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Appunti alle lezioni formali di Nefrologia AA 2000/2001 G. Piccoli, G.P. Segoloni, G.B. Piccoli Solo per uso personale 1 1) Obiettivi dell’attività didattica di Nefrologia conoscere le più comuni malattie renali le principali manifestazioni cliniche e la fisiopatologia dell’uremia i principali elementi semeiotici, clinici, strumentali e di laboratorio che consentono la diagnosi delle nefropatie e dell’insufficienza renale interpretare correttamente la sintomatologia clinica e di laboratorio per una diagnostica nefrologica elementare comprendere le basi teoriche della prevenzione e del trattamento delle più comuni malattie renali e dell’uremia 2) Organizzazione del corso e programma d’esame Classificazione generale delle nefropatie Le grandi sindromi nefrologiche : la sindrome nefrosica, la sindrome nefritica, l’insufficienza renale e la sindrome uremica, le anomalie urinarie isolate. Definizione e principali elementi clinici e fisiopatologici. L’insufficienza renale acuta Glomerulonefriti (gn) primitive : generalità su classificazione, patogenesi e presentazione clinica la gn acuta la nefrosi lipoidea: gn a lesioni minime e glomerulosclerosi focale gn rapidamente progressive gn con depositi prevalenti di IgA gn membranosa gn membranoproliferative Glomerulonefriti secondarie e compromissione secondaria del rene in corso di malattie sistemiche o dismetaboliche: Sindrome di Shoenlein-Henoch compromissione renale nel LES compromissione renale nel paziente diabetico compromissione renale nelle paraproteinemie, nelle crioglobulinemie e da amiloidosi Glomerulonefriti ereditarie: inquadramento nosografico Nefropatie vascolari : vasculiti, nefroangiosclerosi, ipertensione nefrovascolare e malattia renale ischemica; embolia renale colesterolica; sindrome emolitico-uremica, infarto renale, necrosi corticale. Nefropatie interstiziali acute e croniche: generalità su classificazione, patogenesi e presentazione clinica. pielonefrite nefropatie interstiziali da tossici e da farmaci nefropatie ostruttive e da reflusso. Tubulopatie acute e croniche : inquadramento nosografico Il problema della progressione delle nefropatie croniche verso l’uremia terminale e della sua prevenzione. Indicazioni del trattamento sostitutivo artificiale della funzione renale. Indicazioni del trapianto di rene. Informazioni essenziali sullo studio diretto e indiretto della funzione renale e sullo studio morfologico dei reni Iter diagnostici fondamentali in nefrologia Indicazioni e controindicazioni della biopsia renale 3) Più importanti prerequisiti di conoscenza Anatomia macroscopica del rene: generalità anatomia microcopica ed ultrastrutturale del glomerulo la filtrazione glomerulare e la filtrazione delle proteine. Classificazione delle proteinurie Indici di funzione renale: misurazione della filtrazione glomerulare, del flusso plasmatico renale, della capacità di concentrare le urine. L’esame delle urine. L’urocoltura ed il conteggio batterico La regolazione del ricambio del sodio e del potassio in condizioni normali e patologiche. Classificazione degli edemi. Fisiopatologia dell’edema nefrosico e nefritico Iperidratazione, disidratazione. Valori normali di azotemia, creatininemia e dei principali elettroliti sierici; iper ed iposodiemia; iper ed ipopotassiemia, acidosi metabolica, iper ed ipocalcemia. Poliuria, oliguria. Ipertensione arteriosa: definizione di normalità dei valori pressori arteriosi; classificazione dell’ipertensione arteriosa Anatomia patologica del rene: nel corso delle lezioni saranno ampiamente utilizzate le nozioni del programma di anatomia patologica, indispensabili per la descrizione di numerose nefropatie e per la loro discussione in corso di esame. APPROCCIO ALLO STUDIO E ALLA CLASSIFICAZIONE GENERALE DELLE NEFROPATIE

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Appunti alle lezioni formali di Nefrologia AA 2000/2001 G. Piccoli, G.P. Segoloni, G.B. Piccoli Solo per uso personale 1

1) Obiettivi dell’attività didattica di Nefrologia conoscere • le più comuni malattie renali • le principali manifestazioni cliniche e la fisiopatologia dell’uremia • i principali elementi semeiotici, clinici, strumentali e di laboratorio che consentono la diagnosi delle nefropatie e

dell’insufficienza renale interpretare correttamente la sintomatologia clinica e di laboratorio per una diagnostica nefrologica elementare comprendere le basi teoriche della prevenzione e del trattamento delle più comuni malattie renali e dell’uremia 2) Organizzazione del corso e programma d’esame Classificazione generale delle nefropatie

Le grandi sindromi nefrologiche: la sindrome nefrosica, la sindrome nefritica, l’insufficienza renale e la sindrome uremica, le anomalie urinarie isolate. Definizione e principali elementi clinici e fisiopatologici. L’insufficienza renale acuta Glomerulonefriti (gn) primitive: generalità su classificazione, patogenesi e presentazione clinica la gn acuta la nefrosi lipoidea: gn a lesioni minime e glomerulosclerosi focale gn rapidamente progressive gn con depositi prevalenti di IgA gn membranosa gn membranoproliferative Glomerulonefriti secondarie e compromissione secondaria del rene in corso di malattie sistemiche o dismetaboliche: Sindrome di Shoenlein-Henoch compromissione renale nel LES compromissione renale nel paziente diabetico compromissione renale nelle paraproteinemie, nelle crioglobulinemie e da amiloidosi Glomerulonefriti ereditarie: inquadramento nosografico Nefropatie vascolari: vasculiti, nefroangiosclerosi, ipertensione nefrovascolare e malattia renale ischemica; embolia renale colesterolica; sindrome emolitico-uremica, infarto renale, necrosi corticale. Nefropatie interstiziali acute e croniche: generalità su classificazione, patogenesi e presentazione clinica. pielonefrite nefropatie interstiziali da tossici e da farmaci nefropatie ostruttive e da reflusso. Tubulopatie acute e croniche: inquadramento nosografico Il problema della progressione delle nefropatie croniche verso l’uremia terminale e della sua prevenzione. Indicazioni del trattamento sostitutivo artificiale della funzione renale. Indicazioni del trapianto di rene.

Informazioni essenziali sullo studio diretto e indiretto della funzione renale e sullo studio morfologico dei reni Iter diagnostici fondamentali in nefrologia Indicazioni e controindicazioni della biopsia renale 3) Più importanti prerequisiti di conoscenza Anatomia macroscopica del rene: generalità anatomia microcopica ed ultrastrutturale del glomerulo la filtrazione glomerulare e la filtrazione delle proteine. Classificazione delle proteinurie Indici di funzione renale: misurazione della filtrazione glomerulare, del flusso plasmatico renale, della capacità di concentrare le urine. L’esame delle urine. L’urocoltura ed il conteggio batterico La regolazione del ricambio del sodio e del potassio in condizioni normali e patologiche. Classificazione degli edemi. Fisiopatologia dell’edema nefrosico e nefritico Iperidratazione, disidratazione. Valori normali di azotemia, creatininemia e dei principali elettroliti sierici; iper ed iposodiemia; iper ed ipopotassiemia, acidosi metabolica, iper ed ipocalcemia. Poliuria, oliguria. Ipertensione arteriosa: definizione di normalità dei valori pressori arteriosi; classificazione dell’ipertensione arteriosa Anatomia patologica del rene: nel corso delle lezioni saranno ampiamente utilizzate le nozioni del programma di anatomia patologica, indispensabili per la descrizione di numerose nefropatie e per la loro discussione in corso di esame.

APPROCCIO ALLO STUDIO E ALLA CLASSIFICAZIONE GENERALE DELLE NEFROPATIE

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Esistono più possibili approcci allo studio delle malattie renali non mutuamente esclusivi e che si possono integrare tra loro. Poichè tutte le strutture renali possono essere interessate variamente da noxae dello stesso tipo (immunologiche, allergiche, infettive, tossiche etc) e poichè, al contrario, la maggior parte delle malattie renali non riconosce un'eziologia nota, una classificazione che tenga conto delle cause del danno (classificazione eziologica) viene intrapresa, dove possibile, all'interno degli approcci precedenti. L’approccio morfologico tradizionale di classificazione generale identifica e differenzia le malattie renali a seconda della struttura elettivamente interessata e risponde alla domanda: qual é la struttura primitivamente interessata? a cui si riallaccia il discorso sulla patogenesi del danno in tale sede. Poiché questo criterio é quello comunemente impiegato sui testi di patologia medica e poiché é l'unico che si presta facilmente allo studio della patogenesi delle malattie, faremo di base riferimento ad esso, integrando le informazioni secondo altri approcci. Il criterio epidemiologico si basa sulla definizione della frequenza delle malattie in questione in tutta la popolazione o in una sua parte (coorte). Un riferimento a questo criterio è utilizzato in alcuni testi anglosassoni e permette di affrontare le domande: quanto sono comuni le differenti malattie; che probabilità ho di trovarmi davanti a dei casi di determinate patologie etc. e rappresenta per certi aspetti un "correttivo" pratico alla classificazione precedente, che tende a dare più spazio a patologie complesse ed "esemplari" da un punto di vista patogenetico, ma talora rare. Un altro criterio, di approccio allo studio più che di classificazione, è essenzialmente pragmatico e deriva da una valutazione in termini pratici dei due precedenti, riferiti (ed é questo il punto cruciale) all'interno di una società (popolazione o coorte); con questo criterio si tende a valutare la frequenza e le cause delle principali malattie in differenti sedi, in relazione alla presenza di differenze di razza, di struttura sociale, di condizioni economiche e di salute in generale, di appoggio sanitario etc. Questo approccio permette di valutare quali differenze ci siano e perchè esistano, tra realtà distanti, come quella ad es di un paese in via di sviluppo o di un paese ad alta tecnologia, lunga vita media e a bassa natalità, ed è alla base della strutturazione di piani di intervento differenziati. Approccio epidemiologico alle malattie renali Questo tipo di approccio permette di rispondere alla domanda "qual'è la frequenza delle malattie renali" in generale e di affrontare la diagnostica delle differenti nefropatie in termini probabilistici (ad esempio, data una nefropatia di un certo tipo di presentazione in un paziente con determinate caratteristiche: qual'é la forma più probabile). Un corollario interessante è quello di permettere di avere un'idea di quali probabilità ha un medico generico di trovarsi a trattare dei pazienti nefropatici in generale o con una certo tipo di nefropatia. Questo approccio può essere molto importante nelle malattie renali sotto diversi punti di vista. Le malattie in genere più studiate, le glomeruloneriti, estremamente interessanti come prototipo di patologia complessa, non sono le malattie renali più frequenti nè, almeno nel nostro ambiente, la causa più frequente di uremia. Il riconoscere che in differenti età il pattern delle patologie che interessano i reni cambia marcatamente e che molte di queste (la nefroangiosclerosi, per esempio) possono essere asintomatiche, o possono presentare solo sintomi aspecifici per gran parte della loro evoluzione, deve integrare le informazioni di base del precedente capitolo e di quelli seguenti e portare ad un approccio che non è solo diagnostico, basato su sintomi, come ad esempio nel caso delle glomerulonefriti con una presentazione evidente di una grande sindrome nefrologica come può essere quella nefrosica, ma si indirizza anche in senso preventivo con l’identitificazione precoce anche di forme oligo- od asintomatiche. I silent Killers Secondo una colorita espressione americana, le malattie renali in generale, il diabete e la nefroangiosclerosi in particolare sono dei pericolosi killer silenziosi, i cui danni vengono spesso colti (come nel caso di ogni killer che si rispetti) quando è oramai troppo tardi. E' stato proprio l'approccio epidemiologico alla definizione della frequenza e della distribuzione delle nefropatie a mettere in evidenza l'importanza di alcune patologie meno "nobili" da un punto di vista speculativo, rispetto alle glomerulonefriti o, ad esempio, alle vasculiti, nel portare all'insufficienza renale cronica di grado dialitico. Distribuzione delle malattie renali in Piemonte ed in Italia Le malattie renali sono molto comuni nella popolazione italiana (la popolazione piemontese ha delle caratteristiche nell'insieme sovrapponibili a tutta quella della penisola), come in quella di tutti i paesi industrializzati in cui la vita media sia lunga. Uno studio epidemiologico dell'incidenza e della prevalenza di malattie renali in una popolazione parte in genere da un'analisi a ritroso, e cioè dallo studio della popolazione che inizia la dialisi. Questo ha almeno due ragioni: quella di partire innanzi tutto dalla quota di popolazione "più ammalata", e quella di permettere un'osservazione di tutti i soggetti presenti con una determinata patologia (infatti è relativamente facile censire la popolazione che fa dialisi, legata ad una terapia specifica e continuativa mentre é pressochè impossibile calcolare quante malattie renali esistano in una popolazione ad esempio di una città, in quanto la maggior parte di queste è oligo - asintomatica e non è mai stata identificata). La popolazione con insufficienza renale "terminale" può essere vista così come la punta di un iceberg costituito da tutte le malattie renali presenti nella popolazione.

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Ogni anno entrano attualmente in dialisi in Piemonte oltre 120 pazienti per milione di abitanti, ed ilo loro numero continua ad aumentare; vista la lunga durata di alcune patologie, si può calcolare che, approssimativamente, la prevalenza di pazienti con nefropatie potenzialmente evolutive sia di 10-15 volte superiore. Questo significa che ogni medico ha sempre più spesso a che fare, nella sua carriera, con pazienti nefropatici e che nessuna delle patologie renali principali può essere ignorata. L'aumento di incidenza di nuovi pazienti avviati alla dialisi ogni anno é lo specchio della presenza di una popolazione che invecchia. Infatti, le malattie renali sono, nell'insieme, più frequenti nei soggetti anziani rispetto ai giovani ed un primo motivo di aumento di incidenza di nuovi pazienti avviati alla dialisi è legato all'aumento della "popolazione a rischio" cioè dei soggetti sopra i 60 - 70 anni. L'aumento, però, è così importante da non potere essere spiegato solo da questo fattore e, in effetti, se si vanno a valutare i tassi di incidenza normalizzati per milione di abitanti di ciascuna fascia di età (non si tiene conto in questo tipo di valutazione dell'entità della popolazione a rischio in assoluto, ma la si riporta sempre allo stesso numero teorico di un milione di abitanti), si vede come l'incidenza sia nettamente aumentata negli ultimi due decenni. Poichè in Piemonte, da oltre 20 anni (dalla metà degli anni '70) l'accettazione alla dialisi è senza esclusione nè per condizioni cliniche nè per età, è opinione corrente che l'aumento di incidenza rappresenti per così dire il prezzo da pagare alla diminuzione della mortalità per cause cardiovascolari di tutta la popolazione e di alcune coorti in particolare (cardiopatici, diabetici etc). In altri termini, se si muore di meno per cause cardiovascolari acute e se i nuovi farmaci hanno permesso di ridurre gli incidenti cardiovascolari acuti, il danno cronico renale è molto più difficile da combattere e la durata di vita più lunga lo mette al contrario maggiormente in luce (si parla di riduzione di cause di morte competitive). La distribuzione percentuale delle malattie renali in differenti fasce di età nella nostra Regione non è omogenea. Se nei giovani le glomerulonefriti rappresentano tutt'oggi una causa molto frequente di uremia, negli anziani, come si può anche dedurre dal discorso precedente, la nefroangiosclerosi, segno di un invecchiamento vascolare renale, è la patologia più frequente. Poichè ormai circa metà dei nuovi pazienti che iniziano dialisi ha più di 65 anni (cioé la mediana dei nuovi ingressi è attualmente a circa 65 anni di età), il peso complessivo della nefroanagiosclerosi è molto elevato. CLASSIFICAZIONE GENERALE DELLE MALATTIE RENALI Questa basilare classificazione generale delle nefropatie (tab I) tien conto della struttura renale elettivamente interessata dalla malattia; praticamente tutti i testi differenziano la prima e la quarta voce; le nefropatie tubulari ed interstiziali sono invece talora accorpate in una unica "famiglia" di nefropatie tubulointerstiziali. Ai gruppi fondamentali così identificati si aggiungono in genere le malattie renali cistiche, malformative e neoplastiche. Alcuni Autori identificano anche nefropatie dismetaboliche, ereditarie e includono in questo capitolo la nefrolitiasi. Per i particolari tipi di rapporti tra le differenti strutture renali (i vasi, ad esempio, vanno considerati come un continuum con i glomeruli, questi a loro volta con i tubuli, per non parlare della straordinaria struttura, solo apparentemente amorfa, dell'interstizio che avvolge, supporta e comunica con tutte le altre strutture renali) questa classificazione va interpretata con una certa elasticità: infatti un coinvolgimento di tutte le strutture è pressochè la regola nella maggioranza delle malattie renali croniche gravi, e non è raro che il marker prognostico più affidabile risieda nel coinvolgimento di una struttura differente da quella primitivamente interessata (ad es, la componente vascolare nella nefropatia diabetica o quella interstiziale in glomerulonefriti croniche). __________________________________________________ 1. glomerulari (glomerulonefriti) 2. interstiziali (nefropatie tubulointerstiziali) 3. tubulari 4. vascolari 5. cistiche 6. malformative 7. neoplastiche 8. dismetaboliche 9. ereditarie 10. nefrolitiasi __________________________________________________ tab I Classificazione generale delle nefropatie

NEFROPATIE GLOMERULARI

L'interesse nei confronti delle malattie glomerulari è legata a più fattori: • queste malattie rappresentano un ottimo modello patogenetico di malattie complesse, che è stato applicato in seguito

anche ad altre patologie immunologiche,

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• presentano uno stretto legame tra quadro anatomo-patologico e clinica, nel senso che, sebbene a differenti malattie, definite sulla base della biopsia, possano corrispondere quadri clinici indistinguibili, il quadro bioptico è alla base per la definizione della malattia e per la sua terapia specifica (nonchè per una valutazione in senso prognostico)

• rappresentano un gruppo di malattie che costituiscono una causa frequente di uremia cronica, e per le quali l'approccio terapeutico può essere di grande importanza

Sebbene un legame tra malattie renali ed eliminazione nelle urine di sostanze che abitualmente non sono in esse rintracciabili sia retaggio della più antica storia della medicina (basta pensare che la stessa definizione di diabete viene dal passaggio di zucchero nelle urine), i primi concetti chiari sul rapporto tra malattie del glomerulo e quadri clinici derivano dagli studi di Bright, di circa un secolo fa, che identificavano la glomerulonefrite come una malattia sostanzialmente unitaria. La possibilità di accesso relativamente semplice e poco rischioso alla biopsia renale ha permesso di riconoscere, negli ultimi decenni, l'esistenza di più tipi di glomerulonefrite, ben caratterizzati e differenti dal punto di vista patogenetico, morfologico e prognostico. Questo processo critico e di approfondimento non si può ritenere concluso tutt'oggi e, ad esempio, negli ultimi dieci anni, sono state aggiunte all'elenco alcune malattie (ad es la glomerulonefrite immunotattoide) ed è stata modificata la posizione di altre malattie (come le glomerulonefriti rapidamente progressive). Questa evoluzione continua spiega anche talune differenze tra le classificazioni di uso corrente, alcune diversità di linguaggio tra diversi gruppi di studio e l'impiego, accanto a termini nuovi, anche di vecchie denominazioni con nuovi significati. Anche nel caso delle glomerulonefriti esistono differenti approcci di classificazione, che spesso si integrano a vicenda; la loro esistenza riflette da un lato alcune delle tappe nelle conoscenze rispetto a questi tipi di malattie, dall'altro serve a porre l'accento su alcuni aspetti clinici o speculativi. __________________________________________________ glomerulonefriti: possibili approcci classificativi 1. interessamento renale primitivo o secondario (gn primitive, gn secondarie) 2. presentazione clinica (grandi sindromi nefrologiche) 3. caratteristiche funzionali renali e della proteinuria 4. eziologia, patogenesi e mediazione del danno (ove sia possibile una definizione in tal senso) 5. morfologia renale: caratteristiche morfologiche, immunoistologiche ed ultrastrutturali della biopsia renale 6. eventuale eredofamiliarità 7. eventuale risposta ad alcune terapie (es. corticosensibilità) __________________________________________________ Si tratta non soltanto di basi classificative differenti, ma anche dei diversi livelli semeiotici che di fatto si affrontano nella diagnostica pratica, con un iter ora completo, ora parziale.

1) Interessamento renale primitivo o secondario (gn primitive, gn secondarie) Un livello classificativo di grande importanza tiene conto del fatto che una glomerulonefrite sia primitiva o secondaria (vale

a dire insorga secondariamente ad una malattia non elettivamente ed esclusivamente localizzata al rene) Classificazione delle glomerulonefriti in riferimento al tipo di interessamento renale I Glomerulonefriti Primitive II Glomerulonefriti Secondarie a: • malattie sistemiche (lupus erithematosus sistemico, sindrome di Schœnlein-Henoch, s. di Goodpasture, vasculiti, etc..) • disprotidemie e paraproteinemie (mieloma e gammopatie monoclonali, amiloidosi primitiva e secondaria,

macroglobulinemia di Waldenström, crioglobulinemie, etc.) • malattie epatiche: epatite da virus B e C ed epatite cronica attiva, cirrosi, specie alcoolica • neoplasie • infezioni extrarenali batteriche, virali, fungine e ad elmintiasi: endocardite batterica, "shunt nephritis", sepsi a partenza da

visceri, malaria, infezioni o condizione di portatore di virus epatite B, C, HIV etc. • malattie dismetaboliche (diabete, cistinosi, glicogenosi tipo I,... • somministrazione di farmaci (sali d'oro, penicillamina, FANS, etc.), vaccini, • contatto con agenti chimici (mercurio, idrocarburi, etc.) e veleni (veleno d'api) • tossiemia gravidica (lesioni "endoteliosiche" ) • malattie ereditarie (s. di Alport; ematuria familiare, etc) • gn "de novo" in reni trapiantati 2) Presentazione clinica: le grandi sindromi nefrologiche La classificazione clinica delle grandi sindromi è quella che, come tutte le classificazioni di maggior importanza, è stata più soggetta a variazioni da parte di differenti Autori e a differenze di estensione e contenuto: si passa in fatti dal limitare il suo interesse all'interno della famiglia delle glomerulonefriti (ed è questa un'accezione comunemente utilizzata) al considerarla sinonimo di una classificazione clinica omnicomprensiva di tutte le malattie reali, glomerulari e non.

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Il suo interesse anche nella forma estesa, che sta riscuotendo un favore crescente, sta nel sottolineare non solo l'esistenza di differenti presentazioni cliniche, in parte embricate tra loro, ma anche nel sottolineare i limiti classificativi stessi di alcuni quadri (ad es. insufficienza renale acuta, cronica o rapidamente progressiva). Le grandi sindromi nefrologiche • Sindrome nefrosica E' definita dalla presenza di una proteinuria massiva (in genere si indica un valore superiore a 3 g/24

ore), e da un' ipoalbuminemia (<3 g/dL), in genere con ipoprotidemia (<6 g/dL); nella grande maggioranza delle definizioni viene inserito un terzo elemento caratterizzante, quello degli edemi declivi. É facoltativa, nella definizione stessa, la presenza di ipercolesterolemia (peraltro praticamente costante), e di oliguria.

• Sindrome nefritica acuta E' definita dalla coesistenza di ematuria di recente improvvisa comparsa (con eventuale cilindruria ematica), e di almeno un segno di compromissione funzionale renale, con insorgenza cronologicamente correlata: riduzione del filtrato glomerulare, con eventuale iperazotemia e/o aumento della creatininemia; ipertensione arteriosa; oliguria; edemi.

• Sindrome nefritica cronica E' definita da elementi semeiotici analoghi, ma con caratteri di cronicità. In presenza di una riduzione dei valori della clearance della creatinina le si preferisce spesso il termine di insufficienza renale cronica.

• Anormalità urinarie isolate Sono definite dalla presenza, singola o contemporanea, di: ematuria, leucocituria, proteinuria (<3 g/24 ore), senza segni di compromissione funzionale del rene, ipertensione arteriosa o altre indicazioni evidenti di nefro-uropatia.

• Insufficienza renale acuta Implica in genere, oltre al concetto di instaurazione molto rapida, quello della reversibilità, peraltro in genere sicura solo nel follow-up. Spesso con oligo-anuria, può essere a diuresi conservata. Quando è clinicamente sintomatica si parla di sindrome uremica acuta

• Insufficienza renale cronica Il termine è spesso impiegato per indicare l'esistenza di una compromissione funzionale renale anche modesta, che non ha ancora causato una sindrome uremica (cronica), che ne rappresenta la fase clinicamente sintomatica. Anche da ricordare è la forma particolare di insufficienza renale a rapida evoluzione, definita talora come "rapidamente progressiva".

• Infezioni urinarie Sono definite in base alla presenza nelle urine di batteri in numero significativo, con una variabile quantità di leucociti.

• Ostruzione delle vie urinarie • Difetti tubulari renali, anatomo-funzionali Includono una patologia renale molto ampia ed eterogenea. • E' anche descritta una sindrome vasculitica che comprende sintomi generali (febbre, perdita di peso, anemia, leucocitosi,

aumento della VES) e di compromissione d'organo o sistema. NOTE * La sindrome nefrosica è sempre sinonimo di malattia con significativo interessamento glomerulare primitivo o secondario; lo è spesso, per quanto non costantemente la sindrome nefritica cronica; le anomalie urinarie isolate possono invece essere presenti in quadri che coinvolgono tutte le strutture renali, nell'ambito di malattie renali primitive o secondarie, e le vie urinarie. * la distinzione tra sindrome nefritica acuta e cronica è labile e talora i due quadri non sono differenziati all'interno delle grandi sindromi; * in caso di proteinuria elevata (> 3-3,5 g/die), senza ipoalbuminemia (< 3 g/dL)e ipercolesterolemia, edemi ed oliguria si parla di solito di proteinuria in range nefrosico e non di vera e propria sidrome nefrosica. *I reperti bioptici hanno dimostrato che ad ognuno di queste sindromi cliniche fondamentali possono corrispondere quadri istologici molto diversi, sia nell'ambito delle glomerulonefriti primitive che di quelle secondarie, sia di altre nefropatie che si possono presentare con sintomi identici a quelli di alcune nefropatie glomerulari, ed inoltre che uno stesso tipo di glomerulonefrite può avere presentazioni cliniche differenti. Questa constatazione potrebbe indurre a trascurare gran parte della presentazione clinica delle glomerulonefriti, che generazioni di medici avevano considerata come fondamentale. Valutata nei suoi giusti limiti, la semeiotica clinica è invece da ritenere ancor oggi di grande valore, in quanto la classificazione delle grandi sindromi consente un buon approccio diagnostico e una valutazione di base, ulteriormente integrabile con i dati di altri livelli semeiotici 3) La presentazione funzionale mantiene un indiscutibile valore semeiotico, ma è stata del tutto abbandonata la classificazione basata sulla presenza o meno di un deficit funzionale; Almeno in alcune fasi della malattia, anche a causa della presenza della cosiddetta 'riserva funzionale renale' e dell’ipertrofia dei nefroni residui, la normalità dei valori del filtrato glomerulare è compatibile con la presenza di lesioni anatomiche gravi e diffuse. Maggior rilievo ha la differenziazione delle glomerulonefriti a seconda delle caratteristiche qualitative della proteinuria. Secondo questo schema classificativo le proteinurie glomerulari possono essere distinte in "selettive" (con perdita soltanto di proteine con peso molecolare relativamente basso: albumina e transferrina), e in "non selettive" (anche con proteine a peso molecolare elevato). Questa differenziazione è d'abitudine affidata allo studio del rapporto tra clearances delle IgG e dell'albumina -indice di Cameron - (limite per la definizione di forma selettiva: 0,10 -0,20; proteinuria molto selettiva < 0,10; proteinuria nettamente non selettiva > 0,30 ), o di quelle dell'alfa 2 macroglobulina e della transferrina - indice di Mc Lean - (limite per la definizione di forma selettiva: 0,010-0,015). Nel bambino ha un notevole significato anche per la scelta della terapia in quanto, in età pediatrica, una sindrome nefrosica con una proteinuria molto selettiva è per lo più correlata con la presenza di una glomerulonefrite a lesioni minime, in genere corticosensibile.

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4) Per quanto riguarda la classificazione eziologica, il gruppo delle gn da causa nota non è cospicuo; il riscontrare una causa potenzialmente rimovibile può essere peraltro di grande interesse e può portare alla rimozione della causa scatenante con una guarigione della malattia; è ovvio che in questi casi quello che viene ad essere messo in dubbio è il limite di classificazione tra forme primitive e secondarie. In effetti, almeno in nefrologia, esiste un certo margine di non chiarezza sulla definizione di primitivo, che assume nella maggior parte dei casi sia il significato di 'limitato al rene' sia quello di 'ad eziologia sconosciuta'; in queste forme un po' intermedie, il valore di primitivo viene in genere ad attribuirsi alle forme con danno limitato al rene, indipendentemente dall'eziologia. I più importanti gruppi di agenti attualmente identificati come possibile causa di glomerulonefrite sono: a) agenti infettivi, batterici, protozoari, virali, fungini, elmintici b) farmaci, chimici e tossici (oro, penicillamina, FANS, altri farmaci, eroina, mercurio, etc.; veleno d'api) c) vaccini Uno stesso agente può causare lesioni istologiche differenti. Classificazione patogenetica. Numerose ricerche hanno consentito di riconoscere, nella maggioranza delle glomerulonefriti umane, l'intervento di fattori immunologici. Oltrechè della suddivisione tra condizioni nelle quali è stata dimostrata una patogenesi immunologica e condizioni nelle quali tale dimostrazione per il momento manca, la classificazione patogenetica tiene conto dei possibili fattori operanti: autoanticorpi anti membrana basale glomerulare, immunocomplessi, intervento dell'immunità cellulomediata, isolato od associato a meccanismi anticorpali. Alcune conclusioni sul ruolo dell'immunità cellulomediata sono ancora induttive, ma l'intervento, in alcune glomerulonefriti, di linfociti, monociti e macrofagi, e di alcune linfochine è sufficientemente documentato. In patologia umana, l'eziologia da anticorpi anti membrana basale rende conto di non più di un 2-5% delle glomerulonefriti e si limita alla sindrome di Goodpasture (dove l’obbiettivo antigenico della risposta anticorpale è stato individuato in una famiglia di epitopi della catena alfa-3 del collageno tipo IV - uno dei sei componenti geneticamente distinti che compongono il collagene della membrana basale) e ad alcune glomerulonefriti rapidamente progressive. Ben più frequente è la patologia da immunocomplessi, responsabili di un 80% delle gn umane; in parte dei casi intervengono immunocomplessi circolanti, in altri interviene invece un loro montaggio locale, eventualmente contemporaneo. Più recente è la dimostrazione che nel siero di pazienti con glomerulonefrite rapidamente progressiva pauciimmune sono presenti anticorpi antiantigeni citoplasmatici dei granulociti (ANCA): in contrapposizione all'opinione che essi rappresentino un epifenomeno senza implicazioni, se ne sta valorizzando un possibile ruolo patogenetico. La ricerca di anticorpi antimembrana basale e di immunomplessi è ormai parte della semeiotica di routine, con indagini sia a livello renale (tecniche di immunofluorescenza), che a livello sierico (ricerca di anticorpi anti membrana basale, degli ANCA, di immunocomplessi circolanti e di alcuni particolari anticorpi, eventualmente implicati nella formazione di immunocomplessi). Particolare interesse è rivolto, inoltre, anche ai mediatori del danno glomerulare di natura non immunoglobulinica tra i quali devono essere ricordati : 1) I Fattori di permeabilità glomerulare; una serie di evidenze cliniche e sperimentali (recidiva di glomerulopatia a lesioni minime e della GSFS immediatamente dopo il trapianto, capacità del siero di pazienti con GSFS di aumentare la permeabilità in vitro dei glomeruli, rapida guarigione quando reni affetti da glomerulopatia a lesioni minime sono posti in un ambiente normale) fanno postulare l’intervento di un fattore circolante permeabilizzante nella patogenesi della sindrome nefrosica in corso di glomerulopatie con scarsa o assente infiltrazione/proliferazione ( g a lesioni minime, GSFS, g.membranosa). I meccanismi precisi con i quali agiscono questi fattori permeabilizzanti non sono noti, ma sulla base delle evidenze disponibili sembrano avere il loro bersaglio nelle cellule epiteliali glomerulari. 2) Il sistema complementare; il suo intervento è per lo più secondario a quello dei meccanismi immunologici precedentemente ricordati, ma è stata anche ipotizzata la possibilità di un sua attivazione attraverso la via alterna, per l'intervento, oltre che dei fattori immunologici, di fattori come il "C3 Nephritic Factor" o di polisaccaridi di origine batterica, ed un successivo automantenimento. La costanza del convolgimento (consumo) delle frazioni precoci del Complemento – fino alla frazione C3 - nel corso di alcune glomerulonefriti, ne rende particolarmente utile il loro dosaggio, routinariamente eseguito dalla maggioranza dei laboratori: il contemporaneo abbassamento della frazione C4 e C3 è suggestivo per un’ attivazione della via diretta ( LES, Crioglobulinemie), la riduzione isolata della frazione C3 può essere la manifestazione di una attivazione della via alterna. Esistono poi situazioni dove il profilo del Complemento, anche se meno precisamente orientativo delle condizioni precedenti , contribuisce al consolidare un orientamento diagnostico nel senso immunologico sistemico Il sistema Complementare (specificatamente il complesso C5-C9 “ , il cosidetto “ MAC” - complesso di attacco alla membrana-,) è anche considerato il principale mediatore delle modificazione della barriera glomerulare caratteristiche della glomerulonefrite membranosa. Nell’animale, la deplezione delle componenti terminali del Complemento riduce grandemente la capacita di sviluppare proteinuria in corso di glomerulonefrite di Heymann, modello sperimentale dovuto alla formazione in situ di immunocomplessi e considerato analogo alla membranosa dell’uomo. Tra i mediatori di interesse nefrologico deve poi essere ricordato il sistema IgE basofilo-mastociti-piastrine: alcune indagini hanno accertato che la degranulazione dei basofili tramite anafilotossine (C3a, C5a) o tramite legame dell'antigene ad IgE specifiche sulla superficie dei basofili determinerebbe la liberazione di amine vasoattive e di un fattore di amplificazione, il "Platelet Activating Factor" (PAF), capace di aggregare le piastrine e di indurre la liberazione di amine vasoattive; la conseguente vasopermeabilizzazione favorirebbe il deposito degli immunocomplessi (IC).

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Anche importanti sono i monociti, presenti nel glomerulo in numerose glomerulonefriti , i polimorfonucleati il cui intervento si esplicherebbe nell'attività fagica, nella liberazione degli enzimi lisosomiali ad azione litica e permeabilizzante e nella produzione di sostanze capaci di attivare la coagulazione ed i macrofagi Le piastrine possono essere coinvolte direttamente dalla presenza di complessi immuni e dalla liberazione di PAF dal sistema basofilo-mastocitario, e possono esplicare un'azione permeabilizzante e litica, oltre ad un'attivazione diretta della coagulazione per liberazione di fattore piastrinico III e tromboplastina. Anche la coagulazione potrebbe svolgere un ruolo rilevante nella mediazione del danno: punto di avvio è l'attivazione del fattore XII o di Hageman, ad opera anche di immunocomplessi o di tossine batteriche. Le conseguenze sarebbero secondarie alla formazione di trombina e tromboplastina dotate di proprietà lesive a livello glomerulare e di bradichinine (a loro volta permeabilizzanti). I rapporti fra le differenti cellule dell’infiammazione e le cellule residenti nel glomerulo sono regolati da una rete di comunicazione recettoriale complessa (ed in continuo aggiornamento) nella quale interagiscono con recettori della cellule endoteliale ( selectine, integrine , ICAM-1, VCAM-1, osteopontine) i ripettivi ligandi delle cellule infiammatorie e generano una altrettanto complessa rete di mediatori di differente origine. In conseguenza del danno infiammatorio le cellule residenti -mensangiali in particolare - possono subire, per azione di differenti fattori di crescita (TGF, PDGF, BFGF) un processo di attivazione caratterizzato da proliferazione, modificazioni fenotipiche ed aumento di produzione della matrice mesangiale, considerati di primaria importanza nell’evoluzione sclerotica del danno glomerulare. L'insieme di queste acquisizioni consente attualmente di sottolineare come le gn debbano essere considerate in maniera dinamica, espressione cioé di un danno conseguente ad una complessa catena patogenetica, con meccanismi non univoci. Una classificazione che ne tenga conto si presenta razionale e con notevoli implicazioni diagnostiche e terapeutiche. Riservato inizialmente a pochi casi, questo tipo di approccio polifattoriale è divenuto routinario nella pratica clinica sia a livello sierologico (valutazione del profilo complementare, ricerca dei vari tipi di anticorpi, misurazione dei livelli di immunocomplessi circolanti) sia a livello bioptico ( istochimica, analisi di biologia molecolare).

5) Classificazioni istopatologiche Attualmente rappresentano la base per la definizione e per l'impostazione della terapia delle malattie glomerulari; i dati messi a disposizione vanno tuttavia sempre integrati con una valutazione clinica e laboratoristica accurata. La classificazione istopatologica può tener conto delle lesioni elementari. Questa classificazione viene attualmente impiegata in genere per integrare o meglio specificare altre indicazioni sia su gn primitive che secondarie classificazione istopatologica delle gn in riferimento alle lesioni elementari: ESTENSIONE a) * diffuse: interessamento della totalità o della quasi totalità dei glomeruli (>80%) b) * focali: interessamento di parte dei glomeruli (<80%) c) * segmentarie: le lesioni interessano solo parte del glomerulo; alcuni segmenti sono indenni d) * globali: è interessata la globalità del glomerulo (impiego preferenziale nella sclerosi) LOCALIZZAZIONE: a carico della membrana basale (intra, extramembranoso), subendoteliale, mesangiale, mesangiocapillare, extracapillare CARATTERISTICHE QUALITATIVE DELLE LESIONI: lesioni minime, proliferative, essudative, scleroialinosiche, necrotizzanti EVENTUALE ACCUMULO DI MATERIALE PROTEICO NON IMMUNOGENICO Un'altra classificazione, che si riferisce alle glomerulonefriti primitive, tien conto dei dati complessivi della biopsia renale e distingue i tipi fondamentali delle affezioni glomerulari primitive: __________________________________________________ Classificazione istopatologica delle glomerulonefriti primitive • a lesioni minime • proliferativa mesangiale diffusa con depositi di IgM • glomerulosclerosi focale • con depositi prevalenti di IgA (gn di Berger) • endocapillare od acuta • rapidamente progressive - con immunofluorescenza lineare (tipo I) - con immunofluorescenza granulare (tipo II)

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- con immunofluorescenza negativa (tipo III, gn paucimmune) • membranose • membrano-proliferative I con depositi subendoteliali [*pura *lobulare *con crescents] II con depositi densi [*pura *lobulare *con crescents] III, IV etc.: altre varianti ultrastrutturali con depositi subendoteliali, subepiteliali ed intramembranosi ed alterazioni della

membrana basali • lesioni complesse od atipiche • lesioni avanzate o terminali (end stage kidney) __________________________________________________ Si tratta di una classificazione inizialmente impostata sui dati della microscopia ottica, ma che ha acquisito successivamente numerosi elementi fondamentali dall'immunofluorescenza e dalla microscopia elettronica, che sono strettamente complementari, tanto che oggi è impensabile un programma bioptico che non le utilizzi. Se isolatamente considerata, anche questa classificazione che costituisce attualmente il più importante riferimento nello studio delle glomerulonefriti primitive, non è sempre esauriente: come è stato rilevato a proposito dell'eziopatogenesi e delle grandi sindromi, uno stesso quadro istologico può essere riferito a cause diverse, quadri istologici simili possono avere eziologia differente e presentazioni cliniche molto diverse, ed un'identica presentazione clinica può essere comune a lesioni glomerulari molto differenti. Quello bioptico non è un livello diagnostico sempre indispensabile: alcune presentazioni cliniche e/o l'associazione con alcuni possibili momenti eziologici possono talora permettere dei sospetti diagnostici sufficienti ad un primo approccio razionale. Infine, in un certo numero di casi, la classificazione istologica, e quindi il livello bioptico, non è sufficiente ad una precisa definizione della malattia e per questo motivo in nessun paziente l'aver eseguito questo tipo di indagine esonera da un corretto rilievo di sintomi clinici e di dati di laboratorio. Su queste basi è dunque evidente che nessuna della classificazioni discusse può essere considerata esauriente, e che una definizione ottimale è ottenuta solo con un processo classificativo a più livelli: clinico, laboratoristico ed eventualmente bioptico. Per quanto il massimo approfondimento diagnostico sia auspicabile in ogni caso con sospetta glomerulonefrite, rischi anche importanti limitano l'impiego della biopsia renale a precise indicazioni; deve infine essere ricordato che la biopsia renale non è indenne da incertezze interpretative che, in casistiche esaminate con atteggiamento critico, possono interessare un 20% dei pazienti. Principali indicazioni alla biopsia renale: * s. nefrosica dell'adulto (la s. nefrosica con proteinuria selettiva del bambino ha indicazioni bioptiche in caso di corticoresistenza o, eventualmente, di corticodipendenza o qualora sia stata impiegata una terapia prolungata con Ciclosporina A) * s. nefritica acuta con insufficienza renale, specie se ingravescente * s. nefritica cronica con segni di attività urinaria e umorale e/o con compromissione funzionale progressiva * insufficienza renale cronica da nefropatia di tipo non accertato (specie se si può sospettare una lesione secondaria e se le dimensioni renali sono normali) *sospetto di una nefropatia secondaria, specie se potenzialmente grave e suscettibile di terapia ( es. LES, paraproteinemie) *sospetto di un'associazione di malattie renali diverse (es glomerulonefrite "idopatica" in un diabetico) o di un cambiamento delle caratteristiche della lesione iniziale (situazione non rara ad es. nel LES) * necessità di un controllo per il proseguimento della terapia (es: valutazione di eventuali lesioni interstiziali in caso di trattamento con Ciclosporina A; valutazione dei risultati in caso di precedente diagnosi di gn rapidamente progressiva primitiva o secondaria, con risoluzione solo parziale dell'insufficienza renale e/o persistenza di segni urinari di "attività"). * anomalie urinarie isolate: decisione caso per caso * follow-up del trapianto di rene: nel rigetto acuto; accertamento in caso di anomalie funzionali o urinarie di rilievo. * valutazione dell'idoneità alla donazione di rene da cadavere, in caso di soggetti con oltre 55 anni o con anamnesi di ipertensione arteriosa o di nefropatie

__________________________________________________ Controindicazioni alla biopsia renale: - s. emorragiche - ipertensione grave non corretta Situazioni con rischio accresciuto: ° rene nativo unico anatomicamente o funzionalmente per presenza di gravi alterazioni anatomiche controlaterali: può

essere messa in discussione una biopsia chirurgica o laparoscopica. Questo non vale per il trapianto renale, anche per la collocazione anatomica favorevole, e la biopsia è una routine.

° insufficienza renale grave ° amiloidosi ° nefropatia diabetica avanzata ° cisti renali multiple di grosse dimensioni ° cirrosi epatica (circoli collaterali!) ° (età molto avanzata)

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Principali rischi della biopsia renale: decesso ( 0,015% studio policentrico italiano '78); nefrectomia (0,2 Diaz-Bruno '75; 0,07 studio policentrico italiano '78); ematoma renale e perirenale; macroematuria (20% studio policentrico italiano '78); fistola arterovenosa

GLOMERULONEFRITI PRIMITIVE

GLOMERULONEFRITE ACUTA __________________________________________________ E' caratterizzata da una proliferazione mesangiale ed endoteliale e da depositi di materiale immunogenico,

fondamentalmente costituito da immunocomplessi, con distribuzione e dimensioni irregolari, subepiteliali (humps) e mesangiali; nei casi tipici la presentazione clinica è con una sindrome nefritica acuta.

Sinonimi: gn. intracapillare; gn. endocapillare diffusa. __________________________________________________ La sua frequenza è nettamente diminuita. E' sporadica, ma sono descritte diffusioni epidemiche. In occasione di epidemie da streptococchi nefritogeni, a seconda che la localizzazione primaria fosse cutanea o faringea,

una compromissione renale è stata ritrovata rispettivamente sino al 28,3 e al 4,5% dei bambini ammalati. Sono nefritogeni alcuni ceppi di streptococchi di gruppo A, soprattutto quelli di tipo 12, e meno spesso quelli di tipo 4 e 1;

altri gruppi eventualmente implicati sono quelli 2, 18, 25, 49, 55, 57 e 60. In caso di infezione cutanea sono stati segnalati streptococchi di tipo 49 e 2.

Una sindrome anatomo-clinica identica a quella post-streptococcica può essere osservata in infezioni da stafilococchi coagulasi positivi (Staf. aureo) soprattutto in casi di endocardite; in infezioni pneumococciche; in sepsi da gram- negativi; nella malaria da Plasmodium Falciparum; in alcune virosi: varicella, herpes, virus epatite B, ECHO virus. Non è peraltro eccezionale l'eventualità che non si riesca ad evidenziare alcun processo infettivo precedente. Casi di glomerulonefrite acuta sono stati osservati in eroinomani.

PATOGENESI - E' una malattia da immunocomplessi. Ne sono indizio: depositi granulari mesangiali di immunoglobuline

e frazioni del complemento; frequente presenza, nelle prime fasi di alti livelli di ICC; la depressione praticamente costante nella fase iniziale della frazione complementare C3.

Per quanto riguarda gli ag streptococcici, al momento, l'attenzione è focalizzata su tre frazioni: 1) l'endostreptosina: isolata dal supernatante di streptococchi distrutti con varie metodiche. 2) una frazione antigenica identificata nel supernatante di colture di streptococchi nefritogeni 3) un antigene cationico, dimostrato nel supernatante di coltura di streptococco ed in biopsie renali precoci di pazienti con

gna post-streptococcica, ma non in altre forme di gn. Secondo un'ipotesi alternativa a un intervento diretto di antigeni streptococcici, la neuraminidasi streptococcica,

rimuovendo l'acido sialico delle immunoglobuline, le potrebbe rendere autoantigeniche. Il risultato sarebbe una malattia da IC da antigene autologo, con IgG anti IgG.

In analogia alla malattia da siero con somministrazione di dose singola, è stato ipotizzato che ICC si depositino nelle strutture glomerulari. Ipotesi alternativa è di un montaggio locale, dimostrato anche nella nefropatia acuta sperimentale da sieroalbumina bovina (BSA).

L'attivazione del complemento avviene sia attraverso la via classica, soprattutto in fase precoce, sia attraverso la via alterna, in genere prevalente.

ANATOMIA PATOLOGICA - Abitualmente i reni sono aumentati di volume. Alla MO i glomeruli sono ingranditi, diffusamente lesi, con un aumento della popolazione cellulare (cell. endoteliali,

mesangiali, polimorfonucleati neutrofili, monociti, linfociti e plasmacellule, generalmente prevalenti sulle cellule endoteliali). Il mesangio è anche allargato per edema e la comparsa di materiale fibrillare. L'ampiezza dei lumi capillari è ridotta. Semilune epiteliali non sono rare: abitualmente limitate a qualche occasionale glomerulo, possono talora interessarne una larga percentuale (forme rapidamente progressive).

Fenomeni di necrosi e di trombosi sono possibili, ma insoliti. All'interno dei tubuli si riscontrano spesso cilindri jalini ed ematici, e talora granulociti. L'interstizio renale può presentarsi edematoso, e talora con infiltrati focali di mononucleati e/o granulociti.

Arterie ed arteriole sono raramente danneggiate, ma sono descritte lesioni di tipo arteritico. L'IF è caratterizzata da un reperto granulare, con prevalente localizzazione parietale, extra- membranosa, in genere con

intensità maggiore per il C3 che per le IgG, che talora sono assenti, specie in biopsie tardive. Le IgM sono più raramente presenti; le IgA sono in genere assenti. Depositi possono essere dimostrati anche in sede mesangiale e subendoteliale.

Alla ME l'alterazione più caratteristica è la presenza in sede subepiteliale di voluminosi depositi ("humps"). In genere gli humps sono piuttosto numerosi, hanno volume irregolare e sono più frequenti in sede paramesangiale. Depositi si possono anche osservare nella lamina densa ed in sede subendoteliale e nel mesangio. Nel corso dell'evoluzione della malattia, gli humps diventano sempre più translucidi e poi scompaiono.

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SINTOMATOLOGIA - La gn acuta è d'abitudine preceduta da un'infezione, per lo più streptococcica, faringea, tonsillare o cutanea, con un intervallo asintomatico di una - sei settimane (media: circa dieci giorni).

E' frequente la comparsa di una sindrome nefritica acuta, con macroematuria; può verificarsi una contrazione della diuresi, sino all'anuria. Vi sono in genere edemi, spesso localizzati al viso e più evidenti al mattino, talora diffusi. L'ipertensione arteriosa è incostante. Sono abbastanza comuni sintomi gastrontestinali, con nausea e vomito e talora dolori addominali. Nessun sintomo è però costante e non è raro che le manifestazioni cliniche siano sfumate od assenti e che la malattia si presenti con anomalie urinarie isolate (il rapporto tra forme evidenti e subcliniche sarebbe di 1:4).

ESAMI DI LABORATORIO - L'ematuria è spesso cospicua, con emazie mal conservate e cilindri polimorfi, in

prevalenza eritrocitari; in fasi precoci è frequente una granulocituria poi sostituita da mononucleati e cellule renali. Se l'andamento è favorevole, in qualche settimana gli elementi cellulari nucleati si riducono e diminuisce l'entità della cilindruria e dell'ematuria, che può però persistere per mesi. L'entità della proteinuria è variabile; può essere di ordine nefrosico. I valori del filtrato glomerulare sono normali o compromessi sino all'insufficienza renale. Non sono rare un'anemia ed un'ipoprotidemia, entrambe almeno in parte da emodiluizione. Una positività del titolo antistreptolisinico, è frequente ma non può essere considerata segno di infezione recente, specie nella patologia dell'adulto. E' comune un'ipocomplementemia C3, che si corregge rapidamente. Le frazioni C1q, C4, C2 sono generalmente normali, o poco depresse.

DIAGNOSI - I dati anamnestici e clinici, le caratteristiche del sedimento urinario e la transitoria ipocomplementemia C3

possono essere sufficienti ad una diagnosi clinica. La diagnosi differenziale è nei confronti di tutte le affezioni glomerulari capaci di provocare una sindrome nefritica acuta o anomalie urinarie isolate. La diagnosi di certezza è bioptica, in genere riservata ai casi con insufficienza renale grave o con segni persistenti di attività urinaria a distanza.

EVOLUZIONE E PROGNOSI - I sintomi più gravi tendono in genere ad attenuarsi già dopo 7-10 giorni. Non sono però

eccezionali insufficienze renali protratte per settimane. La persistenza di un'ipocomplementemia è un segno negativo e, in assenza del dato bioptico, deve far dubitare della diagnosi. La mortalità in fase acuta per uremia, encefalopatia o cardiopatia ipertensiva è ora eccezionale. La maggioranza dei pazienti guarisce completamente in qualche mese, ma talora la guarigione clinica può completarsi dopo 2-4 anni. La percentuale di guarigione è maggiore tra i bambini (92-98%) che tra gli adulti.

INDIRIZZI DI TERAPIA - All'esordio clinico della nefropatia, l'infezione causale è in genere guarita, ma d'abitudine

si somministra una terapia antibiotica efficace sugli streptococchi o sugli altri agenti batterici sospettati come causali. Steroidi ed immunodepressori, eventualmente associati a plasmaferesi, sono indicati solo in presenza di diffusi fenomeni di proliferazione extracapillare.

GLOMERULONEFRITE CON DEPOSITI PREVALENTI DI IgA (gn di Berger) __________________________________________________ E' identificata da depositi mesangiali di IgA, diffusi e prevalenti rispetto a quelli di IgG e di C3. Una prevalenza di

depositi di IgA può anche essere osservata nella sindrome di Schœnlein-Henoch, di cirrosi epatica, specie alcoolica, di dermatite erpetiforme, di morbo celiaco, di LES, di talune neoplasie e di talune infezioni (forme secondarie). E' più frequente nel maschio, prima dei 40 anni.

In Italia, Francia, Spagna e Germania rappresenta il 20% - 30% delle gn primitive biopsiate; in Inghilterra, in USA ed in Olanda avrebbe un'incidenza del 4-5%.

__________________________________________________ EZIOLOGIA E PATOGENESI - Il ruolo patogenetico fondamentale è svolto da IC, circolanti o montati in situ. I

rapporti tra episodi infettivi delle vie aeree superiori o gastroenterici e riacutizzazioni della nefropatia hanno fatto ipotizzare l'intervento di antigeni batterici o virali.

Si ritiene che nella gn di Berger un'iperreattività del sistema immune ad antigeni alimentari o infettivi favorisca la formazione di ICC IgA, che si depositerebbero nei glomeruli, dopo aver saturato le capacità di smaltimento del sistema monocito-macrofagico.

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ANATOMIA PATOLOGICA - Il reperto più frequente è un allargamento del mesangio per aumento della matrice, presenza di depositi ed ipercellularità. La proliferazione delle cellule mesangiali può essere modesta. Le lesioni mesangiali sono in genere diffuse pur avendo spesso un'accentuazione focale e segmentaria. Si possono associare aree di necrosi fibrinoide, segni di essudazione, trombi e fenomeni di agglutinazione delle anse con sinechie flocculo-capsulari. E' frequente una ialinosi arteriolare anche in assenza di ipertensione arteriosa. Lesioni atrofiche dei tubuli ed alterazioni interstiziali con infiltrati parvicellulari sono soprattutto evidenti nei casi avanzati. Semilune epiteliali, in genere focali, non sono rare, specie durante riacutizzazioni.

I depositi di IgA sono predominanti su quelli delle altre immunoglobuline. La loro sede più tipica, e spesso esclusiva, è mesangiale, sia nei glomeruli lesi, sia in quelli eventualmente indenni alla MO. Le IgG sono presenti solo in parte dei casi e la loro positività è di minore intensità. Sono costanti depositi di C3.

QUADRO CLINICO E LABORATORISTICO - Nel 50% degli adulti con diagnosi bioptica, e in percentuali ancora

maggiori nei bambini, l'esordio clinico della gn di Berger è con una macroematuria, talora accompagnata da malessere, mialgie, artralgie e dolori addominali. La macroematuria può essere isolata; è spesso recidivante; può essere contemporanea o seguire a distanza di uno o pochi giorni una flogosi delle vie aeree superiori, un episodio gastroenteritico o cistopielitico, un'infezione batterica o virale di altro tipo, una vaccinazione o uno sforzo fisico intenso. Nelle prime casistiche studiate, la macroematuria recidivante era così frequente da essere considerata caratteristica; in altre è tuttavia predominante una microematuria, isolata o associata a una proteinuria modesta (<1 g/24 ore). Una sindrome nefrosica è descritta nel 10-20% dei casi biopsiati. Al primo accertamento, la funzione renale è in genere ancora normale, e un terzo dei casi ha un'ipertensione arteriosa. Un andamento rapidamente progressivo non è eccezionale. Le frazioni del complemento C3 e C4, la VES, ed il titolo antistreptolisinico sono solitamente normali. In circa il 50% dei pazienti le IgA sieriche sono aumentate.

DIAGNOSI - E', per definizione, bioptica. EVOLUZIONE E PROGNOSI - Il 25-30% dei casi con anomalie urinarie persistenti sviluppa un'uremia entro 20 anni

dall'esordio clinico. A dieci anni la sopravvivenza renale attuariale è di circa il 90%. Nel 5-10% dei casi l'evoluzione si conclude in meno di 5 anni. Alcuni segni prognostici sfavorevoli sono stati discussi a lezione. Una remissione persistente delle alterazioni urinarie è riportata nel 7-15% dei pazienti, talora con scomparsa dei depositi mesangiali di IgA, che in altri invece persistono a distanza anche con reperti urinari normalizzati. In un terzo dei casi con trapianto di rene la malattia può recidivare, in genere con andamento attenuato.

INDIRIZZI DI TERAPIA - Il trattamento è fondamentalmente sintomatico. A lungo non è stata riconosciuta l'eficacia di alcuna terapia terapia. Peraltro, secondo l'esperienza nostra e di altri, nelle forme rapidamente progressive può essere utile una terapia aggressiva, simile a quella di tipi di glomerulonefriti proliferative extracapillari. Più recentemente, in casi con proteinuria > 1g/24 ore, è stato dimostrato un effetto positivo sulla "sopravvivenza renale" di una terapia steroidea.

GLOMERULONEFRITI RAPIDAMENTE PROGRESSIVE

__________________________________________________ Sono contraddistinte dalla presenza di proliferazione cellulare extracapillare con formazione di semilune (crescents) in un'elevata percentuale di glomeruli e da un rapido decorso verso l'uremia. Queste gn sono variamente definite: con semilune in almeno il 60-80% dei glomeruli; oppure nel 50% dei glomeruli; o anche nel 20%, ma con una compromissione funzionale rapidamente progressiva. Per questa diversità di opinioni, nella pratica clinica è opportuno precisare, in ciascun caso, gli elementi diagnostici bioptici e funzionali. Altre denominazioni: gn proliferativa extracapillare; gn con semilune, gn necrotizzanti. __________________________________________________ CLASSIFICAZIONE In questo capitolo sono descritti più tipi di glomerulonefrite, a differente patogenesi, accomunate dalla presenza di semilune. __________________________________________________ Classificazione delle glomerulonefriti rapidamente progressive • PRIMITIVE: a) non associate ad altre gn primitive: -tipo I, con IF lineare (da anticorpi antimembrana basale), senza lesioni polmonari. -tipo II, con IF granulare (da immunocomplessi). -tipo III, con IF negativa o "gnrp necrotizzanti pauciimmuni". b) associate ad altre gn primitive: gn acuta; gn a depositi prevalenti di IgA; gn membranoproliferative; gn membranosa; glomerulosclerosi focale e segmentaria. • SECONDARIE a: vasculiti, LES, crioglobulinemie; s. di Schœnlein-Henoch; policondriti recidivanti; s. di Goodpasture; gn intrainfettive e paraneoplastiche. Nota: Questa è la classificazione più comunemente adottata nella pratica clinica. Recentemente ne sono state proposte altre: ci sembrano di maggior interesse quelle che distinguono nel III° gruppo forme con immunofluorescenza negativa "idiopatiche" (rare) e forme associate a positività ANCA (le più comuni)

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__________________________________________________ Tra le gn rp associate ad altre gn primitive e le forme secondarie si ritrovano malattie con le caratteristiche istopatologiche

ed istochimiche delle corrispondenti nefropatie, ma con lesioni di particolare gravità e presenza di semilune. Sono descritte nei rispettivi capitoli.

Per quanto concerne le forme primitive, secondo un'opinione diffusa in passato soltanto quelle con IF negativa sarebbero state da definire come rp in senso stretto. Ora le si considerano vasculiti ad interessamento renale esclusivo o prevalente Poiché i problemi clinici, prognostici e terapeutici di queste tre varietà sono simili, ne è giustificata la descrizione comune.

Risultano più frequenti tra i 40 e i 60 anni. La prevalenza dei tre sottotipi varia in diverse casistiche.Si sta ritrovando nell'anziano un numero elevato di forme di tipo III.

Da ricordare: la loro abituale gravità e l'importanza della diagnosi precoce EZIOLOGIA - E' varia: esposizione ad idrocarburi volatili; eziologia streptococcica; virale? PATOGENESI - Forme con IF lineare. Gli anticorpi sarebbero diretti contro un antigene intrinseco alla mb ("antigene di Goodpasture") a

disposizione continua, situato in posizione profonda (in circa il 90% di questi pazienti si ritrovano ab IgG circolanti diretti contro ag delle mb glomerulari). L’obbiettivo antigenico della risposta anticorpale è stato individuato in una famiglia di epitopi della catena alfa-3 del collageno tipo IV - uno dei sei componenti geneticamente distinti che compongono il collagene della membrana basale. Per l'inizio della malattia è possibile sia sufficiente il legame dell'anticorpo all'antigene della mb per modificarne le caratteristiche fisico-chimiche, comprometterne l'integrità anatomica e permettere il passaggio nello spazio di Bowman di grosse molecole, quali il fibrinogeno e altri procoagulanti. Già in fasi precoci i monociti potrebbero svolgere un ruolo importante con liberazione locale di enzimi lisosomiali. E' possibile l'intervento di fenomeni di immunità cellulo-mediata.

Forme con IF granulare: si ammette un meccanismo patogenetico da IC. Forme con IF negativa: non si esclude una patogenesi da IC, ma è più probabile l'intervento di una reazione cellulo-mediata, con il coinvolgimento di T linfociti sensibilizzati nei confronti di un costituente normale o anormale della membrana basale, o di un ag impiantato su di essa. Anticorpi anti-antigeni citoplasmatici dei granulociti (ANCA) potrebbero svolgere un ruolo cruciale. ________________________________________________________ GLI ANCA Anticorpi anti-antigeni citoplasmatici dei granulociti (ANCA) sono associati a vasculiti sistemiche e, con minore incidenza, a malattie infiammatorie croniche e infettive; possono essere ritrovati in un numero limitato di disordini dell'immunoregolazione. La ricerca degli ANCA fu inizialmente eseguita con test in immunofluorescenza indiretta su granulociti fissati in alcool, che permisero di identificare due sistemi anticorpali fondamentali; lo studio di specificità a livello molecolare, verso una serie di autoantigeni, è successiva ed ha permesso di approfondirne la conoscenza. Uno dei due sistemi messi in evidenza dall'IF, chiamato c-ANCA (classic anti-neutrophil cytoplasmatic antibody), è definito da una fine positività diffusa granulare citoplasmatica con accentuazione interlobulare, ed è dovuto ad ab che reagiscono specificamente con la proteasi PR3. Il pattern c-ANCA e la positività per la proteinasi PR3 sono altamente specifici per la granulomatosi di Wegener. Il secondo aspetto evidenziato dall'IF, anch'esso su granulociti fissati in alcool, è caratterizzato da un pattern perinucleare, è denominato p-ANCA (perinuclear ANCA) ed è associato ad anticorpi verso una varietà di antigeni, come la mieloperossidasi (MPO), l'elastasi, la catepsina G, la lattoferrina ed il lisozima L'associazione tra anticorpi anti MPO e micropoliarterite non è risultata così stretta come quella esistente tra ab anti PR3 e granulomatosi di Wegener; esiste un consenso sul fatto che altri tipi di vasculiti possano essere associati ad anticorpi anti MPO, e che altri enzimi citoplasmatici dei granuli primari dei neutrofili (es.elastasi) e di quelli secondari, (es. lattoferrina) possano essere il target riconosciuto dagli ab in pz. con forme di poliarterite microscopica (vasculite e glomeru-lonefrite) altrimenti indistinguibili. Nella pratica clinica, il ritrovare ab anti MPO è molto utile per il nefrologo, e vi è un'associazione piuttosto stretta tra gn rapidamente progressive pauciimuni e questi anticorpi. Tuttavia, al di fuori di un contesto strettamente nefrologico, la presenza di questi ab è meno significativa per la diagnosi di una vasculite di quanto non lo sia il riscontro di anticorpi anti PR3 per la granulomatosi di Wegener. In linea generale, un'elevata percentuale di pz con granulomatosi di Wegener (>90%) ha una positività per i c-ANCA e solo una minoranza è p-ANCA positivo; i soggetti con panarterite microscopica possono essere positivi per l'uno o l'altro o per entrambi (complessivamente la percentuale di soggetti positivi è di circa l'80%), ma in genere la positività è per i p-ANCA; quelli con gn rapidamente progressiva necrotizzante pauciimmune hanno elevate percentuali di positività per i p-ANCA. E' infine da ricordare l'esistenza di un terzo tipo di ANCA, definito IgA-ANCA, non dimostrabile con tecnica di immunofluorescenza ma con un estratto acido di neutrofili, che è stato identificato nella sindrome di Schoenlein Henoch, ma il cui significato è limitato. Gli ANCA si sono dimostrati capaci di aumentare l'adesione di neutrofili a cellule endoteliali in coltura: essi potrebbero attivare, assieme alle citochine, i granulociti polimorfonucleati e/o le cellule endoteliali, e questa attivazione condurrebbe, tra l'altro, alla liberazione di radicali liberi dell'ossigeno. Secondo un'altra ipotesi, gli ANCA potrebbero inibire la neutralizzazione degli enzimi dei polimomrfonucelati dopo la loro liberazione dai neutrofili, e il danno tissulare deriverebbe appunto da questa attività enzimatica incontrollata _________________________________________________________

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Indipendentemente dal momento patogenetico iniziale, sarebbe la fibrina presente nello spazio di Bowman a rappresentare lo stimolo fondamentale alla formazione di semilune. Classicamente era stato ipotizzato che queste fossero in gran parte formate da cellule di derivazione epiteliale, soprattutto del foglietto parietale della capsula di Bowman. Recentemente è stato riconosciuto che, in parte dei casi, almeno il 50% degli elementi presenti nelle semilune in fase "florida" è invece di natura monocito-macrofagica e che sono altresì presenti dei linfociti. ANATOMIA PATOLOGICA - Alla MO si osservano "semilune" (crescents), formazioni situate all'interno della capsula di Bowman, costituite inizialmente ("fase florida") prevalentemente da cellule poligonali, chiare, con nuclei spesso vescicolari oppure ipercromatici.Solo in qualche caso sono numerosi i granulociti. Come già ricordato, gli elementi costitutivi sono in elevata percentuale di derivazione monocito-macrofagica, con una quota di cellule epiteliali. Le semilune possono assumere un aspetto a manicotto, occupare gran parte dello spazio capsulare, e obliterare il punto di origine del tubulo prossimale. La loro evoluzione abituale è verso la fibrosi, ed avviene in qualche mese o già in poche settimane. Possono però scomparire completamente. Le alterazioni del glomerulo sono varie: fenomeni di necrosi focale e segmentaria o diffusa ("glomeruliti necrotizzanti "); collasso delle anse; proliferazione mesangiale ed endoteliale, con o senza allargamento della matrice mesangiale. L'interstizio è spesso sede di edema e di infiltrazione di linfociti, plasmacellule, monociti e granulociti, talora a disposizione periglomerulare; possono essere ritrovati granulomi periglomerulari; a distanza variabile si può verificare una fibrosi importante. Le lesioni interstiziali sono talora rilevanti, specie nei casi con depositi lineari di immunoglobuline e/o di complemento lungo le membrane basali tubulari. Fenomeni arteritici non sono rari. All'IF è costante una positività per il fibrinogeno all'interno delle semilune e nello spazio di Bowman.Inoltre si rileva per le diverse forme: tipo I: positività lineare per le IgG "a fumo di sigaretta", con o senzaC3, che può avere una disposizione lineare oppure granulare. Vi può essere IF lineare anche a livello delle mb tubulari. tipo II: depositi granulari in genere positivi per le IgG; le diverse frazioni del complemento, soprattutto il C3, sono variamente presenti. E' possibile il riscontro isolato di C3. Meno intensa e incostante è la positività per le IgM e per IgA tipo III l'IF è negativa o vi sono depositi in tracce di IgM, IgG e/o di C3 (donde il termine di gn pauciimuni) La ME dimostra reperti molto vari: se l'IF è granulare vi sono depositi subepiteliali, spesso a tipo humps, e mesangiali, assenti nei casi con IF lineare o negativa; immagini di collasso e raggrinzimento delle pareti capillari; aree di necrosi e di rottura (gaps), attraverso cui si ritiene che cellule circolanti e fibrinogeno possano raggiungere lo spazio urinifero. MANIFESTAZIONI CLINICHE - L'esordio è in genere con sindrome nefritica acuta, ma non è rara una s. nefrosica. L'inizio della malattia può peraltro essere subdolo con variabile presenza di edemi, o con una micoematuria isolata, e olo successivo peggioramento clinico e funzionale renale. Sono spesso presenti: compromissione dello stato generale, artralgie e mialgie; fenomeni broncopneumonici, anche a tipo emorragico. E' frequente un'ipertensione arteriosa. I valori del filtrato glomerulare sono ridotti, e tendono a ridursi progressivamente. Talora già all'esordio è presente insufficienza renale acuta. Il sedimento urinario è in genere ricco, con emazie mal conservate, cilindri di vario tipo, cellule renali; tende ad impoverirsi in concomitanza di un'evoluzione verso la sclerojalinosi, e può allora essere presente soltanto una microematuria con rara cilindruria a medio o largo diametro. All'ecografia il volume dei reni è, almeno inizialmente, normale, o lievemente aumentato. Un'ipocomplementemia C3, è frequente nelle forme con IF granulare. Anticorpi sierici anti mb si ritrovano in un 90% dei casi con IF lineare. La ricerca degli ANCA è divenuta di importanza fondamentale per la diagnosi di gnrp di tipo III o secondaria a vasculite: come già ricordato, un 90% di pazienti con granulomatosi di Wegener ha una positività per i c-ANCA e solo una minoranza è p-ANCA positivo; i soggetti con panarterite microscopica possono essere positivi per l'uno o l'altro o per entrambi (complessivamente i soggetti positivi sono un 80%), ma in genere la positività é per i p ANCA; quelli con grp necrotizzante pauciimmune hanno elevate percentuali di positività per i p-ANCA. La DIAGNOSI è bioptica. La DIAGNOSI DIFFERENZIALE è con: gn acuta, altre gn primitive e secondarie, ipertensione maligna, sindrome emolitico-uremica EVOLUZIONE E PROGNOSI - In assenza di terapia, quando la proliferazione extracapillare interessa oltre il 50% dei glomeruli in oltre il 90% dei casi è riportata una IRC irreversibile. Una diaganosi molto precoce ed un pronto avvio della terapia sono fondamentali per migliorare le probabilità di successo del trattamento. Nei casi con andamento favorevole il recupero funzionale può tuttavia essere solo parziale e temporaneo. Sono elementi prognostici sfavorevoli: una proliferazione extracapillare in > 80% dei glomeruli; estese lesioni interstiziali; oliguria; immunofluorescenza negativa, o lineare.L'assenza di questi elementi non è tuttavia di per sé un segno prognostico favorevole.In una parte dei casi la terapia ha modificato radicalmente la prognosi. INDIRIZZI DI TERAPIA - Vengono impiegati corticosteroidi, agenti citotossici e plasmaferesi. Nelle forme trattate tempestivamente, i risultati sono spesso, anche se non costantemente, brillanti. La prognosi del trapianto di rene non è gravata da un'elevata frequenza di recidive anche nei casi con anticorpi antimembrana basale, purché essi non siano più evidenziabili nel siero da almeno sei mesi.

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GLOMERULONEFRITE MEMBRANOSA Elemento distintivo è la presenza diffusa, sul versante subepiteliale della membrana basale, di materiale immunogenico costituito da immunocomplessi. Questi depositi e l'irregolare neoformazione della membrana basale che tende ad inglobarli sono responsabili dell'ispessimento generalizzato delle pareti dei capillari glomerulari, evidenziabile alla MO, da cui ha preso il nome la malattia. Altre denominazioni: gn extramembranosa; gn epimembranosa. __________________________________________________ Può interessare tutte le età. Negli adulti è la causa più comune di sindrome nefrosica (20-30% dei casi) e figura nel 15-20% delle gn primitive con diagnosi bioptica; la frequenza è maggiore negli ultrasessantenni. Nei bambini sono rare. Vi è una predominanza maschile. L'incidenza - e probabilmente il decorso di questa malattia- non sono omogenee nelle diverse parti del mondo. Le forme "idiopatiche" rappresentano il 60 - 90% dei casi biopsiati (70% nella nostra casistica). Nelle restanti (forme da causa nota e secondarie) si ritrova un'associazione con: neoplasie, infezioni, esposizione a metalli pesanti, somministrazione protratta di alcuni farmaci, malattie sistemiche come LES o sarcoidosi. AFFEZIONI, ANTIGENI TOSSICI E FARMACI CONSIDERATI COME POSSIBILI CAUSE DI GN MEMBRANOSA [Tra parentesi sono riportate le associazioni incerte] INFEZIONI * Virus epatite B e C *Infez streptococciche *Malaria * Sifilide * Filariasi * Lebbra *Schistosomiasi * Cisti idatidee NEOPLASIE * Stomaco * Polmoni * Colon * Mammella * Utero * Ovaio * Faringe * Rene * Linfomi * Leucemie * Sarcomi ANTIGENI INTRINSECI * DNA * [Tireoglobulina] * Ag tubulari renali * Drepanocitosi (Antigeni tubulari renali ?) * Gn membranosa de novo del trapianto di rene ASSOCIAZIONI CON FARMACI E METALLI PESANTI * Sali d'oro * Sali di mercurio * [Bismuto] * D-penicillamina * Thiopronina * Pirithioxina * [Diclofenac] * Captopril * Anti infiammatori non steroidei ALTRE ASSOCIAZIONI * Trombosi v.renali * Artrite reumatoide * TBC * Diabete * S.di Sijogren *Sarcoidosi PATOGENESI E’ una malattia da immunocomplessi. a) piccoli ICC solubili potrebbero fissarsi sul lato esterno della MB. Si riteneva che una patogenesi di questo tipo fosse operante nelle lesioni membranose della malattia cronica sperimentale da siero, ma la si mette ora in dubbio. E' comunque improbabile nella gnm umana. b) montaggio locale. Si ritiene sia operante nell'uomo. Gli antigeni potrebbero essere intrinseci alla membrana basale (situazione dimostrata, nel ratto, nella nefrite sperimentale di Heymann) o ad essa estranei, esogeni od endogeni, "impiantati" per fenomeni di affinità immunologica, condizioni fisicochimiche, carica elettrica positiva (ag cationici endogeni?). Dimostrazioni sperimentali di questo fatto sono state ottenute con l'impiego di ferritina cationica, di BSA a carica positiva, di proteine cationiche di neutrofili, macrofagi o piastrine. E'anche possibile un montaggio locale di immunocomplessi con intervento di anticorpi anti-idiotipo. Nell'animale da esperimento è stata dimostrata la possibilità di causare lesioni membranose con anticorpi rivolti contro antigeni presenti sulla superficie dei podociti. Dopo il legame con gli anticorpi, gli immunocomplessi vengono "scaricati" in sede subepiteliale. ANATOMIA PATOLOGICA - Eherenreich e Churg hanno distinto 4 stadi: Stadio I: MO: anse capillari normali, o a tratti rigide e lievemente ispessite. IF: depositi granulari, piccoli e regolari, in sede subepiteliale che possono, in singoli casi, essere così minuti e ravvicinati da simulare una positività lineare. La ME conferma la presenza di piccoli depositi subepiteliali, con membrane basali praticamente normali. I pedicelli dei podociti dapprima si appiattiscono in corrispondenza dei depositi e poi scompaiono diffusamente. Stadio II: MO: anse diffusamente ispessite; con alcune colorazioni (PAS, tricromica) è possibile dimostrare l'esistenza di depositi subepiteliali. L'impregnazione argentica su fette sottili evidenzia, dal lato subepiteliale, un aspetto della membrana basale "a denti di pettine" con "spikes", che alla ME appaiono in continuità con la lamina densa della quale riproducono l'aspetto; sono separati da depositi più voluminosi rispetto allo stadio precedente. L' IF conferma la presenza di materiale immunogenico in questi depositi. La ME evidenzia gli "spikes"; il citoplasma dei podociti, edematoso, appare direttamente adagiato sulla membrana basale, per scomparsa dei pedicelli.

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Stadio III: la MO dimostra un'ulteriore ispessimento delle pareti glomerulari. in ME gli spikes tendono ad avvolgere i depositi ed a unirsi sopra di essi. Con il progredire dell'evoluzione, i depositi appaiono progressivamente più affondati in una membrana basale ispessita, irregolare ("trasformazione membranosa") che, con l'impregnazione argentica, assume talora un aspetto a catenella, cribroso. Qualche deposito comincia a dissolversi. Stadio IV: i depositi, affondati nella membrana basale, sono meno elettrondensi alla ME che negli stadi precedenti, possono avere aspetto "slavato". La mb neoformata è ispessita ed irregolare, con aspetto "tarlato"; quando la malattia dura da più anni può presentare uno spessore anche 10 volte superiore a quello normale. E' stato anche descritto uno stadio V, sinonimo di guarigione, caratterizzato da una scomparsa dei depositi. Secondo un'altra definizione, lo stadio V è invece rappresentato da una fibrosi glomerulare, ed ha quindi significato opposto. I quattro stadi fondamentali non sono un'indice di gravità progressiva, ma di evoluzione cronologica e possono coesistere. All'IF IgG sono riscontrate praticamente nella totalità dei casi; molto frequente, ma non costante è il C3; circa un terzo dei soggetti presenta anche IgA e/o IgM; non sono rare (10-20% dei pazienti) le frazioni precoci del complemento (C1q, C4). Nei casi gravi o di vecchia data, l'interstizio può essere infiltrato da linfociti o essere sede di fibrosi; possono essere presenti aree di dilatazione dei tubuli, spesso occupati da cilindri ialini, e fenomeni di ialinosi arteriolare. L'evoluzione sfavorevole si accompagna ad una progressiva ostruzione dei capillari glomerulari da parte delle MB distorte ed ispessite ed alla comparsa di sclerosi focale e segmentaria. Talora compaiono delle semilune. Anche a decenni dall'esordio clinico l'evoluzione verso la sclerosi non è obbligatoria, ed è possibile una stazionarietà prolungata delle lesioni, talora con remissioni cliniche. Non è rara un'associazione con la trombosi delle vene renali E' possibile una regressione delle lesioni, con "restitutio ad integrum" delle pareti capillari. SINTOMATOLOGIA CLINICA E DATI DI LABORATORIO- E' con proteinuria, talora isolata, il più spesso di ordine nefrosico (60-90% dei casi biopsiati), la cui entità può essere variabile da un giorno all'altro.Tranne che in alcuni casi in fase iniziale, la proteinuria non è selettiva. La macroematuria è rara; una microematuria è frequente.Se vi è una sindrome nefrosica è comune una lipuria, libera o in corpi ovali grassi o in cilindri; è abituale una cilindruria ialina o granulosa. Al momento dell'accertamento diagnostico la funzione renale è per lo più normale; un 20% degli adulti è iperteso, indipendentemente da una diminuzione dei valori di filtrazione glomerulare. I livelli ematici delle frazioni del complemento sono normali. La DIAGNOSI è bioptica. La DIAGNOSI DIFFERENZIALE è tra forme primitive e secondarie. Nell'anziano sono da ricordare le forme secolndarie a neoplasie; nelle pazienti giovani quelle lupiche. EVOLUZIONE E PROGNOSI- Anche senza trattamento, almeno il 40% degli adulti presenta una remissione. Solo pochi casi (ns casistica: 13% dei casi) giungono all'IRC entro 4-5 anni; a 10 anni dall'esordio clinico oltre il 50% dei pazienti non trattati mantiene una buona funzione renale. Dopo 10-15 anni di malattia alcuni possono ancora ottenere una remissione. Per i casi non trattati (in queste valutazioni l'inizio della dialisi è considerato come decesso) le curve attuariali indicano una sopravvivenza renale a 5 anni di circa il 90%, e a 10 anni del 50- 80%. La malattia può essere invalidante per le complicanze della s. nefrosica. In presenza di gn membranosa la gravidanza in genere è ben tollerata. Una recidiva dopo trapianto di rene è documentata in meno del 10% dei casi. INDIRIZZI DI TERAPIA - Si ritiene attualmente che un astensionismo terapeutico sia giustificato in soggetti giovani, con proteinuria stabilmente inferiore a 2 g/die, funzione renale e quadro proteico plasmatico normali. Negli altri casi, e specie se vi è una sindrome nefrosica e i valori di filtrato glomerulare sono in riduzione, viene d'abitudine eseguita un'immunoterapia. Vi sono peraltro controversie su risultati e indicazioni dei differenti schemi proposti. I principali sono attualmente: 1) Somministrazione di sei cicli mensili, alternativamente di steroidi e clorambucile o ciclofosfamide. Il ciclo di steroidi prevede la somministrazione endovenosa di 1 g di metilprednisolone per tre giorni, e per 27 giorni di 0.5 mg/Kg/die di prednisone. Il ciclo successivo comporta la somministrazione di 0.2 mg/Kg/die di clorambucile per trenta giorni (Ponticelli e Coll.). 3) Un trattamento con Ciclosporina A (più comune dosaggio iniziale nell'adulto: 3,5-5 mg/Kg/die) che può consentire buoni risultati in soggetti che non abbiano risposto alla terapia steroidea, eventualmente associata a immunodepressori, o che presentino controindicazioni a questi farmaci. A questi trattamenti non mancano critiche basate su vari argomenti e soprattutto sul fatto che la malattia è in parte dei casi a decorso favorevole ed è suscettibile di remissioni spontanee. Il trapianto di rene ha rischio di recidive inferiore al 10%. Può tuttavia presentarsi una glomerulonefrite membranosa "de novo". GN MEMBRANOSE SECONDARIE E DA CAUSA NOTA- E' una situazione riscontratata in un 10 - 40% dei casi.

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In un numero limitato di pazienti è stato identificato in sede subepiteliale l'antigene responsabile; in genere tuttavia ciò non è possibile, e ci si limita a rilevare l'associazione tra glomerulonefrite ed una serie di eventi extrarenali che si sono dimostrati capaci di causarla e, spesso, di mantenerla . Data l'elevata frequenza di forme secondarie e l'aspecificità abituale della presentazione clinica nefrologica e della biopsia renale, una volta accertato che si tratta di una nefropatia membranosa, la diagnosi differenziale si pone pertanto tra lesioni primitive e secondarie. La biopsia, che per altre glomerulonefriti chiude in genere l'iter diagnostico, qui pertanto frequentemente lo riapre. GLOMERULONEFRITI MEMBRANOPROLIFERATIVE __________________________________________________ Sono caratterizzate da una proliferazione mesangiale, con aumento di varia entità della matrice, e dall'interposizione di mesangio nelle pareti capillari, tra endotelio e membrana basale. Termini alternativi sono: gn mesangio-capillare, gn ipocomplementemica persistente, gn mesangioproliferativa con interposizione mesangiale. __________________________________________________ Se ne distinguono più forme: 1) gn membranoproliferativa tipo I, o "con depositi subendoteliali" con presenza di depositi subendoteliali di materiale immunogenico, apposti ad una membrana basale sostanzialmente normale, nei quali sono frequentemente rappresentate più classi immunoglobuliniche e non di rado più frazioni del complemento. 2) gn membranoproliferativa tipo II, o "malattia con depositi densi", nella quale larghe porzioni della membrana basale dei capillari glomerulari, della capsula di Bowman, dei tubuli prossimali e delle arteriole sono sostituite da formazioni astrutturate nastriformi che d'abitudine sono definite, in maniera impropria, come "depositi". In genere l'immunofluorescenza evidenzia solo C3. 3- 4) altre varianti delle gn membranoproliferative (Tipo III, IV, etc.) con alterazioni complesse della membrana basale, che si può presentare rotta, duplicata o fenestrata, e con depositi di materiale immunogenico, costituiti da più frazioni immunoglobuliniche e del complemento, in più sedi rispetto alla membrana basale (subepiteliali, subendoteliali e intramembranosi). Tra le gn membranoproliferative è collocata anche la gn lobulare, ora considerata come una possibile variante morfologica del tipo I e di quello II. Colpiscono soprattutto soggetti giovani; sono rare oltre i 60-70 anni. In alcune casistiche, tra le quali la nostra, la frequenza delle glomerulonefriti membranoproliferative si è nettamente ridotta in questi ultimi anni.Le possibili cause del fenomeno sono state discusse a lezione. 1)GN PRIMITIVA CON DEPOSITI SUBENDOTELIALI (Tipo I o forma classica) EZIOLOGIA E PATOGENESI - L'eziologia non è nota. Non sono rari i segni di recente infezione streptococcica. E' verosimile una patogenesi da IC. L'attivazione del complemento avviene qui sia attraverso la via classica che quella alterna. E' praticamente abituale un'ipocomplementemia, a patogenesi non chiara e forse non univoca (ridotta sintesi? distruzione particolarmente accentuata? difetti genetici?). In presenza di ipocomplementemia, la solubilizzazione degli immunocomplessi circolanti può essere ridotta, con una loro conseguente più prolungata persistenza in circolo e maggior patogenicità. E' frequente inoltre la presenza di C3NeF nel siero di questi pazienti: sembra escluso un suo ruolo diretto nefritogeno, ma può contribuire alla genesi dell'ipocomplementemia. QUADRO CLINICO - La malattia colpisce soprattutto giovani adulti. L'esordio può essere preceduto, di qualche giorno o settimana, da un'infezione, per lo più a carico delle vie aeree superiori; ma frequentemente l'anamnesi è silente. La presentazione clinica è con una s. nefritica o, più spesso, con una s. nefrosica o con una proteinuria rilevante, non selettiva. In genere il sedimento urinario è ricco in emazie, cilindri polimorfi ed elementi cellulari nucleati. L'ipertensione è presente al momento della diagnosi in almeno 1/3 dei casi.I valori del filtrato glomerulare sono talora già nettamente compromessi al primo accertamento, oppure sono normali e stabili, o mostrano un progressivo deterioramento. Non è raro che l'anemia sia più marcata di quanto si potrebbe prevedere in base ai valori del filtrato glomerulare. Al momento della diagnosi circa il 50% dei casi presenta un'ipocomplementemia C3, talora stabile nel tempo, talora con fluttuazioni sino a livelli normali. Il C4 può essere normale o moderatamente ridotto. La presenza nel siero del C3NeF è evidenziabile nel 20-30% dei casi. In parte dei pazienti è possibile mettere in evidenza la presenza di livelli elevati di ICC contenenti IgG ed una compromissione del sistema monocito-macrofagico. La DIAGNOSI è bioptica. La DIAGNOSI DIFFERENZIALE è con forme secondarie a LES, crioglobulinemie miste, alcune infezioni croniche batteriche e da virus dell'epatite B o C. Nelle forme secondarie non è rara la presenza di reperti atipici (come ad es. una spiccata focalità delle lesioni, estesi fenomeni di necrosi, un'abbondanza di trombi jalini), ma il quadro può essere del tutto simile a quello delle forme primitive. In queste diagnosi differenziali sono in genere dirimenti i dati clinici e di laboratorio, diagnostici per le diverse situazioni morbose

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responsabili della nefropatia (es. anticorpi anti-DNA e criteri ARA nel caso del LES; accertamento dell'esistenza di una crioglobulinemia mista, etc.). EVOLUZIONE E PROGNOSI - La sopravvivenza attuariale media "renale" a 10 anni è intorno al 50%; in soggetti con lesioni lobulari una sopravvivenza del 50% si ha invece dopo soli 6-7 anni. In circa il 50% dei pazienti, la malattia può stabilizzarsi; l'evoluzione può essere molto irregolare. Una remissione clinica è rara, e in tal caso l'ipocomplementemia può persistere. Le ricadute sono molto frequenti. Dopo trapianto di rene la frequenza di una ricomparsa della glomerulonefrite membranoproliferativa di tipo I è stata documentata raramente, o sino al 25% dei pazienti. 2) GN MEMBRANOPROLIFERATIVA TIPO II (malattia con depositi densi) PATOGENESI - Non è nota: il materiale presente nelle membrane basali è comunemente indicato come deposito ma, molto probabilmente, non lo è affatto. QUADRO CLINICO - La presentazione clinica di questa malattia, che interessa soprattutto i giovani, è simile a quella del tipo I, pur con una frequenza maggiore di sindromi nefritiche acute in fase di esordio, di presenza di C3NeF sierico (60-70% dei casi) e di ipocomplementemia C3; in genere C1q e C4 sono normali e gli ICC sono assenti. La DIAGNOSI è bioptica. La DIAGNOSI DIFFERENZIALE è con rare forme associate a candidosi o a melanoma. EVOLUZIONE E PROGNOSI - La sopravvivenza è simile a quella del tipo I. La ricomparsa dopo trapianto sembra frequente: in alcune segnalazioni interessava ben il 50% dei soggetti, e c'è chi ritiene che la recidiva sia quasi la regola. In questi casi tuttavia le lesioni sono in genere limitate e non causano alterazioni orinarie e funzionali di rilievo. INDIRIZZI DI TERAPIA - Sia nelle forme di tipo I che in quelle di tipo II tentativi sono stati eseguiti con antiinfiammatori non steroidei, con dipiridamolo, con steoridi ed immunodepressori, con risultati in genere deludenti. GN MEMBRANOPROLIFERATIVE SECONDARIE Lesioni simili a quelle delle forme di tipo I sono state descritte in corso di: LES, crioglobulinemie miste essenziali; antigenemia da virus dell'epatite B, dove è peraltro più frequente la GN membranosa, e da virus dell'epatite C; shunt ventricolo-vascolare o protesi vascolare infetti; endocardite batterica o da infezioni viscerali (queste ultime lesioni possono guarire con la risoluzione del processo infettivo); uso cronico di stupefacenti; schistosomiasi. In singoli casi di candidosi, di melanoma e di abuso di stupefacenti sono state identificate lesioni di tipo II, e sono stati talora evidenziati antigeni specifici a livello glomerulare. GLOMERULONEFRITI A LESIONI MINIME __________________________________________________ Sono definite dall'associazione di una proteinuria, spesso di ordine nefrosico, con un reperto glomerulare normale, o con lesioni minime alla MO (lieve proliferazione delle cellule mesangiali; modesto aumento della matrice mesangiale), senza depositi di immunoglobuline e di frazioni del complemento all'immunofluorescenza. La ME mette in evidenza, come uniche alterazioni, l'appiattimento e la scomparsa dei pedicelli delle cellule podocitarie. __________________________________________________ Figura nel 10-30% dei casi di s. nefrosica dell'adulto, ed è la causa più frequente di quella dell'infanzia. Le lesioni primitive sono le più comuni; forme secondarie sono associate a malattie neoplastiche o conseguono a somministrazione di farmaci. EZIOLOGIA E PATOGENESI - E' sconosciuta. Secondo un'ipotesi non dimostrata ne sarebbero responsabili linfochine dotate di capacità permeabilizzante a livello glomerulare o citotossiche sul podocita cui è demandata la produzione di proteoglicani, indispensabili per un normale controllo della permeabilità della membrana basale.Una s. nefrosica con lesioni isolate dei podociti è riproducibile sperimentalmente con la somministrazione di adriamicina o di puromicina. ANATOMIA PATOLOGICA - Alla MO i glomeruli appaiono normali o mostrano, al più, un modesto aumento del numero delle cellule mesangiali o della matrice. E' frequente una vacuolizzazione da deposizione lipidica dei tubuli convoluti prossimali, le cui cellule contengono spesso gocce ialine. E' frequente l'edema dell'interstizio. L'IF è per definizione negativa, ma depositi mesangiali e parietali di IgM e C3 in tracce sono riscontrabili nel 20-30% dei casi. Alla ME si dimostrano podociti con un appiattimento dei pedicelli che tendono a scomparire, cosicché il loro citoplasma si adagia in maniera continua su una membrana basale di aspetto normale. Il fenomeno, impropriamente definito fusione dei pedicelli, può essere generalizzato o focale; i pazienti con proteinuria isolata non di ordine nefrosico, hanno alterazioni meno gravi e diffuse di quelli con s. nefrosica conclamata.

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QUADRO CLINICO - L'esordio clinico può essere immediatamente preceduto da un'infezione delle vie aeree superiori (25-30% dei casi) o da fenomeni allergici. La maggioranza dei pazienti ha una s. nefrosica classica, che non di rado compare in pochi giorni ed è di notevole gravità, con proteinuria anche superiore a 20 g/die. La proteinuria, soprattutto nel bambino, è molto selettiva. E' in genere evidente una lipuria libera, in cellule (corpi ovali grassi) o in cilindri; la cilindruria è abbondante. La pressione arteriosa è in genere normale ma, tra gli adulti, un'ipertensione non è rara. Nei casi più tipici i valori del filtrato glomerulare sono normali o anche elevati, ma è possibile la comparsa di un'insufficienza renale, in genere in una fase di acuzie. I livelli dell'albuminemia sono spesso molto depressi; quelli di colesterolo totale, VLDL e trigliceridi sono elevati. Una riduzione delle IgG, non correlata con le perdite urinarie, è comune, ed è talora associata ad una diminuzione delle IgA; è frequente un aumento delle IgE e delle IgM. La riduzione delle IgG e delle IgA potrebbe essere secondaria ad un'iposintesi, attribuita ad un'azione di linfociti T suppressor. I livelli di plasminogeno e di antitrombina III sono depressi e contribuiscono all'ipercoagulabilità che può essere causa di tronbosi venose e di embolie polmonari. Il profilo complementare è in genere normale. DIAGNOSI E DIAGNOSI DIFFERENZIALE - La maggioranza dei bambini con s. nefrosica, normocomplementemia, proteinuria molto selettiva, ematuria assente o minima, risponde alla corticoterapia; sino al 95% dei casi presenta una gn a lesioni minime. Questo comportamento rende superflua, in età pediatrica, la biopsia renale nei pazienti con queste caratteristiche, e permette di considerare come affidabile una diagnosi basata su parametri clinico-laboratoristici, riservando la biopsia ai casi corticoresistenti o, eventualmente, corticodipendenti. Nell'adulto la diagnosi è affidata alla biopsia. EVOLUZIONE E PROGNOSI - Il 25-50% dei pazienti con risposta positiva alla corticoterapia presenta almeno una ricaduta. In alcune serie, a 5 anni il 50% dei casi ha presentato frequenti recidive, che non riducono tuttavia le probabilità di guarigione. La risposta alla corticoterapia è simile nel bambino e nell'adulto, ma in quest'ultimo può essere più ritardata. La progressione verso l'insufficienza renale è rara. INDIRIZZI DI TERAPIA - La maggior parte degli schemi proposti per il trattamento della gn a lesioni minime ha in comune l'impiego dei corticosteroidi come farmaci di prima scelta, con dosi di 1 mg/kg/die di prednisone per l'adulto (50-80 mg/die) e di 1-2 mg/kg/die (o 60 mg/m2/die) per i bambini. La somministrazione può essere in dosi suddivise o in dose singola, al mattino. Il prednisone può essere sostituito con analoghi. La dose iniziale è in genere mantenuta per qualche settimana. La terapia di mantenimento prevede la riduzione scalare dello steroide, somministrato giornalmente, o meglio a giorni alterni, per alcune settimane o mesi dopo la scomparsa della proteinuria: quest'ultimo schema è preferenziale nei casi con recidive. Nei casi corticoresistenti ed in quelli corticodipendenti, con netto aumento della proteinuria ogni volta che si scende al di sotto di un certo dosaggio, o con almeno 4-5 ricadute in successione a breve distanza dall'interruzione della corticoterapia, si ricorre alla ciclofosfamide o al clorambucile, che possono consentire risultati brillanti. In casi corticoresistenti o corticodipendenti è stata ottenuta una risposta soddisfacente con la ciclosporina A; in corso di trattamento è stata segnalata una riduzione della filtrazione glomerulare, lieve o moderata, reversibile alla cessazione della terapia; una ciclosporino-dipendenza è frequente. In casistiche limitate sono stati utilizzati con successo anche altri immunodepressori Nel singolo paziente la risposta alla corticoterapia è imprevedibile. In particolare è possibile: una risposta positiva già entro i primi giorni; una risposta positiva ritardata; nessuna o numerose ricadute; una corticodipendenza o corticoresistenza dall'esordio od acquisita. GLOMERULONEFRITI A LESIONI MINIME SECONDARIE Sono state riferite in linfomi, per lo più di Hodgkin; in presenza di carcinomi renali a cellule chiare e di oncocitomi renali; durante la somministrazione di antiinfiammatori non steroidei (fenoprofene - per il quale è stato riportato il maggior numero di casi - naprossene, indometacina, sulindac, tolmetina, zomepirac, fenilbutazone, piroxicam, ibuprofen, fenclofenac, diclofenac, aclofenac), di alcuni antibiotici (penicillina, rifampicina, ampicillina, cefalosporine), di altri farmaci (D-penicillamina, tiopronina, metimazolo, interferon, sali di litio, sali d'oro) e dopo esposizione al mercurio. GLOMERULOSCLEROSI FOCALE __________________________________________________ E' caratterizzata dall'associazione di proteinuria, spesso di ordine nefrosico, con una scleroialinosi glomerulare focale, abitualmente segmentaria ma talora, soprattutto nei casi avanzati, globale e con depositi di IgM. __________________________________________________ La glomerulosclerosi focale rende conto del 15-20% delle sindromi nefrosiche primitive dell'adulto e del 3-15% di quelle del bambino. Ne possono essere affetti individui di tutte le età; nel bambino è la causa principale di s. nefrosica corticoresistente. Vi è una modesta prevalenza maschile.

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Lesioni istologiche del glomerulo analoghe a quelle delle forme primitive sono riscontrabili in numerose altre nefropatie glomerulari, vascolari, interstiziali, nel rene unico, come lesioni de novo nel rene trapiantato, in eroinomani ed in soggetti affetti da AIDS (forme secondarie). EZIOLOGIA E PATOGENESI - Alcuni Autori considerano un'origine unitaria per la glomerulosclerosi focale primitiva e la gn a lesioni minime; in questo caso sarebbero responsabili gli stessi fattori già discussi per quest'ultima nefropatia e che qui avrebbero effetto lesivo maggiore. E' possibile inoltre un'alterazione primitiva della permeabilità glomerulare cui conseguirebbero, oltre alla proteinuria, un sovraccarico mesangiale di macromolecole e fenomeni di denudazione della membrana basale da distacco di podociti, con sclerosi. ANATOMIA PATOLOGICA - Le lesioni evidenziate dalla MO hanno una distribuzione focale: almeno inizialmente buona parte dei glomeruli è indenne o mostra soltanto un lieve aumento della cellularità. In genere, i primi interessati sono i glomeruli profondi, iuxtamidollari: la lesione più caratteristica è rappresentata da una sclerosi segmentaria, spesso alla periferia del lobulo, dovuta alla combinazione di aumento della matrice mesangiale, con perdita della cellularità, e di collasso delle anse capillari. Sono frequenti in queste aree cellule schiumose, di probabile natura macrofagica. Atrofia tubulare focale, ispessimento della membrana basale tubulare e fibrosi interstiziale sono contemporanei all'interessamento glomerulare e divengono ben evidenti con il progredire della malattia. L'IF evidenzia IgM nelle aree colpite da scleroialinosi; C3 compare in oltre il 50% dei casi. Possono essere contemporaneamente presenti C1q e C4; le IgG sono in genere assenti o con positività inferiore a quella delle IgM; IgM e C3 possono essere osservati nelle pareti arteriolari, in corrispondenza di alterazioni ialinosiche. Alla ME si osserva, nelle porzioni di flocculo non sclerotiche, un diffuso appiattimento dei pedicelli dei podociti, simile a quello della gn a lesioni minime. Alterazioni del rivestimento podocitario della membrana basale, in corripondenza delle quali si formano successivamente le aree sclerotiche, sembrano costituire la lesione iniziale della malattia. QUADRO CLINICO - La presentazione clinica più comune è una s. nefrosica con caratteristiche cliniche ed umorali simili a quelle della gn a lesioni minime, pur con una maggiore frequenza di microematuria, di proteinuria non selettiva, di compromissione funzionale e di ipertensione arteriosa. Sono anche possibili una s. nefritica acuta o una proteinuria isolata. DIAGNOSI - E' bioptica. Data la localizzazione preferenziale in sede iuxtamidollare delle lesioni iniziali, una biopsia che comprenda soltanto glomeruli corticali può non consentire una diagnosi differenziale dalla gn a lesioni minime. La presenza di aree di sclerosi interstiziale, con atrofia tubulare di discreta entità, in una biopsia compatibile con una gn a lesioni minime, deve indurre il sospetto che si tratti di una sclerosi focale. A diagnosi accertata, si richiede l'identificazione delle forme secondarie. EVOLUZIONE E PROGNOSI - Negli adulti la sopravvivenza renale attuariale è di circa il 75% a 5 anni. Esiste però un sottogruppo ad andamento rapidamente sfavorevole. La recidiva, anche precoce, dopo trapianto di rene è molto frequente. INDIRIZZI DI TERAPIA - E' simile a quella della gn a lesioni minime. I risultati sono tuttavia molto meno favorevoli: una remissione completa o parziale della proteinuria è ottenuta in almeno un terzo dei casi, per quanto con un'alta frequenza di recidive e di corticodipendenza. Risultati positivi possono talora essere ottenuti con la ciclosporina A, peraltro con frequenti ricadute; sono state segnalate evoluzioni sfavorevoli, dovute ad un peggioramento delle lesion interstiziali, che rendono di massima pericoloso questo trattamento. GLOMERULOSCLEROSI FOCALI SECONDARIE Una sclerosi glomerulare focale è stata descritta in nefropatie glomerulari, interstiziali, vascolari, in pazienti con rene unico, in soggetti obesi e nel rene trapiantato.L'interesse per l'associazione di questo tipo di lesione ad altre malattie renali è stato accentuato dalle ricerche sui meccanismi di evoluzione non immunologica delle nefropatie. GLOMERULONEFRITE MESANGIALE CON DEPOSITI DI IgM Un numero limitato di pazienti affetti da s. nefrosica o con proteinuria isolata, in genere non selettiva (in questi casi l'ematuria è in genere assente o di moderata entità), presenta un reperto bioptico caratterizzato, alla MO, da una proliferazione mesangiale per lo più lieve o moderata e, all'IF, da depositi di IgM e C3, associati o isolati, mesangiali e talora parietali. La ME mette in evidenza una diffusa scomparsa dei pedicelli e piccoli depositi mesangiali. Mentre per alcuni si tratta di una nefropatia con caratteristiche definite, differente dalle gn a lesioni minime e dalla glomerulosclerosi focale, secondo altri ne costituisce una variante. L'immunoterapia ottiene in genere risultati meno positivi di quelli abituali nelle glomerulonefriti a lesioni minime, con un'elevata frequenza di recidive e di corticodipendenza.

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Gn a lesioni minime, glomerulosclerosi focale e gn mesangiale con depositi di IgM. Singole entità anatomocliniche o presentazioni diverse di una stessa malattia? Le due eventualità sono in discussione. Per chi sostiene che si tratti di entità anatomocliniche distinte, sono da valorizzare le differenze dei reperti anatomopatologici, della risposta alla corticoterapia e dell'evoluzione, ed il fatto che le recidive di glomerulosclerosi focale dopo trapianto di rene presentano sin dall'inizio lesioni simili a quelle della forma primitiva. Inoltre la maggior parte delle gn a lesioni minime non evolve verso la glomerulosclerosi focale. Per i sostenitori della teoria unitaria, si tratta invece di malattie con patogenesi comune e che differiscono nella gravità e nell'espressione anatomoclinica. In questa accezione alcuni riuniscono sotto la denominazione comune di nefrosi lipoidea il capitolo che comprende la gn a lesioni minime, la glomerulosclerosi focale e la gn proliferativa mesangiale con depositi di IgM.

GLOMERULONEFRITI SECONDARIE NEFROPATIA LUPICA __________________________________________________ Il termine di nefropatia lupica comprende numerosi tipi di lesioni renali con differenti espressioni cliniche, la cui prevalenza in corso di lupus erithematosus sistemico (LES) è di oltre il 90% in casistiche bioptiche od autoptiche. Una nefropatia apparentemente isolata può essere la prima manifestazione clinica del LES. __________________________________________________ PATOGENESI - Esiste in questa malattia la produzione di un'ampia varietà di autoanticorpi verso antigeni solubili e strutture cellulari dell'organismo e contro antigeni esogeni. Anticorpi circolanti anti-membrana basale glomerulare sono stati segnalati in un certo numero di casi con immunofluorescenza lineare; sono anche osservate lesioni tubulo-interstiziali, isolate o prevalenti su quelle glomerulari, con presenza di anticorpi anti-membrana basale tubulare. Un ruolo di rilievo nella patogenesi del danno multiorganico del LES è oggi attribuito alla presenza di immunocomplessi a costituzione IgG, depositati dal circolo o montati "in situ". Nei glomeruli, come nel siero, il sistema di immunocomplessi più rappresentato è probabilmente costituito da DNA e dai rispettivi anticorpi anti-DNA; sono stati inoltre ritrovati anticorpi anti-ribonucleoproteine (SL, Ro, La) ed immunoglobuline IgM o IgG dirette contro IgG, presenti anche in crioprecipitati. Il montaggio locale degli immunocomplessi sarebbe conseguenza dell'impianto del DNA sulla membrana basale glomerulare, favorito da un'affinità strutturale, o dalla sua natura cationica. Un certo rilievo potrebbe avere anche la compromissione del sistema monocito-macrofagico, i cui elementi intervengono nella clearance immune, e che è stata riferita ad un blocco da sovraccarico; esistono indizi anche a favore della presenza di un'alterazione primitiva dei recettori Fc di queste cellule, fondamentali per la clearance degli immunocomplessi. In alcuni casi sembra anche entrare in gioco un deficit congenito di uno o più fattori del complemento (C1, C2, C3, C4), che può esprimersi con un'inadeguata risposta ad infezioni, soprattutto virali, e con un alterato smaltimento di immunocomplessi. L'esistenza di più classi di immunocomplessi, con differenti caratteristiche fisico-chimiche e di catabolismo, prevalenti in diverse fasi della malattia, giustifica la comparsa di lesioni renali molto diverse e il fatto che, in uno stesso paziente, si possano osservare modificazioni, spontanee o sotto terapia, del tipo istologico. __________________________________________________ ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDICI Tra i numerosi anticorpi riscontrabili nel LES sono particolarmente importanti quelli antifosfolipidici, gruppo eterogeneo di anticorpi, in genere di classe IgG o IgM o più raramente IgA, le cui specificità non sono interamente note; alla loro attività anticardiolipinica, che può essere messa in evidenza con un test immunologio specifico), si deve la falsa positività biologica per il test della sifilide (falsa positività della reazione di Bordet-Wasserman); all'interferenza con varie reazioni coagulatorie fosfolipidi dipendenti è legata la cosiddetta "attività anticoagulante lupica" (La). Si ritiene che, per quanto strettamente correlati, gli anticoagulanti lupici siano distinti da quelli anticardiolipinici. La presenza di anticoagulanti lupici è stata associata ad una serie di manifestazioni cliniche, ed in particolare a trombosi venose ed arteriose in numerosi organi e sistemi (a differenza che in vitro, in vivo esiste una pericolosa condizione trombofila) e ad aborti multipli, che definiscono la "sindrome da antifosfolipidi" (SALP), definita da fenomeni trombotici e/o da aborti ripetuti. La SALP è ritrovata in una percentuale importante di soggetti affetti da LES, ed inoltre può essere associata ad altre connettiviti, a neoplasie ed emopatie maligne, ad assunzione di farmaci o presentarsi in un contesto primitivo. Negli ultimi

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anni questa sindrome si è arricchita della descrizione di manifestazioni cardiache (valvulopatie, coronaropatie), neurologiche (demenza secondaria ad infarti cerebrali iterativi, corea, mielopatia, emicrania), dermatologiche (livedo, necrosi cutanea), endocrine (insufficienza surrenalica secondaria a trombosi venosa); essa può anche presentarsi con un quadro complesso di insufficienza poliviscerale acuta secondaria a trombosi multiple (sindrome catastrofica). Il La è stato dimostrato compromettere la produzione da parte dell'endotelio di prostaciclina, di inibire l'attivazione della proteina C da parte delle cellule endoteliali, di aumentare la produzione piastrininca del Trombossano A2, e di aumentare l'attività procoagulante. __________________________________________________ ANATOMIA PATOLOGICA - Gli aspetti istologici delle lesioni renali lupiche possono mimare quelli di gran parte delle nefropatie primitive. La variabilità delle lesioni istologiche è rilevabile anche da glomerulo a glomerulo per cui, in uno stesso frammento bioptico, possono talora essere riscontrate lesioni molto diverse. La frequenza di trasformazioni nel tempo da un tipo di lesione glomerulare ad un altro sarebbe superiore al 20%. __________________________________________________ In microscopia ottica si distinguono sei quadri istologici: I) rene normale o con alterazioni minime; II) alterazioni mesangiali isolate; III) glomerulonefrite proliferativa focale e segmentaria; IV) glomerulonefrite proliferativa diffusa; V) glomerulonefrite membranosa; VI) lesioni avanzate sclerotiche o di difficile classificazione. Sono anche da ricordare le lesioni tubulo-interstiziali e quelle vascolari, arteritiche, che raramente si ritrovano isolate. __________________________________________________ L'immunofluorescenza rivela una netta positività: più rappresentate sono d'abitudine le IgG, molto frequentemente accanto ad IgM e ad IgA. Sono costanti le diverse frazioni del complemento, comprese quelle precoci (C1q e C4); il fibrinogeno è incostante. I depositi di complemento e di immunoglobuline possono essere granulari, a zolle o, più raramente, lineari. I depositi granulari sono prevalentemente mesangiali nelle classi I e II (lesioni minime e mesangiali isolate); parietali, soprattutto subendoteliali, e mesangiali nelle classi III e IV (lesioni proliferative focali e diffuse); prevalentemente parietali subepiteliali nella classe V (lesioni membranose). I depositi subendoteliali, nelle classi III e IV, possono essere così ricchi da formare uno spesso strato, continuo o discontinuo, al di sotto dell'endotelio, conferendo alle anse glomerulari un aspetto a fil di ferro; i depositi subepiteliali sono invece in genere piccoli e granulari. Depositi granulari sono frequentemente osservabili anche lungo le membrane basali tubulari e nella parete dei vasi. La microscopia elettronica conferma la frequente localizzazione contemporanea di depositi in più sedi rispetto alla membrana basale: il reperto è raro nelle affezioni glomerulari primitive. In una ridotta percentuale di casi la microscopia elettronica dimostra anche depositi figurati ad impronta digitale (finger prints), abbastanza caratteristici ma non specifici, ed inoltre particelle tubulari simil-virali e depositi colonnari che si approfondano nelle membrane basali. QUADRO CLINICO E DATI DI LABORATORIO - Nei casi più tipici le manifestazioni renali si presentano variamente associate a quelle generali, cutanee, mucose, articolari, cardiopolmonari, epatiche e neurologiche. Sono riscontrabili tutte le sindromi cliniche nefrologiche: dalle anomalie urinarie isolate alle sindromi nefrosica e nefritica, ora ad andamento torpido, ora rapidamente evolutivo verso l'insufficienza renale. In caso di interessamento multisistemico, il sospetto diagnostico è più facile, e l'accertamento trova un valido supporto in criteri di diagnosi, come quelli proposti dall'American Rheumatism Association (ARA). Non è raro tuttavia che la nefropatia si presenti in un contesto clinico sospetto, ma senza elementi sicuri, o anche del tutto aspecifico. Nei casi attivi si riscontrano una VES elevata, un aumento policlonale delle gammaglobuline specie delle IgG, frequentemente associati a leucopenia, anemia, piastrinopenia ed a turbe della coagulazione. Indispensabile per la conferma diagnostica è la ricerca degli anticorpi antistrutture nucleari, genericamente definiti come ANA (antinuclear antibodies), dei fattori antinucleo (FAN), delle cellule LE, e soprattutto degli anticorpi anti-DNA; questi markers, tuttavia, non sono sempre presenti al primo accertamento. In gran parte dei casi attivi sono dimostrabili elevati livelli sierici di immunocomplessi a costituzione IgG. Non è rara la presenza di crioglobuline. Nelle fasi attive della malattia, il C3 ed il C4 sono ridotti. Le alterazioni coagulatorie vanno dall'ipo- all'ipercoagulazione. Le piastrine possono essere il bersaglio di autoanticorpi specifici. DIAGNOSI - La diagnosi di LES e di nefropatia lupica non presenta in genere difficoltà nei casi a sintomatologia completa. Una sintomatologia sufficiente alla diagnosi può, tuttavia, comparire solo mesi o anni dopo le prime manifestazioni (nella nostra casistica ciò si è verificato nel 25% dei pazienti). Nella pratica nefrologica si può ritenere giustificata una diagnosi di nefropatia lupica quando, in presenza di anticorpi anti-DNA a livelli significativi, la biopsia renale dimostri l'esistenza di lesioni classificabili in una delle categorie dell'OMS. Il riscontro di elementi bioptici sospetti con dati sierologici negativi, dovrà indurre ad una sorveglianza immunologica protratta. EVOLUZIONE E PROGNOSI - L'evoluzione a lungo termine della malattia lupica è notevolmente variabile, con stabilizzazioni prolungate anche senza terapia o con aggravamenti progressivi e repentini. In linea generale, l'evoluzione delle lesioni minime, di quelle mesangiali isolate (classi I e II) è benigna. Le lesioni membranose (classe V) non hanno, di solito,

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tendenza ad una rapida progressione. La storia naturale delle lesioni proliferative è infausta: peraltro sotto terapia, per le quelle diffuse, ci si può attendere una sopravvivenza renale attuariale a 5 anni superiore al 50%, ed alcune casistiche riportano risultati ancora migliori. LUPUS E GRAVIDANZA - Nel LES, ed in particolare nelle nefriti lupiche, la probabilità che la gravidanza sia condotta regolarmente a termine è ridotta a circa il 35%. Particolarmente frequenti sono le riacutizzazioni delle manifestazioni renali ed extrarenali: tuttavia in questa evenienza cortisonici e citostatici possono migliorare il quadro clinico e permettere un aumento della percentuale di sopravvivenza fetale. TERAPIA - Le glomerulonefriti lupiche a lesioni minime, quelle mesangiali (classe I e II) e spesso anche le membranose senza proteinuria intensa possono essere trattate con dosi di cortisonici analoghe a quelle sufficienti a controllare gli eventuali sintomi sistemici (in genere 15-30 mg/die di prednisone). Nelle forme proliferative focali e diffuse (classi III e IV) gli steroidi vengono in genere somministrati a dosi di attacco di 1-1.5 mg/kg/die, per lo più in un'unica somministrazione giornaliera. In alternativa possono essere impiegati boli endovenosi (0.3-1 g di metilprednisolone, per 3 o più giorni successivi), seguiti da dosaggi più contenuti (25-30 mg/die di prednisone). Una terapia di questo tipo viene anche utilizzata nelle glomerulonefriti membranose (classe V) con proteinuria intensa. Quando si siano raggiunti un miglioramento ed una stabilizzazione, le dosi degli steroidi sono ridotte lentamente, fino ad una dose di mantenimento di 10-15 mg/die, che sembra proteggere da riacutizzazioni la maggior parte dei casi. In associazione ai corticosteroidi, nel trattamento iniziale delle glomerulonefriti lupiche di maggior gravità, viene largamente impiegata l'azatioprina (in genere alla dose di 100-150 mg/die) o, soprattutto, la ciclofosfamide (100-150 mg/die). Risultati favorevoli sono stati segnalati da alcuni AA con la Ciclosporina A. L'allontanamento di autoanticorpi, immunocomplessi, mediatori della flogosi e la possibilità di sbloccare un sistema reticolo-endoteliale saturato costituiscono le principali basi teoriche per l'impiego, nelle forme di maggior gravità, della plasmaferesi, in associazione a corticosteroidi e immunodepressori. Esitono peraltro divergenze sulla reale efficacia di questo impiego. Con terapie combinate, anche insufficienze renali gravi e conclamate, da lesioni proliferative floride, sono spesso compatibili con riprese funzionali soddisfacenti. Nell'insufficienza renale cronica irreversibile, il trattamento dialitico regolare può consentire risultati a distanza nettamente favorevoli; non è raro che le manifestazioni cliniche extrarenali diventino quiescenti dopo l'inizio del trattamento dialitico. Il trapianto di rene permette spesso prolungate sopravvivenze. La comparsa di lesioni lupiche nel rene trapiantato con conseguente perdita successiva del rene non è comune. SINDROME DI GOODPASTURE __________________________________________________ E' caratterizzata dall'associazione di una glomerulonefrite proliferativa, spesso di tipo rapidamente progressivo, con positività lineare all'immuofluorescenza lungo le membrane basali glomerulari; emorragia polmonare intraalveolare; produzione di anticorpi contro la membrana basale glomerulare. __________________________________________________ E' più frequente nel sesso maschile; tutte le età possono essere colpite. Vi sarebbero oscillazioni stagionali, con un massimo in primavera. EZIOLOGIA E PATOGENESI - Non è raro che la malattia sia preceduta da un'infezione delle vie respiratorie, con sindromi simil-influenzali e che il paziente sia un fumatore. Talora è stata messa in evidenza un'esposizione a vapori di idrocarburi, solventi di vernici e sgrassanti, a fumi di origine industriale, a polveri di vario tipo, erbicidi e pesticidi, a spray e a prodotti per ondulazione dei capelli o a traumi. Gli anticorpi anti-membrana basale sembrano essere diretti contro un epitopo, o un gruppo di epitopi strettamente correlati, sulla superficie del gruppo carbossilico terminale (NC-1) del collageno di tipo IV. La patogenesi di questa sindrome è sconosciuta: è possibile che una noxa infettiva, chimica o traumatica, esponga a livello renale o polmonare un antigene della membrana basale normalmente segregato, con produzione di anticorpi capaci di legarsi alle membrane basali dei glomeruli, della capsula di Bowman, dei tubuli, degli alveoli polmonari, dei plessi corioidei, e della coclea. Non è raro che gli anticorpi circolanti anti-membrana basale possano essere messi in evidenza solo dopo la comparsa dei primi segni polmonari, e già in presenza di un evidente reperto di immunofluorescenza lineare lungo le membrane basali; non vi è corrispondenza tra reperti sierici e tissutali ed inoltre i livelli degli anticorpi circolanti non sono correlabili alla prognosi delle lesioni renali e polmonari. La riduzione dei loro livelli sierici dopo plasmaferesi e terapia immunodepressiva è un segno prognostico favorevole, se le lesioni renali non sono ormai irreversibili. Anche nei soggetti non trattati la produzione di anticorpi sembra limitata nel tempo e, dopo un certo numero di mesi, tende a scomparire; contemporaneamente l'attività della malattia si spegne. ANATOMIA PATOLOGICA - Le lesioni renali sono prevalentemente glomerulari proliferative, con reperti che vanno da alterazioni mesangiali focali sino a lesioni diffuse, talora con necrosi e proliferazione extracapillare. E' frequente un'infiammazione interstiziale acuta; lesioni vasculitiche sono rare.

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Lo studio in immunofluorescenza mette in evidenza reperti lineari, positivi per IgG, in una minoranza di casi contemporaneamente per IgA e IgM. La positività interessa le membrane basali glomerulari, della capsula di Bowman e dei tubuli renali. E' frequente, ma non costante, una positività glomerulare per il C3, lineare o granulare. QUADRO CLINICO E DATI DI LABORATORIO - La sindrome può avere un esordio acuto, con febbre, tosse, malessere; può comparire dopo un periodo di settimane o mesi di malessere, dimagramento, frequenti cefalee, o insorgere in apparente benessere, o ad una certa distanza dalla scoperta di un'anomalia urinaria isolata. Non è raro che l'esordio sia preceduto da una sindrome clinica di tipo simil-influenzale. Le manifestazioni cliniche polmonari precedono in genere di settimane o di mesi quelle renali, o compaiono contemporaneamente ad esse; la sintomatologia più importante a carico dell'apparato respiratorio è costituita da emottisi, talora con insufficienza polmonare, anche mortale. La tosse è quasi costante; l'esame radiografico indica la presenza di opacità, talora massive e bilaterali, che in genere risparmiano gli apici e le regioni sopradiaframmatiche. Sono anche possibili emorragie polmonari senza emottisi, la cui presenza può essere suggerita solo da intenso pallore e diminuzione dell'ematocrito; nell'escreato sono frequentemente presenti macrofagi carichi di emosiderina. In presenza di emorragie alveolari, la diffusione polmonare dell'ossido di carbonio è in genere compromessa. Le manifestazioni cliniche di glomerulonefrite, che segnano l'esordio della sintomatologia solo in una minoranza di pazienti, sono spesso gravi, anche a tipo rapidamente progressivo. Non mancano presentazioni nefrologiche con alterazioni urinarie isolate, che possono peraltro successivamente aggravarsi. Le frazioni complementari sieriche sono in genere normali. Specie nei soggetti con più importanti emorragie polmonari, vi può essere un'anemia microcitica, ipocromica, sproporzionata rispetto all'entità della compromissione funzionale renale. Sono stati descritti rari casi di sindrome emolitico-uremica. Unico dato peculiare di laboratorio è la presenza di anticorpi circolanti anti-membrana basale, che può essere dimostrata con tecnica di immunofluorescenza indiretta o con radioimmunoassay, molto più sensibile della precedente. DIAGNOSI E DIAGNOSI DIFFERENZIALE - Il sospetto diagnostico è in genere clinico, ed è suggerito dal riscontro contemporaneo, o strettamente associato nel tempo, di lesioni renali e di emottisi, o di reperti compatibili con un'emorragia polmonare senza emottisi, senza altri segni di malattia sistemica, in particolar modo di vasculite, LES e crioglobulinemia mista essenziale. La conferma diagnostica viene dalla biopsia renale e dalla ricerca degli anticorpi circolanti anti-membrana basale. Non è invece praticata di routine la biopsia polmonare. A diagnosi eseguita è opportuna un'attenta ricerca di possibili fattori tossici, ambientali o professionali. EVOLUZIONE E PROGNOSI - L'evoluzione spontanea della malattia è in genere sfavorevole. Gravi episodi di emottisi non sono rari, e possono essere mortali (in passato fino al 30% dei pazienti moriva per la compromisione polmonare). In relazione alla diagnosi più frequente anche di forme lievi, ed alle nuove terapie la sopravvivenza attuariale del paziente e del rene sembra ora collocarsi intorno al 50% a 1 anno. Tuttavia ancor oggi solo un'esigua frazione dei pazienti con oligoanuria ricupera la funzione renale. TERAPIA - Qualora vi sia l'evidenza di un'esposizione a tossici inalati, si deve evitare accuratamente la ripetizione del contatto. La sola corticoterapia può controllare le manifestazioni polmonari, ma non quelle renali; specie nei casi con lesioni renali evidenti si ricorre abitualmente a trattamenti con prednisone (1 mg/kg/die) - eventualmente il trattamento iniziale può prevedere boli di metilprednisone - ciclofosfamide (2-3 mg/kg/die) e plasmaferesi intensive, proseguite per due o più settimane, in genere sino a quando gli anticorpi anti-membrana basale non siano più dimostrabili in circolo e l'evoluzione della malattia si arresti. La ricomparsa di immunofluorescenza lineare è riportata sino al 30% dei casi dopo trapianto di rene; la perdita dell'organo per lesioni istologiche gravi è tuttavia rara se il trapianto non è eseguito durante le fasi attive della malattia, mentre sono ancora presenti anticorpi circolanti anti-membrana basale. SINDROME DI SCHŒNLEIN-HENOCH __________________________________________________ Le lesioni renali della sindrome di Schœnlein-Henoch sono classificate tra le glomerulonefriti a depositi prevalenti di IgA; la loro incidenza in questa sindrome varia tra il 20 ed il 90%. __________________________________________________ EZIOPATOGENESI -Possono scatenare la malattia infezioni delle vie aeree superiori, farmaci (tetracicline, acido acetilsalicico, fenacetina, fenotiazine, penicillina, sulfamidici, eritromicina), punture di insetti, esposizione al freddo, alcuni alimenti. In analogia alla glomerulonefrite di Berger, la sindrome di Schœnlein-Henoch viene attualmente considerata come malattia da immunocomplessi IgA che si depositano nelle strutture vascolari e renali. Non è noto perché vi sia in questa affezione, a differenza che nella glomerulonefrite di Berger, un'evidente compromissione poliorganica, con interessamento cutaneo, articolare, addominale e renale: potrebbero entrare in gioco diversi livelli di

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immunocomplessi circolanti, una loro differente composizione antigenica o di sottoclasse IgA o un differente intervento di mediatori bioumorali, ma i rapporti tra le due malattie sono ancora oggetto di discussione. E' da ricordare l'esistenza in questa sindrome di un particolare tipo di ANCA, gli IgA-ANCA, il cui significato sembra peraltro limitato. ANATOMIA PATOLOGICA -Le lesioni glomerulari della sindrome di Schœnlein-Henoch riproducono quelle della glomerulonefrite di Berger, con maggior frequenza di quadri più gravi. Una proliferazione mesangiale diffusa è più frequente di quella focale; non è rara una proliferazione extracapillare. Necrosi fibrinoide o infiltrati perivascolari si ritrovano in circa 1/4 dei casi. L'immunofluorescenza dimostra una prevalenza di depositi di IgA, in genere abbondanti, in sede mesangiale e talora parietale (per lo più subendoteliale), spesso accompagnati da C3 ad analoga distribuzione. I depositi interessano sia i glomeruli lesi, sia quelli eventualmente indenni alla microscopia ottica; IgG e IgM sono di solito meno abbondanti, e possono mancare. Sono frequenti i depositi di fibrinogeno, talora particolarmente abbondanti. Non si ritrovano, di solito, frazioni precoci del complemento. La sintomatologia clinica nefrologica è polimorfa e riproduce quella della glomerulonefrite di Berger. Specie nell'adulto, una sindrome nefritica acuta con un andamento rapidamente progressivo verso l'insufficienza renale è abbastanza comune. In genere i sintomi renali seguono la comparsa di quelli extrarenali, per lo più entro un mese, ma possono raramente precederli. Nel giovane la sintomatologia poliorganica è spesso più evidente che nell'adulto. DIAGNOSI E DIAGNOSI DIFFERENZIALE - La diagnosi clinica è sufficientemente precisa quando un reperto urinario, indicativo per una patologia glomerulare, si presenta in un tipico contesto di interessamento poliorganico, cutaneo, articolare e addominale. La biopsia renale consente di definire che si tratta di una glomerulonefrite a depositi prevalenti di IgA, ma non è diagnostica, se avulsa dal contesto clinico, in quanto le lesioni sono sovrapponibili a quelle della glomerulonefrite di Berger. PROGNOSI - La completa scomparsa dei segni clinici extrarenali, abitualmente più fugaci, e renali della sindrome di Schœnlein-Henoch, dopo mesi o più spesso dopo 2-3 anni di malattia, è frequente. La sopravvivenza attuariale del rene in soggetti con età media inferiore a 20 anni è di circa il 90% a 10 anni, e a livelli di poco inferiori a 15 anni dall'esordio clinico. Come per la glomerulonefrite di Berger, anche in questa malattia esiste la possibilità di una rapida evoluzione sfavorevole. La prognosi nell'adulto è secondo alcuni Autori peggiore, secondo altri sovrapponibile a quella dei bambini. Può recidivare dopo trapianto di rene. TERAPIA - I corticosteroidi, attivi sulle manifestazioni articolari ed addominali, sembrano meno efficaci su quelle renali. Gli immunodepressori (in genere si preferisce la ciclofosfamide), riservati ai casi più gravi, sembrano permettere buoni risultati. La plasmaferesi, associata ai corticosteroidi ed alla ciclofosfamide, può essere utile nei casi ad andamento rapidamente progressivo con lesioni extracapillari. COMPROMISSIONE RENALE NELLE NEOPLASIE __________________________________________________ L'interessamento del rene in corso di neoplasie non primitivamente renali non è raro e può essere diretto o indiretto. Nell'ambito delle diverse neoplasie, la frequenza di coinvolgimento renale varia notevolmente. __________________________________________________ L'associazione più importante è quella con i mielomi: l'insufficienza renale costituiva, in era predialitica, la seconda causa di morte in corso di questa malattia. Al secondo posto per frequenza sono le associazioni con i carcinomi ed i linfomi, particolarmente quelli di Hodgkin: nel primo caso predominano le lesioni membranose e quelle proliferative, nel secondo è più frequente una glomerulopatia a lesioni minime. Esiste una non rara possibilità che nell'adulto la comparsa di una nefropatia preceda la sintomatologia clinica di una neoplasia anche di molti mesi (sino ad oltre un anno): questo fatto consiglia di ricercare sistematicamente la presenza di un tumore nei soggetti ultraquarantenni con una nefropatia apparentemente primitiva, specie se con proteinuria di rilievo. INTERESSAMENTO RENALE DIRETTO E' legato a metastasi, più frequentemente di carcinomi, od a fenomeni di infiltrazione. Non è raro un aumento di volume, globale o parziale dei reni, documentabile con indagini strumentali. Parte dei casi presenta ipertensione arteriosa, macroematuria, microematuria e/o proteinuria. Una compromissione funzionale di rilievo è rara; fanno eccezione alcune estese infiltrazioni bilaterali di linfomi, che possono determinare un'insufficienza renale. INTERESSAMENTO RENALE INDIRETTO Può causare sindromi nefrologiche gravi e talora è di difficile diagnosi. Può essere dovuto: 1) a fattori immunologici, con intervento di immunocomplessi (talora con caratteristiche di crioglobuline) o di autoanticorpi diretti contro strutture renali, o di altri mediatori non ancora identificati con sicurezza (interleuchine, altre linfochine, etc.); 2) alla produzione di catene leggere; 3) alla deposizione di amiloide; 4) a fattori metabolici (nefrocalcinosi; nefropatia uratica); 5) ad infezioni opportunistiche, batteriche o virali; 6) ad ostruzione, per invasione o compressione del bacinetto o degli ureteri, o per calcolosi

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urinaria secondaria; 7) a compressione delle vene o delle arterie renali; 8) a fattori emodinamici secondari ad uno shock; 9) ad una coagulazione intravascolare disseminata; 10) ad una sindrome epato-renale; 11) all'effetto di farmaci nefrotossici o di irradiazioni. Alcune neoplasie che producono mediatori od ormoni possono essere causa di disordini idroelettrolitici paraneoplastici. NEFROPATIE IMMUNOLOGICHE PARANEOPLASTICHE Sono stati descritti più tipi di lesioni: 1) glomerulonefriti membranose e proliferative di vario tipo; 2) glomerulopatia a lesioni minime 3) nefropatia amiloide. Il primo gruppo di glomerulonefriti paraneoplastiche è più frequentemente associato a carcinomi di qualsiasi tipo, pur con una predominanza di localizzazioni polmonari, gastriche, coliche; anche possibile è un'associazione con leucemie linfatiche croniche, con morbo di Waldenström o, molto raramente, con linfomi. Nel 70-90% di questi casi si ritrova una glomerulonefrite membranosa; seguono, in ordine di frequenza, glomerulonefriti rapidamente progressive, membranoproliferative e proliferative. In rapporto alla maggior frequenza di lesioni membranose la presentazione più comune di queste glomerulonefriti è con una sindrome nefrosica, o una proteinuria di rilievo. Recentemente sono stati descritti anche casi di glomerulonefrite con depositi prevalenti di IgA, associati a carcinoma (bronchiale, della lingua, pancreatico), ad epitelioma nasofaringeo, a liposarcoma retroperitoneale: la presentazione clinica è costituita da una microematuria, isolata od associata ad una proteinuria. Si ritiene generalmente che la patogenesi di questo gruppo di glomerulonefriti sia da immunocomplessi, circolanti (spesso dimostrabili in questi soggetti) o montati in situ. In alcuni casi è stato possibile identificare a livello glomerulare antigeni tumorali o carcinoembrionali; potrebbero però entrare in gioco anche antigeni tissutali non tumorali, antigeni virali o batterici da infezioni opportunistiche. E' possibile l'intervento di anticorpi anti-idiotipo. In alcune glomerulonefriti associate a neoplasie (specie nelle leucemie linfatiche croniche) sono presenti crioglobuline, che svolgono probabilmente un ruolo centrale nella patogenesi delle lesioni glomerulari. Le sindromi nefrosiche da glomerulopatia a lesioni minime paraneoplastica sono state descritte nel 60-80% dei casi in associazione con il morbo di Hodgkin, in genere come complicanza precoce. Altre associazioni con una nefropatia a lesioni minime sono state osservate in caso di linfomi non Hodgkin (nei quali sono più frequenti lesioni membranose o proliferative) e di carcinomi. E' di grande interesse l'osservazione di una remissione della nefropatia, contemporanea a quella della malattia causale. L'amiloidosi renale è stata descritta nel morbo di Hodgkin, in genere come complicanza tardiva, ma in questa malattia è ora virtualmente scomparsa: nei pochi casi studiati si trattava di amiloidosi AA. Associazioni con l'amiloidosi sono state descritte in corso di carcinomi del retto, del polmone, del collo uterino o dell'esofago, di morbo di Waldenström, di leucemie linfatiche croniche ed in un numero limitato di casi di ipernefroma. La presentazione più comune è con una proteinuria intensa, con o senza sindrome nefrosica, o più raramente con un danno tubulare elettivo. NEFROPATIA OSTRUTTIVA Può essere causata da neoplasie degli organi pelvici, delle vie urinarie o del retroperitoneo; talora si tratta di metastasi di neoplasie a carico di organi lontani. L'ostruzione unilaterale è in genere asintomatica. Quella bilaterale è spesso causa di insufficienza renale a rapida evoluzione, talora sino all'anuria, che può essere preceduta da un fase di poliuria intensa. ALTERAZIONI IDROELETTROLITICHE Numerose neoplasie che coinvolgono ghiandole endocrine o che producono sostanze ad attività ormonale o simil-ormonale, possono interferire con il ricambio idroelettrolitico. Sono inoltre possibili, e non rari, danni iatrogeni. IL RENE NELLE CRIOGLOBULINEMIE Le crioglobuline sono immunoglobuline che precipitano reversibilmente a basse temperature. Si possono ritrovare in corso di malattie mieloproliferative, di infezioni acute o croniche, batteriche o virali, di epatopatie, di malattie neoplastiche ed anche di glomerulonefriti primitive. In assenza di una chiara patologia di associazione, sono definite come idiopatiche. Si sta da tempo sospettando che nella crioglobulinemia mista essenziale le IgG policlonali, alle quali si legano le IgM policlonali (crioglobulinemia essenziale di tipo III) o le IgM monoclonali (crioglobulinemia essenziale di tipo II), siano a loro volta già legate ad un antigene, a formare un immunocomplesso, cosicchè l'IgM si comporta come un anticorpo antiimmunocomplesso. Un'esposizione al virus dell'epatite B era stato documentato in un certo numero di pazienti, ma non è stato confermato in casistiche più ampie. In relazione al riscontro di IgM contro antigeni capsulari ed in qualche caso di genoma EBV nei linfociti di pazienti con criglobulinemia essenziale di tipo II, era stata prospettata l'esistenza in questi casi di infezioni da Virus Epstein-Barr. Più recentemente, nel siero di pazienti con crioglobulinemia mista cosiddetta essenziale e secondaria, ma non in forme di tipo I, è stata rilevata una percentuale di positività molto elevata per anticorpi antivirus dell' epatite C, e nella crioglobuliemia cosiddetta essenziale di tipo II, con tecniche di trascrizione inversa e amplificazione del DNA, é stata documentata una

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prevalenza anche maggiore di RNA HCV. Uno studio ha in effetti dimostrato che, eliminando il fattore reumatoide M dal crioprecipitato con ditiotreitolo, la prevalenza di positività per anticorpi anti HCV aumentava dal 41 al 94%, suggerendo che gli anticorpi anti HCV, per quanto concentrati, rimanevano nascosti nel crioprecipitato. Queste indagini stabiliscono un'evidente associazione tra infezione da HCV e crioglobulinemia mista essenziale di tipo II e l'ipotesi di una relazione analoga può essere estesa alle crioglobulinemie essenziali di tipo III, ed a soggetti con crioglobulinemia mista secondaria. E' possibile che l'HCV, ed in misura minore anche l'HBV e l'EBV possano promuovere un disordine linfoproliferativo nei soggetti con crioglobulinemia mista con formazione di cloni cellulari producenti IgM mono o policlonali con attività di fattore reumatoide, e si può anche ipotizzare un eventuale effetto combinato di questi differenti virus. Poichè l'evidenza di infezione da HCV è estesa a tutti i tipi di crioglobulinemia mista, la presenza del virus nel crioprecipitato non è probabilmente rilevante ai fini di determinare la loro deposizione preferenziale nel glomerulo, che caratterizza le forme di tipo II. Se ne riconoscono 3 tipi. CRIOGLOBULINE DI TIPO I Sono immunoglobuline monoclonali di un singolo idiotipo: in ordine di frequenza si ritrovano IgM, IgG, IgA, e, più raramente, proteine di Bence-Jones; in genere si associano a malattie ematologiche: macroglobulinemia di Waldenström, mieloma multiplo, leucemie linfatiche, linfoma di Hodgkin e non-Hodgkin, policitemia vera. Possono causare sindromi di iperviscosità, lesioni necrotiche distali e manifestazioni emorragiche. Una compromissione renale è rara, ed è per lo più con una glomerulonefrite di tipo membranoproliferativo, con proteinuria ed ematuria, e talora insufficienza renale. CRIOGLOBULINE DI TIPO II Sono costituite da due immunoglobuline di tipo diverso, che formano un immunocomplesso: una delle due immunoglobuline è monoclonale ed è provvista di attività anticorpale diretta verso la seconda, che è policlonale. Sono stati descritti complessi IgG anti-IgG e IgA anti-IgG; ma quelli di più frequente riscontro sono IgM anti-IgG, con IgM monoclonali dirette contro il frammento F(ab)2 delle catene pesanti delle IgG, che sono policlonali. Almeno il 50% dei pazienti con crioglobulinemia mista essenziale ha segni di compromissione renale. Si tratta di lesioni glomerulari da immunocomplessi circolanti, capaci di attivare il complemento per la via diretta; potrebbe anche intervenire un montaggio locale. In genere le lesioni glomerulari sono proliferative, focali o diffuse, talora con aspetti di doppio contorno della membrana basale, a tipo membrano-proliferativo. Sono di frequente riscontro voluminosi trombi intraluminali e depositi subendoteliali che alla microscopia elettronica risultano in parte costituiti da caratteristiche strutture tubulari. I depositi subendoteliali, che in genere coesistono con quelli mesangiali, sono spesso numerosi e talora così ampi da sporgere ampiamente entro il lume capillare, con immagini di pseudotrombi. Anche frequente è un'estesa infiltrazione endoluminale, mesangiale e subendoteliale di monociti che talora sono i principali responsabili dell'ipercellularità glomerulare. Nel loro interno si ritrovano proteine di aspetto ultrastrutturale simile a quello delle crioglobuline. Coesistono spesso fenomeni arteritici, talora necrotizzanti. All'immunofluorescenza sono rilevabili, in forma granulare diffusa lungo le pareti capillari, nel mesangio ed all'interno dei trombi, depositi di IgM, IgG e di C1q, C3, C4. Occasionalmente possono essere messe in evidenza IgG od IgM isolate, in genere accompagnate da frazioni del complemento. La microscopia elettronica conferma la presenza di voluminosi depositi, prevalentemente subendoteliali, e di trombi capillari spesso a struttura figurata, che appaiono cilindrici od anulari a seconda della sezione. La microscopia elettronica consente inoltre di dimostrare l'eventuale presenza di monociti inglobanti crioglobuline, che sono un elemento molto caratteristico, specie delle forme acute. Si possono ritrovare anche glomerulonefriti extracapillari diffuse, membranose o con lesioni minime e vasculiti renali isolate, ma si tratta di reperti rari. La presentazione clinica nefrologica può essere quella di una sindrome nefritica acuta, talora rapidamente anurizzante, di una sindrome nefrosica, di una sindrome nefritica cronica, o anche di anomalie urinarie isolate. In circa l'80% dei casi sono presenti livelli elevati di crioprecipitati (>10 mg/ml) costituiti da IgM-k monoclonali, da IgG policlonali e da quote variabili di C1q, C4 e C3. E' sempre presente un'attività di fattore reumatoide, la VES è spesso elevata e, in qualche caso, sono presenti anticorpi anti-tessuto, soprattutto anti-muscolo liscio o, più raramente, anti-emazie. E' frequente un'anemizzazione sproporzionata al livello di insufficienza renale. Il mielogramma è normale o mostra un modesto incremento delle plasmacellule. Il profilo complementare è caratteristico, con un'attivazione della via classica, ed una riduzione del C1q e del C4, che è tra le più marcate riscontrabili in nefrologia. Il C3 è spesso normale, o solo modestamente ridotto; i livelli della frazione C3d sono frequentemente aumentati. TERAPIA - Un trattamento combinato con corticosteroidi, citostatici e plasmaferesi è generalmente riservato alle sindromi nefritiche acute o alle riacutizzazioni con compromissione funzionale importante. Con questi trattamenti sono frequenti remissioni durature. La terapia delle forme croniche è in genere affidata a basse dosi di steroidi, cui si possono associare, in occasione di segni certi di riacutizzazione, cicli di immunodepressori, in genere clorambucil. Nei casi stabilizzati, con reperti urinari modesti, gli steroidi possono essere eventualmente sostituiti da antiinfiammatori non steroidei, per il controllo della sintomatologia dolorosa articolare.

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Risultati positivi, talora con remissioni protratte della nefropatia, possono essere ottenuti con l’impiego dell’alfa interferon. CRIOGLOBULINE DI TIPO III Sono costituite da immunoglobuline IgM policlonali con attività anti-IgG policlonali o, più raramente, anti-IgA policlonali. Sono frequentemente associate a malattie virali (epatite virale C, mononucleosi, infezioni da citomegalovirus), parassitarie (tripanosomiasi), ad epatopatie croniche, collagenopatie (lupus eritematoso sistemico e vasculiti), a neoplasie e non sono eccezionali anche in corso di glomerulonefriti primitive. Possono peraltro rappresentare un'anomalia immunologica isolata. Nelle glomerulonefriti sono più frequenti in presenza di lesioni proliferative (specialmente di tipo acuto). IL RENE NELLE INFEZIONI __________________________________________________ In corso di infezioni, o più tardivamente dopo la loro apparente guarigione, non è eccezionale la comparsa di nefropatie non conseguenti ad una diretta localizzazione di agenti infettivi. Si tratta di una vasta gamma di lesioni, i cui rapporti con l'infezione sono in alcuni casi ben stabiliti, in altri ipotizzati. __________________________________________________ E' ormai accertato che glomerulonefriti acute, rapidamente progressive, membranose e membranoproliferative possono essere causate da una grande varietà di infezioni ed infestioni. Per altre glomerulonefriti (di Berger, a lesioni glomerulari minime, glomerulosclerosi focali) i rapporti sono controversi; riacutizzazioni intrainfettive sono tuttavia frequenti. Tra le forme secondarie hanno maggior importanza le glomerulonefriti che possono comparire in corso di endocardite batterica, in presenza di shunt atrio-ventricolari infetti, ascessi addominali, malaria, epatite virale e sifilide. Si tratta di malattie da immunocomplessi, circolanti o montati in situ, contenenti verosimilmente antigeni batterici, virali o parassitari. La dimostrazione di questi antigeni a livello glomerulare è tuttavia stata soltanto sporadica. Le lesioni glomerulari delle endocarditi batteriche sono state a lungo considerate come a patogenesi embolica ("glomerulonefrite focale embolica"); attualmente si ritiene che anche in queste circostanze sia in genere operante un meccanismo immunitario. Le infezioni degli shunt atrioventricolari (vi si ritrova spesso lo Staphylococcus Albus) sono più frequentemente causa di glomerulonefriti proliferative, focali o diffuse; sono state anche descritte lesioni di tipo membranoproliferativo o con proliferazione endo ed extracapillare. Un'analoga gamma di lesioni glomerulari può essere riscontrata nell'endocardite batterica subacuta, in quella acuta ed in presenza di ascessi addominali. Particolarmente in quest'ultima condizione non sono rari anche fenomeni di necrosi focale, ed un'estesa infiltrazione interstiziale di granulociti. Queste lesioni d'abitudine regrediscono con la guarigione dell'infezione causale. In corso di infezione da Plasmodium falciparum (terzana maligna) la lesione renale più frequente è l'insufficienza renale acuta da tubulonecrosi, ma non è rara una glomerulonefrite proliferativa mesangiale a depositi subendoteliali. Più varie sono le lesioni secondarie all'infezione da Plasmodium malariæ (quartana): il quadro più caratteristico è una glomerulonefrite, in genere con sindrome nefrosica, con un ispessimento, dapprima segmentario e poi diffuso, delle pareti capillari, con scarsa o nulla proliferazione. Alla microscopia elettronica la membrana basale appare "sfogliata" e racchiude delle lacune, che contengono talora materiale osmiofilo. L'evoluzione è verso la sclerosi glomerulare entro 3-5 anni. Nei soggetti con epatite cronica o portatori di antigene dell'epatite virale B, con o senza segni clinici e di laboratorio di compromissione epatica, può essere riscontrata una glomerulonefrite membranosa o membranoproliferativa tipo I, i cui reperti, alla microscopia ottica, all'immunofluorescenza ed alla microscopia elettronica, sono d'abitudine simili a quelli delle corrispondenti forme primitive. La presentazione clinica è varia: quella con proteinuria di rilievo, spesso di ordine nefrosico, è la più frequente. Per quanto concerne le nefriti interstiziali, sono ben conosciute quelle intrainfettive senza localizzazione diretta nel parenchima degli agenti causali (toxoplasmosi, morbillo, brucellosi, malattia dei legionari, etc.); è invece controversa l'esistenza di forme croniche di questo tipo. In seguito ad uno shock settico, può instaurarsi un'insufficienza renale acuta da tubulonecrosi o da coagulazione intravascolare disseminata. Una causa batterica o virale è ipotizzata per la panarterite nodosa; i rapporti con la sindrome di Schœnlein-Henoch sono discussi. COMPROMISSIONE RENALE E VIRUS DELL'EPATITE C Il virus dell'epatite C (HCV), un virus RNA identificato nel 1989, è una causa molto importante di epatite post trasfusionale e di alcune forme di epatite sporadica precedentemente definite con il termine generico di non A non B. Un'infezione persistente si verifca in circa il 50% dei pazienti e può causare epatite attiva, cirrosi ed è stata anche implicata in casi di carcinoma epatocellulare. L'infezione cronica da HCV è stata associata a numerose sindromi extraepatiche, tra le quali le crioglobulinemie miste e la panarterite nodosa, ed a nefropatie immunomediate, ed in particolare a glomerulonefrite endocapillare, a glomerulonefrite membranosa ed a glomerulonefrite membranoproliferativa, spesso, ma non costantemente, associate a criogobulinemia.

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Per quanto, al momento, non sia stato possibile dimostrare la presenza di antigeni HCV o di RNA nelle lesioni renali, è suggestivo ipotizzare che la patogenesi delle lesioni glomerulari possa essere legata alla deposizione di immunocomplessi contenenti HCV, IgG Anti-HCV e IgM con attività antiglobulinica. La prevalenza di lesioni renali tra i soggetti con infezione cronica da HCV non è nota, ma è probabilmente esigua; dai dati attualmente disponibili sembrerebbe comunque che l'associazione di infezione da virus C, crioglobulinemia e glomerulonefrite membranoproliferativa sia la presentazione più frequente. In un certo numero di casi un trattamento con interferon alfa consente di ottenere una riduzione della replicazione dell'HCV e un miglioramento della sintomatologia renale, con remissioni anche prolungate. COMPROMISSIONE RENALE IN CORSO DI INFEZIONE DA HIV Il coinvolgimento renale è, almeno in alcune aree, tutt'altro che eccezionale e può presentarsi con quadri clinici differenti. __________________________________________________ Principali presentazioni cliniche della compromissione renale in corso di infezione da HIV - insufficienza renale acuta (shock, disidratazione, in corso di patologia infettiva, da farmaci; sindrome emolitico uremica, etc) - squilibri del bilancio acido base ed idroelettrolitico (iponatriemia, ipo ed iperkaliemia, alcalosi metabolica, acidosi tubulare, ipomagnaesiemia) - infezioni dirette (batteriche; da micobatteri, tipici ed atipici; fungine, in particolare da criptococco ed aspergillo; virali, più frequenti da citomegalovirus) - glomerulonefriti intrainfettive - infiltrazioni (kaposi renale; linfoma, sarcoma, amiloidosi renale) - nefrite interstiziale acuta (per lo più iatrogena, descritta in particolare in corso di terapia con sulfamidici e trimetoprim- sulfametossazolo e con antiinfiammatori non steroidei). - nefriti interstiziali croniche (a verosimile patogenesi multifattoriale) nefrocalcinosi - nefropatie associate all'eroina - altre nefropatie concomitanti (diabete, rene policistico etc) - glomerulosclerosi focale e segmentaria - altri tipi di danno glomerulare: mesangiale, mesangioproliferativo __________________________________________________ Tra i differenti tipi di compromissione renale, si riconosce l'esistenza di una nefropatia glomerulare legata all'AIDS, con caratteristiche relativamente ben definite. NEFROPATIA GLOMERULARE CORRELATA ALL'AIDS Principali caratteristiche: 1) Aspetto istologico simile alla glomerulosclerosi focale e segmentaria, con alcune peculiarità: collasso glomerulare; minima ialinosi glomerulare ed aumento relativamente scarso della matrice; importante ipertofia e degenerazione delle cellule epiteliali; diffusa ed evidente dilatazione microcistica dei tubuli, con ampi cilindri, degenerazione tubulare ed edema interstiziale; il quadro interstiziale può essere anche più evidente di quello glomerulare; alla microscopia elettronica: presenza di strutture tubuloreticolari, verosimilmente indicatrici di infezioni virali (possibili, ma rare, nella nefropatia da eroina); identificazione di proteina virale P24 a livello glomerulare e, con tecniche di DNA ricombinante, di genoma virale nella stessa sede. Nessuna di queste lesioni è di per sé patognomonica della nefropatia associata all'AIDS, ma il ritrovarle insieme è considerato indicativo e tipico per questa forma. 2) Scarsa correlazione tra le lesioni istologiche e la gravità clinica della malattia. 3) Decorso rapido verso l'uremia (poche settimane, 3-4 mesi contro i 2-4 anni della nefropatia associata all'eroina); ipotesi patogenetiche di questo decorso accelerato sarebbero: invasione diretta delle strutture renali da parte del virus, effetto emodinamico, eventualmente analogo a quanto osservato nella sindrome epatorenale. 4) Rarità dell'ipertensione arteriosa anche in stadi avanzati; 5) Rarità degli edemi declivi, nonostante una proteinuria massiva; 6) Dimensioni renali aumentate anche a danno renale molto avanzato. La diagnosi differenziale si pone per tutti i soggetti con sindrome nefrosica, o con nefropatia con intensa proteinuria, per i quali attuamente alcuni Autori statunitensi consigliano di eseguire la ricerca di anticorpi anti HIV nello screening iniziale; questo consiglio può valere anche nel nostro ambiente, che pure appare a limitato rischio di nefropatia legata all'HIV, per i pazienti a rischio (eroinomani, omosessuali, politrasfusi). Al momento non esiste una cura specifica per questo tipo di nefropatia; la terapia è in genere solo di supporto. Il trattamento dialitico sembra permettere una discreta sopravvivenza per i pazienti che sviluppano la nefropatia in fase asintomatica dell'infezione da HIV; negli altri casi la sopravvivenza è gravata dalla prognosi della malattia di base e l'exitus avviene in genere entro 1 anno dall'inizio del trattamento sostitutivo, per lo più per cause infettive o per cachessia.

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COMPROMISSIONE RENALE NELLE PARAPROTEINEMIE __________________________________________________ Il mieloma, la macroglobulinemia di Waldenström, la malattia da catene leggere e le gammopatie monoclonali cosiddette idiopatiche possono complicarsi con lesioni renali di vario tipo, la cui patogenesi può essere direttamente legata alla disprotidemia, ed in modo particolare alle catene leggere, oppure ad alterazioni metaboliche secondarie. Secondo alcuni Autori in questo capitolo possono essere collocate anche l'amiloidosi primitiva, in quanto la si ritiene derivata dalla deposizione di catene leggere, il più spesso lambda o di loro frammenti, e la crioglobulinemia mista essenziale, per la presenza in essa di una componente monoclonale. __________________________________________________ EZIOPATOGENESI - Poiché la produzione delle catene leggere eccede d'abitudine quella delle catene pesanti, nel plasma di soggetti sani sono generalmente presenti basse concentrazioni di catene leggere kappa e lambda, eterogenee, in forma monomerica o dimerica; sono filtrate dal glomerulo e riassorbite quasi completamente dal tubulo prossimale, che ne rappresenta il sito catabolico più importante. In una serie piuttosto ampia di malattie (tab. I) la produzione di catene leggere può aumentare tanto da saturare le capacità di riassorbimento tubulare e da comparire nelle urine; a differenza che nel soggetto normale, in queste condizioni l'aumento dell'eliminazione interessa catene leggere omogenee di tipo kappa o lambda, genericamente indicate come proteine di Bence-Jones. __________________________________________________ MALATTIE ASSOCIATE CON PROTEINURIA A CATENE LEGGERE - Mieloma: la presenza di catene leggere è segnalata nel 47-70% dei casi, con differente frequenza a seconda del tipo di mieloma (100% nei mielomi IgD, 60% in quelli IgG e 70% in quelli IgA). Catene kappa sono più frequenti nei mielomi IgA ed IgG; catene lambda in quelli IgD ed in mielomi con solo catene leggere nel siero . - Macroglobulinemia di Waldenström: il 30-40% dei casi presenta un'eliminazione di catene leggere. - Amiloidosi primitiva ed amiloidosi associata a mieloma: l'eliminazione di catene leggere interessa circa il 90% dei casi. - Linfomi; leucemie linfatiche croniche; adenocarcinomi del pancreas; carcinoma midollare della tiroide: un'eliminazione di catene leggere con le urine è possibile, ma rara. - Malattia da catene leggere: circa il 50% dei casi con deposizione di catene leggere nei tessuti ha un'eliminazione urinaria anormale di catene leggere; i due terzi dei pazienti con depositi tissutali di catene leggere ha un mieloma, un morbo di Waldenström od un'altra malattia linfoproliferativa; in un terzo di casi si tratta invece di forme "idiopatiche". - Gammopatie monoclonali "idiopatiche": il riscontro di proteinuria a catene leggere è raro: in questi casi si parla di proteinuria di Bence-Jones idiopatica. __________________________________________________ La presenza nelle urine di catene leggere monoclonali può essere messa in evidenza con l'elettroforesi, ed è dimostrata con certezza dall'immunoelettroforesi con uso di sieri monospecifici anti-kappa ed anti-lambda. I reattivi su cartine del commercio (ad esempio l'albustix), che rivelano l'albuminuria, non mettono invece in evidenza le catene leggere. Il test con l'acido sulfosalicilico, comunemente impiegato per la determinazione della proteinuria, ne rivela la presenza, ma è poco sensibile; quello all'acido toluensulfonico è simile a quello sulfosalicilico per specificità e sensibilità, in quanto è in grado di evidenziare concentrazioni di catene leggere superiori a 100 mg/dl. Le catene leggere svolgono un ruolo centrale nella patogenesi delle lesioni renali del mieloma, sia nella formazione di cilindri intratubulari, sia nel danno tubulo-epiteliale non da cause ostruttive (espressione di interferenze metaboliche, durante il riassorbimento attivo), che nella genesi dei depositi, amiloidi e non amiloidi. Le caratteristiche fisico-chimiche che conferiscono la capacità di indurre le lesioni renali non sono note. Anche il meccanismo della formazione di depositi non amiloidi nei tessuti non è noto: è possibile che si tratti di catene leggere anomale e/o con una spiccata tendenza alla polimerizzazione; è stato ipotizzato che una loro glicosilazione preceda la deposizione nei tessuti, ed è stata sostenuta l'importanza di una carica elettrica negativa, che ne ostacolerebbe il passaggio nelle urine. A differenza di quelli amiloidi, questi depositi si formano più spesso quando le catene leggere sono di tipo kappa. COINVOLGIMENTO RENALE NEL MIELOMA Circa la metà dei casi di mieloma presenta un danno renale; non è raro che il primo sintomo sia rappresentato da una proteinuria, da un'insufficienza renale acuta o cronica o da una sindrome di disfunzione tubulare prossimale o distale. La compromissione del rene può essere indotta dalle paraproteine, rappresentare una conseguenza dell'ipercalcemia, dell'iperuricemia o di un'infezione urinaria o, raramente, essere secondaria all'infiltrazione del parenchima da parte di plasmacellule. La frequenza delle lesioni renali direttamente indotte dalle paraproteine non corrisponde a quella dei differenti tipi di mieloma ma, pur con eccezioni, alla presenza o meno di catene leggere.

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ANATOMIA PATOLOGICA Si distinguono: 1) Nefropatia ostruttiva mielomatosa (cast nephropathy). E' quasi invariabilmente associata al mieloma e raramente ad altre gammopatie monoclonali. E' caratterizzata dalla presenza, soprattutto nei tubuli distali e nei collettori, di cilindri "densi", omogenei o lamellati, talora fratturati, intensamente eosinofili o policromatofili, spesso attorniati da cellule macrofagiche. Questi cilindri sono costituiti prevalentemente da catene leggere, cui sono in genere sono associate altre proteine plasmatiche e la proteina di Tamm-Horsfall. Possono inoltre essere evidenziate alterazioni degli epiteli tubulari prossimali e distali, con gocce proteiche e fenomeni di vacuolizzazione, di necrosi o di proliferazione. Nelle cellule dei tubuli prossimali sono frequenti cristalli di catene leggere. E' spesso presente un allargamento dell'interstizio, con fibrosi od infiltrati parvicellulari, occasionalmente con plasmacellule. I glomeruli sono per lo più risparmiati. Nella maggioranza dei casi, i vasi sono sede di lesioni jalinosiche e fibrose, compatibili con l'età dei pazienti. L'immunofluorescenza può rivelare, all'interno dei cilindri e delle cellule dei tubuli prossimali, la presenza di catene kappa e lambda, corrispondente al tipo di catena leggera presente nelle urine. 2) depositi renali di paraproteine non amiloidi (nefropatia da catene leggere o light chain nephropathy). Oltreché nel mieloma, queste lesioni renali possono essere riscontrate negli altri tipi di gammopatia monoclonale, nei quali si ritrovano con frequenza maggiore rispetto alla nefropatia ostruttiva. Nella maggioranza dei casi sono in causa catene leggere kappa. Nel rene interessano prevalentemente le membrane basali tubulari, i vasi, i glomeruli, compresa talora la capsula di Bowman; depositi analoghi possono verificarsi anche in altri organi. Le lesioni tubulari sono rappresentate da ispessimenti PAS positivi, spesso nastriformi, delle membrane basali, soprattutto dei tubuli distali e dei collettori; nelle forme avanzate la lesione è diffusa. In genere i cilindri mielomatosi sono assenti o rari. Depositi analoghi possono ritrovarsi nei vasa recta o liberi nell'interstizio. L'immunofluorescenza dimostra in genere la presenza di una positività lineare, il più spesso per catene kappa. Le lesioni glomerulari sono costituite da un aumento della matrice mesangiale, con un incremento modesto della cellularità. Nelle forme più avanzate compaiono noduli mesangiali, che spingono alla periferia gli elementi cellulari e le anse capillari. Le pareti delle anse capillari periferiche si presentano ispessite e, specie nelle forme nodulari, non raramente con dilatazioni aneurismatiche. La microscopia elettronica può dimostrare la presenza di materiale finemente granulare, molto elettrondenso, nel mesangio e nella parete interna della membrana basale, della quale tende ad occupare caratteristicamente la lamina rara interna e, talora, la lamina densa; in altri casi è evidenziabile soltanto un aumento della matrice mesangiale. Depositi possono interessare la capsula di Bowman. All'immunofluorescenza, in parte dei casi, vi è una positività lineare per la presenza di catene kappa o lambda, o per una combinazione di catene leggere e pesanti, a disposizione mesangiale e capillare; possono inoltre essere presenti C3 ed immunoglobuline. Non tutti i depositi messi in evidenza alla microscopia ottica ed elettronica sono però positivi all'immunofluorescenza, forse per la presenza di catene leggere polimeriche atipiche. 3) Depositi renali amiloidi: la loro incidenza varia tra il 6 ed il 24% nelle differenti casistiche; la distribuzione è analoga a quella dell'amiloidosi primitiva. Nella grande maggioranza dei casi le catene leggere sono di tipo lambda. 4) Lesioni nefrocalcinosiche ed uratiche; non mancano infine lesioni interstiziali, attribuibili a pielonefrite. QUADRO CLINICO - Dal 10 al 40% dei pazienti con mieloma ed eliminazione urinaria di catene leggere non presenta alcun segno di compromissione renale. Nelle diverse casistiche la percentuale di soggetti proteinurici è compresa tra il 70% e l'80%. In linea generale, nelle lesioni renali ostruttive ("cast nephropathy") si verifica un'importante eliminazione urinaria di catene leggere, ma queste possono essere presenti anche senza danno renale evidente. Le catene leggere nelle urine sono invece d'abitudine scarse o assenti nei casi con depositi renali mesangiali, amiloidi o non amiloidi, nei quali si ritrova facilmente una proteinuria non selettiva; quando la barriera glomerulare è molto alterata un'eventuale immunoglobulina anomala presente nel siero potrà comparire anche nelle urine. La microematuria è incostante. E' possibile ritrovare un'ipercalcemia, secondaria a lesioni osteolitiche. L'iperuricemia è frequente: possibili precipitazioni uratiche, interstiziali ed endotubulari, possono aggravare le lesioni ostruttive. Al momento della diagnosi la funzione renale può essere normale, oppure variamente compromessa, sino a quadri di uremia cronica avanzata. L'anemia è spesso più grave di quanto non comporti l'insufficienza renale. In un numero limitato di casi sono state descritte sindromi di Fanconi complete od incomplete che possono precedere anche di anni altre manifestazioni cliniche di mieloma (spesso con catene kappa). Talora è invece presente un difetto della capacità a concentrare le urine con poliuria, isolato o associato ad un'acidosi tubulare distale. Episodi di insufficienza renale acuta possono aprire un quadro clinico in precedenza silente. Essi possono conseguire ad una disidratazione, ad un'ipercalcemia, o all'impiego di antibiotici nefrotossici o di mezzi di contrasto iodati. Il rischio di provocare o di aggravare, anche irreversibilmente, un'insufficienza renale con somministrazione di mezzi di contrasto iodati era stato messo in evidenza alcuni anni or sono. Tuttavia, mentre i vecchi preparati erano in grado di indurre una precipitazione di catene leggere in vitro, questo non avviene con i nuovi composti triiodati. Tale fatto, ed una miglior comprensione del ruolo della disidratazione, spesso provocata nel corso della preparazione all'indagine urografica stessa, dell'ipercalcemia e dell'iperuricemia, hanno consentito di ridimensionare l'entità del rischio, che tuttavia ancor oggi non può essere ritenuto trascurabile.

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DIAGNOSI E DIAGNOSI DIFFERENZIALE - L'ampia varietà di presentazioni cliniche delle lesioni renali associate alle gammopatie deve indurre a tenere conto di questa eventualità di fronte a circostanze molto diverse, nell'adulto e nell'anziano: un'inspiegata insufficienza renale cronica, una proteinuria isolata od una sindrome nefrosica, una sindrome di Fanconi, deficit funzionali tubulari distali apparentemente primitivi (acidosi ipercloremica; ridotta capacità a concentrare le urine), un'insufficienza renale acuta senza causa apparente o insorta dopo disidratazione modesta, o in seguito a somministrazione di mezzi di contrasto o di farmaci nefrotossici. In queste condizioni, un più preciso indirizzo diagnostico sarà di volta in volta consentito dal riscontro di una gammopatia monoclonale o di catene leggere nelle urine. L'assenza di una banda monoclonale sierica non permette di escludere la presenza di catene leggere urinarie, innazitutto perché, in soggetti che producono solo catene leggere, è possibile rilevare a lungo esclusivamente la loro presenza nelle urine (nel sangue esse possono comparire solo dopo l'instaurarsi di un'insufficenza renale), sia perché in alcuni mielomi, e specialmente in quelli IgD, la concentrazione sierica della paraproteina può essere molto bassa, e quindi difficilmente evidenziabile con le tecniche di routine, nonostante un'eliminazione talora importante di catene leggere. EVOLUZIONE E PROGNOSI - Nel mieloma la presenza di una compromissione renale è un segno prognostico sfavorevole ma, se al momento dell'accertamento la funzione renale è normale e non vi è una proteinuria importante, l'evoluzione può essere anche molto prolungata; in assenza di trattamento, se l'insufficienza renale è invece già avanzata, l'evoluzione verso l'uremia terminale si completa in genere nel giro di pochi mesi. In parte dei pazienti il trattamento del mieloma sembra poter indurre un arresto della progressione della nefropatia, o anche un suo miglioramento. TERAPIA - In presenza di alterazioni renali lievi e non evolutive, le indicazioni a eseguire o meno la chemioterapia sono quelle suggerite dalla malattia di base. L'esistenza di un interessamento renale, anche isolato, pone invece di per sé indicazioni alla chemioterapia specifica che deve essere precoce. Ad uremia conclamata, se le manifestazioni extrarenali della malattia sono ben controllate, la dialisi può cosentire una sopravvivenza discreta. Sono stati eseguiti alcuni trapianti renali con buoni risultati, a medio o anche a lungo termine. E' stata tuttavia descritta la comparsa di lesioni renali mielomatose nel rene trapiantato. AMILOIDOSI RENALE Un'amiloidosi renale figura nel 3-13% delle sindromi nefrosiche dell'adulto. Nella maggioranza dei casi di amiloidosi primitiva, di quelle associate a mieloma o a gammopatie monoclonali, di quelle secondarie ed eredo-familiari (tab. I), il rene può essere interessato dalla deposizione di proteine fibrillari amiloidi. Nel nostro ambiente, all'inizio del secolo erano soprattutto frequenti le amiloidosi secondarie a tubercolosi e sifilide; attualmente lo sono quelle in corso di artrite reumatoide, colite ulcerosa, morbo di Crohn e paraplegia con fenomeni infettivi; la diagnosi di nefropatia amiloide, primitiva o in corso di mieloma o di gammopatie monoclonali, sta diventando relativamente comune. L'insufficienza renale era in passato una delle più comuni cause di morte. PATOGENESI - Indagini biochimiche ed immunologiche hanno permesso di precisare alcune caratteristiche fondamentali delle fibrille amiloidi (tab II-III). Resta peraltro sconosciuta la serie di eventi che conduce all'accumulo delle fibrille nelle strutture del rene e di altri organi, e che ne condiziona la localizzazione a livello renale, ora contemporanea in più sedi (glomerulare, vascolare, interstiziale), ora elettiva in una di esse. ANATOMIA PATOLOGICA - Il volume dei reni è spesso inizialmente aumentato. L'interessamento glomerulare è praticamente costante nelle amiloidosi secondarie ed è riscontrabile nel 30-50% di quelle primitive; in genere questa localizzazione è predominante rispetto a quelle vascolari, interstiziali e sulle membrane basali, che spesso coesistono e solo in pochi casi sono prevalenti. Nel glomerulo i primi depositi possono essere nel mesangio e le pareti capillari possono restare a lungo risparmiate (forma mesangiale); in altri casi l'amiloide si deposita precocemente nelle pareti capillari (forma diffusa), con prevalenza subendoteliale. L'evoluzione è verso la sclerosi glomerulare. Sono frequenti depositi lungo la membrana basale tubulare, specie dei tubuli distali e dell'ansa di Henle, nei "vasa recta" e nell'interstizio. Con il progredire delle lesioni si possono osservare quadri di dilatazione tubulare fino ad aspetti simil-tiroidei . Le lesioni vascolari più importanti sono a carico delle arterie arcuate e interlobulari. I depositi tendono ad interessare l'intera parete, ma il lume è rispettato, e la loro entità non è correlata a quella dei depositi glomerulari. La compromissione vascolare può presentarsi isolata. All'immunofluorescenza sono frequenti i depositi di immunoglobuline: IgG, IgA, IgM e C3, specie in sede mesangiale, con estensione variabile in corrispondenza delle pareti capillari. Per la diagnostica del'amiloidosi è ancora di routine il ricorso a colorazioni classiche, integrate dall'impiego di antisieri specifici. La microscopia elettronica dimostra la presenza di fibrille di 80-100 Å di diametro, sino ad 1 µ di lunghezza, talora con aspetto a catenella e con periodicità di 55 Å, disposte in maniera casuale e rappresenta un'importante conferma. Fibrille possono essere inoltre presenti all'interno della membrana basale. QUADRO CLINICO - Il segno più frequente della nefropatia amiloide è una proteinuria, non di rado selettiva, talora isolata, spesso di ordine nefrosico. La microematuria è in genere scarsa o assente. Parte dei casi presenta un'ipoalbuminemia grave, sproporzionata all'entità della proteinuria, e che è stata messa in relazione con una contemporanea depressione della sintesi

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epatica e/o una compromissione dell'assorbimento intestinale di aminoacidi, secondarie alla deposizione di amiloide in tali sedi. Una proteinuria di Bence-Jones è presente in circa il 90% delle forme cosiddette primitive ed in quelle associate a mieloma ed a gammopatie monoclonali. In relazione alla deposizione peritubulare di amiloide, o alla presenza di una proteinuria a catene leggere associata, si possono verificare deficit tubulari selettivi (acidosi tubulare renale, diabete insipido nefrogenico, nefropatia con perdita di sali). Nella maggior parte dei casi, tuttavia, il profilo funzionale è quello di una glomerulonefrite con sindrome nefrosica e tendenza all'evoluzione verso l'insufficienza renale. DIAGNOSI - La presentazione clinico-laboratoristica più comune, è quella di una nefropatia apparentemente primitiva e la diagnosi di amiloidosi è posta dopo un accertamento bioptico rettale, la colorazione con Rosso Congo di tessuto adiposo addominale o, in genere, dopo una biopsia renale. A diagnosi eseguita, si richiede la ricerca di una eventuale malattia associata. Poiché non è raro che si possa far diagnosi di gammopatia monoclonale o di mieloma soltanto dopo qualche tempo, la definizione di amiloidosi "primitiva" dovrebbe essere sempre considerata come provvisoria. TERAPIA - Esiste un diffuso scetticismo sulle possibilità di intervenire efficacemente nell'amiloidosi in genere, e soprattutto in presenza di un coinvolgimento renale, per un'estrema difficoltà di regressione dei depositi. Nelle amiloidosi secondarie AA, se la deposizione non è troppo avanzata, un energico ed efficace trattamento della malattia causale può peraltro consentire un miglioramento delle manifestazioni cliniche dell'amiloidosi, comprese quelle renali, sino alla remissione. I risultati migliori sembrano ottenibili nel caso di infezioni croniche, con un trattamento antibiotico associato, ove possibile, a interventi di bonifica chirurgica; in questi casi, sfortunatamente, il successo non è la regola, ed anche dopo la guarigione dall'infezione si può assistere alla progressione della nefropatia. Antiinfiammatori ed immunodepressori sembrano avere indicazione nella amiloidosi AA solo quando siano richiesti per il trattamento della malattia di base. Nei casi di amiloidosi associata a mieloma è indicato il trattamento con gli abituali schemi di terapia di questa malattia, compreso il trapianto di midollo. Analogo indirizzo è attualmente seguito nell’amiloidosi AL senza evidenza di discrasie plasmacellulari. La terapia dialitica ha permesso risultati soddisfacenti, e i dati della Società Europea di Dialisi e Trapianto su oltre 700 casi hanno confermato che non si ritrovano qui limitazioni maggiori rispetto a quelle di altre malattie sistemiche. La CAPD si è dimostrata una buona alternativa e l'eventuale deposizione di amiloide a livello peritoneale non sembra compromettere l'efficacia degli scambi dialitici. L'esperienza di trapianto di rene è stata incoraggiante nei casi secondari a febbre familiare mediterranea ed in rare forme primitive, sia per quanto riguarda la sopravvivenza del paziente che quella dell'organo che, nella maggioranza dei casi, non sviluppa depositi di amiloide anche a tempi lunghi (2% su 73 casi). __________________________________________________ Tab I Classificazione dell'amiloidosi 1) AMILOIDOSI PRIMITIVA Amiloidosi primitiva, od associata a mieloma, a gammopatie monoclonali, a morbo di Waldenström e ad altre discrasie plasmacellulari. Localizzazioni elettive: lingua, cuore, muscoli scheletrici, cute, legamenti, apparato gastroenterico, apparato respiratorio e rene. 2) AMILOIDOSI SECONDARIA a: osteomielite, tubercolosi, sifilide, morbo di Hodgkin, bronchiestasie, paraplegia (associata ad infezioni croniche), colite ulcerosa, m. di Crohn, lebbra, artrite reumatoide, spondilite anchilosante, LES, diabete, etc. Sedi più frequenti di depositi: reni, fegato, milza, surreni; meno frequenti: cuore, muscoli scheletrici, apparato gastroenterico. 3) AMILOIDOSI EREDO-FAMILIARI Si presenta con un'ampia varietà di forme, molte delle quali hanno una distribuzione caratteristica, geografica e tissutale. Le più tipiche sono: con principale coinvolgimento renale: a) febbre familiare mediterranea, più frequente in alcuni gruppi razziali (Ebrei Sefarditi): è l'unica di questo gruppo ad essere trasmessa con carattere autosomico recessivo; b) forma caratterizzata da orticaria febbrile e sordità progressiva; con prevalente coinvolgimento nervoso: sono stati descritti alcuni sottotipi in base alla diversa localizzazione geografica (forma portoghese, indiana, finlandese); con prevalente coinvolgimento cardiaco: trasmessa con carattere autosomico dominante. 4) AMILOIDOSI DELL'UREMIA CRONICA E' stata messa in evidenza in soggetti in trattamento dialitico da molti anni. Si tratta di un tipo di amiloide che si ritiene essere connesso alla ritenzione in questi pazienti di beta 2 microglobulina. E' implicata nella compromissione osteoarticolare dell'uremico in dialisi. __________________________________________________ __________________________________________________ tab II PROTEINE AMILOIDI Nonostante il loro uguale comportamento nei confronti di alcuni coloranti, come il Rosso Congo, e l'aspetto simile alla microscopia elettronica, indagini biochimiche ed immunologiche hanno dimostrato che esistono numerosi tipi di proteine amiloidi (AL, AA, P) e ciò è alla base della classificazione che tiene conto del tipo di fibrille (AA, AL). Per quanto esista frequentemente una buona corrispondenza tra il tipo di fibrille e tipo di amiloide, la separazione tra amiloide AA (secondaria) e amiloide AL (immunocitica) non è sempre netta, non solo dal punto di vista clinico, ma anche da quello

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biochimico: piccole quantità di AA sono spesso associate a depositi prevalenti di AL e la maggior parte dei depositi AA contiene anche amiloide AL. Inoltre non è eccezionale un comportamento atipico nei confronti del test del permanganato di potassio, considerato classicamente diagnostico per l'amiloide AA. Proteine AL Sono proteine costituite eterogenee, costituite da catene leggere intere o più spesso da frammenti della regione variabile contenenti la porzione N-terminale. Non è noto se i frammenti siano sintetizzati come tali o se siano il risultato della degradazione di una catena leggera. Si ritrovano elettivamente nelle amiloidosi primitive ed in quelle associate a mieloma e a gammopatie monoclonali. Proteine AA La proteina conosciuta come AA (amiloide AA) non è correlata a nessun altro tipo noto di proteine. Si ritiene che essa origini come prodotto intermedio della degradazione di un precursore proteico a maggior peso molecolare, conosciuto come SAA (Serum Amyloid A-related protein), prodotto in quantità elevata nelle fasi acute dell'infiammazione, ma presente anche fisiologicamente del plasma. E' una proteina a basso peso molecolare (7000-8000 daltons) composta da 76 aminoacidi. E' presente nelle amiloidi secondarie e in alcune forme familiari come la febbre familiare mediterranea. E' discusso se la comparsa di depositi AA sia da riferirsi ad un eccesso di produzione di una SAA amiloidogenetica oppure ad un deficit o ad una alterazione della sua degradazione. Componente P Nella maggior parte delle amiloidosi è presente, accanto a quelle prevalenti una componente definita P, per la sua struttura pentagonale; essa è simile, ma non identica, alla proteina C-reattiva. Contribuisce probabilmente a costituire l'impalcatura delle fibrille. E' stata recentemente identificata anche come parte integrante della membrana basale glomerulare e di altre membrane basali vascolari. __________________________________________________ __________________________________________________ tab IIII CARATTERISTICHE TINTORIALI DELL'AMILOIDE - Colorazione bruna dopo trattamento con soluzione iodurata e acido solforico 1% - Comparsa di birifrangenza verde dopo colorazione con Rosso Congo e osservazione a luce polarizzata. Il trattamento con permanganato di potassio, reazione di Wright, elimina l'affinità per il Rosso Congo dell'amiloide AA (amiloide permanganato sensibile) Colorazione gialla all'osservazione all'ultravioletto dopo colorazione con tioflavina T Il reperto tintoriale e l'esame a luce polarizzata, con colorazione al Rosso Congo, sono gli elementi che più frequentemente portano alla diagnosi di amiloidosi. La reazione di Wright al permanganato di potassio è considerata indicativa per la presenza di amiloidosi AA. Una più sicura identificazione del tipo di amiloide è oggi affidata al'impiego di antisieri. Un mezzo sicuro per accertare la presenza di depositi amiloidei è l'esame alla microscopia elettronica. __________________________________________________

IL RENE NEL PAZIENTE DIABETICO E' stato il trattamento dialitico dell'uremia cronica a mettere in evidenza un'inaspettata diffusione della compromissione renale nei diabetici. Tra il 1982 e il 1995, l'introduzione in terapia di varie classi di farmaci antiipertensivi ha consentito di ridurre la mortalita' per ictus e per cardiopatia ischemica nella popolazione generale del 50-60%; sorprendentemente l'incidenza annua per milione di abitanti di insufficienza renale terminale (ESRF) è invece aumentata in tutti i paesi industrializzati: negli USA da 80-90 a 250 pazienti e in Italia da 70-80 a oltre 120. In questa popolazione, i diabetici costituiscono una coorte numerosa e in rapida crescita: più di un terzo dei nuovi pazienti in dialisi negli Stati Uniti, il 17% in Europa, il 12% nel Registro Lombardo e il 19% nel Registro Piemontese sono diabetici, la maggioranza con diabete di tipo 2 . Nel diabete di tipo 1 è il più spesso in gioco una nefropatia diabetica; nel tipo 2 lo sarebbe una percentuale inferiore: a seconda delle casistiche, dal 10 ad oltre il 50%, con discrepanze in parte dipendenti dai criteri di selezione. Per ragioni non del tutto note, l’incidenza cumulativa di ESRF nel diabete di tipo 1 è circa il 30%; per quanto il dato richieda ulteriori conferme, in quello di tipo 2 sembra essere più bassa, intorno al 20% (20). Non è chiarito quali fattori (genetici, dietetici, controllo glicemico, ipertensione arteriosa) determinino una progressione verso l'IRC di solo parte dei casi. Anche le ragioni della minor frequenza di insufficienza renale tra i diabetici di tipo 2, nonostante una possibile precoce comparsa di proteinuria, non sono note. La maggioranza dei diabetici con segni clinici o di laboratorio di compromissione renale è affetto dalla nefropatia descritta da Kimmesteil e Wilson come glomerulosclerosi nodulare intercapillare diabetica ma il 10% dei diabetici di tipo 1 e oltre il 30% di quelli di tipo 2 presentano una malattia renale non "diabetica". Pertanto nefropatia diabetica e compromissione renale nei pazienti diabetici non sono sinonimi.

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Il rischio cumulativo di sviluppare una nefropatia diabetica si sarebbe ridotto di circa il 50% nei casi diagnosticati tra il '49 ed il 59 rispetto a quelli diagnosticati nel '39 (A. Kofoed-Enevoldsen e coll: Diabetes 36:205, 1987; AS Krolewski e coll: Am J Med 78,785, 1985). Il numero di diabetici che giungono alla dialisi sta tuttavia aumentando; le cause del fenomeno non sono univoche: sono verosimilmente in gioco una diminuzione delle cause competitive di mortalità; modificazioni nelle caratteristiche della popolazione generale, con incremento progressivo di soggetti anziani ed una riduzione di giovani; un aumento dell'invio ai centri dialisi e verosimilmente anche la riduzione di una selezione occulta di casi ai limiti delle indicazioni da parte dei nefrologi. Epidemiologia della nefropatia diabetica: alcuni problemi aperti Negli USA questa nefropatia è la causa più importante di IRC nei pazienti che giungono alla dialisi, ed è la seconda tra i soggetti in trattamento dialitico. La sua incidenza è maggiore nelle donne, nei soggetti di razza nera, o di origine spagnola (hispanics), e tra i nativi Americani. Il picco massimo di incidenza dialitica è osservato tra la quinta e la sesta decade di vita. Un nero di 65 anni ha sette volte più probabilità di avere un'IRC associata al diabete di un bianco della stessa età. E' il gruppo degli anziani neri e poveri ad essere il più rappresentato tra i candidati alla dialisi. Non è del tutto chiaro quanto stia succedendo in Europa. In Piemonte il numero di diabetici avviati alla dialisi è certamente inferiore a quello statunitense; da alcuni anni sta aumentando fondamentalmente per un incremento di soggetti di età superiore a 65-70 anni, mentre per le classi di età inferiore l'incidenza è stabile. Tra le difficoltà che si incontrano in questi studi epidemiologici deve essere ricordata quella di classificare retrospettivamente con sicurezza come di tipo 1 o 2 sino in un 50% dei soggetti con uremia terminale associata al diabete e la non trascurabile frequenza di lesioni renali diverse dalla nefropatia diabetica specie in soggetti con diabete di tipo 2. Ipotesi patogenetiche Secondo l'ipotesi metabolica l'entità e la progressione del danno renale sono legate al controllo glicemico, o al deficit di insulina o ad una loro combinazione. Sono in favore del ruolo dell'iperglicemia, e/o del deficit di insulina, nello sviluppo della nefropatia diabetica: - numerosi modelli sperimentali, che dimostrano la regressione delle alterazioni iniziali con il mantenimento di una normoglicemia; - alcune osservazioni in soggetti con trapianto di rene e che hanno dimostrata: a) la regressione di alterazioni glomerulari diabetiche iniziali dopo trapianto di rene da donatore diabetico a ricevente non diabetico; b) la comparsa di alterazioni di tipo diabetico, prevenibili dal mantenimento di una normoglicemia dopo trapianto di rene da un donatore non diabetico in un diabetico. c) la regressione delle lesioni renali in soggetti con nefropatia diabetica dopo alcuni anni da un trapianto di pancreas eseguito con successo. Importanza avrebbe la glicosilazione anomala non enzimatica di proteine, forse secondaria ad un' attivazione diretta da parte della glicosiltransferasi presente sulle membrane basali. Questo fenomeno favorirebbe anche un intrappolamento di macromolecole circolanti, un'iperplasia mesangiale ed un aumentata produzione di materiale similmembrana basale. E' oggetto di studio - nell'animale da esperimento e nell'uomo- la possibilità di modulare questa produzione di prodotti terminali glicosilati. Altri studi hanno rilevato come reni, occhi e nervi periferici abbiano in comune la capacità di assumere glucosio senza insulina e la presenza della cosiddetta via metabolica dei polioli, nella quale l'enzima aldosoreductasi catalizza gli esosi (es. glucosio) nei corrispondenti alcooli (es. sorbitolo, la cui concentrazione a livello renale è nettamente accresciuta nella nefropatia diabetica sperimentale). L'ipotesi immunologica, ora abbandonata, postulava l'intervento di IC e anticorpi anti-insulina e di alterazioni dell'immunità cellulo mediata. In base al riscontro di lesioni della membrana basale in familiari di pazienti diabetici (la maggior parte di queste indagini è stata eseguita sui capillari del quadricipite e del gastrocnemio) è stato proposto un meccanismo genetico che potrebbe interessare ubiquitariamente le membrane basali dei vasi; si tratta di un aspetto controverso e non risolto. Un altro fattore genetico eventualmente implicato potrebbe essere un aumento dell'attività di trasporto di membrana sodio-litio, fenomeno riscontrato anche in una sottopopolazione di soggetti con ipertensione arteriosa essenziale. Più recentemente è stata proposta l'ipotesi emodinamica, che presuppone l'intervento di un aumento del flusso glomerulare, ed in particolare della pressione intraglomerulare, con un'iperfiltrazione ed un'abnorme permeabilità alle proteine, cui conseguirebbero un accumulo proteico mesangiale, una proliferazione mesangiale, un aumento della matrice e la sclerosi. Questo fenomeno sarebbe dovuto a livelli eccessivi di ormoni controregolatori, ed in particolare di quello somatotropo. E' anche stato prospettato un intervento: della dieta iperproteica, in passato largamente impiegata nel diabete; dell'acidosi; di un aumento della concentrazione del fattore atriale natriuretico circolante, secondario all'incremento dei volumi extracellulari causato dall'iperglicemia. Questo fattore causerebbe una dilatazione dell'a. afferente glomerulare con aumento della perfusione e della pressione intraglomerulare. Per quanto suggestiva, l'ipotesi emodinamica non rende conto delle differenze morfologiche tra la glomerulosclerosi diabetica e le forme di glomerulosclerosi focale e segmentaria tipiche di un danno da iperfiltrazione: evitare o ridurre il possibile intervento di questi fattori è peraltro importante ed è alla base di alcuni provvedimenti dietetici e farmacologici. Nessuna delle attuali ipotesi patogenetiche sembra poter spiegare interamente la nefropatia diabetica: si può pertanto prospettare un possibile concorso di più fattori, genetici, metabolici ed emodinamici. Quelli genetici potrebbero avere un intervento rilevante: ciò potrebbe anche render ragione del motivo per cui solo una sottopopolazione di pazienti sviluppa questa nefropatia.

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Quadro istologico. Un aumento diffuso ed uniforme dello spessore della membrana basale, che interessa inizialmente la lamina densa, è praticamente costante in tutti i pazienti con diabete insulinodipendente già dopo pochi anni di malattia, in genere due-tre. La natura del fenomeno non è completamente chiarita. Vi sarebbero rappresentati i normali costituenti della membrana basale, per un aumento di produzione, un diminuito turnover, od entrambi i fattori. I pazienti che sviluppano una compromissione renale di rilievo presentano delle alterazioni mesangiali descritte con il termine di glomerulosclerosi diabetica, che può essere di tipo diffuso o nodulare. Alcuni AA ritengono si tratti di un continuum di lesioni, altri preferiscono mantenerle distinte. La forma diffusa è la più frequente e precoce. E' caratterizzata da un allargamento del mesangio, che può iniziare già dopo 2-3 anni dall'inizio della malattia e diviene in genere evidente dopo 5: è in gran parte dovuto ad un accumulo di matrice mesangiale ed in misura minore ad un aumento della componente cellulare che successivamente, con il progredire verso la sclerosi, scompare. La forma nodulare, descritta da Kimmelsteil-Wilson e rilevabile in una minoranza di casi, è caratterizzata da noduli disposti irregolarmente, per lo più alla periferia del glomerulo e di diversa dimensione, e che talora hanno aspetto lamellare con centro ialino. Aneurismi della anse capillari, forse secondari a fenomeni di mesangiolisi, possono precedere la comparsa delle lesioni nodulari che ne potrebbero rappresentare l'evoluzione. Le alterazioni del mesangio evolvono verso la sclerosi. Talora sono presenti lesioni ialine ("gocce ialine") al di sotto dello strato epiteliale della capsula di Bowman, abbastanza tipiche, e depositi ialini a "cappuccio" alla periferia del glomerulo in sede subendoteliale, che rappresentano un accumulo di proteine plasmatiche. Non sono specifiche. Alterazioni ialine possono interessare le arteriole afferenti ed efferenti. Una fibrosi interstiziale è concomitante alle lesioni glomerulari, ed è di entità correlata a quella dell'espansione del mesangio. L'immunofluorescenza può essere positiva per IgG, a disposizione lineare, e talora di IgM, fibrinogeno, albumina e C3, a disposizione granulare. Si ritiene che questa positività metta in evidenza fondamentalmente un'importante fissazione non immunologica di proteine plasmatiche nella membrana basale o in aree di ialinosi. Patologie renali associate Sino a un 10% dei diabetici di tipo 1 e circa il 30% di quelli di tipo 2 presentano una malattia renale non "diabetica". Infezioni delle vie urinarie, talora con fenomeni pielonefritici, non sono rare; in passato erano state riferite alla presenza di glicosuria, ma è più probabile l'influenza di un deficit dell'immunità cellulomediata. Una nefropatia interstiziale, spesso con un'infezione cronica sovrapposta, può conseguire ad un'ostruzione vescicale funzionale da neuropatia viscerale (vescica diabetica). La nefroangiosclerosi è comune. Si possono inoltre ritrovare stenosi dell'arteria renale, mono o bilaterale, un’embolizzazione colesterolica ed infarti. L'importanza del danno interstiziale da "nefropatia uratica" è stato ridimensionata. Sono possibili lesioni interstiziali da diuretici o da ipouricemizzanti. Fenomeni di ischemia e di necrosi papillare riconoscono una genesi infettiva e/o ischemica; possono avere decorso acuto; frequentemente hanno un andamento subacuto o cronico. E' dubbio un ruolo nella nefropatia diabetica della glicogenosi renale, anomalia aspecifica delle cellule tubulari con accumulo di glicogeno citoplasmatico. E' divenuta rara l'insufficienza renale acuta da mezzo di contrasto per la minore tossicità dei composti iodati oggi in uso e la maggiore attenzione ad una corretta idratazione del paziente, ma un peggioramento funzionale irreversibile dopo uso di mezzi di contrasto è molto comune quando già vi sia una compromissione funzionale di rilievo (creatininemia superiore a 2-3 mg%). Pertanto: attenzione non solo all’urografia, ma anche alla coronarografia, e più in generale a tutte le indagini eseguiti con mezzo di contrasto! Quando l’esame è assolutamente necessario, il paziente deve eseguirlo sotto adeguata protezione in una struttura specialistica. Indagini bioptiche hanno rilevati numerosi casi di differenti glomerulopatie sovrapposte alla glomerulosclerosi diabetica: glomerulonefriti membranose e glomerulonefriti acute sono le più comuni, ma è stato riscontrato virtualmente ogni tipo di combinazione, sia con forme primitive che secondarie, tra le quali sono predominanti quelle da crioglobulinemie miste essenziali. I diabetici possono presentare anomalie immunitarie e una maggiore suscettibilità alle infezioni; i fenomeni di iperfiltrazione e di modificazioni biochimiche della membrana basale glomerulare possono rendere i glomeruli più suscettibili alla localizazione di sostanze nefritogene; il mesangio avrebbe inoltre ridotte capacità di smaltimento delle macromolecole. Poichè in parte dei casi, compresi quelli di glomerulonefrite acuta, la prognosi di queste associazioni è piuttosto severa, si pone un'indicazione alla biopsia renale nei diabetici con sindrome nefrosica dissociata da una retinopatia, o con ematuria, specie se macroscopica, o con rapido peggioramento funzionale, una volta esclusi fenomeni nefrotossici iatrogeni, ostruttivi o di iperazotemia "prerenale". Patologie non renali associate Sono numerose. Per la capacità di ostacolare in maniera rilevante la riabilitazione nefrologica e per l'impegno diagnostico che richiedono, ricordiamo: le cardiopatia (att all'infarto miocardico silente!);

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la cistopatia (cistomanometria, flussometria, determinazione del volume residuo con l’ecografia; ev cistogramma). Ha una frequenza insospettatamente elevata: Friedman l'ha ritrovata in circa un terzo dei pazienti iperazotemici; alterazioni gastrointestinali: una paresi gastrica si ritrova nel 25-50% dei soggetti iperazotemici. Sono frequenti stipsi ostinata e diarrea, eventualmente alternate, talora con perdita di feci; insufficienza respiratoria da broncopneumopatie croniche alterazioni oculari sono frequentissime (in riferimento alla retinopatia diabetica si parla di "renal retinal syndrome"). alterazioni a carico degli arti inferiori, secondarie ad alterazioni vascolari e/o alla neuropatia La neuropatia autonomica (in particolar modo a livello gastrointestionale e vescicale) è molto frequente dopo la prima decade di malattia e può causare problemi anche nel controllo metabolico del diabete: 1) ritardando la digestione (paresi gastrica) e creando difficoltà nella regolazione glicidica; 2) causando ritenzione urinaria e peggioramento funzionale; 3) rendendo difficile il controllo dell'ipertensione arteriosa con fenomeni di ipotensione ortostatica. Sono elementi sospetti di una paresi gastrica: 1) senso di marcata ripienezza e/o vomito alimentare post prandiale; 2) controllo glicemico incostante per la difficoltà di collegare la somministrazione di insulina e l'assorbimento di glicidi; 3) ipoglicemie inspiegabili alternate a iperglicemie. Si può avere una prima conferma facendo un RX in bianco che dimostra una grande bolla gastrica. Decorso clinico La storia naturale della nefropatia diabetica è stata definita dettagliatamente nel diabete di tipo 1 da Mogensen; quella della nefropatia del diabete di tipo 2 è meno ben delineata. Schematicamente, durante i primi 7-13 anni di malattia, nel diabete di tipo 1 non compaiono alterazioni ematiche e urinarie, ma si sviluppano importanti anomalie funzionali e strutturali renali: aumento del filtrato glomerulare (FG), ipertrofia renale, iniziali lesioni morfologiche. In questo stadio circa il 10% dei pazienti con diabete tipo 2 è già microalbuminurico (escrezione di albumina tra 20 e 200 microgrammi/min), alcuni sono macroproteinurici, oltre la metà sono affetti da ipertensione arteriosa, pur in assenza di microalbuminuria Dopo 7-13 anni, in parte dei casi, inizia il cosiddetto stadio della "nefropatia incipiente", caratterizzato dalla presenza di microalbuminuria che, soprattutto nel diabete di tipo 1, è predittiva di nefropatia clinica; il FG è aumentato o normale; sono presenti evidenti alterazioni glomerulari. Nel diabete di tipo 1 la pressione arteriosa, sebbene sia in genere entro i valori standard definiti come normali, tende ad essere più elevata che nei pazienti normoalbuminurici. Nel tipo 2 un numero sempre maggiore di pazienti (circa l'80%) risulta essere iperteso. Dopo 10-20 anni di diabete di tipo 1, nei casi che progrediscono verso l’insufficienza renale, insorge la nefropatia clinica, caratterizzata dalla presenza di macroalbuminuria persistente (escrezione superiore a 200 microgrammi/min). In questo stadio il FG inizia a ridursi e progressivamente compare o peggiora l'ipertensione. Sono presenti lesioni strutturali renali avanzate. Una volta instaurata la nefropatia clinica, la progressione verso l’uremia nei casi non trattati è inesorabile. La caduta del FG è stata variamente valutata: da 1 ml/min al mese nei casi non trattati a 0,3 ml/min al mese nei soggetti con trattamento ipotensivo "efficace". Nel diabete di tipo 2 il decorso della nefropatia è simile a quello nel diabete di tipo 1, con un declino funzionale più lento, da 0,6 ml/min/mese a circa 0,3 ml/min/mese, rispettivamente nei soggetti non trattati ed in quelli trattati. Per lo sviluppo e la progressione della nefropatia diabetica sono stati identificati numerosi fattori di rischio, alcuni con un ruolo e meccanismi d’azione non chiari, anche perché sono possibili interazioni e l’effetto di ciascuno è difficile da distinguere: fattori legati al diabete: - scadente controllo glicemico - lunga durata di malattia - microalbuminuria/proteinuria - ipertensione arteriosa fattori genetici: - appartenenza razziale o etnica - polimorfismi genici - familiarita' per ipertensione arteriosa, nefropatie e malattie cardiovascolari - sesso maschile altri: - dislipidemia - fumo L’esistenza di fattori genetici è suggerita dallo sviluppo di danno renale solo in un sottogruppo di soggetti, spesso con anamnesi familiare positiva per ipertensione, nefropatie, malattie cardiovascolari. Numerosi studi hanno ricercato marcatori genetici di questa predisposizione, concentrando l'attenzione sui geni connessi con il sistema renina-angiotensina-aldosterone ed il gene dell'ACE. Recenti meta-analisi hanno evidenziato un’associazione tra di genotipo D o ID e nefropatia diabetica; dati contrastanti riguardano una maggiore attività del controtrasporto Na-Li nei globuli rossi dei pazienti con danno renale. Segni di decorso atipico di una nefropatia diabetica (diabete giovanile), che deve evocare il sospetto di un'altra condizione patologica: 1) macroproteinuria entro 6-8 anni dall'inizio del diabete 2) nefropatia evidente senza retinopatia

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3) rapido deterioramento della funzione renale, con o senza proteinuria di rilievo. In presenza di una nefropatia diabetica con IRC moderata si può riscontrare un'acidosi tubulare di tipo IV con iperpotassiemia anche grave. La condizione è secondaria alla presenza di bassa renina, e basso aldosterone e può essere aggravata dall'uso di betabloccanti che riducono i livelli di renina, di ACE inibitori, di FANS (che riducono la produzione di prostaglandine) e di iperglicemia. CONDOTTA TERAPEUTICA L'esperienza clinica e le conseguenze fisiopatologiche dimostrano come soprattutto la prevenzione, ma anche l'andamento della nefropatia dipendano fondamentalmente da un rigoroso controllo dell'omeostasi glicidica. Le glicoproteine della membrana basale hanno un turnover molto lento e pertanto, raggiunto un certo spessore, è difficile ottenere una regressione. Tuttavia Mogensen ha dimostrato una riduzione dello spessore della membrana basale in corso di diabete sperimentale con ottimale controllo insulinico e Fioretto che le lesioni anatomiche sono regredibili dopo alcuni anni dal trapianto di pancreas. Patologia sperimentale e dati clinici confermano che, ai fini preventivi, il trattamento del diabete deve essere precoce e che l'importanza del suo ruolo si riduce nettamente dopo che è comparsa una macroalbuminuria. Col progredire dell'insufficienza renale è importante adottare una serie di accorgimenti volti a ridurre le conseguenze dell'ipertensione, della retinopatia, della neuropatia, con particolare attenzione alla compromissione vescicale, delle infezioni urinarie, dell'impiego di farmaci nefrotossici o di mezzi di contrasto, di indagini strumentali, del sovradosaggio di insulina, dell'accumulo di ipoglicemizzanti orali. Particolare attenzione va posta nel mantenere i valori pressori entro limiti normali per l'importante ruolo che le alterazioni emodinamiche esercitano nella progressione della nefropatia diabetica. In particolare, anche sulla base di quanto indicato da recenti Consensus Conferences, si deve cercare di ottenere: - un accurato controllo glicemico, con valori di HbA1c < 7.5% - valori di pressione arteriosa ottimale, se tollerati: - 120/70-75 (PAM (90) [< 50 anni] -125-130/80-85 (PAM 95-100) [(≥ 50 anni] Nel trattamento ipotensivo devono essere prefetiti gli ACE inibitori, se ben tollerati (incrementi della creatininemia > 1.0 mg/dL o comparsa di iperpotassiemia dopo una settimana di ACE-I o antagonisti del recettore dell'AII comportano la sospensione del farmaco e lo studio delle arterie renali.). Altri antiipertensivi da sostituire agli ACE-I se poco tollerati: antagonisti dei recettori dell'AII ed i Ca-antagonisti a lento rilascio. Altri antiipertensivi eventualmente da associare per raggiungere la P.A. ottimale: Ca-antagonisti, alfa-bloccanti, tiazidici, beta-bloccanti, tenendo presente che questi ultimi possono mascherare la tachicardia da ipoglicemia o determinare in tale condizione una prevalenza alfa-recettoriale in senso ipotensivo. L'uso dei diuretici d'ansa e dei tiazidici deve far porre attenzione ad effetti collaterali come l'iperglicemia, l'iperuricemia e l'ipopotassiemia, dalla quale, secondo taluni, dipenderebbe una rallentata release insulinica. - l'attuazione di una dieta iposodica in tutti i pazienti ipertesi o proteniurici. L'apporto proteico della dieta, inizialmente1.0 g/kg/die, deve essere modulato in relazione al gredo di insufficienza renale. L'American Diabetes Association raccomanda un apporto proteico di 0,8 g /Kg di peso corporeo ideale/die per tutti i soggetti a rischio di sviluppare una nefropatia diabetica. Non si può escludere che valori ottimali siano ancora inferiori (es: 0,6 g/Kg di peso corporeo ideale/ die): diete fortemente ipoproteiche possono peraltro essere pericolose e sono riservate a pazienti in insufficienza renale molto avanzata e con buona compliance. I " vegan" (latto-ovo-vegetariani) si troverebbero in condizioni più vantaggiose nei confronti della progressione del danno renale degli onnivori. Diete "artificiali" supplementate con chetoanaloghi sono talora utilizzate con successo in casi di danno funzionale grave. - inoltre: il controllo della dislipidemia, la riduzione del sovrappeso, l'abolizione del fumo e dell'apporto di alcool. Tutti i presidi a disposizione nel controllo dell'omeostasi fosfo-calcica devono essere attuati precocemente: metaboliti attivi della vitamina D, dieta ipofosforica, chelanti del fosforo. La dieta pone problemi delicati, in quanto una riduzione del contenuto proteico è importante, non solo nel confronto del ricambio azotato, ma fors'anche nella evoluzione della nefropatia. TRATTAMENTO SOSTITUTIVO Il trattamento sostitutivo del paziente diabetico fa parte fondamentale della discussione sull'estensione del trattamento dialitico ad uremici cronici un tempo considerati controindicati. La sopravvivenza dei pazienti diabetici in dialisi, con valori complessivi di circa il 50% a tre anni, è peggiore di quella dei non diabetici, ma non trascurabile. Ciò che condiziona maggiormente la sopravvivenza e la qualità di vita di questi pazienti è la presenza delle altre complicanze croniche del diabete ed in particolare: la sofferenza vascolare, cardiaca, cerebrale e periferica, la retinopatia che comporta nella maggioranza dei casi alterazioni del visus ed in una non trascurabile percentuale di pazienti la cecità, e la neuropatia, dove le due patogenesi, diabetica ed uremica, si sovrappongono. L’avvio alla dialisi deve essere precoce, già con una clearance creatininica di 10-15 ml/min o, su indicazioni cliniche, anche con livelli più elevati (15-20 ml/min). Alternative all'emodialisi, per la migliore tolleranza soggettiva, sono l'emofiltrazione e l'emodiafiltrazione. La dialisi peritoneale può conciliare un gran numero di aspetti positivi: buona tolleranza, trattamento a domicilio anche in pazienti ad alto rischio, basso costo. Nei diabetici di tipo 1 il trapianto di rene ha registrate sopravvivenze dell'87% per il paziente e al 65% per l'organo al II ° anno. Per quanto concerne la sostituzione della funzione pancreatica contemporanea a quella renale che, quando indicata dovrebbe

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essere eseguita precocemente, anche prima dell'inizio della dialisi, i risultati stanno migliorando rapidamente e si sono raggiunti valori superiori al 75% di pancreas funzionante a un anno con trapianto combinato di rene e pancreas provenienti dallo stesso donatore. Dopo aver fornito inizialmente risultati deludenti, il trapianto di insule pancreatiche, ottenute da cadavere con nuove tecniche e con nuovi schemi immunodepressori sta ora ottenendo un promettente successo.

NEFROPATIE VASCOLARI

CLASSIFICAZIONE E' fondamentalmente anatomica; si basa sul calibro dei vasi interessati e sul tipo di danno. Nella pratica clinica, la definizione delle malattie di questo capitolo non è omogenea. Nel caso di gran lunga più

rappresentato di questa famiglia di malattie, quello della nefroangiosclerosi, la diagnosi è essenzialmente clinica e di esclusione di altre patologie (glomerulari croniche in particolare) e la biopsia renale è impiegata solo di rado. La stessa distinzione in nefroangiosclerosi benigna e maligna risale ad un'epoca in cui il controllo dell'ipertensione era molto più difficile ed i danni da ipertensione non controllata più frequenti; data la pressochè totale scomparsa dell’ipertensione maligna e del conseguente danno renale attualmente una distinzione clinica di questo tipo è per fortuna da considerarsi rara.

Nella sindrome emolitico uremica e nella porpora trombotica trombocitopenica, invece, la diagnosi si basa d'abitudine sulla presenza e sul pattern delle manifestazioni sistemiche.

Una diagnosi schiettamente istologica, con caratteristiche simili a quanto riportato nel caso delle glomerulonefriti, riguarda invece le vasculiti renali; anche in questo caso il quadro clinico si modifica (e di conseguenza anche la diagnostica) a seconda che le lesioni siano limitate al rene o interessino anche altri organi.

Nefroangiosclerosi (benigna) Nefroangiosclerosi maligna Vasculiti Micoroangiopatia trombotica: Sindrome emolitico uremica e porpora trombotica trombocitopenica Infarto renale*arterioso - ischemico Malattia tromboembolica e malattia embolica colesterolica) Lesioni stenosanti dei grossi vasi arteriosi: *ipertensione nefrovascolare *malattia renale ischemica Classificazione delle malattie renali vascolari. Sono riportate in neretto quelle oggetto di studio nelle lezioni di nefrologia

NEFROANGIOSCLEROSI Nella definizione iniziale, questo termine, coniato da Fahr e Volhard all’inizio del ‘900, indicava una nefropatia considerata come conseguenza di una sclerosi primitiva dei vasi renali, complicata secondariamente da ipertensione arteriosa; con il passare del tempo la tendenza comune fu di ritenerla conseguenza dell’ipertensione arteriosa piuttosto che come malattia primitiva; alla luce di dati epidemiologici e di osservazioni sperimentali, si sta ora riconoscendo che si possono verificare entrambe le evenienze. I rapporti tra ipertensione arteriosa e nefroangiosclerosi sono confermati da numerose osservazioni cliniche e sperimentali che rilevano come nella popolazione generale e tra i soggetti ipertesi il rischio di sviluppare un’insufficienza renale sia correlato ai livelli di pressione arteriosa e che l’incremento della creatinina nel tempo è correlato ai livelli pressori sistolici anche nel range normale secondo la WHO. Il fenomeno è particolarmente evidente nell’anziano. Peraltro l’ipertensione arteriosa non è un momento patogenetico obbligatorio e una diagnosi di nefroangiosclerosi “primitiva”, che si ritiene sia legata all’invecchiamento ed a fattori genetici, sta diventando abbastanza comune. E’ una malattia di grande interesse pratico, in quanto il numero dei pazienti che giungono alla dialisi con questa diagnosi sta aumentando in maniera rapidissima (per la fascia di età di 70 - 80 anni l’incremento in sedici anni è stato in Piemonte del 600 %) e questo fatto ha reso definitivamente superato il mito che la nefroangiosclerosi rappresenti regolarmente una condizione benigna e rende ingiustificata la definizione classica di nefroangiosclerosi "benigna". Anatomia Patologica Le lesioni interessano i vasi preglomerulari, e cioè le arterie arcuate e interlobulari, e le arteriole afferenti glomerulari, e più in generale tutte le strutture del rene. Le arterie mostrano un ispessimento intimale da aumento di mio-fibroblasti e di collageno; le lamine elastiche sono duplicate; la media è inizialmente più spessa della norma e poi tende ad atrofizzarsi; il lume vasale è ristretto. Queste lesioni sembrano essere soprattutto correlate all’ipertensione ancor più che all’invecchiamento.

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Un secondo tipo di alterazione, non necessariamente presente, è la jalinosi arteriolare che, inizialmente subendoteliale, può interessare l’intera parete; è riscontrabile in special modo a livello dell’arteriola afferente e la sua severità è maggiore nei soggetti con ipertensione arteriosa. I glomeruli sono ischemici e possono essere sede di fenomeni di sclerosi focale o anche diffusa, segmentaria o globale. L’interstizio è interessato da infiltrazione di cellule infiammatorie e fenomeni di fibrosi; nelle aree lese vi è atrofia dei tubuli che possono presentarsi con aspetto microcistico, e contenere cilindri jalini che danno loro un aspetto similtiroideo. Queste ultime lesioni sono simili a quelle delle nefropatie interstiziali, Queste alterazioni, definibili come arteriolosclerotiche, comportano una riduzione omogenea dello spessore del parenchima renale, con diminuzione simmetrica delle dimensioni e fenomeni di sclerolipomatosi sinusale; la superficie corticale assume un aspetto granulare. La coesistenza di lesioni aterosclerotiche gravi delle arterie di maggior calibro (arterionefrosclerosi) determinano la presenza di cicatrici corticali, che traducono fenomeni localizzati di atrofia ischemica segmentale. La presentazione clinica è aspecifica: l’insufficienza renale è spesso accertata per caso, talora quando è già in fase avanzata. Nella maggior parte dei pazienti i risultati dell’esame delle urine sono normali o mostrano una proteinuria in traccia e/o una microematuria modesta. Nei casi avanzati peraltro la proteinuria può essere anche in range nefrosico. La diagnostica per immagini mette in evidenza reni di volume ridotto, in genere con profilo regolare, spesso con una sclerolipomatosi sinusale. La diagnosi di nefroangiosclerosi è essenzialmente clinica, ed è basata su dati negativi e positivi. Quelli negativi sono l’assenza di elementi anamnestici e di laboratorio in favore di un’altra nefropatia; quelli positivi sono: la presenza di un’ipertensione comparsa all’età di 25 - 45 anni, specie se nel contesto di una familiarità ipertensiva; la presenza in anamnesi di un’ipertensione arteriosa severa o di lunga durata, non trattata o trattata in maniera non corretta (il target pressorio ottimale, ritenuto attualmente di 130/80, molto spesso non è affatto raggiunto), precedente la comparsa di segni urinari anormali. Condizioni di rischio per la comparsa di un danno renale in corso di ipertensione arteriosa sono: un cattivo controllo dell’ipertensione arteriosa; il fumo di tabacco; l’iperlipemia; un’intolleranza al glucosio; forse l’obesità; la presenza di una microalbuminuria; di una ipertrofia ventricolare sinistra; di una retinopatia ipertensiva e di altri segni di danno vascolare d’organo o distrettuale. Nei soggetti con ipertensione arteriosa essenziale sono considerate con sospetto un’iniziale riduzione dei valori di clearance creatininica e il rilievo nella diagnostica per immagini di una sclerolipomatosi sinusale renale. Poichè un buon trattamento dell’ipertensione arteriosa sembra prevenire o dilazionare la progressione dell’insufficienza renale, è fondamentale ottenere un accurato controllo dei livelli pressori in ogni soggetto iperteso, con l’obiettivo di ottenere stabilmente almeno valori inferiori a 140/ 85 mmHg. Compatibilmente con la tolleranza individuale, specie in presenza di segni di compromissione renale, è possibile che i valori ottimali siano intorno a 130/80 mm Hg o anche inferiori, circa 120/80. NEFROANGIOSCLEROSI MALIGNA Secondaria ad un’ipertensione accelerata, è caratterizzata a livello microscopico da fenomeni di necrosi fibrinoide arteriolare, ch interessano elettivamente le arteriole afferenti glomerulari. I glomeruli sono ischemici e possono presentare fenemeni di necrosi fibrinoide e una proliferazione extracapillare. Sul piano clinico si ritrova un’insufficienza renale rapidamente progressiva, in genere con reperti urinari alterati per la presenza di proteinuria, microematuria talora rilevante e cilindruria. Sono in genere contemporaneamente presenti segni di compromissione anche grave di altri organi e apparati. LESIONI RENALI DOVUTE A STENOSI DELLE ARTERIE PRINCIPALI A lungo si era ritenuto che la patologia stenotica più rilevante e comune fosse quella a carico di un’arteria renale principale, capace di causare un’ipertensione arteriosa o un suo aggravamento ma, proprio per la sua unilateralità, senza ripercussioni di rilievo sulla funzione renale complessiva. In relazione a questa situazione, la correzione della stenosi era soprattutto finalizzata a risolvere o migliorare il quadro ipertensivo. Negli ultimi anni l’attenzione si è spostata sulle stenosi bilaterali, in genere aterosclerotiche, temibili più che per la loro influenza sull’ipertensione arteriosa, per la loro capacità di indurre insufficienze renali gravi e progressive sino all’uremia terminale. Di conseguenza la loro risoluzione è fondamentalmente finalizzata ad ottenere un miglioramento della funzione renale o ad impedirne un ulteriore deterioramento. MALATTIA RENALE ISCHEMICA E’ una condizione legata alla presenza di stenosi bilaterale delle arterie renali (o di un’arteria renale in rene unico, anatomico o funzionale), in genere aterosclerotica, che determina una riduzione critica del flusso ematico renale che induce un’insufficienza renale. La sua prevalenza nella popolazione generale non è nota, ma le stenosi aterosclerotiche delle arterie renali sono molto frequenti: in una casistica autoptica (Holley) su 295 soggetti (età media 60 anni), 256 normotesi e 39 ipertesi, vi era una stenosi dell’a renale ben nel 49% dei casi. Dimostrative dell’elevata frequenza di questa condizione sono numerose osservazioni: una stenosi delle arterie renali è stata ritrovata nel 42% dei casi in un gruppo di pazienti con vasculopatia periferica (monolaterale 11%; bilaterale 24% e serrata 7%); nel 28% dei casi (35% degli ipertesi; 18% dei normotesi) in soggetti con aneurisma aortico e patologia vascolare a carico degli arti inferiori e nel 23% dei soggetti sottoposti a cateterismo cardiaco. La prevalenza tra i pazienti avviati alla dialisi sarebbe di circa il 10% .

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La sintomatologia clinica è varia, ed è spesso poco appariscente. Importante per porre il sospetto diagnostico è il comportamento della creatininemia, in progressivo aumento, con reperti urinari negativi e senza altre cause evidenti; la comparsa improvvisa o un aggravamento repentino dello stato ipertensivo; la comparsa di un’ ipertensione refrattaria, o di maggiori di difficoltà al suo trattamento. Peraltro i valori pressori possono essere del tutto normali. Il peggioramento improvviso dell’insufficienza renale, sino alla comparsa di un’anuria dopo la somministrazione di ACE inibitori è molto caratteristica. Altri segni sospetti possono essere la comparsa di proteinuria nefrosica in un soggetto con storia di ipertensione arteriosa, e di edemi polmonari ricorrenti. Una riduzione asimmetrica delle dimensioni renali, anche sino all’atrofia di un rene è molto indicativa. All’esame obiettivo il riscontro di un soffio addominale sisto - diastolico, è frequente ma è aspecifico. Il livello critico di stenosi perchè una stenosi sia emodinamicamente efficace è di circa il 70 – 75%. Stenosi di circa il 60-70 % si pongono in una zona “grigia”. Stenosi di questa entità in genere sono ben identificate dall’eco-color-doppler, che ha allora una sensibilità e una specificità di circa il 98%. In presenza di una stenosi emodinamicamente efficace, la scintigrafia renale sequenziale dimostra un ritardo di eliminazione, accentuato dalla somministrazione di un ACE inibitore, ed è quindi un importante elemento di conferma (con ACE inibitore sensibilità 90 %; specificità 95°%)ed una guida per porre le indicazioni all’intervento. L’arteriografia ( per stenosi >50% sensibilità: 83-100%; specificità 92 –97%) conclude in genere l’iter diagnostico ed in genere è eseguita nella stessa occasione nella quale viene eseguita l’angioplastica. Notevole interesse stanno suscitando anche in questa diagnostica l’Angio tc spirale e l’Angio risonanza magnetica nucleare Le probabilità di progressione delle lesioni è molto elevata: nel 50% circa dei casi con stenosi maggiori. Un’occlusione totale può essere attesa in un 40% dei casi con stenosi > 75%. Complessivamente, è stata rilevata un’ evolutività della stenosi nel 44-53% dei casi; un rischio occlusivo nel 39% con stenosi >75% e del 100 se > 80%.Una riduzione dimensioni renali è stata riportata nel 26% dei reni con stenosi > 60% in 14 mesi. L’arresto della progressione della stenosi e un possibile ricupero della funzione renale sono alla base delle indicazioni al trattamento che vengono poste in presenza di una stenosi elevata, funzionalmente efficace (in genere superiore al 60%). Il problema delle indicazioni preferenziali della correzione chirurgica e dell’angioplastica eventualmente con stenting, è stato risolto in favore di quest’ultima tranne che in casi molto particolari. Nel 60 - 80% dei casi si ottiene un miglioramento o stabilizzazione funzionale. E’ possibile, ma non costante, un miglioramento dell’ipertensione arteriosa. Le complicazioni dell’angioplastica (ematoma femorale; microemboli periferici; trombosi o dissezione dell’arteria renale) sono poco comuni. Limiti principali ad intervento correttivo sono un diametro longitudinale renale < 8 cm, resistenze intrarenali molto elevate ( che indicano la presenza di una nefroangiosclerosi molto importante) ed un’embolia colesterolica concomitante IPERTENSIONE NEFROVASCOLARE Che la stenosi di un’arteria renale possa causare un’ipertensione arteriosa è stato definitivamente dimostrato da Goldblatt nel suo modello sperimentale, nel quale interviene in una prima fase un’attivazione nel rene ischemico del sistema renina-angiotensina. Nella fase cronica, i valori serici di renina si normalizzano, pur continuando il rene ischemico a produrre una quantità di renina superiore a quella dell’organo controlaterale, e intervengono nel mantenimento di elevati livelli pressori altri fattori, tra i quali sembrano prevalenti la ritenzione di sodio e un’inappropriata elevata secrezione di renina. La causa più comune di ipertensione nefrovascolare è una placca aterosclerotica sul tronco dell’arteria renale principale, e l’evoluzione verso la trombosi è abbastanza frequente. Nel giovane sono invece causa di stenosi anomalie strutturali dei vari componenti della parete arteriosa, la più comune delle quali, specie nella donna, è rappresentata dalla fibroplasia della media, che causa immagini arteriografiche di dilatazioni, e possibili formazioni di aneurismi, alternate a stenosi, a filo di perle. Questa condizione deve essere sospettata quando in un soggetto in precedenza normoteso, giovane (sotto i 20 anni) o oltre i 50 anni, si sviluppa improvvisamente un’ipertensione arteriosa. Nel soggetto giovane può essere indicativa la presenza di un soffio addominale periombelicale (nell’anziano aterosclerotico i soffi vascolari sono troppo comuni per essere indicativi in tal senso) Talora è presente un’ipokaliemia conseguente all’iperaldosteronismo secondario, e un’alcalosi metabolica. Indicativa può essere una differenza del diametro longitudinale renale tra di due lati > a 1,5 cm. (bisogna tener presente in questa valutazione che il rene sinistro ha fisiologicamente un diametro longitudinale maggiore di circa 1cm di quello destro). L’iter diagnostico strumentale è simile a quello descritto per la malattia renale ischemica. Nella maggior parte dei casi l’angioplastica vascolare ha soppiantato l’intervento chirurgico. EMBOLIA RENALE COLESTERINICA E’ un’entità comune, di importanza emergente, e di incerto trattamento. La sua prevalenza autoptica sarebbe di circa il 15 % in paz > 65 aa con aterosclerosi severa; sarebbe riscontrabile in circa il 30 % dei pazienti con aneurisma aortico, nel 30 % dei soggetti che hanno avuta un’angiografia nei sei mesi precedenti in decesso; in oltre il 70 % di quelli deceduti dopo interventi sull’aorta addominale E’ caratterizzata dalla presenza di cristalli di colesterolo nelle arterie di piccolo e medio calibro che tende ad essere inglobato da cellule giganti e stimola una neoangiogenesi con proliferazione miointimale Può essere spontanea o secondaria ad interventi chirurgici vascolari o a cateterismi vascolari. Le manifestazioni cliniche possono essere poliorganiche pseudovasculitiche, oppure mono organiche. E’ possibile rilevare un progressivo peggioramento della funzione renale che, nei casi gravi può essere rilevante. Talora l’embolia è peraltro asintomatica. Può essere presente un’eosinofilia ed una riduzione della frazione complementare C3.

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Nella fase acuta il trattamento steroideo può talora consentire risultati positivi. MICROANGIOPATIA TROMBOTICA E’ una sindrome complessa con anemia emolitica, piastrinopenia, febbre, trombosi del microcircolo. Comprende un continuum di condizioni patologiche: - la sindrome emolitico - uremica (SEU o HUS-) caratterizzata insufficienza renale acuta, anemia emolitica microangiopatica e trombocitopenia, con segni neurologici minori o assenti, riferita come prevalente nel bambino - la porpora trombotica trombocitopenica (TTP) caratterizzata da una compromissione neurologica spesso con sintomi “fluttuanti” prevalente sulle altre lesioni organiche, comprese quelle renali, febbre, segni cutanei, evidenti riferita come più comune nell’adulto Cause principali: -infezioni batteriche e virali (forme epidemiche e sporadiche) -fattori ereditari (forme atipiche famigliari) -malattie sistemiche (LES, scleroderma),ipertensione maligna sovrapposta a gn, neoplasie, rigetto di trapianto, gravidanza -farmaci (tacrolimus, ciclosporina, mitomicina, platino, mitomicina, ticlopidina, contracettivi orali etc), Su queste basi si distinguono le seguenti forme principali: epidemica (associata in genere a verotossine); sporadica, (non associata ad infezioni), in genere primitiva; associata alla gravidanza; post partum; associata a neoplasie (gastriche: 50%) e a mitomicina, platino, bleomicina; associata al trapianto e a farmaci anti rigetto. L’associazione con l’infezione da E Coli 0 157 è stata segnalata nell’80, ed è poi stata riportata in migliaia di casi Sindrome emolitico uremica associata a diarrea: In uno studio di pazienti con HUS associata a diarrea, il 92% delle coproculture ottenute nei primi sei giorni dopo l’inizio della diarrea contenevano E.Coli 0157:H7. La percentuale scendeva al 33% dopo sei giorni L’ E Coli O 157:H7 appartiene a un gruppo di E Coli diarreogene, indicate come Shiga toxin-producing E.Coli (STEC) Il termine Shiga toxin (Stx) si riferisce a due famiglie di tossine correlate Stx/Stx1 (che include la classica tossina prodotta dalla Shigella Dysenteriae) e Stx2, più strettamente correlata alla HUS L’1% dei bovini sani la ospiterebbe nell’intestino (Besser 99). E' stata anche isolata da feci di pecora e di cervi La trasmissione avviene il più spesso con cibi (carni, verdure, frutti e derivati, latte e acqua contaminati) crudi, non ben cotti o non pastorizzati. E’ possibile una contaminazione interpersonale (feci di bambini piccoli - l’eliminazione fecale prosegue anche per 1-3 settimane dopo la guarigione della GE-; scarsa igiene delle mani) o da contatto con animali. Sono state descritte infezioni conseguenti a immersione in acque contaminate (Olanda,Finlandia e isole spagnole) La carica infettante può essere bassa (anche <50 microrganismi -Tilden). L’incidenza delle infezioni cliniche da E.Coli O 157:H7 è solo parzialmente nota (15-39% delle diarree emorragiche- Slustker 1997 USA), ma pare in aumento. L’infezione può essere interamente asintomatica, o con diarrea acquosa, o emorragica, o una microangiopatia trombotica (HUS,TTP), anche mortale. In epidemie USA un 25% dei pazienti è stato ospedalizzato, un 6% ha sviluppato una microangiopatia trombotica (HUS o TTP). L’1% è deceduto Sindrome diarroica da E Coli O 157 Il periodo di incubazione è di 3-4 giorni: la diarrea dura alcuni gg, con risoluzione in 5-10 gg o peggioramento in 2-3 gg, segnato (90% circa) da comparsa di feci variamente emorragiche. Dolori addominali sono abituali. Vomito: in un terzo dei casi; febbre: in un 40%. Nei casi gravi sintomi di addome acuto (ileo!). I reperti istologici intestinali sono infiammatori o ischemici simili a quelli da Clostridium difficile Microangiopatia trombotica (HUS,TTP) secondaria a Gastroenterite (E.Coli O 157:H7) Dopo un eventuale periodo asintomatico (il rischio maggiore è tra 5-9 e 50-59 anni) si ha la comparsa improvvisa di: - astenia, pallore, febbre, oliguria, iperidratazione (rara la disidratazione), ipertensione arteriosa (> 50% ) anche grave, porpora, epato e splenomegalia ( un 30% dei casi ), ittero; sintomi neurologici da sonnolenza a convulsioni e coma, deficit motori focali; non sono rari altri segni di trombosi del microcircolo (infarti pancreatici) - anemia emolitica (anemia ingravescente: Hb 7-9g/dL , eventuale leucocitosi, aumento LDH, riduzione aptoglobina, test di Coombs negativo, schistocitosi, piastrinopenia); i fattori della coagulazione sono per lo più normali, in assenza di setticemia - aumento della bilirubina non coniugata - ipoalbuminemia (capillary leakiness) - proteinuria, ematuria, cilindruria, insufficienza renale acuta ingravescente (aumento azotemia e creatinina riduzione della clearance della creatinina). Anatomia patologica: Dal punto di vista anatomopatologico, una compromissione renale è costante nella SEU,ma è molto frequente anche nella TTP (40-75% dei casi). I glomeruli mostrano microtrombi, presenti soprattutto nelle arteriose afferenti, nelle quali si ritrova anche una proliferazione di cellule endoteliali talora cospicua. Sono frequenti lesioni tubulari, anche di tipo necrotico, e interstiziali.Possono essere riscontrate aree di mesangiolisi e di necrosi fibrinoide arteriolare. Diagnosi: è fondamentale l'identificazione degli episodi diarroici “a rischio”: bisogna sospettarla ed eseguire in tutti i pazienti con diarrea ematica una coprocultura mirata ll'identificazione dell'E. Coli O 157 (Sorbitolo-MacConkey -SMAC-agar) E' da ricordare il rischio del trattamento antibiotico degli episodi diarroici: “..gli antibiotici non dovrebbero essere somministrati nei bambini con diarrea acuta sino a quando non sia disponibile una coprocultura che confermi la presenza di germi con indicazioni al trattamento antibiotico” (Farquhar 2000) e sia esclusa la presenza di E. Coli 0 157:H7 (Weir 2000) Fluorochinolonici e trimetoprim sono potenti induttori della produzione di Shiga tossine. Anche altri antibiotici (es cefalosporine, ampicillina) possono esercitare questo effetto L’imipenem e la fosfomicina potrebbero fare eccezione

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Tre recenti studi pediatrici Nordamericani hanno suggerito che farmaci che riducono la motilità intestinale accrescono il rischio di HUS quando somministrati a bambini con E Coli O 157:H7 La PREVENZIONE è affidata al rispetto sistematico delle norme igieniche (Non tutto quello che è naturale è sicuro): accurato lavaggio delle mani. Buona cottura delle carni specie di quelle tritate di preparazione industriale (Hamburger); uso di latte pastorizzato; accurato lavaggio di frutta e verdure; evitare di bere acque di falde superficiali non controllate Prognosi: La mortalità è del 6 -10 %. In età pediatrica la remissione della sindrome nell’85-90% dei casi trattati. Nei casi con andamento favorfevole la ripresa funzionale renale avviene in 2-3 settimane. Possono residuare un’IRC di vario grado, un’ipertensione arteriosa e lesioni neurologiche NECROSI CORTICALE E’ una rara causa di insufficienza renale acuta. Può essere associata ad incidenti ostetrici, come l’abruptio placentae (responsabile di oltre il 50% di tutti i casi), a traumi severi, a shock settici, ad esposizione ad alcuni veleni (di serpente, glicole dietilenico, arsenico). Nella sua patogenesi,peraltro non completamente nota, sono stati ipotizzati l’intervento di fenomeni vasospastici, di una microangiopatia trombotica e di fenomeni immunitari. La necrosi può essere diffusa o interessare solo alcune porzioni dei reni. In generale sono risparmiate una sottile zona sottocapsulare e la parte più interna, iuxtamidollare, della corticale. Nelle forme diffuse si instaura brutalmente un’insufficienza renale acuta oligo-anurica irreversibile. In quelle focali dopo un periodo di insufficienza renale anche grave, vi può essere una ripresa funzionale di vario grado. INFARTO RENALE Consegue all’ostruzione completa delle branche principali delle arterie o delle vene renali. Le lesioni arteriose sono quelle più comuni; sono di tipo ischemico, e possono essere dovute a embolia (da trombi atriali o ventricolari, o da vegetazioni valvolari cardiache), a trombosi (spesso in sede di lesioni aterosclerotiche) o, più raramente, a fenomeni vasculitici. Dal punto di vista antomopatologico vi è una necrosi coagulativa, che va incontro a fenomeni riparatori di sclerosi. Negli infarti di maggiori dimensioni vi può essere un dolore lombare, con ematuria e proteiniuria, in genere transitorie; infarti di piccole dimensioni sono in genere clinicamente silenti. A seconda delle dimensioni dell’infarto si potrà avere a distanza un’atrofia del rene o la presenza di cicatrici. Le lesioni infartuali da ostruzione venosa sono di tipo emorragico; eccezionali nell’adulto, in genere sono appannaggio della patologia pediatrica (nell’adulto un’ostruzione venosa anche completa causa solo raramente un’infarto); e conseguono per lo più a fenomeni di gravissima disidratazione, quale può aversi in corso di diarree profuse. VASCULITI Le vasculiti ragruppano numerose malattie caratterizzate da lesioni infiammatorie e necrotiche delle pareti vascolari che causano lesioni ischemiche e necrosi. Sono caratterizzate da necrosi fibrinoide, alla quale si associano in genere lesioni infiammatorie delle pareti vascolari e dei tessuti perivascolari. Le conseguenti alterazioni ischemiche costituiscono la base anatomofunzionale della sindrome vasculitica. Possono interessare esclusivamente il distretto arterioso (arteriti), oppure anche quello capillare e venulare (vasculiti). Data la frequente estensione a più distretti, il termine di vasculiti si è gradualmente sostituito a quello iniziale di arteriti, tranne che per alcune malattie, come la panarterite macroscopica, per le quali è giustificato da motivi storici ed istopatologici. Alternativo al termine di panarterite è quello di poliarterite o di poliangioite. Alcune vasculiti interessano elettivamente un settore dell'organismo (ad es vasculiti renali, vasculiti cutanee); la maggior parte interessa più settori o l'intero albero vascolare (vasculiti sistemiche). La loro comparsa può avvenire in un contesto primitivo o nel corso di un'altra malattia (vasculiti secondarie: ne sono un esempio quelle in corso di LES, di crioglobulinemia mista essenziale, di sindrome di Schoenlein-Henoch, etc).Per parte delle forme primitive sono stati identificati gli agenti causali; il più spesso tuttavia sono ignoti (vasculiti idiopatiche in senso stretto). Siccome possono essere interessati vasi di ogni tipo, dimensione e localizzazione, le vasculiti sistemiche hanno manifestazioni cliniche etrogenee, talora peculiari, ma il più spesso aspecifiche, che possono essere descritte nella cosiddetta “sindrome vasculitica” Sindrome vasculitica. Nelle forme complete, comprende: febbre, perdita di peso, malessere, anoressia, mialgie, riduzione delle masse muscolari, artralgie, artiti, anemia, aumento della VES, della proteina C, leucocitosi. Spesso, ma non costantemente associati con questi sintomi generali, possono essere presenti segni di compromissione d'organo o di sistema, talora almeno inizialmente isolati. I più comuni sono:

-dolori addominali, talora con emorragie gastrointestinali e/o con fenomeni ischemici intestinali; -sintomi neurologici centrali e periferici, soprattutto con mononeuriti -manifestazioni cutanee (porpora, necrosi, livedo reticularis, urticaria che a differenza di quella allergica non vasculitica

dura in genere più di un giorno e può evolvere in lesioni purpuriche), preferenzialmente distali inferiori -angor, IMA, insufficienza cardiaca; -alterazioni urinarie (proteinuria, ematuria, leucocituria), insufficienza renale, ipertensione arteriosa.

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-asma, infiltrati polmonari; emoftoe. - miositi -dolori ai testicoli Con la loro vasta gamma di sintomi, le vasculiti possono mimare malattie infettive, neoplastiche, tossiche, allergiche ed

autoimmuni e nefropatie primitive o secondarie da altra causa. La classificazione delle vasculiti è ancora in parte controversa, sia per problemi interpretativi sia per l’esistenza di forme da sovrapposizione (overlap syndromes). Tra le molte, ne sono riportate due delle più usate in nefrologia. In neretto sono indicate quelle di maggior importanza pratica.

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CLASSIFICAZIONE DELLE VASCULITI PRIMITIVE (da D'Agati e Appel). A. Poliarterite nodosa

1. Macroscopica 2. Microscopica (da ipersensibilità) 3. "Overlap syndrome" 4. Glomerulonefrite rapidamente progressiva pauci immune

B. Granulomatosi di Wegener C. Granulomatosi allergica (sindrome di Churg-Strauss) D. Arterite a cellule giganti

1. Arterite temporale 2. Arterite di Takayasu ____________________________________________________________________

Nomenclatura delle vasculiti secondo la consensus conference di Chapel Hill sulle vasculiti sistemiche

Dimensioni dei vasi principalmente interessati Grandi Arterite temporale (arterite granulomatosa) Art. di Takayasu (arterite granulomatosa) Medie Poliarterite nodosa macroscopica (arterite necrotizzante)

malattia di Kavasaki Piccole Granulomatosi di Wegener (arterite granulomatosa) Poliangioite microscopica (arterite necrotizzante) S. di Churg- Strauss S. di Shoenlein-Henoch Vasculite cutanea leucocitoclasica Vasculite della crioglobulinemia ___________________________________________________________-

Panarterite Nodosa (PAN) Classica E’ stata la prima ad essere definita e in passato le sono state erroneamente assimilate altre vasculiti con caratteristiche differenti. E' caratterizzata da compromissione prevalente delle arterie di medio e talora di grosso calibro, spesso con aneurismi.

Le lesioni interessano, in maniera circumferenziale o segmentaria, la tonaca media o tutto lo spessore del vaso con necrosi fibrinoide, carioressi, infiltrazione di leucociti (granulociti e monociti), frammentazione della lamina elastica interna, eventuale formazione di aneurismi in corispondenza di lesioni necrotizzanti focali, emorragie, trombosi, ricanalizzazione, fibrosi. In qualche caso si ritrovano cellule infiammatorie disposte attorno all'arteria (v. il vecchio termine di periarterite nodosa). Le lesioni sono irregolarmente distribuite e in genere in fase evolutiva diversa. L'I.F.specie nelle fasi acute dimostra, nelle pareti dei vasi lesi, albumina, immunoglobuline, frazioni del complemento, la cui presenza è considerata aspecifica. E frequente un interessamento delle arterie renali, soprattutto dalle aa. interlobari alle interlobulari, ma possono essere colpite anche le arterie renali principali. I glomeruli sono ischemici; talora vi sono lesioni necrotiche con proliferazione extracapillare.

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Se acuta e grave l'ischemia può causare fenomeni infartuali; se cronica, un'atrofia irregolare della corticale. La presentazione clinica tipica é quella di una sindrome vasculitica, con varia connotazione, a secondo degli organi prevalentemente interessati. La compromissione cutanea non è comune; quella polmonare è rara. La sintomatologia nefrologica è spesso discreta ma occasionalmente può avere particolare rilievo, con un'insufficienza renale acuta o rapidamente progressiva. Una proteinuria è spesso presente, in genere moderata, eccezionalmente di ordine nefrosico. Nei casi con lesioni confinate ai vasi di medio calibro e ischemia glomerulare prevalente il sedimento urinario è poco alterato. E’ comune, ma non costante, un'ipertensione arteriosa, talora grave. Possono comparire segni clinici, urinari e morfologici di infarto renale. Nei casi protratti l'ischemia glomerulare può causare un'insufficienza renale cronica progressiva. I dati laboratoristici sono aspecifici: anemia normocromica, leucocitosi, trombocitosi, aumento delle proteine della fase acuta, fibrinogeno, proteina C reattiva, complemento, espressione di un processo infiammatorio. Può essere presente una schistocitosi, espresione del danno vascolare. L'HBsAg é presente con una frequenza variabile dal 6 al 40%. La diagnostica per immagini può rilevare la presenza di cicatrici corticali. In un 80% dei casi lo studio atreriografico dei distretti renali, mesenterici e splenici evidenzia aneurismi e interruzioni del lume vasale. La diagnosi è in genere difficile. I segni clinici e di laboratorio sono spesso sufficienti a far porre il sospetto, ma non a confermarlo. Esami angiografici (aneurismi vascolari epatici, renali e viscerali) possono essere dirimenti, ma aneurismi possono essere riscontrati anche in altre affezioni ( LES, Granulomatosi di Wegener, sindrome di Churg e Strauss) La biopsia cutanea, muscolare o rettale può essere diagnostica. La dimostrazione di una lesione mononeuritica periferica, con velocità di conduzione nervosa periferica anormale può essere indicativa. La biopsia renale solo in pochi casi offre quadri caratteristici e spesso mette in evidenza solo fenomeni ischemici, o di limitata infiltrazione vascolare o perivascolare leucocitaria. Poliarterite Microscopica E' caratterizzata da lesioni necrotizzanti, senza manifestazioni granulomatose, delle arterie di piccolo calibro, delle arteriole, dei capillari e delle venule post capillari, ed è pertanto più appropriato il termine di poliangioite. A livello glomerulare si osserva una necrosi fibrinoide, per lo più focale e segmentaria, in genere con proliferazione extracapillare. Quando il fattore patogentico principale sia un agente ad intervento occasionale ("one shot"), le lesioni glomerulari sono di stadio simile; nella maggioranza dei casi sono però di vario tipo e stadio con crescents fibrosi e/o lesioni sclerosanti endocapillari in associazione ad aspetti proliferativi, e infiltrati infiammatori interstiziali (pmn, monociti talora eosinofili). Analogamente a quanto si ritrova nelle GNRP di tipo III, all'IF vi è in genere positività per il solo fibrinogeno nelle aree di necrosi. Alla ME non si reperiscono depositi. Come le altre angioiti ANCA associate è più frequente nella quinta e sesta decade di vita. La presentazione clinica tipica è di una sindrome clinica vasculitica, con sintomi di nefrologici di vario tipo, che possono apparire almeno inizialmente isolati: da un'anomalia urinaria isolata (che può precedere per mesi un fase attiva della malattia), a una sindrome nefritica acuta, rapidamente progressiva o cronica. L'ipertensione arteriosa è incostante.La positività per anticorpi circolanti P-ANCA antimieloperossidasi (vedi capitolo delle glomerulonefriti primitive) è comune, ma l’associazione non è così stretta come quella esistente nel caso degli anticorpi C-ANCA e granulomatosi di Wegener. In entrambe le malattie un dieci per cento dei pazienti è ANCA negativo. GNRP a IF negativa (tipo III) o Poliarterite Microscopica a estrinsecazione inizialmente renale?

Le gn necrotizzanti pauciimmuni possono essere collocate tra le vasculiti. In parte dei pazienti con diagnosi iniziale di GNRP di tipo III si sono poi osservati segni extrarenali di vasculite.

Granulomatosi di Wegener Interessa arterie di medio e piccolo calibro capillari e venule; è caratterizzata da granulomi che circoscrivono un vaso

necrotico. Vi è un interessamento elettivo del tratto respiratorio superiore ed inferiore; la compromissione renale è simile a quella della

poliangioite microscopica (necrosi fibrinoide; frequente proliferazione extracapillare). Il glomerulo si può trovare al centro di un granuloma ("glomerulonefrite granulomatosa"). Granulomi possono peraltro essere riscontrati, specie nel tratto respiratorio, in sede extravascolare.

La presentazione clinica completa è con una broncopolmonite, talora con escavazioni precoci, rinorrea purulenta, otite, segni

di interessamento renale di vario tipo come nella poliangioite microscopica, spesso con IR rapidamente progressiva. Non sono rari altri segni di vasculite sistemica o d’organo, come occlusioni coronariche, infarti intestinali, necrosi cutanee, etc. L' ipertensione arteriosa è incostante. D’abitudine i fenomeni asmatici, caratteristici invece ,della sindrome di Churg e Strauss, sono assenti. Presentazioni atipiche possono essere con una stenosi sottoglottica o uno pseudotumore orbitale.

La compromissione renale può essere iniziale o, più frequentemente, è tardiva. La presenza di C-ANCA (vedi capitolo delle glomerulonefriti primitive) antiproteinasi PR3 è molto comune, per quanto non

costante.

Trattamento delle vasculiti In passato le forme più gravi di vasculite avevano una prognosi infausta in pochi mesi. Nuovi schemi terapeutici, con immunodepressori (il più impiegata nel trattamento iniziale è la ciclofosfamide), steroidi ed eventualmente, nella fase di attacco la plasmaferesi, hanno modificato radicalamente l'andamento e la prognosi di queste malattie che peraltro contnuano a porre difficili problemi nella scelta della terapia da adottare soprattutto di quella di mantenimento..

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NEFROPATIE INTERSTIZIALI

CLASSIFICAZIONE DELLE NEFROPATIE INTERSTIZIALI

E' classica la distinzione tra nefriti interstiziali acute e croniche su criteri clinici ed eventualmente istopatologici: edema, granulociti e lifociti sono markers delle prime; nelle seconde prevalgono sclerosi e linfociti; in entrambe si ritrovano macrofagi, plasmacellule e talora granulomi. In assenza di sicuri elementi clinici ed anamnestici e del riscontro di granulociti, una precisa definizione è difficile o impossibile; le difficoltà sono accentuate dalla possibilità di una precoce comparsa di sclerosi interstiziale. Queste nefropatie hanno una grande varietà eziologica; cause diverse possono provocare lesioni istologiche indistinguibili. La classificazione è pertanto basata su criteri eziologici. La necrosi papillare è spesso associata a gravi danni interstiziali, con i quali ha numerosi fattori eziologici comuni e può essere inclusa in questo capitolo. __________________________________________________________ NEFROPATIE INTERSTIZIALI: CLASSIFICAZIONE EZIOLOGICA A) ACUTE : - da localizzazione batterica (pielonefrite), micotica, virale - da associazione ad infezioni (o intrainfettive) - da farmaci e da "nefrotossine" - in corso di malattie immunitarie (LEs crioglobulinemia) e di rigetto di trapianto di rene - idiopatiche B) CRONICHE - batteriche: pielonefrite cronica - da infezioni specifiche: tubercolosi - da reflusso cisto-ureterale - da ostruzione - da farmaci: analgesici, litio, cis-platino, ciclosporina, anti infiammatori non steroidei (FANS) etc. - da "nefrotossine": es. avvelenamento da Cortinarius Orellanus, da ingestione di decotti contenenti "erbe cinesi" o da alcuni serpenti etc - da metalli pesanti: Pb, Cd, Hg etc. - da alterazioni metaboliche ed elettrolitiche: diabete, iperuricemia,iperossaluria, cistinosi, ossalosi, ipercalcemia, ipokaliemia - da malattie a patogenesi immunologica con interessamento renale, primitivo o secondario, inizialmente: 1) glomerulare (glomerulonefriti primitive e secondarie) 2) vascolare (vasculiti) 3) tubulo-interstiziale (nefriti interstiziali "primitive" o secondarie, ad es. in corso di LES) 4) in corso di rigetto cronico di rene trapiantato - da ischemia renale - in corso di emopatie, leucemie e linfomi - ereditarie: nefriti interstiziali familiari - da radiazioni - da causa dubbia: es. nefrite dei Balcani - "idiopatiche" (In neretto sono indicate quelle trattate nelle lezioni di nefrologia) _______________________________________________________ La possibile presenza di una compromissione di funzioni tubulari, elettiva o prevalente su quella glomerulare, più frequente in alcuni tipi di nefropatia, aveva suggerito tentativi di classificazione in riferimento al profilo funzionale. Nonostante l'evidenza di alcune presentazioni, si è peraltro riconosciuto che nessuna è patognomonica e che si tratta di reperti incostanti: questo approccio non è quindi utilizzato se non per un indirizzo semeiotico e lo ricordiamo per questo motivo. __________________________________________________________ NEFROPATIE INTERSTIZIALI: CLASSIFICAZIONE IN RIFERIMENTO ALLE ALTERAZIONI FUNZIONALI

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A) ALTERAZIONI FUNZIONALI TUBULARI ELETTIVE Disfunzioni del tubulo prossimale: acidosi renale tubulare prossimale, associata o meno a sindrome di Fanconi - Malattia anti-membrana basale tubulare idiopatica - Mieloma - Metalli pesanti: piombo, cadmio, mercurio - Emoglobinuria parossistica notturna - Malattie immunologiche (rare): rigetto del trapianto, epatite cronica attiva, LES - Leucemia mieloide acuta - Cistinosi Disfunzioni del tubulo distale: acidosi tubulare distale, associata o meno a iperkaliemia e/o a perdita di sodio - Amiloidosi - Ipercalcemia/nefrocalcinosi: iperparatiroidismo primitivo - Malattie immunologiche: sindrome di Sjögren, LES, epatite cronica attiva, cirrosi biliare primitiva, tiroiditi, rigetto del trapianto - Uropatie croniche ostruttive - Affezioni granulomatose - Nefropatia dei Balcani Disfunzioni del nefrone midollare e papillare: diminuzione della capacità a concentrare le urine - Alcune nefropatie da farmaci (es. analgesici, meticillina, litio) - Infezioni batteriche acute e croniche - Anemia a cellule falciformi - Nefropatie ostruttive, nefropatie iperuricemiche e iperossaluriche - Sarcoidosi B) INSUFFICIENZA RENALE GLOBALE, DA RIDUZIONE DELLA MASSA NEFRONICA Il profilo funzionale è simile a quello delle glomerulonefriti e delle nefropatie sperimentali da nefrectomia subtotale. - Può essere riscontrato in tutte le nefropatie interstiziali. __________________________________________________________ Per la diagnosi di nefrite interstiziale si ricorre in genere ad elementi clinico-anamnestici, funzionali, dell'esame delle urine e soprattutto della diagnostica per immagini. Può quindi avere valore un approccio classificativo che tenga conto della più comune presentazione morfologica macroscopica. Anche in questo caso non vi sono reperti patognomonici, ed un'atrofia renale di grado estremo può essere conseguenza di processi ad eziologia differente (ad es. pielonefrite, nefropatia da reflusso).Grazie anche alla diagnostica per immagini nei pazienti affetti da nefropatie interstiziali la biopsia renale non è comunemente eseguita. Fanno eccezione casi di nefrite interstiziale acuta, specie se con anamnesi muta, e casi di nefrite interstiziale cronica senza alterazioni caratteristiche della corticale e/o della midollare e con reperti urinari aspecifici. __________________________________________________________ NEFROPATIE INTERSTIZIALI: CLASSIFICAZIONE MORFOLOGICA A) ACUTE dimensioni renali normali o aumentate 1) con lesioni focali o lobari, unilaterali o prevalentemente unilaterali: - nefriti interstiziali batteriche (pielonefrite acuta) 2) con lesioni diffuse, bilaterali: - da infezioni batteriche, micotiche o virali -da farmaci e da "nefrotossine" -nefriti interstiziali idiopatiche e in corso di malattie immunitarie 3) con lesioni papillari necrotiche: - infezioni acute, specie secondarie ad ostruzione; diabete etc B) CRONICHE dimensioni renali normali o, più spesso, ridotte 1) con lesioni consensuali corticali e papillari, focali o lobari, unilaterali o prevalentemente unilaterali, alternate ad aree indenni (profilo irregolare; ipotrofia talora marcata): - pielonefrite cronica; - nefropatia da reflusso cistopielico; - calcolosi endocaliceale isolata 2) con riduzione diffusa della corticale (profilo regolare; eventuale sclerolipomatosi sinusale): - da farmaci

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- da "nefrotossine" - da metalli pesanti - da alterazioni metaboliche ed elettrolitiche - da malattie a patogenesi immunologica con interessamento renale primitivo e secondario - in corso di emopatie e linfomi - da ischemia renale per comprimissione dei grossi vasi - ereditarie - da radiazioni 3) con lesioni papillari necrotiche isolate o multiple, senza alterazioni corticali corrispondenti (profilo regolare o "ondulato"): - nefropatia da analgesici o da anti infiammatori non steroidei 4) con atrofia papillare generalizzata, spesso unilaterale (profilo regolare; ipotrofia renale spesso marcata): - nefropatia ostruttiva e post ostruttiva - reflussi ad alta pressione __________________________________________________________ NEFRITI INTERSTIZIALI ACUTE INTRAINFETTIVE __________________________________________________________ Si possono osservare in corso di: scarlattina, difterite, leptospirosi, toxoplasmosi, mononucleosi infettiva, morbillo, brucellosi, polmonite da micoplasma e malattia dei legionari. __________________________________________________________ E' probabile l'intervento di meccanismi immunologici scatenati dalla presenza, nell'interstizio renale, di antigeni batterici o virali, con montaggio locale di immunocomplessi o con successivo innesco di una reazione di ipersensibilità ritardata. La presentazione clinica è varia, da anomalie urinarie isolate, con leucocituria, modesta microematuria e cilindruria, proteinuria moderata o assente, sino ad un'insufficienza renale acuta. In genere la reversibilità è buona; la prognosi è quella della malattia causale. NEFRITI INTERSTIZIALI ACUTE DA FARMACI __________________________________________________________ Numerosi farmaci, alcuni di uso corrente, possano causare una nefrite interstiziale acuta tramite meccanismi immunologici. __________________________________________________________ Più estesamente studiate sono le nefropatie da antibiotici ß-lattamici, ed in particolare da meticillina che potrebbe interessare dall'uno al venti % dei soggetti trattati ed è un buon modello di questa malattia. Le complicanze renali non sono dose-dipendenti e possono comparire anche in caso di precedente buona tolleranza alla meticillina o ad un antibiotico della stessa famiglia; nella maggioranza dei casi erano state somministrate alte dosi e per periodi prolungati (da 10 giorni ad alcune settimane), ma un danno renale può verificarsi già dopo un paio di giorni di terapia. Le manifestazioni cliniche più tipiche sono un rash cutaneo, febbre ed eosinofilia; sono comuni artralgie, dolori lombari, linfoadenopatia, ma una sintomatologia completa è stata osservata in meno di un terzo dei casi. La compromissione del rene è indicata da ematuria, leucocituria talora con eosinofiluria, e proteinuria in genere moderata. La funzione renale può essere normale o compromessa, anche sino all'anuria. Sono possibili deficit tubulari isolati, per lo più di tipo distale. Con la sospensione del farmaco, unita o meno alla corticoterapia, la maggioranza dei casi recupera almeno in parte la funzionalità renale. Un limitato numero di segnalazioni di nefriti interstiziali acute riguarda i DIURETICI TIAZIDICI e la FUROSEMIDE. Tutti i casi descritti sono migliorati dopo la sospensione della terapia. Nefriti interstiziali acute durante trattamenti con ANTIINFIAMMATORI NON STEROIDEI, sono state segnalate dopo somministrazioni molto prolungate, spesso apparentemente ben tollerate. Mancano in genere rash, febbre ed eosinofilia, e l'unico segno può essere un'improvvisa diminuzione della funzione renale. Talora è concomitante un'intensa proteinuria, con un reperto glomerulare ultrastrutturale di fusione dei pedicelli. PIELONEFRITE __________________________________________________________

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Per pielonefrite si intende l'insieme di lesioni causate dalla diretta localizzazione di batteri non specifici nel rene, con interessamento primitivo e prevalente del tessuto interstiziale e secondario del sistema tubulare, glomerulare e vascolare. D'abitudine il bacinetto ed i calici sono coinvolti dall'infezione. __________________________________________________________ In passato questa malattia è stata indicata con un'ampia varietà di termini, sulla base di particolari caratteristiche di presentazione, evoluzione e patogenesi. Oggi si preferiscono le definizioni di pielonefrite o di nefrite interstiziale batterica. Il termine di pielonefrite ha il vantaggio di sottolineare la contemporanea localizzazione dell'infezione al rene ed al sistema pielocaliciale, quello di nefrite interstiziale batterica pone l'accento sulla primitiva e prevalente compromissione dell'interstizio e la differenzia da altre nefriti interstiziali a diversa eziologia. La pielonefrite può essere acuta o cronica, e primitiva o secondaria, in relazione all'eventuale presenza di una situazione locale predisponente. La diagnosi di pielonefrite primitiva si basa essenzialmente su criteri di esclusione. Nella definizione di pielonefrite secondaria è fondamentale il riconoscimento dei fattori predisponenti a livello delle vie escretrici o del parenchima renale. Quelli urologici, organici o funzionali, permanenti o transitori, sono i più frequenti; di particolare rilievo sono quelli ostruttivi, nei quali il meccanismo prevalente è rappresentato dalla stasi urinaria. Situazioni favorenti possono comparire durante la gravidanza, per la compressione sulle vie escretrici da parte dell'utero e l'ipotonia delle vie urinarie; una pielonefrite iniziata in questo periodo può poi decorrere come apparentemente primitiva. Patogenesi In passato la maggior parte delle lesioni interstiziali del rene veniva attribuita alla diretta localizzazione di batteri, e si riteneva che nel corso delle infezioni urnarie croniche il coinvolgimento del parenchima renale fosse molto frequente. Successivamente è stato constatato che, nei soggetti adulti in buone condizioni generali, in assenza di lesioni predisponenti, le infezione urinarie, anche protratte per anni, non causano in genere danni renali apprezzabili. Una lesione renale può invece facilmente instaurarsi in caso di infezione sovrapposta ad ostruzione, a un reflusso cistopielco, a una calcolosi, o ad alcune nefropatie, come quella diabetica o da analgesici. In contrasto con il significato relativamente benigno delle infezioni urinarie dell'adulto, tra il 20% e il 30% dei bambini studiati dopo una prima o una seconda infezione urinaria sintomatica presenta un reflusso vescicoureterale, ed in una parte dei casi già al primo accertamento sono presenti delle cicatrici renali. Attenzione va attribuita alle infezioni urinarie in gravidanza, durante la quale ( 8 - 10 % delle donne) può essere ritrovata una batteriuria significativa, in parte dei casi sintomatica non eccezionalmente con una pielonefrite. Nell'anziano le nefriti interstiziali croniche hanno spesso un'origine multifattoriale, con vario concorso di cause vascolari, tossiche, dismetaboliche ed ostruttive. Il sovrapporsi di un processo infettivo può far precipitare rapidamente un'insufficienza renale precedentemente ben compensata, e magari misconosciuta. La pielonefrite riconosce in genere una causa batterica. La responsabilità virale è rara; è eccezionale quella micotica. In un 90% dei pazienti ambulatoriali non trattati di recente con antibiotici si ritrova un'E. Coli. Proteus mirabilis, Klebsiella pneumoniae, Enterococchi, Stafilococchi (Aureus e Saprophiticus) si ritrovano ognuno nel 2-3% circa. Nei soggetti ospedalizzati la frequenza dell'E. Coli è dimezzata, a favore di un netto aumento delle altre specie, e particolarmente di Proteus, Pseudomonas, Stafilococchi. Il serbatoio di questi germi è generalmente l'intestino. La virulenza batterica sembra essere associata a differenti fattori, tra i quali sono forse importanti alcuni antigeni di membrana e quelli capsulari K. Notevole importanza è stata anche attribuita alla presenza di fimbrie che favorirebbero l'aderenza dei batteri alle cellule uroepiteliali. Nella donna è stata data importanza alla colonizzazione, da parte di ceppi potenzialmente virulenti, del vestibolo vaginale e dell'uretra distale, che sembra spesso precedere gli episodi di infezione urinaria. L'infezione si verifica però solo in una parte dei casi con colonizzazione introitale da E. Coli. Entrano quindi probabilmente in gioco differenti costituzioni anatomiche e fenomeni urodinamici, nonché altri fattori, quali la frequenza dei rapporti sessuali e dello svuotamento della vescica, le caratteristiche delle urine, le abitudini igieniche individuali, le differenti capacità battericide della mucosa vescicale. Vie di accesso al rene La via ascendente è la più importante; lo è meno quella ematica; quella linfatica non è significativa. La possibilità di diffusione dei germi al rene per via ascendente è talora legata alla presenza di un reflusso, anche transitorio, eventualmente secondario alla stessa infezione delle basse vie, documentabile tuttavia solo in parte dei casi. Importante sembra anche essere la capacità di adesione dei baterri alla mucosa. Non è rara la responsabilità di cateterismi e di altre manovre urologiche invasive che, anche se condotte sterilmente, possono trascinare batteri normalmente presenti nell'uretra. La via ematogena sembrerebbe intervenire soprattutto quando vi siano fattori predisponenti intraparenchimali, a seguito di batteriemie transitorie ed inapparenti, soprattutto a partenza intestinale.

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Caratteristiche della midollare del rene Nei modelli sperimentali di pielonefrite ematogena, l'inizio dell'infezione e la massima moltiplicazione batterica avvengono nella midollare del rene nella quale esiste un ambiente adatto alla moltiplicazione batterica, probabilmente in relazione a diversi fattori: flusso ematico ridotto; bassa tensione di ossigeno; elevata concentrazione osmotica; produzione locale di ammoniaca. PIELONEFRITE ACUTA __________________________________________________________ A livello del parenchima renale e delle vie urinarie predominano, accanto a monociti, linfociti e plasmacellule, i granulociti, che in genere si ritrovano in grandi quantità nelle urine. I casi gravi possono complicarsi con una necrosi papillare o ascessi renali o perirenali. E' una patologia emergente, non solo per le migliorate possibilità diagnostiche, ma anche per un aumento di incidenza di casi gravi. __________________________________________________________ La presentazione clinica più tipica è con esordio brusco di brividi, febbre, malessere generale, dolori lombari mono o bilaterali e/o in sede ureterale, spontanei e accentuati dalla palpazione e dalla percussione; i dolori addominali sono talora così importanti da simulare un "addome acuto" di competenza chirurgica; dolori sovrapubici, disuria e pollachiuria, espressione della contemporanea compromissione delle basse vie urinarie, non sono costanti; è costante una leucocitosi, la VES e i valori della proteina C, del fibrinogeno e della procalcitonina sono elevati. Una batteriemia transitoria è abbastanza frequente. Meno comune è una sepsi da batteri Gram negativi o da stafilococchi, che può causare una coagulazione intravascolare disseminata. Questo rischio è più elevato in pazienti sottoposti di recente ad interventi urologici, nei diabetici, nei cirrotici e nei soggetti in terapia con immunodepressori. Il comportamento della funzione renale è variabile, in rapporto alla gravità ed alla mono o bilateralità dell'affezione. Le urine, torbide, contengono grandi quantità di leucociti; le emazie sono in genere poco numerose, ed una loro particolare abbondanza deve fare sospettare una calcolosi, o una lesione urologica predisponente; è frequente una cilindruria jalina, granulosa, e leucocitaria. All'esame microscopico del sedimento, su urine appena emesse, sono spesso visibili dei batteri, la cui presenza a livelli significativi è confermata dal conteggio. Generalmente il test dei nitriti è positivo; spesso vi è una netta proteinuria. La diagnostica per immagini è fondamentale, e lo è in particolare la TAC con mezzo di contrasto, che rivela la presenza di aree tondeggianti o cuneiformi ipodense ("acute lobar nephronia") La risonanza magnetica nucleare può fornire una valida alternativa diagnostica con analoghe immagini. Anche utile può essere la scintigrafia renale che indica dei difetti di captazione in corrispondenza delle aree lese. L’ecografia renale può indicare la presenza di un rene di volume aumentato, o una o più aree ascessuali, ma spesso fornisce dei falsi negativi ed una sua normalità, che può risultare fuorviante, non deve essere considerata come elemento in grado di far escludere una pielonefrite acuta. La diagnosi differenziale è nei confronti della tubercolosi (piuria sterile, acida), delle necrosi papillari senza componente infettiva e delle coliche renali da calcolosi (evidente sintomatologia dolorosa, senza segni di infezione). L'evoluzione è in genere favorevole, in assenza di fattori predisponenti non correggibili o di preesistente danno parenchimale. La terapia deve essere mirata, sulla scorta dell'antibiogramma, contro i germi causali, e deve essere guidata dalla sorveglianza clinica (regressione completa della sintomatologia e della febbre), dagli esami di laboratorio (scomparsa dei segni di infezione e normalizzazione dei markers di infiammazione) e della diagnostica pe immagini, che in genere è l'ultima a normalizzarsi e spesso induce a protrarre la terapia al di là dei 14 giorni per lo più indicati dalle linee guida su queste infezioni come durata consigliata del trattamento. PIELONEFRITE CRONICA __________________________________________________________ La diagnosi di pielonefrite cronica è diventata progressivamente poco frequente non soltanto per la diffusione del trattamento delle infezioni urinarie e delle situazioni che le favoriscono, ma anche per il cambiamento dei criteri diagnostici, in quanto si è riconosciuto che quadri analoghi possono essere riscontrati in altre nefriti interstiziali croniche abatteriche. __________________________________________________________ Anatomia patologica Macroscopicamente il rene affetto da pielonefrite cronica si presenta con cicatrici irregolari della corticale, localizzate in rapporto a calici lesi, deformati e dilatati; le alterazioni papillari sono frequenti. L'interessamento è spesso prevalentemente polare; in presenza di ostruzione delle vie urinarie, la dilatazione della pelvi si accompagna a diffusi fenomeni di appiattimento e retrazione delle papille, con assottigliamento omogeneo della corticale. A livello microscopico, aree indenni sono irregolarmente alternate ad aree lese, con allargamento dell'interstizio e la presenza di linfociti, monociti e talora plasmacellule; la presenza di granulociti è indizio di riacutizzazione. Soprattutto nelle lesioni evolute è

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rilevabile un vario grado di fibrosi interstiziale. I tubuli sono atrofici e frequentemente dilatati, sino ad assumere un aspetto “similtiroideo”. Nelle aree lese i glomeruli possono essere normali, presentare fibrosi periglomerulare jalinosi globale; sono anche possibili lesioni ischemiche, sclerosi e jalinosi focale. Quadro clinico Il tipo e l'entità della sintomatologia clinica sono molto variabili, e la malattia può decorrere silente anche per decenni. I sintomi ed i segni sistemici di infezione (febbre, astenia, cefalea, anoressia, dimagramento, VES elevata, leucocitosi, etc.) sono in genere attenuati, e spesso assenti. Di regola strettamente legata all'infezione, ma talora anche dissociata, è la sintomatologia più specificamente urologica, anch'essa spesso larvata: disuria, pollachiuria, stranguria, dolori lombari irradiati verso il perineo e la vescica. Almeno in alcune fasi della malattia, la prevalente sofferenza tubulo-interstiziale può essere messa in evidenza da test funzionali, che indicano una compromissione tubulare più precoce ed intensa rispetto a quella glomerulare, una precoce riduzione della capacità di concentrare le urine (che può essere causa di poliuria anche intensa) e dell'escrezione idrogenionica ed una perdita urinaria di sodio. Nel sedimento urinario i leucociti rappresentano l'elemento più frequente ed importante, con una prevalenza di granulociti, indipendentemente dall'entità dell'eliminazione. Quando, in assenza di infiammazione urologica, il processo parenchimale procede attenuato, la leucocituria può essere minima o assente, pur in presenza di lesioni evolutive. Un'ematuria di origine parenchimale è rara e nella maggioranza dei casi è attribuibile a lesioni urologiche concomitanti. La pressione arteriosa è talora normale; anche in fase iniziale, può tuttavia essere presente un'ipertensione arteriosa grave. Diagnosi Si basa innanzitutto sulla dimostrazione di batteri in quantità significativa sulle urine appena emesse. __________________________________________________________ Il termine di batteriuria significativa o vera è usato per distinguerla dalle situazioni nelle quali i batteri provengono dalla porzione distale dell'uretra, dai genitali esterni o da una contaminazione avvenuta durante la raccolta o la conservazione. Alcuni studi hanno dimostrato che un conteggio di batteri superiore a 100.000 batteri (indicati come "colony-forming units - c.f.u.) /mL, su un getto intermedio di urine emesse spontaneamente, se la tecnica di raccolta è corretta, ha circa l'80% di probabilità di indicare una batteriuria significativa. La probabilità aumenta al 95% se la positività è, anzichè su uno solo, su 3 campioni successivi. Conteggi al di sotto di 10.000/ mL permettono di considerare l'infezione come improbabile; valori intermedi consigliano di ripetere l'esame. A parziale correzione di questi concetti, in un soggetto sintomatico, anche una positività a basso conteggio può avere peraltro significato, specie se si tratta di batteri potenzialmente molto pericolosi (es. Proteus, Pseudomonas) __________________________________________________________ Il rilievo di batteri nel sedimento urinario, in un controllo di routine, non ha invece in genere significato, in quanto è per lo più legato a contaminazione. Per evidenziare rapidamente le batteriurie significative, in questi ultimi anni è stato proposto l'impiego di reattivi su cartine, sensibili ai nitriti: la frequenza di falsi positivi e di falsi negativi è però elevata, e questo test non ha quindi soppiantato il conteggio batterico. L'identificazione del germe può essere molto importante: ad esempio la presenza di Proteus in urine alcaline indica un rischio elevato di calcolosi secondaria o, se essa è già presente, di un suo peggioramento; quella di Pseudomonas o di Serratia fa spesso prevedere notevoli difficoltà di trattamento. Lo studio della sensibilità agli antibiotici è fondamentale. Nella sua interpretazione è da tener presente che le risposte degli antibiogrammi sono abitualmente riferite ai livelli ottenibili a livello sierico, mentre alcuni farmaci raggiungono nelle urine concentrazioni ben più elevate. La leucocituria è di norma fondamentale per la diagnosi di infezione urinaria; peraltro nelle forme croniche ad andamento attenuato è spesso modesta, e talora assente. Nelle infezioni urinarie croniche l'ematuria è di modica entità: quando presente, è generalmente attribuibile ad una calcolosi o ad una marcata infiammazione della mucosa. Anche quando vi sia una compromissione renale, la cilindruria è rara, nonostante la ricchezza di cilindri a livello del parenchima. La proteinuria nelle pielonefriti è in genere molto modesta, talora in tracce. L'associazione di un'infezione con una proteinuria di rilievo (oltre 2 g/die) di solito è indizio di una sovrapposizione infettiva ad una nefropatia di altra natura, oppure di uno scompenso cardiaco, di una trombosi delle vene renali o di una glomerulosclerosi focale secondaria. La diagnostica per immagini può mettere in evidenza, oltre ad eventuali situazioni predisponenti: 1. - ineguaglianza dei diametri dai due lati (è significativa una differenza di di almeno un cm); 2. - irregolarità dei margini renali, dovute a retrazione cicatriziale ed a bozze corrispondenti a zone di parenchima ipertrofico; 3. - lesioni della regione papillo-caliceale: i piccoli calici perdono il caratteristico aspetto con fondo a cupola convessa verso il

bacinetto, la papilla si appiattisce sino ad assumere una conformazione a mazza; specie nei casi avanzati, le cavità escretrici sono opacizzate male ed irregolarmente;

4. - corticalizzazione dei calici, spesso a carattere zonale, che indica l'assottigliamento del parenchima corticale: la distanza tra calice e superficie può essere addirittura di pochi

Negli stadi avanzati l'atrofia del parenchima può essere rilevata anche dal ravvicinamento dei calici, che appaiono allungati e stenotici, con aspetto a fiore appassito. Queste alterazioni possono evolvere sino ad un'estrema atrofia dell'organo, di regola asimmetrica nei due reni;

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Non sono rari segni di fibrolipomatosi sinusale (ipertrofia del tessuto adiposo del seno renale, tendente a rimpiazzare il parenchima renale atrofizzato) ed alterazioni ipotoniche delle vie escretici. Le irregolarità del profilo renale, le lesioni della regione papillo-caliceale e la corticalizzazione dei calici non sono tuttavia patognomoniche della pielonefrite, ma sono riscontrabili anche in altre nefriti interstiziali croniche, come la nefropatia da reflusso, ed in ostruzioni focali dei calici, anche in assenza di sovrapposizione infettiva. L'ecografia consente di mettere in evidenza l'eventuale asimmetria tra i due reni, l'irregolarità del profilo renale ed alterazioni papillo-caliceali e della morfologia del bacinetto di una certa entità. La scintigrafia renale può offrire immagini che ben dimostrano la differente compromissione dai due lati e l'esistenza di lesioni localizzate. La biopsia renale non può essere considerata determinante in quanto, anche con un quadro istopatologico completo, è impossibile una diagnosi morfologica differenziale con altre nefriti interstiziali. Per l'irregolarità della disposizione delle lesioni pielonefritiche, il frammento bioptico può, d'altra parte, presentare solo alcuni degli aspetti istologici caratteristici, o addirittura un'immagine normale. Evoluzione e prognosi L'evoluzione è lenta, con riacutizzazioni alternate a periodi di quiescenza. La prognosi è in genere favorevole nei casi precocemente diagnosticati. Trattamento E' affidato a cicli di terapia mirata sulla scorta dell'antibiogramma.E' in ogni caso fondamentale l'accurata correzione di tutti i fattori predisponenti rimovibili (es ostruzione, calcolosi, reflusso, assunzione di farmaci nefropatogeni) NEFROPATIE INTERSTIZIALI OSTRUTTIVE __________________________________________________________ In presenza di un ostacolo cronico al deflusso delle urine può comparire una nefrite interstiziale cronica, anche senza sovrapposizione infettiva. __________________________________________________________ La patogenesi del danno parenchimale è complessa: interverrebbero principalmente lesioni papillari, da ischemia da compressione, cui seguirebbero le alterazioni corticali. Anatomia patologica Predomina la sclerosi interstiziale, con scarsi fenomeni di infiltrazione parvicellulare. I tubuli sono dilatati; in molte aree sono scomparsi. Negli stadi avanzati vi è una glomerulosclerosi focale o diffusa. La sintomatologia clinica è quella della lesione ostruttiva; la diagnosi è spesso tardiva, quando già vi è un'ipertensione arteriosa secondaria, un danno ava nzato di un rene o in caso di lesioni bilaterali un'insufficienza renale. Il comportamento della funzione renale e degli esami di laboratorio ricalca quello della pielonefrite. La diagnosi è in genere affidata alla diagnostica per immagini, che dimostra cavità pieliche dilatate, un appiattimento delle papille e, nei casi avanzati, l'assottigliamento del parenchima fino all'atrofia globale. La terapia richiede la correzione tempestiva dell'ostruzione e dell'eventuale infezione sovrapposta NEFROPATIA DA REFLUSSO VESCICO-URETERALE __________________________________________________________ E' una nefrite interstiziale cronica caratterizzata, nella sua presentazione più tipica, dall'associazione di cicatrici parenchimali grossolane ed irregolari e da un reflusso vescico-ureterale. __________________________________________________________ I reflussi vescicoureterali possono essere primitivi, per una congenita minor obliquità del tratto intramurale dell'uretere, la presenza di un diverticolo parameatale o alterazioni neurogene congenite, o secondari, in relazione a patologie funzionali od ostruttive della vescica, a fatti infiammatori cronici, neoplastici, o a lesioni traumatiche. I reflussi vescico-ureterali sono un evento relativamente frequente, e rappresentano un meccanismo importante perché i batteri, da una vescica infetta, raggiungano il rene, tanto che le lesioni renali conseguenti sono state a lungo definite come pielonefritiche. Alcuni lavori sperimentali hanno dimostrato che reflussi sterili ad alta pressione sono in grado di causare lesioni interstiziali indistinguibili da quelle della pielonefrite cronica. Si ritiene attualmente che entrambe le cause, isolatamente o in associazione, possano essere responsabili del danno renale. E' un'ipotesi che permette di superare le difficoltà interpretative dei casi di reflusso con evidenti lesioni parenchimali di tipo pielonefritico, con urine sicuramente sterili per anni. La possibilità di un'evoluzione totalmente abatterica non permette tuttavia di minimizzare l'importanza della complicanza infettiva. Modelli sperimentali hanno indicato che l'infezione può esercitare un ruolo aggravante sulla nefrite interstiziale abatterica, od essere causa di lesioni gravi anche in presenza di reflussi di scarsa entità. Queste osservazioni sono confermate dall'esperienza clinica di rapidi aggravamenti in presenza di infezione, e dall'utilità del trattamento antibatterico. Il fatto che sia molto frequente la risoluzione spontanea del reflusso cistopielico entro i 10 anni di età consente a sua volta di considerare almeno parte delle pielonefriti apparentemente primitive come secondarie a reflussi ormai risolti e di collocare pertanto

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in questo gruppo gran parte delle cosidette pielonefriti atrofiche del giovane, spesso unilaterali, o con prevalenza da un lato, senza batteriuria e con un sedimento urinario poco alterato, che da tempo costituiscono un puzzle diagnostico. La pielonefrite secondaria a reflusso cistopielico è ben conosciuta e, nel bambino, la presenza di lesioni pielonefritiche con marcati fenomeni cicatriziali, eventualmente fino all'atrofia del rene, si associa ad un reflusso nell'85-100% dei casi. Osservazioni in corso di cistografia minzionale, particolarmente nel bambino, hanno evidenziato che, nei casi più gravi, il mezzo di contrasto non solo giunge dalla vescica al bacinetto, ma può permeare lo stesso parenchima renale. E' il cosidetto reflusso intrarenale o pielotubulare che, nell'animale da esperimento, è stato documentato sino alla capsula del Bowman. La sua presenza e la sua entità sono in rapporto con la pressione intrapielica in corso di minzione e con la struttura dell'apice delle papille, i cui dotti possono essere congenitamente beanti, senza meccanismo antireflusso. Nell'evoluzione del danno parenchimale da fattori non batterici interverrebbero: - un effetto negativo delle cicatrici papillari che, retraendosi, renderebbero inefficace il meccanismo antireflusso dei dotti di Bellini adiacenti, rendendoli più vulnerabili, e quindi ampliando le possibilità di danno; - il passaggio nell'interstizio, favorito dai colpi di martello idraulico del reflusso, di costituenti delle urine e di proteina di Tamm-Horsfall, cui conseguirebbero una fibrosi ed un'alterazione degli spazi perivascolari, con conseguenti effetti ischemici; - un meccanismo immunologico, umorale o cellulomediato, contro la proteina di Tamm-Horsfall o contro altri antigeni autologhi o batterici. - una glomerulosclerosi segmentaria e focale, secondaria ad iperfunzione dei nefroni residui. Questa lesione è frequente in pazienti con interessamento bilaterale, danno funzionale avanzato e proteinuria superiore ad 1 g/die. Anatomia patologica Nei casi più tipici si ritrovano, particolarmente a carico dei poli superiore ed inferiore, grossolane cicatrici corticopapillari, in rapporto a calici dilatati e deformati, alternate ad aree di parenchima indenne in ipertrofia compensatoria. Le lesioni possono essere uni- o bilaterali; vi può essere una variabile riduzione dei diametri del rene, sino ad un'estrema atrofia. E' anche possibile il reperto di lesioni omogenee, con dilatazione diffusa delle cavità calico-pieliche ed atrofia uniforme del parenchima. Alterazioni di questo tipo sono generalmente conseguenti a reflussi massivi, ad alta pressione. Le lesioni istopatologiche sono praticamente indistinguibili da quelle della pielonefrite cronica. La sintomatologia clinica è variabile. Dolori lombari durante la minzione non sono comuni, e spesso le indagini sono avviate in seguito al riscontro di un'infezione urinaria; non raramente il primo segno della malattia può essere un'ipertensione arteriosa, una contrazione della funzione renale, che può giungere sino all'uremia, o il reperto occasionale, radiologico od ecotomografico, di cicatrici renali o di un'atrofia, mono o bilaterale. Diagnosi La presenza di un reflusso cistopielico è evidenziata dalla cistografia retrograda; può essere indicata con gradi tra I e V. __________________________________________________________ Grado I : il reflusso interessa solo l'uretere Grado II : il reflusso interessa l'uretere, la pelvi ed i calici; non vi è dilatazione ed i fornici caliceali sono normali. Grado III : vi è una dilatazione lieve e/o una tortuosità dell'uretere ed una lieve dilatazione della pelvi renale; i fornici hanno un minimo arrotondamento. Grado IV : l'uretere, la pelvi renale ed i calici hanno una dilatazione moderata; nella maggioranza dei calici le impronte papillari sono mantenute. L'uretere è tortuoso. Grado V : vi è arrotondamento importante della maggioranza dei fornici; le impronte papillari non sono più visibili nella maggioranza dei calici; dilatazione e tortuosità dell'uretere sono ben evidenti; la dilatazione della pelvi e dei calici è netta. Classificazione dei reflussi vescico-ureterali (cistografia retrograda) __________________________________________________________ Sono elementi caratteristici, all'urografia discendente: 1) l'interessamento prevalente dei calici polari; 2) la marcata corticalizzazione caliceale con cicatrici retraenti del margine renale in sede corrispondente; 3) la presenza di un diverticolo vescicale perimeatale; 4) la dilatazione ureterale; 5) le immagini di necrosi papillare che, per quanto possibili, sono peraltro rare. Alcuni di questi elementi morfologici possono essere agevolmente rilevati con l'ecografia renale. La scintigrafia renale sequenziale consente di evidenziare, oltrechè elementi morfologici, anche dati funzionali di notevole interesse, tra i quali: la diversità della funzione dei due reni e, spesso, la stessa presenza di reflusso vescico-ureterale. Evoluzione e prognosi In assenza di lesioni vescicali ed ureterali e di infezione, la maggior parte dei reflussi del bambino scompare entro i 10-12 anni, verosimilmente per il miglioramento delle condizioni anatomo-funzionali del sistema valvolare ureterovescicale. In caso di infezione, una risposta positiva al trattamento è un indice prognostico favorevole anche perché il reflusso tende più facilmente a risolversi in assenza di complicanze batteriche. In effetti una terapia antiinfettiva efficace e protratta si è dimostrata capace di ridurre l'insorgenza di nuove aree cicatriziali e nell'80% dei pazienti trattati anche il reflusso cistoureterale scompare. Studi sperimentali ed osservazioni cliniche indicano come particolarmente pericolosi, per l'alta pressione di svuotamento vescicale, i primi due anni di vita; se in un bambino con reflusso vescico-ureterale primitivo non sono presenti cicatrici renali a 5 anni, è improbabile che ne compaiano successivamente, anche se persiste il reflusso.

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Trattamento E' affidato alla correzione chirurgica o endoscopica del reflusso; di particolare importanza sono la prevenzione e il trattamento delle infezioni urinarie eventualmente presenti. NEFRITI INTERSTIZIALI CRONICHE DA FARMACI __________________________________________________________ La più nota e diffusa è quella da analgesici, ma anche altri farmaci possono essere responsabili: tra questi il Litio, il Cis-platino e la metilnitrosourea e i FANS __________________________________________________________ NEFROPATIE INTERSTIZIALI DA ANALGESICI Al termine, in passato molto in uso per indicare questa nefropatia, di nefrite interstiziale da fenacetina preferiamo oggi quello di nefropatia da analgesici, in quanto l'attenzione si è estesa dalla fenacetina e dai suoi metaboliti anche ad altri farmaci, come l'acido acetilsalicilico che, ritenuto tradizionalmente innocuo per il rene, almeno nell'animale da esperimento può causare lesioni interstiziali e fenomeni di necrosi papillare e i FANS. Patogenesi Nel caso della fenacetina, uno o più dei suoi cataboliti (particolarmente indiziato è il paraaminoacetofene) indurrebbero una deplezione, nelle cellule delle papille renali e della midollare, di glutatione, molecola ad attività riducente, protettiva nei confronti del danno ossidativo da radicali liberi dell'ossigeno. Anche l'acido acetilsalicilico agirebbe a questo livello, inibendo lo shunt degli esosomonofosfati che consente alla cellula di produrre sostanze riducenti in quantità adeguata. L'acido acetilsalicilico (ed ogni altra sostanza con caratteristiche analoghe) potrebbe anche causare un'ischemia renale, soprattutto della papilla, attraverso un'inibizione della sintesi delle prostaglandine. Questi effetti sono sinergici e sono potenziati dalla disidratazione, che accentua la concentrazione di queste sostanze nella midollare. Soprattutto in fase avanzata di malattia, potrebbero poi entrare in gioco fattori ischemici legati ad alterazioni anatomiche vascolari, particolarmente evidenti nella midollare (microangiopatia da analgesici). Può essere presente una complicanza infettiva, un tempo considerata di primaria importanza. A livello istopatologico piccoli focolai necrotici a carico delle cellule interstiziali, delle anse di Henle e dei capillari della midollare rappresentano le alterazioni più precoci. Successivamente compare una necrosi papillare parziale. Nelle fasi più avanzate si instaurano fenomeni di necrosi della midollare bassa e delle papille, che possono distaccarsi e talora calcificarsi. In questo stadio, a livello della corticale, si evidenziano edema ed infiltrazione interstiziale, con aree più o meno estese di fibrosi e di atrofia tubulare. I glomeruli possono essere indenni o presentare fenomeni di scleroialinosi. Specie nei casi con proteinuria intensa, vi può essere un'evidente glomerulosclerosi segmentaria e focale. Recentemente è stato descritto un peculiare ispessimento omogeneo PAS positivo dei vasi, che interessa la parete dei capillari, delle arteriole e delle venule della midollare bassa, a livello della mucosa e della sottomucosa dell'intero tratto urinario, dalla pelvi alla vescica; all'esame ultrastrutturale l'ispessimento risulta costituito da diversi strati di membrana basale, separati da detriti cellulari. Manifestazioni cliniche Spesso si tratta di donne di oltre 30 anni, con una storia di cefalee e con una connotazione nevrotica. Frequentemente l'assunzione cronica degli analgesici è taciuta. La sintomatologia extrarenale è varia, con frequenti disturbi da gastroduodenite, o colite; spesso la cute si presenta secca e con un colorito bruno-grigio; è frequente un'anemia sproporzionata all'entità del danno renale. In circa il 50% dei casi è presente un'infezione urinaria; l'ipertensione arteriosa non è comune; nell'anamnesi possono essere segnalate coliche renali, da distacco di una papilla. L'avvio delle indagini può essere richiesto dal riscontro di un'insufficienza renale. L'urografia discendente può essere molto indicativa, evidenziando la presenza di immagini di necrosi di vario grado a carico di una o più papille. E' fondamentale l'interruzione dell'uso di analgesici che, specie nelle forme non troppo avanzate, può arrestare la progressione del danno, e talora consentire miglioramenti funzionali. NECROSI PAPILLARE E' da tempo conosciuta come temibile complicazione di infezioni renali, in genere acute, e per lo più insorte in pazienti già affetti da altre malattie, come il diabete mellito, la gotta, il reflusso cistopielico o un'ostruzione delle vie urinarie, l'ipertensione arteriosa, oppure in soggetti anziani o con anamnesi positiva per abuso di analgesici. Esistono tre tipi fondamentali di necrosi papillare: a) acuta, con febbre, coliche renali e, se il processo è bilaterale, insufficienza renale, talora con oligo-anuria; manifestazioni di questo tipo sono rare e per lo più si riscontrano in soggetti diabetici o con ostruzione delle vie urinarie e grave pielonefrite sovrapposta; b) recidivante, con fenomeni ricorrenti di ematuria, febbre o coliche; c) cronica, con sintomatologia urologica attenuata od assente: è più facilmente riscontrabile in caso di abuso di analgesici, di ostruzione urinaria o di reflusso cistopielico, anche senza sovrapposizione infettiva. La diagnosi è radiologica. Reperti caratteristici sono: - erosioni di varia dimensione, ora minime, ora ben evidenti, all'apice di una o più papille, che perdono il loro caratteristico profilo netto. Per apprezzarle può essere necessario il ricorso alla stratigrafia, durante l'urografia perfusionale; - immagini di necrosi, con tramiti irregolari, ad arco, che si estendono dal fornice della papilla; - in entrambi i casi, quando la necrosi è importante, l'apice della papilla può essere sequestrato cosicché il mezzo di contrasto lo contorna, con immagini ad anello;

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- quando la papilla è stata interessata da estesi fenomeni di necrosi, permane una cavità larga, irregolare, spesso in corrispondenza di una cicatrice corticale. LESIONI INTERSTIZIALI CRONICHE IN CORSO DI IPERURICEMIA __________________________________________________________ Classicamente sono state attribuite alla precipitazione di urati o di acido urico in strutture renali la nefropatia acuta da acido urico, la nefrolitiasi urica e la nefropatia interstiziale cronica gottosa. __________________________________________________________ La possibile esistenza di questa nefropatia in soggetti con iperuricemia cronica primitiva permetteva di spiegare l'alta frequenza di insufficienza renale, che era stata rilevata, in alcune casistiche, sino ad oltre il 20% dei pazienti affetti da gotta, ma che non è poi stata confermata. Più recentemente anche l'esistenza di una nefropatia cronica gottosa è stata messa in dubbio, e si tende attualmente ad attribuire la comparsa di un'insufficienza renale cronica in corso di iperuricemia primitiva all'intervento di altri fattori, ed in particolare di una nefroangiosclerosi primitiva. Nella pratica clinica si è inoltre riconosciuta l'abituale impossibilità di ottenere modificazioni di un qualche rilievo con un attento controllo dell'iperuricemia in soggetti nei quali era stato posto il sospetto di questa nefropatia e studi longitudinali in soggetti iperuricemici non trattati non sono riusciti a mettere in evidenza importanti deterioramenti progressivi della funzione renale, mentre hanno invece dimostrato l'importanza dell'ipertensione arteriosa eventualmente associata. Su queste basi, pur senza che si possa escludere con certezza l'esistenza di una nefropatia interstiziale cronica correlata alla gotta, si ritiene attualmente che lo sviluppo di un'insufficienza renale grave sia un fatto non comune in pazienti gottosi, e che la presenza di un'iperuricemia prolungata non sia di per sé da ritenere una condizione di rischio elevato per la comparsa di una nefropatia cronica, che in queste condizioni è invece in genere da attribuire all'ipertensione arteriosa, all'aterosclerosi, ad una nefropatia ostruttiva, ad una pielonefrite cronica, o ad un'altra malattia renale concomitante. Tra queste ultime deve essere ricordata la nefropatia cronica da intossicazione saturnina, che può presentarsi in un contesto clinico facilmente confondibile con quello di una gotta primitiva. NEFROPATIA DA PIOMBO __________________________________________________________ Il piombo è capace di causare una nefropatia interstiziale a seguito di un'intossicazione acuta (ed in tal caso la nefropatia può diventare clinicamente evidente anche a distanza di anni), o cronica __________________________________________________________ Si tratta di un'evenienza ben documentata sin dagli anni trenta in bambini del Queensland nei quali era stata rilevata una stretta associazione tra presenza di pareti ed arredi dipinti con vernici al piombo, abitudine a rosicchiarsi le unghie, intossicazione da piombo, insufficienza renale cronica ed ipertensione arteriosa. Altre segnalazioni di questa nefropatia sono state fatte in intossicazioni accidentali da bourbon distillato in radiatori di automobili. Successivamente è stato dimostrato che almeno la metà dei pazienti con nefropatia da piombo avevano avuto attacchi di artrite gottosa, che una ridotta capacità escretoria renale per l'acido urico costituisce la base funzionale per l'iperuricemia e la gotta, e che in tali soggetti è dimostrabile un accumulo di piombo a livello osseo. La somministrazione di una dose standard di calcio-EDTA provoca un netto aumento della sua escrezione urinaria, e può quindi fornire un utile indizio di pregressa esposizione al piombo. Queste osservazioni possono essere estrapolate anche ad intossicazioni subcliniche, in rapporto ad un'esposizione meno intensa che, per quanto con minor frequenza che in passato, può ancora verificarsi, ad esempio, in idraulici, verniciatori, addetti alla distribuzione di benzine etc., oppure per un inquinamento ambientale da fumi e da gas di scarico delle automobili. Di conseguenza, anche se spesso manca nei singoli casi un'evidenza inequivocabile di causa-effetto, il piombo è ora generalmente considerato come capace di causare un danno interstiziale cronico. L'aspetto anatomopatologico è aspecifico: macroscopicamente i reni sono ridotti uniformemente di volume, con superficie finemente granulare. A livello microscopico è presente una nefropatia interstiziale cronica, con diffusi fenomeni di fibrosi, atrofia tubulare con dilatazione e minima infiltrazione cellulare. I glomeruli appaiono sclerotici, secondariamente al danno vasculo-interstiziale. Le lesioni vascolari sono importanti, e simili a quelle dell'ipertensione arteriosa essenziale. La presentazione clinica è in genere quella aspecifica di una nefropatia cronica lentamente evolutiva con sedimento urinario poco significativo e proteinuria assente o in tracce. Sono abituali un'ipertensione arteriosa ed un'iperuricemia, spesso con gotta. Proprio la comparsa di attacchi gottosi in soggetti che hanno già sviluppato un'insufficienza renale cronica è da considerarsi molto sospetta. Segni di interessamento funzionale tubulare prevalente sono eccezionali. Piombemia e piomburia, che eseguite isolatamente sono in grado di evidenziare un'intossicazione acuta, nelle forme croniche hanno in genere valori normali. La positività del test del calcio-EDTA può essere indicativa, per quanto non sia indice di nefropatia cronica da piombo, ma ne rilevi solamente un accumulo tissutale patologico.

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CLASSIFICAZIONE DELLE TUBULOPATIE I criteri classificativi sono eterogenei. La diagnosi si fonda in genere su test funzionali. Il ricorso alla biopsia è raro. I rapporti con le forme di malattie interstiziali sono molto stretti, tanto da giustificarne l'inclusione, secondo numerosi Autori, all'interno di un unico capitolo. Inoltre, in un certo numero di casi, l'interessamento tubulare prende la coloritura di una patologia di accompagnamento più che quella di una vera e propria malattia: sono le cosiddette forme secondarie, in cui il danno tubulare, spesso associato a qullo di altre strutture renali, può portare ad una variazione e modulazione del quadro clinico. Tra queste nefropatie il maggior interesse pratico ha la nefropatia tubulointerstiziale acuta (“necrosi tubulare”), responsabile di insufficienze renali acute gravi e spesso protratte,ancor oggi gravate da un’elevata percentuale di mortalità, legata al contesto di insorgenza. Questa nefropatia sarà oggetto di descrizione a parte. Notevole attenzione deve essere anche attribuita alle tubolonefrosi ostruttive, che possono causare anch’esse un’insufficienza renaleacuta. CLASSIFICAZIONE EZIOPATOGENETICA Nefropatia tubulointerstiziale acuta (“necrosi tubulare acuta”) * da shock * tossico tossinica Tubulonefrosi ostruttiva *da paraproteine (mieloma) *da acido urico *da ossalati Tubulonefrosi elettrolitiche od osmotiche *da ipopotassiemia *da ipercalcemia *da soluti ipertonici(diabete? gluc. ipertoniche, mannitolo) Secondarie ad altre affezioni: *congenite:nefropatie malformative con anomalie morfo- strutturali del tubulo (malattia policistica, rene a spugna, malattia cistica dellamidollare, nefronoftisi, etc.) tesaurismosi (galattosemia, cistinosi, ossalosi, m. di Wilson, etc.) *acquisite:nefriti interstiziali, mieloma, amiloidosi, m. di Sjögren, tubulonecrosi, nefropatie ossaliche CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE DELLE TUBULOPATIE Anomalie funzionali tubulari: 1) Isolate di un sistema di riassorbimento *sostanze organiche (glucosio, aminoacidi) *ioni (sodio, potassio, magnesio, calcio, fosfati) *acqua 2) Di trasporto degli ioni idrogeno e dei bicarbonati *acidosi tubulare distale (tipo I) *acidosi tubulare prossimale (tipo II) *acidosi tubulari di tipo III e IV 3) Complesse *S. di Fanconi (infantile e dell'adulto) *in caso di alterazioni parenchimali renali congenite od acquisite (ads es. nefriti interstiziali) NEFROPATIE TUBULARI CON ANOMALIE METABOLICHE ISOLATE O COMBINATE Glicosuria renale *diabete normoglicemico

Fosfaturia renale *rachitismo Vit. D resistente

Pseudoiperparatiroidismo *aumentato riassorbimento di fosfati

Acidosi tubulare *distale - tipo I

Acidosi tubulare *prossimale - tipo II

Aminoaciduria *morbo di Hartnup (triptofano)

*cistinuria

*glicinuria

Sindrome di Fanconi *fosfoaminoglicosuria

Diabete insipido nefrogenico

Nefrocalcinosi *liberazione di Ca++ dalle ossa

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*eccessiva introduzione

alimentare *acidosi tubulare

Ipercalciuria idiopatica

Tubulopatie con *ipoassorbimento di Na+

*iperassorbimentodi Na+

MALFORMAZIONI RENALI CONGENITE La classificazione in genere impiegata è macroscopica e molto semplice; si tratta di uno spettro molto ampio di patologie che vanno da quelle incompatibili con la vita, come l'agenesia bilaterale dei reni, a forme del tutto asintomatiche o senza ripercussioni funzionali; l'interesse per alcune di queste patologie (ad esempio per l'agenesia renale) è aumentato negli ultimi anni a causa dell'estendersi dello screening ecografico addominale .

Anomalie quantitative * agenesie del parenchima renale * ipoplasie Anomalie di posizione * ptosi renale Anomalie di forma e di differenziazione * rene a ferro di cavallo

(Malattie cistiche del rene) MALATTIE CISTICHE DEL RENE

Le malattie cistiche del rene sono un insieme di lesioni eterogenee per eziologia, istologia, presentazione clinica e prognosi, parte delle quali hanno in comune solo il termine "cisti", in parte congenite, ed in parteacquisite

Tre le cisti renali sono ricordate anche quelle del seno renale, compartimento che circonda il sistema pielocaliceale; contiene vasi linfatici, ematici, nervi e grasso (sinonimi: cisti parapieliche, cisti parapieliche linfatiche, cisti parapelviche).

Alcuni Autori includono in quest'elenco anche i diverticoli pielocaliceali, per una loro discussa, possibile derivazione dalla rottura di una cisti nel sistema collettore (per altri si tratta invece di un'anomalia di sviluppo).

Anche in questo caso si passa da patologie rare (ad es la malattia di Cacchi e Ricci) o patologie poco rilevanti clinicamente (cisti semplici) a forme gravi, evolutive, causa molto frequente di uremia (malattia policistica dell'adulto, che rende conto in Italia del 10% circa dei nuovi ingressi in dialisi).

_______________________________________________________________________________ MALATTIE CISTICHE DEL RENE

Cisti renali semplici (isolate o multiple) Malattia policistica renale *rene policistico dell'adulto *rene policistico infantile Cisti midollari *rene a spugna midollare (m. di Cacchi e Ricci) *malattia cistica della midollare

(nefronoftisi familiare giovanile) Cisti del seno renale (cisti parapieliche) Rene multicistico Cisti associate a neoplasie renali Cisti renali acquisite nei soggetti con insufficienza renale cronica

(Diverticoli pielocaliceali)

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L'UREMIA

IL NOME UREMIA DERIVA DA UREA, UNA DELLE PRIME SOSTANZE STUDIATE COME POTENZIALI TOSSICI IN CONDIZIONI DI INSUFFICIENZA RENALE E COME INDICE DI FUNZIONALITA' RENALE.

SEBBENE IL RUOLO DELL'UREA COME TOSSICO SIA PROBABILMENTE MINORE, QUESTA SOSTANZA MANTIENE UN RUOLO PRINCIPALE COME MARCATORE DI TOSSICITA' E LA SUA DEPURAZIONE E' OGGI LA PRINCIPALE GUIDA PER DEFINIRE L'EFFICIENZA DELLA DIALISI (CINETICA DELL'UREA)

La sindrome uremica traduce sul piano clinico la compromissione anatomofunzionale di numerosi organi ed apparati

conseguente alla grave riduzione della funzione renale. La sua patogenesi è solo parzialmente nota; è in ogni caso multifattoriale e probabilmente dovuta alla ritenzione

contemporanea di sostanze di vario tipo che svolgono un ruolo patogeno con effetti sinergici, ad alterazioni idroelettrolitiche e dell'equilibrio acido base, ad un'increzione inappropriata di alcuni ormoni e, forse, alla ritenzione di alcuni di essi o di loro prodotti terminali.

1) Ruolo patogenetico della ritenzione di scorie metaboliche, degli squilibri idroelettrolitici e del bilancio acido-base. L'ipotesi più accettata in passato era che l'uremia conseguisse fondamentalmente alla ritenzione di una o più "tossine".

Tuttavia, tra le sostanze più comunemente considerate nella pratica clinica, l'urea, cui si deve il nome della sindrome, è stata riconosciuta potenzialmente tossica soltanto a concentrazioni molto elevate, oltre 300 mg/dL, e in ogni caso all'iperazotemia sono attribuibili con sicurezza solo alterazioni settoriali, cosicchè questo catabolita ha in genere soltanto un significato generico di marker di ritenzione. Analoghe considerazioni valgono per la creatinina.

E' anche negato il ruolo di metaboliti degli acidi nucleinici, come l'acido urico, e di alcuni dipeptidi, le cui concentrazioni ematiche sono in genere aumentate nel soggetto uremico. Notevole interesse aveva suscitato l'identificazione nel plasma uremico di elevati livelli di sostanze del gruppo delle guanidine e delle poliamine (spermina, spermidina e putrescina), ma il loro ruolo patogenetico è messo in dubbio.

Più recentemente, nel tentativo di rivalutare l'importanza dei fenomeni di ritenzione, concettualmente attraenti in quanto i rapporti tra miglioramento clinico e depurazione extrarenale, che li attenua o li risolve almeno temporaneamente, sono innegabili, si è tentato di attribuire alcune manifestazioni dell'uremia, come l'anemia, la neuropatia ed i deficit immunologici, alla ritenzione di sostanze a peso molecolare più elevato di quello dell'urea, della creatinina, ed in generale dei prodotti tradizionalmente studiati. Queste sostanze, il cui peso molecolare presunto è stato indicato tra 300 e 1500-2000 o anche 3000 daltons, sono state definite complessivamente come "medie molecole". Il loro interesse pratico è anche legato al fatto che esse sono allontanate dall'organismo dell'uremico in misura differente dai diversi tipi di depurazione extrarenale. Concentrazioni più elevate rispetto ai soggetti di controllo di prodotti con peso molecolare di quest'ordine di grandezza sono state dimostrate nel siero uremico, ma non è stato possibile stabilire correlazioni precise tra la loro ritenzione e segni e sintomi specifici della sindrome uremica e differenti modalità di depurazione

Un'ipotesi alternativa, probabilmente più attraente dal punto di vista clinico, è quella che sia la ritenzione contemporanea di più sostanze a vario peso molecolare ad avere effetti patogeni, con manifestazioni complessive differenti da quelle provocate dai singoli prodotti: ciò potrebbe rendere ragione della mancanza di correlazioni lineari tra livelli ematici delle tossine indiziate e sintomi specifici, e potrebbe essere anche alla base della differente sintomatologia che pazienti differenti lamentano a gradi equivalenti di compromissione della funzione renale.

Non sussistono invece dubbi sugli effetti dell'acidosi e dei disordini idroelettrolitici, che sono talora responsabili di segni e sintomi specifici; anche in questo caso, nessun singolo elemento è in grado, di per sè, di riprodurre per intero la sindrome uremica. Un dato recente molto importante è quello legato alla importanza dell'acidosi nella riduzione dell'appetito e nella patogenesi della conseguente malnutrizione, che a sua volta rappresenta uno degli elementi più importanti nello scadimento delle condizioni generali dell'uremia.

2) Inappropriata increzione ormonale Notevole attenzione merita il ruolo di fenomeni che fisiologicamente operano come compenso ma che, a seguito di

stimolazioni abnormi causate dall'insufficienza renale stessa, perdono le caratteristiche di elementi omeostatici e causano complesse alterazioni anatomo-funzionali.

Tra queste ha particolare importanza l'iperparatiroidismo secondario: nelle fasi iniziali dell'insufficienza renale l'aumento della secrezione di paratormone è in grado di ripristinare i normali livelli sierici del calcio e del fosforo; successivamente, l'iperfunzione paratiroidea può accentuarsi sino a provocare gravi alterazioni ossee e calcificazioni metastatiche. Oltre che a livello osseo, il paratormone svolge un'influenza anche su numerose funzioni cellulari a vari livelli (cuore, sistema nervoso, eritrociti). Per questo motivo è talora citato come esempio di tossina uremica o, addirittra, come esempio dell'unica vera tossina uremica evidenziabile nell'uomo.

Oggetto di attenzione è anche il possibile ruolo nell'uremia dei fattori natriuretici atriale ipotalamico, la cui produzione è aumentata secondariamente all'espansione dei volumi extracellulari. Al primo, che è un potente vasodilatatore, sono forse ascrivibili fenomeni ipotensivi acuti e cronici in corso di dialisi. Il secondo deprime l'attività della pompa Na-K ATPasi ouabaino-sensibile, che è considerato un importante meccanismo di trasporto di membrana che garantisce la costanza della composizione intracellulare. Questa inibizione potrebbe render conto almeno di una delle modalità con le quali la ritenzione di sodio è causa di ipertensione arteriosa: alla riduzione di attività di questa pompa sembra in effetti conseguire anche un

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aumento del contenuto di calcio delle cellule muscolari liscie, con la conseguenza di un incremento delle resistenze arteriose periferiche, che a sua volta è alla base dell'ipertensione arteriosa.

3) Compromissione della funzione endocrina del rene. Si esprime con una riduzione dell'idrossilazione da parte del rene del 25(0H)-colecalciferolo (calcifediolo), prodotto dal

fegato, in 1,25(OH)2 colecalciferolo (o calcitriolo), con un deficit di produzione di eritropoietina e l'iperproduzione di renina. E' incerto il ruolo della ridotta produzione a livello renale di sostanze ad azione vasodilatatrice, quali alcune prostaglandine.

A questa serie di eventi patogeni si possono sommare fenomeni iatrogeni, acuti e cronici, indotti dalla dialisi o da farmaci,

che comportano quadri sintomatologici talora non facilmente distinguibili da quelli uremici. L'intossicazione da alluminio e, almeno in parte, la patologia da accumulo della ß2-microglobulina, sono gli esempi più evidenti di questa eventualità.

Non deve pertanto stupire che, in relazione a questa situazione così complessa, il trattamento dialitico, pur consentendo

sopravvivenze prolungate (anche per più decenni) in condizioni di vita accettabili, non comporti la totale correzione degli squilibri dovuti all'uremia e che, in relazione ad un'eventuale insufficenza, assoluta o relativa, del trattamento sostitutivo, possano facilmente ricomparire manifestazioni uremiche anche gravi. Per questo motivo, e in relazione al fatto che il trattamento dialitico è ora talmente diffuso che la maggior parte dei medici ha tra i suoi pazienti dei soggetti in dialisi, assieme alla sintomatologia dell'uremia cronica ricorderemo qui anche i problemi più importanti degli uremici cronici in trattamento sostitutivo della funzione renale.

Alterazioni del sistema emopoietico 1) Anemia. Accompagna quasi invariabilmente l'insufficienza renale cronica e viene considerata come parzialmente

responsabile dell'astenia, di alcune manifestazioni neuropsichiche (come la difficoltà di attenzione e di concentrazione, depressione dell'umore e disturbi del sonno), di disturbi della sfera sessuale; può aggravare manifestazioni di interessamento extrarenale, ad esempio di insufficienza cardiaca, coronarica o di deficit cerebrale.

I pazienti in dialisi hanno mediamente livelli di emoglobina ridotti, e valori inferiori a 8-10 g/dl non sono infrequenti. A parità di livelli emoglobinici, l'anemia è meglio tollerata che nei soggetti non uremici, in quanto esiste in questa condizione una minore affinità per l'ossigeno che ne condiziona una più facile cessione ai tessuti.

L'anemia dell'uremico cronico è ipoproliferativa, normocromica e normocitica. La situazione ipoproliferativa è direttamente correlata al deficit di eritropoietina, ormone glicoproteico prodotto per oltre il 9O% dal rene. E' anche ipotizzata l'esistenza di inibitori plasmatici dell'eritropoiesi, che si è creduto di volta in volta di identificare nel paratormone, nelle medie molecole ed in proteine a basso peso molecolare, ed una resistenza dei precursori eritroidi alla sua azione.

La vita media degli eritociti è ridotta, in gran parte per un'accresciuta fragilità osmotica. Anche la resistenza degli eritrociti ai fattori ossidanti è ridotta; la somministrazione di sulfamidici, alfametildopa, vitamina A, antimalarici e furantoina può pertanto risultare pericolosa. Un'accentuazione dell'emolisi cronica è stata anche descritta dopo somministrazione di penicillina e cefalosporine. La somministrazione di trimetoprim-sulfametossazolo può causare una carenza di acido folico.

Altri fattori aggiuntivi nella patogenesi dell'anemia possono essere: stati carenziali di ferro e di vitamine (acido folico, B12), di fosforo, di aminoacidi e di oligoelementi (rame, zinco); malnutrizione calorico-proteica; perdite ematiche occulte (che possono a loro volta essere legate alla presenza di un ridotto trofismo delle mucose intestinali, legato all'uremia), o dovute ai prelievi per i numerosi controlli ematochimici.

L'anemia è solo parzialmente corretta dalla dialisi, ma si aggrava in caso di trattamento dialitico insufficiente. I rapporti tra "qualità" della depurazione ed anemia sono sottolineati dalla possibilità di ottenere aumenti dell'ematocrito con il miglioramento dell'efficienza dialitica. Esiste anche un possibile rapporto tra accumulo cronico di alluminio e anemia, che in questi casi assume un carattere microcitico.

In fasi avanzate di uremia e in corso di dialisi, in presenza di sintomi clinici legati all’anemia e comunque se i valori di Hb sono inferiori a 9-10 g/dL, dopo la correzione di eventuali fattori carenziali (ferro, B12 e Folati), l’eritropoietina viene attualmente somministrata regolarmente; l'anemia non deve essere corretta completamente, e l’obiettivo è di ottenere valori di Hb di 11-12 g/dL e di ematocrito intorno al 30%, soprattutto per non incorrere nel rischio di un aggravamento dell’ipertensione arteriosa, di incidenti trombotici, di coagulazione dell'accesso vascolare e di una riduzione dell'efficienza della dialisi, comune con ematocriti superiori al 30-35%.

2) Alterazioni della coagulazione. Nel soggetto uremico il tempo di sanguinamento è spesso prolungato. Questo deficit ha una patogenesi complessa, ma è fondamentalmente espressione di un'alterazione funzionale delle piastrine, di cui è ben documentato un difetto di aggregazione e di adesività. Per spiegare questo fenomeno sono chiamati in causa fattori dializzabili, tra i quali composti fenolici e l'acido guanidinsuccinico. Il deficit coagulatorio è in gran parte reversibile entro qualche settimana dall'inizio del trattamento dialitico. Un livello di ematocrito intorno al 30% è considerato in ogni caso ottimale per garantire una buona funzione piastrinica.

3) Alterazioni leucocitarie. In corso di uremia alcune attività funzionali dei granulociti sono compromesse; tra queste ricordiamo una ridotta attività chemiotattica in vitro ed una riduzione numerica di recettori del C5. Il numero dei linfociti è spesso ridotto e sono state descritte alterazioni del rapporto tra sottopopolazioni linfocitarie.

Alterazioni del sistema immunitario Si tratta di deficit molto comuni che interessano a vari livelli soprattutto l'immunità cellulare ed in misura minore quella

umorale; sembrano essere almeno in parte corrette dalla dialisi.

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Sul piano clinico la manifestazione più importante è l'aumento della suscettibilità ad infezioni batteriche, virali e micotiche, che rappresentano in toto la seconda causa di decesso nei pazienti in dialisi, e sono certamente tra le più importanti cause di morbilità in questi soggetti. Tra le infezioni batteriche predominano quelle da Gram positivi, con elevata frequenza di batteriemie, di endocarditi, di infezioni osteoarticolari e polmonari e dell'accesso vascolare o peritoneale. E' descritto un aumento delle infezioni tubercolari, e da germi inusuali. Una peculiarità, che è in parte almeno in comune al quadro clinico di sepsi in soggetti defedati è la possibilità che questa si verifichi anche senza febbre.

Sebbene queste alterazioni siano certamente polifattoriali e differenti elementi giochino un ruolo differente nei diversi individui, negli ultimi anni l'attenzione si é tendenzialmente spostata da un ruolo centrale di tossici uremici ad azione immunodepressiva a quello della malnutrizione, specie proteica.

La compromissione della risposta immunitaria è responsabile di un aumento della frequenza di infezioni virali a decorso subacuto e protratto, quali le epatiti da virus B e da virus C, e soprattutto di condizioni di cosiddetti portatori sani, fatto che costituisce una potenziale fonte di contagio per pazienti ed operatori sanitari.

La sistematica vaccinazione anti epatite B ha ora risolto il problema per il personale sanitario e per la maggior parte dei pazienti, tra i quali tuttavia è frequente l'assenza di una sieroconversione o la comparsa di anticorpi solo a basso titolo. L'aumento delle dosi di vaccino rispetto agli schemi in uso in soggetti sani consente di ottenere una sieroconversione, anche se talora transitoria, in un 70-90% dei casi. Si ritiene attualmente consigliabile una precoce vaccinazione anti epatite B per tutti i soggetti con una nefropatia evolutiva.

Non ancora risolta è invece la questione del virus dell'epatite C, nei confronti del quale, nelle nostre sale dialisi, vi è attualmente una prevalenza di positività anticorpale e di presenza di virus attivo molto elevata (fino a oltre il 30% dei pazienti). Il fatto che pochi pazienti in dialisi sviluppino un'epatite cronica ed una cirrosi vera e propria può da un lato essere riferito alla minore reattività immunologica degli stessi e dall'altro essere legato ad un'attesa di vita non sufficientemente lunga da mettere in luce queste complicanze a lungo termine; tuttavia, l'epatopatia da virus C rappresenta un problema dopo il trapianto di rene, sia perche la concomitante terapia immunodepressiva tende a modificare sfavorevolmente di equilibrio immunologico fra virus ed ospite sia per la maggior probablità di sviluppare un danno epatotossico . Un altro problema inquietante è posto da soggetti HIV positivi. Dopo un eccessivo ed infondato allarmismo nel primo periodo, si è visto che è un problema che interesse una costante piccola popolazione di pazienti in dialisi e che la loro gestione clinica non differisce da quella degli altri pazienti. Si richiedono naturalmente alcune misure profilattiche particolari (monitor dedicato, isolamento, indumenti protettivi, etc.) ed il rispetto delle norme previste dalle linee guida nazionali per la prevenzione della infezione trasmesse per contatto ematico

Secondo alcuni Autori, sarebbe riferibile al deficit immunitario un aumento del rischio di neoplasie documentato nei pazienti in dialisi, che interesserebbe particolarmente soggetti di età relativamente giovane, tra i 40 ed i 50 anni, verosimilmente perchè in queste fasce di età sono meno importanti le cause di morte competitive con quella neoplastica, in particolar modo quelle cardiovascolari ed infettive.

Non esiste un trattamento dell'immunodepressione dell'uremico. Nella terapia delle infezioni, si devono tener presenti le caratteristiche farmacocinetiche e la potenziale tossicità dei farmaci da impiegare, per evitare pericolosi fenomeni di accumulo.

Alterazioni dell'apparato cardiovascolare Il 30-50% dei decessi dei pazienti in dialisi è legato a patologia cardiovascolare. In era predialitica erano molto frequenti gli episodi di pericardite, spesso mortali. Il trattamento dialitico precoce ha ridotto

la frequenza e la gravità di questa complicazione, più rara in dialisi peritoneale che in emodialisi, pur non annullandola. I fattori eziopatogenetici della pericardite uremica sono numerosi: in alcuni casi è responsabile uno stato di uremia non ben

corretto dal trattamento sostitutivo; altre volte questa complicazione interviene in soggetti apparentemente non sottodializzati: in queste condizioni è stato prospettato un possibile ruolo dell'ipertensione arteriosa, dell'iperparatiroidismo secondario, di meccanismi immunologici da immunocomplessi circolanti, l'uso cronico di eparina, gli stress chirurgici. L'eziologia può essere inoltre infettiva, batterica o virale.

L'impiego sistematico dell'ecocardiografia ha rivelato in pazienti in dialisi apparentemente trattati in maniera corretta ed asintomatici, una frequenza elevata di piccoli versamenti pericardici, che sono considerati in genere segno non di pericardite, ma di sovraccarico idrosalino cronico.

La pericardite uremica può essere acuta o cronica. Le forme acute sono caratterizzate da un processo infiammatorio con deposizione di fibrina.

Il quadro clinico è condizionato dall'entità della flogosi e dalla rapidità dell'esordio. E' in genere presente un dolore toracico, che può essere continuo e simulare quello dell'infarto, o può essere influenzato dai movimenti respiratori. Sono frequenti aritmie; compare spesso una ipotensione intradialitica. La sintomatologia può però essere larvata od assente.

All'esame obiettivo è tipico un rumore di sfregamento a va e vieni, che può essere apprezzabile solo in aree limitate, spesso in sede parasternale sinistra, e può accentuarsi in decubito laterale o prono. I rumori possono scomparire con l'aumento dell'essudato. Altri segni possono essere: scomparsa dell'itto puntale, turgore delle giugulari; aumento del turgore venoso in fase inspiratoria (segno di Kussmaul), polso paradosso (riduzione della pressione arteriosa maggiore di 12 mmHg in fase inspiratoria), edemi periferici, epatomegalia. Una dispnea importante con ortopnea, eventualmente con posizione inclinata anteriore, deve essere considerata segno di allarme per un tamponamento.

Nei casi tipici l'esame radiologico dimostra un ingrandimento del cuore "a fiasca"; l'elettrocardiogramma è spesso di scarsa utilità per l'incostanza dei classici sopraslivellamenti del tratto S-T; è fondamentale l'apporto dell'ecocardiografia che può svelare versamenti anche modesti, spesso posteriori.

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La complicazione più temibile è il tamponamento cardiaco; un'altra grave conseguenza a distanza può essere una pericardite cronica costrittiva. Oltre al trattamento è antalgico, se il paziente è in trattamento conservativo si impone l’avvio immediato del trattamento dialitico; se è già in dialisi, la frequenza delle sedute di dialisi e l’efficienza dialitica vengono aumentate, per migliorare la qualità della depurazione e ridurre più agevolmente eventuali sovraccarichi idrosalini; solo nei casi più gravi è richiesta una pericardiocentesi, peraltro non priva di rischi, o una soluzione chirurgica con una pericardiotomia sottoxifoidea o una pericardiectomia anteriore.

Aritmie cardiache di vario tipo sono molto comuni nei pazienti in dialisi, con percentuali variabili dal 17% al 90% a seconda delle casistiche, e possono essere scatenate da vari fattori: rapide variazioni, intra o interdialitiche, delle concentrazioni elettrolitiche sieriche, in particolare di potassio e calcio; modificazioni dell'equilibrio acido-base o della ripartizione ionica intra-extracellulare.

Nell'1,4-16% dei pazienti in dialisi il decesso avviene per una morte improvvisa, in parte dei casi probabilmente dovuta ad un'aritmia.

Le extrasistoli atriali sono spesso asintomatiche, ed in genere ben tollerate; il significato clinico delle extrasistoli ventricolari varia a seconda della loro frequenza e complessità; le tachicardie sopraventricolari sono frequenti nei soggetti cardiopatici; le bradiaritmie sono un evento raro, e per lo più dovute ad un'iperpotassiemia grave.

La terapia non può essere solo farmacologica ma richiede l'individuazione e la rimozione, ogni qualvolta possibile, delle condizioni predisponenti o scatenanti.

Da tempo è stato prospettato un possibile effetto miocardiolesivo dell'uremia, tanto che si parla di cardiomiopatia uremica come forma a sè stante; in animali da esperimento l'uremia induce un aumento del tessuto interstiziale miocardico; nell'uomo, anche indipendentemente dall'ipertensione arteriosa, sono comuni un aumento del volume cardiaco, con allargamento delle cavità sinistre, un'ipertrofia ventricolare sinistra e/o del setto interventricolare. A livello microscopico si osservano una fibrosi miocardica, talora grave, fenomeni degenerativi delle cellule miocardiche e deposizioni di calcio focali o, in caso di iperparatiroidismo, massive.

L'arteriosclerosi coronarica è particolarmente frequente anche nei giovani e può causare stenosi coronariche e fenomeni ischemici gravi che non di rado sono asintomatici anche in soggetti non diabetici. Quando non correggibile, la cardiopatia ischemica può costituire una controindicazione al trapianto di rene

Nella patogenesi della miocardiopatia uremica, che deve essere distinta da quella ipertensiva, possono intervenire: agenti "tossici"; la ritenzione idrosalina che induce sovraccarico cardiocircolatorio, con aumento del precarico; l'iperpotassiemia e l'acidosi, che hanno effetto inotropo negativo; le alterazioni della calcemia, che causano alterazioni della contrattilità e dell'eccitabilità miocardica; la deplezione di fosforo; il paratormone, i cui livelli sono in genere molto aumentati in questi pazienti; l'anemia; fattori carenziali (vit. B1 e carnetina) ed in un certo numero di casi , la presenza anche oer molti anni, di una fistola artertovenosa.

I segni clinici della cosiddetta cardiomiopatia uremica sono quelli di un'insufficenza ventricolare sinistra, e talora possono comparire all'improvviso, a seguito di un sovraccarico acuto idrosalino anche modesto o di una crisi ipertensiva. All'esame obiettivo possono essere presenti un ritmo di galoppo e soffi da rigurgito a carico di una o più valvole cardiache, ma i rilievi clinici sono spesso infidi. L'elettrocardiogramma può indicare la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, di alterazioni dell'onda T o del tratto ST, ma è poco indicativo. Altrettanto si può dire dell'esame RX del torace. I risultati migliori sono forniti dall'ecocardiografia dinamica.

Nella terapia è fondamentale la correzione dei fattori rimovibili eventualmente implicati; la terapia farmacologica digitalica trova indicazioni nelle tachicardie sopraventricolari, nella fibrillazione atriale o nello scompenso cardiaco, in assenza di un sovraccarico idrico o di ipertensione grave. L'insufficienza renale riduce la maneggevolezza della digossina, che non è dializzabile, aumentandone la tossicità. Si raccomanda in genere una dose iniziale di 0,25 mg/die per 2-3 giorni; la dose di mantenimento è in genere 0,125 a giorni alterni. L'obiettivo è di mantenere valori di digossinemia intorno a 1 ng/ml. E' necessaria una regolare monitorizzazione del farmaco. Altri Autori preferiscono la digitossina in relazione al suo metabolismo prevalentemente epatico. I vasodilatatori arteriolari (idralazina e minoxidil) possono migliorare la gittata cardiaca riducendo l'impedenza al deflusso; quelli venosi (nitroglicerina ed isosorbide dinitrato) agiscono aumentando la capacità del comparto venoso. Gli ACE inibitori, che inducono una favorevole ridistribuzione della gittata, possono essere usati in condizioni di scompenso, ma con attenta monitorizazione della potassiemia. I nitroderivati sono sicuri, ma possono causare ipotensioni. Tra i betabloccanti sono più usati il propranololo ed il metoprololo, che hanno un metabolismo epatico.

Nel trattamento delle coronaropatie, le indicazioni all'angioplastica e agli interventi a cuore aperto sono simili a quelli nei pazienti non uremici, pur con rischi più elevati.

L'ipertensione arteriosa nell'insufficienza renale cronica evolve da una fase iniziale con gettata cardiaca aumentata e resistenze periferiche normali, ad una fase caratterizzata da un aumento delle resistenze periferiche. L'aumento della gettata cardiaca consegue all'espansione di volume extracellulare e all'anemia; l'aumento delle resistenze periferiche riconosce una genesi polifattoriale (espansione extracellulare, alterazioni del trasporto cellulare del sodio, attivazione del sistema renina-angiotensina e del sistema nervoso autonomo e, forse, riduzione delle sostanze ad azione vasodilatatrice di produzione renale).

Nel corso delle nefropatie croniche l’ipertensione arteriosa costituisce un importante fattore favorente l’evoluzione verso l’uremia: su queste basi si ritiene attualmente che, indipendentemente dalla definizione di normalità della pressione arteriosa e compatibilmente con la tolleranza del paziente, i valori presori ottimali siano inferiori a 130/75 mmHg. In controtendenza nei confronti di questa impostazione predominante, alcune osservazioni degli ultimi anni hanno messo in dubbio il ruolo dell’ipertensione come fattore di rischio vascolare richiamando l’attenzione sul fatto che nei pazienti con una pressione sistolica minore di 100 mmHg era rilevabile un rischio di morte cardiovascolare 4 volte superiore rispetto a pazienti con valori pressori compresi fra i 140 ed i 149 mmHg. Il problema resta aperto in quanto non è ben chiaro se i pazeitni ipotesi

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fossero trattati oppure no, ne viene esclusa la possivbiltà che l’ipotensione non fosse in realtà la conseguenza di una cardiopatia ipocinetico7dialtiva non diagnosticata

Sul piano pratico peraltro, il controllo dell'ipertensione arteriosa nel paziente in dialisi, è considerato tutt’ora di grande importanza per la riduzione della mortalità cardiovascolare, ma non è sempre agevole; i trattamenti ultra brevi diffusi in questi ultimi anni (dialisi di circa 3 ore) e l'impiego dell'eritropoietina, per il suo effetto ipertensivante, possono renderlo più difficile; la regolarizzazione dei valori pressori di questi pazienti non è sempre soddisfacente.

Per il controllo dell'ipertensione sono fondamentali innanzitutto la restrizione dietetica dell'apporto di sodio e di acqua, un'adeguata disidratazione in corso di dialisi e variazioni mirate del tenore di sodio della soluzione dializzante.

Per contribuire al mantenimento del "peso secco" nei pazienti con diuresi residua, alcuni autori hanno proposto l'impiego sistematico di diuretici dell'ansa a dosi elevate (per la furosemide 500-1000 mg/die) che possono però causare effetti collaterali di rilievo (ototossicità).

Nella scelta degli antiipertensivi si preferiscono in genere, nell'ordine, betabloccanti, ACE-inibitori e calcioantagonist ed inibitori del recettore dell’ Angiotensina II. Tra i betabloccanti, teoricamente indicati nei pazienti con coronaropatia ischemica o con aritmie, sono da preferire quelli a metabolizzazione epatica, per il minor rischio di accumulo e di bradicardia. Gli ACE inibitori potrebbero avere un'indicazione elettiva nei casi con elevata attività reninica o con insufficienza cardiaca, ma, specialmente nelle prime settimane, è possibile la comparsa di iperpotassiemia; per la loro prevalente eliminazione renale, non si devono superare 50 mg/die per il captopril e 20 mg/die per l'enalapril. I calcioantagonisti hanno una buona efficacia e possono essere impiegati con sicurezza. La nifedipina per via sublinguale (10-20 mg) è molto efficace nel controllo delle crisi ipertensive ma non è esente da rischi. ( crisi anginose)

I farmaci ad azione centrale (clonidina, alfametildopa) possono causare secchezza della fauci, stipsi, sedazione ed ipotensione ortostatica; il loro impiego nei pazienti in dialisi è quindi limitato. Sono possibili rebound ipertensivi in caso di sospensione della clonidina; la dialisi rimuove significativamente l'alfametildopa, per cui può esserne richiesta una dose supplementare a fine seduta.

Il minoxidil ha rappresentato la prima valida alternativa farmacologica alla nefrectomia nei casi di ipertensione resistente al trattamento dialitico; sono stati segnalati versamenti pericardici e la frequente comparsa di irsutismo.

I simpaticolitici ed i vasodilatatori possono influenzare negativamente la tolleranza dialitica: attualmente sono meno utilizzati ; nel caso è consigliabile evitarne la somministrazione nelle ore precedenti la dialisi.

Proposta negli anni '60 e '70 per risolvere casi di ipertensione grave e resistente alla terapia farmacologica e dialitica, la nefrectomia bilaterale è stata poi abbandonata, con l'affinarsi delle tecniche di ultrafiltrazione e la disponibilità di farmaci ipotensivi, e per la grave anemizzazione ed ipotensione che sono abitualmente indotte.

Alterazioni dell'apparato osteoarticolare L'osteodistrofia uremica in genere non viene completamente corretta dal trattamento sostitutivo, può peggiorare con il

proseguimento della dialisi e può essere così invalidante da compromettere il successo del trattamento. All'inizio degli anni ottanta si temeva che le alterazioni osteodistrofiche potessero rappresentare il limite più importante

della terapia dialitica a lungo termine. Oggi, nei pazienti che collaborano correttamente, siamo in grado di prevenire e di trattare le sue manifestazioni più gravi.

Con il termine di osteodistrofia uremica si indica classicamente un insieme di lesioni che comprende due componenti fondamentali: l'osteite fibrosa, dovuta all'iperparatiroidismo secondario, e l'osteomalacia (nel bambino, il rachitismo), alle quali si associano con minor rilievo osteosclerosi ed osteoporosi. Recentemente sono state identificate altre possibili componenti, a genesi iatrogena: l’osteomalacia vit. D resistente da accumulo cronico di alluminio; l’osteopatia adinamica caratterizzata da una ridotta formazione di osso, senza eccesso di osteoide o di fibrosi, e con presenza molto modesta di alluminio; e la patologia da "amiloide correlata alla dialisi".

Alterazioni dell'omeostasi del calcio e del fosforo si verificano nelle fasi iniziali dell'insufficienza renale cronica. E' nozione classica che il primo momento della complessa catena patogenetica dell'osteodistrofia sia un aumento della fosforemia da deficit escretorio; l'iperfosforemia provoca una riduzione della calcemia che determina, a sua volta, un'iperattivazione paratiroidea.

E' inoltre possibile che l'iperfosforemia sia capace di per sè di stimolare direttamente la produzione di paratormone (PTH). L'iperfosforemia concorrerebbe inoltre a determinare una resistenza scheletrica all'azione ipercalcemizzante del PTH, i cui livelli si elevano ulteriormente. All'iperincrezione di PTH consegue un aumento dell'escrezione del fosforo, che ripristina la normalità della calcemia e della fosforemia, ma il risultato è un aggiustamento omeostatico a livelli di attività paratiroidea più elevati che in precedenza.

Nella genesi dell'ipocalcemia tuttavia intervengono altri fattori. Il più importante è la riduzione della produzione renale dell'1,25(0H)2 colecalciferolo (o calcitriolo), che è la forma ormonale più attiva di vitamina D. Esisterebbero anche alterazioni funzionali della vitamina D o dei suoi metaboliti, almeno in parte legate a deficit recettoriali specifici. Anche alterata è la produzione di 24,25(OH)2 colecalciferolo, le cui conseguenze non sono ancora chiarite.

La diminuita produzione di calcitriolo è abitualmente considerata conseguenza diretta della riduzione del parenchima funzionante; tuttavia, poichè interviene precocemente con clearances della creatinina tra 50 e 80 ml/min, si è anche ipotizzato un effetto inibitore da parte di un elevato tenore in fosforo a livello del tubulo prossimale, dovuto all'aumento del carico di fosfati per unità nefronica residua.

La diminuzione dei livelli plasmatici di calcitriolo deprime l'assorbimento intestinale di calcio e di fosforo e riduce la calcemia; inoltre a questa vitamina D è attualmente riconosciuto un effetto soppressore diretto sull'attività paratiroidea. Secondo alcuni autori, in alternativa all'iperfosforemia, il momento centrale dell'innesco patogenetico dell'osteodistrofia sarebbe appunto il deficit di produzione di questa vitamina D.

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L'iperparatiroidismo è responsabile di numerosi effetti sistemici: induce un aumento del riassorbimento osseo e dell'attività osteoclastica; causa miopatie prossimali per aumento di Ca nelle fibrocellule, e calcificazioni metastatiche; se ne sospetta un possibile ruolo nella miocardiopatia uremica.

Le alterazioni del metabolismo della vitamina D sono responsabili della riduzione dell'assorbimento intestinale del calcio e dei difetti di mineralizzazione dell'osteoide, con conseguente osteomalacia. Alla difettosa mineralizzazione contribuiscono anche gli squilibri a carico del Mg e di elementi in tracce. Un ruolo importante nella genesi di un'osteomalacia resistente alla vitamina D può essere svolto dall'alluminio.

La sintomatologia clinica varia a seconda che prevalga la componente iperparatiroidea od osteomalacica, o che si tratti di una forma mista. Sono caratteristici dolori ossei, generalmente al rachide e agli arti inferiori; è abbastanza comune una compromissione artromuscolare, elettiva a livello scapolo omerale, rachideo, e coxofemorale; il frequente prurito è dovuto almeno in parte all'iperparatiroidismo, per deposizione cutanea di calcio, e per riduzione della soglia agli stimoli.

La componente osteomalacica è causa di deformità scheletriche, con quadri di rachitismo nel bambino e, nell'adulto, di deformità toraciche, scoliosi, cifosi e fratture, specie costali, vertebrali e del bacino.

La componente legata all'iperparatiroidismo secondario si esprime in fenomeni di riassorbimento sottoperiosteo che possono portare, tra l'altro, alla "scomparsa" dell'immagine radiologica dell'estremità distale delle falangi e delle clavicole, in formazioni lacunari ossee, particolarmente temibili se si verificano a livello di segmenti ossei portanti, come il collo femorale; in calcificazioni ectopiche, talora enormi, in sede periarticolare, nelle pareti arteriose, eventualmente con fenomeni ischemici distali, nelle congiuntive e nella cornea (red eyes). Un'ipercalcemia sintomatica (con torpore, stato confusionale, prurito intenso) è rara; l'iperfosforemia è abituale. Le calcificazioni metastatiche sono correlabili con un prodotto calcio x fosforo >70.

Patologia ossea da alluminio In numerose reti idriche urbane viene fatto uso abituale di solfato di alluminio per chiarificare le acque, e di conseguenza l'acqua potabile può essere molto ricca di questo metallo, tradizionalmente ritenuto innocuo. Poichè inizialmente non si prendeva in considerazione questa eventualità, ed i sistemi impiegati per il trattamento delle acque erano poco o nulla efficienti nell'estrarlo, in molti centri dialisi i pazienti erano esposti ad un importante accumulo di alluminio che diffonde dal bagno di dialisi al sangue. Inoltre, per anni, i pazienti in dialisi sono stati sottoposti alla somministrazione sistematica di gel di alluminio per os, con la finalità di chelare il fosforo degli alimenti, ridurne l'assorbimento intestinale, controllare meglio l'iperfosforemia, e prevenire l'iperparatiroidismo secondario. A differenza che nel soggetto normale, nel paziente uremico, anche nel caso di somministrazione orale si può verificare un deposito cronico di alluminio nell'organismo.

Solo da una quindicina d'anni è stata riconosciuta la possibilità che l'alluminio possa essere responsabile di una specifica forma di encefalopatia, di anemia microcitica e di osteomalacia.

L'alluminio interferisce ritardando la formazione e l'accrescimento dei cristalli di idrossiapatite. Il suo ruolo nella patologia ossea è assai complesso e sembra che il suo effetto venga antagonizzato dallo stato di iperattività delle paratiroidi. Dopo paratiroidectomia interverrebbe un effetto permissivo nella deposizione del metallo sul fronte di calcificazione, con aggravamento dell'osteomalacia.

Nella sorveglianza laboratoristica del ricambio fosfocalcico e dell'osteodistrofia uremica hanno importanza: - la determinazione regolare della calcemia (in genere solo modestamente aumentata nell'iperparatiroidismo; il suo

aumento è più spesso legato ad un sovradosaggio di vitamina D) e della fosforemia; - il dosaggio della fosfatasi alcalina, il cui aumento (con enzimi epatici nella norma) è in buona correlazione con l'entità

dell'iperparatiroidismo secondario; - il dosaggio del paratormone . - la determinazione dell'alluminiemia. I segni radiologici principali di iperparatiroidismo secondario sono innanzitutto rappresentati da riassorbimento

subperiosteo, che si osserva bene a livello delle falangi, specie sulla superficie radiale di quelle medie, e sul flocculo delle falangette, nella pelvi, nell'estremità distale delle clavicole, a carico della mandibola, con scomparsa della lamina dura se vi sono denti, e del cranio. Per un'indagine precoce si presta bene lo studio della mano. Altri segni caratteristici sono cisti ossee (tumori bruni), strie corticali e immagini "a vetro smerigliato" del cranio, aree di osteosclerosi e di neostosi periostale, calcificazioni vascolari e dei tessuti molli.

Segni principali di osteomalacia sono deformità scheletriche (bacino a cuore di carta da gioco, torace a botte, cifosi dorsale), schiacciamento vertebrale, fratture costali e del bacino, pseudofratture.

Spesso solo l'indagine ossea bioptica è dirimente per la diagnosi di osteodistrofia uremica ed il preciso riconoscimento delle sue diverse componenti.

La prevenzione e la terapia dell'osteodistrofia uremica si avvalgono di misure finalizzate a contenere o contrastare l'iperfosforemia e l'ipocalcemia, che sono i fattori patogenetici fondamentali e, a dialisi avviata, di un corretto trattamento sostitutivo.

La dieta deve avere un contenuto di fosforo inferiore a 800 mg/die che, per essere ottenuto, presuppone l’astensione dell’uso abituale di latticini e formaggi.

Per chelare il fosfato a livello intestinale, la somministrazione di gel di alluminio è stata ora quasi completamente abbandonata in favore di quella di sali di calcio (carbonato di calcio: 3 o più g/die) e di magnesio, utili anche per prevenire o ridurre l’iperparatiroidismo e le lesioni osteomalaciche. Molto utile, ma non indenne da rischi anche a livello renale e pertanto da attuarsi con grande prudenza, è la somministrazione di calcitriolo (in genere alla dose di O,25 microgrammi/die o a giorni alterni ), ed eventualmente di altre vitamine D.

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Nei casi più conclamati di iperparatiroidismo si rende necessaria la paratiroidectomia. Compromissione neurologica In fase predialitica ed in corso di trattamento dialitico sono piuttosto frequenti fenomeni di depressione e di ansia. La

diagnosi differenziale con l'encefalopatia uremica, da alluminio, o su base aterosclerotica può non essere facile. Con lo svilupparsi della sindrome uremica, le manifestazioni cliniche dell'encefalopatia uremica possono evolvere da una

semplice riduzione dell'attenzione e delle capacità intellettive, in genere con irritabilità o apatia, sino ad uno stato di confusione, talora con allucinazioni, di sonnolenza e poi di coma. Sono in genere contemporaneamente presenti tremori con fini scosse muscolari durante i movimenti degli arti, asterixis e mioclonie.

Nei pazienti in trattamento medico conservativo le forme conclamate di encefalopatia uremica sono ora del tutto eccezionali e in genere se ne colgono solo i segni iniziali, che regrediscono rapidamente con l'inizio del trattamento dialitico.

Nei soggetti da anni in trattamento sostitutivo sono frequentemente presenti alla tomografia computerizzata immagini di atrofia cerebrale e le indagini elettrofisiologiche possono mettere in evidenza alterazioni di vario tipo. La possibilità che, in corso di un trattamento dialitico correttamente condotto, possa comparire una cerebropatia uremica clinicamente evidente è peraltro discussa.

Lesioni su base arteriosclerotica, ed eventualmente ipertensiva, con encefalopatia sottocorticale aterosclerotica, TIA, infarti ed emorragie cerebrali non sono invece rare.

Nello scorso decennio è stata descritta ed attribuita ad intossicazione da alluminio un'encefalopatia peculiare, con disturbi del linguaggio (inizialmente con caratteristici intoppi nella parola durante formulazione di frasi lunghe e complesse), deterioramento intellettivo sino alla demenza, contrazioni muscolari sino a convulsioni generalizzate, e fenomeni di aprassia sino ad un'immobilità totale. Per l'attenzione che si pone attualmente nella prevenzione degli accumuli di alluminio, queste manifestazioni sono ora praticamente scomparse.

I sintomi clinici più classici di interessamento del sistema nervoso periferico dell'uremia cronica sono quelli di una neuropatia periferica, sensitiva e motoria, con parestesie distali, riduzione sino alla perdita dei riflessi inizialmente alle estremità e poi rotulei, debolezza e successivamente atrofia muscolare distale agli arti inferiori. E' frequente la cosiddetta "restless leg syndrome" che si manifesta con necessità di muovere le gambe o di camminare quando il paziente si riposa o si mette a letto.

La patogenesi della compromissione neurologica dell'uremico è complessa: fenomeni ritentivi sono verosimilmente implicati, ed il trapianto di rene riesce a ripristinare una normale situazione tranne che nei casi più evoluti, ma la ricerca di medie molecole neurotossiche non è approdata a risultati concreti. Anche in queste manifestazioni è stato prospettato un possibile ruolo del paratormone, che interverrebbe pure nella patogenesi, peraltro multifattoriale, dell'atrofia muscolare.

Alterazioni del sistema nervoso autonomo non sono rare, e possono esere causa di ipotensione ortostatica, di modificazioni della motilità intestinale e di compromissione dell'attività sessuale.

Patologia gastroenterica Alterazioni morfofunzionali dell'apparato digerente compaiono nelle fasi terminali dell'uremia e possono essere manifeste

nei pazienti in trattamento dialitico. Peraltro, l'inizio di una regolare depurazione consente in genere una regressione della sintomatologia gastroenterica. Per tale motivo nella patogenesi si ritiene implicata la ritenzione di prodotti azotati; concorrerebbero alle alterazioni della barriera mucosa gastrica alterazioni arteriolari, la diatesi emorragica ed alcuni farmaci, quali i chelanti del fosforo sotto forma di idrossido di alluminio.

L'interessamento del tratto gastroenterico può avere estensione variabile, con coinvolgimento sia del tratto digerente alto (lesioni ulcerative, microemorragie, lesioni necrotiche esofagee e gastriche) sia del colon (angiodisplasie, ulcere, pseudomembrane).

Dati peraltro non univoci indicherebbero nell'ipergastrinemia un elemento fondamentale nella genesi delle alterazioni gastriche dell'uremico.

Il quadro clinico è polimorfo, e comprende inizialmente una vaga sintomatologia dispeptica, poi nausea, vomito, epigastralgie, anoressia. All'indagine endoscopica e radiologica sono frequenti reperti di gastroduodenite, esofagite e lesioni ulcerative, generalemente in associazione con la positività bioetica per l’Helycobacter Pilori.

Per quanto concerne la patologia epatica, deve essere posta in evidenza la particolare frequenza di compromissione virale (l'epatite B è ora in netta riduzione, a differenza di quella C). Accanto a questi quadri ben definiti si possono avere reperti laboratoristici di aumento aspecifico delle transaminasi e degli isoenzimi epatici della fosfatasi alcalina, spesso di difficile interpretazione.

Compromissione polmonare La forma più comune e di maggior importanza pratica è un accumulo, soprattutto interstiziale, di liquidi con l'aspetto del

cosiddetto "polmone uremico" o "da acqua". La diagnosi clinica è suggerita dalla comparsa acuta o subacuta di una dispnea ingravescente, con reperti auscultatori

inizialmente nella norma, e che solo con l'aggravarsi del sovraccarico acquistano progressivamente le caratteristiche semeiotiche dell'edema polmonare. Il reperto radiologico più tipico è di opacità a farfalla, che rispetta i campi periferici. I quadri sono però vari, e non è raro che sia simulata la presenza di focolai broncopneumonici multipli. Un'energica sottrazione di liquidi con la dialisi consente la regressione di questa complicanza in poche ore.

Non rare sono microcalcificazioni polmonari, attribuite all'iperparatiroidismo. Alterazioni endocrine

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Nell'uremico cronico si rileva un'importante compromissione dell'attività sessuale con, nel maschio, un'elevata incidenza di impotenza e di riduzione della libido, oligospermia, ginecomastia, aplasia delle cellule germinali e, nella femmina, cicli anovulatori ed irregolarità mestruali, sino all'amenorrea.

I fattori responsabili sono multipli: accanto alle turbe endocrine (nella femmina, riduzione degli estrogeni e del progesterone; nel maschio, ridotti livelli di testosterone; in entrambi i sessi, aumento di LH, PRL, FSH ed alterazioni di recettori ipotalamici) sono da considerare altre cause, come l’anemia, gli stress psichici, stati depressivi, fattori nutrizionali e iatrogeni (non di rado sono in causa gli ipotensivi), neuropatia uremica, insufficienza vascolare degli organi genitali.

Particolare interesse era stato suscitato da una correlazione tra alterazioni della sfera sessuale e deficit di zinco che, da indagini successive, non pare tuttavia rivestire un ruolo fondamentale in tutti gli uremici.

Una gravidanza è stata riportata in meno dell'1% delle donne in dialisi in età feconda, con netto aumento dei rischi materni e fetali.

I livelli di ACTH e cortisolo sono normali (la cortisolemia aumenta dopo dialisi extracorporea per risposta allo stress); quelli di aldosterone sono generalmente elevati.

I parametri di funzionalità tiroidea sono variamente alterati nell'insufficienza renale cronica, senza che siano tuttavia presenti quadri clinici conclamati: il TSH e l'FT4 sono in genere normali; i livelli di T3 sono ridotti. Il trapianto normalizza anche queste alterazioni ormonali. I livelli circolanti di somatotropina sono per lo più elevati.

L'alterata sintesi ormonale da parte delle ß cellule pancreatiche è uno dei fattori che si ritiene intervengano nelle alterazioni del metabolismo glicidico, presente in circa il 50% dei pazienti uremici, accanto ad una resistenza recettoriale periferica ed alla ridotta clearance metabolica di insulina e glucagone. Tali squilibri si traducono in un'alterata risposta al carico glucidico, iperinsulinemia, iperglucagonemia, ipoglicemie spontanee e a digiuno, ridotta richiesta insulinica nei diabeti insulinodipendenti e sono scarsamente corretti dal trattamento sostitutivo.

Imputabili invece a deficit enzimatici sono le alterazioni del metabolismo lipidico: aumento dei trigliceridi in VLDL e

LDL; diminuzione del colesterolo HDL; aumento del colesterolo VLDL; riduzione della ApoA; aumento della ApoB. L'approccio terapeutico è di tipo dietetico-farmacologico. Studi recenti hanno richiamato l’attenzione anche sull’omocisteina , amino acido solforato che deriva dal metabolismo della metionina, come fattore di rischio cardiovascolare. Nella popolazione generale, dove sono stati eseguiti la maggioranza degli studi, livelli aumentati di omocisteina correlano con un rischio cardio e cerebro vascolare aumentato. Nell’insufficienza renale l’omocisteina è aumentata per diverse ragioni: ridotta filtrazione glomerulare, possibile conseguenza di alterazioni del metabolismo vitaminico della B12 e dei folati, ma soprattutto per il suo ridotto catabolismo renale. Le evidenze di un suo ruolo come fattore di rischio nei pazienti dializzati restano tuttavia ancora dibattute in conseguenze dei risultati contrastanti riportati nei pochi studi fin’ora pubblicati.

L'UREMIA

IL NOME UREMIA DERIVA DA UREA, UNA DELLE PRIME SOSTANZE STUDIATE COME POTENZIALI

TOSSICI IN CONDIZIONI DI INSUFFICIENZA RENALE E COME INDICE DI FUNZIONALITA' RENALE. SEBBENE IL RUOLO DELL'UREA COME TOSSICO SIA PROBABILMENTE MINORE, QUESTA

SOSTANZA MANTIENE UN RUOLO PRINCIPALE COME MARCATORE DI TOSSICITA' E LA SUA DEPURAZIONE E' OGGI LA PRINCIPALE GUIDA PER DEFINIRE L'EFFICIENZA DELLA DIALISI (CINETICA DELL'UREA)

La sindrome uremica traduce sul piano clinico la compromissione anatomofunzionale di numerosi organi ed apparati

conseguente alla grave riduzione della funzione renale. La sua patogenesi è solo parzialmente nota; è in ogni caso multifattoriale e probabilmente dovuta alla ritenzione

contemporanea di sostanze di vario tipo che svolgono un ruolo patogeno con effetti sinergici, ad alterazioni idroelettrolitiche e dell'equilibrio acido base, ad un'increzione inappropriata di alcuni ormoni e, forse, alla ritenzione di alcuni di essi o di loro prodotti terminali.

1) Ruolo patogenetico della ritenzione di scorie metaboliche, degli squilibri idroelettrolitici e del bilancio acido-base. L'ipotesi più accettata in passato era che l'uremia conseguisse fondamentalmente alla ritenzione di una o più "tossine".

Tuttavia, tra le sostanze più comunemente considerate nella pratica clinica, l'urea, cui si deve il nome della sindrome, è stata riconosciuta potenzialmente tossica soltanto a concentrazioni molto elevate, oltre 300 mg/dL, e in ogni caso all'iperazotemia sono attribuibili con sicurezza solo alterazioni settoriali, cosicchè questo catabolita ha in genere soltanto un significato generico di marker di ritenzione. Analoghe considerazioni valgono per la creatinina.

E' anche negato il ruolo di metaboliti degli acidi nucleinici, come l'acido urico, e di alcuni dipeptidi, le cui concentrazioni ematiche sono in genere aumentate nel soggetto uremico. Notevole interesse aveva suscitato l'identificazione nel plasma uremico di elevati livelli di sostanze del gruppo delle guanidine e delle poliamine (spermina, spermidina e putrescina), ma il loro ruolo patogenetico è messo in dubbio.

Più recentemente, nel tentativo di rivalutare l'importanza dei fenomeni di ritenzione, concettualmente attraenti in quanto i rapporti tra miglioramento clinico e depurazione extrarenale, che li attenua o li risolve almeno temporaneamente, sono innegabili, si è tentato di attribuire alcune manifestazioni dell'uremia, come l'anemia, la neuropatia ed i deficit immunologici, alla ritenzione di sostanze a peso molecolare più elevato di quello dell'urea, della creatinina, ed in generale dei prodotti tradizionalmente studiati. Queste sostanze, il cui peso molecolare presunto è stato indicato tra 300 e 1500-2000 o anche 3000 daltons, sono state definite complessivamente come "medie molecole". Il loro interesse pratico è anche legato al fatto che esse

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sono allontanate dall'organismo dell'uremico in misura differente dai diversi tipi di depurazione extrarenale. Concentrazioni più elevate rispetto ai soggetti di controllo di prodotti con peso molecolare di quest'ordine di grandezza sono state dimostrate nel siero uremico, ma non è stato possibile stabilire correlazioni precise tra la loro ritenzione e segni e sintomi specifici della sindrome uremica e differenti modalità di depurazione

Un'ipotesi alternativa, probabilmente più attraente dal punto di vista clinico, è quella che sia la ritenzione contemporanea di più sostanze a vario peso molecolare ad avere effetti patogeni, con manifestazioni complessive differenti da quelle provocate dai singoli prodotti: ciò potrebbe rendere ragione della mancanza di correlazioni lineari tra livelli ematici delle tossine indiziate e sintomi specifici, e potrebbe essere anche alla base della differente sintomatologia che pazienti differenti lamentano a gradi equivalenti di compromissione della funzione renale.

Non sussistono invece dubbi sugli effetti dell'acidosi e dei disordini idroelettrolitici, che sono talora responsabili di segni e sintomi specifici; anche in questo caso, nessun singolo elemento è in grado, di per sè, di riprodurre per intero la sindrome uremica. Un dato recente molto importante è quello legato alla importanza dell'acidosi nella riduzione dell'appetito e nella patogenesi della conseguente malnutrizione, che a sua volta rappresenta uno degli elementi più importanti nello scadimento delle condizioni generali dell'uremia.

2) Inappropriata increzione ormonale Notevole attenzione merita il ruolo di fenomeni che fisiologicamente operano come compenso ma che, a seguito di

stimolazioni abnormi causate dall'insufficienza renale stessa, perdono le caratteristiche di elementi omeostatici e causano complesse alterazioni anatomo-funzionali.

Tra queste ha particolare importanza l'iperparatiroidismo secondario: nelle fasi iniziali dell'insufficienza renale l'aumento della secrezione di paratormone è in grado di ripristinare i normali livelli sierici del calcio e del fosforo; successivamente, l'iperfunzione paratiroidea può accentuarsi sino a provocare gravi alterazioni ossee e calcificazioni metastatiche. Oltre che a livello osseo, il paratormone svolge un'influenza anche su numerose funzioni cellulari a vari livelli (cuore, sistema nervoso, eritrociti). Per questo motivo è talora citato come esempio di tossina uremica o, addirittra, come esempio dell'unica vera tossina uremica evidenziabile nell'uomo.

Oggetto di attenzione è anche il possibile ruolo nell'uremia dei fattori natriuretici atriale ipotalamico, la cui produzione è aumentata secondariamente all'espansione dei volumi extracellulari. Al primo, che è un potente vasodilatatore, sono forse ascrivibili fenomeni ipotensivi acuti e cronici in corso di dialisi. Il secondo deprime l'attività della pompa Na-K ATPasi ouabaino-sensibile, che è considerato un importante meccanismo di trasporto di membrana che garantisce la costanza della composizione intracellulare. Questa inibizione potrebbe render conto almeno di una delle modalità con le quali la ritenzione di sodio è causa di ipertensione arteriosa: alla riduzione di attività di questa pompa sembra in effetti conseguire anche un aumento del contenuto di calcio delle cellule muscolari liscie, con la conseguenza di un incremento delle resistenze arteriose periferiche, che a sua volta è alla base dell'ipertensione arteriosa.

3) Compromissione della funzione endocrina del rene. Si esprime con una riduzione dell'idrossilazione da parte del rene del 25(0H)-colecalciferolo (calcifediolo), prodotto dal

fegato, in 1,25(OH)2 colecalciferolo (o calcitriolo), con un deficit di produzione di eritropoietina e l'iperproduzione di renina. E' incerto il ruolo della ridotta produzione a livello renale di sostanze ad azione vasodilatatrice, quali alcune prostaglandine.

A questa serie di eventi patogeni si possono sommare fenomeni iatrogeni, acuti e cronici, indotti dalla dialisi o da farmaci,

che comportano quadri sintomatologici talora non facilmente distinguibili da quelli uremici. L'intossicazione da alluminio e, almeno in parte, la patologia da accumulo della ß2-microglobulina, sono gli esempi più evidenti di questa eventualità.

Non deve pertanto stupire che, in relazione a questa situazione così complessa, il trattamento dialitico, pur consentendo

sopravvivenze prolungate (anche per più decenni) in condizioni di vita accettabili, non comporti la totale correzione degli squilibri dovuti all'uremia e che, in relazione ad un'eventuale insufficenza, assoluta o relativa, del trattamento sostitutivo, possano facilmente ricomparire manifestazioni uremiche anche gravi. Per questo motivo, e in relazione al fatto che il trattamento dialitico è ora talmente diffuso che la maggior parte dei medici ha tra i suoi pazienti dei soggetti in dialisi, assieme alla sintomatologia dell'uremia cronica ricorderemo qui anche i problemi più importanti degli uremici cronici in trattamento sostitutivo della funzione renale.

Alterazioni del sistema emopoietico 1) Anemia. Accompagna quasi invariabilmente l'insufficienza renale cronica e viene considerata come parzialmente

responsabile dell'astenia, di alcune manifestazioni neuropsichiche (come la difficoltà di attenzione e di concentrazione, depressione dell'umore e disturbi del sonno), di disturbi della sfera sessuale; può aggravare manifestazioni di interessamento extrarenale, ad esempio di insufficienza cardiaca, coronarica o di deficit cerebrale.

I pazienti in dialisi hanno mediamente livelli di emoglobina ridotti, e valori inferiori a 8-10 g/dl non sono infrequenti. A parità di livelli emoglobinici, l'anemia è meglio tollerata che nei soggetti non uremici, in quanto esiste in questa condizione una minore affinità per l'ossigeno che ne condiziona una più facile cessione ai tessuti.

L'anemia dell'uremico cronico è ipoproliferativa, normocromica e normocitica. La situazione ipoproliferativa è direttamente correlata al deficit di eritropoietina, ormone glicoproteico prodotto per oltre il 9O% dal rene. E' anche ipotizzata l'esistenza di inibitori plasmatici dell'eritropoiesi, che si è creduto di volta in volta di identificare nel paratormone, nelle medie molecole ed in proteine a basso peso molecolare, ed una resistenza dei precursori eritroidi alla sua azione.

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La vita media degli eritociti è ridotta, in gran parte per un'accresciuta fragilità osmotica. Anche la resistenza degli eritrociti ai fattori ossidanti è ridotta; la somministrazione di sulfamidici, alfametildopa, vitamina A, antimalarici e furantoina può pertanto risultare pericolosa. Un'accentuazione dell'emolisi cronica è stata anche descritta dopo somministrazione di penicillina e cefalosporine. La somministrazione di trimetoprim-sulfametossazolo può causare una carenza di acido folico.

Altri fattori aggiuntivi nella patogenesi dell'anemia possono essere: stati carenziali di ferro e di vitamine (acido folico, B12), di fosforo, di aminoacidi e di oligoelementi (rame, zinco); malnutrizione calorico-proteica; perdite ematiche occulte (che possono a loro volta essere legate alla presenza di un ridotto trofismo delle mucose intestinali, legato all'uremia), o dovute ai prelievi per i numerosi controlli ematochimici.

L'anemia è solo parzialmente corretta dalla dialisi, ma si aggrava in caso di trattamento dialitico insufficiente. I rapporti tra "qualità" della depurazione ed anemia sono sottolineati dalla possibilità di ottenere aumenti dell'ematocrito con il miglioramento dell'efficienza dialitica. Esiste anche un possibile rapporto tra accumulo cronico di alluminio e anemia, che in questi casi assume un carattere microcitico.

In fasi avanzate di uremia e in corso di dialisi, in presenza di sintomi clinici legati all’anemia e comunque se i valori di Hb sono inferiori a 9-10 g/dL, dopo la correzione di eventuali fattori carenziali (ferro, B12 e Folati), l’eritropoietina viene attualmente somministrata regolarmente; l'anemia non deve essere corretta completamente, e l’obiettivo è di ottenere valori di Hb di 11-12 g/dL e di ematocrito intorno al 30%, soprattutto per non incorrere nel rischio di un aggravamento dell’ipertensione arteriosa, di incidenti trombotici, di coagulazione dell'accesso vascolare e di una riduzione dell'efficienza della dialisi, comune con ematocriti superiori al 30-35%.

2) Alterazioni della coagulazione. Nel soggetto uremico il tempo di sanguinamento è spesso prolungato. Questo deficit ha una patogenesi complessa, ma è fondamentalmente espressione di un'alterazione funzionale delle piastrine, di cui è ben documentato un difetto di aggregazione e di adesività. Per spiegare questo fenomeno sono chiamati in causa fattori dializzabili, tra i quali composti fenolici e l'acido guanidinsuccinico. Il deficit coagulatorio è in gran parte reversibile entro qualche settimana dall'inizio del trattamento dialitico. Un livello di ematocrito intorno al 30% è considerato in ogni caso ottimale per garantire una buona funzione piastrinica.

3) Alterazioni leucocitarie. In corso di uremia alcune attività funzionali dei granulociti sono compromesse; tra queste ricordiamo una ridotta attività chemiotattica in vitro ed una riduzione numerica di recettori del C5. Il numero dei linfociti è spesso ridotto e sono state descritte alterazioni del rapporto tra sottopopolazioni linfocitarie.

Alterazioni del sistema immunitario Si tratta di deficit molto comuni che interessano a vari livelli soprattutto l'immunità cellulare ed in misura minore quella

umorale; sembrano essere almeno in parte corrette dalla dialisi. Sul piano clinico la manifestazione più importante è l'aumento della suscettibilità ad infezioni batteriche, virali e

micotiche, che rappresentano in toto la seconda causa di decesso nei pazienti in dialisi, e sono certamente tra le più importanti cause di morbilità in questi soggetti. Tra le infezioni batteriche predominano quelle da Gram positivi, con elevata frequenza di batteriemie, di endocarditi, di infezioni osteoarticolari e polmonari e dell'accesso vascolare o peritoneale. E' descritto un aumento delle infezioni tubercolari, e da germi inusuali. Una peculiarità, che è in parte almeno in comune al quadro clinico di sepsi in soggetti defedati è la possibilità che questa si verifichi anche senza febbre.

Sebbene queste alterazioni siano certamente polifattoriali e differenti elementi giochino un ruolo differente nei diversi individui, negli ultimi anni l'attenzione si é tendenzialmente spostata da un ruolo centrale di tossici uremici ad azione immunodepressiva a quello della malnutrizione, specie proteica.

La compromissione della risposta immunitaria è responsabile di un aumento della frequenza di infezioni virali a decorso subacuto e protratto, quali le epatiti da virus B e da virus C, e soprattutto di condizioni di cosiddetti portatori sani, fatto che costituisce una potenziale fonte di contagio per pazienti ed operatori sanitari.

La sistematica vaccinazione anti epatite B ha ora risolto il problema per il personale sanitario e per la maggior parte dei pazienti, tra i quali tuttavia è frequente l'assenza di una sieroconversione o la comparsa di anticorpi solo a basso titolo. L'aumento delle dosi di vaccino rispetto agli schemi in uso in soggetti sani consente di ottenere una sieroconversione, anche se talora transitoria, in un 70-90% dei casi. Si ritiene attualmente consigliabile una precoce vaccinazione anti epatite B per tutti i soggetti con una nefropatia evolutiva.

Non ancora risolta è invece la questione del virus dell'epatite C, nei confronti del quale, nelle nostre sale dialisi, vi è attualmente una prevalenza di positività anticorpale e di presenza di virus attivo molto elevata (fino a oltre il 30% dei pazienti). Il fatto che pochi pazienti in dialisi sviluppino un'epatite cronica ed una cirrosi vera e propria può da un lato essere riferito alla minore reattività immunologica degli stessi e dall'altro essere legato ad un'attesa di vita non sufficientemente lunga da mettere in luce queste complicanze a lungo termine; tuttavia, l'epatopatia da virus C rappresenta un problema dopo il trapianto di rene, sia perche la concomitante terapia immunodepressiva tende a modificare sfavorevolmente di equilibrio immunologico fra virus ed ospite sia per la maggior probablità di sviluppare un danno epatotossico . Un altro problema inquietante è posto da soggetti HIV positivi. Dopo un eccessivo ed infondato allarmismo nel primo periodo, si è visto che è un problema che interesse una costante piccola popolazione di pazienti in dialisi e che la loro gestione clinica non differisce da quella degli altri pazienti. Si richiedono naturalmente alcune misure profilattiche particolari (monitor dedicato, isolamento, indumenti protettivi, etc.) ed il rispetto delle norme previste dalle linee guida nazionali per la prevenzione della infezione trasmesse per contatto ematico

Secondo alcuni Autori, sarebbe riferibile al deficit immunitario un aumento del rischio di neoplasie documentato nei pazienti in dialisi, che interesserebbe particolarmente soggetti di età relativamente giovane, tra i 40 ed i 50 anni, verosimilmente perchè in queste fasce di età sono meno importanti le cause di morte competitive con quella neoplastica, in particolar modo quelle cardiovascolari ed infettive.

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Non esiste un trattamento dell'immunodepressione dell'uremico. Nella terapia delle infezioni, si devono tener presenti le caratteristiche farmacocinetiche e la potenziale tossicità dei farmaci da impiegare, per evitare pericolosi fenomeni di accumulo.

Alterazioni dell'apparato cardiovascolare Il 30-50% dei decessi dei pazienti in dialisi è legato a patologia cardiovascolare. In era predialitica erano molto frequenti gli episodi di pericardite, spesso mortali. Il trattamento dialitico precoce ha ridotto

la frequenza e la gravità di questa complicazione, più rara in dialisi peritoneale che in emodialisi, pur non annullandola. I fattori eziopatogenetici della pericardite uremica sono numerosi: in alcuni casi è responsabile uno stato di uremia non ben

corretto dal trattamento sostitutivo; altre volte questa complicazione interviene in soggetti apparentemente non sottodializzati: in queste condizioni è stato prospettato un possibile ruolo dell'ipertensione arteriosa, dell'iperparatiroidismo secondario, di meccanismi immunologici da immunocomplessi circolanti, l'uso cronico di eparina, gli stress chirurgici. L'eziologia può essere inoltre infettiva, batterica o virale.

L'impiego sistematico dell'ecocardiografia ha rivelato in pazienti in dialisi apparentemente trattati in maniera corretta ed asintomatici, una frequenza elevata di piccoli versamenti pericardici, che sono considerati in genere segno non di pericardite, ma di sovraccarico idrosalino cronico.

La pericardite uremica può essere acuta o cronica. Le forme acute sono caratterizzate da un processo infiammatorio con deposizione di fibrina.

Il quadro clinico è condizionato dall'entità della flogosi e dalla rapidità dell'esordio. E' in genere presente un dolore toracico, che può essere continuo e simulare quello dell'infarto, o può essere influenzato dai movimenti respiratori. Sono frequenti aritmie; compare spesso una ipotensione intradialitica. La sintomatologia può però essere larvata od assente.

All'esame obiettivo è tipico un rumore di sfregamento a va e vieni, che può essere apprezzabile solo in aree limitate, spesso in sede parasternale sinistra, e può accentuarsi in decubito laterale o prono. I rumori possono scomparire con l'aumento dell'essudato. Altri segni possono essere: scomparsa dell'itto puntale, turgore delle giugulari; aumento del turgore venoso in fase inspiratoria (segno di Kussmaul), polso paradosso (riduzione della pressione arteriosa maggiore di 12 mmHg in fase inspiratoria), edemi periferici, epatomegalia. Una dispnea importante con ortopnea, eventualmente con posizione inclinata anteriore, deve essere considerata segno di allarme per un tamponamento.

Nei casi tipici l'esame radiologico dimostra un ingrandimento del cuore "a fiasca"; l'elettrocardiogramma è spesso di scarsa utilità per l'incostanza dei classici sopraslivellamenti del tratto S-T; è fondamentale l'apporto dell'ecocardiografia che può svelare versamenti anche modesti, spesso posteriori.

La complicazione più temibile è il tamponamento cardiaco; un'altra grave conseguenza a distanza può essere una pericardite cronica costrittiva. Oltre al trattamento è antalgico, se il paziente è in trattamento conservativo si impone l’avvio immediato del trattamento dialitico; se è già in dialisi, la frequenza delle sedute di dialisi e l’efficienza dialitica vengono aumentate, per migliorare la qualità della depurazione e ridurre più agevolmente eventuali sovraccarichi idrosalini; solo nei casi più gravi è richiesta una pericardiocentesi, peraltro non priva di rischi, o una soluzione chirurgica con una pericardiotomia sottoxifoidea o una pericardiectomia anteriore.

Aritmie cardiache di vario tipo sono molto comuni nei pazienti in dialisi, con percentuali variabili dal 17% al 90% a seconda delle casistiche, e possono essere scatenate da vari fattori: rapide variazioni, intra o interdialitiche, delle concentrazioni elettrolitiche sieriche, in particolare di potassio e calcio; modificazioni dell'equilibrio acido-base o della ripartizione ionica intra-extracellulare.

Nell'1,4-16% dei pazienti in dialisi il decesso avviene per una morte improvvisa, in parte dei casi probabilmente dovuta ad un'aritmia.

Le extrasistoli atriali sono spesso asintomatiche, ed in genere ben tollerate; il significato clinico delle extrasistoli ventricolari varia a seconda della loro frequenza e complessità; le tachicardie sopraventricolari sono frequenti nei soggetti cardiopatici; le bradiaritmie sono un evento raro, e per lo più dovute ad un'iperpotassiemia grave.

La terapia non può essere solo farmacologica ma richiede l'individuazione e la rimozione, ogni qualvolta possibile, delle condizioni predisponenti o scatenanti.

Da tempo è stato prospettato un possibile effetto miocardiolesivo dell'uremia, tanto che si parla di cardiomiopatia uremica come forma a sè stante; in animali da esperimento l'uremia induce un aumento del tessuto interstiziale miocardico; nell'uomo, anche indipendentemente dall'ipertensione arteriosa, sono comuni un aumento del volume cardiaco, con allargamento delle cavità sinistre, un'ipertrofia ventricolare sinistra e/o del setto interventricolare. A livello microscopico si osservano una fibrosi miocardica, talora grave, fenomeni degenerativi delle cellule miocardiche e deposizioni di calcio focali o, in caso di iperparatiroidismo, massive.

L'arteriosclerosi coronarica è particolarmente frequente anche nei giovani e può causare stenosi coronariche e fenomeni ischemici gravi che non di rado sono asintomatici anche in soggetti non diabetici. Quando non correggibile, la cardiopatia ischemica può costituire una controindicazione al trapianto di rene

Nella patogenesi della miocardiopatia uremica, che deve essere distinta da quella ipertensiva, possono intervenire: agenti "tossici"; la ritenzione idrosalina che induce sovraccarico cardiocircolatorio, con aumento del precarico; l'iperpotassiemia e l'acidosi, che hanno effetto inotropo negativo; le alterazioni della calcemia, che causano alterazioni della contrattilità e dell'eccitabilità miocardica; la deplezione di fosforo; il paratormone, i cui livelli sono in genere molto aumentati in questi pazienti; l'anemia; fattori carenziali (vit. B1 e carnetina) ed in un certo numero di casi , la presenza anche oer molti anni, di una fistola artertovenosa.

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I segni clinici della cosiddetta cardiomiopatia uremica sono quelli di un'insufficenza ventricolare sinistra, e talora possono comparire all'improvviso, a seguito di un sovraccarico acuto idrosalino anche modesto o di una crisi ipertensiva. All'esame obiettivo possono essere presenti un ritmo di galoppo e soffi da rigurgito a carico di una o più valvole cardiache, ma i rilievi clinici sono spesso infidi. L'elettrocardiogramma può indicare la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, di alterazioni dell'onda T o del tratto ST, ma è poco indicativo. Altrettanto si può dire dell'esame RX del torace. I risultati migliori sono forniti dall'ecocardiografia dinamica.

Nella terapia è fondamentale la correzione dei fattori rimovibili eventualmente implicati; la terapia farmacologica digitalica trova indicazioni nelle tachicardie sopraventricolari, nella fibrillazione atriale o nello scompenso cardiaco, in assenza di un sovraccarico idrico o di ipertensione grave. L'insufficienza renale riduce la maneggevolezza della digossina, che non è dializzabile, aumentandone la tossicità. Si raccomanda in genere una dose iniziale di 0,25 mg/die per 2-3 giorni; la dose di mantenimento è in genere 0,125 a giorni alterni. L'obiettivo è di mantenere valori di digossinemia intorno a 1 ng/ml. E' necessaria una regolare monitorizzazione del farmaco. Altri Autori preferiscono la digitossina in relazione al suo metabolismo prevalentemente epatico. I vasodilatatori arteriolari (idralazina e minoxidil) possono migliorare la gittata cardiaca riducendo l'impedenza al deflusso; quelli venosi (nitroglicerina ed isosorbide dinitrato) agiscono aumentando la capacità del comparto venoso. Gli ACE inibitori, che inducono una favorevole ridistribuzione della gittata, possono essere usati in condizioni di scompenso, ma con attenta monitorizazione della potassiemia. I nitroderivati sono sicuri, ma possono causare ipotensioni. Tra i betabloccanti sono più usati il propranololo ed il metoprololo, che hanno un metabolismo epatico.

Nel trattamento delle coronaropatie, le indicazioni all'angioplastica e agli interventi a cuore aperto sono simili a quelli nei pazienti non uremici, pur con rischi più elevati.

L'ipertensione arteriosa nell'insufficienza renale cronica evolve da una fase iniziale con gettata cardiaca aumentata e resistenze periferiche normali, ad una fase caratterizzata da un aumento delle resistenze periferiche. L'aumento della gettata cardiaca consegue all'espansione di volume extracellulare e all'anemia; l'aumento delle resistenze periferiche riconosce una genesi polifattoriale (espansione extracellulare, alterazioni del trasporto cellulare del sodio, attivazione del sistema renina-angiotensina e del sistema nervoso autonomo e, forse, riduzione delle sostanze ad azione vasodilatatrice di produzione renale).

Nel corso delle nefropatie croniche l’ipertensione arteriosa costituisce un importante fattore favorente l’evoluzione verso l’uremia: su queste basi si ritiene attualmente che, indipendentemente dalla definizione di normalità della pressione arteriosa e compatibilmente con la tolleranza del paziente, i valori presori ottimali siano inferiori a 130/75 mmHg. In controtendenza nei confronti di questa impostazione predominante, alcune osservazioni degli ultimi anni hanno messo in dubbio il ruolo dell’ipertensione come fattore di rischio vascolare richiamando l’attenzione sul fatto che nei pazienti con una pressione sistolica minore di 100 mmHg era rilevabile un rischio di morte cardiovascolare 4 volte superiore rispetto a pazienti con valori pressori compresi fra i 140 ed i 149 mmHg. Il problema resta aperto in quanto non è ben chiaro se i pazeitni ipotesi fossero trattati oppure no, ne viene esclusa la possivbiltà che l’ipotensione non fosse in realtà la conseguenza di una cardiopatia ipocinetico7dialtiva non diagnosticata

Sul piano pratico peraltro, il controllo dell'ipertensione arteriosa nel paziente in dialisi, è considerato tutt’ora di grande importanza per la riduzione della mortalità cardiovascolare, ma non è sempre agevole; i trattamenti ultra brevi diffusi in questi ultimi anni (dialisi di circa 3 ore) e l'impiego dell'eritropoietina, per il suo effetto ipertensivante, possono renderlo più difficile; la regolarizzazione dei valori pressori di questi pazienti non è sempre soddisfacente.

Per il controllo dell'ipertensione sono fondamentali innanzitutto la restrizione dietetica dell'apporto di sodio e di acqua, un'adeguata disidratazione in corso di dialisi e variazioni mirate del tenore di sodio della soluzione dializzante.

Per contribuire al mantenimento del "peso secco" nei pazienti con diuresi residua, alcuni autori hanno proposto l'impiego sistematico di diuretici dell'ansa a dosi elevate (per la furosemide 500-1000 mg/die) che possono però causare effetti collaterali di rilievo (ototossicità).

Nella scelta degli antiipertensivi si preferiscono in genere, nell'ordine, betabloccanti, ACE-inibitori e calcioantagonist ed inibitori del recettore dell’ Angiotensina II. Tra i betabloccanti, teoricamente indicati nei pazienti con coronaropatia ischemica o con aritmie, sono da preferire quelli a metabolizzazione epatica, per il minor rischio di accumulo e di bradicardia. Gli ACE inibitori potrebbero avere un'indicazione elettiva nei casi con elevata attività reninica o con insufficienza cardiaca, ma, specialmente nelle prime settimane, è possibile la comparsa di iperpotassiemia; per la loro prevalente eliminazione renale, non si devono superare 50 mg/die per il captopril e 20 mg/die per l'enalapril. I calcioantagonisti hanno una buona efficacia e possono essere impiegati con sicurezza. La nifedipina per via sublinguale (10-20 mg) è molto efficace nel controllo delle crisi ipertensive ma non è esente da rischi. ( crisi anginose)

I farmaci ad azione centrale (clonidina, alfametildopa) possono causare secchezza della fauci, stipsi, sedazione ed ipotensione ortostatica; il loro impiego nei pazienti in dialisi è quindi limitato. Sono possibili rebound ipertensivi in caso di sospensione della clonidina; la dialisi rimuove significativamente l'alfametildopa, per cui può esserne richiesta una dose supplementare a fine seduta.

Il minoxidil ha rappresentato la prima valida alternativa farmacologica alla nefrectomia nei casi di ipertensione resistente al trattamento dialitico; sono stati segnalati versamenti pericardici e la frequente comparsa di irsutismo.

I simpaticolitici ed i vasodilatatori possono influenzare negativamente la tolleranza dialitica: attualmente sono meno utilizzati ; nel caso è consigliabile evitarne la somministrazione nelle ore precedenti la dialisi.

Proposta negli anni '60 e '70 per risolvere casi di ipertensione grave e resistente alla terapia farmacologica e dialitica, la nefrectomia bilaterale è stata poi abbandonata, con l'affinarsi delle tecniche di ultrafiltrazione e la disponibilità di farmaci ipotensivi, e per la grave anemizzazione ed ipotensione che sono abitualmente indotte.

Alterazioni dell'apparato osteoarticolare

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L'osteodistrofia uremica in genere non viene completamente corretta dal trattamento sostitutivo, può peggiorare con il proseguimento della dialisi e può essere così invalidante da compromettere il successo del trattamento.

All'inizio degli anni ottanta si temeva che le alterazioni osteodistrofiche potessero rappresentare il limite più importante della terapia dialitica a lungo termine. Oggi, nei pazienti che collaborano correttamente, siamo in grado di prevenire e di trattare le sue manifestazioni più gravi.

Con il termine di osteodistrofia uremica si indica classicamente un insieme di lesioni che comprende due componenti fondamentali: l'osteite fibrosa, dovuta all'iperparatiroidismo secondario, e l'osteomalacia (nel bambino, il rachitismo), alle quali si associano con minor rilievo osteosclerosi ed osteoporosi. Recentemente sono state identificate altre possibili componenti, a genesi iatrogena: l’osteomalacia vit. D resistente da accumulo cronico di alluminio; l’osteopatia adinamica caratterizzata da una ridotta formazione di osso, senza eccesso di osteoide o di fibrosi, e con presenza molto modesta di alluminio; e la patologia da "amiloide correlata alla dialisi".

Alterazioni dell'omeostasi del calcio e del fosforo si verificano nelle fasi iniziali dell'insufficienza renale cronica. E' nozione classica che il primo momento della complessa catena patogenetica dell'osteodistrofia sia un aumento della fosforemia da deficit escretorio; l'iperfosforemia provoca una riduzione della calcemia che determina, a sua volta, un'iperattivazione paratiroidea.

E' inoltre possibile che l'iperfosforemia sia capace di per sè di stimolare direttamente la produzione di paratormone (PTH). L'iperfosforemia concorrerebbe inoltre a determinare una resistenza scheletrica all'azione ipercalcemizzante del PTH, i cui livelli si elevano ulteriormente. All'iperincrezione di PTH consegue un aumento dell'escrezione del fosforo, che ripristina la normalità della calcemia e della fosforemia, ma il risultato è un aggiustamento omeostatico a livelli di attività paratiroidea più elevati che in precedenza.

Nella genesi dell'ipocalcemia tuttavia intervengono altri fattori. Il più importante è la riduzione della produzione renale dell'1,25(0H)2 colecalciferolo (o calcitriolo), che è la forma ormonale più attiva di vitamina D. Esisterebbero anche alterazioni funzionali della vitamina D o dei suoi metaboliti, almeno in parte legate a deficit recettoriali specifici. Anche alterata è la produzione di 24,25(OH)2 colecalciferolo, le cui conseguenze non sono ancora chiarite.

La diminuita produzione di calcitriolo è abitualmente considerata conseguenza diretta della riduzione del parenchima funzionante; tuttavia, poichè interviene precocemente con clearances della creatinina tra 50 e 80 ml/min, si è anche ipotizzato un effetto inibitore da parte di un elevato tenore in fosforo a livello del tubulo prossimale, dovuto all'aumento del carico di fosfati per unità nefronica residua.

La diminuzione dei livelli plasmatici di calcitriolo deprime l'assorbimento intestinale di calcio e di fosforo e riduce la calcemia; inoltre a questa vitamina D è attualmente riconosciuto un effetto soppressore diretto sull'attività paratiroidea. Secondo alcuni autori, in alternativa all'iperfosforemia, il momento centrale dell'innesco patogenetico dell'osteodistrofia sarebbe appunto il deficit di produzione di questa vitamina D.

L'iperparatiroidismo è responsabile di numerosi effetti sistemici: induce un aumento del riassorbimento osseo e dell'attività osteoclastica; causa miopatie prossimali per aumento di Ca nelle fibrocellule, e calcificazioni metastatiche; se ne sospetta un possibile ruolo nella miocardiopatia uremica.

Le alterazioni del metabolismo della vitamina D sono responsabili della riduzione dell'assorbimento intestinale del calcio e dei difetti di mineralizzazione dell'osteoide, con conseguente osteomalacia. Alla difettosa mineralizzazione contribuiscono anche gli squilibri a carico del Mg e di elementi in tracce. Un ruolo importante nella genesi di un'osteomalacia resistente alla vitamina D può essere svolto dall'alluminio.

La sintomatologia clinica varia a seconda che prevalga la componente iperparatiroidea od osteomalacica, o che si tratti di una forma mista. Sono caratteristici dolori ossei, generalmente al rachide e agli arti inferiori; è abbastanza comune una compromissione artromuscolare, elettiva a livello scapolo omerale, rachideo, e coxofemorale; il frequente prurito è dovuto almeno in parte all'iperparatiroidismo, per deposizione cutanea di calcio, e per riduzione della soglia agli stimoli.

La componente osteomalacica è causa di deformità scheletriche, con quadri di rachitismo nel bambino e, nell'adulto, di deformità toraciche, scoliosi, cifosi e fratture, specie costali, vertebrali e del bacino.

La componente legata all'iperparatiroidismo secondario si esprime in fenomeni di riassorbimento sottoperiosteo che possono portare, tra l'altro, alla "scomparsa" dell'immagine radiologica dell'estremità distale delle falangi e delle clavicole, in formazioni lacunari ossee, particolarmente temibili se si verificano a livello di segmenti ossei portanti, come il collo femorale; in calcificazioni ectopiche, talora enormi, in sede periarticolare, nelle pareti arteriose, eventualmente con fenomeni ischemici distali, nelle congiuntive e nella cornea (red eyes). Un'ipercalcemia sintomatica (con torpore, stato confusionale, prurito intenso) è rara; l'iperfosforemia è abituale. Le calcificazioni metastatiche sono correlabili con un prodotto calcio x fosforo >70.

Patologia ossea da alluminio In numerose reti idriche urbane viene fatto uso abituale di solfato di alluminio per chiarificare le acque, e di conseguenza l'acqua potabile può essere molto ricca di questo metallo, tradizionalmente ritenuto innocuo. Poichè inizialmente non si prendeva in considerazione questa eventualità, ed i sistemi impiegati per il trattamento delle acque erano poco o nulla efficienti nell'estrarlo, in molti centri dialisi i pazienti erano esposti ad un importante accumulo di alluminio che diffonde dal bagno di dialisi al sangue. Inoltre, per anni, i pazienti in dialisi sono stati sottoposti alla somministrazione sistematica di gel di alluminio per os, con la finalità di chelare il fosforo degli alimenti, ridurne l'assorbimento intestinale, controllare meglio l'iperfosforemia, e prevenire l'iperparatiroidismo secondario. A differenza che nel soggetto normale, nel paziente uremico, anche nel caso di somministrazione orale si può verificare un deposito cronico di alluminio nell'organismo.

Solo da una quindicina d'anni è stata riconosciuta la possibilità che l'alluminio possa essere responsabile di una specifica forma di encefalopatia, di anemia microcitica e di osteomalacia.

L'alluminio interferisce ritardando la formazione e l'accrescimento dei cristalli di idrossiapatite. Il suo ruolo nella patologia ossea è assai complesso e sembra che il suo effetto venga antagonizzato dallo stato di iperattività delle paratiroidi. Dopo

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paratiroidectomia interverrebbe un effetto permissivo nella deposizione del metallo sul fronte di calcificazione, con aggravamento dell'osteomalacia.

Nella sorveglianza laboratoristica del ricambio fosfocalcico e dell'osteodistrofia uremica hanno importanza: - la determinazione regolare della calcemia (in genere solo modestamente aumentata nell'iperparatiroidismo; il suo

aumento è più spesso legato ad un sovradosaggio di vitamina D) e della fosforemia; - il dosaggio della fosfatasi alcalina, il cui aumento (con enzimi epatici nella norma) è in buona correlazione con l'entità

dell'iperparatiroidismo secondario; - il dosaggio del paratormone . - la determinazione dell'alluminiemia. I segni radiologici principali di iperparatiroidismo secondario sono innanzitutto rappresentati da riassorbimento

subperiosteo, che si osserva bene a livello delle falangi, specie sulla superficie radiale di quelle medie, e sul flocculo delle falangette, nella pelvi, nell'estremità distale delle clavicole, a carico della mandibola, con scomparsa della lamina dura se vi sono denti, e del cranio. Per un'indagine precoce si presta bene lo studio della mano. Altri segni caratteristici sono cisti ossee (tumori bruni), strie corticali e immagini "a vetro smerigliato" del cranio, aree di osteosclerosi e di neostosi periostale, calcificazioni vascolari e dei tessuti molli.

Segni principali di osteomalacia sono deformità scheletriche (bacino a cuore di carta da gioco, torace a botte, cifosi dorsale), schiacciamento vertebrale, fratture costali e del bacino, pseudofratture.

Spesso solo l'indagine ossea bioptica è dirimente per la diagnosi di osteodistrofia uremica ed il preciso riconoscimento delle sue diverse componenti.

La prevenzione e la terapia dell'osteodistrofia uremica si avvalgono di misure finalizzate a contenere o contrastare l'iperfosforemia e l'ipocalcemia, che sono i fattori patogenetici fondamentali e, a dialisi avviata, di un corretto trattamento sostitutivo.

La dieta deve avere un contenuto di fosforo inferiore a 800 mg/die che, per essere ottenuto, presuppone l’astensione dell’uso abituale di latticini e formaggi.

Per chelare il fosfato a livello intestinale, la somministrazione di gel di alluminio è stata ora quasi completamente abbandonata in favore di quella di sali di calcio (carbonato di calcio: 3 o più g/die) e di magnesio, utili anche per prevenire o ridurre l’iperparatiroidismo e le lesioni osteomalaciche. Molto utile, ma non indenne da rischi anche a livello renale e pertanto da attuarsi con grande prudenza, è la somministrazione di calcitriolo (in genere alla dose di O,25 microgrammi/die o a giorni alterni ), ed eventualmente di altre vitamine D.

Nei casi più conclamati di iperparatiroidismo si rende necessaria la paratiroidectomia. Compromissione neurologica In fase predialitica ed in corso di trattamento dialitico sono piuttosto frequenti fenomeni di depressione e di ansia. La

diagnosi differenziale con l'encefalopatia uremica, da alluminio, o su base aterosclerotica può non essere facile. Con lo svilupparsi della sindrome uremica, le manifestazioni cliniche dell'encefalopatia uremica possono evolvere da una

semplice riduzione dell'attenzione e delle capacità intellettive, in genere con irritabilità o apatia, sino ad uno stato di confusione, talora con allucinazioni, di sonnolenza e poi di coma. Sono in genere contemporaneamente presenti tremori con fini scosse muscolari durante i movimenti degli arti, asterixis e mioclonie.

Nei pazienti in trattamento medico conservativo le forme conclamate di encefalopatia uremica sono ora del tutto eccezionali e in genere se ne colgono solo i segni iniziali, che regrediscono rapidamente con l'inizio del trattamento dialitico.

Nei soggetti da anni in trattamento sostitutivo sono frequentemente presenti alla tomografia computerizzata immagini di atrofia cerebrale e le indagini elettrofisiologiche possono mettere in evidenza alterazioni di vario tipo. La possibilità che, in corso di un trattamento dialitico correttamente condotto, possa comparire una cerebropatia uremica clinicamente evidente è peraltro discussa.

Lesioni su base arteriosclerotica, ed eventualmente ipertensiva, con encefalopatia sottocorticale aterosclerotica, TIA, infarti ed emorragie cerebrali non sono invece rare.

Nello scorso decennio è stata descritta ed attribuita ad intossicazione da alluminio un'encefalopatia peculiare, con disturbi del linguaggio (inizialmente con caratteristici intoppi nella parola durante formulazione di frasi lunghe e complesse), deterioramento intellettivo sino alla demenza, contrazioni muscolari sino a convulsioni generalizzate, e fenomeni di aprassia sino ad un'immobilità totale. Per l'attenzione che si pone attualmente nella prevenzione degli accumuli di alluminio, queste manifestazioni sono ora praticamente scomparse.

I sintomi clinici più classici di interessamento del sistema nervoso periferico dell'uremia cronica sono quelli di una neuropatia periferica, sensitiva e motoria, con parestesie distali, riduzione sino alla perdita dei riflessi inizialmente alle estremità e poi rotulei, debolezza e successivamente atrofia muscolare distale agli arti inferiori. E' frequente la cosiddetta "restless leg syndrome" che si manifesta con necessità di muovere le gambe o di camminare quando il paziente si riposa o si mette a letto.

La patogenesi della compromissione neurologica dell'uremico è complessa: fenomeni ritentivi sono verosimilmente implicati, ed il trapianto di rene riesce a ripristinare una normale situazione tranne che nei casi più evoluti, ma la ricerca di medie molecole neurotossiche non è approdata a risultati concreti. Anche in queste manifestazioni è stato prospettato un possibile ruolo del paratormone, che interverrebbe pure nella patogenesi, peraltro multifattoriale, dell'atrofia muscolare.

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Alterazioni del sistema nervoso autonomo non sono rare, e possono esere causa di ipotensione ortostatica, di modificazioni della motilità intestinale e di compromissione dell'attività sessuale.

Patologia gastroenterica Alterazioni morfofunzionali dell'apparato digerente compaiono nelle fasi terminali dell'uremia e possono essere manifeste

nei pazienti in trattamento dialitico. Peraltro, l'inizio di una regolare depurazione consente in genere una regressione della sintomatologia gastroenterica. Per tale motivo nella patogenesi si ritiene implicata la ritenzione di prodotti azotati; concorrerebbero alle alterazioni della barriera mucosa gastrica alterazioni arteriolari, la diatesi emorragica ed alcuni farmaci, quali i chelanti del fosforo sotto forma di idrossido di alluminio.

L'interessamento del tratto gastroenterico può avere estensione variabile, con coinvolgimento sia del tratto digerente alto (lesioni ulcerative, microemorragie, lesioni necrotiche esofagee e gastriche) sia del colon (angiodisplasie, ulcere, pseudomembrane).

Dati peraltro non univoci indicherebbero nell'ipergastrinemia un elemento fondamentale nella genesi delle alterazioni gastriche dell'uremico.

Il quadro clinico è polimorfo, e comprende inizialmente una vaga sintomatologia dispeptica, poi nausea, vomito, epigastralgie, anoressia. All'indagine endoscopica e radiologica sono frequenti reperti di gastroduodenite, esofagite e lesioni ulcerative, generalemente in associazione con la positività bioetica per l’Helycobacter Pilori.

Per quanto concerne la patologia epatica, deve essere posta in evidenza la particolare frequenza di compromissione virale (l'epatite B è ora in netta riduzione, a differenza di quella C). Accanto a questi quadri ben definiti si possono avere reperti laboratoristici di aumento aspecifico delle transaminasi e degli isoenzimi epatici della fosfatasi alcalina, spesso di difficile interpretazione.

Compromissione polmonare La forma più comune e di maggior importanza pratica è un accumulo, soprattutto interstiziale, di liquidi con l'aspetto del

cosiddetto "polmone uremico" o "da acqua". La diagnosi clinica è suggerita dalla comparsa acuta o subacuta di una dispnea ingravescente, con reperti auscultatori

inizialmente nella norma, e che solo con l'aggravarsi del sovraccarico acquistano progressivamente le caratteristiche semeiotiche dell'edema polmonare. Il reperto radiologico più tipico è di opacità a farfalla, che rispetta i campi periferici. I quadri sono però vari, e non è raro che sia simulata la presenza di focolai broncopneumonici multipli. Un'energica sottrazione di liquidi con la dialisi consente la regressione di questa complicanza in poche ore.

Non rare sono microcalcificazioni polmonari, attribuite all'iperparatiroidismo. Alterazioni endocrine Nell'uremico cronico si rileva un'importante compromissione dell'attività sessuale con, nel maschio, un'elevata incidenza di

impotenza e di riduzione della libido, oligospermia, ginecomastia, aplasia delle cellule germinali e, nella femmina, cicli anovulatori ed irregolarità mestruali, sino all'amenorrea.

I fattori responsabili sono multipli: accanto alle turbe endocrine (nella femmina, riduzione degli estrogeni e del progesterone; nel maschio, ridotti livelli di testosterone; in entrambi i sessi, aumento di LH, PRL, FSH ed alterazioni di recettori ipotalamici) sono da considerare altre cause, come l’anemia, gli stress psichici, stati depressivi, fattori nutrizionali e iatrogeni (non di rado sono in causa gli ipotensivi), neuropatia uremica, insufficienza vascolare degli organi genitali.

Particolare interesse era stato suscitato da una correlazione tra alterazioni della sfera sessuale e deficit di zinco che, da indagini successive, non pare tuttavia rivestire un ruolo fondamentale in tutti gli uremici.

Una gravidanza è stata riportata in meno dell'1% delle donne in dialisi in età feconda, con netto aumento dei rischi materni e fetali.

I livelli di ACTH e cortisolo sono normali (la cortisolemia aumenta dopo dialisi extracorporea per risposta allo stress);

quelli di aldosterone sono generalmente elevati. I parametri di funzionalità tiroidea sono variamente alterati nell'insufficienza renale cronica, senza che siano tuttavia

presenti quadri clinici conclamati: il TSH e l'FT4 sono in genere normali; i livelli di T3 sono ridotti. Il trapianto normalizza anche queste alterazioni ormonali. I livelli circolanti di somatotropina sono per lo più elevati.

L'alterata sintesi ormonale da parte delle ß cellule pancreatiche è uno dei fattori che si ritiene intervengano nelle alterazioni

del metabolismo glicidico, presente in circa il 50% dei pazienti uremici, accanto ad una resistenza recettoriale periferica ed alla ridotta clearance metabolica di insulina e glucagone. Tali squilibri si traducono in un'alterata risposta al carico glucidico, iperinsulinemia, iperglucagonemia, ipoglicemie spontanee e a digiuno, ridotta richiesta insulinica nei diabeti insulinodipendenti e sono scarsamente corretti dal trattamento sostitutivo.

Imputabili invece a deficit enzimatici sono le alterazioni del metabolismo lipidico: aumento dei trigliceridi in VLDL e

LDL; diminuzione del colesterolo HDL; aumento del colesterolo VLDL; riduzione della ApoA; aumento della ApoB. L'approccio terapeutico è di tipo dietetico-farmacologico. Studi recenti hanno richiamato l’attenzione anche sull’omocisteina , amino acido solforato che deriva dal metabolismo della metionina, come fattore di rischio cardiovascolare. Nella popolazione

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generale, dove sono stati eseguiti la maggioranza degli studi, livelli aumentati di omocisteina correlano con un rischio cardio e cerebro vascolare aumentato. Nell’insufficienza renale l’omocisteina è aumentata per diverse ragioni: ridotta filtrazione glomerulare, possibile conseguenza di alterazioni del metabolismo vitaminico della B12 e dei folati, ma soprattutto per il suo ridotto catabolismo renale. Le evidenze di un suo ruolo come fattore di rischio nei pazienti dializzati restano tuttavia ancora dibattute in conseguenze dei risultati contrastanti riportati nei pochi studi fin’ora pubblicati.

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Insufficienza Renale Acuta (o IRA) Si definisce Insufficienza renale acuta una Sindrome Clinica caratterizzata da un improvviso e rapido deterioramento della funzione renale, reversibile nella maggior parte dei casi .

Il deterioramento deve essere clinicamente rilevante ed è testimoniato da un incremento dei valori ritentivi. Generalmente si assume come indicativo: o un incremento della creatinina plasmatica fino a 4 mg/dl o livelli di creatininemia doppi o di clearance creatininica dimezzati rispetto al punto di partenza. Nel linguaggio comune il termine Insufficienza Renale Acuta è sovente impiegato, in maniera erronea, come sinonimo di “Blocco Renale”; in ambito nefrologico la dizione Insufficienza Renale Acuta è talora considerata sinonimo di Necrosi Tubulare Acuta ; anche in questo caso si tratta di un’approssimazione errata in quanto la Necrosi Tubulare non è che una della varie forme di danno che possono causare un Insufficienza renale acuta Per quanto riguarda la quantità di urine emesse si distingue IRA con Anuria, in assenza o quasi, di diuresi IRA con oliguria, se vi è una diuresi (isostenurica) nelle 24 ore inferiore ai 450 cc. IRA a diuresi conservata ed eventualmente con poliuria La gamma di situazioni patogenetiche che si esprimono clinicamente nella sindrome della Insufficienza Renale Acuta è molto ampia ed eterogenea cosi da essere poco utilizzabile come chiave di classificazione. Nella pratica clinica si è preferito adottare un criterio anatomo- fisiopatologico in base al quale si distinguono : IRA prerenale: in questo gruppo si raccolgono quelle forme di IRA nelle quali il danno è per cosi dire “prima del rene”. In questo caso infatti il, meccanismo patogenetico che conduce alla riduzione della funzione renale non coinvolge il rene, ma interessa l’emodinamica dell’organismo. Il quadro clinico funzionale che ne consegue è fondamentalmente interpretabile come una risposta adattiva del rene ( di per se ben funzionante ) a fronte di una situazione attualmente o potenzialmente pericolosa per la stabilità cardiocircolatoria di quel paziente. IRA parenchimale o renale propriamente detta o intrinseca: si raccolgono in questo gruppo varie situazioni dove il danno anatomopatologico è direttamente localizzato in una o più componenti della compagine istologica del rene (glomerulo, interstizio, tubuli, vasi) IRA post renale: come desumibile dalla definizione, rientrano in questo gruppo tutte le situazioni dove una patologia di ostruzione acuta delle vie escretrici o della via escretrice (in caso di rene unico), compromettendo acutamente l’eliminazione urinaria, si riflette a monte nella cessazione della funzione renale. Generalità del quadro clinico Da un punto di vista generale il quadro clinico delle insufficienze renali più severe e prolungate, è sovrapponibile qualitativamente a quello dell’uremia cronica ed interessa sia il versante dell’attività endocrina renale che quello della funzione escretoria. Tra gli apparati più frequentemente interessati va ricordato: A. A.Gastroenterico: anoressia e vomito sono frequenti nella casi più gravi. Possibili le emorragie del tubo digerente, talora

espressione di gastropatie erosive da stress e temibili per il concomitante rischio ipocoagulativo. B. A. Cardiocircolatorio :è variamente coinvolto a secondo della etiologia, del grado di sovraccarico idrico del paziente, del

grado di ipertensione, tutti fattori che , se insufficientemente controllati , possono causare scompenso cardiaco acuto ed edema polmonare. Temibili i disturbi del ritmo, sovente correlati con i disordini elettrolitici. Si tenga presente che in presenza di un aumento rapido del Potassio extracellulare al di sopra dei 7 mEq/L sono frequente turbe del ritmo gravi fino all’arresto cardiaco).

C. S.N.C : la sofferenza del sistema nervoso centrale è frequente, precoce ed importante ed assume una vasta gamma di

manifestazioni che possono arrivare fino al coma. In caso di encefalopatia ipertensiva (vasculiti, glomerulonefrite acuta, gestosi gravidica) sono possibili manifestazioni eclamptiche.

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D. A.Emopoetico: L’anemia rappresenta un tratto costante anche se variamente modulato a seconda della patogenesi coinvolta. Nella genesi dello stato anemico intervengono fattori dipendenti dallo stato uremico ( deficit di eritropoietina , diatesi emorragica, possibile emolisi) e da noxae aggiuntive ( tossici, sanguinamenti … ).

Sempre importante ed in molti casi dominante l’aspetto ritentivo che assume connotazioni clinico-laboratoristiche particolarmente esasperate in presenza di rabomoliolisi estesa, gravi traumi e severe situazioni cataboliche ( tab 1).

Iperpotassiemia , ipocalcemia ed acidosi metabolica rappresentano le modificazioni piu pericolose dello ionogramma in tali condizioni.

Tab.1 Variazioni di alcuni parametri clinico laboratoristici in corso di IRA non complicata ed in corso di IRA a forte componente catabolica

Parametri clinico laboratoristici considerati

IRA non complicata IRA con ipercatabolismo

Azotemia + 10-20 mg/dl/24 ore + 100 mg/dl/24 ore Creatininemia + 0,5- 1 mg/dl/24 ore + 2 mg/dl/24 ore Acido urico +1 –2 mg/dl/24 ore Incremento elevato Calcemia ( v.m) 6,3 mg/dl 3,5 mg/dl Bicarbonatemia - 1 mEq/L/ 24 ore - 2 mEq/L/24 ore Potassiemia + 0,5 mEq/L/ 24 ore + 1- 2 mEq/L/ poche ore Acqua metabolica 0,2 –0,5 Kg/24 ore > 1 Kg/24 ore

Nota: per Rabdomiolisi si intende il danno citolitico, a seguito di noxae di vario tipo, delle cellule muscolare striate, al quale consegue l’immissione in circolo delle loro componenti ioniche ed enzimatiche Le rabomiolisi si distinguono in traumatiche e non. Fra le prime si devono ricordare le sindromi da schiacciamento, le ustioni estese, gli stati convulsivi e le contrazioni muscolari prolungati. Fra le seconde si ascrivono difetti genetici che comportano alterazioni del corredo enzimatico del muscolo in conseguenza delle quali le cellule muscolari vanno incontro a citolisi anche per sforzi “ normali”, condizioni di iper ed ipotermia, cause ischemiche, cause tossiche ( veleni animali , farmaci ), Immobilità assoluta e prolungata a seguito di stati di coma (overdose, alcool, narcotici.) INSUFFICIENZA RENALE PRERENALE

E’ una compromissione funzionale e reversibile dell’attività escretoria renale che si verifica generalmente nel contesto di una compromissione emodinamica sistemica dove ipotensione ed ipovolemia , talora isolate nella maggior parte dei casi combinate, condizionano una ipoperfusione del parenchima renale. In un certo numero di casi il danno può essere invece conseguenza di una interferenza iatrogena sui meccanismi che regolano la autoregolazione della circolazione renale.

Condizioni favorenti l’insorgenza di IRA prerenale Riduzione della gettata cardiaca:

Shock cardiogeno . infarto miocardico acuto, tamponamento cardiaco, embolia polmonare massiva Scompenso cardiaco congestizio, ventilazione assistita in pressione positiva, pericardite costrittiva….

Ipovolemia Emorragia, disdratazione, perdite gastroenteriche, ustioni…

Riduzione della volemia efficace Sindrome nefrosica, sindrome epatorenale, shock settico, farmaci vaso dilatatori

Interferenza con la vasoregolazione renale Farmaci inibitori delle prostaglandine ( FANS)., ACE inibitori in condizioni di alterazioni vascolari renali, Ciclosporina ed altri inibitori delle Calcineurine…

Cenni di Fisiopatologia

Da un punto vista fisiopatologico l’IRA prerenale rappresenta la risposta adattiva dell’emuntore renale a situazioni ambientali o patologiche potenzialmente dannose per la conservazione di una adeguata emodinamica sistemica. Il termine di Insufficienza renale, in queste condizioni, è di per sè erroneo perché in realtà si tratta, al contrario, di un rene che esprime al massimo le sue competenze funzionali adattive. Gli unici parametri clinico-laboratoristici che evocano il concetto di insufficienza renale in tale situazione sono rappresentati dall’iperazotemia e l’oliguria ( fino a meno di 400 ml/24 ore) che accompagnano il profilo funzionale del rene cosiddetto “prerenale”.

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In realtà l’oliguria esprime il tentativo, attraverso la capacità di concentrazione, di realizzare il massimo risparmio idrico a favore dei volumi sistemici percepiti ridotti dai sistemi recettoriali La riduzione del volume diuretico, in associazione con l’ipercatabolismo che accompagna queste situazioni, rendono poi ragione dell’ incremento dei valori azotemici. La creatina plasmatica è in genere normale. Nel caso sia aumentata vi è una notevole discrepanza fra il valore azotemico e quello della creatininemia , con ratio fra i due cataboliti che resta generalmente superiore a 10:1. Nello iogramma è frequente un quadro di normo-ipopotassiemia. Iperopotassiemie possono essere presenti in presenza di insufficienza surrenalica o preesistente Insufficienza renale cronica. Il profilo dell’eqilibrio acido base può tendere all’alcalosi ipocloremica ( vomito, sondino nasogastrico, trattamento con diuretici…), ma può essere presente acidosi lattica (ipovolemia severa ) o acidosi ipercloremica ( severe diarrea). Il quadro urinario documenta l’impegno della funzione renale nel risparmio idrosodico e nell’esasperazione delle competenze di concentrazione urinaria sia per quanto concerne l’acqua che i soluti. Sono caratteristiche di questa forma infatti,(cosi da rappresentarne un criterio diagnostico differenziale nei confronti della Necrosi Tubulare Acuta): Concentrazione osmolare > 500 mOsm/kg Sodio urinario ( sodiuria) < 10 –20 mEq/l Ratio urea urinaria/plasmatica > 8-20 Ratio creatinina urinaria plasmatica > 40

Un’insufficienza renale acuta che può essere riferita ad una condizione “prerenale” è quella che può presentarsi dopo somministrazione di ACE inibitori in pazienti con stenosi bilaterale “efficace” delle arterie renali ( o in soggetti con stenosi arteriosa su rene unico=) o in seguito alla somministrazione di inibitori delle prostaglandine. Cenni terapeutici

In corso di IRA prerenale l’intervento terapeutico deve essere pronto ed efficace cosi da risolvere con la maggior rapidità possibile le condizioni predisponenti. Gli interventi terapeutici sono quindi fondamentalmente diretti alla risoluzione della compromissione emodinamica che ha condizionato la risposta adattiva del rene. A seconda delle noxae in gioco quindi, essi sono basati

sul ripristino del volume circolante o della volemia efficace

sulla correzione di eventuali deficit cardiaci

sulla riequilibrazione ionica

sul ripristino di valori pressori adeguati. Da un punto di vista farmacologico la dopamina costituisce l’amina vasoattiva di elezione, il diuretico ( si impiegano in questo caso esclusivamente diuretici di ansa come la Furosemide) deve essere impiegato solo in presenza di una volemia adeguata. Prognosi L’IRA prerenale configura , proprio per le sue caratteristiche di adattamento funzionale adattivo, una condizione transitoria che nella maggior parte dei casi si risolve rapidamente con ricupero dei profili funzionali renali abituali. In condizioni particolari tuttavia o per il prolungarsi della causa che ha compromesso l’emodinamica sistemica, o per la severità del danno perfusionale o per una particolare sensibilità di quel paziente alla condizione di ipoperfusione renale, l’IRA pre renale può costituire la fase di esordio di una Insufficienza renale propriamente detta , generalmente a tipo Necrosi Tubulare Acuta. In questo caso il quadro fisiopatologico, clinico e prognostico divengono completamente differenti assumendo una dimensione di gravità variabile da caso a caso, ma potenzialemente sempre pericolosi per la vita del paziente. L’IRA RENALE PROPRIAMENTE DETTA O PARENCHIMALE O INTRINSECA.

In pratica qualsiasi delle principali patologie nefrologiche ( glomerulonefriti, nefropatie interstiziali, vasculiti) può nel suo decorso esordire o esitare in quadro di Insufficienza renale acuta di tipo renale . Nella pratica clinica oggi queste evenienze sono rare e restano circoscritte a situazioni nelle quali l’aggressione iniziale sia stata particolarmente severa o clinicamente trascurata. La quasi totalità dei casi di IRA renale è invece dovuta all’insorgenza di Necrosi Tubulare Acuta

LA NECROSI TUBULARE ACUTA (ATN) Generalità

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La necrosi tubulare acuta o ATN , (anche indicata come rene da shock, tubulonecrosi tossico ischemica, nefropatia interstiziale acuta) è una forma di IRA sempre reversibile, caratterizzata clinicamente, da una brusca contrazione della funzione renale a seguito di insulti ischemici e/o tossici, dal punto di vista anatomo-patologico, da un danno tubulo interstiziale.

Se ne distingue una forma oligo-anurizzante nella quale la contrazione della funzione renale è generalmente molto grave e persistente per un certo numero di giorni e settimane ed una forma a diuresi conservata nella quale pur in presenza di una severa contrazione funzionale il volume diuretico si presenta conservato o aumentato .

In ambedue le forme, ma quasi di regola in quella oligo-anurizzante, la contrazione funzionale conduce ad un quadro uremico acuto potenzialmente pericoloso per la vita del paziente o comunque tale agravarne il quadro clinico complessivo: in queste condizioni è indispensabile l’utilizzazione di terapia sostituiva ( dialisi) fino a quando il rene non abbia ricuperato le sue competenze funzionali.

Etiologia Le etiologie coinvolte nella genesi dell’ATN sono quella ischemica ( da cui il nome rene da shock) e quella tossica (da cui il nome di tubulonecrosi tossico ischemica). In molti casi le due noxae possono coesistere,

Cause ischemiche Da un punto di vista storico furono soprattutto le crush syndrome ( sindromi da schiacciamento, nelle quali allo shock si

associa il danno da mioglobinuria) osservate nei pazienti londinesi in conseguenza dei bombardamenti della seconda guerra mondiale ad essere individuate come fattori causali delle prime ATN riportate il letteratura.

Accanto a questi fattori traumatici sempre possibili anche nel contesto di calamità naturali o gravi incidenti , si riconosce oggi a tutte le cause elencate nella etiologia dell’IRA prerenale un ruolo potenziale per l’instaurarsi di una ATN nel caso lo stato di ipoperfusione non venga corretto in tempo.

Nell’evoluzione da IRA prerenale a ATN peraltro non gioca solo l’efficacia della correzione terapeutica , ma sono cruciali la severità del danno iniziale la sua persistenza nel tempo la presenza di concause tossiche il grado di insufficienza renale cronica eventualmente preesistente ed anche , per quanto meno ben definibile, la tolleranza individuale agli insulti ischemici

Cause tossiche Il tubulo renale a causa delle sue prerogative anatomo-funzionali rappresenta una struttura particolarmente sensibile al

danno tossico. La cellula tubulare infatti si trova esposta ai danni di eventuale tossici sia sul ragione del modificarsi delle condizioni di vita delle esposizioni lavorative versante capillare che su quello endoluminale ove l’agente lesivo può essere in elevata concentrazione per il combinarsi del riassorbimento idrico e di processi secretivi. Per alcuni agenti, il danno tossico può assooociarsi al danno da precipitazione endotubulare.

L’elenco dei “tossici” è in continuo agiornamento Schematicamente i più importanti sono i seguenti: antibiotici: aminoglicosidi, cefalosporine, sulfamidici, cotrimossazolo chemoioterapici: cisplatino, metotrexate metalli: mercurio, cadmio, uranio, arsenico, rame, piombo solventi. Tetracloruro di carbonio, teracloroetilene glicoli: glicole dietilenico, glicole etilenico pigmenti: mioglobina, emoglobina agenti anestetici: metossifluorano mezzi di contrasto: iotalamato, diatrizoato, acido iopanoico altri: paraquat, veleno di funghi (ammanita), catene leggere, elevati livelli di calcemia, ossalati, urati, ciclosporina

INSUFFICIENZA RENALE ACUTA POST RENALE O OSTRUTTIVA Consegue a tutte le cause, ed in particolare a quelle calcoltiche e neoplastiche capaci di indurre un’ostruzione

acuta bilaterale del flusso urinario. In queste condizioni vi è in genere un’anuria serrata e se l’ÎRA si è instaurata in maniera improvvisa può non

esservi una dilatazione delle vie urinarie.