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Musica Leggera n.3

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Anteprima della rivista Musica Leggera n.3

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REMASTER: BOBBY SOLO

«Cominciarono a metterecipria, fondotinta e un

sacco di rimmel, così chepoi mentre cantavo iniziaia sudare per l’emozione, eil rimmel finì col colarmi

dall’occhio in manieravistosa…»

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Che cosa era esattamente successo, Roberto?Era successo che qualche giorno prima, durante le prove,avevo conosciuto Little Tony. Felice di scoprire la nostra co-mune passione per Elvis, mi aveva portato con la sua Jaguar Ea mangiare con lui (a sue spese), per tutti i dieci giorni del Fe-stival. La sera prima dell’inizio del Festival eravamo andati in-sieme a Gino Paoli in un night-club, il Capo Nero, dove ioavevo avuto il mio primo incontro ravvicinato con una entre-neuse, una gran bella ragazza tutta scollata con un completinoattillatissimo color grigio tortora con la quale ballai per tutta lasera. Naturalmente mi riscaldai parecchio, in tutti i sensi. ASanremo durante il giorno fa caldo, mentre la sera (del restoeravamo a gennaio) la temperatura precipita, e io ero ingiacca e camicia, non avevo il maglione perché di giorno ave-vamo avuto una temperatura quasi primaverile. Uscendo dalnight a notte fonda ho preso freddo, e probabilmente mi è ve-nuta una tracheite. Così la mattina dopo, tutto preoccupato,ho chiamato Micocci: vedevo crollare tutte le mie possibilità,perché senza voce perdevo l’unica carta che avevo.

E Micocci?A un certo punto della giornata mi guardò e mi disse: «Tucanterai col nastro». Mi portarono un magnetofono e mi fe-cero provare la sincronia del finto canto con la base. Fuun’idea geniale: il sound che veniva dal palco allora era ve-ramente primitivo, di un’orchestra con ventiquattro violini sene sentivano sì e no i primi otto, mentre della batteria si sen-tivano soltanto il rullante e un po’ di charleston. Mentre io,

sfruttando il sound del disco, potevo contare su un impattosonoro infinitamente superiore a quello degli altri cantanti.

Era sicuro di vincere?Secondo me il candidato alla vittoria finale era Paul Anka,non dico che avessero fatto qualche combine, ma credo ve-ramente che dovesse vincere lui. Era arrivato a Genova tuttoabbronzato dalla California con un aereo privato, e alleprove era un vero schianto, un ciclone: Ogni volta aveva unritmo travolgente e il suo arrangiatore americano (che si eraportato dietro) lo accentuava ancora di più. E secondo me iosono stato quello che ha rotto le uova nel paniere alla RCA,che aveva puntato tutte le sue carte su Paul Anka. Devi sa-pere che il giorno dopo la mia prima esibizione il dottorCantini, il loro responsabile delle edizioni, quasi mi mise lemani addosso e, in presenza di Micocci, mi urlò: «Non devecantare in play-back!». In quell’occasione fu Guido Rignano,l’amministratore delegato della Ricordi, a coprirmi, nel sensoche si mise letteralmente in mezzo tra me e Cantini, e aprendere le mie difese. Quel giorno ci furono trecentomilaordini del disco, dico trecentomila! Quelli della RCA eranoimbestialiti, e per giunta quella canzone era stata registratanei loro studi! Una vera beffa! La seconda sera, prima del se-condo playback, dissi a Micocci: «È tornata la voce!». Ma luimi rispose: «No, no, tu devi cantare in play-back». E proba-bilmente alla fine tra i due litiganti ha goduto il terzo, cioèGigliola Cinguetti con Non ho l’età, con la purezza e la tene-rezza della sua immagine.

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IL RIMMELDI ELVIS

Sanremo. 30 gennaio 1964. Interno giorno. Nella stanza dell’HotelBordighera il diciannovenne Roberto Satti, che quella sera devedebuttare con il nome d’arte di Bobby Solo nel corso dellaquattordicesima edizione del Festival della Canzone Italiana, sisveglia e si accorge di non riuscire a modulare la voce sulle notedella melodia della canzone che deve presentare, Una lacrima sulviso. Una canzone in cui lui e il suo discografico Vincenzo Micoccicredono moltissimo, e su cui ha puntato anche il patron delFestival, Gianni Ravera. Quando Roberto gli telefona percomunicargli la novità, Micocci capisce di avere un problemaserio. Comincia così, da un banale abbassamento di voce, la storiadi una carriera straordinaria.

Conversazione con Bobby Solo | di Luciano Ceri

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Tu sei stato molto legato a Rino Gaetano. Ep-pure, in tempi recenti hai scelto la strada delno comment. Perché, Vincenzo? Ti riferisci anche alla fiction televisiva, natural-mente, sulla quale al tempo ho preferito non farecommenti. Non rilasciare dichiarazioni, pur ri-chieste dai giornalisti. Che dire? Le puntate sonoandate piuttosto bene, bravi gli attori, mi fa pia-cere per i produttori. Ma perché chiamare quelpersonaggio Rino Gaetano? Lasciamo perdere!

Però di Rino puoi parlarne…Sì, ritengo che per me sia giunta l’ora di dire

qualche parola sulla persona che era RinoGaetano.

Come lo ricordi?Di lui ho apprezzato la semplicità e, nellostesso tempo, l’unicità. Nel suo caso, larealizzazione del progetto-Rino preve-deva sia l’aspetto artistico che quelloumano: la realizzazione della sua iden-tità artistica certo, ma anche e soprat-tutto la “sistemazione” della sua

famiglia.

Cosa c’entra la sua famiglia?I Gaetano erano venuti a Roma daCrotone e nella mente e nel cuore diRino c’era soprattutto l’idea fissa di ri-scattare la sua famiglia. Aveva giàscelto, in fondo, la sua “missione”:migliorare la vita dei suoi genitori.

Come arrivò a te?È venuto alla it accompagnato daAntonello Venditti, che aveva lamacchina (Rino prendeva l’auto-bus) e lo stimava come potenzialeartista: dopo un breve periodo diriflessione, aveva valutato che eraquello il posto giusto per lui.Prima di tutto per le affinità con icantautori che io avevo già pro-

dotto, ma credo soprattutto perché la it era per-fetta per lo scopo che lui aveva in mente.

Fu per te facile entrare in sintonia con lui?Personalmente, in principio, cercavo di “capirlo”,di venirgli incontro – vedi I love you, Maryanna.Anche se, sempre a causa di alcune sue incer-tezze, le sue canzoni erano addirittura in inglese.Però dicevano cose precise che, forse per timi-dezza, Rino non aveva ancora il coraggio di espri-mere. Al punto che decise di nascondersi dietroquello pseudonimo, Kammamuri. Col passare deigiorni, però, i nostri punti di vista andavano chia-rendosi sempre più e alla fine Rino accettò l’ideache le sue canzoni dovessero essere in italiano.Tuttavia decise che ne avrebbe delegato l’esecu-zione ad altri cantautori “suoi amici”.

Perché, secondo te?Perché lui non si considerava “all’altezza”.L’unica strada sarebbe stata quella di convincerloa cantare: lo convocai di nuovo e ricordo che re-stammo a parlare per un’intera mattinata. Ma an-cora una volta, non riuscii nel mio intento. Cosìdecisi di sospendere la “seduta” anche perchéerano “le tredici”, così, almeno, gli dissi… Ri-cordo che passai una nottata in bianco, pensandodi potercela fare, ma avvertendo anche la forzadella sua difesa psicologica. Il giorno dopo, dataprefissata per le registrazioni, arrivai in ufficio alledieci, cercai di distrarmi con altri ascolti, ma di lìa poco mi arrivò una telefonata con una dichiara-zione formale dello studio: la registrazione avevaavuto regolarmente inizio.

Ti aveva dato ascolto… Be’, pur nella diversità delle nostre personalità, ilnostro rapporto era basato su poche parole e sucomuni sentimenti. Una serenità di fondo e unareciproca sincerità. Lo testimonia il nostro co-mune percorso produttivo, durato fino all’esauri-mento della sua migliore produzione artistica,con l’ultimo dei brani di quel periodo, Gianna,che uscì nel 1978 ed ebbe un enorme successo.

GAETANO E VINCENZOSPECIALE

Ha lanciato Bobby Solo, ha coniato il termine “cantautore”, ha offerto asiloai devianti del progressive e del jazz nostrano, ha scoperto De Gregori,Venditti e l’intera “scuola romana”. La sua vita è un complicato intrico diincontri, volti, voci, storie. Eppure, se fra tutti dovesse scegliere un solonome, probabilmente non avrebbe dubbi e indicherebbe quello di unragazzo magro e introverso arrivato dalla Calabria con il sogno di “siste-mare” la sua famiglia. Un ragazzo andato via troppo presto. E troppo male.

Stefano Micocci intervista Vincenzo Micocci

Ottant’anni lo scorso anno,Vincenzo Micocci ha iniziatodal jazz la sua straordinariacarriera di discografico,produttore e talent scout.

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«Quando pensavo a lui mi piacevapensare a Gesù». (Vincenzo Micoccisu Rino Gaetano)

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OUT OF STOCK

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suo talento e si dice interessata al suo disco. Matutto va storto: Bacchelli intasca l’ingaggio di Leo-Nero a sua insaputa, poi paga una penale e tentadi vendere il disco a un’altra casa discografica (l’ar-tista lo saprà solo anni più tardi). Sarà la Emi, dueanni dopo, a pubblicare VERO in Italia, nell’indiffe-renza generale. Ma il feeling con l’ambiente italianonon è dei migliori e neanche il singolo Fremo/Sonostanco anch’io riesce a risollevare le sorti del mu-sicista. Deluso, nel 1979 LeoNero si trasferisce aHollywood, entra a stretto contatto con la newwave di Los Angeles (gli Screamers e gli Avengers,tanto per citarne alcuni) e partorisce l’idea di un

nuovo e totalmente diverso lavoro. Ispirato dallamusica dei primi Devo e XTC, LeoNero si tuffa cosìin un progetto nuovo, in cui la scrittura musicale èsolamente uno degli elementi in gioco. Componegran parte delle canzoni su un antico pianoforte acoda che ha trovato nella sua camera da letto al fa-moso Trianon, un castello bianco con guglie e torrisituato in una traversa di Hollywood Boulevard. Percambiare pelle, però, ha bisogno di stimoli nuovi,così coinvolge un gruppo di musicisti di talento pro-venienti da diverse band locali, da lui stesso sele-zionati nei club di Hollywood e ribattezzati comeOptical Band: il frutto di questa collaborazione fi-

Artista inquietante e surreale, irrequieto epassionale, ambizioso e fatalmente attrattodall’innovazione. Così è LeoNero, nome

d’arte di Gianni Leone: napoletano di nascita e ro-mano d’adozione, enfant prodige di formazioneclassica ma sconvolto bambino dall’ascolto di JimiHendrix e Frank Zappa. Il suo ingresso nel pano-rama musicale italiano è per certi versi trionfale:Gianni entra nella formazione del Balletto di Bron -zo all’epoca dell’inarrivabile Ys, e con le sue tastieree la sua voce compone un mosaico sinistro e os-sessivo, un tessuto musicale nuovo e ardito in cuila melodia è bandita. Giovanissimo, è acclamatocome il miglior talento del Prog nostrano: un an-gelo venuto dal cielo o un’anima dannata? Com-plice un tenore di vita smodato, il gruppo perde inbrevissimo tempo la sua identità, gli altri non lo se-guono, Gianni accusa il colpo e inizia un percorsoartistico solitario e provocatorio. È allora che as-sume l’identità di LeoNero (anche se inizialmenteintendeva farsi chiamare Ego). Su VERO, il suo pri -mo lavoro solista, riversa le frustrazioni del periodoe nonostante una forma chiaramente cantautorale(sviluppata in brani quali Sono stanco anch’io, Laluce o Tu ti ricorderai di me) riesce a non recideredel tutto il cordone ombelicale con il passato delBalletto, grazie a una serie di momenti musicalid’indubbio valore: l’introduttiva Scarpette di rasoblu, La bambola rotta e soprattutto La discesa delcervello, sorta di citazione capovolta del Secondoincontro da Ys. Con Una gabbia per me si spingeperò già oltre, e prefigura una nuova forma di rockitaliano. Il disco nasce a New York nella primaveradel 1975, dove LeoNero è giunto accompagnato dalsuo produttore Corrado Bacchelli. Ha preso unastanza al celebre Chelsea Hotel, lo stesso albergoabitato da gente come i New York Dolls: con lororealizzerà delle jam session al Matrix. È caldeggiatodalla Warner Bros, che è rimasta impressionata dal

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Per registrare MONITOR, LeoNero vola a Los Angeles e assembla una band sul posto: Steve Huf-steter, Steve Sykes, Scott Lipsker e Charlie Quintana. Che diventano The Optical Band.

STRADACHIUSA

di Franco Brizi

Gianni Leone nasce nel Progressive, ma ha bisogno di spazi espressivi piùampi. Così decide di ribattezzarsi LeoNero e diventa un cantautore. Dopo un

primo disco finito nel vuoto, vola in California e riparte da zero con unprogetto ambizioso e in anticipo sui tempi. Eppure non basta.

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