione per tutte quelleistanze innovative di cui infine è fattala tradizione. Attorno alle tre Serenatedi BrunoMaderna che costituiscono ilfulcro del programma, i due ensemblepresenteranno quattro nuovi lavori diPaolo Aralla, Igor Ballerau, GilbertoCappelli e Marco Antonio Perez Ra-mirez, dedicati alla figura del maestroveneziano. I tre appuntamenti centralihanno invece, come accennavamo piùsopra, il titolo suggestivo di “PaesaggioVoce”. La voce, infatti, è al centro deiprogrammi di queste serate. La voceimpegnata in pagine che hanno se-gnato la storia della musica moderna econtemporanea, come nel concerto del13 febbraio, quando ascolteremo leesperte Monica Bacelli e ValentinaColadonato impegnate nelle celeber-

Da gennaio a maggio, la nona edizione di Musica Insieme COntemporanea presentai ritratti di Grisey e Maderna, e un trittico dedicato alla voce d’oggi di Anastasia Miro

Serenate e paesaggi vocali

MICO - Musica Insieme COntemporanea 2014

U

20 IM MUSICA INSIEME

Monica Bacelli

Ensemble Accroche Note

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21IM MUSICA INSIEME

rime Folk Songs di Luciano Berio, maanche nella più rara Kantrimusik diMauricio Kagel, in un impaginato do-v’è messa in primo piano la relazionefra le nuove espressioni della vocalità eil patrimonio delle tradizioni vocali delfolklore. Se infatti le undici Folk Songsdi Berio rappresentano una vera e pro-pria ‘traduzione’, ora lirica ora vivace edivertita, di melodie genuinamente po-polari, Kantrimusik, eseguita per laprima volta durante le DonaueschingerMusiktage nel 1975, «intreccia duesoggetti: musica ‘dalla campagna’ e mu-sica ‘sulla campagna’, ovvero musicafolklorica e sinfonia pastorale. Ma nonè un montaggio di citazioni da en-trambe, né si tratta di quadri idilliaci»,racconta lo stesso Kagel. Gli otto mo-vimenti e sette intermezzi di questa pa-storale attinta a diversi paesi rifuggonoinfatti ogni facile montaggio di cita-zioni popolari o quadro idilliaco, comeconclude Kagel: «Ogni volta che i com-positori hanno steso le loro ‘memoriedella vita in campagna’, l’aspetto aned-dotico e illustrativo del linguaggio mu-sicale ha avuto il sopravvento. Ora chepossiamo inserire materiale sonoroconcreto, abbiamo l’opportunità di faresintesi diverse fra naturalismo, impres-sionismo ed espressionismo veristico».Il 25 marzo, poi, affidato al sopranoLivia Rado e sotto la direzione diMarco Angius, ecco proposto per“Paesaggio Voce II” quel Pierrot Lu-naire di Arnold Schoenberg, rapida-

mente assurto a pagina simbolo dellatrasformazione di un mondo, e nonsolo in senso musicale. Il Pierrot, stra-volgente capolavoro della vocalità dacamera del Novecento, verrà qui pro-posto accanto alla prima esecuzioneitaliana di Abroad (per voce, strumentied elettronica, su testi di Pessoa) delgiovane compositore Daniele Ghisi, ilcui lavoro si è peraltro già fatto stradanei teatri di tutta Europa.Terzo appuntamento dell’itinerario“Paesaggio Voce”, il 16 aprile: un ap-puntamento nel quale verranno pro-poste le prime esecuzioni assolute diopere di Nicola Evangelisti e AndreaSarto, mentre in prima italiana sarannopresentate pagine di Stefano Gervasonie Francesco La Licata, tutti brani ca-ratterizzati dal rapporto fra la voce (inquesto caso quella di Iris Lichtinger) eun particolare strumento solista.

I biglietti saranno in venditapresso l’ORATORIO DI SANFILIPPO NERI (Via Manzoni,5 Bologna), il giorno del concertoa partire dalle ore 19.

PREZZI: Posto unico € 10.Abbonati Musica Insieme, studentiUniversità e Conservatorio € 7.

ACQUISTO BIGLIETTI

CALENDARIO 2014Musica Insieme COntemporanea

gennaio 2014 martedìFONTANAMIX ENSEMBLEMarie-Luce Erard mezzosopranoValentino Corvino violaMarco Ignoti clarinettoFrancesco La Licata direttoreRITRATTO GRISEYMusiche di Gérard Grisey

28

febbraio 2014 giovedìFONTANAMIX ENSEMBLEMonica Bacelli voceValentina Coladonato voceFrancesco La Licata direttorePAESAGGIO VOCE IMusiche di Kagel, Berio

13

marzo 2014 martedìFONTANAMIX ENSEMBLELivia Rado sopranoValentino Corvino violinoMarco Angius direttorePAESAGGIO VOCE IIMusiche di Ghisi, Maderna, Schoenberg

25

aprile 2014 mercoledìFONTANAMIX ENSEMBLEIris Lichtinger voce e flauti dolciChiara Telleri oboeEva Zahn violoncelloWalter Zanetti chitarraMarco Angius direttorePAESAGGIO VOCE IIIMusiche di Evangelisti, Maderna, Sarto,Gervasoni, La Licata

16

maggio 2014 venerdìENSEMBLE ACCROCHE NOTEFONTANAMIX ENSEMBLEFrançoise Kubler voceGiovanni Hoffer cornoFrancesco La Licata direttoreMADERNA SÉRÉNADEMusiche di Maderna, Aralla, Perez Ramirez,Cappelli, Ballereau

16

Eva Zahne Sofia Gubaidulina

durante le provedel concerto

del 7 aprile 2013di MICO

Valentino Corvino

Oratorio di San Filippo Neri(Via Manzoni 5) ore 20,30

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ra i più brillanti artisti della sua generazione, Gabor Bol-doczki si è imposto a livello nazionale giovanissimo, ag-giudicandosi a 14 anni il Primo Premio del Concorso

Ungherese di tromba, e poco più tardi ha ricevuto la propriaconsacrazione internazionale, con la vittoria al “Grand Prix dela Ville de Paris”, la più importante competizione in assoluto peril suo strumento. Esibitosi insieme alle più prestigiose orchestrenei teatri di tutta Europa, nel 2013 è stato insignito del “FranzLiszt Honor Prize”, la più alta onorificenza del Ministero dellaCultura Ungherese.Come è nata la sua passione per la musica e in partico-lare per il suo strumento?«La mia passione per la musica è iniziata davvero molto presto.Mio padre era un insegnante di strumenti a fiato, e quindi miha incoraggiato fin da piccolo ad imparare a mia volta a suonareuno strumento. Così ho iniziato a studiare il pianoforte a ottoanni, e un anno dopo mio padre mi ha regalato una tromba. Misono subito trovato a mio agio con questo strumento, e ho stu-diato molto insieme a lui. Il giorno del mio ventesimo com-pleanno, ho vinto il terzo premio al Concorso Internazionale ditromba di Ginevra, ed è stato in quel momento che ho decisodi diventare un musicista di professione».Quali sono stati i suoi maestri più importanti, non solo dalpunto di vista musicale?«Sicuramente mio padre ha esercitato una grande ispirazione sudi me nel mio processo di crescita, oltre ad influenzare la mia car-riera come musicista. Un altro importante maestro è stato Rein-

hold Friedrich, professore di tromba al Con-servatorio di Karlsruhe. Era nella giuriadell’“ARD Music Competition” di Monacoe del Concorso Internazionale “Maurice An-dré” di Parigi, quindi in seguito ho deciso distudiare con lui; è un musicista fantastico,

un bravo maestro e una persona davvero af-fettuosa».

La sua attività concertistica la porta ad esi-birsi in tutto il mondo; come descriverebbeil suo rapporto con il pubblico nei tantipaesi in cui è invitato a suonare?«Tenere concerti in tutto il mondo mi riempiedavvero di grande soddisfazione. Il posto in cuipreferisco in assoluto esibirmi è sempre il tea-tro dove ancora mi devo esibire – che sia ilMusikverein di Vienna o una piccola sala. Il

mio rapporto con il pubblico è sempre la cosa più importante,mi piace comunicare con le persone che frequentano i concertie condividere con loro la mia esperienza musicale».Quale potrebbe essere secondo lei un compositore delpassato o del presente da riscoprire?«Amo molto la musica di Fazil Say, specialmente il suo Concertoper tromba che ho avuto l’onore di suonare in prima assolutanel 2010 al Festival di Mecklenburg Vorpommern; è un musi-cista eccezionale e un grande amico. Sono anche molto emo-zionato perché Krzysztof Penderecki comporrà un’opera per me.Credo che sia molto importante incoraggiare i compositoricontemporanei a scrivere nuove opere per tromba, in modo cheil repertorio vada via via espandendosi».Come descriverebbe i suoi partner nel concerto per Mu-sica Insieme?«Suonerò a Musica Insieme con i miei connazionali della FranzLiszt Chamber Orchestra; è un ensemble eccezionale, che pro-prio quest’anno celebra il cinquantesimo anniversario dallasua fondazione. A noi si unirà uno straordinario solista comeAlexander Romanovsky, ed insieme suoneremo il Concerto diŠostakovic in do minore per pianoforte, tromba e archi».Vuole descriverci questo Concerto di Šostakovic , cheperaltro rappresenta un unicum nel repertorio?«Secondo me è semplicemente un capolavoro. In origine erastato composto per essere un concerto per tromba e orchestra,mentre il pianoforte venne aggiunto durante il processo dicomposizione per farne un doppio concerto. Si tratta di un’operaricca di sentimento e di momenti di contrasto fra l’atteggia-mento satirico dell’autore e la sua profonda malinconia; èun’opera che amo davvero molto suonare».La tromba è uno strumento che nella classica possiede unrepertorio non sterminato, ma ricco di capolavori: qualisono a suo avviso i ‘must’ per tromba solista?«Non ci sono così tante opere per tromba, come ce ne sono peril pianoforte, ma ci sono molte possibilità di ampliare il reper-torio grazie alle trascrizioni e alla musica dei compositori con-temporanei. Il mio ultimo cd, Tromba Veneziana, è un albumdi trascrizioni di Vivaldi che ho registrato con l’ensemble Cap-pella Gavetta; Vivaldi ha scritto solo un concerto per tromba,così ho arrangiato una selezione dei suoi lavori per altri stru-menti. Questa esperienza mi ha dato la possibilità di ‘cantare’con il mio strumento. Amo suonare queste opere accanto al re-pertorio classico per tromba, e non vedo l’ora di condividerequesti pezzi con il pubblico durante il mio prossimo tour».

GABOR BOLDOCZKI

L’INTERVISTA

Considerato l’erede ideale del grande Maurice André, il trombettista ungheresesi esibirà il 13 gennaio in un capolavoro assoluto di Šostakovič, al fiancodei connazionali della Franz Liszt Chamber Orchestra di Bianca Ricciardi

Il canto degli ottoni

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FotoMarcoBorggreve

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l primo, inglese, ha calcato i palcoscenici delle più prestigiosesale da concerto d’Europa e d’oltreoceano, sebbene il suonome resti particolarmente legato alla Wigmore Hall di

Londra dove è apparso in più di 40 occasioni, suonando con leprincipali compagini, dalla London Symphony Orchestra allaLos Angeles Philharmonic, dai Wiener Symphoniker alla Au-stralian Chamber Orchestra. Il pubblico bolognese lo ricorderàdi certo per le sue apprezzatissime interpretazioni schubertiane,che lo hanno visto protagonista fra l’altro della rassegna dedicataal compositore viennese per Musica in Santa Cristina 2011/12.Il secondo è bresciano, ma in Inghilterra ha avuto la sua grandeconsacrazione, aggiudicandosi il 1° Premio con Medaglia d’oro“Daw Aung Sun Suu Kyi” al Leeds International Piano Com-petition nel 2012: nella Town Hall di Leeds, registrato dal vivoda BBC Radio 3 e BBC Four, ha suonato il Quinto Concertodi Beethoven con l’Orchestra Sinfonica Hallé di Manchester di-retta da Sir M. Elder. Dall’Italia all’Inghilterra, Paul Lewis e Fe-derico Colli si raccontano in questa intervista in cui emergonodue personalità diverse per formazione e sensibilità, ma con unacaratteristica comune: un sincero, spontaneo legame con il pub-blico che li ascolta.Nei vostri ricordi, qual è stato il più bel concerto (suonatoo ascoltato)?Paul Lewis: «Questa è una domanda troppo difficile! Un concertoche mi ha impressionato davvero molto è stato quello di Bene-detti Michelangeli che andai a sentire alla Barbican Halldi Londra quando avevo 14 anni. Quella fu davverouna grande occasione per me».Federico Colli: «Sono spiritualmente molto legato aiconcerti tenuti da Sokolov nelTeatro della mia città.Ricordo, quasi sei anni fa, una sua interpretazionedella Sonata in do minore di Schubert: ero sedutosulle scale del teatro, entrato di soppiatto, ogni antroera zeppo di pubblico. Ricordo l’impressione che mirese incapace di alzarmi, l’incredulità di fronte a talechiarezza di libertà e di idee. È stato un concerto che miha trasfigurato e rivelato».Qual è a vostro avviso un compositoredel passato o del presente da risco-prire?Paul Lewis: «Nell’ultimo periodo ho la-vorato sulla Sonata per pianoforte diJulius Reubke, e credo che sia un lavoroche meriterebbe una maggiore noto-

rietà. Questo compositore non ha scritto molte opere e morìmolto giovane, ma quello che ci ha lasciato è straordinario».Federico Colli: «La musica contemporanea è come un enorme cal-derone nel quale è necessario (necessario perché possibile) farluce, portando a galla le opere più meritevoli. Scrivere musicaoggi è l’impresa più ardua – e paradossalmente più banale – maiimmaginata. Rifuggendo ogni accademismo, ogni preconcetto,sono le libere idee a dover inverarsi nella musica, i pensieri di or-dine filosofico e storico a dover parlare, pensieri che trovano nel-l’arte – oggi più che mai – il loro più grande accomunamento.Ritrovo questi temi fondamentali nella musica di un mio caroamico e mentore: Alberto Bonera».Quali sono stati i vostri più importanti punti di riferimento(non solo dal punto di vista musicale)?Paul Lewis: «La mia famiglia; mi ha sempre aiutato a rimanerecon i piedi per terra».Federico Colli: «Sono molto legato ai miei amici defunti, che pur-troppo non ho mai conosciuto: Bach mi insegna il timore del-l’Assoluto, Mozart la semplicità mai frivola, Beethoven la bra-mata disfida nei confronti del Cielo, Liszt la vacuità delle troppeparole, Schumann la fortunata meraviglia con cui interpretare ilmagma che ci muove. Insomma, sono gli amici con cui condi-vido la mia quotidianità. A volte rispondono, a volte mi consi-gliano. Sono pieno di gratitudine per ogni persona che ha saputodarmi qualcosa di buono, donarmi qualche seme che nella mia

anima, col tempo, è germogliato. La mia prima inse-gnante, Anita Battioni, che ha fatto della musica ungioco infantile mai noioso; il mio primo Maestro,Sergio Marengoni, che mi ha traghettato dallafanciullezza alle porte della maturità; Konstan-tin Bogino che mi insegna la sofferenza, la soli-tudine e la stremante abnegazione quotidianasullo strumento; Boris Petrushansky, che mi in-segna le idee; Enzo Restagno, che come unalanterna dalla luce mai fioca mi consiglia e misprona in ogni ambito della mia vita professio-

nale; Franco Scala, che mi insegna la sag-gezza del saper vedere lontano; Marian

Rybicki, che ha creduto in me in unmomento difficile della mia vitamusicale; Pavel Gililov, che mi in-segna l’arte della diplomazia».

INTERVISTA DOPPIA

FEDERICO COLLI - PAUL LEWIS

Dall’Italia all’Inghilterra, due raffinati interpreti ci presentano il loro programmaper Musica Insieme, raccontandoci anche, con profondità e passione, la loro

filosofia artistica di Cristina Fossati

Al di là del suono

I

24 IM MUSICA INSIEME

FotoSarahFerrara

Federico Colli

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Fra i premi e i riconoscimenti (anche verbali) che avete ot-tenuto nella vostra carriera, qual è il più importante?Paul Lewis: «Parlare con qualcuno che ha assistito a un tuo con-certo e vedere che è stato trasportato dalla tua musica in manieratotalmente sincera. Questo è il premio più grande».Federico Colli: «Siamo perennemente insoddisfatti di noi stessi:per questo, troviamo nella nostra volontà la forza di voler sem-pre essere migliori di quel che già siamo. I premi sono segni checonfermano di essere sulla giusta strada. Le parole si conservanosempre nel cuore: in Polonia, lo scorso giugno, dopo un concertomolto raffinato con musiche di Mozart e Schubert, un ragazzonon vedente si avvicina a me dicendomi: “Grazie Maestro,ascoltandola mi è parso di poter vedere nuovamente davanti aimiei occhi immagini colorate”».C’è un’opera pianistica a cui siete particolarmente legati,e se sì per quali motivi?Paul Lewis: «Tutto quello che suono, non sono in grado di sce-gliere un’opera sola».Federico Colli: «SicuramenteGaspard de la Nuit di Ravel. Lo stu-dio di quest’opera è stato per me formativo e totalizzante: ho im-parato che le opere non sono creazioni esterne alla nostra anima,ma diventano parte integrante del nostro destino; ho imparatoa dialogare e accettare le inquietudini e i demoni che abitanodentro il cuore di un artista; ho imparato che, per fare di questicapolavori un’opera d’arte, è necessario che la propria vita sia essastessa un’opera d’arte».Maestro Lewis, il programma che presenta per Musica In-sieme traccia una storia del pianoforte da Beethoven aBusoni, con opere che hanno rivoluzionato sia l’uso dellostrumento che la concezione formale: quali sono gliaspetti più interessanti che ha voluto mostrare in questaantologia musicale?Paul Lewis: «Ho voluto mettere in evidenza l’incredibile origi-nalità delle opere nella seconda metà del XIX secolo e il contra-sto tra realtà e fantasia che passa attraverso tutto il programma».C’è un motivo per cui ha deciso di alternare le due Sonateop. 27 di Beethoven ad altrettante elaborazioni di Busonidei Corali bachiani?Paul Lewis: «Sì, certo: i Corali di Bach sono opere che si perce-piscono come molto connesse alla terra, ma che tuttavia cercanodi stabilire un legame con un luogo che è al di là. Entrambe ledue Sonate di Beethoven op. 27 – quasi una fantasia – comin-ciano come se si fosse in un luogo al di là. Per questo ho volutoricreare questa sensazione di connessione correndo attraverso leopere senza neanche una pausa».In che modo secondo lei la rilettura di Busoni arricchiscei preludi bachiani?Paul Lewis: «Il modo di suonare è sicuramente di Busoni, ma lamusica è ancora di Bach. La ricchezza della sonorità del piano-forte è una meravigliosa aggiunta ai Preludi-Corali, pur mante-nendone il senso originale».Due anni fa ha eseguito i capolavori di Schubert per larassegna Musica in Santa Cristina. Che ricordo ha delpubblico bolognese?Paul Lewis: «Un pubblico molto attento, informato e preparato».Maestro Colli, nel 2012 ha vinto il Primo Premio al “LeedsInternational Piano Competition”; trova sensibili diffe-

renze fra il pubblico anglosassone e quello italiano?Federico Colli: «Ogni pubblico, dal Brasile al Giappone, dalMessico alla Russia, ascolta ed apprezza in modo diverso, perchédiversi sono il mondo culturale e le categorie di pensiero a cuiappartiene. Comunque, tra anglosassoni e italiani non ho notatosostanziali differenze».Il suo programma sembra mostrare le evoluzioni e rivo-luzioni della sonata in appena mezzo secolo di storia:quali sono a suo avviso i ‘punti cruciali’ dei tre lavori?Federico Colli: «Il mio programma, una sorta di pacco precon-fezionato, vuole essere una proposta che lascia all’ascoltatore unsenso di unità e coerenza. Esso mostra il concetto di sonata cosìcome era al comincio (Mozart), nella sua apoteosi di profonditàe grandiosità (Beethoven) e nel suo lento ma rovinoso disfaci-mento, nella decomposizione della forma vincolata a favore diuna vitalità libera, di una freschezza irrefrenabile del sentire(Schumann)».Un paio di anni fa ha partecipato insieme al suo collegaCasadei a un noto programma televisivo di Canale 5, Ita-lia’s Got Talent. Cosa ricorda di questa esperienza? Credeche l’utilizzo dei nuovi media possa aiutare ad avvicinarei giovani al mondo della musica classica?Federico Colli: «Ci siamo divertiti tanto, ma abbiamo anche ca-pito quali regole e quali dogmi governano il mondo della tele-visione. Il proponimento di demitizzare il rito del concerto, lavoglia di svestire il frac e di avvicinarsi in modo non conven-zionale al pubblico dei non addetti ai lavori, insomma il desideriodi portare la musica colta a chiunque – principii che ci avevanoindotto a partecipare alla trasmissione – sono risultati mere il-lusioni giovanili. Soprattutto, abbiamo purtroppo capito che vi-viamo in un’epoca in cui il culto della bellezza, nella sua essenzapiù vera, non esiste più. Ma non sarà la bellezza a salvare ilmondo, bensì la verità».Progetti futuri?Paul Lewis: «Una combinazione di varie cose: Brahms, Haydn,Liszt, Schoenberg e molto altro!».Federico Colli: «Studiare. Tutto il resto viene di conseguenza».

25IM MUSICA INSIEME

FotoHarmoniaMundi-EricManas

Paul Lewis

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l Belcea ben rappresenta lo stato at-tuale dell’arte nell’aristocratico con-testo del quartetto d’archi. Oggi, in-

fatti, l’intersecarsi delle diverse scuole, e diconseguenza dei differenti stilemi inter-pretativi che avevano caratterizzato le vi-cende di questo ensemble per tutto il se-colo scorso, è il dato di maggior interesse.Così non sorprende che il Belcea sia nato– correva l’anno 1994 – nel fecondo am-biente londinese del Royal College ofMu-sic, ma a fondarlo siano stati una violini-sta rumena – Corina Belcea appunto – edun violista polacco, Krzysztof Chorzelski.A loro volta, sommandosi così alla for-mazione londinese, eccoli portatori diun’esperienza formativa che li aveva vistiseguire il magistero di due grandissimiquartetti, quali l’Alban Berg e l’Amadeus.A tutto questo s’aggiunge l’esperienza an-cora diversa, maturata in terra di Francia,dei loro due compagni di viaggio: il vio-linista Axel Schacher ed il violoncellistaAntoine Lederlin. Altro elemento che ca-ratterizza la nouvelle vague del quartettod’archi nel terzo millennio è l’interesseper la musica moderna e contemporaneada un lato, che sembra sempre più unirsi– vero e proprio segno dei tempi – aquello per il sostegno alle attività musicalidi formazione destinate alle nuove gene-razioni. Lo sguardo sul contemporaneo,peraltro, come dimostra il programmache presenteranno nel loro debutto a Bo-logna, si estende spesso a quello verso il re-pertorio antico, in un ulteriore stratifi-carsi di suggestioni e suggerimenti.Lasciamo che sia proprio la violinista Co-rina Belcea a raccontarci la vicenda arti-stica di quello che oggi è uno dei quartettiprotagonisti della scena internazionale.Il Quartetto Belcea è nato nel 1994 èlei ne è stata la fondatrice. Com’è

avvenuto il vostro primo incontro equali sono stati i vostri primi passisulla scena musicale?«È vero, siamo nati nel 1994. Al di là delcomune amore per la musica da camerae per il repertorio quartettistico, ad unirciè stata l’amicizia fra tre di noi (il violista,il violoncellista ed io eravamo già amiciai tempi in cui frequentavamo la YehudiMenuhin School, dove sono stata per treanni prima di passare al Royal College ofMusic). Inoltre, last but not least, ci haunito il profondo rispetto e l’ammira-zione per il Quartetto Chilingirian, cheallora insegnava al Royal College. Perso-nalmente, ho sempre amato il modo disuonare e di insegnare del primo vio-lino, Levon Chilingirian, e fremevo nel-l’attesa di poter andare a lezione da lui.Così il nostro primo incontro è statoparticolarmente emozionante, tanto piùche Laura, l’elemento che ancora nonconoscevamo, ha dimostrato la stessaacuta curiosità nell’esplorare il repertorioquartettistico. Insomma, ci siamo sentitiuna sola cosa fin dal primo momento. Ilprimo pezzo che abbiamo affrontato èstata l’op. 18 n. 1 di Beethoven, davverouna grande sfida per noi. Poi, più tardi,è cominciata la carriera vera e propria. Inquel momento ci siamo resi conto diquanto sarebbe stata dura la nostra vita,poiché l’attività quartettistica richiedemolto lavoro e sacrifici. Tra di noi – era-vamo tutti più giovani – c’è stato anchechi ha sentito come troppo restrittivaquella scelta, che lo allontanava da ognialtra (come la composizione, oppuresemplicemente la vita da studente), ed èstata la maturità di Krzysztof, di pochianni più vecchio di noi, a tenerci uniti.Sulla scena internazionale ci siamo arri-vati cominciando con le masterclass con

BELCEA QUARTET

il Quartetto Amadeus in Austria e Fran-cia, e poi con l’Alban Berg, che abbiamoincontrato regolarmente nel perfeziona-mento per la Hochschule di Colonia.Un grandissimo aiuto è arrivato quandoabbiamo ottenuto il sostegno dallo“Young Concert Artist Trust”, che ci hapermesso di realizzare concerti sia inGran Bretagna sia all’estero».Parlando del programma che pre-senterete a Bologna, ritiene possibiletracciare una linea che unisca Purcella Britten in una sorta di “via inglese”alla musica per archi? Ovvero, ritieneche esista una possibile relazionenella produzione musicale britannicatra l’antico e il moderno?«Come Britten stesso ebbe a dire: “Unodei miei scopi è cercare di restaurare lastruttura del linguaggio musicale inglese,quella brillantezza, libertà e vitalità chesono divenute stranamente rare dallamorte di Purcell”. Britten è stato ungrande ammiratore di Purcell, e riportòalla ribalta numerose sue composizioni,anche incorporandole all’interno delleproprie, come nel caso di The Young Per-son’s Guide to the Orchestra, che ha ap-punto per sottotitolo Variazioni e Fuga suun tema di Purcell: ed ancora, eccolo mo-dellare i suoi Five Canticles sui DivineHymns di Purcell; ed avvicinandoci al no-stro repertorio, non possiamo non ricor-dare che il suo Secondo Quartetto per ar-chi, realizzato nel 1945, fu compostocome un omaggio a Purcell».Il Quartetto Belcea ha registrato l’in-tegrale dei Quartetti di Britten. IlTerzo, e ultimo, è una composizionedavvero speciale, scritto com’è unanno prima della morte, e con espli-cite citazioni dalla sua ultima operaMorte a Venezia. Quale via interpre-

L’INTERVISTA

26 IM MUSICA INSIEME

Debutta a Bologna il Quartetto formatosi a Londra, ma composto da musicistidi tre nazionalità diverse, uniti da una forte amicizia che li ha fatti sentire

“una cosa sola fin dal primo momento” di Alessandro Di Marco

Omaggi inglesi

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tativa avete scelto per affrontareun’opera così particolare?«È davvero una composizione fuori dal-l’ordinario ed è uno dei brani che sen-tiamo più vicini ai nostri cuori. All’inizionon è stato facile per chi di noi veniva dauna cultura più sanguigna, quella del-l’Europa Orientale, afferrare l’arte tuttabritannica dell’understatement, ma allafine, con l’aiuto dei nostri colleghi, con ilmagistero dell’Amadeus, un po’ alla voltaci siamo avvicinati a quel modo davveroelusivo, delicato, ma commovente, discrivere per archi. L’aver potuto ascoltarei componenti dell’Amadeus, che ci parla-vano di quella musica in maniera tantointima, ci ha permesso di conoscere sem-pre più a fondo questo suo lavoro. Del re-sto, l’Amadeus aveva eseguito il TerzoQuartetto davanti a Britten a casa sua, edè stata questa l’unica volta che il compo-sitore lo ha ascoltato prima di morire.Inoltre siamo stati invitati molte volte alFestival di Aldeburgh, dove abbiamo re-gistrato l’integrale di Britten e molti deinostri cd: così siamo venuti a contattocon il mondo che Britten amava. Ecco ilfrusciare del vento alle spalle della sala daconcerto dello Snape Maltings, quellaspeciale solitudine, con la quale a voltevieni in contatto visitando quell’affasci-nante parte dell’Inghilterra, il canto degliuccelli che ritrovi nel terzo movimento edinfine, ovviamente, l’unicità della bellezzadi Venezia, che ha ispirato il finale. Ab-biamo cercato di trasferire tutto questonella nostra interpretazione e di farlo sen-tire al pubblico. Spesso ho avuto la sen-sazione che il pubblico, infatti, percepisseil senso della morte incombente provatodal compositore e da lui descritto nel fi-nale: l’ultimo accordo, che Britten stessoaveva definito come “una domanda”, el’ultima nota tenuta del violoncello solo,che suona un po’ come il rallentare ed ilfermarsi del battito cardiaco attraverso ilmonitor in una stanza d’ospedale. Delresto, con la consueta modestia, Britten,dopo aver ascoltato l’esecuzione del-l’Amadeus, rivolgendosi al suo amicoHans Keller, che lo aveva convinto a scri-vere quel Terzo Quartetto, disse sempli-cemente: “It works” (“funziona”)».Perché un’opera di Mozart in chiu-sura di programma?«Le Fantasie di Purcell possono essere

seguirli regolarmente, con la stessa pas-sione e attenzione che noi, da studenti,abbiamo ricevuto. L’altro aspetto impor-tante dell’attività del Trust sono le com-missioni di nuovi lavori, commissioni chepossiamo realizzare grazie ai nostri soste-nitori e cercando di lavorare con compo-sitori che sentiamo affini. Un giorno riu-sciremo a convincere ancheThomas Adèsa scrivere un lavoro per noi…».Questo sarà il vostro debutto a Bolo-gna, ma avete già suonato in Italia.Cosa pensate del pubblico italiano?«Sì, abbiamo suonato in Italia molte volte.La più recente a Genova, dove abbiamorealizzato l’integrale dei quartetti di Bee-thoven. Abbiamo trovato il pubblico ita-liano non solo attento e caloroso, ma so-prattutto capace di ascoltare in silenzio edi reagire in maniera davvero positiva».

suonate, a nostro avviso, solo all’inizio.Per noi rappresentano l’equivalente mo-derno di un’introduzione di un gruppo diviole, che poi inviti ad ascoltare una mu-sica più intima, qual è quella del Terzo diBritten. L’ovvio legame tra Purcell e Brit-ten ci porta a chiudere la prima parte.Mozart serve forse a risollevare lo spirito,dopo l’atmosfera meditativa e non proprioottimistica della Passacaglia di Britten».Vorrebbe dirci qualcosa a propositodel “Belcea Quartet Trust”?«Il “Belcea Quartet Trust” nasce dalla ne-cessità di avere una maggiore autonomiain alcune aree della nostra attività. L’in-segnamento è una parte rilevante del no-stro impegno. Ciò che per noi fa la diffe-renza è la motivazione in chi studia. Cosìabbiamo potuto in tutta autonomia sce-gliere tre Quartetti per noi promettenti e

27IM MUSICA INSIEME

FotoRonaldKnapp

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ei è il cuore pulsante in-torno al quale ruota tutto».Così ha definito Viktoria

Mullova il pianista Julian Joseph, cheascolteremo insieme a lei a Bologna inThe Peasant Girl. Per il pubblico di Mu-sica Insieme, ogni incontro con la violi-nista russa è anche l’occasione per supe-rare le tradizionali definizioni di genere,incontrare nuovi repertori e organici ine-diti (nel 2009 l’abbiamo ascoltata in-sieme a Giuliano Carmignola in un pro-gramma per duo di violini, nel 2011 hariletto le sonate di Beethoven accompa-gnata dal fortepiano): esplorazioni mu-sicali, insomma, rese possibili da unatecnica impeccabile, ma anche dalla cu-riosità di un’artista ‘colta’ dal cuore dipaesana, come ci racconta in questa in-tervista. In The Peasant Girl, che uniràViktoria Mullova alla band capitanatadal violoncellista e arrangiatore (nonchésuo consorte) Matthew Barley, si riuni-ranno anche l’Europa dell’Est, la Russiae l’America, il Mediterraneo e i Balcani,il gypsy e il jazz. Il programma allinea in-fatti, accanto ai due compositori-etno-musicologi Bartók e Kodály, nomi comeJohn Lewis del Modern Jazz Quartet, oi Weather Report, band americana ani-mata da leggende quali Jaco Pastorius,Joe Zawinul, Wayne Shorter. E poi letradizioni russe, come in Yura, che s’in-trecciano al Mediterraneo del DuOud,ossia un duo di autori e virtuosi di oudtunisini.Ci racconterebbe innanzitutto comeè nato questo originale progetto?

«Nel 2000, con Matthew Barley ab-biamo realizzato un progetto dal titoloThrough the Looking Glass, che è appro-dato anche a Bologna per Musica In-sieme: si trattava del nostro primo pro-getto in assoluto in cui uscivamo dallamusica ‘classica’ in senso stretto, ed eraun’operazione molto difficile perché an-cora nessuno sapeva esattamente checosa fosse, cosa ne sarebbe nato...Quando abbiamo cominciato invece apreparare The Peasant Girl l’idea eramolto più chiara: avevamo scoperto chetantissima musica è influenzata dalle tra-dizioni est-europee e gitane. Non solo laclassica, ma anche molte canzoni jazzsono piene di queste influenze: abbiamodeciso quindi di dividere idealmente ilprogramma a metà, con una parte clas-sica che comprenderà i Duetti di Bartóke una Sonata di Kodály, entrambi com-positori che hanno raccolto un gran nu-mero di melodie popolari magiare ‘sulcampo’, usandole, o comunque rifacen-dosi ad esse nelle loro composizioni. Poici sarà la musica jazz, con gli arrangia-menti di brani che hanno risentitomolto di queste influenze gitane, daDjango di John Lewis a Pursuit of theWoman with the Feathered Hat dei Wea-ther Report, e molto altro».Anche il titolo The Peasant Girl pro-viene da una canzone dei WeatherReport...«Fino ad un certo momento non sape-vamo proprio come intitolare questoprogetto, poi parlando del mio passato,mentre preparavamo un libro autobio-

VIKTORIA MULLOVA

grafico che ho scritto con la collabora-zione di un’amica, Eva Maria Chapman,lei rideva e diceva, “Tu suoni Bach eBeethoven, ma provieni pur sempre dauna famiglia di contadini!”; è assoluta-mente vero, e mi ha fatto pensare che iosono davvero ‘contadina’, pur suonandomusica molto raffinata... Mentre parla-vamo di questo insieme a mio marito,stavamo ascoltando in sottofondo unbrano dei Weather Report che Matthewaveva già intenzione di arrangiare, madel quale non conoscevamo ancora il ti-tolo: quando abbiamo scoperto che quelbrano si intitolava proprio The Peasant,ci è venuta l’idea di dare il nome ThePeasant Girl all’intero progetto».From Russia To Love – The Life andMusic of Viktoria Mullova è il titolodella sua biografia, scritta appuntodalla Chapman con la sua collabo-razione. Che cosa le ha dato il ‘la’?«Con Eva Maria abbiamo parlato alungo delle mie origini, dei miei avi. Lamia famiglia (che viveva in un villaggioucraino) era molto povera, ed i mieihanno sofferto tantissimo durante laguerra e la rivoluzione sovietica. Quelloche volevo fare era proprio raccontaredelle mie origini contadine, e poi dicome andavano le cose nell’Unione So-vietica al tempo in cui sono cresciuta,sino alla storia della mia rocambolescafuga negli Stati Uniti attraverso Finlan-dia e Svezia, nel 1983 [quando ViktoriaMullova e il suo compagno dovettero at-tendere tutto il fine settimana nascosti inuna camera d’albergo di Stoccolma poiché

L’INTERVISTA

28 IM MUSICA INSIEME

La violinista russa, presenza costante dei nostri cartelloni, torna a Bologna con unodei suoi eccentrici progetti insieme al violoncellista e arrangiatore Matthew Barley,

puntando dritto all’anima gitana della musica di Fulvia de Colle

Nel cuore della musica

“ “Adoro la musica brasiliana, e fra qualche mese pubblicherò un nuovo

cd, Stradivarius in Rio, interamente ideato e prodotto da me

«L

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l’Ambasciata americana era chiusa per lecelebrazioni dell’Independence Day, ndr].Tutto il resto è venuto dopo. Ho sem-plicemente pensato che sapere come an-davano le cose in un certo periodo sto-rico fosse molto importante, e potesseinteressare tutti».Oltre agli arrangiamenti originali deibrani classici e non, Matthew Barleyha composto per lei anche un altropezzo in programma: Yura, dedicatoa suo padre, ed ispirato alla visionedel Lago Bajkal in Siberia.«Sì, e proprio il giorno dopo che l’ab-biamo eseguito per la prima volta, miopadre è morto. Matthew l’aveva scrittodue mesi prima pensando a lui, che pe-raltro era già molto malato».Ritiene che accostare molti generimusicali, anche più ‘leggeri’, possaaiutare la causa della divulgazione,specie fra i giovani che non semprefrequentano le sale da concerto?«Credo di sì, il punto è che si tratta sem-plicemente di musica molto bella e in-teressante, inoltre c’è tanta improvvisa-zione (io stessa ho imparato adimprovvisare dopo una vita intenta adeseguire le note ‘scritte’!), di modo cheogni concerto è diverso dagli altri. Conquesto programma abbiamo tenuto oltre50 concerti in tre anni, un tour che si co-ronerà praticamente a Bologna, prima didedicarci ad un nuovo repertorio...».Dai concerti di Bach (che presen-tiamo più avanti in questo numero,nella rubrica Da ascoltare) al jazz,sembrerebbe che lei volesse esplo-rare l’intero universo violinistico: hagià in cantiere un nuovo progetto?«Sì, si chiamerà Stradivarius in Rio:uscirà fra pochi mesi – il montaggio è giàultimato – un cd con arrangiamenti dicanzoni brasiliane da me realizzato in-sieme a una chitarra, due percussioni, eMatthew Barley al basso. Adoro questorepertorio, e tengo particolarmente aquesto progetto, che ho ideato io inprima persona, mentre per gli altri mieiincontri musicali al di fuori della classicail ‘colpevole’ è stato sempre mio marito.Credo che quella brasiliana sia una mu-sica bellissima, chi la ascolta non puònon provare gioia».Tornando a The Peasant Girl, il vio-lino è tradizionalmente un protago-

nista della musica est-europea e zi-gana: come cambia il modo di suo-narlo, e quale strumento usa perquesto particolare repertorio?«Ho due strumenti, un Guadagnini del1750 che uso per la musica barocca eclassica, come i concerti di Bach, Vi-valdi, o Beethoven, mentre il mio Stra-divari “Julius Falk” (del 1723) lo uso pertutto il resto, come nel caso di The Pea-sant Girl, o del disco che abbiamo regi-strato a Rio. Ovviamente cambia tutto,sia a seconda dello strumento che delrepertorio; quando sono impegnata neimiei progetti crossover, tutto è molto piùrilassato, e considero una mia grandefortuna poter eseguire molti generi mu-sicali diversi».In un repertorio come questo, moltocontano anche creativamente gli in-terpreti e, come dicevamo, l’improv-visazione.«Sì, anche grazie ad artisti provenienti daun ambiente non classico, come il pia-nista Julian Joseph che mi ha dato moltosupporto, ho potuto imparare ad im-provvisare: la mia ‘prima volta’ come im-provvisatrice è stata praticamente soloun anno fa, e lo ritengo molto liberato-rio e importante per eseguire un reper-torio come quello di The Peasant Girl oStradivarius in Rio. Suonare con miomarito Matthew Barley, poi, è una bellaesperienza e ci permette di non sepa-rarci troppo a lungo, viaggiando insiemeper le nostre tournée. Il fatto poi che en-trambi adoriamo il repertorio che ese-guiamo aggiunge gioia alla gioia. PerThe Peasant Girl in particolare, Matthewha scritto tutti gli arrangiamenti, me liha per così dire cuciti addosso, mentreStradivarius in Rio è un progetto intera-mente mio: per la prima volta sono stataio ad occuparmi di tutto, dalla sceltadelle musiche alla loro produzione».The Peasant Girl insomma è ancheun incontro fra due mondi, il classicoe il ‘popolare’...«Infatti: oltre a me, il percussionista SamWalton proviene dal repertorio classico,mentre Paul Clarvis, che suona con noianche in Stradivarius in Rio, provieneda un ambito meno accademico. Ma ame piace particolarmente suonare concolleghi che provengono dagli ambientimusicali più vari, è stimolante».

29IM MUSICA INSIEME

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ualche mese fa, su questa pa-gina, scrivendo di Dvorák, ab-biamo citato una frase di De-

bussy riferita a Musorgskij: «egli hanumerosi diritti alla nostra devozione».Obbligatorio ricuperarla, ora che questapaginetta è dedicata proprio a lui: ModestPetrovic Musorgskij. La gratitudine cheDebussy gli riserva, scrivendo nel 1901sulla Revue Blanche, sarebbe stata certa-mente ricambiata da parte di Musorgskij,se solo questi fosse vissuto più a lungo, an-ziché finire tristemente la sua esistenza nel1881, a soli 42 anni, distrutto dall’alcool.È infatti anche grazie alla sconfinata am-mirazione che Debussy nutrì per la suamusica, che l’autore del Boris Godunovavviò finalmente la sua carriera postumanei panni del genio, quale egli era, anzichédel naïf di talento quale fu considerato du-rante la sua vita, e specialmente dai suoicompagni e amici pietroburghesi che com-pativano la sua testardaggine e si crede-vano musicalmente più ferrati di lui.Tutto sommato è abbastanza facile riassu-mere Musorgskij in due parole: un sov-

versivo radicale e intransigente della dot-trina compositiva classico-romantica, inparticolare di matrice tedesca. A questoproposito, tanto citata quanto eloquente èla celebre lettera spedita a Nikolaj Rimskij-Korsakov il 15 agosto 1868: «Il mio parereè che tanto più si è semplici e sinceri,tanto più si è convincenti... Perché voleteimitare i tedeschi? ... Oh che effetti inutili!Quanto rovinate la buona musica!». An-cora a proposito dello sviluppo sinfonico:«Sembra che abbiate paura di scrivere allaKorsakov e non alla Schumann... Bastacon lo sviluppo sinfonico... Quando l’ar-tista si mette a rielaborare, resta insoddi-sfatto e quando essendo già soddisfatto simette a rifare o, ancor peggio, a far delleaggiunte, allora tedescheggia e rimasticaquanto ha già detto. Noi non siamo ru-minanti ma onnivori. – Contraddizioni! –Seguiamo la natura». La “natura” era ilchiodo fisso di Musorgskij, animato co-m’era da un’incrollabile fede nel realismoestetico. Egli fece di tutto per travasarlanella propria musica – e non di rado viriuscì lasciando sconcertati i suoi con-temporanei e noi: ma se i primi scuote-vano la testa, Debussy e anche noi re-stiamo a bocca aperta per certe intuizionidi libertà e originalità tali da scavalcare apie’ pari il suo tempo, offrendo modelliche sono tuttora da godere e approfon-dire. Musorgskij voleva un canto che ri-producesse come un sismografo l’espres-sione della lingua russa. Rifiutava l’ideadello sviluppo perché ammirava la co-struzione formulaica, le ripetizioni variatedella musica contadina. Rifiutava i pre-cetti dell’armonia con una nettezza degnadi certi mavericks americani alla Ives oalla Zappa. E cercava suoni ‘altri’: neri e

pesanti come la terra, taglienti come ilferro, limpidi come l’acqua. Oppure cheriportassero amorevolmente alla memoriai dipinti di Viktor Aleksandrovic Har-tmann, uno dei suoi migliori amici, dece-duto a 39 anni. Dopo la sua morte, nel1874, a Pietroburgo gli dedicarono unagrande esposizione i cui quadri si sonotrasformati in una pietra miliare della let-teratura pianistica ottocentesca.Ci vollero però decenni prima di riuscirea cogliere la grandezza di Musorgskij, an-ziché liquidarla come dilettantismo tantogeniale quanto maldestro. Ma leggiamoancora Debussy: «Nessuno ha parlato allaparte migliore di noi con accento più te-nero e profondo: egli è unico e lo resteràper la sua arte senza schemi e senza for-mule disseccanti. Mai una sensibilità piùraffinata si è tradotta con mezzi così sem-plici; [...] tutto vi si regge e si compone perpiccoli tocchi successivi, connessi da un le-game misterioso e da un dono di lumi-nosa chiaroveggenza».Ma Debussy non era l’unico innamoratodi Musorgskij. La partitura del Boris glie-l’aveva fatta conoscere un amico compo-sitore, Jules de Brayer, «la cui fronte diveggente – scrive Debussy – si direbbemandi lampi fatidici quando parla di Mu-sorgskij, che egli pone molto al di sopra diWagner». Nella cerchia debussysta anchePierre Louÿs era convintissimo di questasuperiorità: non una boutade, ma un giu-dizio di portata storica. Poiché è propriotramite Musorgskij che si crea quella sortadi “asse” franco-russo che avrà in Stravin-skij il suo campione e che imprimerà allastoria quella svolta che sappiamo, le cuidecisive implicazioni, alternative almain-stream austro-tedesco, sono oggi ancora incorso di elaborazione, sia sul piano sto-riografico, sia, ciò che forse più conta, sulpiano della composizione.

IL PROFILO

30 IM MUSICA INSIEME

Q

MODEST MUSORGSKIJ

Ritratto di un compositore il cui genio fu riconosciuto solo postumo:un anti-accademico che amava il linguaggio della natura e della propria terra, come

nei Quadri di un’esposizione in programma per Musica Insieme di Giordano Montecchi

Natura e verità

Modest Musorgskij (1839-1881) in un ritratto di Il'jaRepin eseguito pochi giorni prima della sua morte

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al fondo buio e senza tempo, laRagazza con l’orecchino di perlaci guarda. Giunse alle collezioni

del Mauritshuis all’Aia nel 1902, dopopiù di due secoli di ‘latitanza’. Era il 1696quando ad Amsterdam fu battuta all’astae dispersa la collezione del tipografo diDelft Jacob Dissius, che contava una ven-tina di dipinti di Jan Vermeer. Appenavenne collocata in una delle sale del mu-seo (la dimora seicentesca del conte diNassau-Siegen Johan Maurits, affacciatasu uno specchio d’acqua), di questa“Monna Lisa olandese” si disse che “più diqualsiasi altro Vermeer sia dipinto conpolvere di perle”.Dall’8 febbraio prossimo, la celebre telasarà esposta a Bologna in Palazzo Fava, ul-tima tappa, ed unica in Europa, di un tourmondiale consentito dalla chiusura delMauritshuis per restauri ed ampliamenti,prima del ritorno alla sua sede nell’estate2014, insieme agli altri quaranta dipintidel Seicento olandese che l’hanno accom-pagnata e che saranno inmostra: ritratti diRembrandt e Franz Hals, scene di interni

e di vita popolare, paesaggi, nature morte,scene di genere ed una di musica, la Suo-natrice di violino dipinta nel 1626 da Ger-rit vanHonthorst (Gherardo delle notti inItalia), donata al museo dell’Aia nel 1995.Anche nella produzione di Vermeer –trentasette le tele concordemente ricono-sciute dalla critica – compaiono alcunidipinti di soggetto musicale: giovanidonne intente a suonare una spinetta ouna chitarra nelle tranquille stanze di ric-che case borghesi. Le si potrebbe acco-munare alla copiosa produzione di scenedi genere realizzata da tanti maestri olan-desi, se non fosse per quell’arcana atmo-sfera sospesa nella trama di uno spazioprospettico vero e metafisico ad untempo, per quella luce che viene dalla fi-nestra vetrata sulla sinistra della tela, e in-sieme dall’occhio lucido e poetico del pit-tore, per quei colori di luce, gialli e azzurrisempre imitati e mai più raggiunti.Una luce bianca e dorata invade la stanzache accoglie La lezione di musica (firmatanel 1665 “I V Meer”) di proprietà di Sua

Maestà la Regina Elisabetta II [non espo-sta a Palazzo Fava, ndr], che nel 1762 ap-prodò alle collezioni reali inglesi con ilnome di VanMieris, pittore allora ammi-ratissimo, quando invece nome e fama diVermeer erano cancellate dalla memoriadella pittura, pur nel fascino intatto deisuoi dipinti, sempre ammirati magarisotto un nome diverso (anche Rembrandt,l’unico pari a Vermeer per vertici di asso-luto). La giovane “suonatrice di spinetta”è ritratta di schiena (ma ne scorgiamo ilvolto riflesso nello specchio), assorta nelcogliere l’ultima vibrazione della nota chesi acquieta, appena emanata dal preziosostrumento, che dal fregio del pannello an-teriore con arabeschi e cavallucci marini sidirebbe del famoso artigiano di AnversaAndreas Ruckers. Accanto a lei, in piedi,nel nero abito della moda del tempo, è ri-tratto il maestro di musica (o forse ungiovane amante?). Ma dentro al quadroc’è anche Vermeer, presenza elusa eppurrestituita dal cavalletto nello specchio, almodo di Jan Van Eyck nel Ritratto dei co-niugi Arnolfini, al modo di Velazquez neLas Meninas.Seminascosto dal tavolo coperto da untappeto, un violoncello è posato sul pavi-mento a riquadri di marmo che arretranoverso il fondo secondo un’impeccabileprospettiva. Il quadro è stato letto comearmonia dell’amore, sottesa al ruolo me-taforico della musica, come si legge nelmotto scritto sul coperchio della spinetta:“MUSICA LETITIAE COMESMEDI-CINA DOLORUM”. La musica com-pagna della gioia e balsamo per i dolori…

I LUOGHI DELLA MUSICA

32 IM MUSICA INSIEME

D

In occasione della mostra a Palazzo Fava che porterà a Bologna il più celebre dipintodi Vermeer, scopriamo le altre opere con soggetto musicale del maestro fiammingodi Maria Pace Marzocchi

Capolavori in città

In alto: Jan Vermeer (1632-75), La lezionedi musica (1665). A sinistra: Jan Vermeer,Ragazza con l’orecchino di perla (1665-66)

La ragazza con l’orecchino di perla.Il mito della Golden Age.Da Vermeer a RembrandtCapolavori dal MauritshuisPalazzo Fava. Palazzo delle EsposizioniBologna, via Manzoni 28 febbraio - 25 maggio 2014

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ruxelles, Bruges e Gand sarannole mete del viaggio che MusicaInsieme organizzerà il prossimo

marzo, proseguendo una consolidatatradizione che ci ha visto accompa-gnare i nostri abbonati nelle principalicapitali europee – e non solo – dellamusica: San Pietroburgo e Mosca, Pa-rigi, Londra, Madrid, Amsterdam,Berlino, Copenhagen, Oslo, Istanbul,sono alcune delle mete raggiunte inquasi un ventennio di viaggi, nati conil preciso obiettivo di conoscere realtàmusicali e culturali – dagli artisti aisiti più importanti – di altri Paesi.

La partenza è prevista nel pomeriggiodi giovedì 27 marzo con volo direttoLufthansa per Bruxelles. La sistema-zione dei nostri ospiti avverrà pressol’Hotel Royal Windsor (5 stelle),situato nel centro storico di Bruxel-les, a due passi dalla Grand Place edai principali monumenti cittadini.

La mattina di venerdì 28 marzo saràdedicata a una visita guidata di Bru-xelles, che rivelerà le principali bel-lezze architettoniche ed i centri piùimportanti della vita della capitalebelga: dal quartiere Art Nouveau conle sue case in stile Liberty, al Parla-mento, al quartiere reale con la resi-denza ufficiale del Sovrano, ed ancoraall’Atomium (vero e proprio simbolodi Bruxelles, costruito per l’Esposi-zione Universale del 1958, che raffi-gura una molecola di ferro ingrandita165 miliardi di volte), fino alla GrandPlace, con il suo splendido Municipiogotico e le Case delle Corporazioni.

Alla sera di venerdì 28 marzo – lagrande musica sempre al centro deinostri progetti culturali – assisteremo,presso il Teatro Palais des BeauxArts (sipario alle 20), al concerto chevedrà protagonisti l’Orchestre Na-tional de Belgique diretta da An-drey Boreyko, solista lo straordinarioviolinista Julian Rachlin, artista ben

noto al pubblico di Musica Insiemeper i suoi applauditissimi recital nelcartellone dei nostri Concerti. Il pro-gramma prevede il celebre Concerton. 3 KV 216 per violino e orchestradi Wolfgang Amadeus Mozart, enella seconda parte l’intensa OttavaSinfonia in do minore op. 65 diDmitrij Šostakovic .

Sabato 29 marzo, la giornata sarà de-dicata alla visita di Bruges eGand, ri-spettivamente capoluoghi delle Fian-dre Orientali e Occidentali. Bruges, la“Venezia del Nord”, rappresenta co-m’è noto una delle città medievali piùsuggestive d’Europa, mentre Gand,città d’arte e di storiche tradizioni,dalla pittoresca posizione che si snodalungo numerosi canali e isolette, con-serva i maggiori capolavori dell’artefiamminga. Dopo la visita è previsto ilrientro a Bruxelles, per trascorrere laserata nella capitale.

Infine, domenica 30 marzo sarà de-dicata alle visite individuali, ma saràcome sempre possibile scegliere an-che ulteriori escursioni guidate per lacittà, a seconda degli interessi dei no-stri ospiti. Nel pomeriggio raggiunge-remo l’aeroporto di Bruxelles, doveun volo Lufthansa (via Francoforte) ciriporterà a Bologna in serata.

Per tutte le informazioni relative alviaggio è possibile rivolgersi diretta-mente alla segreteria di Musica In-sieme (tel. 051 271932) oppure al-l’agenzia Uvet Pomodoro Viaggi divia Farini, 3 (tel. 051 6102611).

I VIAGGI DI MUSICA INSIEME

Musica Insieme, che da 20 anni propone viaggi culturali che affiancano la visitadelle principali capitali europee all’ascolto di concerti nelle sale più prestigiose,

organizza un nuovo viaggio alla scoperta del Belgio

Bruxelles - Bruges - Gand27-30 marzo 2014

B

Nella foto sopra: Bruxelles, la Grand Place(foto di Eric Danhier). Sotto: una vedutadella città di Bruges. In basso: Julian Rachlin,protagonista del concerto del 28 marzo

34 IM MUSICA INSIEME

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Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme:Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278

[email protected] - www.musicainsiemebologna.it

Lunedì 10 febbraio 2014AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

PAUL LEWIS.....................................................pianoforteLunedì 20 gennaio 2014AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

Musiche di Bach/Busoni, Beethoven, Liszt, MusorgskijIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

THE PEASANT GIRL

THE MATTHEW BARLEY ENSEMBLEMATTHEW BARLEY........................................violoncello

JULIAN JOSEPH................................................pianoforte

SAM WALTON.....................................................percussioni

PAUL CLARVIS...................................................percussioni

VIKTORIA MULLOVA...............................violino

Musiche di Bratsch, Lewis/Bratsch, Bartók, Kodály,Weather Report, Barley, DuOudIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

Lunedì 24 febbraio 2014AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

FEDERICO COLLI.........................................pianoforte

Musiche di Mozart, Beethoven, SchumannIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”

Lunedì 13 gennaio 2014AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

FRANZ LISZT CHAMBER ORCHESTRAGABOR BOLDOCZKI..................................tromba

ALEXANDER ROMANOVSKY...........pianoforte

Musiche di Stravinskij, Šostakovic, Britten, LisztIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

BELCEA QUARTETCORINA BELCEA-FISHER........................violino

AXEL SCHACHER.............................................violino

KRZYSZTOF CHORZELSKI.........................viola

ANTOINE LEDERLIN.......................................violoncello

Musiche di Purcell, Britten, MozartIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”

I CONCERTI gennaio/febbraio 2014

Lunedì 3 febbraio 2014AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

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La leggendariacompagine ungheresecelebra a Musica Insiemeil suo cinquantesimoanniversario,accompagnata dadue straordinari solistidi Mariateresa Storino

Variazionineoclassiche

FotoMarcoBorggreve

LUNEDÌ 13 GENNAIO 2014AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

FRANZ LISZT CHAMBER ORCHESTRAGABOR BOLDOCZKI trombaALEXANDER ROMANOVSKY pianoforte

Igor StravinskijConcerto in reDmitrij ŠostakovicConcerto in do minoreper pianoforte, tromba e archiBenjamin BrittenVariazioni su un temadi Frank Bridge op.10Franz LisztRapsodia Ungherese in do diesisminore n.2 R106 – trascrizioneper orchestra dÊarchi di Peter Wolf

Lunedì 13 gennaio 2014

Introduce Fabrizio Festa, compositore,docente di Conservatorio e saggista

36 IM MUSICA INSIEME

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La Franz Liszt Chamber Orchestra, formatasi presso l’Accademia “Franz Liszt” di Budapest, ha debuttato nel 1963, intra-prendendo un’intensa attività concertistica, che la vede esibirsi sui palcoscenici più prestigiosi d’Europa, America, Australia eGiappone. Nei suoi 50 anni di attività ha collaborato con i più importanti solisti, tra cui Argerich, Ojstrakh, Richter, Rostropovič,Menuhin, Stern, e, più recentemente, con Repin e Perahia. Ha all’attivo più di duecento registrazioni discografiche, per le qualiè stata premiata per ben tre volte al “Grand Prix de l’Academie Française du Disque” di Parigi. Il trombettista unghereseGaborBoldoczki, considerato dalla critica come l’erede del grande Maurice André, ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti internazio-nali, tra cui il “Grand Prix de la Ville de Paris” e il “Prix Davidoff”. Si esibisce con compagini di primo piano come l’Orchestra delMozarteum di Salisburgo, l’Orchestra Sinfonica del Teatro Mariinskij e la Kremerata Baltica. Vincitore, appena diciassettenne,del Concorso internazionale “F. Busoni” di Bolzano,Alexander Romanovsky calca oggi i palcoscenici più rinomati al mon-do, esibendosi con orchestre quali Royal Philharmonic Orchestra, Orchestra Nazionale di Santa Cecilia, Filarmonica della Sca-la, New York Philharmonic e Chicago Symphony Orchestra, collaborando con direttori come Pletnev e Gergiev.

I protagonisti

37IM MUSICA INSIEME

oncerto, variazione: sono termi-ni che, a livelli diversi, rinvianoad un passato più o meno lonta-

no. La distanza da queste forme, che oggiappare platealmente evidente non tanto al-l’ascoltatore quanto al compositore, non in-ficia il groviglio di riferimenti in essecontenuti. Sono vocaboli sopravvissuti acambiamenti epocali, con riformulazionee rifusione dei propri elementi costitutivi.Come definire tali forme? Quali esempianalizzare per delineare una struttura ge-nerale? Quali cautele deve prendere ilcompositore moderno al fine di non ri-manere solo un emule del passato? Qua-le inevitabile raffronto l’ascoltatore devemettere in atto nel momento della ricezioneper comprendere la specificità delle singoleopere rispetto ad una norma? L’etimologiadei termini è cristallina, ma non è ad essa

che possiamo aggrapparci volendo avvici-narci a quella nutrita schiera di composi-tori che, stanchi di ogni retorica romanti-ca, spenta la fiamma dell’“espressioni-smo”, restii momentaneamente alla cor-rente avanguardistica, nel corso del No-vecento cercano una nuova via maestra sucui dirigere le proprie energie creative. Da-gli anni Venti, e in modo più consistentenel decennio successivo, molti musicistiguardano al passato vagliandone la ricchezzastilistica e formale con sensibilità moder-na. Accanto alla pluralità di esperienze mu-sicali si allinea una nuova corrente: il“neoclassicismo”.Nel 1920 Ferruccio Busoni definisce i prin-cipii della nascente corrente: «Per nuovoclassicismo intendo il dominio, il vaglio elo sfruttamento di tutte le conquiste diesperienze precedenti: il racchiuderle in for-me solide e belle». L’approccio al passatodeve essere di tipo intellettualistico; nessunreflusso di sensualità e soggettivismo di ma-trice romantica o decadentista; solo mu-sica, solo l’opera nella sua oggettività. Trai fautori di un approccio a principii stili-stici di matrice barocca e classica, media-to dalla lente dell’intelletto, si staglia la fi-gura di Igor Stravinskij. Dopo aver portatoil “colore russo” alle estreme conseguenzenelleNoces (1917), con Pulcinella il com-positore si richiama al Settecento di Per-golesi: una «virata neoclassica», scrive Ro-man Vlad. La ricostruzione tuttavia pren-de corpo nello «specchio del proprio sti-le»; Stravinskij «conquista» l’Occidente mu-sicale, se ne appropria; non si può parla-re di imitazione, né di passiva ricreazione.Il passato musicale è innervato delle com-ponenti specificamente stravinskiane, quel-le stesse componenti che si rintracciano an-cora a distanza di più di un ventennio in

una forma tradizionale – almeno nell’in-titolazione – quale il Concerto in re per or-chestra d’archi. Stravinskij compone il Con-certo nel 1946 su richiesta del direttored’orchestra e filantropo Paul Sacher, per ce-lebrare i vent’anni dell’Orchestra da Ca-mera di Basilea. Strutturato nei classici tremovimenti, il Concerto si distende in undiscorso di «spigliata leggerezza», di purointrattenimento, privo di qualsiasi vena po-lemica o intento satirico. Dai colori lu-minosi e vivaci del primo movimento (Vi-vace), al cantabile e danzante Arioso, finoal ritmico Rondò finale, il brano è intera-mente dominato dall’intervallo di secon-da minore. Questa cellula dissonante vie-ne pressantemente ripetuta: trasportata sugradi diversi della scala cromatica, accre-sce la tensione armonica senza mai, tutta-via, negare la tonalità d’impianto (re mag-giore). Con prescrizioni precise del tocco,Stravinskij indica ogni particolare del-l’esecuzione, quasi con maniacale accura-tezza; ogni dettaglio contribuisce all’effettocomplessivo. Se nell’architettura il richia-mo alle forme di stampo settecentesco puòessere adombrato dai caratteristici ele-menti del linguaggio stravinskiano (di-sposizione ‘anomala’ di accenti, commi-stioni di funzioni armoniche, reiterazionedi frammenti, frequenti cambiamenti ditempo), nell’orchestrazione diventa espli-cito con la ripartizione tipicamente baroccadell’orchestra tra un ristretto gruppo di so-listi (il concertino) e l’insieme degli archi coneffetto di ripieno (il concerto grosso).Composto tra il marzo e l’aprile del 1933,con l’intento di ampliare il repertoriostrumentale sovietico, il Concerto perpianoforte con accompagnamento di or-chestra d’archi e tromba di Dmitrij Šosta-kovic fu eseguito lo stesso anno nella Sala

C

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Lunedì 13 gennaio 2014

Filarmonica di Leningrado; il composito-re sedeva al pianoforte, l’orchestra locale eradiretta da Fritz Stiedry. Il Concerto si espri-me in toni scherzosi, con una vivida ge-stualità, un vigore forte e a tratti carica-turale, a partire dall’attacco iniziale, giocatosu un’improvvisazione tra pianoforte etromba che coglie di sorpresa l’ascoltato-re al punto da lasciarlo interdetto: il Con-certo è già iniziato? Certo l’effetto dovevaesser ben presente al giovane Šostakovic,se, qualche mese dopo l’esecuzione, di-chiarava di voler «difendere il diritto di ri-dere all’interno della cosiddetta musica se-ria», di «non essere turbato quando gliascoltatori ridono ad un concerto» con suemusiche, anzi, di esserne compiaciuto. Ilcompositore si era saldamente formato nel-la tradizione dei classici viennesi, tradizionele cui forme e melodie potevano diventa-re materiale per nuove opere. Il Concer-to è un esempio tangibile del neoclassici-smo di Šostakovic, della sua volontà «diessere vecchio in un nuovo modo», dellepossibilità di filtrare il passato con la sen-sibilità novecentesca senza apparire demodé.Šostakovic non si limita a riprendere for-mule compositive (compreso il contrap-punto canonico), ma inserisce citazioni dimusiche proprie e altrui: da Haydn al-l’Appassionata di Beethoven, dai cantipopolari ebraici ad un tema tratto dalle suestesse musiche composte per il testo tea-trale Il povero Colombo del drammaturgoErwin Dressel. Nel quadro di una chiarezzaclassica, il Concerto si articola in quattromovimenti: ad un Allegro moderato in cuisi annidano immagini ironiche e defor-mate, segue un tempo Lento che mitiga latemperie compositiva del movimento in-troduttivo con un lirismo quasi crepu-scolare. Qui la tromba e il pia-noforte duettano alla pari;la scrittura è elegante,misurata; sullo sfondoil caldo tono deivioloncelli e la vocesolitaria dei violini.

IlModerato successivo è solo un momen-to di passaggio che, senza soluzione di con-tinuità, porta ad un Allegro con brio dal pi-glio militaresco con squilli di tromba a mo’di fanfara.Come in Stravinskij e in Šostakovic, an-che in Benjamin Britten il rapporto conil passato è privo di pathos: nessuna no-stalgia, nessun rammarico. Il passato è lalinfa vitale di cui nutrirsi per poter pro-cedere nel nuovo secolo, ma allo stessotempo è la gabbia da cui liberarsi per af-fermare la propria identità. Con le Va-riations on aTheme of Frank Bridge op. 10,Britten rende omaggio al suo maestro. Sia-mo nel 1937, Britten inizia ad affermar-si in campo internazionale con un propriolinguaggio. Le Variations si configuranocome una sintesi degli stili del passato incui le risorse timbriche degli strumenti adarco sono esplorate con eleganza e pro-fondità. Dopo un Lento maestoso, intro-dotto il tema di Bridge (tratto dai Tre Idil-li per quartetto del 1906), il composito-re sfrutta le risorse formali ed espressive ac-

quisite nel periodo di studio: dal re-citativo dell’Adagio della prima

variazione al procedere elegantedella March; a seguire una leg-giadra Romance a cui ribatteun’Aria italiana, parodia di co-

loratura rossiniana. Il Settecento fa capo-lino con una Bourrée classique, seguita daun Wiener Walzer. Non manca il virtuo-sismo in Moto perpetuo, né il lamento diuna Funeral March. Ancora unChant e poila dotta scrittura contrappuntistica inuna Fugue and Finale. Se ciascuna delle die-ci variazioni di cui si compone il brano pre-senta tratti della tradizione fortemente con-notati, che rendono inevitabile una letturasullo sfondo di epoche passate, questi nonimpediscono al compositore di vivificareil noto con un linguaggio armonico pie-no di ambiguità, riccamente cromatico edeliberatamente dissonante. L’effetto al-l’ascolto è di straniamento, come nei dueConcerti di Stravinskij e Šostakovic. Ab-biamo forme cariche di espressività, di rin-vii ad altro da sé già nei titoli, che co-stringono a mediare tra fascinazione sonorae percezione consapevole. Perfino la tra-scrizione per archi di Peter Wolf della Rap-sodia Ungherese n. 2 di Liszt richiede unadoppia lettura. La Rapsodia non subiscealcuna metamorfosi, solo un cambia-mento timbrico; gli archi intensificano ilcarattere magiaro ed accentuano alcunitratti popolareggianti sfruttando abil-mente sia la varietà di registri che il toc-co; ma è realmente possibile ascoltarla pre-scindendo dall’originale per pianoforte?

DA ASCOLTAREImpresa improba quella di sintetizzare il lunghissimo percorso discografico delcelebre complesso ungherese. Dal 1976 ad oggi si contano in catalogo oltreduecento incisioni, il cui repertorio spazia dal barocco al moderno, senza man-care nessuno dei passaggi intermedi. Certo domina il primo, con una predi-lezione spiccata per le opere di Antonio Vivaldi e quelle di Johann SebastianBach: questi i compositori registrati nei primi tre lavori discografici, del 1976appunto, per la Hungaroton. La casa discografica ungherese avrà l’esclusivasino alla fine del secolo scorso, poi la Franz Liszt Chamber Orchestra troveràaccoglienza in diverse etichette, tra le quali le prestigiose Teldec (per i suoi tipinel 2000 inciderà le Sonate di Rossini) e Harmonia Mundi. È per quest’ultimache la FLCO realizza ben due versioni della Musica per percussioni, archi e ce-lesta di Bartók (1992). L’attività discografica si dirada in questi ultimi anni, mail catalogo si arricchisce di tessere importanti, quali la registrazione della Pas-sione secondo Matteo di Bach (Red Bus Classical – 2011) e un’antologia di Con-certi per tromba, solista Edward Tarr (Christophorus – 2012).

La Franz Liszt Chamber Orchestra, fondatanel 1963 nell’ambito dell’omonimaAccademia di Budapest, nel 1992 èstata insignita dal Governo Ungheresedel titolo di Cavaliere della Cultura

Lo sapevate che...

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Il pianista inglese, oggi tra i più apprezzati a livellointernazionale, per la prima volta ospite di MusicaInsieme, ci condurrà in un affascinante viaggionella storia del repertorio di Valentina De Ieso

Un’antologia

Lunedì 20 gennaio 2014

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FotoHarmoniaMundi-EricManas

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el 1802, lo stesso anno in cui,meditando il suicidio, scriveva ilsuo famoso “Testamento di Hei-

ligenstadt”, Beethoven consegnò allestampe uno dei suoi massimi capolavori: laSonata op. 27 n. 2, più nota con il titoloapocrifo di Chiaro di luna. Paradossal-mente, quella che è divenuta forse la sonatapiù celebre della storia non è una vera epropria sonata: Beethoven infatti ha inti-tolato entrambe le composizioni dell’op.27 “Sonata quasi una fantasia”, dichia-rando così di aver voluto deliberatamenteinterpretare gli schemi formali con unacerta elasticità. La Sonata in mi bemollemaggiore op. 27 n. 1, composta nel 1801e dedicata alla principessa Josephine vonLiechtenstein, è introdotta dall’Andante.Allegro. Andante, in forma di fantasia, co-struito su un tema malinconico di note ri-battute, una sorta di lamento in pianissimo,che si ripropone costantemente. Dopo unpacato Allegro molto e vivace, si presental’Adagio con espressione. Qui i due delica-tissimi temi si susseguono con pensosaleggerezza, portando senza soluzione dicontinuità (le due Sonate prevedono l’ese-cuzione dei movimenti senza pause) al-l’Allegro vivace, condotto con grandissimalibertà formale. Più nota è la Sonata in dodiesis minore op. 27 n. 2, dedicata allacontessa Giulietta Guicciardi, della qualeBeethoven scriveva all’amico Wegeler il16 novembre 1801: «La mia vita è diven-tata ora più piacevole […]. Questo muta-mento lo ha prodotto una cara, incante-vole ragazza, che mi ama e che io amo, indue anni sono questi i soli momenti beatied è la prima volta che sento che il matri-monio potrebbe rendere felici, ma pur-troppo essa non è del mio ceto sociale».L’Adagio sostenuto è quanto di più distantesi possa immaginare all’epoca per unprimo tempo di sonata. Beethoven scrivein partitura “Si deve suonare tutto questopezzo dolcissimamente e senza sordini”per sottolineare la necessità di un’intimitàadatta alla confessione dei più riservatisentimenti, affidata al tema “puntato”, cheriecheggia per tutto il movimento, finoall’ultima enunciazione nel registro grave,una sorta di desolato addio. L’Allegretto, de-finito da Liszt “un fiore tra due abissi”conduce al Presto agitato finale, un movi-mento di rara tragicità in cui quattro temisi intrecciano e si oppongono con esaspe-razione crescente, fino al brusco finale.

«Ho creduto di lavorare nello spirito diBach, mettendo al servizio del suo piano leestreme possibilità dell’arte odierna, qualeorganica continuazione dell’arte sua, comele estreme possibilità dell’arte del suotempo erano divenute mezzo di espres-sione per lui stesso». Così scriveva nella suaAutorecensione del 1911 Ferruccio Busoni.Egli sosteneva di essere stato sospinto versoBach da una «misteriosa disposizione deldestino»: suo padre, clarinettista profes-sionista, lo aveva, invece, sempre esortatoa studiare con dedizione il compositore

tedesco. Nel 1898 Busoni trascrive dieciPreludi di Bach, pubblicandoli nel terzovolume della sua monumentale “EdizioneBach-Busoni”. Il preludio al corale, formatipica della musica liturgica luterana, èun’introduzione organistica all’intonazionedel corale, anticipandone il tema ed ela-borandolo sotto forma di variazioni: Bu-soni ne fa invece un raffinato brano dimusica da camera, non limitandosi adadattarlo al pianoforte, ma esplorando lepossibilità dello strumento moderno. NelPreludio-Corale “Nun komm der HeidenHeiland” (“Vieni Salvatore delle genti”)BWV 659, che riprende l’omonimo coraledi Lutero, Busoni mantiene evidente lastruttura polifonica, affidando la melodiaa registri diversi, ma la ammorbidisce cre-ando effetti drammatici tramite le fre-quenti variazioni d’intensità dal piano alforte. Il Preludio-Corale “Ich ruf zu dir,Herr Jesu Christ” (“Ti invoco, SignoreGesù Cristo”) BWV 639, che riprende in-vece un corale di Johannes Agricola, ma-schera la struttura polifonica evidenziandola cantabilità della delicata melodia, esal-tata anche in questo caso da un uso di va-riazioni di intensità e dalla presenza dicontinui “rallentando”. La legittimazionedella libertà nella trascrizione, secondo Bu-soni, sta nella sorprendente modernità diBach, la modernità del saper trovare imezzi necessari ad esprimere i propri scopi,lasciando a chi verrà dopo inesauribili pos-sibilità di interpretazione.E se nella sua concezione pianistica, Bachrappresenta l’alfa, Liszt è l’omega, il com-

Considerato dalla critica come uno dei migliori artisti della sua generazione,Paul Lewis, che si è formato con Alfred Brendel, ha ottenuto, fra i molti rico-noscimenti, ilpremiodellaRoyalPhilharmonicSocietycome“Migliorestrumentistadell’anno”, un Diapason d’Or e due Premi Edison, il 25° Premio Internaziona-le dell’Accademia Musicale Chigiana di Siena, e tre Gramophone Awards. Tie-ne concerti in tutta Europa, Stati Uniti e Giappone nelle sale più prestigiose, tracui la Wigmore Hall di Londra, la Toppan Hall di Tokyo, il Concertgebouw diAmsterdam, il Kennedy Centre di Washington e la Konzerthaus di Vienna. Èospite regolare dei festival più importanti, tra cui Lucerne Piano Festival, WhiteLight Festival a New York, Tanglewood Festival, Schubertiade di Schwarzen-berg,FestivaldiSalisburgo,EdinburghInternationalFestivaleLondonBBCProms.Ha suonato con le maggiori orchestre, fra cui tutte le compagini inglesi, la LosAngelesPhilharmonic, l’OrchestradelGewandhausdi Lipsiae laMahlerCham-berOrchestra,econdirettoricomeHaitink,vonDohnanyi,Sawallisch,Kitajenko,Davis, Harding. Ha tenuto una serie di concerti a New York, Chicago, Milanoe Torino con la London Symphony Orchestra diretta da Sir Colin Davis, oltre adun tour negli Stati Uniti con la Australian Chamber Orchestra.

Paul Lewis

LUNEDÌ 20 GENNAIO 2014AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

PAUL LEWIS pianoforte

J.S.Bach / F. BusoniPreludio-Corale „Nun kommder Heiden Heiland‰ BWV 659Ludwig van BeethovenSonata quasi una fantasiain si bemolle maggiore op.27 n.1J.S. Bach / F. BusoniPreludio-Corale „Ich ruf zu dir,Herr Jesu Christ‰ BWV 639Ludwig van BeethovenSonata quasi una fantasiain do diesis minore op. 27 n.2Franz LisztSchlaflos! Frage und Antwort R 79Unstern (Sinistre. Disastro) R 80R.W. – Venezia R 82Modest MusorgskijQuadri di un’esposizione

N

Introduce Giordano Montecchi. Saggista ecritico musicale per quotidiani e riviste, insegnaStoria della Musica al Conservatorio di Parma

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pimento, il termine ultimo a cui tendere.Definizione tanto più calzante se rappor-tata al tardo Liszt, alle ultime, enigmatichecomposizioni. L’ultimo Liszt presenta ar-ditezze armoniche e ambiguità tonali sco-nosciute alle opere giovanili e a quelle dellaprima maturità. Sono musiche pervase daun senso di ansia e disperazione, che le di-scosta totalmente dal resto della sua fe-conda produzione. Liszt confessò all’amicaLina Ramann di sentire una profonda tri-stezza nel cuore, che prima o poi sarebbedovuta erompere in suono. Al 1883 risaleSchlaflos! Frage und Antwort (Insonnia! Do-manda e risposta) R 79. La prima enun-ciazione del tema, ora incerta, ora ner-vosa, concentrata nel registro grave, nellatonalità di mi minore, simboleggia la ‘do-manda’: il perché della morte. Ed eccogiungere la ‘risposta’, la redenzione, unamelodia delicata, ma solenne, spostata sulregistro acuto, nella tonalità di mi mag-giore. Il tema utilizzato è il medesimo,quasi a suggerire che la risposta è già nelladomanda: la morte come strumento dellaSalvezza. Due anni prima Liszt aveva com-posto Unstern (Sinistre. Disastro) R 80,dall’emblematico titolo trilingue. Diviso intre sezioni, il brano inizia con frammentimelodici che si interrompono sul tritono,il lugubre intervallo per secoli chiamato“Diabolus in musica”, che gli conferisce dasubito un’atmosfera funebre. Segue unaserie di passaggi accordali, quasi squilli ditromba, sempre più incalzanti, per giun-gere nel finale ad una sezione in forma dicorale, pensosa e vagante. Pochi mesiprima della morte di RichardWagner (cheaveva sposato la figlia di Liszt, Cosima, nel1870), a Venezia, Liszt aveva compostoLa lugubre gondola: egli stesso rivelò diaverla scritta in preda ad una sorta di pre-monizione. Due mesi dopo compose ledue elegie Alla tomba di RichardWagner eR.W. – Venezia R 82, il cui stile emulaemblematicamente quello wagneriano.Una decina di anni prima Liszt avevaavuto occasione di studiare ed elogiarel’opera di un giovane compositore che,venuto a conoscenza del suo apprezza-mento, scrisse ad un amico: «Chissà quanti

nuovi mondi mi si aprirebbero parlandocon Liszt, per sua natura è coraggioso eprobabilmente non avrebbe difficoltà afare con noi un’escursione in nuoveterre…». Il giovane compositore era Mo-dest Musorgskij. Una settimana dopo averscritto questa lettera, apprese la notiziadella morte di Viktor Hartmann, artista acui era legato da un solido rapporto d’ami-cizia. Visitando la mostra organizzata insuo onore l’anno seguente, il 1874, a SanPietroburgo, Musorgskij concepì una dellesue opere più conosciute, la suite per pia-noforteQuadri di un’esposizione, suddivisain quindici movimenti, ossia dieci quadrie cinque Promenades, le ‘passeggiate’ perspostarsi da un quadro all’altro. Dopo laprima Promenade, solenne e decisa, vienepresentato il primo quadro, Gnomus, incui rapidi passaggi, tremoli e scale si alter-nano a pause improvvise, a rappresentarei movimenti sospettosi della malvagia crea-tura. Segue la seconda Promenade, più pa-cata e riflessiva, che porta al secondo qua-dro, Il vecchio castello, che reca in partiturala dicitura “Andante molto cantabile e condolore”: nell’Italia medievale, un trovatoreintona il suo lamento amoroso davanti adun maniero avvolto da un paesaggio ma-linconico. Una terza Promenade conduce ilvisitatore ancora turbato verso un nuovoquadro: Tuileries, il celebre parco pariginoche ospita giochi infantili. Si accede poi al

quadro successivo, Bydlo, il carro tipicodei contadini polacchi, il cui passaggio èraffigurato da accordi cadenzati che au-mentano di intensità all’avvicinarsi dellospettatore, per poi divenire un’eco lon-tana. Dopo una breve Promenade vienepresentato il quinto quadro, Balletto deipulcini nei loro gusci, rappresentato da trillie ritmi puntati. A seguire è il sesto quadro:Samuel Goldenberg e Schmuyle, in cui duetemi, uno petulante e acuto e l’altro im-perioso, corrispondono alle voci dei duepersonaggi. L’ultima Promenade conduce alsettimo quadro: Limoges, il mercato, dovele contadine, sempre più concitate, co-minciano a litigare. Completamente di-versa è l’atmosfera del quadro successivo:Catacombe – Con i morti in una linguamorta. La prima sezione, statica e dram-matica, introduce una seconda parte cheallude alla discesa dello stesso pittore, Har-tmann, nelle catacombe. Dopo il nonoquadro, La capanna sulle zampe di gallina(Baba-Yaga), dalla terrificante atmosfera, siaccede all’ultimo e più celebre, La grandeporta di Kiev. Riferito al progetto di Har-tmann stesso per le porte monumentalidella città, in onore dello zar, riprende,solennizzandolo, il tema iniziale della Pro-menade, affiancandolo ad un secondo tematratto da un inno ortodosso, in una sortadi celebrazione civile e religiosa della Rus-sia di Alessandro II.

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Lewis è stato il primo pianista nella storia dei BBC Proms a suonare tutti i Concerti diBeethoven in un’unica stagione. Il ciclo completo è stato ripreso dalla BBC Television

Lo sapevate che...

Lunedì 20 gennaio 2014

DA ASCOLTARE

Lo scorso febbraio, Gramophone ha segnalato come “Disco del mese” la suaregistrazione di una scelta delle Sonate di Schubert, arricchita dai celebri Quat-tro Impromptus D 899 (Harmonia Mundi, casa per la quale il pianista ingle-se incide regolarmente). Dopo il lungo intermezzo beethoveniano, dunque Le-wis torna a Schubert, dando vita ad un’incisione matura e coinvolgente. Schu-bert, che aveva affrontato realizzando una registrazione dei cicli liederisticiSchwanengesang, Die schöne Müllerin e Winterreise assieme a Mark Padmo-re, oltre a un’antologia di duetti pianistici, partner questa volta Steven Osbor-ne. Per trovare altre sonate del viennese bisogna tornare all’inizio della suacarriera, quando Lewis a Schubert dedicò le sue prime fatiche discografiche(inclusa un’incisione nel 2006 de La Trota, unica incisione cameristica assiemeai Quartetti con pianoforte di Mozart). Il resto è sostanzialmente Beethoven,di cui Lewis ha registrato l’integrale delle Sonate (in 10 cd) e dei Concerti perpianoforte (con la BBC Orchestra diretta da Bĕlohlávek). A Liszt ha dedicatoun disco nell’ormai lontano 2005, dove, accanto ad un’antologia di brani trat-ti dalle ultime opere dell’ungherese, troviamo la Sonata in si minore.

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n omaggio all’Inghilterra, paesetroppo spesso relegato dalla storiadella musica ai margini della tradi-

zione europea, il Belcea Quartet, forma-tosi per l’appunto a Londra, dedica alleproprie origini ‘istituzionali’ gran partedel programma di questo concerto. Lascelta cade su due simboli della musica in-glese di tutti i tempi, due autori tanto di-stanti cronologicamente, quanto vicininella sensibilità musicale e nella maestriacompositiva. Accomunati dalla passioneper il teatro, fonte di successo per en-trambi, Henry Purcell e Benjamin Britten(del quale ricorreva nel 2013 il centena-rio della nascita) più che due pietre mi-liari, rappresentano due parentesi chechiudono un discorso lungo quattrocentoanni.Composte nel 1680, le Fantasie per con-sort di viole di Purcell sono contempora-

nee alle sue Sonate. Ma, mentre queste ul-time ci mostrano un compositore al passocon i tempi, attento alle evoluzioni delmondo musicale, le Fantasie, genere giàampiamente obsoleto all’epoca, volgonolo sguardo verso il passato dell’Inghilterraelisabettiana. Scritte in un arco di tempomolto breve, e per un numero crescentedi parti, da 3 a 7 (le quattro scelte perquesto concerto sono tutte a 4 voci), èprobabile che fossero state concepitecome un’unica sequenza, rimasta incom-pleta. Nello stile contrappuntistico diqueste composizioni, dalla forma libera,Purcell guarda a John Dowland, WilliamByrd e Orlando Gibbons, più che ai suoicontemporanei. In contrasto con la mu-sica celebrativa che ha contraddistinto ilperiodo della Restaurazione inglese, leFantasie conservano il carattere intimodi una musica ‘privata’, domestica, che ri-

I

Il Quartetto formatosi al Royal College di Londraquasi vent’anni fa approda per la prima volta a Bologna,con un tributo a due capisaldi della musica inglesedi Daniele Follero

Fantasie a 4 voci

Lunedì 3 febbraio 2014

44 IM MUSICA INSIEME

Considerato dalla critica come uno dei Quartetti più interessanti del mo-mento, ilBelceaQuartet si è formatoalRoyalCollegeofMusicnel1994,ricoprendo il ruolo di Quartetto Residente alla Wigmore Hall di Londradal 2001 al 2006 e divenendo nel 2010 Ensemble Residente presso laKonzerthausdiVienna.Siesibisce regolarmentenelle salepiùprestigiosedel mondo, tra cui Laeiszhalle di Amburgo, Concertgebouw di Amster-dam, Palais des Beaux Arts di Bruxelles, Victoria Hall di Ginevra, Audi-torium Gulbenkian di Lisbona, Konzerthuset di Stoccolma, Carnegie Halle Alice Tully Hall di New York, Sala Verdi di Milano e Théatre du Châte-let di Parigi. Il Quartetto partecipa ad importanti festival come la Schu-bertiade di Schwarzenberg e i Festival di Edimburgo, Cheltenham, Al-deburgh, Bath e Salisburgo, e collabora stabilmente con importanti arti-sti, quali Thomas Adès, Piotr Anderszewski, Thomas Quasthoff, Paul Le-wis, Isabelle van Keulen, Menahem Pressler, Martin Fröst, Imogen Coo-per, Ian Bostridge,Anne Sophie von Otter e AngelikaKirchschlager.Nel-la scorsa Stagione ha presentato l’integrale dei Quartetti di Beethovennelle sedi europee più significative ed ha debuttato al fianco di ValentinErben, del leggendario Alban Berg Quartet, ai BBC Proms di Londra.

Belcea Quartet

corda altri tempi. La grandezza di Purcellè quella di riuscire, pur restando salda-mente legato alla tradizione dei polifoni-sti inglesi, a mescolare la severità del con-trappunto alla passionalità delle sue arie,le rigide strutture verticali dei suoni al-l’espressività delle linee melodiche.L’influenza di Purcell sulla musica di Ben-jamin Britten è ben nota, e non solo perla dedica esplicita nel Quartetto n. 2,composto in occasione del 250° anniver-sario della sua morte, o per gli elogi cheil compositore del Peter Grimes non hamai risparmiato nei confronti della suafonte d’ispirazione. Lo stile di Britten,nell’utilizzo di forme e generi del pas-sato, nella ricerca di un nuovo tonali-smo, in netta opposizione allo sperimen-talismo radicale delle avanguardiemitteleuropee, è proprio dalla musica diPurcell, da quel particolare incontro tra

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modernità, passionalità e stile severo, chesi nutre maggiormente. Concentrato nellascrittura di opere per il teatro, sua mag-giore fonte di fama e di guadagni, Brittentralasciò le composizioni per il quartettod’archi per ben trent’anni. Tanto è iltempo che trascorre tra il Secondo e ilTerzo, terminato nel 1975, un annoprima della sua morte, avvenuta il 4 di-cembre dell’anno successivo. Il composi-tore non riuscì, quindi, ad assistere allaprima del suo ultimo Quartetto, eseguitoil 19 dicembre dall’Amadeus String Quar-tet, per il quale era stato composto. Allaricerca di un suono etereo, Britten scrivepagine di estrema delicatezza, in cui la to-nalità è sospesa ma non scompare mai, la-sciando fluttuare le melodie senza strin-gerle nelle maglie di rigidi schemi.L’esempio più chiaro di questa scritturasono il primo e l’ultimo movimento. In

Duets, la più astratta delle cinque parti, ilcompositore, come il titolo stesso sugge-risce, gioca sulle possibilità dell’incontrotra due strumenti, innescando veri e pro-pri confronti tra le quattro voci. Il finaleè invece una Passacaglia (torna ancorauna volta il riferimento alle forme dellatradizione) che porta il sottotitolo “LaSerenissima”, in omaggio a Venezia, cittàin cui è stato composto. Tra le chiare ci-tazioni dalla sua ultima opera per il teatro,Morte aVenezia, e l’alternarsi di atmosfererarefatte e improvvisi crescendo, l’effettoè ipnotico, così come straniante è la con-clusione, lasciata volutamente sospesa.Un punto di domanda, un’altra “que-stion”, dopo quella di Charles Ives, cuil’autore non ha dato risposta. Dei cinquemovimenti di cui si costituisce il Quar-tetto, il secondo e il quarto hanno un ca-rattere molto diverso dagli altri. Il ritmo

LUNEDÌ 3 FEBBRAIO 2014AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

BELCEA QUARTET

CORINA BELCEA-FISHER violinoAXEL SCHACHER violinoKRZYSZTOF CHORZELSKI violaANTOINE LEDERLIN violoncello

Henry PurcellFantasia in fa maggiore n. 6 Z 737Fantasia in re minore n. 8 Z 739Fantasia in mi minore n. 10 Z 741Fantasia in sol maggiore n. 11 Z 742Benjamin BrittenQuartetto n. 3 in solmaggiore op. 94Wolfgang Amadeus MozartQuartetto in re maggiore KV 499Hoffmeister

Introduce Fulvia de Colle. Collabora da quindicianni alla direzione artistica di Musica Insieme,scrive di musica e traduce per Einaudi Editore

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incalzante, le stridenti melodie e la relativabrevità ne fanno quasi degli intermezzi,che racchiudono il movimento centrale(Very calm), il cuore pulsante di tutta lacomposizione, l’unico a prevedere unaparte solista ben marcata, accompagnatada uno strumento alla volta.Apparentemente, in un omaggio all’In-ghilterra, Mozart sembrerebbe quasi unpesce fuor d’acqua, eppure, il Quartetton. 20 in re maggiore KV 499 un legame(mancato) con l’isola britannica ce l’ha. Il1786 è un anno cruciale per il composi-tore di Salisburgo. I rapporti con il padre,malgrado l’affetto di fondo non sia maivenuto a mancare, cominciano seria-mente a logorarsi. Leopold, titubante pergli esiti della carriera viennese del figlio, èsempre più preoccupato per le sue sorti.E non ha tutti i torti. I problemi econo-mici, nonostante la fama indiscutibile e ibuoni guadagni conquistati nella capi-tale austriaca, si fanno sempre più incal-zanti. A partire dalla stagione quaresi-male del 1876, la serie trionfale diconcerti pubblici va esaurendosi, cosìcome l’interesse per le sue opere cominciaa scemare in un pubblico abituato ad ap-passionarsi alle novità. In questa situa-zione, Mozart, compositore ormai espertoe navigato, spazia tra i più svariati generi,spesso su commissione. E medita di la-sciare Vienna. È proprio in questo pe-

riodo di forte incertezza, ma anche digrande creatività (è l’anno delleNozze diFigaro) che Wolfgang pensa all’Inghil-terra e alla possibilità di costruirsi un fu-turo oltremanica. Ma l’idea naufraga o,meglio, l’attenzione del compositore sisposta più ad Est, verso quella Praga cheaccoglierà entusiasticamente il Don Gio-vanni, aprendo alla musica di Mozartnuovi confini. È in questo clima che na-sce il Quartetto n. 20, anche conosciutocome Hoffmeister dal nome dell’amicoeditore (e creditore) per il quale fu scritto.Definito da Massimo Mila “una stranacomposizione”, il QuartettoHoffmeister èil prodotto di una grande maestria nellacostruzione, ma è caratterizzato daun’espressività timida, a tratti arida, dif-ficilmente paragonabile ai colpi di geniomostrati in altri generi. Secondo Mila sa-rebbe proprio questo Quartetto l’esempiopiù chiaro dell’«arte mozartiana del luogocomune, quella sua provocatoria attitu-dine a cavare un discorso significante dallacombinazione di elementi convenzio-nali». Elegante, ma evasiva, la partitura siapre con un Allegretto che ne rappresentaperfettamente il carattere ambiguo, giàdall’esposizione. La forza e la chiarezza delprimo tema, invece di lasciare il posto alsecondo, lo sovrastano, tanto da cancel-larne i contorni. Alcuni elementi dellaprima idea tematica ritornano durante

tutto il tempo dell’esposizione, come inuna sorta di incontro tra la forma-sonatae il rondò. Il risultato è quello di donareuna forte unità alla composizione, cre-ando le condizioni per il germogliare dinuove idee, sul principio della variazionecontinua. E qui, il Mozart del “luogo co-mune”, lascia il posto al Mozart precur-sore di tecniche compositive che caratte-rizzeranno, solo molto più tardi, la musicaromantica, da Beethoven a Brahms. Ilmateriale del primo tema prevale anchenello sviluppo, dove le sue parti principalisi intersecano e dialogano tra loro, sfo-ciando nella ripresa, in cui non si ravve-dono cambiamenti di grande rilievo finoa quando la chiusa non diventa il prete-sto per una poetica e intensa coda. Con-venzione, eleganza e contegno sono i ca-ratteri che meglio descrivono ilMinuettosuccessivo, anch’esso un Allegretto, nellastessa tonalità del primo movimento. An-che qui, le voci sono spesso elaborate instile imitativo, in particolare nella parteprecedente il Trio, che con le sue terzinee i caratteristici trilli è stato definito daEinstein “un pezzo di vera stregoneriamusicale”. Pacato, serenamente malinco-nico, simmetrico è l’Adagio. Anche qui laforma-sonata non esprime il suo tipicodualismo, in favore di un’omogeneitàespressiva che permette a Mozart di ela-borare entrambi i temi sino a fonderli in-sieme, senza che ciò renda incongruenteo meno fluido il discorso musicale. Incontrasto con l’andamento sognante del-l’Adagio, l’Allegro finale irrompe con la suavivacità e irrequietezza. La struttura, an-cora una volta a metà tra la forma-sonatae il rondò, ricorda quella dell’Allegrettoiniziale, con la differenza che qui si rico-noscono almeno tre temi, la cui elabora-zione comincia già nell’esposizione. Lacomplessità delle trame di questo finalenon è solo la conferma dell’attenzioneche Mozart dedicava ai movimenti con-clusivi (valga per tutti il Finale dell’ultimaSinfonia in do maggiore), ma la degnasintesi di un quartetto che vede proprionell’arte dell’elaborazione la sua caratte-ristica principale.

46 IM MUSICA INSIEME

Nel 2011 il Quartetto ha creato il “Belcea Trust”, per sostenere i giovani artistiattraverso intense masterclass e commissionare nuovi lavori ai principali compositori

Lo sapevate che...

Lunedì 3 febbraio 2014

DA ASCOLTARE

I due membri fondatori, la violinista Corina Belcea e il violista Krzysztof Chor-zelski, provengono rispettivamente dalla Romania e dalla Polonia; il secondoviolino e il violoncello sono francesi, e il Quartetto si è formato alla Royal Aca-demy di Londra, per prendere poi definitivamente la ‘cittadinanza’ britannica.Non stupisce quindi che in ormai quasi vent’anni di vita more uxorio, il Belceaabbia saputo unire le quattro spiccate individualità (e radici) dei suoi compo-nenti in una personalità unica e potente, esplorando ovviamente i quattro can-toni del quartettismo europeo. Ecco quindi la Gran Bretagna di Benjamin Brit-ten, del quale il Belcea ha registrato l’integrale per EMI Classics già nel 2005;ma la lunga collaborazione con la storica major ha dato molti altri frutti, tracui ancora un’integrale, quella di Bartók, e i Quartetti Dissonanzen e Hoffmeisterdi Mozart, quest’ultimo in programma anche per Musica Insieme. La più re-cente fatica discografica il Belcea l’ha dedicata alle origini del genere, con l’in-tegrale dei Quartetti di Beethoven in due volumi, pubblicata nel 2012/13 conla nuova etichetta del gruppo, dal nome eloquente di ZigZag Territoires, e su-bito premiata con riconoscimenti come l’ECHO Klassik Award.

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48 IM MUSICA INSIEME

ell’affrontare il tema del crosso-ver, contesto nel quale palese-mente s’inserisce il programma

presentato da Viktoria Mullova e daMatthew Barley, dovremmo sgombrare ilcampo da un convincimento comune, masostanzialmente errato. Si è soliti pensa-re, infatti, che il mescolare le carte, co-munque lo si chiami (da fusion a crosso-ver, appunto), sia una novità, o almeno siaun fenomeno artistico relativamente re-cente, da situare nella seconda metà delsecolo scorso, ad esempio. Le cose nonstanno così. La storia delle diverse arti c’in-segna, al contrario, che mescolare le car-te è di per sé l’attività dell’artista. Stra-namente la purezza è sterile; ovvero, tan-to più ci si allontani dalla mischia, si cer-chi di provare a costruire strutture con-cettuali e formali totalmente autonome,ci si avvii su una strada che ideologica-mente ha tutte le caratteristiche dell’in-tegralismo, ebbene quello è il momentoin cui la nostra arte comincia a morire. Ba-

sterebbe pensare a che ne è stato della bre-ve stagione della “musica pura”. Qualchepezzo da camera (magari anche un capo-lavoro), un paio di sinfonie, ma alla fineha prevalso la vita. Ha prevalso cioè la ne-cessità dell’artista di essere nel e col suotempo, magari anche rinunciando a cer-te esigenze o pretese, ma al tempo stessotrovando una dialettica con la storia e colquotidiano, elemento indispensabile al cre-scere dell’arte medesima.Del resto, la distanza tra “popolare” e “col-to” è solo una distanza ideologica. È “po-polare” l’ottavatore che improvvisa i suoiversi, formalmente impeccabili e magarianche esteticamente di pregio, ed al tem-po stesso recita a memoria i grandi poe-mi, come la Commedia dantesca o l’Or-lando dell’Ariosto? Oppure è “colto”, an-che se numerosi erano i casi di poeti im-provvisatori del tutto analfabeti? Fa la dif-ferenza l’aver appreso la propria arte suilibri, seguendo un corso accademico,oppure l’aver imparato semplicemente

ascoltando il poeta o il musicista più an-ziano, secondo l’efficacissimo metododella trasmissione orale del sapere? Duemodalità queste che, ad esempio, nel-l’apprendimento della tecnica di unostrumento musicale si mescolano, in unsovrapporsi di scienza ed esperienza.Dunque, dove sta il confine? Nel cercar-lo si giunge ad una semplice conclusione:tale confine non esiste. Il più ardito po-lifonista rinascimentale non disdegnavad’usare melodie tipicamente popolari.Viceversa, nella musica popolare trovia-mo molto spesso soluzioni complesse, in-tricate strutture, che nulla hanno da in-vidiare alla musica colta. In realtà, quelconvincimento nasce come costola di unragionare romantico intorno alla musica.In quell’ambito l’aggettivo “puro” suonavaaffascinante, salvo poi tutti i romantici de-dicarsi con sollecito impegno alla musi-ca applicata, specie se questa garantiva suc-cesso e denaro. L’opera lirica ne è l’esem-pio preclaro. Persino Wagner ha dovuto

“Classico” e “popolare”, jazze folklore si intrecciano nelprogetto di Viktoria Mullovae Matthew Barley, che superai confini tra i generi nel nomedella buona musicadi Fabrizio Festa

Un violinogitano

N

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fare i conti col pubblico. E quando que-sto non è stato (si pensi alla stagione del-le avanguardie), se ne è poi pagato lo scot-to. L’arte esiste solo nella relazione con chine fruisce, altrimenti diviene uno sterileesercizio di stile. Certo, si può sceglierecosa mettere sul piatto della bilancia. Manel caso della musica l’interesse reale, pra-tico, concreto del compositore è la dif-

fusione e quindi il successo dell’opera sua.Il che taglia i corni del dilemma, mettendoperaltro l’interprete nella fortunata con-dizione di non dover essere lui a sceglie-re, almeno in prima battuta.E l’interprete attuale ha un altro grandevantaggio: può scegliere in un repertoriosterminato. Così capita magari che si ac-costino Bartók e Zawinul (il leggendariocompositore, pianista e tastierista, fon-datore dei Weather Report insieme al-l’altrettanto leggendario sassofonista ecompositoreWayne Shorter), peraltro en-trambi formatisi nel milieu post-asburgi-co. Zawinul, val la pena rammentarlo per-ché il suo è un esempio di crossover ge-netico/culturale, nacque a Vienna nel1932, città dove si è spento nel 2007. Lasua era una famiglia di origine unghere-se, con ramificazioni che si perdevano per-sino nel mondo Rom. Formatosi musi-calmente nella città natale, solo nel ’59 Za-winul si trasferisce negli States. Pur di-venendo uno dei protagonisti della scenajazz americana (basterebbe ricordarlo quicoi Jazz Messengers di Art Blakey o conil quintetto capitanato dai fratelli Ad-derley), non perde il suo sentire origina-rio, che riemergerà in tutta la sua poten-za allorquando incontreràMiles Davis nel1968, per poi trovare definitiva concre-tizzazione appunto nella fortunata vicendaartistica dei Weather Report. Una band,si badi bene, in cui l’elemento improvvi-sativo era strategicamente incorniciato nelcontesto di composizioni complesse, ar-ticolate e di pregevolissima fattura. Que-sto spiega perché li si possa eseguire congrande facilità in un concerto cameristi-

co. Per dirla in breve: è tutto scritto (o qua-si). Affatto simile la vicenda di John Le-wis e del Modern Jazz Quartet, sebbeneil profilo stilistico sia di tutt’altra natura.Anche in questo caso John Lewis, coa-diuvato compositivamente dal talentodel vibrafonista Milt Jackson, costruisceun’esperienza musicale in cui l’elementoaccademico (evidente il riferimento a

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LUNEDÌ 10 FEBBRAIO 2014AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

THE MATTHEW BARLEY ENSEMBLE

The Peasant Girl

VIKTORIA MULLOVA violino

MATTHEW BARLEY violoncelloJULIAN JOSEPH pianoforteSAM WALTON percussioniPAUL CLARVIS percussioni

BratschBi LovengoJohn Lewis / BratschDjangoBéla BartókSette Duetti(trascrizione per violino e violoncello)Zoltán KodályDuo per violino e violoncello op. 7Weather ReportPursuit of the Woman withthe Feathered HatMatthew Barley / tradizionaleYuraWeather ReportThe PeasantDuOudPer Nadia

Introduce Viktoria Mullova

Dopo la vittoria della Medaglia d’oro al Concorso “Čajkovskij” di Mosca, nel 1982, Viktoria Mullova ha dato inizio aduna folgorante carriera, che l’ha vista calcare i palcoscenici più prestigiosi del mondo, al fianco di direttori ed orchestre diprimo piano. Grazie alla sua versatilità, collabora con ensemble specializzati nei più diversi generi musicali e il suo spicca-to interesse per la prassi esecutiva su strumenti originali l’ha portata ad esibirsi con Ottavio Dantone e Accademia Bizanti-na, Orchestra of the Age of Enlightenment, Giardino Armonico, Venice Baroque e Orchestre Revolutionnaire et Romanti-que. Al suo fianco, in The Peasant Girl, sarà Matthew Barley, violoncellista attivo con importanti orchestre ed apprezza-to arrangiatore, nonché ideatore di progetti ‘trasversali’, fra cui Through the Looking Glass, che Musica Insieme già ospitòcon successo nel 2000. Il suo Matthew Barley Ensemble affianca a violino e violoncello un duo di percussioni, affidatea Sam Walton e Paul Clarvis, e il pianoforte di Julian Joseph, compositore, divulgatore di successo (sua è la trasmis-sione Jazz Legends per BBC Radio) e fondatore nel 2013 di una propria Jazz Academy a Londra.

I protagonisti

Lunedì 10 febbraio 2014

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Bach) si fonde con quello jazzistico. Il ri-sultato non è, come si potrebbe pensare,una sorta di ibrido. Al contrario, comesempre quando c’è mestiere e c’è talento,nasce qualcosa di nuovo, le cui diverse ra-dici sono utilissime nell’alimentare propriola novità di quell’esperienza.Django cosìha una straordinaria melodia, che si svi-luppa lungo una classicissima progressione,dal sapore bachiano, pur mantenendo uncolore blues. O meglio, dovremmo dire“manouche”, visto che il brano, come espli-cita il titolo, è dedicato al chitarrista bel-ga, ma di etnia sinti, Django Reinhardt.Il che in qualche modo ci riporta a Bar-tók e Kodály, ovvero a quel mondo mit-teleuropeo, in cui culture diverse erano ap-punto le radici di un unico albero sem-preverde e ricco di ramificazioni. Dei duecompositori vengono proposte pagine inun certo senso gemelle, nate per il duo diviolini, o di violino e violoncello. Un duoquest’ultimo che non può contare su unavastissima letteratura, ma per il qualesono state scritte opere significative, comead esempio la Sonata in domaggiore di Ra-vel, la Sonatina VI di Honegger o il Duodi Martinu︒ . Tra queste sta anche il Duoop. 7 di Kodály (1882-1967), compostonel 1914, e da allora accolto sempre congrande successo dal pubblico, tanto da en-trare stabilmente nel repertorio dei piùgrandi interpreti, come d’altronde dimo-strano le numerose incisioni discografiche.La prima esecuzione averrà solo diecianni dopo, nel 1924 a Salisburgo nel-l’ambito del Festival organizzato dallaSocietà Internazionale di Musica Con-temporanea. Organizzato in tre movimentisecondo il canonico avvicendarsi di tem-pi veloci (il primo e l’ultimo) con l’adagionel mezzo, nel primo di questi proprio lacomponente folklorica emerge con chia-rezza. Meno evidente nel prosieguo dellapartitura, eccola riapparire nel Presto finale,brillantissima pagina che chiude in manieratravolgente questa pietra miliare dellaletteratura cameristica per soli archi. I 44Duetti di Bartók (1881-1945), qui pre-sentati in una selezione di sette nella tra-

scrizione per violino e violoncello di Mat-thew Barley, vengono composti nel 1931per due violini allo scopo di fornire, ana-logamente a quanto realizzato con gli al-bum pianistici raccolti nei diversi volumidelMikrokosmos, brani per lo studio del-lo strumento già intenzionalmente orien-tati verso un’estetica moderna. Dunquenon si tratta di pagine concertistiche, seb-

bene da tempo ormai i Duetti siano sta-ti invece inseriti nei programmi da con-certo e nelle più diverse trascrizioni. Chel’interprete sia invogliato a presentarli inpubblico, e magari a farlo con un organi-co per esempio costituito da violino e fi-sarmonica, lo si comprende immediata-mente scorrendo la lista dei titoli, primaancora che ascoltando i singoli numeri. Sitratta nella maggior parte dei casi, infat-ti, di brevi e piacevoli pagine d’ispirazio-ne popolare, nello stile del Danze Rume-ne e delleDanze Ungheresi, altre pagine no-tissime del compositore magiaro. Dunque,ancora una vicinanza al mondo gitano, enaturalmente a quel mondo popolareevocato nel titolo che Viktoria Mullova eMatthew Barley hanno inteso dare a que-sto loro concerto, e il cui significato cre-diamo a questo punto appaia chiaro al let-tore:The Peasant Girl. Mondo al quale ap-partengono sia la musica dei Bratsch, unagipsy band francese, sia quella delloDuOud, duo costituito da due virtuosinordafricani di oud, i fratelli Smadj e Me-dhi Haddab, in realtà formatisi nella Pa-rigi degli anni ’90 e la cui musica fa lar-go uso dell’elettronica, molto amato co-m’è noto il mix elettro/folk anche negli am-bienti della musica da intrattenimento.

Nella sua avventurosa fuga dall’URSS, nel 1983, Viktoria Mullova lasciò l’inestimabileStradivari di proprietà dello Stato in una camera d’albergo di Kuusamo, in Finlandia

Lo sapevate che...

50 IM MUSICA INSIEME

Lunedì 10 febbraio 2014

DA ASCOLTARE

Oltre al recentissimo cd con i Concerti di Bach per Onyx Classical insiemealla Bizantina di Ottavio Dantone (che recensiamo più avanti in questo nu-mero di MI), Viktoria Mullova e i ‘suoi’ hanno pubblicato nel 2011 un dop-pio cd (sempre Onyx) con l’intero progetto The Peasant Girl, che riuniva sot-to la parola d’ordine “Music is Music” un microcosmo di note del ventesimosecolo, accomunate dal fatto di essere particolarmente care ai loro interpreti,ma soprattutto dalle loro evidenti influenze gypsy, ossia gitane e popolari.Come popolari sono le origini della strepitosa violinista, che vi sfodera conil suo Stradivari evoluzioni tecnico-zigane impeccabili, lasciandosi talora an-dare pure a qualche libertà improvvisativa (anche nei Duetti di Bartók perdue violini, che Barley ha trascritto all’uopo per violino e violoncello). Unapassione cui manca forse soltanto di ‘sporcarsi’ un po’ di più con quell’im-perfezione estemporanea tipica della musica popolare. Tanto più ammirevole,anche per questo, è la curiosità dell’artista russa, che da sempre ‘osa’ scon-finare dal regno della classica, di cui è indiscussa sovrana, per esplorare leproprie origini (e ne dà conto anche con ricchi materiali e interviste il dvdOnyx The Making of The Peasant Girl) o inseguire le proprie passioni (conun cd in uscita, registrato a Rio e dedicato all’adorata musica brasiliana).

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Vincitore nel 2012 del LeedsInternational Piano Competition,

il talento di Colli affronta la formapianistica per eccellenzadi Maria Chiara Mazzi

52 IM MUSICA INSIEME

Tre sonatenel tempo

FotoSarahFerrara

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Lunedì 24 febbraio 2014

53IM MUSICA INSIEME

LUNEDÌ 24 FEBBRAIO 2014AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

FEDERICO COLLI pianoforte

Wolfgang Amadeus MozartSonata in sol maggiore KV 283Ludwig van BeethovenSonata in fa minore op.57AppassionataRobert SchumannSonata in fa diesis minore op. 11

onata” è una parola straordi-naria, dentro la quale stannotre secoli di storia, stanno

mondi incredibili e quasi inconciliabili,stanno intere civiltà musicali, stanno piùo meno tutti gli autori, grandi e piccoli,che rappresentano la galassia della ‘classica’.Eppure è la parola più semplice del mon-do, perché all’inizio questa parola vuole,semplicemente, dirci che il brano va“suonato” (e non cantato…), senza nes-sun’altra implicazione formale, conte-nutistica o estetica: e le sue radici affon-dano nell’origine stessa della musica stru-mentale d’arte, nel Rinascimento, quan-do non c’era stato il tempo di inventaregeneri e forme nuove e si decise di parti-re dalla musica vocale, da una canzone,semplicemente decidendo di suonarlaanziché di cantarla. La canzone “da sonar”è un brano solo, fatto però di tanti pez-zetti che si susseguono senza soluzione dicontinuità, ma diversi e contrastanti tradi loro per carattere, scrittura e velocità.È insomma una sorta di pangea musica-le le cui ‘zolle’ (per proseguire con la me-tafora geologica) già nel corso del Seicentocominciano a separarsi: le varie sezioni sistaccano, si allungano nella durata, co-minciano ad assumere una identità se nonancora formale almeno funzionale, man-tenendo forse una memoria ancestrale diquella unità primigenia. E inizia così, a fineSeicento, la storia meravigliosa che co-nosciamo, scritta dapprima da gruppi pic-coli e grandi di strumenti e poi, dall’ini-zio del secolo successivo fino ad oggi, an-che dalla tastiera (prima dal clavicemba-lo e poi dal pianoforte). Ma la storia nonfinisce qui, anzi, forse qui ricomincia: seall’inizio i vari ‘tempi’ (perché questo sonodiventate nel frattempo, a tutti gli effet-ti, le ‘zolle’ musicali originarie di questastrana tettonica inventata da noi) cerca-no di differenziarsi nel modo più radica-le possibile, piano piano nel corso del-l’evoluzione della forma della sonata, daBeethoven in poi, sembra riemergereun’antica memoria, sembra che quella uni-tà iniziale cerchi a poco a poco di rico-stituirsi malgrado i compositori, nono-stante la storia e le necessità espressive edestetiche. Tale è questa spinta che gli ul-timi approdi, i più originali in questo sen-so (pensiamo, fra tutti, alla Sonata di Liszt)

riusciranno con straordinaria efficacia a ‘ri-costruire’ quell’unione tra le parti, a far sìche i ‘tanti’ tornino ad essere ‘uno’, dopoavere compiuto un viaggio tra i più stra-ordinari che si possano mai descrivere nel-la storia della musica.I brani affiancati nel programma di que-sto concerto ci raccontano la prima e laseconda parte della storia: da Mozart, nel-le cui sonate i vari tempi hanno una fi-sionomia caratteristica, attraverso Bee-thoven e Schumann, con brani nei qua-li la forma ciclica cerca di recuperare l’uni-tà nella differenza. Sulla scia del primogruppo di sonate di Haydn, sotto l’influssoprima dello stile ‘galante’ e poi di quello‘sensibile’ (di Johann Christian Bach), na-scono le prime sonate per pianoforte, com-poste da Mozart nel 1774 a Salisburgo pri-ma della sua partenza per Monaco, che ri-sentono degli influssi musicali centroeu-ropei e italiani. Non solo, la Sonata KV283, come le altre di quegli anni, rispec-chia oltre alle esigenze retoriche della strut-tura narrativa, il gusto dei ‘consumatori’,ancora prevalentemente dilettanti, che aquel tipo di repertorio si avvicinavano eal quale esso era destinato. È pieno di ga-lanterie e riverenze infatti il tema princi-pale del primo tempo; un piccolo incisoelegante che si ritrova, associato ad unabuona quota di calma malinconia, anchenel movimento centrale e si fa sentire per-sino nella rapidissima sezione conclusivadella sonata. Certo, non possiamo anco-ra parlare di “sonata ciclica”, ma un filosottile che lega i tre tempi prova a farsi stra-da, appena appena, tra le meraviglie del-la fantasia mozartiana che straborda an-che in questa se pur piccola pagina.Non scrive più per i dilettanti, e quasinemmeno per gli esecutori ‘di mediaforza’ il Beethoven delle sonate di mezzo,quello che produce, all’inizio del nuovosecolo XIX, monumentali capolavori.Complice un nuovo e più potente pia-noforte, egli non accetta più passiva-mente la forma della sonata come dato ac-quisito nel quale collocare idee musicalilogicamente ordinate, ma un mezzo peresprimere una personalissima visione delmondo, nel quale visualizzare conflitti, op-posizioni e risoluzioni di essi, caricata daldi dentro di contenuti e motivazioni cheper i compositori precedenti e coevi non

Perfezionatosi presso l’Acca-demia Internazionaledi ImolaeilMozarteumdiSalisburgo,Fe-dericoColliharicevuto il PrimoPremio al Concorso Internazio-nale“Mozart”diSalisburgonel2011 e il Primo Premio con Me-dagliad’oroalprestigiosoCon-corso pianistico di Leeds nel2012, suonando il Quinto Con-certo di Beethoven con la HalléManchester Symphony Orche-stradirettadaSirMarkElder. Sièesibitoassiemeacompaginidiprimo piano, quali l’OrchestraSinfonicadiRomae l’Orchestradell’ArenadiVerona,sotto ladi-rezionediLucBaghdassarian,Ni-cola Paszkovski, Pier Carlo Ori-zio e Francesco Lanzillotta. Hacalcato importanti palcosceniciinternazionali, come la Musa-shino Cultural Hall di Tokyo, laSaladelMusikvereindiVienna,la Sala Verdi di Milano, la Kur-saal Arena di Berna, la Konser-thusetdiStoccolma, laSalleCor-totdiParigi.Nel2011èstato im-pegnato in un tour di concerti inGermaniacon laKlassischePhil-harmonie Bonn, diretta da He-ribert Beissel. È stato premiatocome “Musicista dell’anno”2011,peraverdatoprestigio in-ternazionaleallacittàdiBrescia.

Federico Colli

“S

Introduce Maria Chiara Mazzi, docenteal Conservatorio di Pesaro e autricedi libri di educazione e storia musicale

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Lunedì 24 febbraio 2014

erano nemmeno immaginabili. In questosenso egli opera da subito alcuni muta-menti formali radicali: il progressivo di-latarsi delle proporzioni si associa infattiad una quasi fisiologica riduzione della lun-ghezza e del numero dei temi, spesso solosemplici scansioni ritmiche o elementariespressioni armoniche, che però si ripro-pongono opportunamente trasformatinei diversi movimenti, nella ricerca di unanuovissima (o antica?) unità. Questo ac-cade nella Sonata op. 57 – Appassionata(il sottotitolo apparve nell’edizione diCranz del 1838), composta nel 1803, ope-ra monumentale costruita su un numerolimitatissimo di elementi sintattici e mu-sicali, al punto da poter essere definita ‘ci-clica’, cioè basata su un unico tema che ri-torna in ogni movimento, il cui aspetto èsempre differente perché soggetto a mu-tazioni continue. Il tema iniziale, quelloche tornerà anche alla fine della sonata, al-tro non è infatti che la successione dellenote dell’accordo di fa minore (la tonali-tà della sonata), esposte prima in senso di-scendente poi ascendente, ma così carat-terizzate espressivamente e timbricamen-te da determinare il clima emotivo del-l’intera composizione. E persino il bite-matismo, struttura portante della filoso-fia compositiva beethoveniana, diventa se-condario rispetto ad una ricerca di unitàche ricava il secondo tema del primo mo-vimento direttamente dal primo, rovesciatoe trasportato in tonalità maggiore. Al po-sto del tradizionale Adagio, la sonata pro-pone una serie di variazioni il cui tema, pri-vo di qualsiasi lusinga melodica, è in re-altà una pura astrazione armonica. «Nonso se nella musica vi sia un’altra creazio-ne della stessa monumentale semplicità –scrive Riezler – costruita sui soli elemen-ti fondamentali dell’armonia, in cui quae là affiorano brevi figurazioni melodiche.Una creazione che, nonostante la sua ef-ficacia spirituale, sgorga incomparabil-mente ed è giustamente considerata unadelle grandi conquiste della musica di ognitempo». Dalla conclusiva riproposta deltema iniziale si diparte poi un brevissimointerludio che collega direttamente que-

sta sezione alla tremenda inesorabilitàdel Finale. E di nuovo l’inciso costruito sul-le note dell’accordo di tonica che aveva ca-ratterizzato l’inizio della sonata tornaprotagonista, trasformato in un ango-sciante ‘moto perpetuo’ senza contrasti te-matici (fatti salvi alcuni blocchi accorda-li) fino alla scarica di terribile tensione delPresto conclusivo.Attraverso la forma ciclica, splendidamentee originalmente intrecciata con un anda-mento rapsodico che gli consente di usci-re dalla ‘collezione di piccoli pezzi’ che ave-va caratterizzato il suo catalogo fino a quelmomento, Schumann approda alla gran-de forma e lascia il suo segno nel percor-so della sonata alla ricerca della sua unitàoriginaria. La Sonata op. 11, la prima e for-se la più significativa delle tre per la qua-lità della scrittura e la quantità di sentimentie di atteggiamenti che vi sono espressi, èda questo punto di vista esemplificativa.Costruita per aggregazione in momenti di-versi e addirittura da brani diversi, essa re-cupera unità e saldezza dall’assunto filo-sofico dal quale nasce (“dedicata a Clara daFlorestano ed Eusebio”) nel 1834. La for-ma della sonata, infatti, col suo passato di‘grande pezzo’ consentiva a Schumann direndere unitaria la frammentarietà, dicollegare gli opposti, di costruire in gran-

de partendo da piccoli elementi, di unifi-care stati d’animo divergenti e momentipsicologici e musicali apparentementecontraddittori. Recuperare quella forma,quindi, per Schumann non significa ada-giarsi su modelli abituali per il pubblico ela società dell’epoca, ma tornare indietrofino alla concezione unitaria beethovenianae, attraverso quella, tendere ancora una vol-ta a quella unità originaria della quale stia-mo parlando dall’inizio di questo percor-so. Un discorso estetico che si svolge quisu due piani apparentemente distinti chesi ricongiungono nella sfera elevatissimadell’arte pura: da un lato c’è la straordinariaconoscenza virtuosistica dello strumento,del quale il musicista sfrutta tutte le pos-sibilità tecniche, dall’altra troviamo lapoeticità delle idee tematiche e l’irruenzadella passione, che mostrano come Schu-mann incarni in modo davvero incompa-rabile tutte le idee e le contraddizioni, glianeliti e le angosce del romanticismo. Nona caso uno dei più grandi ammiratori diquesta pagina (proposta per la prima vol-ta in concerto da Clara nel 1837) sarà pro-prio quel Liszt cui si dovrà il completa-mento del viaggio, la ricomposizione(quasi in un ‘big bang’ al contrario) di tut-te le parti dell’universo-sonata in unasola grande struttura unitaria.

DA ASCOLTARE

La discografia di Federico Colli si arricchisce di anno in anno di nuovi inte-ressanti tasselli. Nel 2009, in duo con il violoncellista Alberto Casadei, conil quale si è aggiudicato il primo premio al Concorso Internazionale di Mu-sica da Camera “Gaetano Zinetti” di Verona, ha inciso un disco con musi-che di Beethoven, Brahms e Debussy. Prodotto dal Concorso, con il patroci-nio della Fondazione “Antonio Salieri”, ed edito da Azzurra Music ed Edi-zioni Michelangeli, il cd è stato distribuito in allegato alla rivista Suonare News,riscuotendo grandi consensi da parte della critica e del pubblico. Dopo l’in-cisione di un cd solistico con musiche di Mozart, Beethoven e Ravel (TonstudioUniversität Mozarteum, 2010), insieme alla Klassische Philharmonie Bonn di-retta da Heribert Beissel, Colli ha registrato dal vivo il Quinto Concerto op.73 per pianoforte e orchestra di Beethoven, alla Beethovenhalle di Bonn(2011). Per l’etichetta inglese Champs Hill Records, dopo la sua vittoria al“Leeds”, è iniziata infine la preparazione di un cd che verrà lanciato nellaprimavera del 2014, in occasione del suo debutto alla Queen Elizabeth Halldi Londra. Conterrà la Sonata n. 10 op. 70 di Skrjabin, Quadri di un’espo-sizione di Musorgskij e l’Appassionata di Beethoven, che ascolteremo anchenel suo concerto per Musica Insieme.

Nel 2010, insieme al violoncellista Casadei, Colli si è qualificato finalista al popolareprogramma “Italia’s got Talent”, offrendo al pubblico una rilettura del Volo del calabrone

Lo sapevate che...

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Interessante è sfogliare il più recente vo-lume di Mario Bortolotto, Fogli multi-colori (Adelphi, 2013), immergersi nel-la bella prosa, nella ricchezza di consi-derazioni, nella dovizia di citazioni col-te che l’autore diffonde generosamente,esserne travolti, perfino. Onore all’au-tore, ma, ugualmente, diamo merito adun quotidiano nazionale per aver lasciatoampio spazio (come ormai raramente ac-cade) alle lunghe, talvolta lunghissime– giornalisticamente parlando – rifles-sioni di Bortolotto. Perché di questo sitratta: il volume raccoglie una scelta diarticoli usciti nel corso degli ultimianni. Critica musicale, dunque, di al-tissima qualità, che segue strade sue, avolte prevedibili (un’esecuzione), a vol-te inaspettate (un ricordo). Il libro è de-dicato ad Anna Ottani Cavina, storicadell’arte bolognese, direttrice della Fon-dazione Federico Zeri, quasi a sottoli-neare la capacità dell’autore di percor-rere in modo trasversale se non tutti, cer-tamente molti sentieri dello scibile. DaHändel ad Ives, da Monteverdi a De-bussy, fino ad arrivare al Novecento avan-zato, con Ligeti e Stockhausen, l’auto-re, come il viandante schubertiano,esplora la musica con acribia, piacevol-mente in controtendenza con le fretto-lose cronache di tanti. In queste paginenon c’è mai spazio per l’ovvio, scordia-moci la banalità del già noto e sentito;qui troveremo considerazioni nuove, cri-

tiche, provocatorie, a volte. «Nuovo in-vito all’attraversamento della musica peraspera ad astra», proclama l’editore nelrisvolto di copertina, ed in effetti, perquanto detto inmodo un po’ altisonante,accade proprio così. Leggere Bortolot-to è un bell’esercizio, fa bene alla men-te, suscita irritazione, anche, non lasciamai indifferenti. Se a questo aggiun-giamo la pluralità degli autori e delle epo-che trattate, tale da accontentare ilpubblico più vasto, l’interesse del volu-me balza subito agli occhi. Spicca l’al-tezza delle pagine legate al pianoforte at-traverso gli esponenti massimi dellasua storia (si pensi alle analisi dedicatea Prokof ’ev o Schumann). Da segnala-re, per capacità d’invenzione, i titoli ap-posti alle critiche del volume: “Idillio po-lacco” (Szymanowski), “Lo zoo di Pra-ga” (Janácek), “Malleabilità del genio”(Ravel). Uno studio particolare è dedi-cato a Charles Ives (“Sinfonie per il nuo-vo mondo”), compositore cui Bortolottoha sempre rivolto un’attenzione privi-legiata. Così, volteggiando fra i ritrattidi Händel (gigante di “stile e noia”), dide Falla (“musicista... per grazia celeste”),di Henze (“samurai borghese”) ci si ac-corge quale esercizio intellettuale, più chesentimentale, sia necessario per la com-prensione del mondo della musica.

Mario BortolottoFogli multicolori(Adelphi, 2013)

Antonio BonacchiChe lavoro fai? Il violinista.Sì, ma di lavoro….?(Curci, 2012)

Con un titolo irriverente, econ l’illuminante sottotitolo“Arte, mestiere, misteri delsuonare il violino”, è uscito per

i tipi dell’editore Curci il volume di Antonio Bo-nacchi, con la prefazione di Marco Fornaciari. Èuna bella pubblicazione, ricca di notizie, di cu-riosità e corredata da numerose foto a colori. L’au-tore, personaggio eclettico e con interessi multi-formi (nel libro si presenta in questo modo: «sonobabbo a giorni alterni, scrittore della domenica,violinista per passione, liutaio e archettaio per di-letto, tornitore autodidatta, informatico per ne-cessità, imprenditore per divertimento, invento-re per passatempo, cuoco per amicizia») ha rac-colto una miniera d’informazioni. Alla fine il pro-fano uscirà arricchito dalla lettura di un “dietrole quinte” dello strumento di solito non facilmentereperibile, mentre il musicista, soprattutto quel-lo alle prime armi, troverà tante notizie utili. Dan-do per scontato che dello strumento sappia tut-to (tecnica, costruzione e manutenzione), legge-rà come scrivere un curriculum, come vestirsi perun concerto e altro ancora. Simpaticissimi anchei ricordi dell’apprendistato violinistico dell’autore.

Franz WerfelVerdi. Romanzo dell’opera(Corbaccio, 2013)

Werfel riuscì a mettere laparola fine su Verdi. Roman-zo dell’opera nell’estate 1923.Il romanzo, il primo delloscrittore e poeta austriaco

naturalizzato statunitense, è un’opera dallascrittura elegante e un documento di notevoleinteresse in quanto, con sensibilità mitteleuro-pea, buona cultura musicale, notevole capaci-tà di mescolare verità storica e finzione, Werfelconsegna al lettore un indimenticabile quadro,ambientato nell’inverno 1882-83, quando Giu-seppe Verdi si trova a Venezia. Ufficialmente halasciato l’affetto della sua seconda moglie, il so-prano Giuseppina Strepponi, per dare l’ultimosaluto all’amico Vigna, ormai moribondo.Questo, però, è solo un alibi. In realtà, il Mae-stro, ormai settantenne, ha compiuto il lungoviaggio perché sa che lì troverà Richard Wagner,con cui ‘compete’ a distanza da una ventina d’an-ni, colui al quale la sua musica è sempre con-trapposta, una sorta di ‘ossessione’. Werfel di-pinge un compositore forte e un po’ scontroso.Il suo è un Verdi eroico, forte, risoluto e, nel-lo stesso tempo, incerto sul proprio futuro. Unromanzo d’atmosfere, d’inquietudini e di con-fronti sul terreno della musica, perfetto per con-cludere l’anno verdiano.

PER LEGGERE

PAGINEMULTICOLORI

Una raccolta di recensioni,critiche, riflessioni chepercorre trasversalmenteil mondo della classica, undietro le quinte con il violinoprotagonista, e un ritrattod’autore di GiuseppeVerdi, ripubblicato peril duecentesimo dallanascita del compositore

di Chiara Sirk

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Sarà lecito, per una volta, parlando di un album, par-tire… dalla copertina? In certi ambiti musicali la co-pertina era fondamentale, faceva parte del ‘progetto’,nella musica classica molto meno, ma questo bellis-simo ritratto di Viktoria Mullova… parla. E dice tan-tissimo. Dice che la musica non è solo passione e istin-to, ma anche rovello, ripensamento, dubbio, studio.Lo sappiamo, forse, ma è giusto ricordarlo, anche per-ché non si raggiunge il risultato di cui possiamo go-dere in questi solchi senza tutto ciò.Tanto più se, comein questo caso, ci si confronta con un repertorio ese-guito e inciso centinaia e centinaia di volte, un re-pertorio affrontando il quale ogni musicista proba-bilmente pensa che occorrerà pur inventarsi qualco-sa di nuovo... Dunque qui abbiamo i Concerti bachianiBWV 1041 e 1042 per violino, che la violinista rus-sa riprende con uno strumento barocco (e corde di bu-dello) a una decina d’anni dall’incisione (con strumentimoderni) per la Philips. Cambia il suono: certamen-te più morbido, si sposa perfettamente con la ‘voce’ del-l’Accademia Bizantina, senza prevaricare: abbiamo unsolista poco egocentrico, quindi: primus inter pares, sidirebbe. Ai due concerti, Mullova e Dantone, bril-lantissimo sia al clavicembalo che sul podio del suo mi-rabile ensemble, hanno abbinato due trascrizioni perviolino in qualche modo inaspettate (certo non irri-verenti, del resto era lo stesso Bach a rimaneggiare so-vente il proprio materiale per altre composizioni): quel-la del Concerto per clavicembalo BWV 1053 in mimaggiore (che poi la violinista ha trasposto in re mag-giore) e quella del Concerto BWV 1060 in do mino-re per due clavicembali (ma originariamente per vio-lino e oboe), divenuta per clavicembalo e violino. Nel-lo splendore generale segnaleremo l’eloquenza delle fra-si musicali nel Siciliano del primo, e l’Adagio del secondonel quale, addirittura, la versione violino-clavicemba-lo appare più brillante di quella per due cembali. L'ul-tima annotazione è una domanda: perché in un discoinciso anche da prestigiosi musicisti italiani, le note dicopertina scritte da un italiano (Dantone) sono in in-glese, tedesco e francese, ma non in italiano?

Viktoria Mullova, Ottavio Dantone,Accademia BizantinaBach Concertos(Onyx, 2013)

INCONTRI SONORIDue grandi incontri: quello fra Viktoria Mullovae l’Accademia Bizantina, e quello fra Maria JoãoPires e Antonio Meneses. Conclude la trilogiail nuovo cd chopiniano di Rafał Blechacz

Quasi due anni ci hanno fatto attendere que-sto cd! L’album documenta infatti un con-certo tenuto a Londra nel gennaio del2012 dal grande violoncellista brasilia-

no Antonio Meneses sul palco con l’eccellente pianista portoghe-se Maria João Pires: primo momento del sodalizio tra i due, coro-natosi lo scorso novembre anche sul palco dei Concerti di MusicaInsieme. Il programma, oltre a brani di Brahms, Mendelssohn e Bach,presenta (come a Bologna) il celebre Arpeggione di Schubert in un’ese-cuzione da annali. Quello che colpisce in queste esecuzioni è che,come troppo raramente capita, si ha fin da subito l’impressione ditrovarsi di fronte a due splendidi solisti in grado di compenetrarea vicenda la propria tecnica e la propria sensibilità, e non a un so-lista e al suo pur validissimo ‘accompagnatore’. Cosa in cui, forse,l’esperienza di Meneses nel Beaux ArtsTrio deve aver giocato un ruo-lo determinante. Del resto, se la carriera dei due musicisti ci raccontacome siamo davanti a due dei maggiori solisti di questo tempo, d’al-tra parte non è scontato che dall’incontro di due grandi esecutoriscaturiscano grandi momenti. In questo cd, semplicemente, succede.

Antonio Meneses, Maria João PiresThe Wigmore Hall Recital(Deutsche Grammophon, 2014)

DA ASCOLTARE

Affrontando un repertorio di questo tipo(straconosciuto, straamato, straeseguito), unmusicista deve avere in testa l’idea di crea-

re qualcosa che rappresenti un nuovo paradigma, un nuovo pun-to di riferimento. Il problema è che, inseguendo quella chimera,a volte si rischia di perdere il senso e lo spirito originario della pa-gina eseguita. Ad esempio, nel caso di Blechacz alle prese con set-te Polacche, una delle quali è la Polonaise-Fantaisie, alcune scelte(l’uso forse eccessivo del pedale, soluzioni ritmiche azzardate, un’ir-ruenza cui a volte sarebbe preferibile una maggiore dinamica) nonconvincono appieno: frutto di istinto o di precisa volontà? Non èdato saperlo: poco importa. La tecnica è sempre cristallina, non ècerto questo il punto. Il punto attiene al gusto personale: se di que-sti brani apprezzate esecuzioni più misurate (Pollini, Rubinstein),semplicemente è facile che amerete meno i momenti in cui Blechacz,qui, tende a fare ‘la voce grossa’.

Rafał BlechaczChopin Polonaises(Deutsche Grammophon, 2013)

di Lucio Mazzi

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In redazioneBruno Borsari, Fulvia de Colle, Marco Fier,

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Hanno collaboratoElisabetta Collina, Valentina De Ieso, Alessandro Di Marco, Daniele Follero,Maria Pace Marzocchi, Lucio Mazzi, Maria Chiara Mazzi, Anastasia Miro,Giordano Montecchi, Bianca Ricciardi, Chiara Sirk, Mariateresa Storino

Grafica e impaginazioneKore Edizioni - Bologna

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