Natoli, L’Azzardo Del Nuovo Umanesimo

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  • 8/17/2019 Natoli, L’Azzardo Del Nuovo Umanesimo

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    L’azzardo del nuovo umanesimodi Salvatore Natoli e Kurt Appel

    Faccia a faccia. Un filosofo e un teologo a confronto sulleragioni della misericordia

    La vera carità è dei «servi inutili»di Salvatore Natoli

    La questione del rapporto tra giustizia e misericordia è centrale in tutte le

    culture, cos ì come lo è la cosiddetta ‘regola aurea’ che chiede di non fare

    agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. Dunque il cristianesimo ha il

    merito di radicalizzare una questione che di per sé è stata avvertita, nel

    corse dei secoli, dall’intera umanità. Il termine latino dignus, da cui

    dignitas, rimanda all’essere meritevole di rispetto, ma anche al rendersi

    meritevole di rispetto. Ciò significa, da una parte, che c’è la possibilità che

    nel singolo uomo l’umanità venga distrutta, sottratta, umiliata; e dall’altra,

    che può essere il soggetto che non si pone all’altezza della libertà.

    Quest’ultima è la condizione dell’uomo nel mondo occidentale odierno,

    dove egli pare asservito a un desiderio eccitato dall’esterno, nel quale

    l’attivismo viene scambiato per azione, la mobilità e il libertinismo per

    libertà. Dove c’

    è eccitazione, infatti,

    è difficile accorgersi di non essereliberi. In altre parti del mondo, invece, sono ancora molti i soggetti vittime

    di una coazione. Spesso è la dimensione stessa del bisogno che li

    impoverisce, perché nell’indigenza la libertà e la dignità non possono

    emergere. Ecco perché (lo afferma Gesù stesso, nell’episodio con il quale

    inizia il suo ministero pubblico secondo il racconto di Luca) i poveri vanno

    riscattati dalla loro povertà. Spesso invece il cristianesimo stesso ha

    alimentato, lungo la sua storia, l’equivoco che la loro condizione fosse un

    bene, affidando eventualmente alla vita oltre la morte la loro redenzione,

    cos ì da poter praticare una ‘carità pelosa’, utile all’esercizio della propriabontà. La liberazione dei poveri significa invece la liberazione dell’intera

    umanità. Rispetto a questo paesaggio, desidero mettere a fuoco due

    dinamiche alternative: quella della negazione e quella del riconoscimento.

    La nostra società conosce una sorta di sindrome della negazione: uno stare

    a metà tra il sapere e il non sapere. I mass media, la televisione soprattutto,

    ostentano una gamma incredibile di sofferenze, dolori, strazi, lutti. Dinanzi

    ai quali la risposta è: chiudere un occhio, fare come gli struzzi, pensare che

    siano cose che non ci riguardano, tenere lontana persino la percezione della

    propria impotenza: «Tanto, cosa potrei fare, io, a parte mantenermipersonalmente onesto?». Sono solo apparentemente più virtuosi di questo

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    gli atteggiamenti da ‘business della carità': le organizzazioni che

    professionalizzano la risposta alla povertà ottenendone in cambio

    immagine e apprezzamento. E contando sull’occasionale empatia che le

    emergenze riescono a suscitare, in mobilitazione di personaggi ‘popolari’,

    anche se questa finisce, da un lato, per fare da schermo all’ignoranza dellecause e dall’altro per generare la ‘stanchezza della compassione’,

    l’assuefazione a qualunque dolore. Il riconoscimento scatta invece quando

    si riescono a trasformare i testimoni passivi in soggetti responsabili,

    altruisti. Spesso si definisce l’altruismo come l’agire senza contropartita, e

    in tal modo ci si espone alla critica di chi, in una prospettiva utilitarista,

    sottolinea che anche la gratitudine e la riconoscenza dell’altro costituiscono

    un’ambita ricompensa. Ma colui che pratica veramente l’altruismo è chi

    sente in modo diretto e quasi d’istinto l’umanità dell’altro. È un aspetto che

    emerge con chiarezza quando si ascoltano le testimonianze di chi ha aiutatoi perseguitati dal nazismo e da ogni altro totalitarismo e oggi fanno parte

    del ‘Giardino dei Giusti': vedendo l’umanità degradata negli altri l’hanno

    sentita ferita in sé stessi, e hanno reagito; tanto che, per spiegare perché,

    hanno dichiarato semplicemente: «Cosa altro potevamo fare?».

    È questo sentimento, questo ‘muoversi dei visceri’ che Luca descrive a

    proposito del buon samaritano, che può essere riacceso là dove appare

    spento e consente alla vita di continuare il proprio ciclo. Le azioni per il

    bene comune possono attingere risultati anche indipendentemente dal fatto

    che non siamo nelle condizioni di sperimentare l’esito. Ma in questo caso

    vale la frase del Vangelo: «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato

    ordinato, dite: ‘Siamo servi inutili’ ». Il bene dà frutti e noi dobbiamo

    esserne i veicoli, senza vantare personali pretese.

    I meccanismi mediatici spingono l’Occidente verso due eccessi:

    l’ostentazione del dolore, che rende indifferenti, e le associazioni che

    professionalizzano la loro risposta alla povertà per ottenere consenso.

    La società rinasce se accetta la fragilitàdi Kurt Appel

    Svolgendo la domanda sul contributo del cristianesimo per un nuovo

    umanesimo, bisogna partire da una diagnosi dell’humanum, che si trova

    oggi soggetto di un’universale e radicale minaccia. Sia le narrazioni

    religiose tradizionali, sia quelle secolari-illuministiche sono in crisi, dal

    momento che la storia e il suo fine sono diventati complessivamente

    incerti. Non è che l’uomo (questo è il sospetto odierno) sia soltanto un

    episodio transitorio? Le visioni religiose e secolari per un’umanità migliore

    non sono state confutate? Non si è raggiunto un livello di

    distruzioneecologica e sociale difficilmente rimediabile? Non si diffonde

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    sempre di più un disgusto verso l’uomo, un desiderio nascosto di una fine

    del nostro mondo?

    Oggi s’incontrano ovunque visioni apocalittiche di declino, nel cinema

    come nella letteratura: da Melancholia di Lars von Trier fino al grande

    romanzo di Cormac Mc-Carthy La strada. Nella cultura pop dominanofigure come cyborg, zombie o vampiri, che si distinguono per il fatto di

    essere immortali senza essere redenti. L’ultimo uomo è dunque un morto

    vivente, una macchina insensibile o uno zombie anaffettivo? La realtà che

    ci aspetta è il passaggio da una terra perduta e distrutta verso il mondo

    virtualizzato, quindi anestetizzato, senza tempo, senza vulnerabilità, senza

    mortalità, senza obiettivo e senza alterità? Anche osservando gli sviluppi

    politici e sociali in modo più ottimistico, sarebbe comunque un

    autoinganno classificare la crisi odierna semplicemente entro i tradizionali

    ricorrenti mutamenti della storia umana.Perché ciò che finora era considerato ovvio, vale a dire l´esistenza

    dell’uomo come parte essenziale della terra, come creatura che ha un

    passato da raccontare e un futuro da sperare, è diventato incerto. Le

    teologie cristiane non hanno trovato attenzione sincera, perché non ci si

    voleva rendere conto che il nostro mondo è diventato fragile, privo di

    risposte immediate e semplici. Siamo infatti in una situazione paragonabile

    a un circolo vizioso, dove la richiesta di identità sicure si alterna alla

    delusione per il fatto che esse non hanno portato la sicurezza promessa.

    Nella ricerca di un nuovo umanesimo, al contrario, si deve rendere

    nuovamente chiara una linea di fondo del cristianesimo, cioè la sua

    comprensione del valore della fragilità e della trascendenza che s’incontra

    nella vulnerabilità della vita. «Ecce homo», dice Gesù (in Gv 19,5 in base

    all’originale greco non è di Pilato, ma di Gesù l’esclamazione «Ecco

    l’uomo!») dopo la sua flagellazione dinanzi a Pilato, il rappresentante del

    mondo potente troppo sicuro di se stesso. Gesù mostra la sua vulnerabilità e

    la sua compassione con il mondo debole.

    Un nuovo umanesimo cristiano è quindi di fronte alla sfida di comprendere

    e accompagnare le ferite della nostra umanità, di accordare spazio anche a

    domande che non trovano una risposta diretta. La vocazione del

    cristianesimo, della Chiesa di oggi consiste nel coltivare uno sguardo

    misericordioso per le contingenze della vita e per la sua trascendenza, che

    si trova proprio nella sua apertura verso l’Altro, che allo stesso tempo la

    rende vulnerabile.

    Un nuovo umanesimo cristiano chiede inoltre, come previsto nella Bibbia,

    una nuova cultura della festa, un’interruzione del circolo totale delle attività

    economiche del soggetto capitalista odierno. Questo vuol dire rifiutare ogniforma di autocelebrazione (sarebbe la ‘festa’ del proprio potere e della

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    propria superiorità) ma festeggiare la tangibilità, fragilità e creaturalità 

    della vita.

    L’abito della festa per un cristiano è ‘Gesù’, e questo vuol dire mettersi

    una ‘seconda pelle’ di apertura, sensibilità e affettività che ci permette un

    nuovo sguardo sulla vita e una nuova sensibilità  per le voci silenziose,scoperte e sofferenti ancora da raccontare. Nel cristianesimo europeo, di

    fronte a una migrazione senza precedenti e di fronte a una nuova guerra

    globale tra islamisti e mondo secolarizzato, questo umanesimo

    simboleggiato da papa Francesco è l’unica ‘arma’ a disposizione.